Giugno 1815: Waterloo La sconfitta di Napoleone dà l’avvio ... · La sconfitta di Napoleone dà...

187
Restaurazione e Rivoluzioni Prof. Monti – a.s. 2016-2017 Rivoluzioni capitolo 13 Giugno 1815: Waterloo La sconfitta di Napoleone dà l’avvio al tentativo di RESTAURARE il vecchio ordine europeo, dai sovrani spodestati sino a tratti tipici dellancien régime spodestati sino a tratti tipici dell ancien régime.

Transcript of Giugno 1815: Waterloo La sconfitta di Napoleone dà l’avvio ... · La sconfitta di Napoleone dà...

Restaurazione eRivoluzioni

Prof. Monti – a.s. 2016-2017

Rivoluzioni capitolo 13

Giugno 1815: Waterloo

La sconfitta di Napoleone dà l’avvio al tentativo di RESTAURARE il vecchio ordine europeo, dai sovranispodestati sino a tratti tipici dell’ancien régimespodestati sino a tratti tipici dell ancien régime.

Restaurazione eRivoluzioni

Prof. Monti – a.s. 2016-2017

Rivoluzioni capitolo 13

Tentativo fallimentare: dopo una trasformazione radicale, non è possibile semplicemente tornare al passatopossibile semplicemente tornare al passato.

Istituzioni politiche e ordinamenti giuridici, certezza del diritto eli f l d i itt di i i i b ti ffi i tuguaglianza formale dei cittadini, organizzazione burocratica efficiente

e razionalizzazione economica: cose che non si possono cancellare!

Nei suoi tratti più efficaci, la restaurazione si manifesta in una sorta diNei suoi tratti più efficaci, la restaurazione si manifesta in una sorta di compromesso di breve durata fra vecchio e nuovo.

Prof. Monti – a.s. 2016-2017

Restaurazione eRivoluzioniRivoluzioni

Autunno 1814: CONGRESSO DI VIENNA (01/11/’14 – 09/06/’15)

Fu un affollatissimo consesso di sovrani e governanti, ma a g ,decidere era un gruppo assai ristretto: GB, Russia, Prussia, Austria.

Prof. Monti – a.s. 2016-2017

Restaurazione eRivoluzioniRivoluzioni

Se l’austriaco Metternich fu il “regista” del Congresso, il francese Talleyrand riuscì a sfruttare le divisioni dei vincitori per far valere il PRINCIPIO DI LEGITTIMITÀ anche per la FranciaPRINCIPIO DI LEGITTIMITÀ anche per la Francia.

Devono essere restaurati i diritti violati, quindi anche quelli dei Borbone di Francia. In effetti la Francia non subì amputazioniBorbone di Francia. In effetti la Francia non subì amputazioni territoriali rispetto alle frontiere del 1791.

Restaurazione erivoluzioni

Prof. Monti – a.s. 2016-2017

rivoluzioni

PRINCIPIO DELL’EQUILIBRIO

In parziale contraddizione con il principio di legittimità, esso mirava a garantire una situazione di equilibrio politico e sociale in Europa.

- Russia e Prussia si espandono territorialmente; - nasce la Confederazione germanica sotto la presidenza dell’Austria;- nasce la Confederazione germanica sotto la presidenza dell Austria; - non viene ricostituito il Sacro Romano Impero (1806); - nasce il Regno dei Paesi Bassi (Olanda, Lussemburgo e Belgio);

in Italia si rafforza l’egemonia austriaca (salvo il Regno- in Italia si rafforza l egemonia austriaca (salvo il Regno di Sardegna).

Restaurazione eri ol ioni

Prof. Monti – a.s. 2016-2017

rivoluzioni

SANTA ALLEANZA

Nasce nel settembre 1815, su iniziativa dello zar Alessandro I. I i i l t i l P i A t i R i ( i i i diInizialmente coinvolge Prussia, Austria e Russia (principio di intervento), successivamente molti altri Stati entrano a farne parte. Ha una caratterizzazione sostanzialmente religiosa (nonostante i tre sovrani coinvolti aderissero a confessioni diverse!).

Restaurazione eri ol ioni

Prof. Monti – a.s. 2016-2017

rivoluzioni

QUADRUPLICE ALLEANZA

Nasce su iniziativa inglese del novembre 1815, lega la GB alle altre tre potenze vincitrici con lo scopo di:

1) Impedire rivincite francesi;2) mantenere l’equilibrio europeo

Prevedeva consultazioni periodiche col compito di risolvere pacificamente eventuali conflitti (concerto europeo).

Restaurazione erivoluzioni

Prof. Monti – a.s. 2016-2017

rivoluzioni

“FRONTE INTERNO”

Seppure con intensità diverse, in ogni Stato la Restaurazione si assestò in senso conservatore.assestò in senso conservatore.

1. In Gran Bretagna venne favorita l’aristocrazia terriera tramite pesanti dazi sull’importazione di grano cosa che danneggiò l’industriapesanti dazi sull importazione di grano, cosa che danneggiò l industria

e, di conseguenza, gli operai.

2 Ferdinando VII in Spagna abolì la Costituzione di Cadice del2. Ferdinando VII in Spagna abolì la Costituzione di Cadice del 1812, con una durissima repressione nei confronti dei liberali.

Restaurazione erivoluzioni

Prof. Monti – a.s. 2016-2017

“FRONTE INTERNO”

rivoluzioni

FRONTE INTERNO

3. Luigi XVIII in Francia promulgò una Costituzione (“Carta”) che garantiva le libertà fondamentali e istituiva un Parlamento bicameralegarantiva le libertà fondamentali e istituiva un Parlamento bicamerale.

Si trattava, in effetti, solo di una concessione dall’alto: la camera dei d t ti l l l tti i t i il ff i ideputati, la sola elettiva, aveva scarsi poteri e il suffragio era assai ristretto (età di 30 anni e censo).La Francia era comunque uno dei pochi regimi costituzionali europei!

Molte innovazioni napoleoniche restarono in vigore: il Codice civile, l’ordinamento amministrativo, il sistema scolastico statale, garanzia , , gsulle proprietà vecchie e nuove. Questo significa che, se le forze più schiettamente democratiche non potevano dirsi soddisfatte anche i reazionari ultrarealisti eranopotevano dirsi soddisfatte, anche i reazionari ultrarealisti erano scontenti.

Restaurazione erivoluzioni

Prof. Monti – a.s. 2016-2017

rivoluzioni

4. Il regno sabaudo di Vittorio Emanuele I, così come lo Stato pontificio e il Regno delle Due Sicilie (1816) optarono per una restaurazione rigida. gVittorio Emanuele I, rientrando a Torino, sfoggiò con orgoglio codino e Parrucca, secondo la vecchia moda aristocratica.

Il Lombardo-Veneto, pur sotto il dominio dell’Austria, restava la regione italiana economicamente più avanzata.italiana economicamente più avanzata. Qui Metternich intendeva ammodernare l’amministrazione statale e impedire ogni fermento di unità nazionale. L’attività culturale piuttosto vivace venne rigidamente controllata dallaL attività culturale, piuttosto vivace, venne rigidamente controllata dalla censura austriaca per i suoi aspetti liberali e patriottici (“Il Conciliatore”, 1818, rivista di Silvio Pellico e Giovanni Berchet).

Restaurazione erivoluzioni

Prof. Monti – a.s. 2016-2017

rivoluzioni

L’L’ORDINE SOCIALE

La Restaurazione certo non interruppe la crescita della borghesia,l ll tò l t tò f d ll’ i t i ( hma la rallentò e la contrastò a favore dell’aristocrazia (che,

tendenzialmente, dominavano nella burocrazia e nelle forze armate).

I diritti feudali non furono ufficialmente ristabiliti ma in molte zoneI diritti feudali non furono ufficialmente ristabiliti, ma in molte zone (Russia caso limite) i contadini restarono vincolati ai loro antichi signori (soprattutto in Europa dell’Est).

Nei paesi più direttamente toccati dalla dominazione napoleonica, la rivoluzione antifeudale era più radicata e la borghesia si era avvantaggiata anche nell’ambito delle proprietà terriere. Ciò non accadde, invece, per piccoli proprietari e contadini senza terra.

Restaurazione erivoluzioni: anni ‘20

Prof. Monti – a.s. 2016-2017

rivoluzioni: anni ‘20

L’ORDINE MINACCIATOL ORDINE MINACCIATO

Già negli anni ’20 dell’800, numerosi moti insurrezionali minarono la restaurazionerestaurazione. Fu una sorta di “reazione a catena” alimentata da malessere economico, ma anche da fitti contatti fra centri rivoluzionari.

Numerose organizzazioni clandestine – tali perché il dissenso politico era vietato o fortemente scoraggiato – si diffusero rapidamente sia fra i difensori dei principi democratici che fra i legittimisti più reazionari.

Restaurazione erivoluzioni: anni ‘20

Prof. Monti – a.s. 2016-2017

rivoluzioni: anni ‘20

L’ORDINE MINACCIATO

Traendo spunto dalla più antica Massoneria, la Carboneria (diffusasiTraendo spunto dalla più antica Massoneria, la Carboneria (diffusasi In Italia e Spagna) si ispirava a ideali di costituzionalismo e liberalismo moderato.

Altre società segrete – come i comuneros in Spagna e gli Adelfi e Filadelfi in Italia settentrionale – avevano carattere più spiccatamente d tidemocratico.

Restaurazione erivoluzioni: anni ‘20

Prof. Monti – a.s. 2016-2017

rivoluzioni: anni ‘20

L’ORDINE MINACCIATO

Sia i confini tra una “sétta” e l’altra che i programmi delle stesse avevano contorni piuttosto incerti.

Queste sétte avevano, inoltre, una base di riferimento ristretta: pochi artigiani e popolani, qualche membro dell’aristocrazia liberale, a t g a e popo a , qua c e e b o de a stoc a a be a e,qualche borghese e parecchi intellettuali, studenti e militari.

I militari – per lo più formatisi nel periodo napoleonico – erano i piùI militari per lo più formatisi nel periodo napoleonico erano i più intraprendenti: furono loro a dare inizio ai moti degli anni 1820 e 1821.

Restaurazione erivoluzioni: anni ‘20

Prof. Monti – a.s. 2016-2017

rivoluzioni: anni ‘20

L’ONDATA RIVOLUZIONARIA DEL 1820-1821

Tutto iniziò in Spagna, dove alcuni reparti armati in partenza da Cadice (la loro missione era quella di sedare alcune ribellioni esplose

ll l i d ll’A i L ti ) i ti il i inelle colonie dell’America Latina) si ammutinarono il primo gennaio del 1820 contro Ferdinando VII.

La rivolta si estese velocemente fra i reparti e il re fu costretto a ripristinare la Costituzione del 1812 e a indire elezioni per le Cortes.

Lo schieramento costituzionale, però, godeva di scarsa simpatia da parte delle masse contadine, guidate dalla Chiesa, e si trovò di fattoisolatoisolato.

Restaurazione erivoluzioni: anni ‘20

Prof. Monti – a.s. 2016-2017

rivoluzioni: anni ‘20

L’ONDATA RIVOLUZIONARIA DEL 1820-1821

Nell’estate del 1820 i moti si allargarono al Regno delle Due Sicilie e al Portogallo.

Nel marzo del 1821 una rivolta scoppiò anche nel Piemonte sabaudo. pp

Restaurazione erivoluzioni: anni ‘20

Prof. Monti – a.s. 2016-2017

rivoluzioni: anni ‘20

LA REPRESSIONE

La Santa alleanza preoccupata dagli avvenimenti deciseLa Santa alleanza, preoccupata dagli avvenimenti, decise di intervenire.

L’A t i tò il i i t F di d I N li iL’Austria portò il proprio aiuto a Ferdinando I a Napoli e ai Savoia in Piemonte.

La Francia, invece, intervenne militarmente in Spagna, dove l’ordine venne restaurato nel 1823. Anche in Portogallo il moto rientrò.

Le forze liberali avevano dato prova di scarsa unità e, soprattutto, di scarsa capacità di sollevare le masse popolari.

Restaurazione erivoluzioni: anni ‘20

Prof. Monti – a.s. 2016-2017

rivoluzioni: anni ‘20

L’ECCEZIONE GRECA: CRISI OTTOMANA E “QUESTIONE D’ORIENTE”

Si trattò dell’unico moto nato negli anni ‘20 a concludersi con un successo.

Anche la rivolta contro l’Impero ottomano nacque dall’iniziativa delle p qsocietà segrete, ma ben presto assunse il carattere di guerra di popolo.

Anche la situazione internazionale favorì il successo di questo movimento.

Restaurazione erivoluzioni: anni ‘20

Prof. Monti – a.s. 2016-2017

L’ECCEZIONE GRECA: CRISI OTTOMANA E “QUESTIONE D’ORIENTE”

rivoluzioni: anni ‘20

L ECCEZIONE GRECA: CRISI OTTOMANA E QUESTIONE D ORIENTE

L’Impero ottomano in crisi faticava sempre di più nel tentativo di t ll l i b l i i i di i licontrollare la regione balcanica e i suoi diversi popoli.

Inoltre, relativamente alla situazione della Grecia, in Europa si formò ben presto una forte corrente di opinione pubblica solidale per ragioni religiose e culturali. Moltissimi volontari si unirono ai greci.

Le potenze europee, dopo un intervento militare, imposero ai turchi la pace di Adrianopoli (1829) che sancì l’indipendenza greca.pace di Adrianopoli (1829) che sancì l indipendenza greca.

Nel caso dell’Impero ottomano lo status quo poteva anche essere disatteso: in fondo si trattava di uno Stato considerato almeno indisatteso: in fondo si trattava di uno Stato considerato, almeno in parte, estraneo al “concerto europeo”.

Restaurazione erivoluzioni: anni ‘30

Prof. Monti – a.s. 2016-2017

rivoluzioni: anni ‘30

UNA SECONDA ONDATA: 1830-1831

Simili gli ideali e anche le forze promotrici si trattò di moti meno estesiSimili gli ideali e anche le forze promotrici, si trattò di moti meno estesi e violenti che però ebbero conseguenze più profonde.

F l f t l F i i i ll i t d llFulcro fu nuovamente la Francia, ove si giunse alla cacciata della Dinastia dei Borbone dal trono.

Nel 1824 Carlo X, dopo essere succeduto sul trono di Luigi XVIII, cercò di imporre un progetto di restaurazione integrale.Nel luglio del 1830 scoppiò la rivolta nella città di Parigi. g pp g

Vediamo qualche dettaglio relativo a questi avvenimenti...

Restaurazione erivoluzioni: anni ‘30

Prof. Monti – a.s. 2016-2017

rivoluzioni: anni ‘30

LA CACCIATA DI CARLO X

Quando l’opposizione alla politica sovrana ebbe ottenuta la maggioranza alla camera dei deputati nel 1827, il re temporeggiò, ma gg p p ggnel 1830 indisse nuove elezioni e inviò un corpo di spedizione in Algeria, allo scopo di distrarre l’opinione pubblica.

Davanti a un esito elettorale ancor più negativo, il Carlo X agì con durezza: annullò la libertà di stampa, sciolse di nuovo la camera dei deputati modificò la legge elettorale e convocò per la seconda voltadeputati, modificò la legge elettorale e convocò, per la seconda volta, nuove elezioni.

Restaurazione erivoluzioni: anni ‘30

Prof. Monti – a.s. 2016-2017

rivoluzioni: anni ‘30

LA CACCIATA DI CARLO X

Il popolo di Parigi, appena apprese queste notizie, scese in piazza e, dopo tre giorni di scontri sulle barricate (27-29 luglio 1830, le tre “gloriose giornate”), Carlo X abbandonò la capitale.

Le Camere, riunite in assemblea comune, dichiararono deposto , , pCarlo X e nominarono suo cugino Luigi Filippo d’Orleans(riferimento dell’aristocrazia illuminata) “luogotenente del regno”.

Restaurazione erivoluzioni: anni ‘30

Prof. Monti – a.s. 2016-2017

rivoluzioni: anni ‘30

DA CARLO X A LUIGI FILIPPO

La scelta del nuovo sovrano era orientata non solo alla cacciata deiLa scelta del nuovo sovrano era orientata non solo alla cacciata dei reazionari Borbone, ma anche a bloccare un eventuale radicalizzazione della protesta e uno sbocco rivoluzionario, cosa da molti temutamolti temuta.

Il 9 agosto 1830, Luigi Filippo d’Orleans venne dichiarato dal P l “R d i f i l tà d ll i ”Parlamento “Re dei francesi per volontà della nazione”.

Il tricolore rivoluzionario tornò ad essere la bandiera nazionale, mentre fu varata un nuova Costituzione, un poco più liberale rispetto a quella del 1814.

Restaurazione erivoluzioni: anni ‘30

Prof. Monti – a.s. 2016-2017

rivoluzioni: anni ‘30

BELGIO, ITALIA E POLONIA

Il successo del luglio parigino stimolò nuove iniziativeIl successo del luglio parigino stimolò nuove iniziative.

In agosto insorse il Belgio (che era stato annesso, come abbiamo visto al Regno dei Paesi Bassi)visto, al Regno dei Paesi Bassi). Nonostante le richieste d’aiuto che l’Olanda rivolse alle potenze garanti dell’equilibrio, l’opposizione all’intervento della Gran Bretagna

d ll F i tò ll’i di d d l B l ie della Francia portò all’indipendenza del Belgio.

Analoghi moti scoppiati in Italia settentrionale e in Polonia ebbero, invece, esiti ben diversi: l’intervento militare di Austria e Russia non trovò alcuna opposizione, in questo caso, da parte di inglesi e francesi.

Restaurazione erivoluzioni: verso il ‘48

Prof. Monti – a.s. 2016-2017

rivoluzioni: verso il ‘48

’LA FRANCIA DI LUIGI FILIPPO D’ORLEANS

Seppure nato da una rivoluzione popolare, il regno di Luigi Filippo si identificò con i valori e gli interessi dell’alta borghesia degli affari eidentificò con i valori e gli interessi dell alta borghesia degli affari e dell’aristocrazia liberale ed ebbe, per questa ragione, solo una ristrettissima base di sostegno.

I gruppi democratico-repubblicani, poi, costituirono una seria minaccia alla stabilità del nuovo regime orleanista.La continua minaccia rivoluzionaria condusse a una svolta conservatrice da parte di Luigi Filippo, che limitò il diritto di stampa e di associazione (soprattutto a partire dal 1840).( p p )

La ricerca dell’ordine e della stabilità rafforzò ulteriormente il carattere oligarchico del regime, allargando la distanza dalla società civile.oligarchico del regime, allargando la distanza dalla società civile.

Restaurazione erivoluzioni: verso il ‘48

Prof. Monti – a.s. 2016-2017

rivoluzioni: verso il ‘48

LA MONARCHIA ING ESE TRADE UNIONSLA MONARCHIA INGLESE: TRADE UNIONS

Fra gli anni ‘20 e gli anni ‘40, il sistema liberale inglese si consolidò e si adatto alla nuova realtà creata dalla Rivoluzione industrialesi adatto alla nuova realtà creata dalla Rivoluzione industriale.

La politica internazionale inglese fu sempre più intesa a smarcarsirispetto ai vincoli dell’equilibrio decisi dal Congresso di Viennarispetto ai vincoli dell equilibrio decisi dal Congresso di Vienna.

Sul fronte interno, una riforma del 1824 concesse ai lavoratori il diritto di i i i i i i i l f T d U idi riunirsi in associazioni: le famose Trade Unions.

Una legge del 1832 allargò il diritto di voto (che comunque rimase elitario) e ridisegnò le circoscrizioni elettorali.

Negli anni ‘30 vi furono anche alcune riforme intese a migliorare le g gcondizioni di lavoro e di vita degli operai.

Restaurazione erivoluzioni: verso il ‘48

Prof. Monti – a.s. 2016-2017

rivoluzioni: verso il ‘48

LA MONARCHIA INGLESE: LA “PEOPLE’S CHARTER”LA MONARCHIA INGLESE: LA PEOPLE S CHARTER

Questo però non bastò a far tacere l’opposizione democratica, costituita dalle Trade Unions e dagli intellettuali più radicali.g p

Nel 1838 fu elaborato un documento in sei punti – la “Carta del popolo” – che chiedeva: suffragio universale maschile segretezzapopolo che chiedeva: suffragio universale maschile, segretezza del voto, nuova riforma delle circoscrizioni, uno stipendio per gli eletti.

Protagonista di un decennio di lotte il movimento cartista finì conProtagonista di un decennio di lotte, il movimento cartista finì con l’esaurirsi senza aver ottenuto i risultati sperati.Le Trade Unions, in particolare, si discostarono progressivamente d ll l tt liti t i l i di i i l i lidalla lotta politica per concentrarsi solo su rivendicazioni salariali.

Un’altra battaglia, vinta nel 1846 anche a causa della carestia irlandese, fu quella per l’abolizione del dazio sul grano.

Restaurazione erivoluzioni: verso il ‘48

Prof. Monti – a.s. 2016-2017

rivoluzioni: verso il 48

AUSTRIA, RUSSIA, PRUSSIA

Le tre principali monarchie autoritarie, di contro al dinamismo p ppolitico e sociale inglese e francese, restarono sostanzialmente chiuse nel loro immobilismo.

Il perdurante potere delle aristocrazie e il rifiuto di ogni istituto rappresentativo – ricordiamo che in Russia, ma anche nella Prussia orientale e in molte zone dell’Impero asburgico resisteva la servitùorientale e in molte zone dell Impero asburgico resisteva la servitù della gleba – bloccavano ogni innovazione.

Restaurazione erivoluzioni: verso il ‘48

Prof. Monti – a.s. 2016-2017

rivoluzioni: verso il 48

A R PAUSTRIA, RUSSIA, PRUSSIA

Se la Russia era tormentata da continue rivolte contadine, l’Impero asburgico cominciò a subire le prime spinte autonomistiche da parte delle varie etnie che lo componevano (croati, sloveni, cechi, polacchi, italiani, ungheresi). , g )

Il nazionalismo fu, al contrario, motivo di coesione per la Prussia e la Confederazione germanica dove si attuò una unione doganaleConfederazione germanica, dove si attuò una unione doganale(Zollverein) fra tutti gli Stati componenti la Federazione. Si trattò di una tappa sulla strada dell’unificazione politica, ma anche di un importante volano di sviluppo economicodi un importante volano di sviluppo economico.

La primavera dei popoli e “l’anno dei portenti”: il 1848

Prof. Monti – a.s. 2016-2017

l anno dei portenti : il 1848

LLE PRINCIPALI CAUSE

La crisi rivoluzionaria del 1848 ebbe vastissima portata, tanto per la grande estensione geografica quanto per la sua rapidità. Già i contemporanei, non a caso, parlarono di “anno dei portenti”.

La crisi economica del anni ’46 – ’47 (colpite agricoltura, industria e Commercio; vi furono gravi carestie e disoccupazione)Commercio; vi furono gravi carestie e disoccupazione).

L’azione degli intellettuali democratici (con le loro richieste di libertà politica e maggiore democrazia, intrecciate con istanze di emancipazione nazionale).

La primavera dei popoli e “l’anno dei portenti”: il 1848

Prof. Monti – a.s. 2016-2017

l anno dei portenti : il 1848

UUN NUOVO PROTAGONISTA

I moti si svilupparono a partire da manifestazioni urbane nelle capitali, presto degenerate in scontri armati.

Simbolicamente, possiamo assumere il 1848 come l’anno in cui un , pnuovo protagonista entra nella Storia: le masse popolari.

A Berlino Vienna Parigi e Milano furono artigiani e operai a svolgereA Berlino, Vienna, Parigi e Milano furono artigiani e operai a svolgere la parte del leone, talvolta anche contro l’indirizzo delle forze borghesi, più moderate.

Poco prima dello scoppio dei moti, aveva visto la luce il celebre Manifesto del partito comunista di Marx ed Engels.p g

La primavera dei popoli e “l’anno dei portenti”: il 1848

Prof. Monti – a.s. 2016-2017

l anno dei portenti : il 1848

LA RIVOLUZIONE IN FRANCIA: GLI INIZILA RIVOLUZIONE IN FRANCIA: GLI INIZI

Come già nel 1830, tutto ebbe inizio in Francia.

Se è vero che in Europa la monarchia di Luigi Filippo poteva essere considerata una delle meno oppressive, le richieste di carattere democratico avevano una radicalità alla quale il moderatismodemocratico avevano una radicalità alla quale il moderatismo sovrano non poteva rispondere.

La richiesta democratica più pressante riguardava il suffragioLa richiesta democratica più pressante riguardava il suffragio universale maschile, idea che venne ampiamente “pubblicizzata”, ma che non incontrava il favore da parte del sovrano e del governo.

Luigi Filippo, dal suo punto di vista, non pensava di negare un diritto, ma riteneva che solo le persone più “responsabili” (ovvero

ll i i di i h i di di i t li ff iquelle con un minimo di ricchezza e, quindi, di interesse negli affari del Paese) dovessero avere il diritto di votare.

La primavera dei popoli e “l’anno dei portenti”: il 1848

Prof. Monti – a.s. 2016-2017

l anno dei portenti : il 1848

LA RIVOLUZIONE IN FRANCIA: GLI INIZI

Alla fine del febbraio 1848, venne proibita una grande manifestazioneAlla fine del febbraio 1848, venne proibita una grande manifestazione di protesta contro il governo.Compito della Guardia nazionale, espressione della borghesia cittadina era quello di impedirla ma l’impopolarità del governo fece sìcittadina, era quello di impedirla ma l impopolarità del governo fece sì che i membri della guardia passassero dalla parte dei manifestanti.

A questo punto intervenne l’esercito e, dopo due giorni di scontri e 350 morti, il sovrano lasciò Parigi (24 febbraio 1848).La sera dello stesso giorno presso il Municipio venne costituito unLa sera dello stesso giorno, presso il Municipio, venne costituito un governo provvisorio che si pronunciò a favore della Repubblica (la Seconda Repubblica!) e della convocazione di una Assemblea costituente da eleggersi a suffragio universalecostituente da eleggersi a suffragio universale.

La primavera dei popoli e “l’anno dei portenti”: il 1848

Prof. Monti – a.s. 2016-2017

l anno dei portenti : il 1848

LA RIVOLUZIONE IN FRANCIA: PRIMI INTERVENTI GOVERNATIVI

Da rimarcare un fatto notevole: nel governo provvisorio oltre aiDa rimarcare un fatto notevole: nel governo provvisorio, oltre aidemocratici, erano presenti persino due socialisti (Louis Blanc e Alexandre Martin): si trattava di una assoluta novità.

In pochi giorni, questo governo prese due decisioni di stampo hi t d ti ( i di “di i i t ”)chiaramente democratico (oggi diremmo “di sinistra”):

La giornata lavorativa in fabbrica non può durare più di 11 ore.

Viene stabilito il principio del diritto al lavoro (opifici nazionali, nati per aiutare i disoccupati) Questo intervento non era perònati per aiutare i disoccupati). Questo intervento non era però condiviso dai più “moderati”.

La primavera dei popoli e “l’anno dei portenti”: il 1848

Prof. Monti – a.s. 2016-2017

l anno dei portenti : il 1848

LA RIVOLUZIONE IN FRANCIA: CAMBIO DI ROTTALA RIVOLUZIONE IN FRANCIA: CAMBIO DI ROTTA

In aprile si tennero le elezioni per l’Assemblea costituente e, in t i l t iù di l d ll i l i bìquesta occasione, la corrente più radicale della rivoluzione subì una

dura sconfitta.

A imporsi furono, infatti, i repubblicani più moderati, che subito esclusero i socialisti dal governo e stabilirono la chiusura degli opifici nazionali.

A Parigi vennero immediatamente ricostruite le barricate, ma il ministro della Guerra Cavaignac, su ordine dell’Assemblea costituente, operò una durissima repressione di questo moto popolare.

Nel segno della paura del comunismo migliaia di insorti trovarono laNel segno della paura del comunismo, migliaia di insorti trovarono la morte.

La primavera dei popoli e “l’anno dei portenti”: il 1848

Prof. Monti – a.s. 2016-2017

l anno dei portenti : il 1848

LA RIVOLUZIONE IN FRANCIA: LA NUOVA COSTITUZIONE

In novembre fu approvata la nuova Costituzione:

Un Presidente eletto dal popolo, restante in carica per 4 anni e responsabile del governo del Paese.

Una Assemblea legislativa monocamerale, anch’essa eletta a suffragio universale maschileeletta a suffragio universale maschile.

La primavera dei popoli e “l’anno dei portenti”: il 1848

Prof. Monti – a.s. 2016-2017

l anno dei portenti : il 1848

LA RIVOLUZIONE IN FRANCIA: UNA SORPRESA

Si trattava, ora, di tenere le elezioni per il Presidente della Repubblica... Elezione che si tenne in dicembre.p

Il 10 dicembre, i repubblicani si presentarono alle urne divisi fra chi aveva orientamenti più radicali e i moderati.p

Tutti i conservatori, invece, trovano un accordo, coalizzandosi su un nome davvero importante: Luigi Napoleone Bonaparte.p g p pNipote del celebre imperatore, il quarantenne Luigi rassicurava la destra conservatrice e la Chiesa. La fama del suo nome, inoltre, faceva presa su ampi strati popolari.faceva presa su ampi strati popolari.

Con la sua elezione, la spinta democratica in Francia poteva considerarsi esaurita. Il nipote dell’uomo che aveva dominatopL’Europa non intendeva certo rimanere solo un presidente pro tempore!

La primavera dei popoli e “l’anno dei portenti”: il 1848

Prof. Monti – a.s. 2016-2017

l anno dei portenti : il 1848

LA RIVOLTA A VIENNA

Gli echi dei fatti parigini fecero esplodere la situazione, già diffi il h ll’i t d ll’I b i Q i d t l f tdifficile, anche all’interno dell’Impero asburgico. Qui, data la forzata convivenza di più etnie, a trovarsi in primo piano è la “questione nazionale” più che la “questione sociale”...

Il 13 marzo 1848 una manifestazione duramente repressa dall’esercito fu la scintilla che, dopo due giorni di combattimenti, portòdall esercito fu la scintilla che, dopo due giorni di combattimenti, portò alla fuga del cancelliere Metternich.

Nei giorni seguenti, la situazione precipitò sia in altre località dell’Impero asburgico che nella Confederazione germanica: Budapest, Venezia, Milano, Berlino, Praga.p g

La primavera dei popoli e “l’anno dei portenti”: il 1848

Prof. Monti – a.s. 2016-2017

l anno dei portenti : il 1848

L VLA RIVOLTA A VIENNA

In maggio, l’imperatore Ferdinando I è a suo volta costretto ad abbandonare Vienna e a concedere l’elezione di un Parlamento –Reichstag – in base a votazione con suffragio universale.

In Ungheria, i patrioti approfittarono della situazione di debolezza del potere centrale per formare un governo nazionale del tuttopotere centrale per formare un governo nazionale del tuttoindipendente da Vienna.

Anche a Praga si formò un governo provvisorio: più cheAnche a Praga si formò un governo provvisorio: più che la piena indipendenza da Vienna, però, i Cechi chiedevano maggiore autonomia.

La primavera dei popoli e “l’anno dei portenti”: il 1848

Prof. Monti – a.s. 2016-2017

l anno dei portenti : il 1848

LA REAZIONE DEGLI ASBURGOLA REAZIONE DEGLI ASBURGO

Il governo imperiale riesce a reagire, anche perché l’esercito era rimasto fedele agli Asburgorimasto fedele agli Asburgo.

Durante il mese di luglio, il Reichstag appena riunito manifestava una evidente incapacità di azione: le varie nazionalità in essoevidente incapacità di azione: le varie nazionalità in esso rappresentate, infatti, non riuscivano ad accordarsi su una linea d’azione (salvo su un unico punto: l’abolizione della servitù della l b )

Il governo provvisorio di Praga viene sciolto con la forza e, già durante il mese di agosto l’imperatore Ferdinando I riuscì a rientrare

gleba).

durante il mese di agosto, l imperatore Ferdinando I riuscì a rientrarea Vienna.

Alla fine del 1848 Ferdinando I decise inoltre di abdicare in favoreAlla fine del 1848, Ferdinando I decise inoltre di abdicare in favore del giovane nipote, il diciottenne Francesco Giuseppe.

La primavera dei popoli e “l’anno dei portenti”: il 1848

Prof. Monti – a.s. 2016-2017

l anno dei portenti : il 1848

LA REAZIONE DEGLI ASBURGOLA REAZIONE DEGLI ASBURGO

Nel marzo 1849, Francesco Giuseppe sciolse il Parlamento, maconcesse una Costituzione. Essa prevedeva un Parlamento eletto con suffragio limitato e con poteri minimi.

LA SITUAZIONE IN GERMANIA

A B li F d i G li l IV i t tt l d lA Berlino, re Federico Guglielmo IV viene costretto nel marzo del 1848 a convocare un Parlamento prussiano.

Dalle molte rivolte scoppiate in vari Stati tedeschi, giunse a Berlino la richiesta di un Assemblea costituente in cui tutti gli Stati fossero rappresentati, compresa l’Austria.pp p

La primavera dei popoli e “l’anno dei portenti”: il 1848

Prof. Monti – a.s. 2016-2017

l anno dei portenti : il 1848

LA SITUAZIONE IN GERMANIALA SITUAZIONE IN GERMANIA

L’Assemblea effettivamente si riunì ma, nonostante il grande entusiasmo da cui venne circondata fu subito chiaro che essaentusiasmo da cui venne circondata, fu subito chiaro che essa non sarebbe stata in grado di imporre le proprie decisioni ai vari Stati.

L’avviamento dell’unificazione nazionale non poteva che passare dalle sorti del più importante stato tedesco, la Prussia.

La primavera dei popoli e “l’anno dei portenti”: il 1848

Prof. Monti – a.s. 2016-2017

l anno dei portenti : il 1848

LA SITUAZIONE IN GERMANIA

G (Proprio in Prussia, Federico Guglielmo IV decideva (dicembre 1848) di sciogliere il Parlamento e di concedere una poco liberale Costituzione.

L’Assemblea costituente, nel frattempo, si era impantanata nella contrapposizione fra “grandi tedeschi” (Germania imperiale unitacontrapposizione fra grandi tedeschi (Germania imperiale unita intorno all’Austria) e “piccoli tedeschi” (favorevoli a un regno più compatto, capeggiato dalla sola Prussia).All fi l l d t i i t f tt lAlla fine prevalse la seconda tesi, ma intervenne un fatto clamoroso. Quando, nell’aprile 1849,una delegazione offrì la corona imperiale a Federico Gugliemo IV egli rifiutò.L’Assemblea costituente si sciolse di lì a poco, in giugno.

Prof. Monti – a.s. 2016-2017

Francia: il Secondo impero

LA RIVOLUZIONE SI SPEGNE

L’ondata rivoluzionaria si andava ormai spegnendo ovunque, anche in Italia, come vedremo, con la completa sconfitta della causa democratica.

Perché questo accadde?

Le forze rivoluzionarie si erano sempre più divise, risultando così perdenti: i liberali moderati, spaventati dalle riforme sociali proposte dai democratici si distaccarono da questi ultimisociali proposte dai democratici, si distaccarono da questi ultimi i quali, ancora privi di una forte base popolare, vennero ovunque sconfitti.

Francia: il Secondo imperoProf. Monti – a.s. 2016-2017

IL CROLLO DELLA SECONDA REPUBBLICAIL CROLLO DELLA SECONDA REPUBBLICA

1849 - le elezioni per l’Assemblea legislativa portarono a una i l i l t imaggioranza clericale e conservatrice.

1850 - nuova legge sull’istruzione (che riapre le porte delle gg ( p pscuole al clero) e nuova legge elettorale (che torna a restringere il diritto di voto).

Luglio 1851 - Luigi Napoleone, come già accennato, aveva progetti non esattamente democratici. I l li l C i l t di li i d llIn luglio, la Camera respinse la sua proposta di eliminare dalla Costituzione la clausola che gli impediva di accedere a un secondo mandato come presidente.

Francia: il Secondo imperoProf. Monti – a.s. 2016-2017

IL CROLLO DELLA SECONDA REPUBBLICA

Dicembre 1851 – Con un colpo di stato appoggiato dai militari, Luigi Napoleone sciolse la Camera.

IL CROLLO DELLA SECONDA REPUBBLICA

Un successivo plebiscito legalizzò il suo operato e gli consentì di procedere alla stesura di una nuova Costituzione, promulgata nel gennaio 1852:

Il governo è retto da un presidente con mandato decennale.

Camera a suffragio universale ma senza potere legislativo Camera a suffragio universale, ma senza potere legislativo(che passa al presidente!).

Senato di nomina presidenziale. Senato di nomina presidenziale.

Francia: il Secondo imperoProf. Monti – a.s. 2016-2017

I S R

Dicembre 1852 – La Repubblica, ormai svuotata di ogni t t d ti h d j

IL CROLLO DELLA SECONDA REPUBBLICA

contenuto democratico, scompare anche de jure: un nuovo plebiscito approvò infatti la restaurazione dell’impero.

Luigi Napoleone divenne imperatore con il nome di Napoleone III ed ebbe il diritto di trasmettere il titolo agli eredi...

Capitolo 22 - Imperialismo e colonialismo (breve riassunto)

1 - La febbre coloniale Sin dalle scoperte geografiche del ‘400 e ‘500, ma l'apice si ha negli ultimi decenni dell'800 con dimensioni e obiettivi nuovi.

- Governi e non più privati; un ben più sistematico assoggettamento e sfruttamento economico: è il cosiddetto Imperialismo (colonie e protettorati). - Inghilterra; poi Francia; infine anche Germania (dopo Bismarck), Italia, USA, Giappone. - Interessi economici: materie prime e sbocchi commerciali, occasioni per investire capitali (economia globale). Aspetti importanti, ma da non sopravvalutare: GB solo il 3% degli investimenti all'estero verso le nuove colonie. - Ragioni politiche e ideologiche:ideologia razzista: "Nazione dominatrice, destinata dalle sue virtù a spargersi per il mondo" (Disraeli, premier conservatore); "il fardello dell'uomo bianco" (Rudyard Kipling) sostenuta anche da teorie scientifiche o pseudo scientifiche. Missionari ed esploratori (fascino dell'esotico, resoconti avventurosi). Prevenire e controbattere le iniziative delle potenze concorrenti: politica di potenza.

2 - La spartizione dell'Africa Esempio più spettacolare. - 1870 siamo a 1/10, 1910 siamo a 9/10. Primi atti che innescano la gara: Tunisia (Francia, 1881) ed Egitto (GB, 1882; canale di Suez del 1869) a seguito dei programmi di modernizzazione di questi paesi degli anni '70 (debiti, e per tutelarsi...). - Fra GB e Francia rivalità che durerà un ventennio, cosa che contribuisce alla corsa all'Africa nera. Nel Congo Leopoldo II del Belgio crea un dominio personale con scuse umanitarie, dopo la scoperta delle miniere del Katanga vuole sbocco sull'Atlantico, ma contrasto con il Portogallo che pretendeva la foce del Congo. - Questo porta a nuova conferenza internazionale, nel 1884-1885 (come nel '78 a Berlino), convocata sempre da Bismarck: sanzione di fatto alla spartizione dell'Africa: effettiva occupazione da notificare agli altri Stati come titolo di legittimità. Riconosce il Congo belga di Leopoldo II; alla Francia altra zona del Congo. Alla Germania protettorato su Togo e Camerun. Inghilterra ebbe controllo dell'attuale Nigeria. - GB si concentra sull'Africa sud-orientale, importante per il controllo dell'Oceano indiano. Fra 1885 e 1895, gli inglesi dalla colonia del Capo risalgono il continente: prova saldare i possedimenti a sud con quelli dell'Egitto. Contrasto con la Germania (lago Tanganica, lago

Vittoria), accordo del 1890 che riconosce l'Africa orientale tedesca e rinuncia GB, compensata con isola di Zanzibar. - Incidente di Fashoda sul Nilo nel 1898: truppe inglesi impegnate nell'occupazione del Sudan si scontrano con contingente francese. Si rischia la guerra. La Francia si ritira e da qui in avanti i rapporti si distendono. - A inizio '900 restano solo la Libia, l'impero Etiopico, Marocco e le repubbliche Boere in Sud Africa.

3 - Il Sud Africa e la guerra anglo-boera Inedito conflitto coloniale che oppone bianchi cristiani: i coloni del Capo e i Boeri. - Boeri discendono da agricoltori olandesi che avevano colonizzato la zona del Capo di Buona Speranza nel '600, poi caduta sotto il dominio britannico con le guerre napoleoniche. - I Boeri si spostano più a nord e fondano le due repubbliche dell'Orange (1845) e del Transvaal (1852). - Fine anni '60 giacimenti di diamanti nel Transvaal --> interesse GB --> mano libera alla politica aggressiva dei coloni del Capo (in particolare con l'attivismo di Cecil Rhodes, politico e affarista, mette la sua fortuna personale al servizio del disegno di dominio "dal Capo al Cairo"). - Nel 1885-1886 nuovi giacimenti --> aumenta la tensione --> nelle due repubbliche molti immigrati inglesi (discriminati, anche perché antischiavisti). Nel 1899 si scatena la guerra, nel 1902 le due repubbliche sono annesse all'impero britannico. Nel 1910 nasce l'Unione Sudafricana.

