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Giovedì santo
La cena del Signore, la sera del Giovedì santo, è la prima
celebrazione del Triduo pasquale. Secondo la tradizione più
antica, attestata da Paolo (1 Cor 11,23), «nella notte in cui veniva
tradito», il Signore Gesù, avendo preso del pane e un calice di
vino, disse: «Questo è il mio corpo», «Questo è il mio sangue»,
«Fate questo in memoria di me». Così ogni volta che noi
mangiamo di questo pane e beviamo di questo calice annunciamo
la morte del Signore finché egli venga. La Cena del Signore è stata
quindi celebrata nelle comunità cristiane fin dalle origini, come
attestano anche gli Atti degli apostoli (At 2,42).
La celebrazione del Signore, che ha sempre comportato il
racconto di ciò che Gesù ha fatto e detto «al momento di essere
consegnato alla morte e di offrirsi liberamente alla sua passione»,
seguito dalla condivisione del pane e del calice, corpo e sangue di
Cristo (1 Cor 11,27-28), si è evoluta nel corso dei secoli.
Inizialmente, si è lasciata molta libertà a colui che presiedeva
l'«assemblea» liturgica, detta anche «sinassi». Ma la cosa non è
durata a lungo. Ben presto si è dovuto codificare lo svolgimento
della celebrazione. E questo fondamentalmente per due ragioni.
Anzitutto, il fatto di attingere continuamente alle proprie risorse
personali è alla portata di pochi; i più hanno bisogno di un aiuto
all'«improvvisazione». Così hanno cominciato a circolare e a
servire da riferimento diversi formulari, apprezzati per la loro
qualità. In secondo luogo, soprattutto in epoche di profonde
controversie, occorreva vigilare sull'ortodossia dei testi liturgici.
Così sono cominciate le «preghiere eucaristiche», dette anche
«anafore», cioè «oblazioni». A partire dal IV secolo, nella Chiesa
latina si è imposto il «Canone romano», un modello che ha escluso
tutti gli altri formulari fino al concilio Vaticano II, quando sono state
introdotte nel messale diverse «preghiere eucaristiche». Così si è
ritrovata una certa flessibilità che permette di adattarsi alle diverse
assemblee. Ma oggi come ieri, in oriente come in occidente, si
celebra sempre la stessa eucaristia «in memoria del Signore»,
ripetendo, come egli ha chiesto, ciò che ha fatto «nella notte in cui
fu tradito».
La celebrazione della «cena», il Giovedì santo, non è diversa
dall'eucaristia degli altri giorni dell'anno. Ma essa ha un valore
esemplare. Ricordando ciò che il Signore ha fatto durante l'ultima
cena con i suoi discepoli, si aggiunge: «In questo giorno». Domani,
infatti, sarà il giorno consacrato alla passione. Ma
quest'espressione ha una portata generale. In realtà, ogni volta
che la Chiesa celebra l'eucaristia e gli altri sacramenti che da essa
scaturiscono, l'opera di Dio che il Cristo ha compiuto una volta per
tutte si rinnova per noi qui, oggi, mediante lo Spirito Santo. Ciò che
Gesù ha fatto un giorno è quindi sempre attuale e nuovo, benché
indefinitamente ripetuto. Ogni liturgia, e soprattutto ogni eucaristia,
realizza effettivamente per noi, qui e ora, quella salvezza che Dio
continua a perseguire fin dalle origini. Il Cristo è presente. Agisce
attraverso la mediazione dei segni efficaci e la potenza dello
Spirito. La lettura del libro dell'Esodo ricorda che l'eucaristia
affonda le proprie radici nella liturgia ancestrale della pasqua
ebraica, il che illustra chiaramente sia il suo carattere tradizionale
che la sua novità.
