Giufà - eunoedizioni.it · Fiabe, novelle e racconti popolari siciliani (opera in 9. quattro...

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Giufà Quando ero piccola a casa mia esisteva già la «scatola parlante», come alcuni anziani chiamavano il televisore, ma il suo uso era molto differente da quello che se ne fa ai giorni nostri. La TV si accendeva solo alla sera. I ricordi della prima infanzia sono legati alla mia piccola casa, che la sera pareva trasformasi in una capiente sala cine- matografica. Lì si radunavano i vicini che, trepidan- ti, aspettavano l’apparizione della «signorina buo- nasera» che annunciava un pezzo d’opera o, in alter- nativa, un interminabile romanzo a puntate. Ma so- lo di sera! Il pomeriggio, compiti permettendo, era destinato al divertimento. Allora vivevo in un paesino e noi bambini di pae- se, a differenza di quelli delle grandi città, non dove- vamo seguire questo o quel corso pomeridiano di danza o di equitazione o di chissà quale attività ex- trascolastica «alternativa» (alternativa a cosa? alla spensieratezza infantile?), e così tempo per giocare ne avevamo veramente tanto. I pomeriggi trascorre- vano tra i giochi per strada e i cunti. 7

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Giufà

Quando ero piccola a casa mia esisteva già la«scatola parlante», come alcuni anziani chiamavanoil televisore, ma il suo uso era molto differente daquello che se ne fa ai giorni nostri.

La TV si accendeva solo alla sera. I ricordi dellaprima infanzia sono legati alla mia piccola casa, chela sera pareva trasformasi in una capiente sala cine-matografica. Lì si radunavano i vicini che, trepidan-ti, aspettavano l’apparizione della «signorina buo-nasera» che annunciava un pezzo d’opera o, in alter-nativa, un interminabile romanzo a puntate. Ma so-lo di sera! Il pomeriggio, compiti permettendo, eradestinato al divertimento.

Allora vivevo in un paesino e noi bambini di pae-se, a differenza di quelli delle grandi città, non dove-vamo seguire questo o quel corso pomeridiano didanza o di equitazione o di chissà quale attività ex-trascolastica «alternativa» (alternativa a cosa? allaspensieratezza infantile?), e così tempo per giocarene avevamo veramente tanto. I pomeriggi trascorre-vano tra i giochi per strada e i cunti.

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In tutte le case c’era sempre un nonno, una non-na o una zia disposti a raccontarci le imprevedibiligesta di Giufà, il mitico personaggio di origine ara-ba che, pur se con nomi e atteggiamenti diversi, è dicasa in tutti paesi che si affacciano sul Mediterra-neo. Parenti che a loro volta avevano appreso i rac-conti dai loro avi, quando l’abitudine del cunto eraprassi comune, e non solo nelle ore pomeridiane maanche in quelle serali, in case che non conoscevanoancora né radio né televisione.

Da grande seppi che Giufà diventa in arabo Giù-ha, in ebraico Giokà, in Egitto Goha, Jeha in Alge-ria e in Marocco, Nasreddin Hodja o Nasreddin Ho-ca in Turchia, a Malta è Gihane, in Bulgaria HitarPetar, Nastra-tin Hogea in Romania, Nastradin inGrecia ed ex Iugoslavia, in Sardegna è Giaffah,Giucca in Toscana, Turlulè in Trentino ecc.

Giuseppe Pitrè, nel 1875 così scriveva:

Il nome di Giufà si modifica e trasforma da paese apaese; in Trapani è Giucà, in Piana de’ Greci, PalazzoAdriano e nelle altre colonie albanesi di Sicilia, GiuZà,in Acri (Calabria citer.) Giuvali; in Toscana, Roma eMarche, Giucca, ecc. Il nome di Giufà coincide con quel-lo d’una tribù araba, ed il personaggio ha riscontri inSdirrameddu e in Maju longu di Polizzi, nel Loccu di lipassuli e ficu di Cerda, e in Martinu di Palermo (personi-ficazioni fantastiche le cui scempiaggini si attribuisconoanche a Giufà), in Trianniscia di Terra d’Otranto, nelMato di Venezia, in Simonëtt del Piemonte e in Bertoldi-no e Cacasenno.