4 - La conquista dell'Asia Nuovo impulso della corsa a orienta data dal Canale di Suez (1869, dopo 10 anni di lavori). - India amministrata a lungo dalla Compagnia delle Indie orientali, a metà '800 controlla buona parte del subcontinente. - Popolazione per lo più induista, divisione rigida in caste, agricoltura assai povera, esportazione di tessuti verso GB, ma poi le cose cambiano... - I colonizzatori si appoggiano sulle gerarchie sociali preesistenti, favoriti dalle divisioni interne. Nel 1857 c'è una forte rivolta dei reparti indigeni dell'esercito, repressa --> 1858 si sopprime la Compagnia e subentra la corona, con viceré, esercito e burocrazia ristrutturati, nel 1876 Vittoria "imperatrice delle Indie". - Anni '50: i francesi avanzano nella penisola indocinese: Annam (Vietnam), Siam (Thailandia), Cambogia -->GB per evitare che i francesi giungessero a ridosso dell'India, occupano la

Birmania (1885-1887) e la Francia occupa il Laos. Siam resta una sorta di "Stato cuscinetto" fra i due domini. - Colonizzazione russa della Siberia e dell'Asia centrale. Nel 1860 avvia la costruzione del porto di Vladivostok sul mar del Giappone. Alaska venduta agli USA nel 1879 per 7 milioni di dollari. Nel 1891 si avvia la costruzione della Transiberiana, terminata nel 1904. - In Asia centrale, tra 1876 e 1885 i russi conquistano l'intero Turchestan, pericolosamente vicino all'India --> si fronteggiano a lungo con GB con guerra per procura combattuta da tribù locali (Turchestan, Afganistan e Pakistan) --> nel 1885 accordo per definire le frontiere fra Turchestan e il Regno di Afganistan (regno che resta nella sfera di influenza inglese).

5 - Colonizzatori e colonizzati L'Europa porta in tutto il mondo la propria impronta: occidentalizzazione. Uso sistematico della forza, soprattutto nella arretrata Africa Nera. Effetti positivi: nuove tecniche agricole, infrastrutture, industria e commercio. Il prezzo è però l'impoverimento delle risorse locali, materiali e umane, Paesi che entrano sì nel circuito mondiale, ma in posizione dipendente. Passaggio dalla povertà al sottosviluppo. Impatto culturale: più "rispettosi" degli usi locali i britannici, più impositivi i francesi. Interi sistemi di vita e culture, soprattutto nell'Africa Nera, vengono cancellate. Sul piano politico c'è un effetto non voluto: la nascita di nazionalismi locali, la locale classe dirigente che si forma in scuole europee assorbe gli ideali democratici e i principi del nazionalismo.

Capitolo 23 - Stato e società nell'Italia unita (breve riassunto)

1 - Le condizioni di vita degli italiani - 1861: 22 milioni di abitanti (26 con Veneto e Lazio), scarsissima alfabetizzazione, scarso uso della lingua italiana. - Numerose città, come da tradizione (20% di cittadini), ma poche industrie e lontane dai grossi centri. - Paese ancora per lo più agricolo - 70% della popolazione attiva - ma non favorito dall'ambiente naturale (montagne): agricoltura quindi piuttosto povera, salvo alcune eccezioni (Pianura Padana, zone risicole del Piemonte con manodopera salariata). Mezzadria in tutto il centro (poderi di piccole e medie dimensioni): non favoriva le innovazioni, ma garantiva una certa stabilità sociale. Latifondismo nel Mezzogiorno e nelle isole, salvo in montagna, con grandi distese per lo più a grano. - Al momento dell'Unità, lo scambio e l'autoconsumo erano caratteri diffusi in tutto il Paese. Livello di vita rurale davvero bassissimo. - Insomma: la realtà italiana era poco nota all'opinione pubblica urbana e borghese, soprattutto nelle sue esatte dimensioni, anche a causa della mancanza di un sistema di comunicazione rapido ed efficiente (strade, ecc.). Gli uomini politici del Nord non sapevano, lo stesso Cavour non era mai stato a sud di Firenze. "Che barbarie! Altro che Italia! Questa è Africa: i beduini, a riscontro di questi cafoni, sono fior di virtù civili" scrisse a Cavour nell'autunno 1860 Farini, inviato del governo Sabaudo al Sud. Dopo l'Unità, veniva il difficile...

2 - La classe dirigente: destra e sinistra - 6 giugno 1861 muore Cavour, a soli 50 anni. I moderati, che perdono così il loro leader naturale, si attengono però alle linee della sua politica: rispetto della costituzione, accentramento, liberismo economico, laicità dello Stato, progresso guidato da una èlite illuminata. - Destra storica, gruppo dirigente del primo quindicennio di unità (1861-1876). Piemontesi (Alfonso La Marmora, Quintino Sella), lombardi, emiliani (Marco Minghetti) e toscani, pochi i meridionali. Destra, poi chiamata "destra storica", fu in effetti più un centro moderato (la vera destra, per lo più clericali e reazionari, non riconosceva la legittimità del nuovo Stato e si era così autoesclusa dal governo del Paese). - Qualcosa di simili anche per la Sinistra: mazziniani stretti e repubblicani intransigenti non partecipano, quindi all'opposizione parlamentare si trovavano esponenti della vecchia sinistra

piemontese (Agostino Depretis), patrioti mazziniani o garibaldini (Francesco Crispi) che avevano accettato di inserirsi nelle strutture monarchiche, pur volendole modificare. - La Sinistra aveva una base sociale più ampia e composita - piccoli e medi borghesi, intellettuali, commercianti, ma anche operai e artigiani del nord esclusi dal voto. Nei primi anni, la Sinistra si oppone frontalmente alla Destra di governo: chiede infatti il suffragio universale, decentramento amministrativo, completamento dell'Unità. Col passare degli anni, però, i confini fra i due campi si fecero più labili. - Destra e Sinistra, in Parlamento, erano entrambe espressione di una ristretta minoranza, un "paese legale" poco rappresentativo del "paese reale". Per votare: 25 anni, leggere e scrivere, 40 lire di tasse annue (prime elezioni con meno del 2% del totale; l'astensionismo era poi assai elevato...). - Nel primo ventennio, quindi, poche centinaia o, addirittura, poche decine di voti bastavano a leggere un deputato (collegi uninominali: tanti collegi quanti rappresentanti da eleggere), risultava così una politica oligarchica, personalistica. - Non partiti organizzati, ma lotta basata più su singole persone e i loro appoggi che su programmi. Pesanti le ingerenze da parte del governo (candidati governativi). Questo accentuò l'isolamento della classe dirigente, pur convinta di rappresentare la parte migliore del Paese. 3 - Lo Stato accentrato, mezzogiorno, brigantaggio - Preoccupazione ossessiva: salvaguardare l'unità contro nemici veri o presunti: i leader della Destra riconoscevano in teoria la validità di un sistema di governo decentrato (sul modello britannico), ma nel concreto prevalevano le necessità immediate: la fragile unità richiedeva uno Stato accentrato, con rigida gerarchia di funzionari dipendenti dal centro. - Fra il '59 e il '60: legge Casati (elementari obbligatorie al primo biennio, ma l'attuazione spetta ai comuni che non hanno fondi...), legge Rattazzi (ordinamento comunale e provinciale: governo dei comuni a suffragio ristretto e sindaco di nomina regia, province controllate dai prefetti rappresentanti dell'esecutivo). - La situazione del Mezzogiorno sconsigliava il decentramento: il malessere antico delle masse contadine era, semmai, peggiorato con l'Unità (fiscalità pesante, leva obbligatoria). Rivolte sempre più estese sovvenzionate dal clero e dalla corte borbonica in esilio a Roma. Fin dall'estate del 1861 il fenomeno del brigantaggio, bande che assalivano i piccoli centri, uccidevano i notabili liberali: una vera e propria guerra civile fra '61 e '65. La reazione è spietata: dal '63 regime di guerra nelle province dichiarate in "stato di brigantaggio", tribunali militari e fucilazione immediata per chi si oppone in armi, già nel '65 il grande brigantaggio era ormai sconfitto. I nodi politici e sociali che avevano reso possibile il fenomeno restarono però irrisolti: la Destra non ebbe la forza di eliminare la causa principale, il mancato possesso della terra da parte dei contadini. La divisione dei terreni demaniali e la vendita di quelli ecclesiastici venne portata avanti con scarsa incisività. La "questione meridionale" fu, sin da subito, una realtà.

4 - L'unificazione economica - Oltre a quella amministrativa e legislativa, anche l'unificazione economica era assai problematica e importante. Barriere doganali, sistemi monetari e fiscali diversi, rete di strade e ferrovie indispensabile. Ci si muove sulla strada percorsa da Cavour in Piemonte: si estende la legislazione doganale del regno di Sardegna, rapido sviluppo delle vie di comunicazione, soprattutto le ferrovie, nel primo decennio (da 2000 a 6000 km). Tutto il settore agricolo, in particolare quello rivolto all'esportazione, si sviluppa. L'industria è invece penalizzata (soprattutto la poca che c'è al Sud), nel complesso, dalla concorrenza internazionale. - Sia Destra che Sinistra erano convinti: puntare sull'agricoltura per la crescita economica, poi l'industria. I miglioramenti consentono di accumulare capitali che resero possibile l'ulteriore potenziamento delle infrastrutture (che poi avrebbero servito l'industria), ma nel primo ventennio la distanza con i paesi più avanzati si fece più ampia. - Principale responsabile fu la durissima politica fiscale necessaria per coprire i costi dell'unificazione. Inasprimenti che colpirono rediti, patrimoni e consumi: le cose peggiorarono ancora dopo il 1866 a causa delle spese della Terza guerra di indipendenza. Nel '68 venne varata la nuova tassa sul macinato (poi inasprita nel '70): in pratica una tassa sul pane, quindi sul bene di consumo per eccellenza. Questo accrebbe l'impopolarità della classe dirigente e diede spazio alle prime agitazioni sociali su scala nazionale, moti di ribellione repressi con estrema durezza. - Nel 1875 si raggiunse il pareggio di bilancio, ma lo scontento aumentava. Tutto ciò avrebbe portato alla caduta della Destra. 5 - Il completamento dell'unità - Mancano Veneto, Trentino, Roma e Lazio. La solenne rivendicazione di Roma capitale veniva da Cavour stesso in una delle prime sedute del Parlamento. Destra: tempi lunghi della diplomazia, inserimento dell'Italia nel concerto degli Stati. Sinistra: via della guerra popolare. - A Roma c'è il Papa, difeso dalla Francia, maggior alleato dell'Italia unita. 99% cattolici. Quasi metà dei docenti sono ecclesiastici. Le trattative con Pio IX per la rinuncia al potere temporale in cambio della garanzia sul magistero spirituale erano cadute per l'intransigenza pontificia. - Tentativo di Garibaldi nel 1862: si reca in Sicilia --> accorrono volontari per Roma --> prima assenso silenzioso del governo, ma dopo che Napoleone III fa sapere che interverrà scontro sull'Aspromonte con milizie regolari e Garibaldi ferito e catturato. - 1864 c'è Convenzione di settembre con Napoleone III: garanzia sul rispetto territoriale in cambio del ritiro delle truppe francesi. Con il governo di Marco Minghetti, capitale da Torino a Firenze.

- Nel 1866 Bismarck offre alleanza contro gli austriaci. Esercito italiano sconfitto sia per terra, Custoza presso Verona, che per mare, isola di Lissa, ma ottiene comunque il Veneto (ma non Trentino e la Venezia Giulia). - 1867 con un nuovo slancio ai democratici di opposizione: Garibaldi ricomincia a preparare l'invasione di Roma, in contemporanea ad una insurrezione dei patrioti romani nell'estate del 1867. L'insurrezione fallisce e in novembre le truppe francesi sconfiggono duramente quelle garibaldine. - La guerra Franco-Prussiana dà, finalmente, l'occasione: nel 09/1870, subito dopo Sedan, il governo manda un corpo di spedizione nel Lazio e comincia trattativa col Papa. Pio IX, benché isolato, rifiuta; il 20 / 09 c'è la breccia di Porta Pia, pochi giorni dopo un plebiscito per Roma e il Lazio, Roma capitale nell'estate del 1871. La legge delle guarantigie, 05 / 1871, garanzia unilaterale da parte del Regno verso il Papa per libertà spirituale, con prerogative pari a quelle di un capo di Stato ed extraterritorialità per Vaticano e Laterano. Nel 1874 arriva il non expedit, "non giova", "non è opportuno", partecipare alle elezioni politiche. 6 - La Sinistra storica al governo - Negli anni '70 aumentano i deputati "di centro", cosiddetti "indipendenti"; mentre la Destra storica è più frazionata in diverse fazioni regionali, la Sinistra parlamentare slitta su posizioni più moderate ("Sinistra giovane", che è meno sensibile alla tradizione democratico-risorgimentale). - Nel '76 il governo Minghetti va in minoranza su un progetto di statalizzazione delle ferrovie. Il Re allora assegna l'incarico ad Agostino Depretis, nasce un governo tutto di Sinistra. È la "rivoluzione parlamentare" del 03 / 1876: nuova fase politica, anche per la morte di Mazzini (1872), Vittorio Emanuele II (cui succede il figlio Umberto I) e Pio IX (entrambi nel 1878), Garibaldi (1882). - La Sinistra, in modo assai cauto, tenta di allargare le basi dello Stato anche cercando di venire incontro alle esigenze della borghesia in crescita: il piemontese Depretis sarà capo del governo per un decennio. Progetto di riforme: ampliamento del suffragio nel 1882 (voto a tutti i ventenni che dimostrino di saper leggere e scrivere; in alternativa censo da 40 a 20 lire; si arriva così al 7% popolazione; le elezioni del 1882 vedono l'elezione del primo deputato socialista, Andrea Costa), maggiore sostegno all'istruzione elementare (legge Coppino del 1877: fino a 9 anni obbligo e sanzioni per inadempienti, ma non c'è effettiva attuazione dell'obbligo), sgravi fiscali (soprattutto nelle imposte indirette, quelle cioè applicate non al patrimonio o al reddito ma ai consumi) e decentramento amministrativo (punto poi accantonato). - Suffragio più ampio --> rafforzamento della sinistra estrema --> convergenza tra i moderati di destra e sinistra (accordo fra Depretis e Minghetti) con il cosiddetto trasformismo. Non più Destra - Sinistra alla inglese, ma un grande centro che emargina gli estremi, maggioranza non su basi programmatiche, ma costruita giorno per giorno con compromessi e patteggiamenti.

- La svolta moderata di Depretis fa sì che i gruppi democratici più avanzati si distacchino in via definitiva dalla sua maggioranza: questo gruppo venne chiamato radicale e negli anni '80 si oppose fortemente alla politica del trasformismo. 7 - La politica economica: crisi agraria e sviluppo industriale - Tassa sul macinato ridotta ('80) e poi abolita ('84); - Più spesa pubblica, cosa che riporta al deficit di bilancio. - Salvo le poche zone già progredite (grandi lavori di bonifica nella Bassa padana sin dagli inizi dei '70), l'agricoltura italiana rimane comunque assai arretrata. Da una inchiesta parlamentare dei tardi anni '70 emerge un quadro drammatico dell'agricoltura italiana (inchiesta presieduta dal senatore Stefano Jacini, che propone maggiori investimenti e diversificazione delle colture), ma il cambiamento richiede molto denaro che non c'è... - Anni '80: calo dei prezzi dei cereali per concorrenza da oltreoceano (midwest) --> cala la produzione --> conflittualità sociale e aumento migrazione verso le città e l'estero. - Si giunge, come in generale in Europa, ad una svolta protezionistica: nel 1887 una nuova tariffa generale mette al riparo molti settori industriali e agricoli. È la rottura con il liberoscambismo di Cavour. Guerra doganale con la Francia, sino ad allora primo partner commerciale dell'Italia. Nell'immediato conseguenze negative, ma poi il protezionismo si rivelerà utile allo sviluppo industriale dalla fine del secolo. 8 - La politica estera: triplice alleanza ed espansione coloniale - 05 / 1882: si abbandona la politica del prudente equilibrio, Triplice Alleanza a carattere solo difensivo con Germania ed Austria-Ungheria. Pareva l'alleanza più utile a un giovane Stato e permetteva di uscire da un sostanziale isolamento diplomatico (evidente con la crisi tunisina del 1881). E' però una rinuncia alle terre irredente (Trentino, Venezia Giulia; irredentismo che attecchisce nella sinistra radicale e repubblicana, Guglielmo Oberdan è un giovane che attenta alla vita di Francesco Giuseppe nel 1882, impiccato). L'alleanza venne rinnovata nel '87 con nuove clausole (eventuali modifiche territoriali nei Balcani di comune accordo con "adeguati compensi"; se la Francia interviene in Marocco o Tripolitania la Germania interverrà militarmente a fianco dell'Italia). - In contemporanea, Agostino Depretis pone le basi di una piccola iniziativa coloniale: baia di Assab, acquistata nel giugno '82 sulla costa sud del Mar Rosso --> nel 1885 una spedizione militare occupa una striscia di territorio nella zona a confine con l'impero etiopico (o Abissinia) --> All'inizio gli italiani cercano buoni rapporti e penetrazione commerciale in questo Stato arretrato, ma nel 1887 presso Dogali 500 militari italiani sono sterminati dagli abissini --> La Camera concede i denari per rinforzare la presenza, nonostante le proteste di chi era contrario all'avventura coloniale.

9 - Movimento operaio e organizzazioni cattoliche - Classe operaia come movimento organizzato ostacolata dalla scarsa industrializzazione. - Inizio anni '70 si diffondono le società di mutuo soccorso (solidarietà e non scontro, funesto lo sciopero, no lotta di classe), poi perdono terreno man mano che si diffonde l'internazionalismo socialista, prima ispirato a Bakunin e poi a Marx. - 1881: Andrea Costa fonda il Partito socialista rivoluzionario di Romagna, che sarebbe dovuto essere un primo nucleo rivoluzionario in espansione, ma che resterà formazione solo regionale. Poi viene eletto alla Camera nel 1882. - Fra '87 e '93 nascono le prime federazioni di mestiere e camere del lavoro (sindacati locali), ma è difficile dare organizzazione unitaria e nazionale. Filippo Turati dell'alta borghesia lombarda (e non Antonio Labriola) sarà protagonista della nascita del PSI, essenziale per lui l'incontro con la giovane esula russa Anna Kuliscioff e quello con l'ambiente operaio di Milano che è già indiscussa capitale economica e industriale. Nel 1892, a Genova, nasce il Partito dei lavoratori italiani, PSI dal 1895. Programma: gestione sociale dei mezzi di produzione raggiunta tramite l'azione del proletariato organizzato in partito, che lotta per migliorare le condizioni di vita ma anche per conquistare i poteri pubblici. - Cattolici militanti sono una forza eversiva nei confronti delle istituzioni unitarie, non meno dei socialisti. Inoltre sono radicatissimi nel tessuto sociale. Nel 1874 nasce l'Opera dei congressi, controllata dal clero, non partito, che doveva convocare periodici congressi delle associazioni cattoliche italiane, ma ostilità dichiarata a socialismo e liberalismo laico, fedeltà al pontefice. - Apertura dopo il 1878 con Leone XIII, il movimento cattolico accentua l'impegno sul terreno sociale: sorgono società di mutuo soccorso di stampo cattolico, soprattutto in Lombardia e Veneto. 10 - La democrazia autoritaria di Francesco Crispi - 1887 muore Agostino Depretis e gli succede l'uomo forte Francesco Crispi (Siciliano, passato mazziniano e garibaldino, ma simpatie anche dai conservatori per promesse di governo autoritario alla Bismarck). - Primo ministro per quasi quattro anni. Spinta autoritaria e repressiva, ma anche riorganizzazione dell'apparato statale. Vediamo: * 1888 legge sulle elezioni comunali e provinciali (suffragio allargato, elettivo il sindaco con più di 10.000 abitanti). * 1889: Codice Zanardelli (riforma del codice penale) che abolisce la pena di morte e non nega il diritto di sciopero (pur non affermandolo!). * 1889: Nuova legge sulla pubblica sicurezza che limita la libertà sindacale e lascia ampi poteri discrezionali alla polizia, come il domicilio coatto senza autorizzazione per gli individui ritenuti

pericolosi. Di questi poteri i governi Crispi si servirono spesso contro i movimenti operai, i cattolici, gli irredentisti di matrice repubblicana. - Crispi vuol affermare l'Italia come grande potenza, anche coloniale. Nel 1890 si ampliano i possessi italiani che prendono il nome di Colonia Eritrea e si gettano le basi per intervenire in Somalia (perplessità in seno alla maggioranza: politica troppo costosa). Messo in minoranza sul tema, Crispi si dimette a inizio 1891. - Maggio 1892: dopo un intermezzo con Antonio Rudinì, troviamo Giovanni Giolitti col suo primo governo. Programma: più equa ripartizione delle imposte (progressività delle imposte), no a interventi repressivi contro i lavoratori (si rifiuta di intervenire contro i Fasci dei lavoratori in Sicilia per protesta contro tasse troppo pesanti). Forti preoccupazioni fra i conservatori, atteggiamento ritenuto "debole". - Scandalo della Banca romana, uno dei 5 istituti ammessi a stampare moneta. Una inchiesta parlamentare rivela il pericoloso intreccio fra politica, finanza e mondo delle costruzioni: anche Crispi e Giolitti si erano serviti di tale banca. Giolitti si dimette e torna Crispi, nel dicembre 1893, anche se partecipe allo scandalo. - Secondo Crispi: Inasprimenti fiscali per risanare il bilancio, istituzione della Banca d'Italia (monopolio sull'emissione di moneta dal 1926, controllo del sistema bancario dal 1947). A inizio 1894 si proclama lo stato d'assedio in Sicilia e poi in Lunigiana (tra Liguria e Toscana) contro insurrezione anarchica, (senza connessione fra le due cose), con dura repressione militare e poi controllo poliziesco. Nel 1894 leggi limitative alla libertà di stampa, riunione e associazione. Partito socialista dichiarato fuorilegge, anche se il partito resiste. - Ripresa in campo coloniale. Nel 1889 si firma col negus di Etiopia il Trattato di Uccialli (interpretato come implicito protettorato dagli italiani, non così dagli etiopi: versioni diverse in italiano e amarico). Adua 1 marzo 1896: colonna di 16.000 uomini annientata dagli etiopi. Manifestazioni, Crispi abbandona. Rudinì conclude la pace con l'Etiopia che garantisca almeno Eritrea e Somalia.

Capitolo 1 - Verso la società di massa (breve riassunto)

1 - Masse, individui e relazioni sociali - Leggere la citazione di Ortega Y Gasset a inizio capitolo

- Di "massa" come moltitudine indifferenziata si parlava già a inizio '800, dalla fine dell'800 comincia a delinearsi quella che oggi chiamiamo "società di massa". - Uomini a più stretto contatto (città), ma rapporti spesso anonimi e impersonali. Si esce dalle comunità di villaggio, di paese, per entrare nella immensa economia di mercato come produttori e consumatori. - Elementi positivi (come il maggior benessere) e negativi (come l'appiattimento).

2 - Sviluppo industriale e razionalizzazione produttiva - Da fine '800 a 1914 grande espansione economica, nutrita dalle novità della seconda rivoluzione industriale, che coinvolge un po' anche i "nuovi", Russia e Italia. - Produzione in serie per il consumo di massa: ne è simbolo la catena di montaggio introdotta per la prima volta da Henry Ford nel 1913 a Detroit, sul modello dell'ingegnere USA Taylor (Principi di organizzazione scientifica del lavoro, 1911). Tempi standard, divisione in semplici sottocompiti, ritmi dettati dalla macchina. - Fordismo: salari più alti e auto più economiche, produzione e vendita in massa. 3 - I nuovi ceti - Nella classe operaia si accentua la distinzione: lavoratore generico, lavoratore specializzato ("aristocrazie operaie").

- Espansione del terziario, cioè i servizi (anche più burocrazia) --> aumenta il ceto medio "impiegatizio", i cosiddetti "colletti bianchi", come furono poi chiamati per contrasto con i "colletti blu". Questo ceto medio rifiutava ogni identificazione con le masse lavoratrice, pur essendo ben più lontano dall'alta borghesia. Alla solidarietà, spirito di classe, internazionalismo contrappongono l'individualismo e la rispettabilità borghesi. Questa borghesia impiegatizia è un po' un "ceto di confine". 4 - Istruzione e formazione - La scuola diventa importante per plasmare la nuova società. Si cerca un po' ovunque di renderla "per tutti", un servizio alla collettività. Scuola aperta, laica, controllata dallo Stato. Istruzione elementare dagli anni '70 dell'800 obbligatoria e gratuita un po' ovunque. Conflitti con la Chiesa. - Cala l'analfabetismo: a inizio '900 è del 10% nelle aree più avanzate, ancora oltre il 50% in quelle più arretrate. - Si moltiplicano i lettori e la diffusione dei quotidiani; si usa sempre più il telefono; la cosiddetta opinione pubblica è sempre più influente anche sulle scelte politiche. 5 - Gli eserciti di massa [lascio a loro!] - Dagli anni '70 dell'800, salvo GB, ferma obbligatoria per tutti i maschi: ferma più o meno breve per eserciti di cittadini in armi. - Problema economico (come mantenere una tale macchina bellica?) e politico (come negare loro il voto?). - Grandi eserciti, sostenuti dalle nuove possibilità produttive dell'industria. Nascono gli eserciti di massa che saranno protagonisti della Grande Guerra. 6 - Suffragio universale, partiti di massa, sindacati - Società di massa non significa società democratica, ma il diritto di voto tende ad estendersi (in Francia, Germania e Svizzera nel 1890 è suffragio universale maschile). In Italia nel 1912. Inghilterra e Olanda subito dopo la Grande Guerra. - Votano "tutti" --> servono nuove forme di organizzazione per ottenere consenso --> partiti di massa (strutture permanenti basate su sezioni locali, tessere...). Ormai è chiaro che la vita politica non può più riguardare solo pochi notabili. - Crescono rapidamente, con l'industria, anche le sigle sindacali: crescono in tutti i paesi. Nascono delle federazioni sindacali nazionali, le più importanti di stampo socialista

(Confederazione generale del lavoro, CGL in Italia nel 1906). è un enorme fenomeno di associazionismo popolare. 7 - La questione femminile [lascio a loro!] - Comincia a emergere tra fine '800 e inizio '900. John Stuart Mill uno dei pochi intellettuali dell'800 a interessarsi della questione con il suo La schiavitù della donna (1869). - Lavoro fuori casa come dura necessità, ma il contatto con l'esterno fa nascere una maggiore consapevolezza del proprio valore e dei propri diritti, dunque rivendicazioni verso la società. - Circoli comunque ristretti, ma in GB Emmeline Pankhurst fonda la Woman's Social and Political union e si impone all'attenzione pubblica con le agitazioni per il diritto al suffragio (nomignolo di suffragette), con forme di protesta assai decise. Nel 1918 in GB le donne voteranno. In Italia dopo la II guerra mondiale. 8 - Riforme e legislazione sociale [lascio a loro!] - Tra fine '800 e inizio '900 legislazione sociale ispirata a quella di Bismarck negli anni '80. Assicurazioni contro gli infortuni, previdenza per la vecchiaia, sussidi di disoccupazione. - I servizi pubblici, gestiti dallo Stato si estendono --> occorre più denaro --> nuove forme di imposizione fiscale (aumentare il peso delle imposte dirette, su reddito e patrimonio, a scapito delle indirette, sui consumi; principio di progressività;) 9 - I partiti socialisti e la seconda internazionale - Alla fine dell'800 i socialisti non sono più piccola minoranza, ma in tutti i Paesi si sono organizzati in Partito e, a inizio '900, cominciano a discutere della possibilità di prender parte a governi "borghesi". - Il Partito socialdemocratico tedesco,Spd, è il primo e più importante (1875) e il marxismo è la sua dottrina ufficiale. - In Francia non ci fu tale unità fra i socialisti, anche perché l'associazionismo operaio aveva lì radici più antiche. In GB i marxisti non egemonizzarono mai le Trade Unions. Nel 1906 nacque il Partito laburista (Labour party), che però non aveva una chiara caratterizzazione ideologica. - Tutti questi partiti hanno elementi comuni: superare il capitalismo verso una gestione sociale dell'economia - internazionalismo e pacifismo - e tutti si legano alla Seconda internazionale, che nasce nel 1889 a Parigi (obiettivo giornata lavorativo di 8 ore, 1 maggio festa dei lavoratori), nel 1891 si escludono gli anarchici, diversamente dalla Prima internazionale, si tratta di una

federazione di partiti fra loro autonomi. Dottrina di riferimento era quella marxista, pubblicizzata da Engels e dal leader del Spd Karl Kautsky. - Col tempo emergono due orientamenti: riformismo o revisionismo (Eduard Bernstein: previsioni di Marx si sono rivelate errate, quindi occorre collaborare con le forze progressiste, "tutto è nel movimento, niente è nel fine") e recupero dell'originaria ispirazione rivoluzionaria (esempio, in Germania, è Rosa Luxemburg, giovane intellettuale di origine polacca). - Vladimir Il'ic Ul'janov, noto come Nikolaj Lenin, esponente della socialdemocrazia russa (pressoché clandestina) pubblica nel 1902 Che fare?. Propone un partito tutto votato alla lotta, formato da militanti scelti e guidati da "rivoluzionari di professione". In un congresso del 1903 in esilio a Londra queste tesi hanno di poco la maggioranza: nascono le correnti bolscevica e menscevica. - In Francia nacque un'altra dissidenza di sinistra, che prese il nome di sindacalismo rivoluzionario di George Sorel: sindacati non devono strappare concessione, ma educare i lavoratori alla lotta, per prepararli allo "sciopero generale rivoluzionario" che porrà fine al regime capitalistico. 10 - I cattolici e la Rerum novarum - In ambito ecclesiastico non c'è solo il rifiuto della modernità, ma anche la volontà di rilanciare l'azione della Chiesa nella nuova condizione. Pur disorientata dai nuovi processi sociali, la Chiesa resiste grazie alla sua rete capillare fatta di Parrocchie, organizzazioni caritatevoli, movimenti di azione cattolica. - Leone XIII (1878 - 1903). Con lui c'è un riavvicinamento alla politica dei cattolici in molti paesi, anche con la nascita di nuovi partiti cattolici (sul modello dello Zentrum tedesco), ma soprattutto viene rilanciata l'azione sociale della Chiesa. - Enciclica Rerum novarum del 1891. Non novità dottrinali, si continua a condannare il socialismo, ma c'è invito alla concordia sociale fatto di rispetto dei propri doveri: l'operaio deve essere laborioso e l'imprenditore lo deve retribuire in modo equo, lo Stato deve mediare fra queste esigenze. Si incoraggia anche la creazione di società operaie e artigiani di ispirazione cristiana. - Alla fine dell'800 nasce anche una nuova tendenza politica definita democrazia cristiana: non solo azione nel sociale, ma anche impegno politico nei regimi democratici. PIù o meno in contemporanea, il movimento detto modernismo propone una rilettura della dottrina cristiana in chiave moderna e in accordo con le nuove scoperte e tendenze filosofiche e scientifiche. - Col Pio X, dal 1903, si torna all'ordine: i democratico-cristiani si vedono proibire ogni azione politica non ispirata dalle gerarchie e il modernismo viene colpito da scomunica nel 1907. 11 - Il nuovo nazionalismo [lascio a loro!]

- Se fino al 1870 nazionalismo aveva significato, per lo più, movimento di liberazione che aveva abbracciato ideali liberali e democratici, dopo l'unificazione di Italia e Germania assume una ben diversa connotazione. Il nazionalismo si sposta a destra, sposa idee razziste e abbraccia la politica di potenza, additano negativamente l'estraneo e il diverso. Questo nuovo nazionalismo ebbe, purtroppo, grande successo. - Se in Inghilterra il nazionalismo si espresse nel consenso popolare all'imperialismo senza mettere in discussione le istituzioni democratiche, altrove le cose andarono diversamente. Francia: polemica contro la classe dirigente repubblicana e moderata, accusata di essere corrotta ed inefficiente. Il nazionalismo più intransigente però, quello della rivista Action francaise fondata nel 1899, si rivolge contro i nemici interni: protestanti, immigrati e, soprattutto, ebrei. - Anche nei paesi di lingua tedesca il nazionalismo assume una forte connotazione antisemita su base razzista: dalla fine dell'800 proprio in Germania le teorie della razza hanno la maggior fortuna. Nel suo I fondamenti del XIX secolo l'autore di origine inglese Houston Stewart Chamberlain riprende il mito di una "razza ariana" che aveva nel popolo tedesco la più pura incarnazione. Il mito del popolo, volk, comunità quasi mistica basata sul sangue e sulla terra d'origine. Mito fatto rivivere dal grande compositore Richard Wagner. Movimento pangermanisti. - Panslavismo, opposto ma affine al pangermanesimo nasce in Russia a fine '800. Anch'esso è antisemita - in Europa orientale peraltro vi sono le più numerose comunità ebraiche - ha radici popolare ed è abilmente sfruttato, come in Russia, per deviare il malcontento con i pogrom. - Il sionismo fu una reazione all'antisemitismo, movimento fondato dallo scrittore ebreo viennese Theodor Hertzl, che promuoveva la creazione di uno Stato ebraico in Palestina, la terra dei padri. All'inizio fatica perché la media e alta borghesia ebraica era assimilazionista, ma all'inizio del '900 trovò appoggi nelle classi dirigenti del'Europa occidentale. 12 - La crisi del positivismo [lascio a loro, ma solo come lettura!] Emergono, fra fine '800 e inizio '900, forti tendenze irrazionalistiche, critiche verso il positivismo sino ad allora dominante. Citiamo solo Friedrich NIetzsche, Henry Bergson, Sigmund Freud e Max Weber, di cui diremo.

Prof. Monti – Storia V – a.s. 2016-2017 – L'Europa nella Belle époque

1

L'Europa nella Belle Époque

- riassunto dei nodi salienti del capitolo 2 del libro di testo -

2.1 - Un quadro contraddittorio Il venticinquennio che precede l'inizio della Grande Guerra fu un periodo caratterizzato da notevoli contraddizioni: al grande sviluppo economico favorito delle potenzialità messe a disposizione dalla seconda rivoluzione industriale, faceva da contraltare una acerba conflittualità sociale e una crescente competizione e aggressività internazionale; all'ottimismo di stampo positivistico e al benessere sempre maggiormente diffuso, si contrappongono angoscianti timori per il futuro. Da una parte abbiamo, quindi, l'immagine di una nuova "età dell'oro", la Belle époque, come venne chiamata, dall'altra l'inquietante militarismo dei Paesi industrializzati e la politica di potenza. Naturalmente, questa così chiara e duplice consapevolezza allora non c'era: i medesimi segnali potevano essere letti e interpretati dai contemporanei in modi diversi, talora contrastanti. La ormai imperante economia finanziaria e la continua rincorsa agli armamenti erano sicure premesse di guerra, oppure chiare garanzie di futura pace e benessere? Entrambe le interpretazioni vennero proposte! La Storia è certo "maestra di vita", come spesso si dice, ma spesso lo è solo "a cose fatte".

2.2 - Le nuove alleanze

Certo è che le dimissioni di Bismarck dal cancellierato, nel 1890, portarono con sé importanti cambi di rotta. L'equilibrio europeo che faceva perno sulla Germania lasciò il posto a un assetto tendenzialmente bipolare. L'imperatore Guglielmo II di Germania si rese protagonista di una politica di maggiore aggressività e di respiro mondiale. Non riuscendo più a conciliare gli interessi di Russia e Austria-Ungheria, Guglielmo II decise di puntare proprio su quest'ultima, non rinnovando, nel 1890, il Patto di controassicurazione che dal 1887 legava la Germania alla Russia. Guglielmo II era convinto che la Russia imperiale non sarebbe mai giunta ad allearsi con la Francia repubblicana...

In effetti, Russia e Francia erano Paesi diversissimi, ma in quegli anni si trovarono uniti da una circostanza tanto pratica quanto stringente: a entrambi i Paesi occorreva un potente alleato. Ad un primo accordo, siglato nel 1891, seguì l'alleanza militare del 1894: nasceva così la duplice intesa.

Prof. Monti – Storia V – a.s. 2016-2017 – L'Europa nella Belle époque

2

Occorre ricordare anche che la Francia prestò alla Russia ingenti somme di denaro, necessarie per l'avvio di un'opera di industrializzazione in quel Paese ancora così arretrato. Ecco, quindi, come si giunse al crollo del pilastro fondamentale di quella che era stata la politica internazionale di Bismarck: l'isolamento internazionale della Francia.

Guglielmo II, in accordo con la sua nuova politica, decise anche di por mano alla la costruzione di una potente flotta da guerra, cosa che minò i cordiali rapporti sino a quel momento intrattenuti con la Gran Bretagna. Se lo scopo del kaiser era quello di ottenere "rispetto e malleabilità" dagli inglesi, il nuovo attivismo tedesco sul fronte navale generò, nei fatti, solo una correlativa corsa al riarmo da parte della Gran Bretagna. Il raffreddarsi del rapporti tra Gran Bretagna e Germania condusse, quasi inevitabilmente, al riallacciarsi delle relazione anglo-francesi. Superati i dissapori coloniali sul fronte africano, nel 1904 venne siglata tra Gran Bretagna e Francia la cosiddetta Intesa cordiale, un'alleanza di carattere non militare, ma che preludeva chiaramente a nuovi sviluppi. Pochi anni dopo, nel 1907, Gran Bretagna e Russia riuscirono a loro volta a regolare positivamente i loro contrasti coloniali in Asia: ecco che, pochi anni dopo l'inizio del XX secolo, l'Europa appariva chiaramente divisa in due blocchi. Da una parte la Triplice Alleanza che univa Germania, Austria-Ungheria e Italia. Dall'altra la Triplice Intesa - Francia, Gran Bretagna, Russia - la quale era, seppur politicamente assai più disomogenea, dotata di maggiori potenzialità economiche. L'evidenziarsi di questi schieramenti, fece emergere in Germania un vero e proprio "complesso di accerchiamento", cosa che accentuò la tendenza tedesca all'aggressività internazionale e alla costruzione di nuovi arsenali bellici. La tensione internazionale continuava, dunque, a salire.

2.3 - La Francia tra democrazie e reazione

La Francia, pur continuando a compiere importanti progressi sulla strada della democrazia e del consolidamento delle istituzioni repubblicane, vede la coagulazione di un importante quanto eterogeneo movimento di contestazione nei confronti della Repubblica: nazionalismo a sfondo militarista e bonapartista, tradizionalismo monarchico ancora fedele alla dinastia dei Borbone, tendenze di carattere reazionario nel clero. Queste forze, tutte avverse alla Repubblica, si coagularono in un fronte comune in occasione dell'Affaire Alfred Dreyfus. Alfred Dreyfus - un ufficiale francese di origini ebraiche - venne, pur in mancanza di prove evidenti, condannato ai lavori forzati a seguito dell'accusa di aver fornito segreti militari ai tedeschi. L'episodio scatenò in tutto il Paese una violenta campagna antisemita (segno che le ideologie razziste avevano posto solide radici anche nel Paese dei lumi!),

Prof. Monti – Storia V – a.s. 2016-2017 – L'Europa nella Belle époque

3

mentre i vertici dell'esercito, pur in assenza di chiari elementi di colpevolezza a carico di Dreyfus, si rifiutarono recisamente di rivedere il processo. Nel 1898 il celebre scrittore Emile Zolà pubblicò un forte atto di accusa contro questa palese ingiustizia e, per tutta risposta, venne a sua volta processato e condannato. Ecco che l'opinione pubblica si divise nettamente, andando ben oltre il caso giudiziario - innocentisti e colpevolisti - fino a sfociare nello scontro politico. La condanna venne confermata (solo nel 1906, infatti, si giunse ad una piena riabilitazione nei confronti di Dreyfus), ma la vittoria sul piano politico arrise al fronte democratico e repubblicano: le elezioni del 1899, infatti, furono favorevoli, anche se di poco, alle forze progressiste (Alexandre Millerand e successivi governi radicali). In quegli anni, con i governi dei radicali, riprese in Francia la battaglia per un Paese schiettamente laico e repubblicano: nel 1905 si giunse alla rottura dei rapporti con la Santa sede e alla si completa separazione fra Chiesa e Stato. Anche i radicali - come in precedenza era accaduto ai repubblicani cosiddetti "opportunisti" - finirono però con il moderare la portata dei loro programmi politici e sociali: i governi di Georges Clemanceau e di Aristide Briand promulgarono sì importanti riforme sociali (riduzione dell'orario di lavoro, riposo settimanale, pensione di vecchiaia), ma un progetto di imposta generale sul reddito non riuscì ad ottenere l'approvazione. Tornarono così al potere i repubblicani moderati, prima al governo e poi, con il loro leader Raymond Poincaré, alla presidenza della Repubblica: questi si concentrerà, inevitabilmente, sulle spese militari e il rafforzamento dell'esercito.

2.4 - Imperialismo e riforme in Gran Bretagna

A cavallo fra '800 e '900, i governi conservatori-unionisti (Robert Salisbury e Joseph Chamberlain), cercarono di contemperare l'esaltazione imperialistica caratteristica di quegli anni con il riformismo sociale, pur senza davvero intaccare i privilegi. I liberali (whigs) ebbero successo opponendosi al progetto di protezionismo dei conservatori (tories) - i quali proponevano l'utilizzo di una "tariffa imperiale" in sede doganale - e vennero in effetti premiati da un'ampia maggioranza nelle elezioni del 1906. In quell'occasione, Entrarono alla Camera dei Comuni anche 30 laburisti (Labour Party). I liberali si mostrarono subito meno aggressivi in campo coloniale e, sul fronte interno, furono più attivi sul terreno delle riforme sociali: 8 ore di lavoro giornaliero per i minatori, la costituzione di uffici di collocamento, assicurazioni per la vecchiaia a carico dello Stato, una politica fiscale fortemente progressiva (paga più tasse chi è più abbiente).