Il Vangelo di Giovanni ricorda che, durante l'ultima cena con i suoi
discepoli, «prima della festa di pasqua», dopo aver deposto le
vesti, Gesù lavò i piedi ai suoi discepoli. Per fare accettare a Pietro
un tale abbassamento del Signore, il maestro ha dovuto dirgli: «Se
non ti laverò, non avrai parte con me». Poi aggiunse: «Vi ho dato
l'esempio, perché come ho fatto io, facciate anche voi». Questo
«comando», che somiglia a quello dato dal Signore riguardo al
pane e al calice, riguarda la missione e il comportamento che i
discepoli devono tenere gli uni verso gli altri. Ora, l'evangelista
introduce il racconto, dicendo: «Gesù, dopo aver amato i suoi che
erano nel mondo, li amò sino alla fine». Come non vedere allora
in questo gesto insolito del Maestro una concreta proclamazione
della carità, legge fondamentale della comunità cristiana, di cui la
cena del Signore è fonte ed esigenza?
La liturgia del Giovedì santo celebra quindi l'eucaristia, memoriale
della Pasqua di Cristo, sacramento del suo amore infinito per noi
e di quello che dobbiamo avere gli uni per gli altri, e l'istituzione
del ministero sacerdotale, che deve essere compreso ed
esercitato, sull'esempio del Signore, come servizio dei fratelli e
delle sorelle nella comunità.
prima lettura Es 12,1-8.11-14
Gesù ha regolarmente osservato ciò che prescriveva la legge per
la pasqua, memoriale della notte in cui Dio fece uscire il suo
popolo dall'Egitto. È durante la sua ultima cena pasquale con i suoi
discepoli che, prendendo il pane e poi il calice, ha detto a coloro
che erano a tavola con lui: «Questo è il mio corpo offerto in
sacrificio per voi; questa è la nuova alleanza nel mio sangue».
Quest'ancestrale contesto liturgico della pasqua conferisce il loro
senso ai gesti e alle parole del Signore. Lui, il primogenito, ha
riscattato, con la sua morte, la moltitudine degli uomini e, con il
suo sangue versato, li introduce nel nuovo regno. Agnello senza
macchia, offerto una volta per tutte, egli ha liberato l'intera umanità
dall'antica schiavitù del peccato e conserva «di generazione in
generazione» coloro che, attraverso la loro vita e la liturgia, fanno
memoria di lui, fino al suo ritorno.
Seconda lettura: 1Cor 11,23-26
Questo racconto dell'istituzione dell'eucaristia, il più antico fra
quelli riferiti dal Nuovo Testamento, viene presentato come ciò che
è stato «ricevuto dal Signore», al tempo in cui Paolo ha
evangelizzato Corinto (certamente nel 50-51). Vi si riconosce,
quasi parola per parola, il modo in cui noi celebriamo l'eucaristia,
che quindi, nei suoi tratti essenziali, era già quello delle prime
assemblee cristiane.
Vangelo Gv 13,1-15
Là dove gli altri vangeli riportano la cosiddetta «istituzione
dell'eucaristia», Giovanni inserisce la scena insolita di Gesù che
lava i piedi dei suoi discepoli. È avvenuto durante la cena
condivisa con loro «prima della Pasqua», nell'«ora di passare da
questo mondo al Padre». Quest'annotazione evoca normalmente
l'ultima cena. Ma qui si pone l'accento sull'amore infinito di Dio e
sulla carità fraterna, sempre legati all'eucaristia, e sul ministero
degli apostoli, che devono considerarsi e agire come umili servi di
tutti. Per contro, la menzione del bagno che rende mondi fa
pensare al battesimo, che è un passaggio, assieme al Cristo, dalla
morte alla vita. La varietà dei temi affrontati e delle allusioni fa di
questo vangelo un testo fondamentale per la catechesi non solo
della liturgia del Giovedì santo, ma di tutte le celebrazioni del
Triduo pasquale.
sviluppi e armonie
Contempla il legno e l'albero della croce, che porta il suo fiore e il
suo frutto eterno!