Il Giufà della mia infanzia era quasi sempre unirresponsabile combina guai che, di tanto in tanto,veniva colto da insolita furbizia, dovuta più alla ca-sualità degli eventi che a una caratterista intrinseca.Tranne a scoprire poi, in età adulta, dal racconto diun contadino siciliano, un Giufà furbo che adduvatu(alle dipendenze) di un padrone molto scorretto, eper di più prete, si fa furbo per riscattare i torti subi-ti dai suoi fratelli.

O anche un Giufà talvolta dotato di imprevedibi-li guizzi di genialità. A tal proposito alcuni raccontisono molto simili nella tradizione siciliana e in quel-la araba. Tipico esempio è il racconto, documentatoa Trapani e inserito nella raccolta del Pitrè, intitola-to Giucà e chiddu di la scummisa, che nella culturaaraba trova riscontro in Giufà e il sultano. I fatti nar-rati sono pressoché identici, ma con una differenzasostanziale: nel racconto trapanese Giufà vendica ilmaltorto subito da un amico, dipendente di un pa-drone che si riteneva essere troppo scaltro (così co-me nei racconti del contadino di cui sopra), nellanarrazione araba è lo stesso Giufà che riesce a ven-dicarsi per un torto inflittogli dal sultano.

Un personaggio che, per le sue poliedriche carat-teristiche, di sicuro affascinava e ancora oggi affa-scina.

Il grande studioso di tradizioni popolari Giusep-pe Pitrè si occupò del nostro personaggio a più ri-prese. La prima consistente raccolta di storie sicilia-ne di Giufà (ben 17) si trova nel terzo volume diFiabe, novelle e racconti popolari siciliani (opera in

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quattro volumi), edito nel 1875. Tale raccolta è statainserita nel sesto volume della monumentale operadello stesso autore, Biblioteca delle tradizioni popo-lari siciliane, edita a Palermo tra il 1870 e il 1913.

Il Pitrè torna a occuparsi di storie siciliane diGiufà in un altro testo: Fiabe e leggende popolari si-ciliane, un volume unico dove, dopo tredici anni dal-la precedente raccolta di fiabe e leggende popolari,il Pitrè aggiunge altri 158 racconti tradizionali, e do-ve anche il nostro Giufà trova nuovo spazio. Questeseconde leggende di Giufà sono meno conosciute aipiù, probabilmente proprio perché inserite in unaraccolta differente. Anche le nuove fiabe e leggendetrovarono posto nella Biblioteca delle tradizioni po-polari siciliane, nel volume XVIII.

Dal Pitrè in poi molti autori si sono occupati diGiufà e, spesse volte, non riportando nuove favole,ma trascrivendo quelle già raccolte dal Pitrè.

Ma se oggi, in qualità di studiosa, mi piace inda-gare sulla storia, sulle fonti, sull’originalità o menodi un racconto, sulla tecnica del cuntu, non era cosìquando ero bambina.

Allora a me, come a miei coetanei, non interessa-va sapere chi fosse veramente Giufà, da dove prove-nisse o in quali testi fossero contenute le sue gesta.Per noi bambini era bello ascoltare i racconti dallavoce dei grandi: uno svago così appassionante dariuscire a strapparci da qualsiasi gioco.

Com’era bello stare seduti intorno a una braceaccesa, quando fuori pioveva e c’era freddo, così co-m’era altrettanto entusiasmante sedersi, d’estate,

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sui gradini di casa ad ascoltare un anziano che, ma-gari intrecciando panieri di canne, ci raccontava al-cune storie «dei suoi tempi», o delle favole che ci la-sciavano con il fiato sospeso. Il narratore, se deside-rava ricevere la giusta attenzione, doveva esserecoinvolgente, soprattutto nell’intonazione della vo-ce, nella cadenza, nelle pause. Quella del cuntu erauna vera e propria arte recitativa che, senza averebisogno di grandi registi o di scuole di teatro, cattu-rava il pubblico bambino con gesti e modulazionivocali.