Prof. Monti – Storia V – a.s. 2016-2017 – L'Europa nella Belle époque

4

La Camera dei Lord, soprattutto sul tema fiscale, si oppose avvalendosi del suo tradizionale diritto di veto, cosa che sfociò nello scontro aperto fra le due Camere del Parlamento inglese. A questo punto i liberali presentarono un progetto di legge che: 1) vietava ai Lord di respingere le leggi di bilancio; 2) Rispetto a qualunque altro tipo di legge, i Lord avrebbero potuto solo rimandare la legge alla Camera per due volte, dopo di che la legge sarebbe stata comunque promulgata. Nel 1911, con il nuovo re Giorgio V, questa legge che limitava fortemente i poteri della Camera alta venne effettivamente promulgata. Un altro tema rilevante per la Gran Bretagna era la cosiddetta "questione irlandese", anche se non vanno sottovalutate le frequenti agitazioni degli operai, e il movimento delle suffragette. Nel 1914, per provare a risolvere il problema posto dall'Irlanda, venne approvato un progetto: l'Irlanda avrebbe avuto un suo governo e un suo parlamento autonomi, ma avrebbe mantenuto il legame con la corona britannica e una sostanziale dipendenza da Londra per le questioni di comune interesse. L'applicazione di questo progetto verrà sospesa a causa dello scoppio della Grande Guerra.

2.5 - La Germania Guglielmina

- La fine del cancellierato di Bismarck aprì un "nuovo corso", secondo le parole di Guglielmo II, sempre in un'ottica chiaramente autoritaria, anche se più aggressiva in politica estera. Nessuno dei successori di Bismarck, comunque, ebbe le sue capacità di "imposizione" nei confronti dell'imperatore.

- Guglielmo II inaugurò la cosiddetta "Weltpolitik", una "politica mondiale" fatta di corsa agli armamenti (cosa che rinsaldò i rapporti fra junker e grande industria) e di una complessiva crescita industriale che mostrò ritmi ineguagliati (salvo dagli USA). Guglielmo II sostenne anche, all'interno del Paese, un senso di superiorità a carattere nazionalista. Lo scopo era quello di modificare a proprio vantaggio gli equilibri e la distribuzione mondiale delle risorse: la Germania non aveva un grande impero coloniale, ma gli "spazi nuovi" erano ormai in via di esaurimento, cosa che sfociò in una accentuata conflittualità internazionale. - La spinta nazionalista e aggressiva coinvolse un po' tutte le forze politiche: l'unica effettiva opposizione venne dalla socialdemocrazia (la cui affermazione elettorale del 1890 aveva condannato Bismarck al tracollo), la quale però restò isolata per l'intero periodo.

Prof. Monti – Storia V – a.s. 2016-2017 – L'Europa nella Belle époque

5

Anche il partito socialdemocratico (con sempre più iscritti e sempre più voti, sino ad ottenere la maggioranza relativa al Reichstag nel 1913) a lungo andare venne tacitamente a patti con l'ideologia nazional-imperialistica dominante.

2.6 - I conflitti di nazionalità in Austria-Ungheria

- Il declino dell'antico impero asburgico si andava aggravando: al forte ritardo nello sviluppo economico, si aggiungevano sempre più stridenti contrasti tra le varie nazionalità che componevano l'impero. - Il Paese era ancora per lo più agricolo: era solo di poco più ricco dell'Italia e poteva vantare sporadiche "isole" di industrializzazione. Grande, di contro, era la vitalità culturale, soprattutto in relazione alla capitale Vienna. Si registrava, alla fine dell'800, anche una notevole crescita dei partiti di massa (in particolare socialdemocratici e cristiano sociali), ma l'immobilismo politico da parte delle classi dirigenti, unito all'immobilismo delle strutture sociali tradizionali (ancora dominate dalla Chiesa e dai grandi proprietari terrieri) costituivano ostacoli insuperabili. - I Conflitti fra le varie nazionalità presenti erano, comunque, il principale problema: la tensione fra i vari gruppi etnici logorava l'impero, di fatto unificato solo dalla corona imperiale, dall'esercito e dalla burocrazia. La soluzione "dualistica" del 1867, ovvero la separazione politica e amministrativa di Austria e Ungheria, era stato un compromesso con il gruppo etnico più forte, quello magiaro, che aveva però scontentato tutte le altre etnie presenti nell'impero (in particolare slavi e cechi). Ecco che tra la fine dell'800 e l'inizio del '900 vi fu una forte crescita dei movimenti nazionali - ostili fra loro, ma uniti contro l'Impero - che si radicalizzarono a partire dalle richieste di autonomia sino all'indipendentismo. I popoli slavi, in particolare, erano stati i più sacrificati dal grande compromesso (serbi e croati, attratti dal Regno di Serbia, si schierarono quindi contro gli ungheresi), ma anche i cechi di Boemia e Moravia (coalizzati contro gli austriaci) e persino nel gruppo magiaro mostravano malcontento. - Rispetto a questa difficile situazione, l'arciduca Francesco Ferdinando, erede al trono e nipote dell'imperatore di Francesco Giuseppe, tendeva a una soluzione tripartita (creando, oltre ad Austria e Ungheria, un terzo blocco formato dagli slavi del Sud), che trovava però l'opposizione di ungheresi, ma anche di serbi e croati che volevano unirsi al Regno di Serbia (protetto dalla Russia).

Prof. Monti – Storia V – a.s. 2016-2017 – L'Europa nella Belle époque

6

2.7 - La a Russia e la rivoluzione del 1905 (una rivoluzione fallita)

- Con gi zar Alessandro III (1881-1894) e Nicola II, tutti i tentativi di "occidentalizzazione" del Paese vennero accantonati. Socialmente e politicamente immobile, la Russia tentò comunque un primo decollo industriale: vi furono grandi investimenti pubblici e si attrassero capitali stranieri (in particolare, come abbiamo visto, dalla Francia). Grande impulso, come anche in altre parti d'Europa, ebbero le ferrovie. La nascente industria seguì la via del protezionismo. Le difficoltà erano, comunque, evidenti: non esisteva, in Russia, una vera e propria borghesia imprenditoriale che potesse guidare l'ammodernamento del Paese. Si trattò, quindi, di una "industrializzazione calata dall'alto", forzata, che ben presto avrebbe mostrato i propri limiti. - La classe operaia (2,5 milioni di persone nel 1900) era concentrata in poche zone (Pietroburgo e Mosca soprattutto) e restò del tutto isolata dal resto del Paese, ancora tutto dedito ad una agricoltura assai arretrata e povera. Ecco che se gli operai erano attratti dal Partito socialdemocratico (fondato da Plechanov nel 1898, di strategia marxista), fra i contadini era il Partito socialista rivoluzionario ad attirare consensi. - In un clima fortemente repressivo da parte del governo zarista, la protesta si canalizzò in un movimento rivoluzionario. Contribuisce la guerra col Giappone - cominciata nel 1904 - che portò a brusco aumento dei prezzi. In una domenica del gennaio 1905, 150.000 persone si diressero verso il Palazzo d'Inverno allo scopo presentare allo zar una petizione, ma l'esercito reagì sparando (oltre 100 morti, "domenica di sangue"). Questo scatenò in tutto il Paese sommosse e anche ammutinamenti delle forze armate. Dal fronte di guerra contro il Giappone, inoltre, giungevano notizie sempre più negative: ecco che in moltissime località sorsero i soviet ("consiglio"), cioè rappresentanze popolari elette sui luoghi di lavoro. Il soviet di Pietroburgo assunse il comando del movimento rivoluzionario. Nicola II, data la difficoltà della situazione, pareva disposto a fare alcune concessioni (libertà politiche e istituzioni rappresentative), ma nel novembre e nel dicembre 1905, con l'esercito che tornava definitivamente sconfitto dal fronte, i membri del soviet di Pietroburgo vennero arrestati e le rivolte sedate. - La prima Duma, l'assemblea rappresentativa, venne comunque eletta nell'aprile 1906 ma, sebbene dotata di scarsissimi poteri, venne comunque sciolta dopo poche settimane. Così avvenne anche per la seconda Duma, nel febbraio 1907. A questo punto il governo restrinse la legge elettorale (il voto di un grande proprietario contava come quello di 500 operai!) e, finalmente, il governo zarista ottenne l'elezione di un'assemblea assai più docile al proprio volere... - Oltre alla repressione, il governo dello zar mise in campo anche un tentativo di riforma agraria per riguadagnare consenso nelle file del popolo.

Prof. Monti – Storia V – a.s. 2016-2017 – L'Europa nella Belle époque

7

La riforma portava alla dissoluzione della comunità di villaggio tradizionale che aveva la terra in comune - il cosiddeto mir - e ciascun contadino diveniva così proprietario. La riforma, intesa a stimolare il progresso nelle campagne, riuscì solo in parte: i contadini più ricchi, i cosiddetti "kulaki", approfittarono della situazione, ma gli altri non riuscirono comunque a migliorare le proprie condizioni di vita. Anche in Russia, dunque, i contrasti sociali e politici erano tutt'altro che appianati, inoltre la Grande guerra si avvicinava sempre di più...

2.8 - Verso la guerra

- Nei dieci anni prima della Grande guerra, i due blocchi di alleanze ormai costituiti (Triplice alleanza e Triplice intesa) si confrontarono in un clima sempre più inquieto. Al revanscismo francese e ai contrasti fra Austria e Russia, si sommava la tensione derivante dall'aggressività germanica in competizione con la Gran Bretagna per la superiorità navale. - Come abbiamo visto, il focolaio balcanico non accennava a spegnersi e, secondo nodo, il Marocco - uno degli ultimi stati africani ancora indipendenti - era conteso tra Francia e Germania. In due occasioni, nel 1905 e nel 1911, la situazione del Marocco condusse sull'orlo della guerra, ma alla fine la Francia ebbe la meglio senza ricorrere alle armi: il Marocco divenne protettorato francese e, in cambio, la Germania ebbe una parte del Congo francese. - Nel 1908, il già fragile Impero ottomano vide sorgere la rivoluzione dei Giovani turchi (si trattava di intellettuali e ufficiali i quali volevano trasformare l'impero, arretratissimo, in una moderna monarchia costituzionale). Il sultano Abdul Hamid fu costretto a concedere una costituzione e, l'anno dopo, a lasciare il trono al fratello Maometto V. Questi cercò sì di modernizzare lo Stato, ma non riuscì a risolvere il problema dei movimenti indipendentisti. L'Austria approfittò della situazione dichiarando l'annessione della Bosnia e della Erzegovina, cosa che fece crescere la tensione col Regno di Serbia e con la Russia. Nel 1911 anche l'Italia, come vedremo, si mosse occupando la Tripolitania. Questa ennesima sconfitta subita dall'Impero ottomano diede coraggio anche ai piccoli stati balcanici che, sobillati dalla Russia, si mossero contro l'Impero. Nel 1912 Serbia, Montenegro, Grecia e Bulgaria mossero guerra agli ottomani e li sconfissero in pochi mesi (Prima guerra balcanica). - L'anno successivo, il 1913, fu la volta della Seconda guerra balcanica. L'alleanza fra gli Stati della prima guerra, infatti, si ruppe al momento di spartirsi i territori strappati agli ottomani: la Bulgaria attaccò Grecia e Serbia (a cui subito si unirono la Romania e la stessa Turchia) e venne sconfitta.

Prof. Monti – Storia V – a.s. 2016-2017 – L'Europa nella Belle époque

8

L'esito finale di queste due brevi guerre fu sfavorevole agli imperi centrali, Germania e Austria-Ungheria: il loro alleato turco era ormai estromesso dall'Europa e anche la Bulgaria, legata a Germania e Austria, era stata sconfitta. La Serbia, nemica dell'Austria, si era invece molto rafforzata. Sempre più forte, a questo punto, divenne la tentazione da parte dell'Austria di attaccare la Serbia... Ma come reagiranno i russi? E le altre potenze?

Prof. Monti – Storia V – a.s. 2016-2017 – L'Europa nella Belle époque

1

Le nuove sfide all'egemonia europea

- riassunto dei nodi salienti del capitolo 3 del libro di testo -

3.1 - Il ridimensionamento dell'Europa

- L'Europa, come abbiamo appena veduto, si appresta ad affrontare un terribile conflitto: ne uscirà assai indebolita. Nel frattempo, gli USA si rafforzano imponendosi come prima potenza mondiale. Anche la Cina e, soprattutto, il Giappone emergono come nuovi importanti protagonisti. Ben presto sarà la volta dell'Unione Sovietica. - La popolazione aumentava in Europa, ma in Asia ciò accadeva in misura maggiore: si trattava di un fatto noto già all'inizio del '900 e che era percepito come una minaccia all'egemonia europea (Guglielmo II parlò, addirittura, di "pericolo giallo"). In effetti l'Europa avrebbe perso quell'egemonia e non l'avrebbe più riacquistata, anche se non certo a causa della sua popolazione...

3.2 - La guerra russo-giapponese

- Nel 1894, il Giappone sconfisse pesantemente la Cina ed estese la sua sfera di influenza sulla Corea e sull'isola di Formosa. Il Giappone desiderava espandersi nel nord-est dell'impero cinese, in Manciuria, e questo lo porta in rotta di collisione con la Russia, che aveva le medesime mire. Nel 1903 i russi, sottovalutando il rivale, rifiutarono un accordo per la spartizione della Manciuria: all'inizio del 1904 i giapponesi, quindi, attaccarono (senza alcuna dichiarazione di guerra) la flotta russa e, nel 1905, sconfissero i russi anche sulla terra ferma. Anche la flotta russa del Mar Baltico, dopo essere giunta in loco, venne distrutta. - Per la Russia, come già abbiamo avuto modo di vedere, questa sconfitta significò un deciso aggravamento delle già forti tensioni interne, mentre per l'Europa intera si trattò di un segnale inquietante riguardo alla pretesa superiorità e al predominio della "razza bianca". La vittoria dei giapponesi diede, fra l'altro, vigore anche ai movimenti nazionalisti e indipendentisti dei popoli asiatici (in particolare nell'Indocina francese e olandese, oltre che nelle Filippine dominate dagli USA e nell'India britannica).

Prof. Monti – Storia V – a.s. 2016-2017 – L'Europa nella Belle époque

2

3.3 - La rivoluzione in Cina

- L'impero cinese era da decenni soggetto alla pressione europea, desiderosa di dividerlo in zone di influenza commerciale. Dopo le guerre dell'oppio, cui abbiamo accennato a suo tempo, e la sconfitta subita dal Giappone nacque nel Celeste impero un movimento conservatore (restauratore) e xenofobo. - In particolare, citiamo una società segreta - i cui aderenti erano detti "boxers" in Occidente - che cercava di boicottare la presenza degli stranieri, cosa che provocò nel 1900 un intervento congiunto delle potenze occidentali, USA e Giappone compresi. Le truppe alleate sedarono velocemente la rivolta dei boxers, ma era ormai evidente che la dinastia Manciù era del tutto screditata e che, di contro, il forte nazionalismo cinese avrebbe impedito una spartizione politica simile a quella attuata in altre parti del mondo. - Nel 1905, un medico di Canton che era stato a lungo in Europa e Giappone, di nome Sun Yat-sen, fondò un'altra organizzazione segreta che si basava sui "tre principi del popolo": indipendenza nazionale, democrazia rappresentativa, benessere del popolo (ideali di chiara matrice occidentale!). Questa società si impegnò in una notevole opera di proselitismo. - Nel 1911 ci fu il tardivo tentativo di modernizzazione posto in atto da parte del governo imperiale, ormai troppo screditato: nel gennaio 1912, infatti, la dinastia Manciù venne dichiarata decaduta da una assemblea rivoluzionaria che elesse Sun Yat-sen come Presidente della Repubblica. Un generale, che era stato inviato dal governo imperiale per sedare la rivolta, Yuan Shi-kai, passò dalla parte dei rivoltosi e venne presto nominato presidente al posto di Sun. - Fu così che l'impero più antico del mondo - circa 3000 anni di vita - trovò la sua fine. I democratici si organizzarono in un partito nazionale, il Kuomintang, mentre i conservatori di Yuan Shi-kai ben presto ruppero il fragile accordo che li univa. Nel 1913, il Kuomintang viene messo fuori legge e Sun fu costretto all'esilio. Cominciò un lungo periodo di guerre civili che terminerà solo nel 1949 con la vittoria della rivoluzione comunista.

3.4 – Imperialismo e riforme negli USA - Lo sviluppo economico degli Stati Uniti, nell’epoca di cui ci occupiamo, non aveva paragoni nel mondo. La crescita dell’industria, imponente, era dominata dai grandi gruppi (proprio come in Germania). A fine '800 venne raggiunto il primato della produzione industriale, superando la Gran Bretagna e, appunto, la Germania.

Prof. Monti – Storia V – a.s. 2016-2017 – L'Europa nella Belle époque

3

Vi furono progressi decisivi anche nei settori dell’agricoltura e dell’allevamento: in questo periodo gli Stati del midwest divennero il “granaio del mondo” (a questo riguardo può essere interessante la letture del romanzo Furore, di John Steinbeck). - Il progresso fu, comunque, accompagnato da forti tensioni sociali: si svilupparono numerose organizzazioni operaie, che condussero dure lotte contro il padronato, ma non si trattò di organizzazione dotate di una chiara connotazione politico-ideologica, diversamente da quanto accadde in Europa. In effetti il marxismo, negli USA, si diffuse solo in piccoli gruppi. Vi fu notevole malcontento anche degli agricoltori, soprattutto fra i piccoli proprietari. - A fine ‘800 gli USA mostrarono una forte spinta espansionistica, anche se non potevano certo seguire il colonialismo “all'europea” senza tradire gli ideali che avevano portato allo loro stessa costituzione! Si trattò, dunque, di una sorta di imperialismo informale, costituito soprattutto da esportazione di merci e capitali, ma senza diretto controllo politico o occupazione militare. Questa peculiare ventata imperialista si diresse verso il Pacifico e verso l’America Latina. - A partire dal 1895, a Cuba, scoppiò una violenta rivolta contro i colonizzatori spagnoli. Nel corso dei tentativi spagnoli per sedare questa rivolta, nel 1898 presso l'Avana viene affondata una corazzata americana: ciò causò una breve guerra nella quale la Spagna viene nettamente sconfitta, tanto nelle Antille quanto nel Pacifico. Inoltre la Spagna dovette cedere le Filippine agli USA. Nello stesso anno, il 1898, ebbe luogo anche l’annessione delle isole Hawaii. - La vocazione imperialista si manifestò in pieno con la salita al potere del presidente repubblicano Theodore Roosevelt. Egli, in politica internazionale, alternò lo strumento della pressione economica alla minaccia dell’intervento militare, quella che veniva chiamata la “diplomazia del dollaro” alla politica del “grosso bastone” (big stick). - Un’altra importante questione riguardò il Canale di Panama. Nel 1901 gli USA ottennero un formale permesso, da parte della Colombia (che controllava la regione), a costruirlo e gestirlo per 100 anni. Nel 1903, però, il Parlamento colombiano rifiutò di ratificare l'accordo: allora gli USA organizzarono una sommossa a Panama, che diventò una repubblica indipendente (di fatto controllata dagli USA). Il canale venne aperto nel 1914. - In politica interna, con Roosevelt, ci fu una apertura ai problemi sociali in precedenza sconosciuta. La legislazione sociale di quegli anni riguardò la limitazione orario di lavoro, la tutela del lavoro minorile, l’assicurazione contro gli infortuni. Pur senza modificare la politica protezionistica degli USA, Roosevelt cercò anche di limitare il potere dei grandi trusts.

Prof. Monti – Storia V – a.s. 2016-2017 – L'Europa nella Belle époque

4

- Alla fine del secondo mandato presidenziale di Roosevelt, nel 1908, il Partito Repubblicano si spaccò: l'ala più progressista, che aveva appoggiato Roosevelt, non si riconosceva più con il resto del partito. Questa divisione favorì la vittoria elettorale del candidato democratico, Woodrow Wilson. Egli riprese l'impegno sociale di Roosevelt, ma senza cercare di rafforzare il potere federale come questi aveva fatto, ma al contrario provando a garantire l'autonomia dei singoli Stati. Wilson, inoltre, impostò la lotta contro i grandi monopoli abbassando le tariffe doganali. Fu questo presidente che, nel 1917, deciderà l’intervento degli USA nella Grande Guerra. 5 - L'America Latina e la rivoluzione messicana - Anche l’America Latina conobbe, negli ultimi decenni dell’800, un notevole sviluppo economico basato soprattutto sull'esportazione di materie prime. Lo sviluppo attirò numerosi migranti dall'Europa (e anche dall’Italia!), anche se di fatto l’economia dei Paesi Sudamericani divenne sempre più dipendente dai mercati e dagli investimenti esteri (monocolture, oligarchia terriera). - I regimi politici dell’America Latina erano, per lo più, parlamentari e repubblicani secondo il modello del liberalismo ottocentesco, anche se nella maggior parte dei casi si trattava solo di una facciata di comodo, che escludeva le masse e che spesso degenerò in dittature personali. - Nel 1910, in Messico, scoppiò una rivolta contro il regime dittatoriale del presidente Porfirio Diaz, un generale che governava dal 1876. Fra i capi rivoluzionari resta famoso Pancho Villa. Nel 1911, Diaz fu costretto a lasciare il Paese.

Prof. Monti – Storia V – a.s. 2016-2017 – l’età giolittiana

1

L’Italia prima della Grande guerra “l’età giolittiana” (1900 – 1914)

(sostituisce il capitolo 4 del libro)

1. PRIMA DELL'ETÀ GIOLITTIANA

L'INDUSTRIALIZZAZIONE Colonialismo, industrializzazione, crisi agricola, tensioni sociali, partecipazione politica, conflitti ideologici fra nazionalismo e socialismo: in Italia si trovano tutti i caratteri tipici del mondo della Seconda rivoluzione industriale. Anche in Italia, come anche in Giappone e Russia, lo Stato ebbe un ruolo di primo piano nell’avvio dell’industrializzazione: l’iniziativa privata, da sola, non sarebbe bastata. L’inizio dell’industrializzazione, negli anni ’80 dell’800, non intaccò la fisionomia agricola del Paese. Mancavano le risorse energetiche, il carbone prima e il petrolio poi, dunque i primi insediamenti erano legati all’energia idraulica: ecco che le prime fabbriche sorgono lontano dalle città. Fu, invece, a partire dalla fine dell’800, con la diffusione di impianti idroelettrici, che le fabbriche poterono distribuirsi un po’ ovunque. Con la nuova fonte di energia, le fabbriche si trasferirono nelle grandi città (per la forte presenza di potenziale manodopera) e si aprirono nuovi filoni produttivi (settore meccanico, elettrico, chimico), in aggiunta al tessile della prima industrializzazione. Il vero e proprio decollo si ebbe fra il 1896 e il 1908 con le industrie meccaniche: dal 1900 la produzione ebbe incrementi di produzione industriale pari al 12% annuo! Lo Stato intervenne con opere pubbliche e ferrovie, più che altro nel Sud, e con sovvenzioni all’industria. Vi fu lo sviluppo delle commesse statali (cantieri navali, centrali a turbina per l’energia elettrica), dell’industria bellica, il ricorso al protezionismo, il controllo del credito alle industrie (la Banca d’Italia nasce nel 1893). Alcune attività di interesse collettivo, poi, erano gestite direttamente dallo Stato: ferrovie e telecomunicazioni. Il mercato interno si allargò, crebbero i consumi, soprattutto di beni durevoli. Dopo questa fase di notevole sviluppo il panorama italiano appariva mutato. C'erano sono più fabbriche (quelle grandi concentrate fra Milano, Torino e Genova: il cosiddetto "triangolo industriale"), seppure non molto competitive sul mercato internazionale. Erano più dinamiche le aziende piccole, quasi artigianali, specializzate in settori di nicchia (Olivetti e le macchine per scrivere valgano come esempio).

CAMBIAMENTI SOCIALI

Prof. Monti – Storia V – a.s. 2016-2017 – l’età giolittiana

2

Lo sviluppo fu, comunque, dualistico: il forte squilibrio fra Nord e Sud si mantenne, di modo che la “questione meridionale”, emersa subito dopo l’unità d’Italia, non poteva certo dirsi risolta. Le fabbriche più importanti, come abbiamo accennato, si trovavano al Nord e anche lo sviluppo agricolo favoriva queste regioni, perché si puntava principalmente sui cereali (coltivazioni intensive a Nord, latifondi nobiliari a Sud). La produzione dei cereali aumentò grazie ai primi concimi sintetici e alle prime macchine. Al Sud, dove mancava la piccola proprietà contadina, questo non si verificò. Molti, soprattutto dal Sud, emigrarono dando vita a un imponente fenomeno che in Italia non si ripeterà. Fra la metà dell’800 e l’inizio del ‘900 la meta favorita fu l’Argentina (lavori agricoli), poi gli USA. Nel solo 1913, quasi quattrocentomila italiani giunsero a New York e, strano a dirsi, già nel 1901 New York era la quarta "città italiana" per numero di abitanti (dopo Roma, Milano e Napoli). Fra 1900 e 1914 emigrarono circa 9 milioni di persone: 80% meridionali, per lo più maschi e giovani. Gli italiani si fermarono soprattutto nelle città della costa orientale. La fabbrica anche in Italia “ridisegnò la giornata” delle persone. La concentrazione di operai in un solo luogo, determinò cambiamenti che andavano oltre le mere questioni legate al lavoro e all’economia. Lavorando insieme per 15-16 ore al giorno, anche al di fuori della fabbrica gli operai restavano uniti ed erano ben riconoscibili. Abitavano tutti insieme, in case uguali, in nuovi quartieri sorti appositamente per ospitarli. Nel 1903 a Milano c’erano 280.000 operai su una popolazione di circa mezzo milione di individui. Una famiglia operaia, in genere, era composta da quattro o cinque persone e gran parte dei salari andavano a coprire l’alimentazione. Ben più agiate erano le condizioni dell’altra nuova classe sociale, la borghesia capitalista. Il ruolo interventista (nell’economia) dello Stato portava anche al dilagare degli impiegati statali. Medici, ingeneri, geometri: i cosiddetti "professionisti" erano i nuovi notabili. Anche la composizione della classe politica cambiò: più avvocati e notai, meno nobili e proprietari terrieri.

ESISTENZA COLLETTIVA La presenza delle classi protagoniste del decollo economico, proletariato e borghesia, trasformò il volto delle città e dei paesi con nuove infrastrutture: strade, piazze, palazzi, comuni più grandi… All’inizio del ‘900 si visse una stagione di dinamismo delle amministrazioni comunali, protagoniste delle innovazioni. Anche i divertimenti cambiarono e si moltiplicarono: caffè, locali da ballo, teatri... L’energia elettrica “allungò” la giornata e la nuova e diffusa ricchezza borghese stimolava forme di commercio su vasta scala che non riguardano più solo i beni di prima necessità. Anche in Italia il cinema ebbe grande successo. Tutti gli aspetti dell’esistenza mutarono. La rete dei trasporti, specialmente le strade ferrate, divenne sempre più capillare. Intorno alle stazioni nascevano spesso nuovi nuclei urbani, nuovi commerci. Anche il turismo comincò ad avere un impatto maggiore sulla società e lo stesso accade per lo sport: i nuovi ricchi cercavano nuovi modi per impiegare il tempo libero. Si diffondono il tennis, l’equitazione, il calcio. Le automobili sono ancora un bene di lusso (un auto costa la paga annua di venti operai). I più si muovevano, oltre che in treno, in bicicletta: non a caso nel 1909 ebbe luogo il primo “Giro d’Italia”. Insomma, l’Italia cominciò in quegli anni a mostrare i primi tratti di quel volto dinamico e complesso che è a tutti noi familiare. Era una questione di velocità: al mondo povero, monotono e

Prof. Monti – Storia V – a.s. 2016-2017 – l’età giolittiana

3

lento dei secoli precedenti, cominciava a sostituirsi quello veloce e in perenne trasformazione al quale siamo abituati. A crescere era anche la sete di informazione. Non a caso i maggiori quotidiani italiani vennero fondati negli ultimi decenni dell’800, contemporaneamente alla riduzione del tasso di analfabetismo e all'aumento della produzione libraria. I quotidiani si diffusero prima su scala regionale e poi nazionale: i loro progressi misuravano quelli dell’alfabetizzazione.

2. LA POLITICA Mutavano economia e società: ecco che anche il sistema politico, per forza di cose, dovette cambiare. Le trasformazioni sociali sopra delineate furono, in effetti, il primo vero banco di prova per la classe dirigente che guidava il Paese dopo l’unificazione. La consapevolezza dei diritti civili aumentava in seno alla popolazione, così pure la partecipazione alla vita e al dibattito politico. Dapprima, come abbiamo visto, fu Francesco Crispi (1818-1901) che tentò di governare la modernizzazione disinnescando i conflitti sociali tramite l'uso massiccio della repressione poliziesca e la proiezione all’esterno della violenza attraverso una politica aggressiva ed espansionistica. L’autoritarismo crispino sopravvisse alla caduta del suo governo (1896) e toccò il culmine nel 1898, quando forti proteste contro il carovita (principalmente in relazione al rincaro del prezzo del pane) esplosero in varie città. Le manifestazioni di scontento vennero sanguinosamente represse dalla polizia - come, per esempio, accadde nelle giornate del 6 e 7 maggio 1898 a Milano, che fecero registrare numerose vittime - e seguite da arresti, chiusura di giornali, scioglimento di organizzazioni politiche e sindacali. Il culmine della tensione venne raggiunto Il 29 luglio 1900, quando il re Umberto I (divenuto re nel 1878) venne assassinato, a Monza, dall’anarchico Gaetano Bresci (il quale, con questo gesto, intese vendicare proprio i morti di Milano). Sotto il regno del figlio, Vittorio Emanuele III, ebbe inizio un periodo nuovo. Nelle elezioni politiche generali del giugno 1900 ci fu un arretramento dei conservatori a favore di liberali e socialisti: la sinistra dunque compì un notevole passo avanti. I candidati governativi conservatori ebbero successo al Sud, l’estrema sinistra a Nord, soprattutto nelle zone più sviluppate. Si profilava nel Paese, in questo modo, una spaccatura politica oltre che sociale: Sud di destra, “ministeriale”, e Nord di sinistra.

3. LE FORZE IN CAMPO Le spaccature si riproposero anche all’interno dei singoli partiti. I liberali erano divisi in un’ala conservatrice e moderata (raccolta intorno a Sidney Sonnino) e in un’ala progressista e democratica (guidata da Giuseppe Zanardelli). All’interno di questa grande divisione, poi, ve ne erano altre, facenti capo a singole personalità, ognuna con propri piani e obiettivi: si tratta di quelle che oggi definiremmo "correnti di partito".

Prof. Monti – Storia V – a.s. 2016-2017 – l’età giolittiana

4

Anche la sinistra era in fermento: la politica repressiva dell’età Crispina aveva spinto, per reazione, le varie associazioni operaie su posizioni molto radicali. I gruppi di estrema sinistra (anarchici, socialisti, repubblicani) videro crescere i propri consensi e anche le Camere del lavoro (che erano associazioni di operai su base territoriale, in opposizione alle Camere di commercio, associazioni della classe padronale) finirono per spostarsi in area socialista e anarchica. Furono, come detto, soprattutto i socialisti ad avanzare, ma anch'essi erano internamente divisi: da una parte si collocava la corrente riformista e gradualista, guidata da Filippo Turati, dall’altra c'erano le correnti rivoluzionarie guidate da Arturo Labriola, correnti che avevano come obiettivo la rivoluzione socialista. Gli anarchici, sostenitori di un individualismo estremo, propugnavano la via della lotta contro ogni forma di organizzazione, di potere, di governo, così come rifiutavano i partiti, le elezioni… Fra gli anarchici, però, alcuni sostenevano la necessità dell’organizzazione e il radicamento nelle lotte dei lavoratori, altri la rifiutavano puntando alla libera espressione di ogni gruppo, anche tramite la violenza individuale. Fu proprio nell’età giolittiana, fra 1904 e 1914, che l’anarchismo in Italia conobbe i maggiori consensi. Sempre a sinistra ricordiamo anche i repubblicani, costituitisi in partito nel 1895. Essi si considerano i veri eredi della tradizione mazziniana e mettevano in dubbio la legittimità dello stato monarchico. Tra i cattolici declinava, nel frattempo, l’intransigentismo che negava la legittimità dello Stato italiano. La rete delle associazioni popolari cattoliche era vasta e variegata: unita nell’Opera dei Congressi, essa sviluppò una notevole attività con un forte impegno sociale. Contemporaneamente, intorno al sacerdote Romolo Murri si formò il movimento della Democrazia cristiana: critico verso gli intransigenti, proponeva la conciliazione fra le classi e un modello sociale con molto spazio per le classi medie. Da segnalare, sul fronte cattolico, anche il fatto che il non expedit venne sospeso, in alcuni collegi del Nord Italia, già nelle elezioni del 1904 e, in modo più ampio, in quelle del 1909. In quest'ultima occasione, furono da parte della Chiesa accettate anche candidature dichiaratamente cattoliche, seppure solo a titolo personale.

4. GOVERNARE LA MODERAZIONE Dopo Francesco Crispi, si formò una diversa opzione governativa: il governo della “svolta” (1901) fu quello di Giuseppe Zanardelli (con Giolitti ministro degli Interni) che si impegnò in una politica di riformismo. Si cercò, innanzitutto, di modificare e migliorare leggi già esistenti che fornivano garanzie verso fasce deboli come le donne e i bambini (più alti i minimi di età per il lavoro, orari di lavoro più brevi, congedo per maternità...). Venne anche istituito un Ufficio del lavoro, il quale doveva occuparsi dei problemi relativi ai rapporti fra imprenditori e lavoratori. Il maggior interprete del nuovo indirizzo fu, però, Giovanni Giolitti (1842-1928). Nel 1903, quando presiedette in prima persona il governo (vi restò quasi ininterrottamente sino al 1914) aveva già grande esperienza politica. Il paese viveva anni di febbrili e intense agitazioni sociali, come abbiamo visto, e moltissimi erano gli scioperi.

Prof. Monti – Storia V – a.s. 2016-2017 – l’età giolittiana

5

Giolitti elaborò questa strategia: il governo resti imparziale di fronte ai dissidi fra lavoratori e imprenditori, promuova il dialogo con le associazioni dei lavoratori, reprima duramente le manifestazioni non organizzate dai sindacati e, quindi, non autorizzate. Vennero anche presi accordi in Parlamento con socialisti e cattolici, i quali andavano sempre più legittimandosi come rappresentanti di vaste masse popolari. Lo Stato doveva, insomma, garantire il confronto ed evitare gli eccessi e la violenza. Occorreva, Giolitti lo comprendeva bene, un governo capace di rispondere alle istanze della classe operaia così come a quelle degli imprenditori. Su questa linea, venne abolita ogni restrizione alla libertà di associazione e azione politica, ci furono una serie di ulteriori provvedimenti di garanzia a favore del mondo del lavoro (nacque la Cassa nazionale di previdenza per l’invalidità e la vecchiaia, venne introdotto il riposo festivo e nacque la Cassa per la maternità). Si decise anche di allargare anche la partecipazione alla politica: nel 1912 il diritto di voto venne esteso anche ai nullatenenti e agli analfabeti, purché avessero 30 anni di età e avessero prestato servizio militare. Si trattava, sostanzialmente, del suffragio universale maschile.

7. VERSO LA GUERRA Proprio nel cuore di questo ambizioso e complesso progetto di governo si trovavano quelle stesse tensioni che ne decreteranno la fine, insieme all’ingresso dell’Italia nella Grande guerra. Negli ultimi anni della gestione Giolitti, diciamo dal 1911al 1914, emersero problemi sia interni che esterni. Anche Giolitti, come già Crispi prima di lui, pensava di poter utilizzare una spedizione militare espansionistica per allentare le tensioni interne. L’Italia, dunque, nel 1911 dichiarò guerra alla Turchia, al sultano di Costantinopoli, con l’intenzione di strappare la Libia agli ottomani. La guerra, fra 1911 e 1912, durò un anno e terminò con la Pace di Losanna: all’Italia andarono la Libia, Rodi e le isole del Dodecaneso. A spingere Giolitti alla guerra furono soprattutto i nazionalisti, forza emergente della politica italiana. I nazionalisti si organizzarono intorno a una rivista, “Regno”, fondata nel 1903 e ebbero come forte punto di riferimento il celebre Gabriele D’Annunzio (1863-1938), insieme a molti altri intellettuali. I nazionalisti speravano che si potesse formare una nuova classe di governo in grado di guidare in modo autoritario e positivo la modernizzazione del paese. Il modello sociale da loro proposto prevedeva una società compatta, raccolta intorno al concetto ideale di “nazione”, il quale avrebbe dovuto sostituire il senso aggregativo delle “classi” (queste, infatti, erano da loro giudicate elementi di divisione e indebolimento della società, dunque della nazione). Il sistema di Giolitti, inevitabilmente, si fondava su una serie di accordi bilanciati con le parti sociali (da una parte sindacato e dall’altra industriali del Nord) e sul trasformismo in Parlamento. Il Governo, come organo di mediazione, doveva disinnescare i più gravi elementi portatori di conflitto in seno alla società. Un simile modello, però, poteva funzionare solo garantendo la pace sociale in modo duraturo, ma, di fatto, le forze politiche più dinamiche – cattolici, nazionalisti e socialisti – si collocarono al di fuori di questo sistema.

Prof. Monti – Storia V – a.s. 2016-2017 – l’età giolittiana

6

Tra i cattolici, per esempio, dopo i fermenti innovatori avutisi con Leone XIII prevalsero di nuovo le correnti più conservatrici. Giolitti sperava almeno che, dopo la conquista della Libia, i nazionalisti si sarebbero "tranquillizzati". Successe tutto il contrario: questi sempre più ritennero la guerra come la “medicina” necessaria ad una Italia “debole”, un’Italia troppo pacifista e umanitaria. Anche fra i socialisti furono i più estremisti, dopo il Congresso di Reggio Emilia del 1912, a riprendere forza: nello scontro fra riformisti e rivoluzionari (fra questi ultimi troviamo anche il giovane Benito Mussolini, 1883-1945) furono gli ultimi a prevalere. La nuova linea politica dettava l'azione diretta e lo sciopero generale, la violenza invece del gradualismo. Le elezioni del 1913, le prime a suffragio universale maschile, sancirono la crisi del sistema di Giolitti. Giolitti ottenne sì la maggioranza, ma buona parte dei deputati liberali eletti aderiva al cosiddetto “patto Gentiloni” (nome di un accordo con cui Vincenzo Gentiloni, presidente dell’Unione elettorale cattolica, offriva il proprio appoggio in funzione antisocialista ai candidati che fossero stati disposti a difendere la posizione della Chiesa in materia di istruzione e di diritti civili). Questo fece sì che la nuova maggioranza fosse internamente più che mai divisa: i candidati eletti grazie al voto dei cattolici premevano per una rottura con i socialisti, gli altri erano invece favorevoli a continuare il rapporto con i socialisti riformisti. Anche fra i liberali, poi, le suggestioni nazionaliste cominciavano a far breccia. Ormai il compromesso giolittiano, che si basava proprio sull’alleanza fra liberali e socialisti, falliva: ecco che Giolitti si dimise il 10 marzo 1914. Il nuovo capo del governo, Antonio Salandra, era un liberale di destra: sarà lui a guidare l’Italia alla guerra. Allo scoppio della Grande Guerra, l’Italia è ancora legata alla Triplice Alleanza (siglata, come ricorderete, nel 1882 con Germania e Impero Austro-ungarico). Di fatto, però, il trattato era solo difensivo. Questo consentì all’Italia di distaccarsi dalla posizione degli alleati in relazione alle varie crisi che precedettero la guerra stessa (i cosiddetti "giri di valzer"). L’Italia, per esempio, appoggiò l’intervento di Francia e Spagna in Marocco contro gli interessi tedeschi. La formulazione dell’accordo consentì all’Italia prima di dichiarare la neutralità allo scoppio della guerra e, successivamente, di giungere al rovesciamento delle alleanze con il suo schieramento contro Germania e Austria. La neutralità, dichiarata nell’agosto 1914, ebbe ha un ampio consenso politico (liberali fedeli a Giolitti, socialisti e la più parte dei cattolici, contro sindacalisti rivoluzionari, nazionalisti e liberali di destra, democratici repubblicani). Anche se i neutralisti avvano la maggioranza in Parlamento, saranno però gli interventisti ad "accendere" le passioni di piazza. Celebre rimase, a questo riguardo, un discorso che Gabriele d’Annunzio tenne al teatro Costanzo di Roma. Alla fine, per la vittoria della posizione interventista, risultò determinante l’intervento della monarchia e del governo Salandra. Da tempo, infatti, erano stati avviati dei colloqui segreti con l’Intesa: il 26 aprile 1915 venne firmato il Trattato di Londra, all’insaputa del Parlamento. L’Italia si impegnava a entrare in guerra entro un mese in cambio di Trentino, Alto Adige, Istria, Dalmazia e del Dodecaneso.

La Grande GuerraProf. Monti – a.s. 2016-2017

L’ATTENTATO DI SARAJEVO

28 giugno 1914 – Gavrilo Princip, studente serbo, uccide l’arciduca Francesco Ferdinando e la moglie in visita a Sarajevo, capitale della Bosniacapitale della Bosnia.

Egli apparteneva ad una organizzazione irredentista serba, chiamata “mano nera”chiamata “mano nera”.

Un “banale” attentato terroristico mette in moto una catena di eventi che, in breve tempo, portano alla Prima guerra mondiale.eventi che, in breve tempo, portano alla Prima guerra mondiale.

Questa fase storica durerà trent’anni, sino al termine della Seconda guerra mondiale e segnerà il definitivo ridimensionamento dei Paesiguerra mondiale, e segnerà il definitivo ridimensionamento dei Paesi europei nel mondo.

La Grande GuerraProf. Monti – a.s. 2016-2017

L’ATTENTATO DI SARAJEVO

Il caso e la storia – La “grande storia” può essere influenzata da eventi singoli, circostanze accidentali, decisioni di un oscuro individuo?

Nell’Europa del 1914 esistevano tutte le premesse per la guerra, p p p g ,certo, ma cosa sarebbe accaduto se Princip non fosse riuscito nelsuo intento?