Più dell'albero il cuore è fecondo, matura il suo frutto nel silenzio;
grappolo sanguinante promesso al torchio.
Vascello fragile e carnale, universo segreto e aperto, là dove la
dolcezza del mondo affluisce con il sangue...
Istanti beati, ora privilegiata, che ha tenuto raccolto in sé tutto
l'amore sparso nel mondo. Ora troppo perfetta della quale gli dèi
sono gelosi. Ora di cui Dio forse è geloso e che bisogna rendergli
tremando - intera.
Oggi, se senti la sua voce non indurire l'orecchio.
Andiamo, è qui il grado della prova, la scala di Giacobbe poggia
sul nostro cuore.
Andiamo, bisogna abbandonare per Dio la stessa bellezza, egli
contiene nella sua mano l'universo stellato.
Andiamo. Raccogliamo il nostro cuore dimentico che ha voluto
abbandonare il ricordo di Dio e vivere un'ora SOLO fra le creature.
Andiamo a piangere davanti a Colui che ci ha fatti, dal quale
proviene ogni dono perfetto, - l'umiltà e la dolcezza, le lacrime
pure.
Andiamo come un gregge a raccogliere le nostre delizie sul
sentiero insanguinato sul quale egli porta la croce.
Sentiero che egli ha preso per primo, umile Isacco, carico del
legno del sacrificio.
Gesù vuole la nostra morte per donarci la vita, accettiamo di
tremare nel Giardino degli ulivi.
Ci farà gustare la gioia alle sorgenti vive. Andiamo e moriamo con
lui.
(Raissa Maritain, Dolcezza del mondo)
Voglio cantare un Gloria che suonano a festa le campane delle
mie cattedrali:
Tutta la sofferenza della terra lodi il Signore!
Lo lodino i poveri e gli scacciati, i delusi
e i diseredati, e tutti coloro che non saranno mai pacificati!
Lo lodino il chiaro supplizio dello spirito
e l'oscuro supplizio della natura!
E il santo supplizio dell'amore!
E la solitudine dell'anima e la cattività dell'anima!
E il dolore della colpa, e il dolore dell'oblio
e l'amaro dolore della morte!
Ecco, io tolgo ogni ornamento dai miei altari,
il lino deve sfiorire come le amabili praterie!
E tutte le immagini devono essere velate!
Spegnerò la mia ultima consolazione:
perché la mia anima diventi notte profonda,
poiché la sofferenza della terra è diventata beata,
perché è stata amata:
guarda il legno della croce al quale è stata appesa
la salvezza del mondo! (G. von Le Fort, Inni alla Chiesa. Giovedì santo)
Venerdì santo
La liturgia del Venerdì santo ha origine a Gerusalemme. Il «Diario
di viaggio» di una cristiana di nome Egeria racconta il modo in cui
si svolgeva questa giornata alla fine del IV secolo. Dopo una notte
di veglia sul monte degli Ulivi, all'alba, si scendeva al Getsemani
per la lettura del racconto dell'arresto di Gesù. Di lì ci si recava al
Golgota. Dopo la lettura dei testi relativi al processo di Gesù
davanti a Pilato, ognuno rientrava a casa propria per un momento
di riposo, passando comunque dal monte Sion a venerare la
colonna della flagellazione. Verso mezzogiorno, c'era un nuovo
appuntamento al Golgota per la venerazione del legno della croce.
Si leggevano per tre ore testi dell'Antico e del Nuovo Testamento
intramezzandoli con la recita di salmi e preghiere. La giornata si
concludeva alla chiesa della Risurrezione, «Anastasis», dove si
leggeva il vangelo della sepoltura di Gesù.