Di sicuro la «parola scritta», per i racconti popo-lari, non può avere la carica emotiva, la magia, il so-gno di quella «parlata» o anche «cantata», ma recu-perare i cunti della tradizione orale e traslarli inscrittura è urgente per strapparli all’oblio della me-moria. È anche per questo che, diventata grande, hovoluto trasfondere il ricordo di quei magici momen-ti scrivendo e cantando alcune favole della mia in-fanzia.

Questa raccolta intende essere un omaggio al ri-cordo bambino, un riconiscimento alla memoria po-polare e anche alla capacità della cultura popolaredi rigenerarsi e riappropriarsi del proprio messag-gio originario nei territori più diversi, geografica-mente lontani e vicini nell’assimilazione di questopersonaggio simbolo.

Le storie inserite nella sezione Giufaniàte, riferi-temi da anziani siciliani, narrano di fatti realmenteaccaduti e in cui il protagonista assume nella narra-zione popolare il nome di Giufà per le peculiari ca-

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ratteristiche del personaggio principale. Non è raro,ancora oggi, sentire dire fici na giufaniàta, per indi-care qualcuno che ha commesso un atto irresponsa-bile. Altre storie si riferiscono a «barzellette», ossiaracconti che non fanno riferimento a un fatto realema a un fatto inventato e che, per le tipicità del per-sonaggio principale, vengono attribuite a Giufà.

Questa mia raccolta è un dono a tutti i bambini eanche a tutte quelle persone che, pur se avanti neglianni, vogliono continuare a stupirsi, ridere, scherza-re, ascoltare, raccontare.

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I cunti ricercati

Giufà e i du’ linticchi1

C’era ’na vota Giufà, vistu ca so matri aveva anesciri, allura ci dissi:

– Giufà, iò staju niscennu. Tu pigghia ’na pignataa rinchi d’acqua e a metti a ncapu u luci. Quannu vi-ri ca vugghi ci cali du’ linticchi, accussì quannu tor-nu i trovu beddi cotti e manciamu.

– Va beni, matri, ora u fazzu.– Mi nni pozzu jiri tranquilla?– Certu. Stati sirena, ca ora iò cociu i linticchi.Appena so matri nesci, iddu pigghia a pignata, a

dinchi d’acqua, a metti ’ncapu u focu e arresta fer-mu a talialla finu a quannu ’un vugghi. Poi rapi u sti-pu e pigghia d’a burnia du’ linticchi. Ma propriu duidi cuntu: unu e dui, e i cala nall’acqua vugghienti.

Dopu tanticchia ’nfila u cucchiaru di lignu na pi-gnata, pigghia un linticchiu, ci suscia e si lu mettimmucca pi tastallu. Ma u linticchiu era ancora duru.Iddu si l’agghiutti e, sempri fermu davanti a pignata,aspetta n’autra tanticchia. Dopo ’nfila arrè u cuc-chiaru di lignu na pignata, unni aveva arristatu suluun linticchiu. Giufà arrimina, arrimina finu a quan-nu ’un lu trova. Ci suscia e si lu metti mmucca.

–Ah! – dissi – chistu sì ca è cottu! – e si l’agghiutti.Junci so matri, va’ talia dintra a pignata ma trova

sulu l’acqua vugghenti senza nenti di dintra e ci dici:

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1 Rielaborazione dell’A. di un ricordo personale.

– Giufà t’avia dittu di cociri i linticchi e tu ’un nnifacisti nenti!

– Unn’è veru! U fici!– U facisti? E unni su’ sti linticchi chi cucisti? Iò

’un li viu!– Pi forza! Vui mi dicistivu di cociri du’ linticchi.

E iò accussì fici. Dui ni calavu, propriu comu mi di-cistivu. A la littra v’ascutau. Né unu chiossà, né unucchiù picca! Ma comu aveva a fari pi capiri s’eranucotti?

– E ’nzoccu facisti?– Unu u tastavu e l’autru m’u manciavu.– Chi sugnu cunsumata! – dissi so matri, mitten-

nusi i manu e’ capiddi – Mischinazza di me! Pi stufigghiu loccu, rimediu ’un cci nn’è!”