È impossibile dirlo con certezza: questa semplice considerazione è sufficiente, forse, a smentire la convinzione hegeliana relativa ll i lità ità d l di i t ialla razionalità e necessità del divenire storico...

La Grande GuerraProf. Monti – a.s. 2016-2017

LA CATENA DEGLI EVENTI: “EFFETTO DOMINO”

• 23 luglio 1914 – durissimo ultimatum alla Serbia (dopo quasi un mese!).

• La Russia assicura alla Serbia il proprio sostegno.

• I serbi possono, così, accettare solo in parte l’ultimatum: non sono disposti ad ammettere investigatori austriaci nelle indagini relative all’omicidio.indagini relative all omicidio.

• 28 luglio 1914 – l’Austria dichiara guerra alla Serbia.

• 29 luglio 1914 – La Russia ordina la mobilitazione delle forze armate lungo tutto il fronte occidentale.

La Grande GuerraProf. Monti – a.s. 2016-2017

LA CATENA DEGLI EVENTI: “EFFETTO DOMINO”

• 31 luglio 2014 – La Germania interpreta la mobilitazione russa come un atto ostile: invia un ultimatum alla Russia.

• 1 agosto 1914 – La Russia ignora l’ultimatum: la Germania le dichiara guerra. A questo punto, la Francia mobilita le proprie g q p , p pforze armate in ottemperanza all’alleanza con la Russia.

• 2-3 agosto 1914 – La Germania invia un ultimatum anche alla2 3 agosto 1914 La Germania invia un ultimatum anche alla Francia. Segue la dichiarazione di guerra.

Da quanto detto, dovrebbe essere chiaro come l’iniziativa venga presa soprattuttodai tedeschi. Si noti, infatti, come fra l’attentato all’arciduca alla dichiarazione diguerra l’Austria lascia che trascorra un mese La Germania invece passaguerra l Austria lascia che trascorra un mese. La Germania, invece, passadall’ultimatum alla dichiarazione di guerra in un solo giorno!

La Grande GuerraProf. Monti – a.s. 2016-2017

PERCHÉ LA GERMANIA AGÌ COSÌ VELOCEMENTE?

- Gli interessi tedeschi non apparivano danneggiati dalla questione balcanica: in questo senso, la velocità dell’intervento tedesco appare inspiegata.

- Complesso di accerchiamento in relazione alle recenti ambizioni pcoloniali.

- Il piano di guerra del capo di stato maggiore Alfred vonIl piano di guerra del capo di stato maggiore Alfred von Schlieffen (elaborato ai primi del ‘900, dava per scontata la presenza di due fronti massiccio attacco contro la Francia, rapida vittoria, successiva concentrazione sul fronte orientale contro la Russia)successiva concentrazione sul fronte orientale contro la Russia).

Il presupposto essenziale era, dunque, la rapidità: la Germania doveva prendere l’iniziativadoveva prendere l iniziativa...

La Grande GuerraProf. Monti – a.s. 2016-2017

L’INVASIONE DEL BELGIO PROVOCA L’INTERVENTOBRITANNICO

- Il 4 agosto 1914, contingenti tedeschi invadono il Belgio (che era g , g g (neutrale!) per attaccare la Francia da nord-est e conquistare velocemente Parigi.

Vi l l t lità è i hi i t d hi it hViolare la neutralità è un grosso rischio, ma i tedeschi ritengono che questo fornirà un vantaggio decisivo. Pensano, inoltre, che gli inglesi non reagiranno.

- Errore! Il 4 agosto stesso la Gran Bretagna, spinta anche dall’enorme pressione dell’opinione pubblica interna, dichiara

ll G iguerra alla Germania.

- Il piano Schlieffen promette di rivelarsi un fallimento sin dal primo giorno...

La Grande GuerraProf. Monti – a.s. 2016-2017

SOTTOVALUTAZIONE...

Tutti i governi dei Paesi coinvolti furono accomunati da un identicoTutti i governi dei Paesi coinvolti furono accomunati da un identico errore: la guerra sarà breve e vittoriosa.

Essa servirà a soffocare i contrasti sociali interni e a rafforzare la posizione di forza detenuta da governi e classi dirigenti.

Non è un caso se l’appello al pacifismo trovò, in tutti i Paesi, scarso appeal presso l’opinione pubblica.

Il richiamo al patriottismo dimostrò, invece, tutta la sua forza. Per tutti si trattava di una “guerra giusta” In Francia si parlò addiritturatutti si trattava di una guerra giusta . In Francia si parlò, addirittura, di “unione sacra”, quasi si trattasse di una crociata!

Neppure i partiti socialisti – per vocazione internazionalisti eNeppure i partiti socialisti per vocazione internazionalisti e pacifisti – seppero opporsi validamente.La socialdemocrazia tedesca votò i crediti di guerra; i socialisti francesi entrarono a far parte del governo. La Seconda internazionale praticamente si sciolse.

La Grande GuerraProf. Monti – a.s. 2016-2017

DALLA “GUERRA DI MOVIMENTO” ALLA “GUERRA DIDALLA “GUERRA DI MOVIMENTO” ALLA “GUERRA DILOGORAMENTO”

Coscrizione obbligatoria (GB solo nel 1916) ed efficienza dei mezzi di trasporto consentono di mobilitare in brevissimo tempo enormi esercitieserciti.

Nuove armi: fucili a ripetizione, cannoni a lunga gittata, ma soprattutto mitragliatricisoprattutto mitragliatrici.

Queste novità tecniche, però, erano state ignorate dagli strateghi, i ti f i ll i di di i t tili t d irimasti fermi alla concezione di guerra di movimento utilizzata dai

tedeschi nel 1870 contro la Francia.

La Grande GuerraProf. Monti – a.s. 2016-2017

DALLA “GUERRA DI MOVIMENTO” ALLA “GUERRA DIDALLA “GUERRA DI MOVIMENTO” ALLA “GUERRA DILOGORAMENTO”

Per la Germania le cose, all’inizio, sembrano andare bene: già ai primi di settembre sono attestati sulle rive della Marna, a poche decine di chilometri da Parigi L’avanzata comunque è stata piùdecine di chilometri da Parigi. L avanzata, comunque, è stata più lenta del previsto...

Sul fronte orientale i tedeschi sconfiggono i russi nelle battaglie diSul fronte orientale, i tedeschi sconfiggono i russi nelle battaglie di Tannenberg e dei Laghi Masuri. I russi, però, infliggono delle sconfitte agli austriaci...

Il 6 settembre i francesi riescono a reagire: i tedeschi vengono respinti fino ai fiumi Aisne e Somme. Lì resteranno molto a lungo...

La Grande GuerraProf. Monti – a.s. 2016-2017

I “PAESI MINORI”

La guerra manifestò una chiara tendenza all’ampliamento:numerosi Stati che all’inizio del conflitto erano rimasti neutrali bennumerosi Stati che, all inizio del conflitto, erano rimasti neutrali ben presto vi presero parte.

Qualcuno temeva di venir penalizzato dal nuovo assetto europeoQualcuno temeva di venir penalizzato dal nuovo assetto europeoche sarebbe uscito dalla guerra, qualcun altro sperava di realizzare ambizioni di ampliamento territoriale.

La Grande GuerraProf. Monti – a.s. 2016-2017

I “PAESI MINORI”

- Agosto 1914: Il Giappone dichiara guerra alla Germania (possedimenti tedeschi in estremo oriente).

- Novembre 1914: L’Impero ottomano interviene in alleanza con Austria e Germania.

- Maggio 1915: è la volta dell’Italia a fianco dell’Intesa.

L B l i i t f di G i A t i- La Bulagaria intervenne a favore di Germania e Austria; Portogallo, Romania e Grecia sul fronte opposto.

- Aprile 1917: Intervento degli USA.

La Grande GuerraProf. Monti – a.s. 2016-2017

L’ITALIA NEL 1915

Si trattò di una scelta molto contrastata, che vide opposti schieramenti.

L’iniziale dichiarazione di neutralità, consentita dalla natura difensiva della Triplice Alleanza, trovò il consenso di quasi tutte le forze politicheforze politiche.

Presto, una volta scartata l’ipotesi di combattere a fianco di tedeschi e austriaci si affacciò la possibilità opposta con latedeschi e austriaci, si affacciò la possibilità opposta, con la possibilità di conquista delle terre irredente.

La Grande GuerraProf. Monti – a.s. 2016-2017

L’ITALIA NEL 1915

Interventisti: da sinistra repubblicani, radicali, associazioni irredentiste, frange “eretiche” del movimento operaio; da destra nazionalisti e liberali-conservatori (Salandra Sonnino) monarchianazionalisti e liberali conservatori (Salandra, Sonnino), monarchia.

Neutralisti: la maggior parte dei liberali, fedeli a Giolitti; l’ambito cattolico con papa Benedetto XV Partito socialista CGLcattolico, con papa Benedetto XV, Partito socialista, CGL.

Si noti come il PSI fosse l’unico partito socialista europeo a tenere f il ifi h l’ ll di tt d ll’“A ti!”fermo il pacifismo, anche se l’allora direttore dell’“Avanti!”, organo del partito, si schierò a favore dell’intervento: si trattava di Benito Mussolini.

Espulso nel novembre del 1914, Mussolini fondò un nuovo quotidiano, “Il Popolo d’Italia”. q , p

La Grande GuerraProf. Monti – a.s. 2016-2017

L’ITALIA NEL 1915

I neutralisti erano, tanto in Parlamento che nel Paese, in chiara maggioranza. Mancavano, però, di obiettivi comuni.

Gli interventisti erano meno, ma più coesi: uniti dal desiderio di guerra contro l’Austria e dall’avversione verso Giolitti, seppero mobilitare le piazze e i sentimenti popolarimobilitare le piazze e i sentimenti popolari.

Il “partito della guerra”, inoltre, era composto dagli strati più giovani lti d ll i tà t d ti i ti f i i tie colti della società: studenti, insegnanti, professionisti.

Interventisti erano anche numerosi intellettuali di prestigio (Gaetano Salvemini Giovanni Gentile Gabriele D’Annunzio)Salvemini, Giovanni Gentile, Gabriele D Annunzio).

La Grande GuerraProf. Monti – a.s. 2016-2017

IL PATTO DI LONDRA

A decidere l’ingresso in guerra furono, comunque, il capo del governo Salandra, il ministro degli esteri Sonnino e il re, Vittorio Emanuele IIIEmanuele III.

Il 26 aprile 1915, con il placet del sovrano, venne firmato il Patto di Londra con Inghilterra Francia e RussiaLondra con Inghilterra, Francia e Russia.

L’Italia sarebbe entrata in guerra entro un mese e, in caso di vittoria, avrebbe ottenuto Trentino, Sud Tirolo, la Venezia Giulia, mavittoria, avrebbe ottenuto Trentino, Sud Tirolo, la Venezia Giulia, ma anche l’Istria e parte della Dalmazia.

Quando ai primi di maggio Giolitti si pronunciò a favore dellaQuando, ai primi di maggio, Giolitti si pronunciò a favore della continuazione delle trattative con l’Austria, Salandra si dimise.

Il re però ne respinse le dimissioni e nel frattempo gli interventistiIl re, però, ne respinse le dimissioni e, nel frattempo, gli interventisti accesero le piazze durante le “radiose giornate”.

La Grande GuerraProf. Monti – a.s. 2016-2017

L’INGRESSO IN GUERRA

Il 20 maggio 1915, la Camera intimorita votò i pieni poteri al governo (con l’opposizione dei socialisti).

La sera del 23 maggio l’Italia dichiarava guerra all’Austria.

Assai diffusa era la convinzione che l’intervento dell’Italia avrebbeAssai diffusa era la convinzione che l’intervento dell’Italia avrebbe, in tempi assai brevi, rotto l’equilibrio a favore dell’Intesa...

La Grande GuerraProf. Monti – a.s. 2016-2017

ANCORA UNA VOLTA: LE COSE NON VANNO COMEPREVISTOPREVISTO...

Dopo aver ripiegato per pochi chilometri, gli austriaci si attestano s l fi me Ison o e s lle alt re del Carsosul fiume Isonzo e sulle alture del Carso.

Nel corso del 1915, Luigi Cadorna ordina quattro offensive (le prime quattro “battaglie dell’Isonzo”): i risultati sono nulli, assai numerosi i morti...

Gli Austro-ungarici sono inferiori in numero, ma difendersi è molto più facile che avanzare, inoltre il terreno li favorisce.

La Grande GuerraProf. Monti – a.s. 2016-2017

FRANCIA E GERMANIA: VERDUN E SOMME

Sul fronte francese – il fronte occidentale – le cose non vanno diversamente: centinaia di migliaia di morti in cambio di nulla.

-Inizio 1916: nell’offensiva tedesca su Verdun, quattro mesi di battaglia costano circa 600.000 morti.

- Poco dopo, l’offensiva guidata dagli inglesi all’altezza del fiume Somme, costa circa 1.000.000 di vittime in sei mesi circa.

La Grande GuerraProf. Monti – a.s. 2016-2017

LA “SPEDIZIONE PUNITIVA” AUSTRIACA

Giugno 1916 – gli austriaci tentano una controffensiva: gli italiani sono presi alla sprovvista e arretrano, ma riescono a rintuzzare l’attaccol attacco.

- Il governo Salandra si dimette: viene sostituito da un governo di coalizione nazionale guidato da Paolo Bosellicoalizione nazionale guidato da Paolo Boselli.

- La strategia offensiva dell’Italia non cambia: nel corso del 1916 vi sono altre cinque battaglie dell’Isonzo ordinate da Cadorna, senza esito alcuno.

La Grande GuerraProf. Monti – a.s. 2016-2017

RUSSIA E GERMANIA

Già nell’estate del 1915, i russi furono costretti ad arretrare abbandonando quasi tutta la Polonia.

Mentre gli austriaci attaccano e cancellano la Serbia, gli inglesi cercano di portare aiuto alla Russia con una spedizione navale che attaccò lo stretto dei Dardanelli (primavera estate 1915) ma fuattaccò lo stretto dei Dardanelli (primavera-estate 1915), ma fu un fallimento.

Nel giugno del 1916 sono i russi a contrattaccare contro gli austriaci, ma all’iniziale successo subentra un nuovo arretramento.

La Grande GuerraProf. Monti – a.s. 2016-2017

BLOCCO NAVALE

Nel frattempo, gli inglesi attuano un efficace blocco navale nel Mare del Nord: lo scopo è impedire il più possibile l’arrivo di rifornimenti in Germania.

Il fattore tempo gioca a favore dell’Intesa: più ricca sia di uomini p g pche di risorse economiche.

Maggio 1916: ha luogo l’unica vera e propria battaglia navale dellaMaggio 1916: ha luogo l unica vera e propria battaglia navale della Grande Guerra in prossimità della penisola dello Jutland, nel Mare del Nord. La flotta tedesca attacca quella inglese: ha la meglio ma le perditeLa flotta tedesca attacca quella inglese: ha la meglio, ma le perdite sono assai ingenti e le riserve assai meno consistenti rispetto a quelle britanniche. I comandi tedeschi decisero di ritirare le navi nei

tiporti...

La Grande GuerraProf. Monti – a.s. 2016-2017

LO “STALLO”, OVVERO LA VITA NELLE TRINCEE

Pur fra tante novità belliche (mitragliatrici, cannoni a lunga gittata, primi aerei e primi carri armati) le trincee sono certamente il simbolo della Grande Guerra.

Lo schema di battaglia era sempre il medesimo: “preparazione” g p p pcol fuoco dell’artiglieria, assalto alla baionetta (che favorisce i difensori), contrattacco da parte della seconda linea nemica: nulla è cambiato e i morti si accumulano.cambiato e i morti si accumulano.

Non è difficile capire come anche un breve periodo in trincea dissolvesse persino il più ferreo entusiasmo patriotticodissolvesse persino il più ferreo entusiasmo patriottico.Se aggiungiamo il fatto che il tipico soldato comune non aveva che qualche vaghissima idea sul perché stesse combattendo, si

t d l t h l di ff ipotranno comprendere la stanchezza, la disaffezione, l’insubordinazione, la fuga.

La Grande GuerraProf. Monti – a.s. 2016-2017

L “ ”LO “STALLO”, OVVERO LA VITA NELLE TRINCEE

Vi erano dei reparti speciali costituiti da minoranze di combattenti p pconvinti – come le “sturmtruppen” tedesche o gli “Arditi” italiani – ma i più combattevano per solidarietà verso il camerata e per mera costrizionemera costrizione.

Si diffusero sempre più, in tutti i Paesi, renitenza alla leva, diserzione autolesionismodiserzione, autolesionismo.

Questi fenomeni, ovviamente, crebbero con la durata del conflitto e i l l i l d l 1917giunsero al loro massimo nel corso del 1917.

La Grande GuerraProf. Monti – a.s. 2016-2017

NUOVE ARMI

A i hi i h i t d hi l d tt i i l 1915Armi chimiche – i tedeschi le adottarono per primi, nel 1915, presto imitati dagli altri Paesi.

Aviazione pochissimi e assai poco efficaci i bombardamenti gliAviazione – pochissimi e assai poco efficaci i bombardamenti, gli aeri venivano utilizzati per la “caccia” e per la ricognizione fotografica.

Carri armati – le prime autoblindo avevano capacità di manovra assai limitata, fino a che nel 1916 gli inglesi sostituirono le ruote con i cingoli Solo nel novembre del ’17 però quindi quasi allacon i cingoli. Solo nel novembre del 17 però, quindi quasi allafine del conflitto, gli inglesi ne fecero un uso maggiore.

Sottomarini – Furono, fatta eccezione per la mitragliatrice, gl’unica innovazione che ebbe un uso efficace nella Grande Guerra. I tedeschi li utilizzarono per colpire le navi mercantili,anche di Paesi neutrali, che rifornivano l’Intesa.anche di Paesi neutrali, che rifornivano l Intesa.

La Grande GuerraProf. Monti – a.s. 2016-2017

NUOVE ARMI

Sottomarini – Nonostante lo scarso numero di scafi a disposizione, il sottomarino si dimostrò assai efficace, ma problematico per le conseguenze del suo utilizzo.

Nel maggio 1915 un u-boot tedesco affondò il transatlantico inglese Lusitania, che dall’America trasportava oltre cento cittadini americani, ma anche armi per gli inglesi.

Le proteste degli USA furono così forti che la Germania decise di rinunciare alla guerra sottomarina illimitata, limitandosi ad attaccare navi militariattaccare navi militari. In questo modo, però, il nuovo mezzo perdeva buona parte della sua efficacia...

La Grande GuerraProf. Monti – a.s. 2016-2017

MOBILITAZIONE TOTALE E “FRONTE INTERNO”

La Grande Guerra non fu solo una guerra di soldati. Assai ampio, infatti, fu il coinvolgimento di civili.

Vuoi perché si viveva in zone coinvolte dai vari fronti, vuoi per l’appartenenza a minoranze etniche sospettate di potersi accordare con il nemico in vista dell’indipendenza la popolazione civile eracon il nemico in vista dell indipendenza, la popolazione civile era spesso tragicamente coinvolta.

A questo riguardo, quello degli armeni è un caso limite che vale la pena di ricordare.

La Grande GuerraProf. Monti – a.s. 2016-2017

IL CASO ARMENO

Popolazione di religione cristiana abitante ampie regioni del Caucaso – diviso fra turchi e russi – già a fine ‘800 avevano patito col sangue i tentativi di ribellione.col sangue i tentativi di ribellione.

Nella primavera e nell’estate del 1915, quanto la regione caucasica era zona di guerra gli armeni che vivevano in territorio turcoera zona di guerra, gli armeni che vivevano in territorio turco subirono una deportazione che sfociò nel massacro di circa un milione di persone.

I turchi temevano che gli armeni si alleassero con i russi e, per questo, adottarono i sistemi più brutali.Ancora oggi, peraltro, il governo turco protesta in maniera vibrante ogni qual volta venga evocato il “genocidio armeno”.g q g g

La Grande GuerraProf. Monti – a.s. 2016-2017

GUERRA TOTALE

Al di là di questi esiti tragici, la Grande Guerra coinvolse davvero tutti.

1 Radicali mutamenti nell’economia e nella produzione industriale (lo Stato, come committente principale, interviene nell’economia dei vari Paesi assai più di quanto non fosse accaduto in precedenza: ildei vari Paesi assai più di quanto non fosse accaduto in precedenza: il liberismo viene superato dalla Storia).

2 Anche l’agricoltura venne posta sotto il controllo statale: requisizioni, prezzi controllati, razionamento (in Germania si giunse a parlare di “socialismo di guerra”).

3 Aumento della burocrazia3 Aumento della burocrazia.

4 I gerarchi militari influenzano pesantemente la politica e le sue scelte (in Germania il potere era interamente nelle mani del capo di Statoscelte (in Germania il potere era interamente nelle mani del capo di Stato maggiore Paul von Hindenburg e del generale Erich Ludendorff; non molto differente era la situazione in Francia e in Gran Bretagna).

La Grande GuerraProf. Monti – a.s. 2016-2017

LA PROPAGANDA... E IL DISSENSO

Solo mobilitando tutte le risorse disponibili, come ben presto tutti compresero, sarebbe stato possibile vincere la guerra.

Questo significava che tutti, nessuno escluso, avrebbero dovuto collaborare. Da qui l’inedito sforzo compiuto da parte di tutti i governi per “pubblicizzare” la guerra: il nemico è l’incarnazionegoverni per pubblicizzare la guerra: il nemico è l incarnazione del Male, le nostre ragioni sono le più giuste che si possano avere, i nostri soldati i più eroici...

L’opinione pubblica doveva... credere.

Nonostante l’appoggio fornito da quasi tutti i partiti socialisti, il movimento operaio europeo non fece mancare la sua voce di dissensodissenso.

La Grande GuerraProf. Monti – a.s. 2016-2017

LA PROPAGANDA... E IL DISSENSO

Nel settembre del 1915 e, meno di un anno dopo, nell’aprile 1916 si tennero in Svizzera (presso Zimmerwald e Kienthal) due conferenze socialiste internazionali i cui documenti finali condannavano lasocialiste internazionali i cui documenti finali condannavano la guerra e chiedevano una “pace senza annessioni e senza indennità”.

Col prolungarsi della guerra, questi gruppi si rafforzarono.Fra questi gruppi spiccavano gli spartachisti tedeschi (chiamatiFra questi gruppi, spiccavano gli spartachisti tedeschi (chiamati così dalla “Lega di Spartaco”, fondata da Rosa Luxenburg) e i bolscevichi russiguidati da Lenin.

La Grande GuerraProf. Monti – a.s. 2016-2017

LA SVOLTA DEL 1917

Il 1917 portò la tanto attesa rottura dell’equilibrio bellico, rottura che giunse grazie a due avvenimenti di vasta portata.

1. La rivoluzione bolscevica

2. L’intervento diretto degli USA nella Grande Guerra

La Grande GuerraProf. Monti – a.s. 2016-2017

VERSO LA RIVOLUZIONE BOLSCEVICA

Marzo 1917 – uno sciopero generale degli operai di Pietrogrado(come era stata ribattezzata la capitale russa) si trasformò in una manifestazione politica ostile al regime dello zar.

Diversamente da quanto accaduto nel 1905, i soldati rifiutarono di q ,sparare sulla folla: anche l’esercito era, ormai, allo stremo delle forze.Occorre a questo riguardo ricordare che già prima dell’inizio dellaOccorre a questo riguardo ricordare che, già prima dell inizio della guerra, la situazione economica e sociale russa era tutt’altro che positiva.

La Grande GuerraProf. Monti – a.s. 2016-2017

VERSO LA RIVOLUZIONE BOLSCEVICAVERSO LA RIVOLUZIONE BOLSCEVICA

15 Marzo 1917 – Lo zar decide di abdicare e, dopo pochi giorni, lui e la sua intera famiglia vengono posti in stato di arrestoe la sua intera famiglia vengono posti in stato di arresto.

Nei mesi successivi, una serie di governi provvisori si dimostrano ’incapaci di gestire la situazione: la celebre rivoluzione d’ottobre

guidata da Lenin spazzerà via il regime zarista portando alla nascita, come vedremo, dell’Unione Sovietica.

Moltissimi soldati abbandonarono l’esercito nella speranza di una redistribuzione delle terre ai contadini; in luglio, il governo tentò una ; g , gfallimentare offensiva contro gli austro-tedeschi, i quali non trovando più resistenza poterono trasferire molti effettivi sui fronti occidentalioccidentali.

La Grande GuerraProf. Monti – a.s. 2016-2017

GLI USA INTERVENGONOGLI USA INTERVENGONO

Sin dall’inizio del conflitto, gli USA avevano preso le parti della Triplice Intesa fornendo ingenti aiuto economici e militari alla Gran Bretagna.

Già da tempo, la Germania era ritornata a praticare la guerra sottomarina indiscriminata, colpendo anche le navi mercantili di Paesi “neutrali”.mercantili di Paesi neutrali .

Il 6 aprile 1917 gli USA entrano in guerra sbandierando una pesante retorica libertaria difendendo ancor più pesanti interessipesante retorica libertaria, difendendo ancor più pesanti interessi economici (ingenti prestiti a Francia e Gran Bretagna)...Gli americani poterono dispiegare il loro dispositivo bellico solo dopo parecchi mesi ma l’impatto di forze fresche risulterà decisivodopo parecchi mesi, ma l impatto di forze fresche risulterà decisivo.

La Grande GuerraProf. Monti – a.s. 2016-2017

AMMUTINAMENTIAMMUTINAMENTI

Sempre più soldati si rifiutavano di combattere, giungendo all’ammutinamento di massa.

Il caso più clamoroso riguardò i soldati francesi: nel maggio del ‘17, g ggdopo l’ennesima inutile offensiva, vi fu un ammutinamento che coinvolse ben 40.000 soldati.

La repressione fu durissima, ma da qui in avanti il trattamento dei soldati conobbe dei miglioramenti.Il comando dell’esercito francese fu affidato al generale PhilippeIl comando dell esercito francese fu affidato al generale Philippe Pétain, sostenitore della “linea morbida” nei confronti degli uomini al fronte.

La Grande GuerraProf. Monti – a.s. 2016-2017

IMPERI CENTRALIIMPERI CENTRALI

La situazione di Austria e Germania non risultava certo migliore. Anche in questi Paesi si verificarono importanti scioperi e, in maggio, i marinai della flotta tedesca del mar Baltico si ammutinarono.

Nell’Impero austro-ungarico l’andamento della guerra aveva pesantemente rinfocolato le aspirazioni indipendentiste.pesantemente rinfocolato le aspirazioni indipendentiste. Si costituì un governo cecoslovacco in esilio, mentre serbi, croati e sloveni si accordano per dar vita a un nuovo Stato non appena la guerra fosse terminata: si trattava della Jugoslaviaguerra fosse terminata: si trattava della Jugoslavia.

La Grande GuerraProf. Monti – a.s. 2016-2017

CARLO I E BENEDETTO XV

Nel frattempo il vecchio imperatore Francesco Giuseppe era mortop p pp(novembre del 1916) e il successore Carlo I, ben comprendendo i rischi di disgregazione che l’Impero stava correndo, propose segretamente all’Intesa (febbraio – aprile 1917) i termini di una pacesegretamente all Intesa (febbraio aprile 1917) i termini di una pace separata, ma la sua offerta non venne accolta.

Nell’agosto del 1917 anche Papa Benedetto XV prese l’iniziativaNell agosto del 1917 anche Papa Benedetto XV prese l iniziativa, rivolgendo un accorato appello a tutte le forze in campo affinché si ponesse fine alla “inutile strage”: parole quanto mai infelici!L’ ll d l P i f tti i h i id i li tL’appello del Papa, infatti, pareva riecheggiare idee socialiste e, cosa ancor più importante, quale governo avrebbe potuto accettare di sentir definire come “inutile” un impegno bellico che stava assumendo costi inimmaginabili?

La Grande GuerraProf. Monti – a.s. 2016-2017

C ’ICAPORETTO: L’ITALIA DI FRONTE AL DRAMMA

Il generale Cadorna pareva rifiutare l’evidenza: dal maggio al g p ggsettembre 1917 nuove offensive lungo l’Isonzo portarono in dote il solito carico di morte e di inconcludenza.

Sia fra i soldati che nella popolazione civile aumentava l’insofferenza di fronte a una guerra il cui senso appariva sempre più sfuggentepiù sfuggente. Nonostante ciò, si registra un unico vero e proprio moto eversivo: fra 22 e 26 agosto, a Torino, una protesta nata dalla mancanza di pane degenerò anche per la presenza di una fortemancanza di pane degenerò anche per la presenza di una forte componente operaia.

La Grande GuerraProf. Monti – a.s. 2016-2017

C ’ICAPORETTO: L’ITALIA DI FRONTE AL DRAMMA

Il fronte russo era, come abbiamo visto, in smobilitazione: tedeschi e austriaci poterono così spostare numerosi contingenti di truppe sul fronte italiano.

27 / 10 1917 – Truppe austriache a tedesche attaccano il fronte italiano sull’alto Isonzo, sfondando le linee italiane presso ilitaliano sull alto Isonzo, sfondando le linee italiane presso il villaggio di Caporetto (posto a nord di Gorizia).

Determinante per la penetrazione nel Friuli fu anche l’uso di unaDeterminante per la penetrazione nel Friuli fu anche l uso di una nuova tattica militare: l’infiltrazione.

La Grande GuerraProf. Monti – a.s. 2016-2017

C ’ICAPORETTO: L’ITALIA DI FRONTE AL DRAMMA

La manovra ebbe successo, al punto tale che la più parte delle p p ptruppe italiane, onde evitare un fatale accerchiamento, dovettero abbandonare le posizioni che tenevano praticamente dall’inizio della guerra.della guerra.

La ritirata assunse l’aspetto di una vera e propria rotta: occorsero due settimane perché quanto restava dell’esercito – circa la metàdue settimane perché quanto restava dell esercito circa la metà dei precedenti effettivi – potesse attestarsi sul fiume Piave.

Austriaci e tedeschi avevano fatto circa 300 000 prigionieriAustriaci e tedeschi avevano fatto circa 300.000 prigionieri, requisendo anche ingenti quantità di armamenti e rifornimenti vari.

La Grande GuerraProf. Monti – a.s. 2016-2017

CAPORETTO: LO “SCARICA BARILE”

Cadorna, prima di essere sostituito da Armando Diaz a capo delle truppe, scaricò la responsabilità della cocente sconfitta sui soldati, accusandoli di essersi arresi senza combattereaccusandoli di essersi arresi senza combattere.

Le ragioni erano, in effetti, altre: da una parte l’efficacia e la rapidità dell’azione austro-tedesca, dall’altra la evidente impreparazione dei comandi italiani che non seppero attuare rapide contromisurecomandi italiani, che non seppero attuare rapide contromisure.

La Grande GuerraProf. Monti – a.s. 2016-2017

CAPORETTO: DALLA DISFATTA A UN NUOVO INIZIO

Il disastro di Caporetto costrinse gli italiani a un radicale cambio di strategia: cosa che, ben presto, si dimostrerà determinante per le sorti del conflittosorti del conflitto.

Sul Piave il fronte risultava di molto accorciato- Sul Piave il fronte risultava di molto accorciato.

- La guerra assumeva ora un carattere difensivo e risultava più ibil i ll l i h i ld ticomprensibile, sia alla popolazione che ai soldati.

- Diaz si mostrò più comprensivo di Cadorna: riducendo il ricorso alla repressione e sforzandosi di migliorare le condizioni di vita dei soldati.

- Gli italiani adottarono una meno dispendiosa tattica difensiva.

La Grande GuerraProf. Monti – a.s. 2016-2017

CAPORETTO: DALLA DISFATTA A UN NUOVO INIZIO

La sconfitta di Caporetto portò anche alla nascita di un nuovo governo di coalizione nazionale, presieduto da Vittorio Emanuele gOrlando.

Dall’inizio del 1918, anche la propaganda assunse toni nuovi.Dall inizio del 1918, anche la propaganda assunse toni nuovi. Agli ideali patriottici si affiancò una martellante campagna di persuasione nei confronti dei soldati: la vittoria avrebbe portato “terra ai contadini” (ricordate che per lo più i soldati eranoterra ai contadini (ricordate che, per lo più, i soldati erano proprio contadini!).

L’Italia inoltre abbracciò anche l’idea di guerra per laL Italia, inoltre, abbracciò anche l idea di guerra per la democrazia, idea ufficialmente alla base dell’intervento americano e base politica sfruttata dal presidente USA Wilson.

La Grande GuerraProf. Monti – a.s. 2016-2017

LA FINE DELLA GRANDE GUERRA: PRIMO ATTO

Nella notte tra il 24 e il 25 ottobre (per il calendario russo; 6-7 novembre per il nostro) i bolscevichi di Lenin assumono il )Comando in Russia: la “Rivoluzione d’ottobre” è compiuta.

Immediatamente, Lenin dichiara la sua disponibilità alla pace e, nelImmediatamente, Lenin dichiara la sua disponibilità alla pace e, nel marzo del 1918, firma l’oneroso trattato di Brest-Litovsk, cittadina sul confine polacco, accettando le dure condizioni dei tedeschicondizioni dei tedeschi.

Anche in risposta alla “sfida” di Lenin, l’Intesa accentua il carattere ideologico della guerra che viene presentata sempre più come unaideologico della guerra, che viene presentata sempre più come una lotta per la democrazia e la libertà contro la tirannide.

La Grande GuerraProf. Monti – a.s. 2016-2017

LA FINE DELLA GRANDE GUERRA: PRIMO ATTO

Anche il presidente americano Woodrow Wilson nel gennaio delAnche il presidente americano Woodrow Wilson, nel gennaio del 1918, espone un chiaro programma di pace articolato in 14 punti: sono i famosi 14 punti di Wilson.

Abolizione della diplomazia segreta e dei conseguenti trattati, libertà di navigazione, soppressione delle barriere doganali, riduzione degli armamenti, autodeterminazione dei popoli, istituzione della Società delle Nazioni: questi e altri elementi avrebbero dovuto assicurare, in futuro, pace e prosperità., , p p p

Il programma di Wilson, che pure raccolse ampi consensi, non poteva essere interamente condiviso dalle potenze dell’Intesa chepoteva essere interamente condiviso dalle potenze dell Intesa, che però fecero mostra di accettarlo in pieno: Gran Bretagna e Francia non potevano rinunciare all’aiuto americano, inoltre il “nuovo vangelo” made in USA sarebbe stato un antidoto contro il possibilevangelo made in USA sarebbe stato un antidoto contro il possibile contagio rivoluzionario.

La Grande GuerraProf. Monti – a.s. 2016-2017

LA FINE DELLA GRANDE GUERRA: SECONDO ATTO

Al di là di queste novità sul piano militare l’inizio del 1918 vedeva iAl di là di queste novità, sul piano militare l inizio del 1918 vedeva i due schieramenti ancora su un piano di equilibrio.

C i di i t di i i i t d hiConsci di avere ormai poco tempo a disposizione, i tedeschi concentrarono tutte le forze sul fronte occidentale e giunsero di Nuovo, in giugno, sulla Marna.Nello stesso mese, gli austriaci tentarono un risolutivo sfondamento sul fronte del Piave.

Entrambe le offensive non sortirono gli effetti sperati, mentre i soldati provenienti dagli Stati Uniti erano ormai affluiti in Europa.Alla fine di luglio l’Intasa passò al contrattacco e fra l’8 e l’11Alla fine di luglio l Intasa passò al contrattacco e fra l 8 e l 11 agosto, presso Amiens, i tedeschi subirono la prima vera sconfitta dall’inizio della guerra.

La Grande GuerraProf. Monti – a.s. 2016-2017

LA FINE DELLA GRANDE GUERRA: SECONDO ATTO

Le gerarchie militari tedesche ormai consce della sconfitta siLe gerarchie militari tedesche, ormai consce della sconfitta, si Adoperarono per sbarazzarsi di quel potere così a lungo detenuto: l’armistizio, infatti, si preannunciava estremamente duro. Si formò,

t t di li i i l h t tò l ia questo punto, un governo di coalizione nazionale che tentò la via della trattativa con l’Intesa, ma ormai era troppo tardi per i ripensamenti.

Sul fronte degli Imperi centrali, la Bulgaria cedette per prima, seguita a fine ottobre dall’Impero ottomano e da quello Austro-g p qungarico.

Il 24 ottobre 1918 gli italiani lanciarono un’offensiva sul PiaveIl 24 ottobre 1918, gli italiani lanciarono un offensiva sul Piave contro un impero ormai in dissoluzione.Sconfitti nella battaglia di Vittorio Veneto, gli austriaci firmarono a Villa Giusti a Padova l’armistizio: il 4 novembre 1918 cioè il giornoVilla Giusti, a Padova, l armistizio: il 4 novembre 1918, cioè il giorno successivo, i termini dell’accordo entravano in vigore.

La Grande GuerraProf. Monti – a.s. 2016-2017

LA FINE DELLA GRANDE GUERRA: CALA IL SIPARIOLA FINE DELLA GRANDE GUERRA: CALA IL SIPARIO

All’inizio di novembre i marinai della flotta tedesca di stanza a Kiel, sul mare del Nord, si ammutinarono dando vita, con gli operai del luogo, a consigli di fabbrica sul modello dei soviet.

Mentre l’imperatore Guglielmo II fuggiva in Olanda, il 9 novembre il socialdemocratico Friedrich Ebert venne nominato capo del governo: l’11 novembre i suoi delegati firmarono l’armistizio.g g

La Germania era stata sconfitta, ma si trattava di una “strana sconfitta”: sul campo di battaglia in fondo vi era stato un solo verosconfitta : sul campo di battaglia, in fondo, vi era stato un solo vero rovescio (Amiens) e il territorio tedesco non era mai stato invaso.

La Grande GuerraProf. Monti – a.s. 2016-2017

INIZIA LA CONFERENZA DI VERSAILLES

L f di i ì V ill il 18 i 1919La conferenza di pace si aprì a Versailles, il 18 gennaio 1919, e durò oltre un anno e mezzo. Partecipavano oltre 30 nazioni, ma non i Paesi vinti...

La situazione si presentava essai complessa e difficile da gestire:

- Quattro imperi – russo, turco, tedesco e austro-ungarico –erano scomparsi: l’Europa andava “ridisegnata”.

- Occorreva, in qualche modo, tener conto delle istanze democratiche ampiamente sbandierate nell’ultima parte del conflitto.

- Era necessario, parimenti, dar peso alla pressione dell’opinione pubblica così come alle diverse esigenze delle potenze i it i ivincitrici.

La Grande GuerraProf. Monti – a.s. 2016-2017

UNA PACE CONTRASTATAUNA PACE CONTRASTATA

I rappresentanti dei Paesi vincitori – l’americano Wilson, il francese Clemenceau, l’inglese Lloyd George e l’italiano Orlando (quest’ultimo in posizione assai marginale) – discussero questi difficili problemi.

L’effettiva realizzazione del programma di Wilson, i 14 punti, risultava ostacolata da molteplici fattori. pIn particolare, applicare il principio di autodeterminazione era tutt’altro che semplice – dato il fitto intreccio delle etnie europee – e occorreva anche tener conto del desiderio di Francia e Granoccorreva anche tener conto del desiderio di Francia e Gran Bretagna di punire duramente gli sconfitti (in primis la Germania).

La Grande GuerraProf. Monti – a.s. 2016-2017

LA QUESTIONE TEDESCA

È soprattutto in relazione alla Germania che il contrasto fra l’ideale di una pace foriera di democrazia e il desiderio di rivalsa –fortissimo soprattutto in Francia – emerse nitidofortissimo soprattutto in Francia emerse nitido.

I francesi chiedevano ben più della restituzione dell’Alsazia e della Lorena: avrebbero voluto che i confini giungessero fino alla riva delLorena: avrebbero voluto che i confini giungessero fino alla riva del Reno.Clemenceau rinunciò di fronte alla forte opposizione di Wilson e di Ll d G tt h USA I hilt i fLloyd George, ma ottenne che USA e Inghilterra si facessero garanti del rispetto dei confini tra Francia e Germania.

La responsabilità della guerra venne interamente addossata alla Germania e le conseguenti riparazioni di guerraammontavano ad una cifra così esorbitante che, se interamente ,pagata, avrebbe per decenni affossato l’economia tedesca.

La Grande GuerraProf. Monti – a.s. 2016-2017

CONDIZIONI DURISSIME

Ecco che il trattato di pace, firmato il 28 giugno 1919 sotto laEcco che il trattato di pace, firmato il 28 giugno 1919 sotto la minaccia della occupazione militare, fu un vero e proprio Diktat, come fu in effetti chiamato in Germania.

- Le regioni dell’ Alsazia e della Lorena tornavano alla Francia.

- Alcuni territori orientali vennero ceduti alla ricostituita Polonia: il cosiddetto “corridoio polacco” che rompeva l’unità territorialecosiddetto corridoio polacco , che rompeva l unità territoriale tedesca e permetteva alla Polonia l’accesso al mar Baltico presso Danzica (che venne dichiarata “città libera”, nonostante f bit t d i t d )fosse abitata da una maggioranza tedesca).

- La Germania perse anche tutte le sue colonie, che vennero spartite tra Francia Inghilterra e Giapponespartite tra Francia, Inghilterra e Giappone.

La Grande GuerraProf. Monti – a.s. 2016-2017

CONDIZIONI DURISSIME

Servizio militare abolito annullata la marina militare- Servizio militare abolito, annullata la marina militare, concessione di un massimo di 100.000 soldati, smilitarizzazione dell’intera valle del Reno, una fascia di circa 50 k ll i d t d l fi (t it i h bb t t50 km sulla riva destra del fiume (territorio che sarebbe stato presidiato per 15 anni da truppe inglesi e francesi).