Le prime testimonianze della liturgia del Venerdì santo a Roma
risalgono al VII secolo. Il papa si recava alla basilica della Santa
Croce, dove si leggeva il Vangelo della passione secondo
Giovanni, seguito da una litania di intenzioni universali. Nelle
chiese extra-urbane servite da sacerdoti si teneva una
celebrazione più popolare: esposizione della Croce sull'altare;
liturgia della Parola, come nella basilica di Santa Croce; dopo il
Padre nostro, venerazione della Croce e comunione con il pane e
il vino consacrati il giorno precedente. Nella liturgia papale, la
venerazione della Croce viene introdotta nell'VIII secolo, ma senza
comunione. Nel X secolo, le due prassi celebrative si fondono. Nel
XIII secolo, si decise che solo il sacerdote celebrante possa
comunicarsi e, nel XVI secolo, che la celebrazione avvenga al
mattino. Ma anche il resto della giornata veniva «santificato»: nella
maggior parte delle chiese ci si riuniva, spesso più numerosi del
mattino, per la Via crucis e la «predica della Passione». Così si è
fatto fino al 1955, quando la Chiesa romana ha cominciato a
celebrare la liturgia della Passione al pomeriggio o alla sera del
Venerdì santo.
Questa celebrazione comincia con un momento di preghiera in
silenzio e un'«orazione» detta dal celebrante. Essa comporta tre
parti: liturgia della Parola con la preghiera universale; adorazione
della croce; comunione eucaristica.
La liturgia della Parola forma una specie di trittico. Il pannello di
sinistra mostra il volto di un personaggio misterioso, un Giusto,
oppresso dalle peggiori sofferenze e sottoposto alle più odiose
persecuzioni, disprezzato dagli uomini, apparentemente
abbandonato da Dio stesso. In realtà, egli offre se stesso in
sacrificio di espiazione per il peccato delle moltitudini e il Signore
ne farà il capo di un innumerevole popolo di giustificati. Qualunque
sia, nel libro di Isaia (52,13-53,12), l'identità del «servo di Dio», si
deve pensare, soprattutto il Venerdì santo, al Cristo, il giusto
oltraggiato, la cui morte ha salvato tutti gli uomini dal peccato e
che Dio ha esaltato nella gloria del cielo.
Sul pannello di destra, ecco Gesù, il Cristo, intronizzato presso Dio
come «il sommo sacerdote» per eccellenza, divenuto, per la sua
obbedienza, «causa di salvezza eterna per tutti coloro che gli
obbediscono» (Eb 4,14-16; 5,7-9).
Questi due pannelli, tratteggiati a molti secoli di distanza l'uno
dall'altro, introducono magnificamente alla comprensione della
passione di nostro Signore Gesù Cristo, che è al centro del trittico
(Gv 18,1-19,42). L'evangelista Giovanni ha voluto far cogliere il
significato profondo degli avvenimenti di cui è stato testimone.
Paradossalmente, è quando viene innalzato in croce che Gesù si
rivela come il vivente che dona la vita in abbondanza a tutti coloro
che volgono lo sguardo verso di lui.
Allora, dall'assemblea sale la preghiera universale, nella quale si
chiede che la passione del Signore produca i suoi frutti per tutti,
fino agli estremi confini della terra.
Segue l'adorazione della croce, che ha accenti pasquali, essendo
impossibile dissociare la morte e la risurrezione di Cristo.
La comunione generale al pane consacrato il giorno precedente
chiude questa celebrazione al tempo stesso austera e vibrante di
speranza.
Ognuno si ritira poi in silenzio, non per piangere sulla morte del
Cristo, ma per meditarne il mistero e prepararsi, nel raccoglimento,
alla gioia dell'alleluia che risuonerà nel corso della Veglia
pasquale.
LITURGIA DELLA PAROLA
prima lettura Is 52,13-53,12
Dopo il monologo nel quale il servo parlava di se stesso (domenica
delle Palme), ecco una meditazione sulle sue sofferenze, la sua
missione e il suo destino. Gli uomini lo hanno disprezzato non
essendosi accorti che egli si era addossato il fardello dei loro
peccati. Dio invece ha riconosciuto la sua giustizia e gradito il suo
sacrificio di espiazione. Perciò, ne fa il capo di una moltitudine di
riscattati. Ma chi è questo servo, di chi è figura?