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Giufà e le due lenticchie

C’era una volta Giufà, poiché sua madre dovevauscire, gli disse:

– Giufà, io esco. Tu prendi una pentola, la riempid’acqua e la metti sul fuoco. Quando vedi che staper bollire butti giù due lenticchie, così quando ri-torno le trovo belle e cotte e mangiamo.

– Va bene, mamma, lo faccio subito.– Posso andarmene tranquilla?– Certo. State2 serena, che ora io cucino le lentic-

chie.Non appena la madre uscì di casa, Giufà prese la

pentola, la riempì d’acqua, la mise sul fuoco e rima-se fermo a guardarla fin quando l’acqua non inco-minciò a bollire. Poi aprì la dispensa e prese dal ba-rattolo due lenticchie. Ma proprio due di conto: unae due, e le buttò giù nell’acqua bollente.

Dopo un po’, infilò il cucchiaio di legno nellapentola, prese una lenticchia, ci soffiò sopra e la mi-se in bocca per assaggiarla. Ma la lenticchia era an-cora cruda. Giufà inghiottì la lenticchia e rimase fer-mo un altro po’ davanti alla pentola. Poi immersenuovamente il cucchiaio di legno nella pentola, do-ve era rimasta solo una lenticchia, mescolò fin quan-do non la trovò, ci soffiò sopra e se la mise in bocca.

2 Al tempo a cui si riferisce il racconto, i figli davano del voi aigenitori.

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–Ah! – disse inghiottendola – questa sì ch’è cotta!Quando ritornò la madre, guardando dentro la

pentola trovò solo l’acqua bollente.– Giufà – disse – ti avevo detto di cucinare le len-

ticchie e tu non hai fatto nulla?– Non è vero, l’ho fatto!– L’hai fatto? E dove sono queste lenticchie che

hai cucinato? Io non le vedo!– Per forza! Voi mi avevate detto di cucinare due

lenticchie. E io così ho fatto. Due ne ho buttate giù,proprio come mi avevate detto. Alla lettera vi houbbidito: né una di più, né una di meno! Ma comedovevo fare per capire se erano cotte?

– Come hai fatto?– Una l’ho assaggiata e l’altra l’ho mangiata.– Come sono rovinata! – disse la madre di Giufà

mettendosi le mani tra i capelli. – Povera me! Perquesto figlio allocco, rimedio più non c’è!

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Indice

Giufà 7

I CUNTI RICERCATI

Giufà e i du’ linticchi 14Giufà e le due lenticchie 15

Giufà e u pappaaddu 20Giufà e il pappagallo 21

Giufà e u cudduruni 24Giufà e la focaccia 25

Giufà e a statua 30Giufà e la statua 31

Giufà persi i scarpi 38Come Giufà perdette le scarpe 39

Giufà sutta u ponti 44Giufà sotto il ponte 45

Giufà u parrinu e i du’ muli 50Giufà il prete e i due muli 51

Giufà u parrinu e u frumentu di siminari 54Giufà il prete e il frumento da seminare 55

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Giufà u parrinu e l’arrimunnata di l’alivi 58Giufà, il prete e la potatura degli ulivi 59

Giufà u parrinu e i porci 62Giufà, il prete e i porci 63

GIUFANIÀTE

Giufà e u viaggiu scàusu 68Giufà e il viaggio scalzo 69

Giufà ’n galera 72Giufà in galera 74

FATTI VERI

Giufà persi mula e farina 76Giufà perdette la mula e la farina 77

Giufà e a bumma 78Giufà e la bomba 79

JEHA, OVVERO GIUFÀ ARABO

Giufà e l’uovo 82Giufà porta gli asini alla fiera 85

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Giufà e il funerale 89Giufà e il veleno per il demonio 90Giufà e il chiodo 91Giufà e il sultano 94Giufà e l’olio 97L’equilibrio della terra 99La luna si fa stelle 100

GIUFÀ PUBBLICATO

Giufà e la Giustizia 102Giufà e la Giustizia 103

Giufà e lu friscalettu 104Giufà e lo zufolo 105

Giucà e chiddu di la scummissa 108Giufà e quello della scommessa 109

Giufà e il mazzarinese 113

Giufà e u furmentu 114Giufà e il frumento 115

Canzone di Giufà 116

Bibliografia 121

Fonti 123

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