- Alle amputazioni territoriali, si aggiungano le riparazioni di guerra (oltre 130 miliardi di marchi – per l’epoca una cifra assolutamente spropositata – da pagarsi nel giro di trent’anni), p p p g g )oltre alla cessione dell’utilizzo alla Francia (per quindici anni) del bacino minerario della Saar.

La Grande GuerraProf. Monti – a.s. 2016-2017

NUOVI STATI

Più che di una pace, si trattò di una vera e propria umiliazionenei confronti del Paese che era pur sempre il più popoloso e industrializzato d’Europa.industrializzato d Europa.

L’impero degli Asburgo era sparito: la nuova Repubblica d’Austriadivenne il piccolo Stato che è ancora oggi. L’indipendenza del Paese, inoltre, sarebbe stata “tutelata” dalla Società delle Nazioni: lo scopo era quello di impedire che l’Austria potesse unificarsi alla Germania.p

L’Ungheria, anch’essa costituitasi in Repubblica, subì a sua volta ampie amputazioni territoriali.

La nuova Polonia si accrebbe grazie a territori provenienti dagli ex imperi tedesco e russo, mentre boemi e slovacchi confluirono nella Repubblica di Cecoslovacchia che comprendeva anche unanella Repubblica di Cecoslovacchia, che comprendeva anche una ampia minoranza tedesca (la regione dei sudeti).

La Grande GuerraProf. Monti – a.s. 2016-2017

NUOVI STATI

Gli Slavi del Sud Croazia Slovenia Bosnia Erzegovina siGli Slavi del Sud – Croazia, Slovenia, Bosnia-Erzegovina – si unirono a Serbia e Montenegro a formare la Jugoslavia.

L’I tt i t f d l iù t d iL’Impero ottomano si trasformava, dopo aver perso la più parte dei suoi possedimenti (Libano e Siria divennero “mandati” francesi, Iraq e Palestina “mandati” inglesi), in uno Stato nazionale che occupava la sola penisola anatolica: l’attuale Turchia.

Il mandato era una nuova istituzione prevista in seno alla Società delle Nazioni. Si trattava diuna tutela temporanea che le potenze vincitrici avrebbero dovuto esercitare nei confronti diuna tutela temporanea che le potenze vincitrici avrebbero dovuto esercitare nei confronti diquesti Stati, in modo da avviare questi territori ex-ottomani verso l’indipendenza.

La Grande GuerraProf. Monti – a.s. 2016-2017

LA RUSSIA

Le potenze vincitrici non solo si rifiutarono di riconoscere laLe potenze vincitrici non solo si rifiutarono di riconoscere la legittimità della Repubblica socialista, ma aiutarono in tutti i modi possibili i gruppi controrivoluzionari.

Le repubbliche di Finlandia, Lettonia, Estonia e Lituania, invece –nate sulle spoglie dell’impero zarista – vennero sostenute proprio in un’ottica di difesa contro il contagio comunista.Questi quattro Stati, insieme a Polonia e Romania, formarono quello che venne definito “cordone sanitario”.q

La Grande GuerraProf. Monti – a.s. 2016-2017

LA SOCIETÀ DELLE NAZIONI

Essa il cui atto costitutivo venne firmato nell’aprile 1919 avrebbeEssa, il cui atto costitutivo venne firmato nell aprile 1919, avrebbe dovuto garantire il rispetto dei trattati di pace. I Paesi membri rinunciavano all’uso della forza per la soluzione di eventuali

t i tt d di i ll’ bit tcontroversie, accettando di ricorrere all’arbitrato.

Questa Società, però, portò con sé gravi handicap:

- I Paesi sconfitti, come pure la Russia, non vennero ammessi a farne parte.p

- La società era priva di un reale potere di dissuasione nei confronti di chi avesse voluto rifiutarne l’azione pacificatrice.

- Nel 1920, il Congresso USA respinse l’adesione al nuovoNel 1920, il Congresso USA respinse l adesione al nuovo organismo: cominciava il periodo dell’“isolazionismo”.

La Grande GuerraProf. Monti – a.s. 2016-2017

LA “GENERAZIONE PERDUTA”

La fine della Grande Guerra significò anche l’inizio di una sorta diLa fine della Grande Guerra significò anche l inizio di una sorta di lutto epocale: la maggior parte dei molti milioni di morti era concentrata in una fascia di età fra i 20 ed i 40 anni, si trattava della

idd tt “ i d t ”cosiddetta “generazione perduta”.

Non bisogna, poi, dimenticare i numerosissimi reduci dalla guerra: feriti, mutilati, psicologicamente traumatizzati. Il reinserimento nella vita civile fu estremamente difficile per queste persone.

Se la guerra era stata terribile, il dopoguerra si presentava quanto mai ricco di incognite sia sul fronte politico e sociale, quanto su quello delle relazioni internazionali.quello delle relazioni internazionali.

Prof. Monti – Storia V – a.s. 2016-2017 – Rivoluzione d’ottobre e nascita dell’URSS

1

La Rivoluzione d’ottobre e la nascita dell’URSS

(in sostituzione del capitolo 6)

1. LO SCENARIO Le vicende che portano alla trasformazione dell’impero zarista nell’URSS (Unione delle Repubbliche socialiste sovietiche) indicano un tema prettamente novecentesco. Se nell’800 la guerra fra Stati aveva, infatti, alla base essenzialmente l’espansione geo-politica come mezzo per l’espansione economica (un po’ come era avvenuto anche nelle guerre fra la metà del ’600 e la metà del ‘700), con la Prima guerra mondiale irrompe invece la questione ideologica. Ci si schiera, cioè, anche a causa della propria adesione a un certo corpus di idee. Come abbiamo già detto, è in Russia che le gravi tensioni sociali causate dalla guerra sfociano in una vera e propria rivoluzione, la celebre rivoluzione d'ottobre. Essa ebbe certamente cause pratiche – la difficoltà del mantenimento di un immenso esercito (12 milioni di soldati!), la crisi dell’industria (che aveva, in Russia, livelli produttivi assai bassi), infrastrutture inadeguate, profonde diseguaglianze economiche e sociali, una burocrazia statale corrotta e inefficiente... – ma grande importanza ebbe anche la diffusione dell’ideologia socialista. Pensate ai contadini che, trasferitisi al fronte, escono dall’isolamento delle campagne e arrivano a conoscere le idee degli intellettuali rivoluzionari; pensate gli operai che scoprono di potersi interessare alla politica. Anche la borghesia capitalista si mobilitò, ma le sue dimensioni in Russia non erano tali da poterle permettere di controllare il moto rivoluzionario. L’inizio della rivoluzione rese evidente il fatto che ogni partito rappresentava tanto idee e programmi, quanto interessi di classe. Le simpatie degli operai si dividevano fra i due tronconi in cui, nel 1912, il partito socialdemocratico si era diviso: i menscevichi (che proponevano una rivoluzione sociale per superare il feudalesimo e l'assolutismo verso istituzioni parlamentari democratiche) e bolscevichi di Lenin (più radicali, miravano alla “dittatura” del proletariato). Le istanze dei contadini (al motto di “terra a chi la lavora!”), invece, erano raccolte dai socialrivoluzionari. La borghesia era politicamente rappresentata dal partito dei cadetti. Come già abbiamo accennato: nel febbraio del 1917 (marzo per il calendario gregoriano) vi fu una estesa ribellione di operai e soldati a Pietrogrado, la capitale degli Zar, che condusse alla abdicazione di Nicola II. Rientrato in patria nell'aprile 1917, Lenin diffuse un documento costituito da dieci punti programmatici – le cosiddette tesi d'aprile – rovesciando la teoria marxista ortodossa (dichiarando, cioè, la rivoluzione socialista possibile in Russia, paese agricolo, idea che Marx avrebbe negato) e lanciando come parole d'ordine "pace" e "terra". Fra il 24 e il 25 ottobre (6-7 novembre) il Palazzo d’Inverno – sede del governo provvisorio di Alexander Kerenskij, il quarto governo provvisorio dall’inizio della crisi – venne occupato dai bolscevichi di Lenin (che ha l’appoggio di altri importanti personaggi: Stalin e Trockij).

Prof. Monti – Storia V – a.s. 2016-2017 – Rivoluzione d’ottobre e nascita dell’URSS

2

Nella stessa giornata del 25 ottobre, si riunì il Congresso dei Soviet, formato dai rappresentanti di tutti i Soviet, che legittimò la nuova situazione politica. Lenin colse assai bene la relazione fra guerra e rivoluzione: egli comprese che la Prima guerra mondiale non era semplicemente una guerra fra Stati causata da ragioni economiche, ma che essa portava con sé delle grandi opportunità di rivolgimento sociale. Ma facciamo un passo indietro: a contendersi la successione al regime degli zar, dopo l'abdicazione di Nicola II, rimanevano da una parte il governo provvisorio e, dall’altra, i soviet. Il primo, all’inizio ampiamente sostenuto, avrebbe dovuto condurre la Russia verso un governo democratico di stampo occidentale. Venne così nominata un’assemblea costituente, venne proposta la giornata lavorativa di 8 ore, vi fu la confisca dei grandi latifondi... Cosa non funzionò? La scelta fatale del governo provvisorio fu quella di continuare la guerra: Lenin, a questo punto, rifiutò ogni possibile compromesso. Lenin, in effetti, riteneva che il movimento rivoluzionario dei bolscevichi avesse davvero la possibilità di imporsi. Da una parte, la vecchia classe dominante non poteva più restare tale senza mutare forma di governo, dall’altra c'era il malcontento delle classi meno abbienti, la mobilitazione delle masse, la presa di coscienza dello sfruttamento subito... Lenin disse, e sono parole celebri, che per attuare la rivoluzione occorre che “gli strati inferiori non vogliano” e “gli strati superiori non possano” più vivere come in passato. La crisi strutturale del capitalismo s’incontra con la voglia di rivoluzione delle masse. In questo modo, Lenin riteneva che davvero potesse nascere una alternativa al capitalismo dell’occidente: è proprio quanto accadde. Ciò che ebbe iniziò fra il 6 e il 7 ottobre del 1917 si sarebbe concluso oltre settant’anni dopo, nel 1991, con il definitivo crollo dell'URSS.

2. NASCITA DELL’URSS E GUERRA CIVILE Il Congresso dei soviet approvò immediatamente due decreti: sulla pace (da concludersi subito!) e sulla terra (la grande proprietà fondiaria viene abolita senza indennizzo). Di poco successivo, un terzo decreto che consegnava il controllo delle fabbriche agli operai. L’Assemblea costituente, già prevista dal precedente governo provvisorio, viene eletta a suffragio universale: i bolscevichi, però, ottengono pochi seggi (solo 175 su 707) e Lenin, deciso a non lasciare il potere, la scioglie immediatamente. È questo atto, con la cessione di tutti i poteri ai Soviet, che segna di fatto la nascita dell’Unione Sovietica. Il compito che si presentava a Lenin non era certo semplice: nel novembre 1917 il suo partito contava circa 70.000 iscritti, una inezia di fronte a un immenso Paese di 150 milioni di abitanti, ricchissimo di risorse, ma anche di gravi problemi. La risposta di Lenin fu una forte accentuazione dei tratti autoritari del suo governo: le utopie antimilitariste, pacifiste, furono lasciate da parte a favore di un atteggiamento più duro e pragmatico. Gà nel dicembre del '17 nasce la Ceka, la polizia politica, insieme a un Tribunale rivoluzionario centrale col compito di processare tutti i dissidenti politici. Abbiamo già fatto cenno alle durissime condizioni della pace firmata con la Germania (trattato di Brest-Litovsk) e non ci ritorniamo.

Prof. Monti – Storia V – a.s. 2016-2017 – Rivoluzione d’ottobre e nascita dell’URSS

3

Questi ultimi due avvenimenti (scioglimento dell'assemblea costituente e le condizioni di pace), portarono all’inizio di una guerra civile. Numerosi membri del partito socialista-rivoluzionario e di quello menscevico si unirono alle forze controrivoluzionarie formando le cosiddette armate bianche (sostenute da Francia, Inghilterra, USA e Giappone!). Lev Trotzkij ebbe da Lenin il compito di riorganizzare l’esercito, che assunse il nome di Armata Rossa, con lo scopo di contrastare il nemico interno. Questa guerra civile, che mirava all’annientamento del nemico, divenne una carneficina (due milioni di morti nei combattimenti, altri due milioni per le epidemie!). Fra 1921 e 1922, inoltre, varie carestie portano alla morte di altri 5 milioni di persone. Due milioni di russi, infine, presero la via dell’emigrazione. Nelle zone controllate dai controrivoluzionari, la violenza si scatenò anche contro gli ebrei, con i pogrom (parola che, in russo, significa “distruzione”). Ove dominavano i bolscevichi, invece, il “terrore rosso” comportò poteri straordinari per la polizia e campi di concentramento per i dissidenti.

3. COMUNISMO DI GUERRA E NEP Alla fine l’Armata Rossa, inaspettatamente, ebbe la meglio, ma nel complesso la Russia (che nel 1920 dovette anche affrontare uno scontro armato con la Polonia che era insoddisfatta dei confini stabiliti al termine della Prima guerra mondiale) si trovava sull’orlo del collasso. Già nel 1918, Lenin aveva varato uno stretto controllo statale su tutti i settori dell’economia (chiamato “comunismo di guerra”), dall’industria all’agricoltura, e decisa la soppressione di tutti i partiti oltre alla sottomissione di Soviet e sindacati al partito bolscevico. I contadini dovevano consegnare il raccolto allo Stato, il quale pagava pochissimo. Il potere economico si concentrava nelle sole mani dello Stato, mentre l’economia di mercato veniva smantellata. Le speranze della popolazione, di fatto, erano state ampiamente deluse. Sul fronte internazionale, intanto, tutte le associazioni operaie guardavano a questi avvenimenti come a un successo: si stava dimostrando che, di fatto, la rivoluzione socialista poteva essere attuata! Non a caso, nel 1919 nacque a Mosca la Terza Internazionale (Comintern) con l’obiettivo di giungere alla rivoluzione socialista mondiale. Tutti i partiti aderenti avrebbero dovuto assumere il nome di Partito comunista. Il rigore del comunismo di guerra portò a una nuova ondata di scioperi e insurrezioni, che raggiunsero l’apice nel 1921. Per favorire la ripresa economica, fu varata la cosiddetta NEP: "nuova politica economica". Essa introduceva una parziale liberalizzazione di produzione e commercio, anche se manteneva per lo Stato il controllo della grande industria e del commercio con l’estero. La NEP, in effetti, era una sorta di marcia indietro rispetto al comunismo di guerra: il consenso dei cittadini era irrinunciabile e, per riottenerlo, occorreva ridare fiato all’iniziativa privata. I contadini potevano ora vendere direttamente i loro prodotti, era consentita la gestione di piccole imprese (fino a 20 operai) e venivano diminuite le tasse. Il popolo contadino, ora sazio di terra, restò comunque estraneo ed ostile al nuovo potere. Nelle campagna, con la NEP, riaffiorarono anche le disuguaglianze sociali: c'erano pochi contadini ricchi (5%, i cosiddetti kulaki), una maggioranza di contadini "medi" (57%) e la massa dei contadini poveri (38%).

Prof. Monti – Storia V – a.s. 2016-2017 – Rivoluzione d’ottobre e nascita dell’URSS

4

L’URSS, Unione delle Repubbliche socialiste sovietiche, nacque ufficialmente nel dicembre 1922 attraverso un trattato federativo (trattato che univa Russia, Ucraina, Bielorussia, Azerbaigian, Armenia, Georgia). Nell’aprile del 1922 Josip Djugasvili (detto Stalin, 1879-1953) venne eletto segretario generale del partito, subentrando a Lenin. È in questo momento che il potere comunista trova un assetto stabile. Lenin muore nel 1924. La Costituzione del 1923 dava all’Unione alcune competenze – politica e commercio esteri, difesa, pianificazione economica, assistenza sociale – e altre alle singole Repubbliche, cui era consentita la scissione dall’Unione. La legislazione competeva al Soviet supremo, composto dai rappresentanti di tutti i Soviet, che eleggeva un comitato esecutivo retto da un presidente. Vi furono anche alcune riforme civili: istruzione per i giovani (obbligatoria sino ai 15 anni) e ridimensionamento del ruolo della Chiesa Ortodossa nella società. Il matrimonio religioso venne sostituito da quello civile, venne sancita l’assoluta uguaglianza fra i sessi e l’aborto fu legalizzato. Lo stesso Lenin, in più occasioni, sostenne l’emancipazione femminile. La propaganda di partito lavorò a pieno ritmo per mostrare a tutti che, in Russia, stava nascendo un mondo alternativo, e migliore, di quello costituito dall’Occidente capitalista.

4. DA LENIN A STALIN Fino a che era rimasto in salute, con la sua forza e il suo prestigio Lenin aveva impedito che i contrasti presenti nel gruppo dirigente si trasformassero in scontri aperti. Prima con la malattia, e poi con la morte di Lenin i contrasti esplosero. Lo scontro più rilevante fu quello che oppose Stalin a Trotzkij. Quest'ultimo, criticava l'eccessivo autoritarismo del Partito, che fra l'altro stava causando l'isolamento internazionale dell'URSS, insieme alla eccessiva centralizzazione e burocratizzazione del potere. A suo avviso, l'Unione Sovietica avrebbe dovuto da una parte accelerare il processo di industrializzazione e, dall'altro, favorire l'estendersi della rivoluzione ai paesi occidentali: si trattava della cosiddetta rivoluzione permanente. Al contrario, Stalin sosteneva che per il momento occorreva accettare l'idea del "socialismo in un solo Paese" e che l'URSS era abbastanza forte da controbattere l'opposizione dell'Occidente. La posizione di Stalin aveva il vantaggio di adattarsi meglio alla effettiva situazione e, di fatto, Trotzkij venne marginalizzato. Nel 1927, i leader dell'opposizione a Stalin vennero prima allontanati dal partito e poi perseguitati e incarcerarti. Trotzkij stesso venne prima deportato in una località dell'Asia centrale e successivamente espulso dall'URSS. Cominciava così una nuova fase, quella del potere personale e sempre più dispotico di Stalin. È con lui, però, che l'URSS sarebbe diventata una grande potenza industriale e militare.

Prof. Monti – Storia V – a.s. 2016-2017 – L'eredità della Grande Guerra

1

L’eredità della Grande Guerra

(in sostituzione del capitolo 7)

1. UN NUOVO SCENARIO MONDIALE La Grande Guerra non fu, a ragion veduta, quella positiva esperienza di rigenerazione da molti immaginata e propagandata. In compenso, essa lasciò in eredità una grande quantità di problemi: I contrasti fra le nazioni non furono risolti, anzi: di fatto le condizioni della pace gettavano i semi per nuove discordie. La società cambiò volto: il coinvolgimento nella guerra, più o meno attivo, riguardò decine di milioni di individui e accentuò ovunque il processo di massificazione della società, oltre che di partecipazione alla vita politica. Lo spirito di corpo delle trincee si “trasferì”, per dir così, alla società civile, con effetti positivi e negativi. Partiti e associazioni sindacali videro aumentare il numero di iscritti. A seguito di questa esigenza, vi fu una generale estensione del diritto di voto in quei Paesi che ancora non avevano introdotto il suffragio universale. La guerra aveva portato enormi distruzioni materiali nelle città e abbandono nelle campagne, spesso divenute improduttive. Assai ampliata era la presenza dell’industria pesante, che però andava RICONVERTITA alle esigenze di un periodo di pace. I paesi belligeranti si erano enormemente indebitati, sia internamente che con l’estero (soprattutto con gli USA), e la stampa di cartamoneta aveva fatto aumentare l’inflazione. La situazione economica era, poi, aggravata dal ritorno dei reduci, che spesso non riuscivano a trovare lavoro e che si riunivano sovente in associazioni di ex combattenti, pronte a mobilitarsi in difesa dei propri interessi. Numerosi furono, anzi, i licenziamenti e la produzione calò: pensate che l’economia raggiunse di nuovo i livelli prebellici solo nel 1925, anche grazie alla definitiva esplosione dell’era dell’automobile. Anche sul piano del costume vi furono grandi mutamenti. Minore era il rispetto per le tradizioni e le vecchie gerarchie sociali da parte dei giovani, l'abbigliamento si fece più libero e personale, nuove fonti si svago, come cinema e musica, costituirono una sorta di “compenso” per le sofferenze trascorse. Abbiamo già accennato al fatto che la Grande Guerra aveva fornito un forte impulso al cambiamento del ruolo sociale della donna. Il massiccio ingresso nel mondo del lavoro da parte delle donne aprì loro un ambito che non avrebbero più voluto abbandonare: esso portava con sé maggiore autostima, indipendenza, vedute di più largo respiro. Almeno in parte, questo reale processo di emancipazione trovò nel dopoguerra alcune sanzioni di diritto: dopo la Gran Bretagna, che lo riconobbe nel 1918, anche Germania (1919) e USA (1920) concessero il diritto di voto alle donne.

Prof. Monti – Storia V – a.s. 2016-2017 – L'eredità della Grande Guerra

2

L'emancipazione femminile, ovviamente, non si compì senza che vi fossero forti resistenze in ampi settori dell'opinione pubblica: molti uomini sentivano come una minaccia il nuovo ruolo femminile nella società e, a guerra conclusa, molte furono le donne costrette ad abbandonare il lavoro. Gli anni del dopoguerra furono, dunque, anni di miseria e di forti tensioni sociali. Si susseguirono interminabili agitazioni di operai e di contadini. Il periodo che intercorse fra la fine del 1918 e l'estate del 1920 vide proprio il movimento operaio europeo manifestare un grande impegno politico, tale da apparire in alcuni momenti con una vera e propria ventata rivoluzionaria: si trattò del cosiddetto biennio rosso europeo. Una imponente ondata di agitazioni si risolse nella riduzione dell'orario lavorativo (8 ore) e in adeguamenti salariali, anche se le rivendicazioni degli operali non erano solo di carattere sindacale, ma anche politico, soprattutto su ispirazione delle vicende russe. Questa ondata rivoluzionaria ebbe, un po' ovunque in Europa, un rapido riflusso: ciò che era stato possibili in Russia non ebbe a ripetersi. In più c’era lo “spettro” della Rivoluzione bolscevica, che in un primo momento pareva potersi estendere... Le classi dominanti rispondono, spesso, con dittature reazionarie. La crisi assunse anche un carattere spirituale, culturale: tanto la scienza quanto la politica non solo si erano dimostrate incapaci di evitare il massacro della guerra, ma, di fatto, lo avevano reso più drammatico che mai. Questa situazione di instabilità e di crollo delle certezze venne rispecchiata nell’arte, con forme espressive che esprimevano irrazionalismo e incoerenza. A riguardo, estremamente significativa fu l’opera del grande scrittore boemo Franz Kafka.

2. GLI STATI UNITI Gli Stati Uniti sembravano essere la culla del nuovo mondo. Questo paese, così come il Giappone, non fu quasi per nulla toccato dalle distruzione della guerra, inoltre il suo apparato industriale si era grandemente rafforzato. Uno degli esiti della Prima guerra mondiale, in effetti, fu proprio la perdita dell’egemonia economica da parte dell’Europa. Dopo la guerra, le passioni politiche che agitavano l’Europa erano sentite come pericoli negli USA: fra 1918 e 1919 la cosiddetta red scare attanagliò la società americana. Si sospettava degli stranieri – in particolare degli slavi – come di potenziali agenti del comunismo. Nel 1924 gli USA – il paese del melting pot! – approvarono leggi assai restrittive sull’immigrazione. Un esempio significativo: nel 1927 gli anarchici italiani Nicola Sacco e Bartolomeo Vanzetti, emigrati negli USA, vennero condannati a morte a causa di un errore giudiziario (si trattava di operai immigrati accusati di omicidio per rapina: neppure la confessione del vero responsabile portò alla revisione del processo!). In questo clima di paura riemerse anche il razzismo. Si pensi al celebre Ku Klux Klan (società nata dopo la guerra di secessione e riorganizzata nel 1915, si batteva per una rigida discriminazione razziale contro i neri) che, nel 1924, contava ben cinque milioni di aderenti! Il paese, nel dopo Wilson, si chiuse nell’isolazionismo.

Prof. Monti – Storia V – a.s. 2016-2017 – L'eredità della Grande Guerra

3

Nel 1919, il Senato, a maggioranza repubblicana, rifiutò di ratificare tanto i Trattati di pace di Versailles quanto la Società delle nazioni.

3. GRAN BRETAGNA E FRANCIA Paesi vincitori, sì, ma pieni di problemi. La Gran Bretagna vide il suo impero ampliarsi ulteriormente, grazie alla vittoria nella guerra, ma la crisi economica la colpì con estrema durezza, anche a causa della progressiva sostituzione del carbone con petrolio ed elettricità. L’apparato produttivo entrò in crisi, mentre industrie più moderne stentarono a crescere. Per tutti gli anni ’20 la produzione ristagnò, le esportazioni calarono vistosamente e la disoccupazione crebbe (1.500.000 persone senza lavoro). Positiva fu l’introduzione, nel 1918, del suffragio universale. Sino al 1929 il governo – salvo che nel 1924, con il primo governo laburista – fu in mano ai conservatori che proposero una politica di austerità finanziaria e di contenimento dei salari. Numerose furono le proteste, anche se non si giunse mai ad esiti insurrezionali. Resta famoso lo sciopero dei minatori del 1926 (durato parecchi mesi) che chiedevano l’aumento dei salari, seguito dallo sciopero dei lavoratori nelle industrie: movimenti che però non ebbero successo alcuno. Altra importante questione era quella dell’Irlanda che ambiva all’autogoverno. Già durante la guerra vi erano state sollevazioni popolari, mentre il partito indipendentista otteneva ampi consensi sino alla vittoria delle elezioni del 1918. A questo punto venne proclamata, unilateralmente, l’indipendenza: il suo mancato riconoscimento da parte governo inglese portò ad un’ondata di sanguinosi attentati sino a quando, nel 1920, il Government of Ireland Act concesse l’autonomia. È dell’anno successivo, 1921, la legge che sancisce l’esistenza di due Stati: lo Stato libero d’Irlanda (cattolico), con Dublino capitale, e l’Irlanda del Nord (Ulster, protestante) che continuò a far parte del Regno Unito, seppure con un suo parlamento con sede a Belfast. La piena indipendenza dell’Irlanda del sud si ebbe nel 1937, con la nascita dell’EIRE. In molte colonie inglesi – soprattutto i dominions – si svilupparono movimenti indipendentisti, anticolonialisti. Già nel 1917 si era ipotizzata una permanenza dei dominions all’interno dell’impero inglese con maggiore autonomia rispetto al passato: si tratta del Commonwealth of Nations. Nel 1926, i dominions vennero definiti ufficialmente “comunità autonome all’interno dell’impero britannico, liberamente associate e unite nella fedeltà alla Corona”. Si trattava, sostanzialmente, della trasformazione dell’impero britannico in una sorta di unione confederale, cosa che venne ratificata nel 1931. All’inizio furono riconosciuto come Stati membri del Commonwealth solo i domini con una maggioranza di popolazione bianca (Canada, Terranova, Australia, Nuova Zelanda, Unione Sudafricana – dove erano neri ad essere in maggioranza, ma non avevano diritto alcuno – e Irlanda), ma dopo la seconda guerra mondiale tutte le colonie britanniche entreranno a farne parte.

* * * In Francia la crisi economica fu meno grave, eppure anche in questo paese vi fu una notevole avanzata del partito socialista e dei sindacati.

Prof. Monti – Storia V – a.s. 2016-2017 – L'eredità della Grande Guerra

4

Un grosso problema, inoltre, fu quello relativo alle spese di ricostruzione dei territori devastati dalla guerra. Nel 1920 nasce il Partito comunista francese che subito aderì alla Terza internazionale. Vi fu una certa instabilità politica, con destra e sinistra che si avvicendarono al potere (questo fino ai governi di “unione nazionale”, dal 1926 al 1929, composti da tutti i partiti non di sinistra e capeggiati dal primo ministro Poincaré), ma prima della crisi del ’29 la Francia visse una fase di boom economico.

4. L’EX IMPERO AUSTRO-UNGARICO Come già sappiamo, la sconfitta militare portò alla scomparsa dell’antico impero asburgico: gli Stati che nacquero dalle sue macerie sorsero su confini stabiliti dalle potenze vincitrici, confini entro i quali si trovavano a convivere anche nazionalità e religioni diverse e conflittuali: In Cecoslovacchia convivevano cechi, slovacchi, tedeschi, ungheresi; la ricostituita Polonia era abitata, oltre che dai polacchi, anche da tedeschi, ucraini, ebrei, russi. La situazione dei Balcani era ancora più complessa: la Serbia, che dal 1929 si chiamerà Iugoslavia, passò da 2 a 14 milioni di abitanti: persone appartenenti a parecchie etnie differenti. I rapporti del nuovo Paese, poi, oltre che conflittuali all’interno, sono tesi anche verso l’esterno: l’Italia rivendicava Fiume e buona parte della Dalmazia. In questi paesi tutti i problemi di cui abbiamo detto prima si intrecciarono con le difficoltà dovute alla presenza di nazionalità diverse e, talvolta, si giunse ad esiti insurrezionali. In effetti la Rivoluzione russa del 1917 fece sentire la sua attrazione in tutta l’Europa dell’est, in particolare in Germania, con una forte crescita di movimenti rivoluzionari che pensavano di poter seguire l’esempio russo. Nacquero anche alcune repubbliche di stampo socialista (1919-1920), tentativi subito fallimentari, ma che faranno crescere la reazione contro il pericolo bolscevico, portando per lo più a regimi dittatoriali. In Austria, centro del vecchio impero, la crisi fu meno grave di quella vissuta negli altri territori. Vi erano due principali forze politiche: il Partito socialdemocratico che sosteneva l’unificazione con la Germania, il Partito cristiano-sociale che incontrava maggiori consensi nelle campagne. Una instabilità assai maggiore troviamo in Ungheria, ove alla debolezza dei socialdemocratici (al contrario di quanto accadeva in Austria, quindi) faceva da contraltare la forte presenza dei comunisti. Nel 1919 si giunse addirittura alla proclamazione delle Repubblica sovietica ungherese, che però sopravvisse per pochi mesi e venne subito sostituita da un regime dittatoriale.

5. LA GERMANIA La situazione in Germania sembrava “pronta” a sbocchi rivoluzionari già prima della fine della guerra. L’ammutinamento dei marinai della flotta di Kiel nell’ottobre del 1918, che rifiutano di attaccare le navi inglesi, si allargò velocemente e portò all’abdicazione dell’imperatore Guglielmo II e alla proclamazione della repubblica il 9 novembre dello stesso anno.

Prof. Monti – Storia V – a.s. 2016-2017 – L'eredità della Grande Guerra

5

La situazione era drammatica. Abbiamo già parlato delle durissime condizioni imposte ai tedeschi dai Paesi vincitori. Pesantissime furono perdite territoriali ed economiche. La necessità di pagare gli ingenti debiti di guerra causò, poi, una fortissima svalutazione. La carta moneta non valeva quasi più nulla e si giunse, addirittura, al ritorno di un’economia di baratto. Di tutto questo, naturalmente, risentivano soprattutto i percettori un reddito fisso. Ne derivò una grande crisi sociale, capace di alimentare gli eventi politici: se l’abdicazione di Guglielmo II aveva lasciato sostanzialmente inalterato il blocco al potere e l’apparato burocratico (aristocrazia), a sinistra crebbero due formazioni rivoluzionarie (socialisti indipendenti, che si dimisero dal governo, e la lega di Spartaco), che subito rompono sia con i sindacati che con il Partito Socialdemocratico, favorevoli a un cauto programma riformista. Nel 1919, a Berlino e in Baviera, vi furono tentativi di insurrezione organizzati dai comunisti. Questi tentativi, soppressi sanguinosamente, acuirono le divisioni all’interno della sinistra. L’armistizio venne firmato l’11 di novembre dal governo presieduto dai socialdemocratici. Subito si diffuse l’idea che la sconfitta era colpa dei politici: in fondo l’esercito, durante la guerra, non era mai stato duramente battuto. Questi sentimenti si rafforzeranno ancora all’indomani del trattato di Versailles. Le classi sociali erano schierate l’una contro l’altra: proletariato contro burocrazia, ufficiali dell’esercito e grandi proprietari prussiani. Tra partito Socialdemocratico e comunisti la tensione era altissima. La destra, comunque, recuperò in fretta le posizioni perdute. I più facinorosi costituirono i cosiddetti “corpi franchi” (ufficiali e sottoufficiali desiderosi di continuare la guerra all’interno del Paese contro i rivoluzionari, pronti ad assassinare avversari politici e organizzati dal ministro della difesa Noske). È in questa situazione di estrema difficoltà e tensione che nacque la Repubblica di Weimar (dal nome della località dove si insediò l’assemblea costituente, nel febbraio 1919). Il 19 gennaio del 1919 si erano svolte le elezioni a suffragio universale per l’Assemblea costituente, elezioni che premiarono i socialdemocratici, che però persero la precedente egemonia politica. Venne varato il nuovo governo, insieme alla nuova costituzione, assai innovativa: essa prevedeva il suffragio universale (Parlamento eletto ogni quattro anni), un sistema elettorale proporzionale, la tutela delle minoranze politiche. La Germania divenne così una Repubblica federale, composta da Stati regionali dotati di notevole autonomia. Questa repubblica, purtroppo, nasceva debole, minata dalle accuse di colpevolezza in relazione all’umiliazione subita durante la conferenza di pace. Ecco che il successo elettorale dei socialdemocratici non bastò a garantire stabilità di governo: si succedettero in serie governi di coalizione, sempre più orientati verso destra. Il governo era impotente di fronte al terrorismo di destra: vi furono moltissime uccisioni e tentativi di colpo di Stato. Via via, il nazionalismo reazionario prendeva sempre più piede e il sentimento di rivalsa andava diffondendosi. È in questi anni burrascosi Adolf Hitler (1889-1945) si affacciò alla scena politica. Capo del partito dei lavoratori tedeschi, nato a Monaco nel 1919, Hitler era un reduce di guerra di origine austriaca, dotato di grande carisma e capacità oratorie. Nel 1920 il partito diviene Partito nazionalsocialista dei lavoratori tedeschi, portando con sé una ideologia pangermanista e razzista, vedendo aumentare velocemente i consensi. Hitler fu protagonista sin dall’inizio di una violenta campagna d’odio contro ebrei e comunisti. Al partito si affiancò una organizzazione paramilitare, le SA, squadre d’assalto, utile per intimidire gli avversari politici. Il programma era chiaro: una Grande Germania per tutte le popolazioni di lingua tedesca, la divisione delle persone in base alla razza: da una parte i tedeschi e dall’altra “gli altri”, innanzitutto gli ebrei.

Prof. Monti – Storia V – a.s. 2016-2017 – L'eredità della Grande Guerra

6

La situazione peggiorò ulteriormente quando, nel 1921, la commissione delle potenze vincitrici rese noto il preciso ammontare delle riparazioni di guerra. 132 miliardi di marchi divisi in 42 rate annuali: una cifra tanto grande da impedire alla Germania di riprendersi economicamente e, quindi, di tornare ad essere una grande potenza. Nel gennaio del 1923, poi, Francia e Belgio occuparono il bacino minerario della Ruhr, che da solo forniva la gran parte del fabbisogno di carbone e di acciaio dell’intera Germania. Tutto ciò esasperò l’opinione pubblica fornendo nuove armi ai nazionalisti. I lavoratori tedeschi della Ruhr giunsero a rifiutarsi di collaborare con gli occupanti francesi. Ecco che la già grave situazione economica peggiorò ulteriormente: un chilo di pane il 3 settembre del 1923 costava 240.000 marchi, il 24 settembre costava 3 milioni di marchi! Miseria e disoccupazione si diffusero sempre più. Nell’agosto del 1923 il governo di coalizione (cancelliere era Gustav Stresemann) prese delle misure correttive: sospese la resistenza passiva nella Ruhr, introdusse una nuova moneta, cercò di opporsi tanto all’estrema sinistra che all’estrema destra. L’8 e 9 novembre 1923, a Monaco, Hitler tentò un colpo di Stato, che fallisce e gli costa un anno di prigione. In questo periodo egli scrisse il celebre Mein Kampf (La mia battaglia) manifesto del suo progetto politico: esaltazione del nazionalismo e della razza, lotta contro il sistema liberal-democratico, lotta contro ebrei e comunisti. Dal fallito colpo di Stato in poi sembra che il peggio sia passato e che si possa giungere ad una stabilizzazione politica. Gli anni successivi al 1923, fino al 1929, furono caratterizzati da relativo benessere e creatività culturale, ma non solo: nonostante la pesante eredita della guerra, l’industria compì enormi progressi, superando presto i livelli di prima della guerra. Il problema delle riparazioni viene affrontato positivamente, anche sulla base di consistenti prestiti alla Germania dagli USA (secondo un piano elaborato dal politico statunitense Charles Dawes, nel 1924) e alla fine dell’occupazione del bacino minerario nella Ruhr (che sarebbe dovuto rimanere alla Francia per 15 anni). Il Trattato di Locarno del 1925, sottoscritto con la Francia, riportò la Germania ad avere normali relazioni diplomatiche con gli altri Stati e, nel 1926, anche la Germania entrò nella Società delle Nazioni. Nell’agosto del 1928, poi, quindici nazioni furono firmatarie del Patto Briand-Kellog che stabiliva la rinuncia al conflitto bellico come soluzione delle diatribe internazionali. Infine, nel 1929, un nuovo piano economico elaborato dell'americano Owen Young, portò ad una riduzione delle riparazioni di guerra tedesche e ad un allungamento dei termini di pagamento: sessant'anni. Nonostante i miglioramenti, la situazione continuava ad essere delicata. Le elezioni del 1924 videro una notevole affermazione tanto delle sinistre radicali che delle destre. Nel 1925 venne eletto Presidente della Repubblica un esponente della tradizione militare prussiana, il maresciallo Paul von Hindenburg, già capo dell'esercito e simbolo vivente del passato imperiale. Uscito dal carcere alla fine del 1924, Hitler riorganizzò il Partito nazionalsocialista, trasformandolo in un partito di dimensione nazionale, radicato nella società. In questo periodo istituì anche una sua guardia del corpo personale, le celebri SS (squadre di protezione). A far precipitare di nuovo la situazione sarà la crisi del ’29, crisi che spinse milioni di persone a votare Hitler nelle elezioni del 1930. Nello stesso anno, la Francia decideva di iniziare a costruire un imponente complesso di fortificazioni sul confine con la Germania, si trattava della celebre linea Maginot.

Prof. Monti – Storia V – a.s. 2016-2017 – L'eredità della Grande Guerra

7

Il 30 gennaio 1933 Hitler divenne cancelliere e, grazie alla promulgazione di leggi eccezionali, assunse poteri dittatoriali. Fu questa la fine della Repubblica di Weimar.

6. AFRICA E MEDIO ORIENTE Nella Turchia del “dopo impero Ottomano” c’era grande effervescenza politica. La situazione era particolarmente intricata: vi era la presenza di truppe straniere (soprattutto inglesi e francesi), mentre le minoranze etniche, facendosi forti del principio di autodeterminazione sostenuto dal presidente Wilson, premevano per l’indipendenza (curdi, armeni). Nacque il movimento nazionale turco, guidato da Mustafà Kemal, impegnato nella liberazione del paese dagli occupanti e nella costruzione di uno stato repubblicano laico. Nel 1923 fu lui stesso a proclamare lo scioglimento dell’impero Ottomano e la nascita della repubblica di Turchia (autoritaria, con partito unico) con Ankara come sede del governo. Vennero varate delle leggi allo scopo di ridimensionare l’importanza dell’Islam nella politica: si stabilì che autorità politica e religiosa doveva essere separate e, inoltre, vennero aboliti tanto i tribunali quanto le scuole religiose. Venne proibito il velo che tradizionalmente copriva il volto delle donne. Esse, inoltre, poterono votare, andare a scuola. Insieme a queste aperture nei confronti del mondo occidentale, però, la politica di Kemal fu improntata ad un forte nazionalismo. Qualunque nemico interno dell’unità turca venne duramente represso, in particolare le minoranze armene e curde. La nascita della Turchia influenzò tutto il Medio Oriente, ove, fra l’altro, si erano scoperti ricchi giacimenti petroliferi, cosa che faceva aumentare il già forte interesse delle potenze occidentali. A spartirsi i territori arabi, prima sottoposti all’impero Ottomano, furono soprattutto Francia e Inghilterra: sotto la protezione francese nacquero i nuovi stati di Libano e Siria, sotto il protettorato inglese si collocarono invece l’Iraq, la Transgiordania e la Palestina. Il mondo arabo, naturalmente, non fu soddisfatto da questa soluzione: nel corso del conflitto, infatti, era stata garantita l’integrità e l’indipendenza dei territori precedentemente sottoposti al dominio dell’Impero Ottomano. La politica inglese fu, in questa regione, finalizzata principalmente al controllo economico e non a quello politico: la Transgiordania divenne indipendente nel 1928, l’Iraq nel 1932. Assai più complessa la questione palestinese: in questa regione, infatti, l’indipendenza si incrociava con l’immigrazione ebraica sostenuta dal movimento sionista. La Società delle Nazioni affidò il mandato sulla Palestina alla Gran Bretagna nel 1922 con l’obbligo di creare una patria per gli Ebrei, pur senza ledere i diritti delle comunità non ebraiche ivi residenti. Il movimento sionista, fondato da Theodor Herzl nel 1897, alimentò l’emigrazione ebraica verso la Palestina e sostenne l’obiettivo di creare, mediante l’acquisto di terre, un vero Stato ebraico in Palestina. Di fatto, alla fine della guerra ai coloni ebrei fu concessa una sorta di autogoverno, ma la convivenza con i Palestinesi fu subito difficile. Comunque, nel 1930 gli ebrei in Palestina erano ormai duecentomila: si impiantarono allora attive comunità agrarie: i kibbutz. Come abbiamo già detto, il controllo britannico nella regione non fu rigido. Nel 1922 gli inglesi riconobbero l’indipendenza dell’Egitto, pur mantenendo il controllo militare del Paese, mentre nel 1932 venne concessa la formazione dell’Arabia Saudita. La Persia era divenuta protettorato inglese nel 1919, ma nel 1925 vi si ribellò, anche se l’Inghilterra mantenne nel Paese importanti concessioni petrolifere. Nel 1935 la Persia prese il nome di Iran.