Qui si pensa a una liturgia del «giorno delle espiazioni» (jom
kippur), a un giusto che ricapitola in sé il destino di tutti coloro che
sono stati riconosciuti come «giusti di Israele», avendo accettato
eroicamente, lungo i secoli e ancora ai nostri giorni, la loro parte
di sofferenze e persecuzioni inflitte al popolo. In linea con questa
interpretazione, la tradizione cristiana ha visto in questo giusto
l'immagine profetica del Cristo salvatore del mondo mediante le
sue sofferenze e la sua morte, del crocifisso che soffre con tutti i
giusti perseguitati, del Figlio dell'uomo per il quale e con il quale la
sofferenza e la morte cambiano di significato, acquistano un valore
redentivo e diventano promessa di risurrezione.
seconda lettura Eb 4,14-16; 5,7-9
Questo passo della Lettera agli Ebrei non è un commento
dell'oracolo del libro di Isaia appena letto, ma i due testi, posti l'uno
di fronte all'altro, illustrano il mistero del Cristo e della sua
passione che viene celebrato il Venerdì santo. Gesù, il Figlio di
Dio, ha conosciuto la prova, come noi, non perché fosse
peccatore, ma per ottenerci il perdono, la grazia di Dio. Accettando
liberamente la missione di redentore affidatagli dal Padre «è
diventato causa di salvezza eterna per tutti coloro che gli
obbediscono». Oltrepassando il velo della morte, è entrato una
volta per tutte nel santuario celeste. Egli è «il sommo sacerdote»
per eccellenza, non a motivo della sua appartenenza a una
discendenza sacerdotale o in seguito a un'ordinazione ricevuta da
mano di uomini, ma perché nella sua persona Dio e l'uomo sono
indissolubilmente uniti. Inoltre, egli ha offerto a Dio il sacrificio
perfetto della sua obbedienza. Perciò, possiamo accostarci «con
piena fiducia al trono della grazia» e avere la certezza di essere
esauditi quando preghiamo il Padre «per Gesù Cristo, nostro
Signore».
Vangelo Gv 18,1-19,42
Alla fine del suo libro, l'autore del quarto Vangelo dice: fra gli
innumerevoli «segni» compiuti da Gesù, questi sono stati scritti
«perché crediate che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio e perché,
credendo, abbiate la vita nel suo nome» (Gv 20,31). D'altra parte,
nel cosiddetto «Prologo» l'evangelista vede nell'incarnazione del
Verbo di Dio l'inizio dell'ultima battaglia fra le tenebre e la luce. La
passione di Gesù è l'ultimo atto di questo scontro decisivo, il segno
al quale rinviano tutti gli altri.
Il quarto Vangelo è stato redatto alla fine del I secolo, quando il
divorzio fra le comunità ebraiche e le comunità cristiane era ormai
consumato. Questa situazione spiega la redazione del racconto
della passione secondo Giovanni. Gesù è stato condannato
«perché ha preteso di essere il Figlio di Dio».
La sua sorte è già stata decisa da un pezzo. Inutile quindi
procedere a una lunga istruttoria. L'interrogatorio davanti ad Anna
è una pura formalità e l'evangelista non parla neppure della
traduzione di Gesù davanti al sommo sacerdote Caifa e al
sinedrio. Tutto questo appartiene ormai al passato e non occorre
ritornarci su. L'autore accorda invece molto spazio al processo
davanti a Pilato, poiché, in qualche modo, quel processo continua
ancora: infatti, ormai Gesù è giudicato davanti al tribunale del
mondo. Da un lato, vi è sempre la folla di coloro che si rifiutano di
ascoltare il testimone della verità e ripongono la loro speranza in
questo mondo che passa. Essi gridano: «Via, via, crucifiggilo!».