Prof. Monti – Storia V – a.s. 2016-2017 – L'eredità della Grande Guerra

8

In generale, gli eventi del Medio Oriente portarono la religione musulmana verso una radicalizzazione in senso politico. Idee di base divennero una totale opposizione all’Occidente e la convinzione che la legge islamica (shari’ha) dovesse costituire il fondamento dello Stato. La Francia mantenne, sia sulle colone che sui mandati, un controllo assai più rigido rispetto a quello inglese. Siria e Libano otterranno l’indipendenza solo nel 1946. Nelle colonie francesi – Algeria, Marocco, Tunisia – la politica repressiva favorì la formazione di importanti movimenti nazionalisti. Comunque sia, nell’Africa francese si avviarono grandi lavori ferroviari, si aprirono cantieri portuali, furono costruite nuove strade. Dalla guerra scaturì anche una società più dinamica: si formarono classi di salariati e ridotti strati di classi agiate che mandavano i figli a studiare in Europa. La fraternità sperimentata sui campi di battaglia favorì anche la nascita di correnti assimilazioniste rispetto alla madrepatria.

7. UNIONE SOVIETICA; PAESI ASIATICI: CINA, GIAPPONE, INDIA Abbiamo già parlato degli eventi che caratterizzano la Russia del primo dopoguerra e non ci soffermiamo ulteriormente sull’argomento: ricordiamo la sanguinosa guerra civile, il comunismo di guerra e la NEP, la nascita dell’Unione Sovietica, la morte di Lenin e la deriva autoritaria imposta da Stalin, il primo Piano quinquennale varato nel 1928. Gli effetti della guerra si fecero sentire, come ormai sapete bene, non solo sui paesi direttamente coinvolti, ma in tutto il mondo. Facciamo solo rapidi cenni relativi all’Asia. In Cina, dopo la rivoluzione del 1911, la nuova Repubblica non si dimostrò capace di controllare il paese. Vi furono in effetti due governi: il primo a Pechino (retto dalle correnti più tradizionaliste) e l’altro a Canton (correnti democratiche). Fra il 1916 e il 1926 il Nord della Cina venne percorso da una sanguinosa guerra civile, secondo un modello di rivalità ancora feudale. Cominciano ad emergere, però, anche movimenti politici più moderni. Nel Sud invece (Cina di Canton), la vita politica fu segnata dalla collaborazione fra due partiti moderni: il Kuomintang (partito nazionalista) e il Partito Comunista (fondato da Mao Tse Tung, un intellettuale di origine contadina, nel 1921). L’esito vittorioso della guerra, consentì al Giappone di consolidare il proprio ruolo nel Pacifico, divenendo la terza potenza navale mondiale. All’interno, così come accadde in Europa, vi fu una partecipazione di massa alla vita politica, partecipazione che portò alla nascita (a sinistra) di un robusto movimento operaio di stampo occidentale, così come all’affermarsi (a destra) di movimenti nazionalisti e xenofobi. Venne introdotto il suffragio universale maschile (1925) e la produzione industriale ebbe un enorme aumento in pochi anni (1915-1919). In India la lotta per l’indipendenza dall’Inghilterra, dopo sanguinosi scontri, assunse un carattere nuovo. Leader del Partito del congresso, Gandhi, propose una tipologia di lotta politica basata sulla “non violenza”. Fra il 1920 e il 1922 egli lanciò la prima campagna della “resistenza passiva”, intesa al rifiuto della collaborazione con l’amministrazione coloniale inglese e a favore di riforme sociali ed economiche, il cui fulcro fu l’indipendenza. Su questa base l’opposizione agli inglesi divenne un movimento di massa.

Prof. Monti – Storia V – a.s. 2016-2017 – L'eredità della Grande Guerra

9

Prof. Monti – Storia V – a.s. 2016/2017 – L’avvento del fascismo (1919 – 1926)

1

L’avvento del fascismo 1919 - 1926

(sostituisce il capitolo 8)

1. IL PRIMO DOPOGUERRA IN ITALIA Anche in Italia, naturalmente, si manifestano i problemi del dopoguerra di cui abbiamo parlato sinora. La guerra, finanziata tramite prestiti, portò un grande deficit pubblico. L’inflazione crebbe insieme all’emissione di cartamoneta. I prezzi aumentarono, l’industria doveva essere riconvertita, i reduci (milioni di giovani) andavano ricollocati. Molti furono gli scioperi contro il carovita: si giunse a tumulti violenti e a saccheggi di negozi, fino al timore di un’insurrezione generale. L’esempio della Rivoluzione bolscevica esercitò, grazie alla sua promessa di rivolgimento sociale, un notevole fascino sulle classi subalterne. Questo tipo di interesse portò a un grande sviluppo delle organizzazioni sindacali, così come ad un ricorso più frequente agli scioperi. Anche fra le classi medie, spesso, emergeva un sentimento di insoddisfazione: soprattutto chi era stato ufficiale nell’esercito solo a malincuore si adattava a lasciare un ruolo di comando per andare incontro a un futuro comunque incerto. Tra il 1919 e il 1922 non c’era più una coalizione di partiti capace di dare stabilità al governo secondo la collaudata formula giolittiana. Vittorio Emanuele Orlando gode del prestigio di chi ha vinto la guerra, ma il suo governo cade comunque: la delegazione italiana inviata alla Conferenza di Parigi (siamo nel 1919; ricordate che la conferenza viene organizzata dalle potenze vincitrici per concordare i trattati di Pace con i paesi sconfitti) non riesce e far sì che l’Italia possa avere il peso e l’autorità che un paese vincitore si attende. Ecco che il 23 giugno 1919 nacque il governo di Francesco Saverio Nitti: egli introdusse il sistema proporzionale e, già in novembre, si tennero nuove elezioni. Il blocco liberaldemocratico ebbe ancora la maggioranza relativa (38,9%), ma risultò comunque in forte caduta rispetto ai consensi del passato, cosa che richiese di trovare nuove soluzioni in ordine alla formazione di una maggioranza di governo. Il risultato di questa situazione tanto inedita quanto incerta fu che, fino al 1922, si susseguirono diversi governi (Nitti II, Giolitti, Bonomi, Facta), tutti assai deboli. Dopo la guerra, pareva che tutti i nodi politici dovessero essere risolti con la violenza: si guardava ormai con diffidenza al tentativo di Giolitti di trasferire il conflitto dalle piazze alle aule del Parlamento, in un ottica di conciliazione sociale. C’era anche sfiducia in relazione ai rapporti fra Stati. Si parlò di “vittoria mutilata” (la definizione è di D’Annunzio): l’Italia, si disse, è stata maltrattata alla Conferenza di pace. In quella sede si era cercato, oltre al mantenimento delle promesse ricevute in occasione del Trattato di Londra (che prevedeva l’annessione da parte dell’Italia del Trentino, della Venezia Giulia e di altri territori), di ottenere anche l’annessione della Dalmazia e, in particolare, della città di Fiume (abitata, in effetti, per lo più da italiani), ma le altre potenze vincitrici si opposero. Si tento addirittura, e questo dà l’idea dello stato d’animo di molti, di forzare la mano agli Alleati: il 12 settembre 1919 duemila uomini (detti legionari), guidati da Gabriele D’Annunzio, occuparono la città, proclamandone unilateralmente l’annessione.

Prof. Monti – Storia V – a.s. 2016/2017 – L’avvento del fascismo (1919 – 1926)

2

Questa avventura durò quindici mesi e terminò con il Trattato di Rapallo (1920): Fiume si vide assegnare lo status di “città libera” (diventerà italiana nel 1924). D’Annunzio rifiutò tale soluzione e si dovette far intervenire l’esercito per costringerlo a desistere.

2. IL COSIDDETTO “BIENNIO ROSSO”: 1919 – 1920 Il conflitto mondiale, ne abbiamo discusso, accelerò la tendenza alla formazione di partiti di massa. La guerra sradicò le classi subalterne dalle loro nicchie isolate: i fanti contadini si scoprono italiani, gli operai subiscono la forte suggestione dal protagonismo rivoluzionario emerso nelle fabbriche russe, gli ufficiali avevano lasciato i gradi solo a malincuore... Le promesse circolate durante la guerra, in particolare quella relativa alla distribuzione della terra ai contadini, fecero sì che la lotta nelle campagne di radicalizzasse. Da un lato vi fu una rottura violenta, tale da portare all’espropriazione dei vecchi proprietari (ciò accadde soprattutto nel Sud, con il beneplacito di organizzazioni socialiste e cattoliche; un decreto del governo, addirittura, legalizzò l’occupazione delle terre incolte), dall’altro emerse una corsa all’acquisto della terra che coinvolge un gran numero di contadini in tutta Italia. Nelle fabbriche, invece, si affermò il sistema dei Consigli di fabbrica (sistema sostenuto dalla rivista “Ordine Nuovo” e dal gruppo che si raccoglieva intorno ad Antonio Gramsci, 1891-1973; il primo sorse a Torino, in FIAT). A differenza delle organizzazioni sindacali, i Consigli volevano rappresentare tutti gli operai, indistintamente, anche quelli non iscritti al sindacato. I Consigli, poi, nascevano non per contrattare salari ed orari, ma per controllare l’indirizzo produttivo e l’organizzazione del lavoro, ponendo così il problema del “potere operaio”. Nel 1920, in tutta Italia avviene un duro e decisivo scontro con la classe padronale: moltissime fabbriche vengono occupate, ma alla fine il movimento venne sconfitto. Gli operai rimasero sostanzialmente isolati e, notate bene, scarso fu anche l’apporto del PSI, all’interno del quale i riformisti guardavano con sospetto a questo movimento che non era stato organizzato da loro, mentre i radicali non riuscirono a dare indirizzi realistici alla confusione delle masse. Alla fine del settembre 1920 vi fu un accordo: poche concessioni salariali e un generico progetto di legge per il “controllo operaio sulla produzione”. Questa agitazione, nonostante la sconfitta, fu comunque abbastanza intensa da intimorire le file della borghesia capitalistica. La crisi dello Stato Liberale condusse ogni classe a fare da sé, ad organizzarsi autonomamente senza più riconoscersi nelle istituzioni. Ecco, per esempio, che gli industriali si associano nella Confindustria (marzo 1920), per poter fronteggiare in modo unitario le lotte proletarie. La tendenza ad abbandonare lo Stato come sede di mediazione si evidenzia ulteriormente nei due anni successivi: le formule di governo del “compromesso” giolittiano (ricordate il coinvolgimento di socialisti e cattolici) sono ormai inadeguate alla dimensione del conflitto sociale. Si trattava, in effetti, di una scelta da opposizione frontale, da “guerra civile”, scelta che sarà fatale per la democrazia italiana.

Prof. Monti – Storia V – a.s. 2016/2017 – L’avvento del fascismo (1919 – 1926)

3

3. I PARTITI E LE MASSE Uno degli effetti della maggiore partecipazione politica fu l’emergere, come è naturale, di una maggiore organizzazione nelle strutture di partito. Alle elezioni del novembre 1919 il PSI ottenne il 32,3% dei consensi: i suoi iscritti erano triplicati durante la guerra. L’azione politica era però poco incisiva: c’erano forti contrasti interni fra massimalisti (Giacinto Menotti Serrati proponeva l’instaurazione di una repubblica socialista di modello bolscevico) e riformisti (che si riconoscevano in Filippo Turati e difendevano l’esperienza del compromesso giolittiano). Durante il Congresso del 1919 prevalse la posizione dei massimalisti e il partito aderì alla Terza Internazionale. Nel PSI vi era una corrente anche più estremista: si trattava della frazione comunista, che esprime orientamenti variegati. Uno dei suoi centri di diffusione fu la già citata rivista “Ordine Nuovo” (Antonio Gramsci, Palmiro Togliatti). Un’altra corrente fu quella “astensionista” (Amedeo Bordiga), contraria alla partecipazione alle elezioni politiche, viste come un rito celebrativo caratteristico della borghesia democratica. Durante il Congresso socialista del 1921, i comunisti abbandonarono i lavori e fondano il Partito Comunista d’Italia (PCDI), che diventerà PCI nel 1943. Il PSI si indebolì a causa della rottura, ma neppure i comunisti ottennero il successo atteso: le elezioni del 1921 videro il PSI in netta flessione (solo 123 deputati) e i comunisti non andarono oltre il 5% (15 deputati in tutto). Nacque anche il Partito Popolare, nel 1919 (ispirato alla dottrina sociale della Chiesa, resistette fino al 1926; la DC, che ne assumerà il simbolo, sarà fondata nel 1942 da Alcide de Gasperi insieme ad elementi dello sciolto PPI), fondato da Don Luigi Sturzo. Si trattò di un partito modernamente organizzato, con iscritti ed una diffusione capillare in tutta la penisola, e un programma che ribadiva i punti esposti nell’enciclica Rerum novarum di Leone XIII, del 1891, di cui abbiamo parlato a suo tempo. Il successo dell’organizzazione cattolica fu notevole: le elezioni del 1919 diedero al nuovo partito il 20,5% dei consensi. Il Partito segnò una svolta nell’atteggiamento della Chiesa verso la politica, infatti ebbe l’esplicito consenso di Papa Benedetto XV, con l’abolizione del Non expedit (in italiano: “non conviene”; ricordiamo che si tratta di un Decreto della Curia con cui Papa Pio IX, in data 10 settembre 1874, si espresse negativamente circa la partecipazione dei cattolici italiani alle elezioni e, in generale, alla vita politica dello Stato. La presa di Roma, ricordiamo anche questo, era avvenuta nel 1870 e aveva decretato di fatto la fine dello Stato Pontificio). Ministri provenienti da questo partito furono presenti in tutti i governi da Nitti a Facta e il partito fu sempre fondamentale in relazione alle coalizioni di maggioranza. I partiti di massa si sviluppano e la stessa cosa accade, l’abbiamo detto, per le organizzazioni sindacali: entrambi sono segni della mobilitazione delle classi subalterne. Si pensi all’incremento della CIL (sindacato cattolico) e quello della CGL. L’aumento delle iscrizioni venne accompagnato da un forte aumento degli scioperi e delle rivendicazioni salariali. Si passò dai 303 scioperi del 1918 ai 1663 del 1919. Il sindacato, comunque, restò fermo al suo compito istituzionale: la difesa del salario dei lavoratori. Il movimento, così ampio, lo chiamò a compiti maggiori (come la fissazione di un calmiere dei prezzi), ma di fatto la gestione politica della lotta era per lo più delegata al PSI.

Prof. Monti – Storia V – a.s. 2016/2017 – L’avvento del fascismo (1919 – 1926)

4

4. LE ORIGINI DEL FASCISMO La nascita del fascismo - da collocarsi fra il 1919 e il 1922 - fu un evento gravido di conseguenze per la storia d’Italia, ma non ebbe nulla di così clamoroso. Il 23 marzo 1919 si costituirono, a Milano (nell’adunata di Piazza San Sepolcro), i Fasci italiani di combattimento, un movimento dal profilo confuso (antiborghese, ma anche antisocialista, anticlericale e antimonarchico), nel quale ebbe però ampio spazio l’ostilità verso il governo e le lotte dei lavoratori. Organo del movimento fu il quotidiani fondato da Mussolini cinque anni prima, “Il Popolo d’Italia”. Gli aderenti al movimento, per lo più ex interventisti ed ex combattenti, oltre che ex sindacalisti rivoluzionari, si riconoscevano in un piuttosto generico programma “riformista” (che comprendeva le otto ore lavorative, i minimi salariali, il voto alle donne), ma ricco di elementi nazionalisti (i sacrifici della Prima guerra mondiale dovrebbero dare “agli Italiani nella vita internazionale, quel posto che la vittoria ha loro assegnato”). Ne facevano parte anche molti Futuristi - che formarono un po’ la componente intellettuale del movimento - e gli Arditi (ex militari appartenenti agli omonimi reparti speciali), che ne costituirono la prima forza armata. Due caratteristiche furono determinanti per l’imporsi del fascismo: l’importante figura del suo indiscusso leader, l’ex socialista Benito Mussolini (ricordate che Mussolini fu espulso dal PSI a causa del suo interventismo) e il sistematico uso della violenza contro gli avversari politici (inizialmente lo squadrismo si rivolse soprattutto contro le associazioni e i giornali dei lavoratori). Ancora nella questione di Fiume, della quale abbiamo parlato, in prima linea c’erano nazionalisti e D’Annunzio, i fascisti vi compaiono solo in secondo piano. I voti raccolti nelle elezioni del 16 novembre 1919, poi, diedero loro pochissimi consensi. Il 18 novembre Mussolini venne addirittura arrestato in occasione di alcuni tumulti. La fase iniziale del movimento fascista, dunque, fu di incertezza politica. A partire dall’estate del 1920, però, il fascismo divenne più attivo, cambiando molti nodi programmatici. Dalla fine del 1920 la violenza delle squadre d’azione fasciste si estese a tutto il paese: dopo meno di un anno numerose furono le sedi del PSI e dei sindacati devastate, molti i militanti di sinistra uccisi. Un elemento dinamico fu anche il cosiddetto fascismo agrario: lontano dalle città, nacquero delle “squadre” organizzate militarmente al seguito di “condottieri”, squadre mobili e pronte a colpire velocemente e ovunque. Fu proprio l’efficacia delle azioni squadriste ad attirare consensi, prima da parte della piccola e media borghesia, intimorita dalle lotte operaie e contadine del biennio rosso, successivamente anche nella borghesia più ricca. Il fascismo apparve, in quegli anni confusi, sia come una “forza d’ordine”, capace di restaurare l’autorità dello Stato (di fatto smarrita), sia una “forza rivoluzionaria”, capace di abbattere lo Stato Liberale. Mussolini, di volta in volta e a seconda delle circostanze, accentuò il volto “rivoluzionario” o quello “conservatore”, elaborando una tattica precisa nei confronti del blocco liberaldemocratico. Giolitti, dopo la parentesi di Nitti, nel 1920 tornò al governo: egli vorrebbe “istituzionalizzare” il fascismo, magari anche utilizzandolo per frenare gli eccessi della protesta popolare, per poi, quando la situazione si fosse normalizzata, ridimensionarne il peso politico. Un suo intervento, in vista delle elezioni del 1921, fece ammettere alcuni fascisti come candidati nelle liste liberali dei cosiddetti “blocchi nazionali”, alleanze contro socialisti e popolari. In linea di massima, Giolitti fece fronte all’agitazione operaia (di cui già abbiamo detto) sempre tramite la mediazione, evitando la repressione armata. Un altro suo successo fu il già citato Trattato di Rapallo. Mussolini sfruttò al meglio l’opportunità offertagli da Giolitti nel 1921: i fascisti presentarono, per l’occasione, con un programma moderato, anche se le violenze continuarono, e ottennero 35

Prof. Monti – Storia V – a.s. 2016/2017 – L’avvento del fascismo (1919 – 1926)

5

seggi (sui 265 ottenuti dai “blocchi nazionali”). I fascisti ebbero un peso pari al 6%-7%, non molto dunque, ma si trattò comunque di un successo di fronte al disastro elettorale del 1919!

5. LA PRESA DEL POTERE Nel 1921 ci si trovò in uno scenario da guerra civile: le violenze fasciste dilagarono ovunque, spesso finanziate da gruppi industriali e con la complicità degli organi di Stato. Assai spesso, infatti, accadeva che le forze dell’ordine regolari lasciassero mano libera alle “squadre”. Tutte le forze sociali, in questa situazione di sostanziale ritirata dello Stato, organizzano gruppi armati, ma su questo terreno i fascisti dimostrarono di essere i più forti e i meglio organizzati. Il fascismo si estese in pari passo con l’estensione degli scioperi. Esso si diffuse dalle città alle campagne, dove i proprietari terrieri (particolarmente nella Pianura Padana) finanziano i fascisti contro le lotte dei contadini. I fascisti, poi, indirizzano la loro aggressività contro le amministrazioni locali guidate dai socialisti (piuttosto numerose dopo le elezioni amministrative del 1920). Le spedizioni squadriste, fra 1920 e 1921, aumentarono costantemente: numerosi i lavoratori che furono uccisi, moltissimi i feriti, mentre alcuni capi dei fasci locali, detti RAS, acquistavano peso nel movimento tanto da mettere a rischio la leadership di Mussolini stesso. Mussolini, per parte sua, alternò la violenza a un atteggiamento di dialogo nei confronti della vecchia classe dirigente liberale. I cosiddetti “compromessi mussoliniani” tendono a mettere da parte lo squadrismo: un tipico esempio fu il “patto di pacificazione” (1921) fra fascisti e socialisti, in cui entrambe le parti si impegnano a eliminare le violenze. Questo patto, presto annullato, provocò una ribellione interna dei fascisti più estremisti. È in questa situazione, il 7 novembre 1921, che a Roma nacque il Partito nazionale fascista (PNF), con una direzione centralizzata dell’intero movimento. Occasione per fondare il partito – frutto di un compromesso fra Mussolini ed i capi squadristi – fu il III congresso dei Fasci dei combattimento. Da un lato, con il PNF si consolidarono gli aspetti militari dell’organizzazione (vi furono, per esempio, molte rappresaglie antisciopero; non a caso lo storico Emilio Gentile lo definì partito milizia; la componente militare del partito non fu solo un dato di fatto, ma una mentalità, una fede basata sull’esaltazione della forza, della virilità, del nazionalismo), dall’altro emerse un programma di governo (liberismo economico, politica estera antitedesca) insieme alla ricerca di alleanze parlamentari. Oltre ai già esistenti Fasci – strutture locali – nacquero all’interno del partito strutture che riguardavano in particolare le donne, i Fasci femminili, oltre a organizzazioni di giovani e studenti universitari. Rapidamente i consensi crebbero: industriali (soprattutto dopo l’occupazione delle fabbriche), poi il Vaticano (con Pio XI, Papa fino al 1939; di questo parleremo più avanti) e poi la monarchia: nel discorso di Udine, tenuto nel settembre del 1922, Mussolini accantonò le precedenti istanze repubblicane, rassicurando così Vittorio Emanuele III sulla continuità monarchica. Distrutta militarmente l’opposizione di socialisti e comunisti e forte di questi consensi il fascismo si apprestava ormai a dominare l’Italia. La celebre marcia su Roma costituì il culmine dell’ascesa fascista, anche se da un punto di vista militare si trattò di un evento poco rilevante. Andiamo con ordine: i governi Bonomi e Facta, fra ’21 e ’22, furono incapaci di contenere lo squadrismo fascista. Si svolsero adunate, occupazioni, devastazioni senza che lo Stato accennasse a reagire.

Prof. Monti – Storia V – a.s. 2016/2017 – L’avvento del fascismo (1919 – 1926)

6

I difficili rapporti fra i vari partiti, poi, rendevano ancora più difficile la restaurazione dell’autorità statale. Nel Partito Popolare si affermava l’idea che fosse possibile un compromesso con il fascismo (anche se Don Sturzo aveva una posizione intransigente rispetto al PNF), Pio XI (1922-1939) non vedeva i fascisti in modo negativo e persino il PCdI non pareva disponibile ad un fronte comune contro i fascisti. Il PSI, da parte sua, nell’ottobre del ’22 subì una nuova scissione: i riformisti vennero espulsi e, guidati da Turati, Treves e Matteotti, fondarono il PSU (partito socialista unitario). Era, ormai, diffusa l’opinione che non sarebbe occorso combattere per conquistare il potere e che ampi settori dell’esercito fossero favorevoli al fascismo. Nel Congresso del 24-26 ottobre 1922, a Napoli, viene lanciato un appello per la mobilitazione generale delle squadre. Mussolini è pronto per andare al potere con una prova di forza capace di risolvere la confusa situazione. Mentre Mussolini stesso, da Milano, trattava con le forze politiche ed economiche le condizioni per la sua presa del potere, si organizzava la marcia su Roma senza che lo Stato intervenisse. I fascisti cominciarono a convergere su Roma: il 27 ottobre il governo Facta si dimise, mentre il giorno dopo molte migliaia di squadristi si accampavano intorno alla capitale. Il re rifiutò di firmare lo Stato d’assedio propostogli da Facta (questa dichiarazione era necessaria per convocare l’esercito contro gli squadristi) e, anzi, il 30 ottobre affidò la formazione di un nuovo governo a Mussolini. Lo Stato liberale era finito. A questo punto le squadre fasciste occuparono la capitale. Non si trattò di un governo dittatoriale: i ministri vennero scelti da diversi partiti e, almeno in apparenza, il governo Mussolini pareva essere l’ormai classico governo di collaborazione parlamentare, uguale ad altri che l’avevano preceduto. Mussolini favorì la normalizzazione, ovvero l’eliminazione delle frange più rivoluzionarie del partito, in modo da allargare la base di consenso. Nel febbraio 1923 si giunse alla fusione con l’associazione dei nazionalisti (ANI). Per lo più non si comprese che la presa del potere da parte di Mussolini era avvenuta in modo eversivo: è vero che la marcia su Roma non fu un vero e proprio colpo di Stato, ma fu comunque una concreta minaccia. Il primo discorso di Mussolini al Parlamento (il cosiddetto “discorso del bivacco”) fu comunque assai chiaro ed esplicito: “Io affermo che la rivoluzione ha i suoi diritti […]. Mi sono rifiutato di stravincere, e potevo stravincere. Mi sono imposto dei limiti. […] Con trecentomila giovani armati di tutto punto, decisi a tutto e quasi misticamente pronti a un mio ordine, io potevo castigare tutti coloro che hanno diffamato e tentato di diffamare il fascismo. Potevo fare di quest’aula sorda e grigia un bivacco di manipoli; potevo sprangare il Parlamento e costituire un Governo esclusivamente di fascisti. Potevo: ma non ho, almeno in questo primo tempo, voluto.” Le iniziative delle squadre continuarono nonostante l’assunzione del potere. Queste, se erano utili per eliminare l’opposizione, potevano anche essere un ostacolo, uno strumento eversivo nelle mani di capi fascisti locali. È per questo che, nel 1923, le squadre vengono unite nella milizia volontaria per la sicurezza nazionale (MVSN). Era un modo per “istituzionalizzare” le frange armate del partito. Già nel dicembre del 1922 era stato creato il Gran Consiglio del Fascismo, un nuovo organo dello Stato composto dai ministri fascisti e da membri della direzione del PNF che si arrogava diverse funzioni in precedenza spettanti al Parlamento. Nel 1923 venne anche approvata una nuova legge elettorale, varata proprio dal Gran Consiglio, la legge Acerbo, che reintroduceva il sistema maggioritario con un forte “premio di maggioranza” (2/3 dei seggi parlamentari) per la lista che avesse ottenuto maggiori consensi (almeno il 25%).

Prof. Monti – Storia V – a.s. 2016/2017 – L’avvento del fascismo (1919 – 1926)

7

Don Sturzo – i suoi ministri erano stati allontanati dal governo – si dimise per protesta da segretario del Partito Popolare e nel 1924, anche su pressione del Vaticano, dovette riparare a Londra. Alle elezioni del 6 aprile 1924, dopo una campagna elettorale caratterizzata da violente e intimidazioni, si presentò il cosiddetto “listone”: fascisti a cui si aggregarono molti esponenti liberali, democratici e popolari. La vittoria (annunciata) fu assai netta, anche se in misura minore del previsto (64,9%).

6. LA COSTRUZIONE DELLO STATO TOTALITARIO All’inizio della legislatura (nel maggio 1924), il leader socialista (PSU) Giacomo Matteotti denunciò in un suo discorso le violenze e i brogli della campagna elettorale: il 10 giugno venne rapito e assassinato da una “squadra” di cinque fascisti. La reazione nel paese fu veemente e il fascismo attraversò forse la sua peggiore crisi. Alcuni ministri si dimisero, i partiti all’opposizione rifiutarono di partecipare ai lavori parlamentari dando vita al famoso comitato Aventino (ricordate che l’Aventino è il più meridionale dei sette colli romani; nell’antica Roma i rappresentanti della plebe, per protesta nei confronti dei Patrizi, si riunirono proprio su questo colle) e chiesero al re di varare un nuovo governo. Questa crisi si sentì anche all’interno del PNF, con contrasti fra “l’anima eversiva” e “l’anima legalista”. Il re non prese alcuna decisione contro Mussolini (sostenendo che la Corona non deve ingerirsi nella lotta politica) e questi continuò a rimanere al potere. I suoi oppositori non giunsero all’estrema conseguenza di chiamare il popolo alla rivolta, temendo una guerra civile. Mussolini capì che gli “aventiniani” non sarebbero riusciti ad abbatterlo, che il re sarebbe rimasto estraneo alla vicenda e che, alla fine, l’indignazione popolare si sarebbe smorzata. Ecco che il 3 gennaio 1925 Mussolini tenne un discorso alla Camera nel quale, di fatto, si assunse la responsabilità del delitto (“Se il fascismo è stato una associazione a delinquere, io sono il capo di questa associazione a delinquere!”). Si può, forse, porre in questo momento l’inizio della vera e propria dittatura fascista. Per l’opposizione la vita divenne sempre più dura: nel novembre 1925 fu varata una legge sul controllo di tutte le associazioni politiche “segrete”: di lì a un anno i partiti sarebbero scomparsi. Mussolini edificò il suo potere personale e, correlativamente, cancellò le libertà politiche, sindacale, di stampa, di associazione. Questo è il nuovo Stato. Nel dicembre 1925 fu approvata una legge sulle prerogative del capo del governo: egli può emanare norme giuridiche senza l’approvazione del Parlamento (questo vuol dire che, di fatto, Mussolini dipende solo dal re). All’accentramento del potere corrisponde lo smantellamento di tutte le autonomie locali: i consigli comunali, i sindaci eletti (sostituiti da podestà, di nomina regia dal 1928), viene aumentata l’importanza del ruolo dei prefetti (presidi) nelle province (anch’essi divennero di nomina regia). Nell’ottobre 1926 vengono abolite tutte le cariche elettive anche nello stesso PNF: tutto viene dall’alto, per nomina. La legge 2008 del novembre 1926, la cosiddetta “legge per la difesa dello Stato”, completa il quadro: viene soppressa la libertà di stampa, sono sciolti partiti ed associazioni, sono dichiarati decaduti i deputati dell’Aventino. Viene prevista la pena di morte per chi attenti alla vita del re, della regina, del principe ereditario e del capo del governo; la stessa pena per chi “attenti alla sicurezza dello Stato”. Viene anche istituito il Tribunale speciale per la difesa dello Stato si occupa di reprimere il dissenso e lo fa con grande efficienza (non è possibile alcun ricorso!).

Prof. Monti – Storia V – a.s. 2016/2017 – L’avvento del fascismo (1919 – 1926)

8

Nel 1927 le forze di polizia vengono riorganizzate e nasce anche una polizia segreta, OVRA, (Organizzazione volontaria di repressione antifascista) utile alla repressione di ogni attività antifascista. Nel 1928 vi fu anche una legge sul Gran Consiglio, che viene definitivamente “costituzionalizzato” come istituzione statale: suo compito è di deliberare sulla lista dei deputati, esprimere pareri sulla successione al trono e sulle prerogative della Corona (è una forma di inserimento della monarchia stessa nel regime). Viene, sempre nel 1928, varata anche la riforma della rappresentanza politica che andava a sostituire la legge elettorale del ’23: il Gran Consiglio proponeva agli elettori un'unica lista nazionale (per una Camera di 400 deputati) che gli elettori possono solo confermare o respingere. Naturalmente, anche l’attività sindacale viene limitata: rimangono in vita solo due associazioni, una di imprenditori e una di lavoratori, entrambe dirette da fascisti. Vengono vietati gli scioperi dei lavoratori e le serrate (ovvero la chiusura delle fabbriche da parte degli imprenditori): ogni vertenza deve essere risolta da una speciale Magistratura del lavoro. In politica economica, Mussolini volle la rivalutazione della lira: si tratta della famosa quota 90. Una sterlina veniva scambiata per 150 lire: l’imposizione del cambio di una sterlina contro 90 lire, una rivalutazione pensata allo scopo di stabilizzare la lira, provoca di fatto penuria di denaro circolante, calo della produzione sia agricola che industriale e calo dei salari. Di questo parleremo.

Prof. Monti – Storia V – a.s. 2016-2017 – La “grande crisi”: economia e società negli anni ‘30

1

La “grande crisi”: economia e società negli anni ‘30

(sostituisce il capitolo 9)

1. LA CRISI DEL 1929 Tra le due guerre mondiali l’economia capitalistica si riprese con vigore, ma, all’improvviso, parve crollare sotto il peso del “giovedì nero”: il 24 ottobre 1929. Gli indici della borsa di Wall Street ebbero un tracollo e le conseguenze furono devastanti ed estese, in misura assai maggiore rispetto alle precedenti (cicliche) crisi economiche: la produzione industriale crollò, mentre disoccupazione, povertà e fame tornarono a farsi sentire un po’ in tutto l’Occidente. A innescare la crisi fu lo squilibrio fra domanda e offerta. Negli ultimi anni, infatti, era andata allargandosi la sproporzione fra salari e profitti industriali: la gente non era più in grado di acquistare le sempre più abbondanti merci. Si trattò dunque, come anche per la Grande Depressione di cui già abbiamo detto, di una crisi da sovrapproduzione. Con enormi quantità di prodotti invenduti, le fabbriche dovettero ridimensionarsi. La crisi fu anche borsistica, infatti le quotazioni delle aziende diminuirono insieme alla produzione, e finanziaria (fallirono numerosi di istituti di credito e banche). Tra le conseguenze di maggiore impatto vi furono una diminuzione dei salari e un enorme aumento della disoccupazione: fra il 1932 e il 1933, un quarto della popolazione attiva degli USA restò senza lavoro. Anche i prezzi dei prodotti agricoli crollarono. In pochi anni il commercio mondiale ebbe una contrazione del 60%. Insieme alle merci, anche i flussi migratori si arrestarono. Per difendere le economie nazionali si aprì una corsa al protezionismo: si giunse alla cosiddetta autarchia. Ogni paese, cioè, manifestò la tendenza a rinchiudersi nel proprio mercato nazionale inseguendo l’obiettivo dell’autosufficienza economica e riducendo la cooperazione internazionale. Il modello economico liberista mostrò i suoi limiti: si comprese che non ci si poteva semplicemente affidare ai meccanismi spontanei del mercato, al libero gioco di domanda e offerta. D’altro canto il protezionismo rappresentava una soluzione in buona parte inadeguata: le aziende nazionali erano ormai troppo grandi per rivolgersi al solo mercato interno... I vari Stati dovettero intervenire per sostenere la domanda industriale e per ammortizzare il disagio sociale. In che modo? La scelta comune fu questa: finanziamento di grandi opere pubbliche e politiche di welfare, seppure spesso piuttosto limitate, a sostegno dei disoccupati. Anche dal punto di vista politico la crisi ebbe effetti di enorme portata: la gravità che essa assunse in Germania favorì l’imporsi del regime nazionalsocialista di Hitler; l’Italia di Mussolini, da parte sua, avviò una forte e destabilizzante politica imperialista. La crisi del ’29 fu dunque, al di là di ogni dubbio, una delle premesse della Seconda guerra mondiale.

Prof. Monti – Storia V – a.s. 2016-2017 – La “grande crisi”: economia e società negli anni ‘30

2

2. UNO SGUARDO ALL’INDIETRO: PRIMA DELLA CRISI Già abbiamo detto che, all’indomani della Prima guerra mondiale, gli USA avevano assunto la leadership economica mondiale. Abbiamo già discusso anche della red scare, del Ku Klux Klan e, in generale, della chiusura nei confronti dell’immigrazione. Nonostante la florida economia, la politica americana divenne tendenzialmente conservatrice, seppure non mancarono significativi elementi di apertura come il suffragio universale che, nel 1920, venne esteso a tutti gli stati. Sempre nel 1920 il Partito repubblicano tornò al potere e fu, per parecchi anni, fautore di una politica di tipo isolazionista, ma anche di questo abbiamo già parlato. Nonostante il disimpegno nei confronti dell’Europa, gli USA fornirono sostegno economico a molte nazioni europee, particolarmente alla Germania, con lo scopo di favorire una ripresa internazionale dell’economia. In generale, poi, il controllo statale sull’economia fu in questo periodo assai blando. Un significativo aspetto di chiusura, influenzato anche da ambienti religiosi, è legato al proibizionismo: si pensava che il divieto di produzione, importazione e vendita di alcolici potesse contribuire a migliorare la capacità dello Stato di controllare la società, ma il provvedimento portò effetti negativi, come la diffusione dello spaccio illegale e della malavita. Non a caso gli anni Venti furono gli anni dei famosi gangster, parecchi dei quali erano di origine italiana. Il proibizionismo sarà abolito nel 1933. Il liberismo economico dei repubblicani favorì l’accumularsi di enormi fortune nelle mani di pochi grandi industriali, con un processo di accentramento capitalistico, mentre gli agricoltori si impoverirono notevolmente. Si assistette al trionfo del sistema Taylor-Ford (che riguardò soprattutto l’industria dell’auto) che era stato avviato, come sappiamo, all’inizio del ‘900. Aumentò di molto anche l’acquisto di elettrodomestici per la casa. La società americana, prima del ’29, appariva sempre più ricca: il consumismo si diffuse in ampi strati della società, coinvolgendo anche ambiti, come quello culturale (si pensi al cinema), che in precedenza avevano sempre avuto una connotazione di elitarismo. Le città americane divennero sempre più grandi e sfarzose: simbolo della potenza americana furono i grattacieli, costruiti in numero sempre maggiore. La situazione evidentemente, era meno florida di quanto potesse sembrare. Quella crescita senza limiti, sogno della borghesia ottocentesca che pareva ormai realizzarsi concretamente, era caratterizzata da contraddizioni che si manifestarono, all’inizio, proprio con il crollo della borsa di New York. Il “giovedì nero” fu caratterizzato da enormi flussi di vendita di azioni e obbligazioni con il conseguente crollo dei prezzi delle medesime. Negli anni successivi, il valore delle azioni di numerose aziende si sarebbe pressoché azzerato. Quale la causa? Già lo abbiamo accennato: l’eccessiva distanza fra la crescita dei profitti capitalistici e la crescita dei salari. L’eccessiva crescita degli anni precedenti aveva portato l’industria americana a raggiungere una potenzialità produttiva che il mercato interno non poteva assorbire, soprattutto per ciò che concerne i beni durevoli. Ecco che le industrie si trovarono a produrre assai più di quanto occorresse. A questo aggiungiamo il boom delle speculazioni finanziarie: gli anni di crescita convinsero molti della possibilità di facili guadagni tramite l’acquisto, anche attraverso prestiti bancari, di titoli azionari. Il problema è che all’aumento del valore del mercato azionario sempre meno corrispondeva un aumento dell’economia reale, questo sino al punto di rottura.

Prof. Monti – Storia V – a.s. 2016-2017 – La “grande crisi”: economia e società negli anni ‘30

3

Lo scoppio della crisi spinse i risparmiatori a recuperare la maggior parte possibile del proprio denaro: il ritiro di capitali causò una crisi di liquidità e il fallimento di numerose banche. Negli USA tra 1929 e 1932 la produzione industriale si dimezzò. Moltissime aziende chiusero i battenti e, nel 1933, si giunse alla cifra record di 15 milioni di disoccupati. L’allora presidente Herbert Hoover (1874-1964), intervenne con aiuti alle imprese, mentre l’aiuto alle famiglie fu lasciato alle sole associazioni filantropiche. Si rialzarono i dazi protettivi e si favorirono i grandi istituti di credito. Questa politica esacerbò il conflitto sociale, con un grande aumento degli scioperi.

3. IL NEW DEAL Alle elezioni del novembre 1932, l’America ancora ricca era tutta con Hoover, mentre quella dei poveri si schierò con il democratico Franklin Delano Roosevelt (1882-1945). Quest’ultimo, vinse nettamente le elezioni e la rotta cambiò repentinamente: eccoci al New Deal, la politica economica inaugurata da Roosevelt, significava proprio “nuovo corso”. Roosevelt cercò di creare un clima di collaborazione nazionale per riorganizzare l’economia, in modo da evitare ulteriori squilibri. Risanamento finanziario, riassetto di industria e agricoltura, miglioramento delle condizioni economiche delle classi meno agiate furono i suoi obiettivi. Per dare competitività alle merci americane sui mercati esteri, il dollaro venne svalutato (addirittura del 60% nel 1934). Anche gli aiuti alle banche si ridussero fortemente: a questo punto solo quelle sane sopravvissero e l’intero sistema finanziario venne posto sotto il controllo statale (Federal Reserve Bank). Venne imposto anche il divieto di esportare o tesaurizzare la valuta. Venne, poi, disciplinata la concorrenza fra i vari settori industriali, prevedendo anche un ampio progetto di lavori pubblici (che si basava sull’abbandono del dogma del “pareggio di bilancio”).

“ Io credo [è Roosevelt a parlare] che i singoli dovrebbero avere intera libertà di azione onde poter esplicare la propria attività nel modo più vantaggioso; ma non credo che nel nome di quella parola sacra, individualismo, un limitato numero di potenti interessi debbano avere il permesso di fare carne per il cannone industriale con la metà della popolazione degli Stati Uniti. […] Dobbiamo ritornare ai principi primi; dobbiamo far sì che l’individualismo americano sia ciò che si supponeva fosse: l’opportunità di lavoro e di successo offerta a tutti, il diritto di sfruttamento

negato a chiunque.” Le misure di Roosevelt ebbero un ampio appoggio popolare e il consenso delle organizzazioni sindacali. Nacquero, in questo periodo, i primi tratti caratteristici del cosiddetto Welfare State (“Stato del benessere”): sistema assicurativo per disoccupati, vecchi e invalidi, minimi salariali, orario di lavoro ridotto a otto ore... In soli tre anni della politica di Roosevelt, nel 1936, l’economia USA tornò al livello del 1929, seppure vi erano ancora molti disoccupati. Il fatto di non aver gravato sulle classi più povere attirò sul presidente i favori di queste classi (sindacati, lavoratori, operai, immigrati). L’America “reazionaria” invece, che si era riconosciuta in Hoover, mal sopportò “l’invadenza” statale: imprenditori, movimenti antisemiti, movimenti razzisti nel Sud, filofascisti... Si trattò di una corrente variegata, ma assai forte, che rese più prudente la seconda fase del New Deal. Il New Deal, questa nuova politica economica, non si richiamava in maniera diretta e precisa ad una qualche teoria economica, pure è possibile accostarla alla figura di John Maynard

Prof. Monti – Storia V – a.s. 2016-2017 – La “grande crisi”: economia e società negli anni ‘30

4

Keynes. Questo famoso economista britannico riteneva che il liberismo economico andasse superato proprio attraverso l’intervento pubblico. La politica economica di Keynes fu, in effetti, assunta da un po’ tutti i paesi dell’Occidente sino a dopo la Seconda guerra mondiale: lo Stato poteva e doveva contenere le spinte autodistruttive insite nel sistema capitalistico. Keynes riteneva che la domanda dei prodotti industriali andasse sempre sostenuta: vuoi tramite i lavori pubblici, vuoi tramite l’aumento dei salari e le politiche di welfare (come i sussidi di disoccupazione). È meglio, sosteneva Keynes, che lo Stato assuma lavoratori e che li paghi al solo scopo di far loro scavare delle inutili buche nel terreno, piuttosto che lasciarli in uno stato di disoccupazione. Alla recessione (diminuzione del PIL) e alla deflazione (diminuzione generale dei prezzi) è preferibile il debito pubblico e una modesta inflazione.

4. UNO SGUARDO ALL’EUROPA La crisi colpì duramente anche l’Europa, dove particolarmente drammatica si rivelò la piaga della disoccupazione. Le prime reazioni del governo americano, poi, ovvero il protezionismo ed il ritiro dei prestiti ai paesi europei, fecero precipitare ulteriormente la situazione nel vecchio continente. Anche i paesi dell’Europa, per reazione, introdussero misure protezionistiche, cosa che provocò una ulteriore e pesante contrazione del commercio internazionale. Una seconda reazione fu la svalutazione della sterlina da parte della Gran Bretagna (con l’abbandono della cosiddetta “parità aurea”), presto imitata da un po’ tutti gli altri stati. Si può dire che il sistema capitalistico, pur non crollando, subì una notevole trasformazione. La crisi economica, già vi abbiamo fatto cenno, ebbe conseguenze anche sugli equilibri politici e sulle forme di governo. Come negli USA, anche in Europa ci fu grande instabilità in seguito alla crisi del ‘29. Come in tutti i momenti di crisi, emersero pulsioni violente, in buona parte eredità della non lontana Prima guerra mondiale. Come vedremo, furono soprattutto i movimenti dell’estrema destra a sfruttare, a proprio vantaggio, questa situazione. In Francia gli effetti della crisi giunsero in ritardo e attenuati, ma investirono comunque le istituzioni. Il governo diretto da Poincaré si ritira del 1929, sostituito da governi di esponenti conservatori. Poi, si susseguirono diverse coalizioni di partiti: le elezioni del 1932 videro la vittoria delle sinistre (i due successivi governi hanno radicali alla maggioranza), poi vi furono due governi di “unità nazionale” (con tutti i partiti salvo le sinistre!) e, nel 1936, il Fronte popolare (tutte le forze di sinistra!). Risalgono proprio agli anni ’36-’37 gli interventi più significativi contro la crisi: il riconoscimento di contratti collettivi di lavoro, la maggiorazione dei salari, le quaranta ore di lavoro settimanale. Il Fronte popolare fu un’esperienza significativa, ma breve. Ampi strati della popolazione, soprattutto i ceti medi urbani, manifestavano infatti insofferenza nei confronti della democrazia parlamentare, giudicata corrotta e non efficiente, e spesso si lasciavano sedurre da possibili soluzioni autoritarie. Le forze di sinistra, poi, erano divise di fronte all’opposizione (opposizione nella quale si riconosceva tutto il blocco economico dominante).

Prof. Monti – Storia V – a.s. 2016-2017 – La “grande crisi”: economia e società negli anni ‘30

5

Il governo di Léon Blum subì il colpo di grazia dal cosiddetto “sciopero del capitale”: il padronato cominciò ad esportare capitali all’estero, bloccando gli investimenti. Nel 1938 il nuovo governo (Daladier), sconfessò gli accordi sindacali di Matignon. In Gran Bretagna furono i laburisti a dover affrontare la crisi, dopo la vittoria nelle elezioni del maggio 1929. Il loro leader, Ramsay MacDonald, era in dissenso con la maggioranza del suo partito e decise di ricorrere alla formula dei “governi nazionali”: coalizioni di partiti ideologicamente eterogenei. I suoi primi provvedimenti furono improntati a una severa austerità: riduzione di salari ai dipendenti pubblici e riduzione dei sussidi di disoccupazione. Per mantenere la concorrenzialità dei prodotti inglesi all’estero, nel 1931 avviò una forte svalutazione della Sterlina. Contemporaneamente, si stabilirono una serie di accordi economici per proteggere i paesi del Commonwealth. Superata la fase peggiore della crisi, l’esperienza dei “governi nazionali” si concluse e primo ministro divenne il conservatore Stanley Baldwin, nel 1935, a cui subentrò Neville Chamberlain (1937). Ambedue si trovarono ad affrontare una nuova emergenza: l’ascesa del nazismo. Chamberlain elaborò la cosiddetta “politica dell’appeasament”, ovvero della “pace a tutti i costi”. Questa politica, seguita dalla Gran Bretagna dal 1935 fino al 1939, era tesa ad evitare che le tensioni sfociassero in una guerra, anche a costo di concessioni alla Germania. Chamberlain era convinto di poter limitare i progetti espansionistici di Hitler nel quadro tradizionale degli equilibri europei, senza giungere a scontri armati: purtroppo, si trattava di una drammatica sottovalutazione...

Prof. Monti – Storia V – a.s. 2016/2017 – Il nazismo: la presa del potere in Germania

1

Il nazismo: la presa del potere in Germania

1. LA CRISI TEDESCA E L’EMERGERE DEL NAZIONALSOCIALISMO In Germania le conseguenze economiche e politiche della crisi sono le più drammatiche e gravide di conseguenze. Con la crisi del ’29, vennero meno i fondamentali prestiti che gli USA avevano concesso alla Germania: la produzione industriale ebbe un nuovo crollo (dopo quello dei primi anni ’20 e la successiva ripresa) e la piaga della disoccupazione assunse enormi proporzioni (sette milioni di disoccupati nel 1932), colpendo non solo i proletari, ma anche impiegati e piccoli borghesi, per non parlare della crisi degli agricoltori. I governi della repubblica di Weimar, con le forze politiche che li sostengono, non riescono a gestire la situazione proponendo e attuando soluzioni davvero efficaci: è questo il contesto in cui il partito nazionalsocialista di Hitler trova spazio e consensi crescenti. Non mancano le analogie con l’ascesa del fascismo, di cui abbiamo parlato: cittadini disorientati, disillusi e scontenti delle autorità, non sanno a chi rivolgersi; forti movimenti delle classi subalterne, apparentemente presaghi di una rivoluzione sociale, ma incapaci di attuarla; risentimento nazionalistico contro i trattati di pace, di cui già abbiamo parlato (si ricordi, in analogia, l’italiana “vittoria mutilata”); la farraginosità burocratica della pur democratica e avanzata costituzione di Weimar risulta impotente e inadeguata (come accade anche per lo Stato liberale italiano). Volendo portare avanti la nostra analogia, potremmo anche dire che la “ricetta” di Hitler non fu troppo dissimile da quella mussoliniana. Anche nel nazionalsocialismo troviamo infatti elementi ideologici e politici eterogenei (nazionalismo, anticomunismo, ma anche antiliberalismo) che si uniscono ad una azione politica intesa come violenza e come mobilitazione delle “masse” dal basso, facendo leva sul malcontento dei ceti medi. Identica anche la tattica del “doppio binario”: un movimento che è da una parte rivoluzionario (nei confronti dell’evidente inettitudine del governo) e violento, ma dall’altra si propone come legalitario (si pensi all’importanza data dal nazionalsocialismo alla necessità di ristabilire l’ordine sociale). All’inizio fu forte anche l’inclinazione verso un certo anticapitalismo, con il richiamo ad un socialismo nazionale (che era comunque da contrapporsi fortemente, sia chiaro, al comunismo). Le formazioni paramilitari naziste colpirono i nemici politici e si sostituirono anche alla polizia nella repressione cruenta contro i comunisti, in particolare, e la sinistra, in generale, con le sue organizzazioni. Fu, comunque, la tragica crisi economica a decretare in maniera decisiva la fortuna del nazismo. Come già abbiamo visto, Hitler militò all’inizio nel partito operaio tedesco, che nel 1919 confluì nel partito nazionalsocialista. Nel 1921 nacquero le SA, sezioni di assalto, al comando di Ernst Rohm. Nel 1923, Hitler fu arrestato dopo un tentativo fallito di colpo di Stato (con Ludendorff e Goering) e venne rilasciato nel 1925. Nel 1928, i nazionalsocialisti si presentano al voto, ottenendo un modesto 2,5%, ma con la crisi del ‘29 e i suoi effetti destabilizzanti sul governo le due successive tornate elettorali (nel 1930 e

Prof. Monti – Storia V – a.s. 2016/2017 – Il nazismo: la presa del potere in Germania

2

nel 1932), segnarono fondamentali balzi in avanti (da 12 seggi in Parlamento si arrivò ai 107 del 1930, fino ai 230 del 1932 con l’acquisizione della maggioranza relativa). Gli storici ritengono che furono in particolare i giovani a votare in massa Hitler: forte era la convinzione che solo Hitler, con un partito interclassista e dunque assai diverso dai partiti fino a quel momento impostisi sulla scena politica, sarebbe stato capace di dare unità e forza alla Germania. L’ideologia del partito nazionalsocialista era, come sappiamo, ben compendiata nel Mein Kampf: ivi venivano rifiutati i valori della società liberale in favore dei miti di sangue, razza, obbedienza al capo carismatico (Furher) ed una organizzazione nuova di stato e società. Visto che le razze non hanno il medesimo valore (biologismo) è evidente che è la razza meglio dotata dalla natura, ovvero la razza ariana1, a dover sottomettere le altre e a dominare su di esse. Questo è il suo destino, ciò a cui essa è chiamata. L’obiettivo che, per primo, occorreva perseguire era quello dello spazio vitale: scacciando ebrei e stranieri, la Germania doveva riprendere i territori perduti con la Prima guerra mondiale ed espandersi verso Est a danno degli inferiori popoli slavi. Un popolo, in particolare la razza dominante, deve infatti avere sufficiente spazio per espandersi e così esprimere al meglio le proprie potenzialità. La dicotomia superiorità/inferiorità veniva applicata non solo ad interi popoli e razze, ma anche a singoli individui all’interno della medesima etnia. Ecco emergere l’idea dell’uomo superiore2, cioè del capo, massima espressione della razza germanica. La massa ha valore non in termini di democrazia, ma nella misura in cui è disposta a seguire il capo e la sua illuminata guida. Proprio questo è, del resto, il ruolo del capo: quello di controllare e guidare la massa della popolazione. La propaganda serviva esattamente a questo scopo: “come le femmine, anche la massa ama chi la domina”, sosteneva Hitler. La propaganda doveva essere semplice, fatta di slogan, rassicurante e capace di individuare un nemico ben visibile e concreto: i comunisti, gli ebrei, i partiti di sinistra, le associazioni dei lavoratori... Gli avversari politici non seppero avversare queste idee, né questa scalata nei consensi. Causa di tale incapacità fu anche la divisione fra i diversi partiti che, pure avversi al nazionalsocialismo, non riuscirono a creare un fronte comune. Fu, in particolare, la divisione fra comunisti e socialdemocratici ad impedire un’azione unitaria in chiave antinazista. Non a caso, alla fine del anni ‘20 i dirigenti dell’Internazionale comunista, convinti che il capitalismo stesse vivendo una crisi fatale, identificarono come nemici comuni tanto il fascismo che la socialdemocrazia, vista come il maggior ostacolo alla rivoluzione (a questo riguardo fu coniato, in ambito comunista, il termine “socialfascismo”).

1 – Gli ariani erano in realtà antiche popolazioni dell’Iran e dell’India, originarie (probabilmente) dell’attuale Afghanistan. I nazisti diedero quindi al termine ariano una indebita estensione.

2 – Attenzione: l’uomo superiore del nazismo non si può identificare, a meno di gravi forzature, con l’oltre-uomo di Nietzsche. È pur vero che alcune opere del filosofo tedesco, soprattutto quelle edite per tramite della sorella, trovarono molti estimatori proprio fra i nazisti.

Prof. Monti – Storia V – a.s. 2016/2017 – Il nazismo: la presa del potere in Germania

3

2. 1932 E INIZIO 1933: HITLER VICINO AL POTERE Dopo il crollo di Wall Street, in Germania i governi si avvicendarono rapidamente. Dopo che i socialdemocratici furono usciti dal governo di coalizione che pure guidavano dal 1928, nel 1930 fu la volta del governo di Heinrich Bruning, leader del partito di centro cattolico (Zentrum): egli governò appoggiandosi ora al Partito socialdemocratico ora a gruppi di destra. Nelle elezioni del ’30 anche i comunisti ebbero un grande rafforzamento, mentre i “partiti di Weimar” (Zentrum e socialdemocratici, appunto) si erano indeboliti. Bruning rimane al potere (tornando alla guida del governo anche dopo le elezioni) ma non seppe opporsi al radicalizzarsi della lotta e della violenza fomentata dalle SA e dalle SS (squadre di difesa, comandate da Heinrich Himler), né i suoi interventi legislativi (riduzione dei salari, contrazione delle spese statali e nuovi tributi) riuscirono a sortire effetti positivi in relazione alla crisi economica. In una simile condizione, il clima nel Paese si fece progressivamente più ostile nei confronti della Repubblica, tanto da parte dei ceti più umili quanto da parte degli industriali. Nell’ottobre del ‘31 si radunò ad Harzburg, in Sassonia, l'opposizione nazionale composta da nazionalsocialisti, vari esponenti politici della destra tradizionale, con personalità di ambiente militare, finanziario ed industriale. Da questo incontro emerse la richiesta di una politica nazionale più decisa che, in particolare, fosse orientata al riarmo della Germania. Ecco che, alle elezioni presidenziali del marzo-aprile 1932 (che videro la rielezione del maresciallo Hindenburg, ma solo al secondo turno e non senza che vi fosse stata una grande affermazione personale di Hitler) la forza del nazionalsocialismo appariva ormai preponderante, proprio quando la crisi economica era all’apice. In un clima di violenze sempre crescenti, le pressioni di chi voleva Hitler al governo aumentavano. Dopo che Bruning si fu dimesso, il nuovo cancelliere Franz von Papen indisse un’altra tornata elettorale per il luglio del 1932. Il nazionalsocialismo divenne il primo partito (14 milioni di voti) e Hitler rifiutò la proposta di divenire vicecancelliere: i nazionalsocialisti ormai, forti degli ampi consensi, puntavano alla piena responsabilità di governo. Una nuova tornata elettorale si tenne in novembre: in questa occasione il nazionalsocialismo perse consensi, ma mantenne la maggioranza relativa. Fu nominato cancelliere il generale Kurt von Schleicher, ma ormai nessuno riteneva che fosse possibile governare la Germania senza i nazionalsocialisti. Un folto gruppo di imprenditori, armatori, banchieri fece appello al presidente Hindenburg affinché si decidesse a nominare Hitler cancelliere del Reich, con von Papen come suo vice: ciò accadde il 30 gennaio 1933.

3. LA FINE DELLA REPUBBLICA DI WEIMAR E LA NASCITA DEL TERZO REICH Diversamente da quanto era accaduto in Italia con l’ascesa del fascismo, Hitler demolì immediatamente la Repubblica e la Costituzione di Weimar. Innanzitutto, Hitler convinse il presidente Hindenburg a sciogliere il Reichstag e a indire nuove elezioni per il 5 marzo 1933; nel frattempo Hermann Goring, uno dei più importanti collaboratori di Hitler, avviò la riforma della polizia immettendo in essa uomini delle SA e delle SS, oltre a creare la polizia segreta di Stato (GESTAPO). Per gli oppositori politici vennero immediatamente costituiti dei campi di concentramento (il primo a Dachau, vicino a Monaco).

Prof. Monti – Storia V – a.s. 2016/2017 – Il nazismo: la presa del potere in Germania

4

Nella notte fra il 27 e il 28 febbraio ‘33 la sede del parlamento, il Reichstag, venne data alle fiamme e i nazisti incolparono del fatto i comunisti: in realtà, l’incendio era stato organizzato da Goring. A seguito di questo avvenimento il partito comunista venne messo fuori legge e vi furono moltissimi arresti fra le sue file. Una ordinanza presidenziale venne emanata allo scopo di abrogare alcuni articoli della costituzione di Weimar: venne così limitata la libertà di espressione e di stampa (furono chiusi numerosi giornali), di riunione e di associazione, insieme al ripristino della pena di morte. L'intera campagna elettorale fu caratterizzata, naturalmente, dalla violenza intimidatoria delle SA (come era accaduto in Italia nelle elezioni del ’24, quelle che avevano portato all’omicidio di Giacomo Matteotti). I nazionalsocialisti ottennero quasi il 44% (dunque non la maggioranza assoluta) e Hitler ebbe, di fatto, pieni poteri: già nella prima riunione del nuovo parlamento, infatti, venne conferita al governo la piena potestà legislativa, relativa quindi sia alle leggi ordinarie che alla costituzione. I governi regionali dei Lander (regioni) vennero eliminati, insieme ai diritti di sovranità dei Lander stessi. I capi dei sindacati vennero arrestati, furono chiuse tutte le organizzazioni di sinistra, sciolto il partito socialdemocratico (SPD), mentre il Zentrum si scioglie da sé... Quando ormai tutti i partiti, salvo il nazionalsocialista, erano di fatto scomparsi viene emanata una legge (luglio ’33) che vietava la formazione di nuove associazioni partitiche. In ottobre la Germania uscì dalla Società delle nazioni e, in dicembre, venne ufficialmente sancita la fusione dello Stato con il partito unico. In breve tempo venne anche riorganizzata la burocrazia – con l’allontanamento di tutti i funzionari non ariani o, comunque, non graditi al regime – e si giunse persino all’emanazione di una legge che contemplava la sterilizzazione di chi risultasse affetto da serie malattie ereditarie (una norma del 1939, poi, arriverà a prevedere l’eliminazione dei malati incurabili e terminali). Viene stabilito per legge anche il controllo dello Stato su religione e cultura (il Ministero della Propaganda e quello dell’Educazione popolare, tenuti entrambi da Goebbels, furono importanti strumenti per la diffusione dell’ideologia nazista). Alla fine del ’33, in novembre, si svolsero nuove elezioni che videro una tanto scontata quanto schiacciante maggioranza: oltre il 92% dei consensi. La Repubblica di Weimar ormai non esisteva più. Nel 1934 Hitler, con un abile mossa, “scambiò” la piena fiducia da parte dell’esercito con l’eliminazione della frangia più estremista del movimento, ovvero quelle SA che rischiavano di divenire un potere staccato e indipendente da quello delle SS, ovvero la guardia personale di Hitler. Fra l’altro Rohm e le SA, con le loro tendenze di stampo socialista, intimorivano gli industriali mettendo a rischio il loro consenso. Durante la notte del 30 giugno 1934 Ernst Rohm, capo ed organizzatore delle SA, fu massacrato barbaramente insieme a tutti i responsabili delle SA: si tratta delle celebre notte dei lunghi coltelli. Il vecchio presidente, Hindenburg, morì nell’agosto 1934: a questo punto Hitler ebbe modo di diventare anche presidente, titolo che subito modificò in favore di un altro: Fuhrer, il capo carismatico, l’uomo superiore. Hitler emana le leggi, a lui le forze armate giurano fedeltà, egli riassume in sé lo Stato. I cittadini tornano di fatto ad essere sudditi: come Luigi XIV, il Fuhrer avrebbe potuto dire “lo Stato sono io”. Questo è il Terzo Reich, l’impero che a detta di Hitler sarebbe durato mille anni...

Prof. Monti – Storia V – a.s. 2016/2017 – Il nazismo: la presa del potere in Germania

5

4. IL NAZISMO: LO STATO TOTALITARIO FRA CONSENSO E OPPOSIZIONE ED ECONOMIA Volendo continuare a proporre in termini analogici il fascismo e il nazismo – mantenendo sempre l’accortezza di non spingere troppo oltre i punti di somiglianza – non sarà inutile ricordare che anche Hitler ricorse allo strumento del Concordato. In un primo momento, sia il Papa che i prelati tedeschi videro nel nazismo una utile forza di opposizione nei confronti della rivoluzione bolscevica. Non a caso il Concordato del 1933 (negoziato dal futuro Pio XII, eletto nel 1939) vide significative concessioni alla Chiesa: essa poteva gestire in autonomia scuole, nominare docenti di teologia nelle università (anche quelle pubbliche) e manteneva la libertà di associazione. Certo è che, con l’emergere sempre più prepotente della vera natura del nazismo, questa condizione di accordò si incrinò assai rapidamente, tanto che quando Hitler verrà in visita in Italia, nel 1938, Pio XI non accetterà di incontrarlo. Ancora maggiore si rivelò l’iniziale consenso da parte protestante, al cui interno addirittura nacque un movimento filo-nazista (il movimento cristiano-tedesco) che vedeva proprio nel movimento hitleriano una possibilità per giungere all’unificazione di tutti i cristiani tedeschi. I protestanti che, al contrario, decisero di avversare il nazismo (essi diedero vita alla “Chiesa confessante”) dovettero subire numerose persecuzioni e arresti. Hitler, in effetti, desiderava unificare le numerose confessioni religione presenti in Germania in una sola Chiesa, la Chiesa nazionale del Reich, Chiesa all’interno della quale l’ideologia nazista e il cristianesimo avrebbero dovuto giungere ad una sintesi. Il tentativo rimase, di fatto solo sulla carta, e ciò non può stupire in considerazione delle effettive intenzioni del Fuhrer: tutte le Chiese non aderenti erano destinate alla distruzione, la Bibbia sarebbe stata sostituita, nelle chiese, dal Mein Kampf di Hitler stesso, la croce sarebbe stata ovunque sostituita dalla svastica (Programma di Rosenberg). Hitler, oltre a ceti medi e Chiesa, convinse anche la grande industria, sedotta dagli attacchi ai sindacati e dal miraggio delle commesse governative conseguenti ad una nuova politica di potenza. Era necessario, naturalmente, che la Germania riuscisse a uscire dalla gravissima crisi economica in cui era caduta. Una delle premesse della rinascita economica venne individuata proprio nella cessazione di ogni opposizione sindacale. Già nel ’33 tutti i sindacati vennero sciolti e al loro posto nacque il Fronte tedesco del lavoro al quale tutti i lavoratori furono iscritti d’ufficio. Questa organizzazione richiamava le corporazioni fasciste: riunendo lavoratori e datori di lavoro, era del tutto priva di qualsiasi capacità di contrattazione. Una legge del ’34 suddivideva l’economia in sei distinti settori, tutti compresi nella Camera dell’economia del Reich. Hitler non era certo un economista e, pertanto, non aveva una vera e propria politica economica: era però sua convinzione che il riarmo della Germania avrebbe risolto la questione. Il riarmo, infatti, avrebbe generato ampie commesse industriali, riducendo la disoccupazione. Nel ’35 venne anche introdotta la leva obbligatoria per i giovani: ogni anno moltissimi ragazzi vedevano la necessità di trovare un impiego procrastinata di un biennio! A partire dal 1936, la Germania punta sulle spese militari e la preparazione alla guerra. Hitler ritira i rappresentanti tedeschi alle Società delle Nazioni, denunciando i forzati limiti imposti dal Trattato di Versailles all’esercito tedesco. La percentuale del PIL dedicata agli armamenti ebbe un grande balzo in avanti, superando quella di tutte le altre potenze occidentali.

Prof. Monti – Storia V – a.s. 2016/2017 – Il nazismo: la presa del potere in Germania

6

Contro la disoccupazione vi furono anche altre misure: la riduzione dell’orario lavorativo e anche un ingente piano di opere pubbliche nel settore dell’edilizia (strade, canali, autostrade, cosa che contribuisce anche al rilancio dell’automobile...). Anche per l’agricoltura furono previste delle novità: i debiti degli agricoltori vennero soppressi, l’importazione di molti prodotti agricoli fu sottoposta a maggiori dazi e, con la Corporazione nazionale dell’alimentazione, l’intera filiera produttiva e commerciale venne gestita direttamente dal governo centrale. Anche a livello ideologico vi furono interventi a favore del mondo delle campagne: quale poteva essere la base della razza tedesca se non il suolo tedesco e, dunque, il mondo rurale? La purezza della razza germanica richiedeva che questo mondo si conservasse intatto: una legge del ’33 stabilì che ogni podere poteva essere ereditato da un solo figlio, in modo da evitare eccessive suddivisioni. Il Paese cominciò effettivamente a riprendersi e, in questo, un ruolo importante lo ebbe anche la conferenza di Losanna del 1932, dove venne stabilita la sospensione definitiva dei pagamenti dei debiti di guerra. La produzione industriale aumentò moltissimo, portando enormi profitti alle industrie. In breve tempo la Germania raggiunse la piena occupazione e, addirittura, il deficit occupazionale. I salari aumentarono, soprattutto per la manodopera specializzata. Nel settembre del 1936 venne varato un piano economico quadriennale, il cui obiettivo era chiaro: la Germania doveva raggiungere il maggior grado possibile di indipendenza economica. A questo scopo diveniva fondamentale l’idea dello “spazio vitale” da conquistarsi con la guerra: questo avrebbe fornito una riserva di materie prime tale da garantire proprio l’autosufficienza.

5. L'IDEOLOGIA RAZZISTA: VERSO LA SOLUZIONE FINALE Solo chi era di sangue tedesco – come era stato stabilito già nel programma del 1920 – aveva il diritto di appartenere alla Comunità popolare e, dunque, allo Stato nazista. Questa concezione esclusivista portò con sé discriminazione, emarginazione e, infine, eliminazione. Dato il carattere fortemente antisemita del nazismo, già nel ’33 gli Ebrei furono dichiarati esclusi dalla Comunità popolare. Gli ebrei sono esclusi dapprima dalle professioni di funzionario, poi dal giornalismo e dall’insegnamento. Il “nazista tipo” apparteneva alla classe media, era protestante, abitante in provincia e giovane: Hitler fece sì che per questi uomini l’ebreo divenisse il nemico, dunque la causa di tutti i mali del Paese, dalla crisi economica alla sconfitta nella Prima guerra mondiale. Hitler riuscì a indirizzare le frustrazioni dovute alla crisi in odio razziale. Il nazismo era l’alternativa valida alla democrazia, al capitalismo, al bolscevismo, fenomeni tutti indicati come di produzione ebraica e, per ciò, negativi. La situazione peggiorò con le leggi di Norimberga, del 1935: gli ebrei perdono la cittadinanza e, addirittura, vengono vietati i matrimoni misti. “ Cittadino del Reich è soltanto l’appartenente allo stato di sangue tedesco o affine il quale col il suo comportamento dia prova di essere disposto ad adottare e servire fedelmente il popolo e il Reich tedesco.” La persecuzione nei confronti degli ebrei si apprestava a compiere un ulteriore balzo, ciò che si delineò nitidamente nel 1938: il 10 novembre (a seguito dell’uccisione di un ufficiale dell’ambasciata tedesca a Parigi per mano di un ebreo), nella cosiddetta “notte dei cristalli”, vennero distrutte moltissime sinagoghe e negozi appartenenti ad ebrei.

Prof. Monti – Storia V – a.s. 2016/2017 – Il nazismo: la presa del potere in Germania

7

Nei giorni successivi, 35.000 ebrei furono arrestati e deportati. Ormai esclusi da ogni aspetto della vita civile – gli ebrei non potevano avere la patente, non potevano frequentare le scuole tedesche, non avevano diritto al possesso del passaporto né, dal ’41, a presentarsi in pubblico senza la stella ebraica – per gli ebrei si avvicinavano i giorni della “soluzione finale”. Questa venne avviata con la guerra e coinvolse anche i rom, gli slavi, i minorati mentali, gli omosessuali, prostitute, minoranze religiose... Il razzismo – che ben presto divenne, oltre a una ideologia, uno strumento di controllo sociale, un abito diffuso nella popolazione – influenzò anche la politica demografica. Si cercò di favorire la natalità e, parallelamente, di migliorare la qualità dei nuovi nati. In questo senso venne creato, sotto Himmler, un Dipartimento apposito: l’aborto venne vietato e la donna si vedeva privata di ogni effettivo diritto, salvo quello di essere moglie e madre.

6. L'ORGANIZZAZIONE DEL CONSENSO Anche in Germania, come in Italia, repressione e organizzazione del consenso andarono di pari passo. Nacquero già nel ’34 i tribunali del popolo, deputati al giudizio di chi si oppone al nazismo. Chiunque fosse sospettato di poter essere un nemico del Reich venne rimosso dal proprio posto lavorativo e sostituito, mentre gli individui considerati davvero pericolosi vennero semplicemente eliminati. Nel ’36 Himmler, già capo delle SS, subentrò a Goring come capo della GESTAPO, la polizia segreta, subordinandola alle SS stesse. Già nel ’33 erano cominciate le deportazioni nei campi di concentramento. Fra gli altri, 150.000 comunisti e, a vario titolo, non meno di un milione di tedeschi vi sarebbero stati imprigionati. Tutto ciò, naturalmente, senza contare i prigionieri ebrei. Ogni manifestazione culturale che potesse apparire come in opposizione al regime venne sistematicamente eliminata. Non a caso, moltissimi intellettuali abbandonarono la Germania, emigrando: fra questi possiamo ricordare i celebri (fra molti altri) Albert Einstein, Thomas Mann, Ernst Cassirer, Kurt Godel. Il 10 maggio del 1933, di fronte alla biblioteca di Berlino, i giovani nazionalsocialisti raccolsero e bruciarono in un immenso falò tutti quei libri frutto di autori “antitedeschi”. L’eliminazione degli oppositori, di per sé, non era sufficiente. Lo spazio lasciato da questi libero doveva venir riempito e questo fu lo scopo di un apparato di organizzazione delle masse – assai complesso ed articolato – che faceva capo al ministero della propaganda e dell’educazione del popolo tedesco (retto da Goebbels), creato nel ’33. Venivano organizzate con cura grande manifestazioni di autoesaltazione del regime, ricche di elementi coreografici e di impatto. Fra i mezzi di comunicazione, anche in Germania la radio ebbe una grande diffusione e fu ampiamente utilizzata a scopi propagandistici. Anche al cinema e al teatro venne riservato un ruolo analogo. Proprio come accadde in Italia, anche in Germania la scuola e l’università vennero asservite alle esigenze del regime. I programmi vennero opportunamente rivisti e una materia definita “scienza razziale” venne introdotta già a partire dal ’33. Anche lo sport assunse una valenza nuova, proprio come accadde sotto il fascismo.

Prof. Monti – Storia V – a.s. 2016/2017 – Il nazismo: la presa del potere in Germania

8

Fondamentali erano anche le organizzazioni giovanili: nel 1936 la Gioventù hitleriana assorbì in sé tutte le associazioni preesistenti, mentre le ragazze vennero inquadrate nella Unione ragazze tedesche. Centrale per l’educazione dei ragazzi era il motivo razziale e la strutturazione gerarchica della società nazista, una gerarchia nella quale erano e dovevano essere il più forte, il più bello e il più virile a primeggiare. Hitler fece anche costruire delle scuole speciali, le quali avrebbero dovuto allevare una gioventù “che compia grandi gesta, dominatrice, ardita […]”. “Non voglio una educazione intellettuale. Il sapere rovina la gioventù […] i giovani devono imparare il senso del dominio.”

Prof. Monti – Storia V – a.s. 2016/2017 – Il regime fascista in Italia

1

Il regime fascista in Italia

1. L’ORGANIZZAZIONE INTERNA Abbiamo cominciato a descrivere il processo di trasformazione imposto dal fascismo alle Istituzioni dello Stato in un’ottica di forte accentramento del potere e di esautorazione del dissenso politico e sociale. In questa logica, nel 1929 il fascismo conseguì due importanti obiettivi politici, che rafforzano lo Stato totalitario. - 1 - L’11 febbraio vengono firmati i Patti Lateranensi: al Papa viene riconosciuta la piena sovranità sulla Città del Vaticano e il cattolicesimo diviene religione di stato. In cambio, la Santa sede riconobbe, finalmente, la legittimità del Regno d’Italia (fatto che rinsalda il prestigio di Mussolini). Sempre all’interno dei Patti, una Convenzione prevedeva un importante compenso di carattere finanziario al Vaticano da parte dello Stato. Assai Significative, poi, furono le concessioni che, tramite il Concordato, lo Stato fascista accordò alla Chiesa: la piena libertà di culto, il valore civile del matrimonio religioso, l’insegnamento della religione cattolica nelle scuole di ogni ordine e grado, la sopravvivenza dell’Azione cattolica (organizzazione cattolica con compiti di educazione e organizzazione della gioventù che, di fatto, continuò a svolgere una funzione di “contenimento” rispetto al fascismo, almeno fino al 1931; in opposizione a questa era nata, già nel 1926, l’Opera nazionale Balilla). Per parte sua, la Chiesa accetava di nominare vescovi graditi al regime. Questo Concordato, in una misura non indifferente, intaccò il principio della laicità dello Stato, soprattutto in relazione all’ammissione della religione cattolica come unica religione di Stato. Papa Pio XI – e questo fornisce la misura del favore accordato dalla Chiesa al fascismo – in un discorso di poco successivo alla firma dei Patti ebbe a dire che l’accordo era stato consentito da “un uomo come quello che la Provvidenza ci ha fatto incontrare […]. Un uomo che non avesse le preoccupazioni della scuola liberale.” - 2 - Il 24 marzo, poi, gli italiani vennero chiamati alle urne per votare in un “plebiscito nazionale” la nuova Camera fascista. Occorreva esprimersi, come già abbiamo detto, con un sì o con un no su una lista di 400 nomi. Attenzione: le schede abbinate alle due possibili preferenze erano di colore diverso, in modo da essere immediatamente riconoscibili: tricolore per il sì, bianco per il no. Il 98% circa dei votanti si espresse per il sì. Un secondo plebiscito si tenne nel 1934, mentre dal 1939, anche questo residuo di elezioni fu soppresso e gli organi di rappresentanza (il Senato, nominato dal re; la Camera, che divenne “Camera dei fasci”) furono eletti solo dall’alto.

2. LA POLITICA ECONOMICA Fra il ’22 ed il ’25, la politica economica fascista, con il ministro Alberto de Stefani, fu improntata al liberismo, favorendo l’espansione produttiva orientata all’esportazione.

Prof. Monti – Storia V – a.s. 2016/2017 – Il regime fascista in Italia

2

Dal 1925, in seguito alla pesante svalutazione della lira, questo tipo di politica non fu più ben accetta da parte della grande industria. Ecco che Mussolini sostituì de Stefani con Giuseppe Volpi, che inaugurò una stagione basata sul protezionismo. La lira venne rivalutata (la famosa quota 90, cioè 90 lire per una sterlina) mentre l’intervento statale in ambito economico si fece più marcato. La rivalutazione della moneta era una questione di prestigio internazionale e venne raggiunta in breve tempo. Il governo ristabilì anche un dazio sul grano, in modo da proteggere la produzione nazionale (battaglia del grano) e raggiungere l’autosufficienza. Inoltre si strinse un accordo tanto con gli USA quanto con la Gran Bretagna in relazione alla restituzione dei debiti di guerra. Il governo cercò di stimolare la produzione nazionale da una parte varando una drastica riduzione dei salari e, dall’altra (nel 1928) lanciando la bonifica integrale delle zone paludose. Tutto questo, naturalmente, fu reso possibile anche dal totale smantellamento delle organizzazioni sindacali, di cui già abbiamo parlato.

3. LO STATO CORPORATIVO Il fascismo va costruendo uno stato corporativo. Abbiamo già detto della riduzione delle associazioni di lavoratori e industriali a due sole sigle, entrambe rette da dirigenti fascisti, della soppressione di scioperi e serrate e della magistratura del lavoro. A questo punto, furono istituiti il Ministero delle corporazioni e il Consiglio nazionale delle corporazioni. Le corporazioni, sostituendo i sindacati, raggruppavano in una sola organizzazione imprenditori e dipendenti dei diversi settori. Il principio base era la cancellazione del conflitto fra le classi sociali, sostituendolo con una disciplina di collaborazione controllata e forzata. I principi del corporativismo – i quali, in effetti, non giunsero mai a piena realizzazione – trovarono posto nella Carta del lavoro, documento emanato dal Gran Consiglio nel 1928. Il Ministero delle corporazioni doveva, appunto, realizzare la politica corporativa, mentre il Consiglio nazionale delle corporazioni era organo consultivo, ove erano ammessi rappresentanti tutti designati dal capo del governo. A partire dal 20 marzo 1930, questo consiglio ebbe anche il compito di coordinare le discipline dei rapporti di lavoro fra le varie categorie produttive, le attività assistenziali, oltre a dare pareri sulla legislazione in campo sindacale. Ne fanno parte 124 membri, nominati dal re su designazione del capo del governo. Il Consiglio comprende sei sezioni, corrispondenti alle sei confederazioni sindacali esistenti (Industria, Agricoltura, Commercio...), più una settima per le libere professioni e arti. Le corporazioni vere e proprie vennero istituite nel 1934 e furono, in tutto, 22. Sedici furono legate ai settori produttivi, mentre le altre sei nacquero per similarità di lavori svolti. Questo ordinamento viene completato nel 1939, quando la ex Camera dei deputati (già riformata e priva di potere effettivo) venne abolita e sostituita con la Camera dei fasci e delle corporazioni. Ormai per rappresentare la nazione a qualunque livello occorreva la designazione del Partito. Dal luglio 1931 entrarono in vigore anche due nuovi codici: il codice penale e quello di procedura penale. Il primo era inteso al rafforzamento delle norme punitive che colpivano libertà politiche e civili: aumentò il numero dei reati politici e le pene a questi connesse furono più severe. Il secondo, invece, conferiva alla polizia poteri incontrollati sulla libertà personale dei cittadini, inoltre la pubblica accusa, nei processi, viene favorita sulle altre parti in causa.

Prof. Monti – Storia V – a.s. 2016/2017 – Il regime fascista in Italia

3

Arriveranno successivamente, al principio degli anni ’40, anche il nuovo codice civile e quello di procedura civile. Abbiamo già fatto cenno all’OVRA (organizzazione di vigilanza e repressione dell’antifascismo): una polizia segreta attiva dal 1927. Essa si estese a tutto il territorio nazionale. Continuò a operare anche il Tribunale speciale per la difesa dello Stato (istituito nel 1926, come abbiamo visto). Pesanti pene detentive, naturalmente, erano previste per chi compisse attività politica antifascista. Chi veniva denunciato dal Tribunale speciale, poi, veniva immediatamente arrestato.

4. “FASCISTIZZARE” LA SOCIETÀ L’attività politica era controllata e guidata in tutti suoi aspetti, ma il fascismo non si limitò certo a questo. Mussolini voleva “fascistizzare” la società italiana in tutte le sue dimensioni, non solo in quella politica. Quale lo scopo? Così come lo Stato, la monarchia e, in parte, persino la Chiesa erano state assorbite nel fascismo, lo stesso doveva accadere per la società tutta. La distanza fra la vita sociale e quella delle istituzioni doveva essere idealmente azzerata: lo Stato doveva accompagnare l’individuo dalla culla alla tomba, entrando di diritto nell’organizzazione di tutti i momenti della sua esistenza: l’educazione, il lavoro, il tempo libero, la cultura... Gli italiani dovevano divenire in tutto e per tutto perfetti fascisti. Il PNF doveva assolvere questo compito: gli iscritti aumentarono con costanza, fino ai 2.600.000 del 1939, senza contare le 774.000 donne. Nel 1942 gli iscritti raggiunsero la cifra di 4.500.000, mentre 25 milioni di italiani (su 45 milioni in totale) erano in un modo o nell’altro coinvolti nelle organizzazioni del regime. Certo, l’adesione era di fatto forzata (utile, per esempio, per l’accesso ai concorsi statali). Il PNF, dunque, più che un centro di organizzazione politica, come normalmente accade per un partito, assunse un programma essenzialmente propagandistico teso al “controllo del consenso”. Le istanze propriamente politiche, e dunque dialettiche, del PNF progressivamente si svuotarono a favore di funzioni amministrative. La tessera di iscrizione diviene un documento simile all’atto di nascita, cioè una specie di adempimento burocratico. Il PNF, poi, divenne sempre più una struttura piramidale che dipendeva dal vertice e non dall’azione della base. Dimenticato lo spirito militante degli esordi, gerarchi e gregari si adagiarono in una stanca routine. Questo processo accelerò quando Achille Starace (1895-1945) divenne segretario del PNF (lo rimane fino al 1939). Uomo che aveva salito i gradini del partito, egli fu l’espressione della progressiva “spoliticizzazione”. Questa tendenza si accentuò e sclerotizzò nella progressiva incapacità di formare una vera classe dirigente interna, in grado di fornire un ricambio. D’altra parte, le numerose iniziative di propaganda (per esempio quelle in relazione al mito dell’eredità imperiale romana) erano spesso artificiose e non riuscivano a trasformare il consenso al regime in protagonismo di massa.

Prof. Monti – Storia V – a.s. 2016/2017 – Il regime fascista in Italia

4

5. CULTURA E SOCIETÀ Accanto al PNF, sotto l’egida del PNF, nacquero moltissime associazioni: i Fasci femminili, i Gruppi universitari fascisti, l’Opera nazionale balilla... Si trattava di una fitta rete nella quale tutti i segmenti della società (suddivisi per sesso, età, professione, ecc.) vennero organizzati. L’idea era semplice – “ciascuno al suo posto” – gli operai con gli operai, gli studenti con gli studenti, le donne con le donne, in una situazione di identificazione e ghettizzazione, in uno stato ordinato che eliminava ogni possibile dimensione sociale collettiva, presupposto di una partecipazione politica democratica. In questo senso, importante era il controllo del delicato settore della cultura, a cui vennero dedicati alcuni enti appositi, fra cui il Ministero per la stampa e la propaganda (nato nel 1935). Fondamentale è la scuola. La riforma di Giovanni Gentile (1923), ministro della Pubblica istruzione nel primo governo fascista, propose una scuola assai selettiva, con declassamento degli istituti tecnici e professionali (perché frequentati dalle masse popolari), ed equiparazione fra scuola pubblica e privata mediante l’introduzione dell’Esame di Stato. Era, addirittura, previsto il numero chiuso nei licei e si privilegiava la formazione umanistica rispetto alla tendenziale crescita di quella tecnica. Anche la scuola venne fascistizzata: dal ’35-’36 preside e professori si presentavano in divisa, il tempo di era dedicato anche alla celebrazione di riti e feste del regime, furono introdotte materie come “cultura militare” e “saggi ginnici e sportivi”. Nel 1939 la Carta della scuola tracciò le linee di una nuova riforma scolastica voluta dal Ministro dell’Educazione nazionale Giuseppe Bottai. L’obiettivo era quello di infondere nei giovani i fondamenti dell’ideologia fascista puntando su alcune discipline (cultura militare, educazione sportiva, religione, lavoro manuale). La scuola, come con Gentile, rimane elitaria, salvo per l’impulso dato ai convitti nazionali (intesi come strumenti per la selezione degli elementi migliori dalle classi popolari per un loro inserimento nei quadri del regime). L’Opera nazionale dopolavoro, istituita nel 1925, nel 1937 contava oltre 3 milioni di iscritti ed era articolata in diversi servizi, dallo sport all’educazione artistica: con le prime forme di organizzazione del tempo libero, l’OND fu un veicolo di cultura di massa, che intrecciava alle diverse proposte di svago motivi di propaganda. I nuovi intrattenimenti e giochi fascisti, comunque, visti come strumenti di proselitismo, non riuscirono ad eliminare le vecchie forme di aggregazione (per esempio la bocciofila, la banda, ecc.). Le bocce, considerate il gioco meno “virile” in assoluto, avevano invece grande successo... Nel 1938, le statistiche delle spese degli italiani indicano chiaramente una cultura intellettualmente assai povera... Vi furono autori di narrativa piuttosto venduti – Guido da Verona, Dino Segre – che proponevano modelli tardo-romantici e dannunziani. Si trattò di figure che rendono difficile parlare di una vera e propria letteratura fascista: nel complesso, la “cultura del dopo lavoro” ridimensionava le attività di lettura a favore di attività di ricreazione “meno pericolose”. La cultura di massa passa per lo più dalla radio e dal cinema. Alla fine del decennio 1930-1940 in Italia il numero di film prodotti annualmente era di molto salito, a testimonianza dell’interesse popolare. In assoluto le cifre restarono modeste, ma con un notevole incremento. In ritardo rispetto agli altri paesi, anche la radio passò dall’essere articolo di lusso allo status di maggiore fonte di intrattenimento popolare. Gli abbonati alla radio passarono dai 27.000 del 1926 a oltre un milione del 1939, nonostante l’elevato costo degli apparecchi.

Prof. Monti – Storia V – a.s. 2016/2017 – Il regime fascista in Italia

5

6. CENNI SULL’ANTIFASCISMO La voce del dissenso, nonostante gli sforzi, non fu mai messa a tacere: gli organismi deputati alla repressione non restarono mai “disoccupati”. Dalla sua nascita sino al 1943 presso il Tribunale speciale vennero deferite circa 16.000 persone, migliaia furono i processi e le condanne. Data la situazione, non pochi scelsero la strada dell’esilio volontario, mentre altri dismisero ogni tipo di attività pubblica (è il caso, per esempio, di Alcide De Gasperi). Al di là di un dissenso di tipo morale, ampia fu anche una più concreta attività cospirativa in funzione antifascista, attività nella quale furono soprattutto i comunisti a distinguersi. Il PCd’I, riorganizzatosi in Francia ed in collegamento con la Terza Internazionale, continuò sempre ad opporsi al fascismo, anche grazie al sostegno economico di Mosca (dopo l’arresto di Gramsci del 1926, fu Palmiro Togliatti a condurre il partito). Sempre in Francia, anche altri partiti trovarono modo di riproporre la loro attività: il Partito socialista, il partito repubblicano, ma anche la Confederazione Generale del Lavoro e persino un partito nuovo, Giustizia e libertà (Carlo Rosselli, Emilio Lussu, Alberto Tarchiani).

Prof. Monti – Storia V – a.s. 2016-2017 – Gli anni '30: verso la Seconda guerra mondiale

1

Gli anni '30: verso la Seconda guerra mondiale

1. INTRODUZIONE Negli anni '30 il fascismo - inteso in senso ampio, non limitato alla sola Italia - divenne una forza con la quale fare i conti a livello mondiale. La crisi del '29, nonostante le misure adottate, acuì le già presenti tensioni internazionali e l'ideologia fascista si estese anche al di là delle frontiere dell’Europa. Ovunque il totalitarismo fu caratterizzato dalla unificazione partito-Stato, dal culto del capo e, correlativamente, dalla repressione del dissenso e dall'organizzazione del consenso. Verso l'esterno, i vari regimi dittatoriali sventolarono una pretesa superiorità di carattere biologico e culturale, insieme a un aggressivo nazionalismo. Molte nazioni europee, assumendo fascismo e nazismo a modello, seguirono la strada dell'autoritarismo dirigista e dell’anticomunismo. Facciamo qualche esempio assai significativo: In Spagna, già negli anni ‘20, il regime di Miguel Primo de Riveira e il movimento politico di destra fondato dal figlio, la Falange, ebbero rapporti con il fascismo italiano. In Portogallo, nel 1932 il nuovo primo ministro Antonio de Oliveira Salazar fu a sua volta l’artefice di un governo autoritario legato al fascismo italiano. Anche l’Austria vide, sempre nel ‘32, la formazione di un governo autoritario (Engelbert Dollfuss) il quale, però, risultò ostile al partito nazista austriaco, che era fautore dell'unificazione con la Germania (Anschluss). Mussolini, che non desiderava che tale unione si compisse, sostenne Dollfuss il quale però, nel 1934, cadde vittima di un tentativo di colpo di stato da parte dei nazisti.

2. ECONOMIA IN ITALIA DOPO IL 1929 Sviluppo industriale e consumi rallentarono, in Italia, anche in conseguenza della crisi del ’29 (in effetti la quota 90, già in precedenza, aveva fortemente penalizzato le esportazioni italiane), seppure con minore intensità rispetto ad altri paesi. L’economia italiana era, infatti, piuttosto arretrata se paragonata a quella delle maggiori potenze occidentali e, dunque, ancora poco integrata nell'economia internazionale. In realtà, solo dopo la Seconda guerra mondiale l’Italia sarebbe divenuta un paese pienamente industrializzato. L’industrializzazione, anche se in via di sviluppo, era ancora relativamente poco incisiva rispetto a un’economia di auto consumo ancora ampiamente radicata fra i ceti rurali. In generale, il lento sviluppo dell’economia italiana attutì l’impatto della crisi, anche se la risposta alla stessa fu la stessa di quella adottata dagli altri paesi: il massiccio intervento statale. Nel 1930, la produzione industriale diminuì del 23% e un calo ancora maggiore riguardò quella agricola (fra 1928 e 1932, il 30% dei nuovi piccoli proprietari terrieri devono abbandonare le terre acquistate, non essendo più in grado di pagare i debiti contratti).

Prof. Monti – Storia V – a.s. 2016-2017 – Gli anni '30: verso la Seconda guerra mondiale

2

La disoccupazione aumentò e i salari diminuirono (anche del 15-20%), diminuzione che colpì anche gli indici della borsa. Il commercio estero si ridusse a un terzo, mentre il blocco dei flussi migratori cancellò uno sbocco importante per le classi subalterne. Il regime fascista rispose alla crisi comprimendo i salari, come abbiamo detto, e sostenendo l’industria pesante e la produzione bellica. Si crearono, poi, degli istituti per il controllo statale sull’economia: l'IMI (1931, istituto mobiliare italiano) gestiva il credito alle industrie, affiancando in questo compito le banche in crisi di liquidità. Nel 1933 nacque anche l’IRI (istituto per la ricostruzione industriale) deputato al sostegno all’industria. Questi enti vararono quello che potremmo chiamare un capitalismo di Stato in funzione di sostegno ai “privati” (si aiutavano, insomma, banche e industrie in difficoltà, ma non le famiglie) addossandone le spese sulla collettività. La Banca d’Italia divenne interamente pubblica e la lira, nel 1936, fu svalutata (abbandonando la quota 90). Per alleviare la disoccupazione vennero, come già accennato, varati ampi lavori pubblici, come la bonifica delle paludi dell’Agro Pontino (vennero qui bonificati 60.000 ettari di terreno e fondate le città di Latina e Sabaudia). Anche il fascismo, poi, legò la sua politica economica all’autarchia: la massima autonomia economica e produttiva doveva essere perseguita nel minor tempo possibile (il regime intensificò la “battaglia del grano”, inaugurata già negli anni Venti). Come sappiamo questa economia chiusa, a compartimenti “stagni”, era causata dalla crisi economica e dal peggioramento delle relazioni internazionali. Occorreva sforzarsi per produrre quanto prima si importava. Con l’autarchia, le corporazioni assunsero il controllo sui consumi e gestirono anche la distribuzione alle imprese delle materie prime importate. L’IRI assunse la gestione diretta delle imprese di interesse bellico. Nel complesso, l’intervento dello Stato italiano nell’economia e nei servizi pubblici - intervento, comunque, che non era certo inedito nel nostro Paese - divenne assai più marcato. I numerosi nuovi enti pubblici, giocoforza, portarono all’ampliamento di quella parte di ceto medio che era costituita da impiegati pubblici. Il solo PNF, nel 1943, giunse ad un picco di 8000 dipendenti! Fu, come possiamo vedere, direttamente lo Stato a salvare l'economia italiana e non, cosa peraltro auspicata dal fascismo, la struttura corporativa della società la quale, in effetti, non funzionò mai al di là della propaganda ideologica. Le Corporazioni furono più un mito – tanto in Italia quanto per gli osservatori stranieri – che una realtà: istituite formalmente solo nel 1934, quelle Corporazioni che avrebbero dovuto realizzare l’autogoverno integrato dei vari settori produttivi, inaugurando una via alternativa tanto al capitalismo quanto al comunismo, non ebbero mai un ruolo rilevante.

3. POLITICA ESTERA DELL’ITALIA In politica estera vi furono, progressivamente, eventi significativi per il futuro del regime. In principio, Mussolini non si discostò molto dalla precedente linea dell’Italia liberale: si mosse con prudenza, sottolineando la specificità tutta italiana del fascismo – il quale, a suo avviso, non sarebbe stato davvero comprensibile al di fuori del Paese – senza cercare in modo particolare una qualche unità rispetto all’affermazione di altri regimi autoritari (Ungheria, Spagna, Polonia, Portogallo... tutti regimi uniti al fascismo se non altro dall’anticomunismo).

Prof. Monti – Storia V – a.s. 2016-2017 – Gli anni '30: verso la Seconda guerra mondiale

3

Si intrattennero relazioni amichevoli con l’Inghilterra e vi fu anche il tentativo, attraverso alcuni accordi diplomatici, di avvicinare la Francia. Con il Patto di Roma del 1924 l’Italia riconobbe la legittimità della Jugoslavia in cambio della sovranità sulla città di Fiume. Sempre al 1924 risale anche il riconoscimento dell’URSS. Nel 1925, poi, l’Italia aderì al Patto di Locarno: esso era teso a garantire l’intangibilità del confine franco-tedesco. Il patto entrò in vigore nel 1926, in contemporanea all’entrata della Germania nella Società delle nazioni, e costituì l’inizio di un breve periodo di distensione e collaborazione. Questo Patto fu denunciato da Hitler nel ’36 come un atto di prosecuzione della politica di Versailles e, dunque, della sottomissione tedesca. Al 1928 risale invece il Patto Briand-Kellogg che impegnava le 62 nazioni aderenti a bandire la guerra come strumento di soluzione delle controversie internazionali. Briand era il ministro degli esteri francese, mentre Kellogg era il Segretario di Stato americano. La svolta si ebbe nel ’32 quando, nel ruolo di ministro degli esteri, Mussolini sostituì il moderato Dino Grandi. Gli effetti della crisi del ’29 contribuivano, con la chiusura dei mercati mondiali e l’asfissia di quello interno, a spingere verso la militarizzazione e, dunque, verso la preparazione della guerra, certamente capace di garantire commesse e profitti per le industrie. Questo, significò, per l’Italia, l’accettare di schierarsi al fianco degli Stati revisionisti: quelli, cioè, che si ritenevano danneggiati dai trattati di Versailles (Germania, Ungheria, Bulgaria). Sul fronte opposto, a favore del vigente sistema internazionale, c’erano naturalmente la Francia e l’Inghilterra, oltre alla Jugoslavia, la Cecoslovacchia e la Polonia (Stati, non a caso, nati o ricostituiti proprio grazie a Versailles!). Mussolini, comunque, continuò a cercare di attenersi ad una politica di equilibrio, oscillando fra le esigenze revisioniste e quelle dettate dalla necessità di non opporsi frontalmente a Francia e Inghilterra. Mussolini avrebbe voluto essere un po’ l’ago della bilancia dell’equilibrio europeo e, per questo, si sforzò nella realizzazione del “patto a quattro”: firmato nel 1933 con Inghilterra, Francia e Germania, impegnava i contraenti a perseguire una politica di pace tramite stretti contatti, con lo scopo di risolvere i problemi lasciati aperti dalla Grande Guerra. Mussolini tentò dunque di rilanciare il ruolo internazionale dell’Italia su un piano di parità con le altre potenze. Il patto, per la verità, venne accolto dagli altri contraenti con freddezza, solo come patto di consultazione. Nel 1933 Mussolini firmò anche un trattato di non aggressione, per avere maggior margini di manovra nell’ambito delle scelte espansionistiche dell’Italia. Nel ’35, rappresentanti di Italia, Francia e Inghilterra si incontrarono a Stresa per discutere del riarmo tedesco e delle mire di Hitler sull’Austria. In quella occasione Mussolini ottenne, da parte della Francia, il via libera per l’aggressione all’Etiopia (e si impegnava ad agire di concerto con la Francia per impedire ad Hitler l'annessione dell'Austria). La politica di potenza desiderata da Mussolini era chiara già da tempo: tre anni prima aveva, per esempio, affermato: “Solo la guerra porta al massimo della tensione tutte le energie umane e imprime un sigillo di nobiltà ai popoli che hanno la virtù di affrontarla.” La politica espansionistica di Mussolini si manifestò con forza proprio con l’Etiopia (già negli anni '20, in effetti, era stata completata la conquista italiana della Libia, iniziata, come ricorderete, con Giolitti nel 1911-1912; l'Etiopia era l'unico stato africano ancora indipendente!). Coerentemente con l’ideologia di potenza del fascismo, si trattò una guerra coloniale di conquista, utile in relazione alla crisi economica e anche in chiave propagandistica.

Prof. Monti – Storia V – a.s. 2016-2017 – Gli anni '30: verso la Seconda guerra mondiale

4

Si prese, come pretesto, un incidente fra soldati italiani ed etiopi avvenuto nel dicembre ’34. Il 3 ottobre ’35 partì l’attacco (dall’Eritrea, già italiana, e anche dalla Somalia italiana). Un esercito di 100.000 uomini avanzò fino all’occupazione di diverse città (Adigrat, Adua, Macallè), tuttavia la resistenza del negus (quello di "negus" è un titolo nobiliare equivalente a quello di re) e delle sue truppe fu superiore al previsto. Gli italiani avanzarono a fatica, nonostante la superiorità militare. In novembre, al comando delle truppe, Pietro Badoglio (che era stato alle dipendenze di Armando Diaz nella Grande Guerra) sostituì Emilio De Bono: ora l’obiettivo non è solo la vittoria, ma l’annientamento delle truppe nemiche abissine e la conquista integrale dell’Etiopia. Vennero così utilizzati anche bombardamenti aerei e gas velenosi (iprite), arrivarono ulteriori e decisive vittorie. Il 5 maggio del ’36 Badoglio entrò trionfalmente in Addis Abeba. All’inizio della guerra, la Società delle nazioni condannò l’Italia come paese aggressore, con sanzioni economiche (mai applicate e, successivamente, abrogate). La vittoria scatenò l’euforia nel regime. Mussolini ebbe modo, finalmente, di presentarsi come “fondatore di un impero”. Insieme a Somalia ed Eritrea, l’Etiopia andava a formare l’Africa orientale italiana. Vittorio Emanuele III assunse addirittura il titolo di imperatore di Etiopia. In contemporanea a questi avvenimenti, si delineò un chiaro avvicinamento fra Italia e Germania. Hitler, di fatto, aveva sostenuto l’impresa italiana e, in cambio, l’Italia si era opposta all’adozione di misure contro la Germania, la quale aveva occupato la Renania (regione nell’ovest della Germania), precedentemente smilitarizzata in accordo al Trattato di Versailles. Il 24 ottobre 1936 nasce l’asse Roma-Berlino, caratterizzato da comune impegno contro il bolscevismo e nell’aiuto dei militari spagnoli che si erano ribellati al governo (guerra civile). Le relazioni bilaterali si fecero sempre più strette: nel settembre ’37 Mussolini venne accolto trionfalmente in Germania e, in novembre, l’Italia aderì al Patto Anticomintern (il termine comintern, come sapete, qualifica la Terza internazionale comunista, cioè l’organizzazione internazionale dei partiti comunisti), già firmato da Germania e Giappone. Fra ’38-’39, quindi ancora nei primi mesi di guerra, il fascismo esplorò le possibilità di espansione imperialistica, immaginando uno sproporzionato programma che andava da Gibilterra fino al Medio Oriente. Programma ben presto mandato in frantumi dalle vicende belliche. Il destino dell’Austria costituiva, come abbiamo accennato, un elemento di attrito fra Italia e Germania. Dal maggio ’32, il nuovo cancelliere austriaco Dollfuss era deciso a difendersi all’interno dal terrorismo nazista e all’esterno dal Terzo Reich, ma, nel contempo, voleva realizzare un regime corporativo e antisocialista. Dollfuss cercò la protezione dell’Italia fascista contro il nazismo, a sottolineare l’evoluzione dell’Austria in senso filofascista. In Austria, il Partito comunista venne interdetto e venne varata una nuova costituzione corporativa. Il 25 luglio 1934, però, Dollfuss viene assassinato dai nazisti, richiamando l’attenzione sulla minaccia di una possibile annessione (anschluss) dell’Austria alla Germania. All’inizio l’opposizione dell’Italia fermò le ambizioni naziste, ma le cose cambiarono proprio grazie all’aiuto tedesco nella conquista d’Etiopia. L’annessione fu dichiarata nel marzo ’38, quando l’esercito tedesco occupa l’Austria (lo scopo di Hitler rispetto all'Austria era il suo sfruttamento per l’economia di guerra e il suo utilizzo come "trampolino" per ulteriori espansioni verso est). I rapporti di alleanza erano ormai capovolti: l'Italia, allontanatasi dalla Francia, si era legata alla Germania nazista. Non a caso, nel dicembre del 1937, anche l'Italia abbandonò la Società delle Nazioni.

Prof. Monti – Storia V – a.s. 2016-2017 – Gli anni '30: verso la Seconda guerra mondiale

5

4. CENNI SULLO STALINISMO Dopo le complesse vicende legate alla Rivoluzione d’ottobre, lo ricordiamo, L’URSS, Unione delle Repubbliche socialiste sovietiche, nacque ufficialmente nel dicembre 1922 attraverso un trattato federativo. Già in aprile, Stalin (1879-1953) era succeduto a Lenin (che morirà nel 1924) nella carica di segretario generale del partito. È da ora in poi che il potere comunista trovò un assetto stabile. Gli anni della presa del potere di Stalin, sino agli anni ’30, sono definiti dagli storici gli anni del “grande terrore”. Anche l’URSS fu caratterizzata da un regime dittatoriale, che acquisì quei medesimi tratti di totalitarismo di cui abbiamo parlato rispetto all’Italia e alla Germania, pur partendo da premesse storico-sociali e ideologiche ben diverse: dopo la morte di Lenin, Stalin governò insieme a due fidati bolscevichi (Kamenev e Zinov’ev, poi giustiziati nel periodo delle “grandi purghe”, fra ’36 e ‘38) e, in questa prima fase, si sbarazzò del rivale Trotzkij (ricordiamolo: fondatore dell’Armata Rossa, Trotzkij aveva sostenuto la internazionalizzazione della rivoluzione, mentre Stalin riteneva che si potesse e dovesse solo preservare la rivoluzione russa, dunque il socialismo in un paese solo, preservandola contro ogni nemico interno ed esterno), destituendolo dalla carica di commissario della guerra. All’inizio il regime ebbe una qualche dialettica interna, fra una “destra” e una “sinistra”, ma a partire dal 1927 Stalin eliminò tutti gli oppositori, culminando con la “grande purga” del 1936-38, che eliminò i vecchi rivoluzionari dal partito e dall’esercito. Il nodo centrale dell’economia era, in un paese ancora assai arretrato, l’industrializzazione. Stalin si chiedeva come attuarla e con quali capitali. In questo senso, egli partì dalla tassazione dei contadini ricchi (i kulaki, che di fatto Stalin ridusse a semplici contadini) e dall’aumento della differenza dei prezzi fra prodotti agricoli e industriali (a danno dei primi). Si avviò, di fatto, una seconda ondata rivoluzionaria, contro i kulaki (massacrati e, spesso, deportati nei GULAG) e il villaggio tradizionale (mir), in modo da convogliare la manodopera verso le industrie. Mentre il processo di industrializzazione si velocizzava, alla piccola proprietà agricola si sostituiscono i sovchoz, gestiti direttamente dallo stato, e i kolchoz, condotti collettivamente dai contadini. Circa la metà dell'intero reddito nazionale fu dedicata all’opera di trasformazione di un Paese povero e arretrato in una grande potenza industriale. Vi furono massicce importazioni di macchinari e chiamate alcune decine di migliaia di tecnici stranieri. Sorsero nuove città per ospitare gli operai (che in pochi anni passarono dal 17% al 33% della popolazione attiva), mentre una fittissima rete di scuole debellava l'analfabetismo e preparava i nuovi tecnici. I contadini, naturalmente, rifiutarono la collettivizzazione e, per piegarli, si usò la violenza. Nel 1929 Stalin giunse a ordinare di “liquidare i kulaki in quanto classe”: chi non entrava nella collettivizzazione era nemico del popolo, dunque andava imprigionato. È l’inizio della cosiddetta “dekulakizzazione”. In due anni, moltissime famiglie vennero deportate: espropriate della loro terra, vennero trasferite coattivamente in zone più remote del nord. Il provvedimento coinvolte oltre 1.600.000 persone! Le radicali scelte di Stalin raggiunsero gli obiettivi prefissati, anche se con un prezzo sociale altissimo. L’industria si sviluppò enormemente.

Prof. Monti – Storia V – a.s. 2016-2017 – Gli anni '30: verso la Seconda guerra mondiale

6

Tre successivi piani quinquennali trasformano l’URSS, collocandola al terzo posto nella produzione mondiale industriale, dietro a USA e Germania. La crisi del ’29 non colpì l’URSS, che non ebbe a subire le problematiche caratteristiche dell’Occidente (e questo fece enormemente aumentare il suo prestigio internazionale). Il Paese, comunque, non riuscì ad aumentare le vendite (protezionismo) ed ebbe modo solo di contare sulle proprie risorse interne. Nelle fabbriche i ritmi di lavoro restarono massacranti sino al 1935 con livelli di vita bassissimi. Poi, lentamente, il lavoro in fabbrica perse quella prima intensità e si tornò ai livelli di vita del 1928. Alla vigilia della guerra, l’URSS era da una parte un Paese contadino collettivizzato a forza, Paese con il compito di mantenerne un secondo, quello industriale e urbano.

5. IL GIAPPONE Le conseguenze della crisi del ’29 si fanno sentire anche al di fuori dell’Europa e degli USA. Nei confronti del Giappone, la crisi delle economie più sviluppate funzionò come una spinta ad accentuare la politica espansionistica ed aggressiva. Le sue classi dirigenti pensavano di poter costruire un modello di sviluppo lontano sia da quello liberistico che da quello marxista, fondandosi sulla tradizione culturale del paese. L’industria nazionale, tuttavia, non riesce ad assorbire l’aumento demografico: si cerca di ovviare tramite l’espansione territoriale.

Dopo la Prima guerra mondiale, l’espansione commerciale e territoriale nipponica era stata pacifica (acquisto di terre in Manciuria per l’introduzione di colonie), ma la crisi e il protezionismo chiudono gli sbocchi del commercio estero: dal 1931, dunque, il Giappone cerca l’avventura della colonizzazione con l’uso delle armi. L’idea era quella di espandersi economicamente verso l’Asia continentale, partendo dalla conquista di avamposti (Corea, Taiwan), prima di confrontarsi con la Cina. Nel ‘31 il Giappone invade e conquista la Manciuria, creando uno stato formalmente indipendente (Manchukuo), nel ’33 abbandona la Società delle Nazioni, nel ’37 dichiara guerra alla Cina. La campagna militare ebbe grande successo: nel 1938 il Giappone è la seconda potenza coloniale imperialistica (dopo la Gran Bretagna). All’interno, il paese era rigidamente stratificato in classi, in una allungata piramide sociale. I grandi “capitalisti” controllano il 22% del capitale globale delle società giapponesi (un esempio è Mitsubishi). La manodopera era abbondantissima, senza alcun tipo di garanzia sociale e, per di più, legata da un vincolo di obbedienza e lealtà alla sacra figura dell’imperatore. Il nuovo imperatore Hirohito (1901-1989, imperatore dal 1926) completa il regime totalitario, con connotati fascisti. La destra e i militari scatenano la repressione nei confronti delle sinistre e del sistema parlamentare. Nel ’36, a seguito di una rivolta militare di Tokio, il potere passa interamente nelle mani dell’esercito e della marina, che cancellano le opposizioni e creano strutture e organizzazioni simili a quelle italiane e tedesche: Associazione patriottica industriale al posto dei sindacati, partito unico legato all’imperatore al posto del sistema parlamentare. Nel 1938, dopo l’invasione della Cina, viene varata una legge di mobilitazione generale, preludio alla completa militarizzazione del paese.

Prof. Monti – Storia V – a.s. 2016-2017 – Gli anni '30: verso la Seconda guerra mondiale

7

6. LA CINA (SOLO DA LEGGERE!) La Cina, aggredita dal Giappone, era internamente divisa. All’indomani della Prima guerra mondiale, le principali forze politiche avevano cominciato a collaborare (il Kuomintang, partito nazionale del popolo di Sun Yat-sen, e il Partito comunista, fondato nel 1921 anche con la presenza di Mao Tse-tung). Nel 1924 il congresso del Kuomintang approva tre principi: unità del popolo (nazionalismo), benessere del popolo (socialismo), diritti del popolo (democrazia). Su questa base i comunisti vengono accolti in questo partito, la cui leadership passa al generale Chiang Kai Shek, lontano da idee liberaldemocratiche. L’alleanza fra i due partiti sfocia in una guerra di liberazione nazionale contro i cosiddetti “signori della guerra”: militari ribelli, sostenuti da inglesi, americani e giapponesi, che controllavano il Centro e il Nord del paese, rifiutando la sottomissione al governo di Canton. Tra 1925 e 1927 la guerra procede bene e nel 1928 Chiang unifica tutto il paese (governa un Consiglio di Stato, presieduto da lui stesso). Si cancellano anche tutti i dazi interni, abolendo la divisione economica e commerciale e vengono meno anche tutti i privilegi e le concessioni di cui in precedenza alcuni paesi occidentali godevano. Durante la guerra, però, fra i due partiti i rapporti si logorano fino alla guerra civile, dal 1927. Chiang cominciò a perseguitare gli ex alleati dando vita a una dittatura militare (1931) che cancella la democrazia. Il nuovo regime ha nelle campagne il suo punto debole, ove si lamenta l’assenza di una riforma agraria che non arriva. I comunisti, invece, controllano dei territori nelle regioni meridionali (nel 1931 proclamano la Repubblica dei soviet, presieduta da Mao) hanno espropriato i latifondi e distribuito le terre. La guerra raggiunge il culmine fra il 1930 e il 1934, con il tentativo di annientare i comunisti. A questo proposito è interessante la scheda sulla “lunga marcia”.

Anche l’attacco giapponese del ’37 modifica i rapporti fra comunisti e nazionalisti. L’offensiva mette a rischio l’esistenza di una Cina indipendente: le principali città vengono velocemente conquistate. Fra le forze di Chiang e quelle di Mao si varò un “fronte unito” contro i giapponesi: la resistenza si concentra nella Cina rurale, principalmente attraverso efficaci azioni di guerriglia e sabotaggio. Dal ’38 in avanti le cosiddette “zone libere” (controllate dai comunisti) si diffondono a macchia di leopardo in tutta la nazione.

7. IL MONDO COLONIALE (SOLO DA LEGGERE!) In generale tutto il mondo coloniale conobbe qualche cambiamento fra le due guerre, anche se in modo meno marcato rispetto alle maggiori potenze. Ancora nel 1920, le masse contadine di Asia, Africa e America latina erano ancora estranee all’economia monetaria: predomina una economia di sussistenza, dove il potere dei proprietari terrieri era ostacolo al cambiamento sociale ed economico. In assenza di situazioni di carattere rivoluzionario, come ad esempio in Messico, lo sviluppo di una agricoltura orientata all’esportazione scuote gli equilibri sociali, ma limitatamente a poche zone fertili e accessibili. Piccoli cambiamenti interessarono soprattutto la fascia temperata dell’America latina, Messico, Argentina, Venezuela (grazie al petrolio) e il Brasile meridionale, territori più legati all’Europa e ai capitali britannici. Vi furono in questi paesi ammodernamenti agricoli e sviluppi industriali, in contrasto con la prevalente economia di sussistenza e la scarsa

Prof. Monti – Storia V – a.s. 2016-2017 – Gli anni '30: verso la Seconda guerra mondiale

8

industrializzazione del resto del continente. Nonostante ciò, Argentina e Brasile vivono una acuta crisi politica: la democrazia argentina è colpita da un colpo di stato (1930), che consolida la posizione di generali e oligarchie terriere, mentre il Brasile sperimenta il regime totalitario di Getulio Vargas, per certi versi simile al fascismo (nazionalismo, statalismo e corporativismo in economia). In Messico, invece, le conquiste della Rivoluzione del 1910 si consolidano. Negli anni ’30, in Medio Oriente, il petrolio ancora non è sfruttato. Le attività economiche erano diversificate e la ricchezza più equamente distribuita di quanto lo sia oggi... Agricoltura, commercio, artigianato... In politica, però, vi furono significativi cambiamenti. Negli anni del dominio coloniale, le società tradizionali furono impotenti di fronte alla forza militare e culturale dei conquistatori. Solo i paesi eredi di grandi imperi (Turchia, Persia, Cina) era presente l’aspirazione a uno Stato indipendente. Per il resto era l’idea stessa di Stato a mancare. Tuttavia, dopo la fine della Prima guerra mondiale, si affermarono vari movimenti nazionalistici nei paesi coloniali, segnando l’esordio del processo di decolonizzazione che si affermerà dopo la Seconda guerra mondiale. A far scattare l’indipendentismo furono soprattutto la distruzione di due imperi coloniali con la Prima guerra mondiale (Germania e Impero Ottomano) e la crisi del ’29. L’Egitto (1919-1922) è il primo stato coloniale ad ottenere la dichiarazione di uno Stato almeno parzialmente indipendente. Formula applicata anche a Iraq e Giordania. Il crollo di Wall street ha conseguenze maggiori: i prezzi dei prodotti primari, dai quali l’economia dei paesi coloniali dipendeva, crollano molto più in fretta di quelli dei manufatti industriali. Nasce così un gran numero di movimenti politici che, dalla fine degli anni ’30, segnerà l’evidente crisi del colonialismo. Le élite indigene, poco alla volta, non collaborano più con i dominatori stranieri, rivalutando la propria cultura tradizionale, si interessano di politica rivendicando l’indipendenza. Il modo di promuovere questi movimenti indipendentisti, però, furono tutti di derivazione occidentale (stampa, mobilitazioni pubbliche di massa, partiti): la storia del cammino verso l’indipendenza, dunque, sembra riguardare solo queste minoranze e solo da loro è compresa. I più restano analfabeti e per loro è assai più importante l’appartenenza a un villaggio che non la solidarietà nazionale: la resistenza allo straniero è, così, radicale nelle città, ma molto meno nelle campagne...

8. LA GUERRA DI SPAGNA La crisi del ‘29, come abbiamo detto, accese focolai di tensione un po’ in tutto il mondo. Anche la Spagna aveva partecipato al boom economico successivo ai primi anni successivi alla fine delle guerra (anni ’20), aumentando di moltissimo la propria produzione industriale. L’industria aveva interessato principalmente le regioni del Nord (Catalogna, Paesi Baschi), mentre le regioni mediterranee erano inserite nel mercato internazionale di vino, olio, agrumi. Fra ’32 e ’33 anche in Spagna si manifestarono gli effetti della crisi: si cercò di fronteggiarli con una riforma agraria (con espropri di terreni ai danni della vecchia nobiltà rurale), nel tentativo di rilanciare il mercato interno e dunque i consumi, ma ai problemi economici si aggiunsero quelli politici. Il periodo compreso dal ’23 al ’29 era stato stabile grazie alla dittatura del generale Miguel Primo de Rivera, il cui regime aveva presentato diversi aspetti comuni al fascismo italiano.

Prof. Monti – Storia V – a.s. 2016-2017 – Gli anni '30: verso la Seconda guerra mondiale

9

Con la sua caduta nel gennaio 1930, però, la Spagna guidata dal governo del repubblicano Manuel Azana, precipitò verso la guerra civile. Le elezioni amministrative del 1931 portarono alla vittoria delle sinistre, il che indusse re Alfonso XIII di Borbone a lasciare il paese. La repubblica nacque in un paese diviso: da una parte una variegata sinistra (sindacati, movimenti autonomisti in Catalogna e Paesi Baschi e alcuni settori della borghesia industriale), dall’altra una destra composta da monarchici (“alfonsini” e “carlisti”, sostenitori di un altro ramo dei Borbone), cattolici, i fascisti della “Falange spagnola” (fondata nel ’33) guidati dal figlio del vecchio dittatore José Antonio Primo de Rivera, oltre che l’esercito e la Chiesa (che allora, in Spagna, era ancora una grande potenza economica). Il governo Azana presentava un limitato piano riformista: riforma agraria e autonomia alla Catalogna. Questo non bastava per accontentare alcuni settori della sinistra (anarchici e comunisti), ma era troppo a parere degli oppositori di destra, che in questi provvedimenti vedevano delle pericolose concessioni ai comunisti. Le elezioni del ’33 videro un grande aumento dei seggi al Parlamento per la destra (da 42 a 207). Venne varato un nuovo governo di coalizione (centro unito ad alcuni gruppi di destra, fra cui i filofascisti): l’autonomia alla Catalogna venne revocata e si avviò anche una dura repressione contro le agitazioni e gli scioperi di operai e contadini (la repressione dello sciopero dei minatori delle Asturie provoca ben tremila morti). Successivamente, i consensi sembrano di nuovo favorire la sinistra, infatti le elezioni del ’36 danno grande consenso al Fronte popolare delle sinistre (267 seggi), contro i 132 del Fronte nazionale delle destre. Nel nuovo governo entrarono anarchici, comunisti e anche il Partito operaio di unificazione marxista (fedele a Trotskij e contro Stalin). La destra era dunque sconfitta, ma era ancora forte e, insieme alle gerarchie dell’esercito, pensava al Colpo di Stato. La sinistra, invece, era molto divisa: il programma riformista del governo accontenta repubblicani e comunisti, ma non gli anarchici e il Partito operaio. La situazione politica incerta riaccende le tensioni: contro la Chiesa e i proprietari, si incendiano chiese e conventi, si occupano terre e fabbriche. Le classi subalterne in genere mostrano il proprio anticlericalismo e gli operai i propri slanci rivoluzionari: a tutto ciò si oppone l’organizzazione militare della destra, che appoggia l’intensa attività terroristica e l’eliminazione dei nemici politici avviata dalla Falange. La situazione precipita nelle giornate del 17-19 luglio 1936, quando le guarnigioni militari stanziate in Marocco e guidate dai generali Francio Franco e Emilio Mola si sollevano contro il governo repubblicano. Aiutati dall’aviazione della Germania nazista, gli insorti sbarcano in Spagna e immediatamente conquistano l’Andalusia (regione del Sud). Comincia così la guerra civile spagnola. La sede del governo dei ribelli viene posta a Burgos e, nel settembre ’36, Franco viene acclamato “generalissimo”, assumendo così poteri di dittatore. Parte della Spagna meridionale (Galizia, Asturie, Navarra) si schiera con i franchisti, mentre Madrid e Barcellona erano roccaforti repubblicane. Nel febbraio ’37 i franchisti conquistano Malaga, mentre in aprile la città di Guernica viene rasa al suolo dai bombardieri tedeschi (è il primo bombardamento a tappeto della storia, tecnica che sarà utilizzata durante tutta la Seconda guerra mondiale). Alla fine del ’37 per i repubblicani si profila la sconfitta: fra il luglio e il novembre del ’38 tentano un ultima offensiva lungo il fiume Ebro, che fallisce con gravi perdite. Nel gennaio ’39 i franchisti entrano a Barcellona e in marzo a Madrid, che si arrende per ultima. La guerra civile è durata tre anni ed è costata un milione di morti.

Prof. Monti – Storia V – a.s. 2016-2017 – Gli anni '30: verso la Seconda guerra mondiale

10

Dopo la vittoria, Franco vuole consolidare il proprio potere militare e politico, trasformando la sua dittatura in un vero e proprio regime. Viene creato un partito unico, la FET (falange spagnola tradizionalista), risultato dalla fusione della fascista Falange spagnola di José Antonio Primo de Rivera con la Comunion tradicionalista, partito caratterizzato dalla sua avversione al liberalismo. Per imitazione rispetto ai paesi che sostenevano questo regime (Italia e Germania), il caudillo (titolo dei capi politici e militari) ne accetta molte forme esteriori (saluto romano, camice blu a ricalco di quelle nere o brune...). Di fatto, però, dopo la vittoria nella guerra civile, il regime di Franco non segue il destino di fascismo e nazismo, infatti sopravvive alla Seconda guerra mondiale (Franco non combatte apertamente a fianco di Italia e Germania, inoltre di fatto ridimensionò i caratteri fascisti del suo regime senza mettere in pericolo la sua dittatura). Dopo il ’45 si avvicina ai paesi occidentali in funzione anticomunista, nel ’69 addirittura restaurò la monarchia, lui è reggente, nominando come suo successore Juan Carlos I di Borbone. Muore nel 1975.

9. VERSO LA SECONDA GUERRA MONDIALE La guerra civile spagnola, al di là della sua importanza locale, può essere vista come una specie di prova generale della Seconda guerra mondiale. A fianco di Franco e dei ribelli si schierano Italia e Germania: Mussolini invia settantamila uomini mentre i nazisti intervengono con reparti aerei. Francia, Inghilterra, USA e le altre democrazie scelgono il “non intervento”. Solo l’URSS invia dei volontari e materiale bellico. Molti democratici poi, che non approvavano la linea del non intervento, si arruolarono nelle brigate internazionali per andare a combattere contro il fascismo (circa 40.000 uomini). In Spagna dunque, in qualche modo si anticipano gli schieramenti che vedremo molto più in grande sul fronte della guerra mondiale. Nel settembre 1938 Francia, Germania, Gran Bretagna e Italia siglarono il Patto di Monaco. Hitler da tempo reclamava infatti il territorio dei Sudeti, abitato da una popolazione di etnia tedesca, ma inserito nella Cecoslovacchia: il Patto, esempio più chiaro della politica dell'appeasement cui abbiamo accennato, stabiliva il passaggio di tale regione alla Germania (senza neppure consultare il governo cecoslovacco!), in cambio di vaghe promesse. A questo riguardo alla Camera dei Comuni si levò la voce di Winston Churchill, futuro Primo ministro britannico il quale, commentando l'accordo stretto da Chamberlain, Daladier e Mussolini con Hitler disse: "Regno Unito e Francia poteva scegliere fra la Guerra e il disonore. Hanno scelto il disonore. Avranno la guerra." Churchill non si sbagliava affatto: Hitler aveva già pronti piani militari per l'occupazione di Boemia e Moravia, cioè le parti più ricche e sviluppate della Cecoslovacchia. La guerra era, ormai, alle porte...