Dall'altro, vi sono coloro che riconoscono in lui l'Agnello pasquale,
il Figlio di Dio che ha portato la sua croce e ha «tutto compiuto».
Essi «volgono lo sguardo» verso il crocifisso dal cuore trafitto. Nel
sangue e nell'acqua sgorgati da quella ferita essi vedono, con la
tradizione cristiana, i segni dello Spirito e dei sacramenti,
promesse della vita eterna per i credenti.
sviluppi e armonie
Quest'albero è per me una pianta di salvezza eterna; di esso mi
nutro, di esso mi pasco. Attraverso le sue radici mi radico e
attraverso i suoi rami mi espando; la sua rugiada mi rallegra e il
suo spirito come un vento delizioso mi rende fertile. Alla sua ombra
ho innalzato la mia tenda e, fuggendo le grandi calure, vi trovo un
riparo pieno di rugiada. Le sue foglie sono le mie fronde, i suoi
frutti le mie perfette delizie e godo liberamente dei suoi frutti, che
mi erano riservati fin dall'inizio. Nella fame esso è mio cibo, nella
sete mia sorgente e nella nudità mio vestito, poiché le sue foglie
sono lo Spirito della vita; lungi da me, ormai, le foglie di fico.
Quando temo Dio, esso è la mia protezione e quando vacillo il mio
sostegno; quando combatto, il mio premio, e quando trionfo, il mio
trofeo. Esso è per me il sentiero stretto e la via angusta; è la scala
di Giacobbe e il cammino degli angeli, sulla cui cima poggia
veramente il Signore. Quest'albero dalle dimensioni celesti si è
innalzato dalla terra al cielo, fissandosi, pianta eterna, fra il cielo e
la terra, sostegno di tutte le cose e punto d'appoggio dell'universo,
supporto di tutta la terra abitata e giunto del mondo, che mantiene
unita, e inchiodata con i chiodi invisibili dello Spirito, la varietà della
natura umana, affinché congiunto al divino non ne sia più
distaccato. Toccando con la sua cima l'alto dei cieli, consolidando
la terra con i suoi piedi e stringendo da ogni parte con le sue mani
immense lo spirito molteplice dell'aria fra il cielo e la terra, esso
era interamente in tutto e ovunque.
(Omelia ispirata dal Trattato della Pasqua di Ippolito, 51)
- È salito al Calvario.
- Non gli altri?
- È caduto molte volte.
- Non gli altri? (E. Guillevic)
Ti eri mosso
ricalcando la croce
sul tuo corpo.
Ora i chiodi
hanno fissato gli ancoraggi
e il colpo di lancia
svuota il sangue e l'acqua. (J.P. Lemaire, Il cuore circonciso)
SABATO SANTO
Nell'anno liturgico il Sabato santo è un giorno del tutto particolare.
Le chiese e gli altari sono spogli di ogni loro abituale ornamento, il
tabernacolo è vuoto. Non vi è alcuna celebrazione, a parte quella
delle Ore. La comunione può essere data solo sotto forma di
viatico. È una giornata di deserto, di silenzio.
Dopo la morte e la sepoltura del Signore, le donne che erano salite
con lui dalla Galilea sono ritornate a casa. Nelle ore precedenti il
sabato, hanno preparato aromi e profumi, con l'intenzione di
andare a spargerli sul suo corpo non appena fosse terminato il
riposo sabbatico, che esse hanno rigorosamente osservato (Lc
23,55-56). Gli apostoli e un gruppetto di discepoli si sono invece
barricati in casa «per timore dei giudei» (Gv 20,19). Gli evangelisti
non parlano dei loro pensieri e dei loro sentimenti, ma tutto lascia
pensare che sugli uni e sugli altri si sia abbattuto un silenzio di
morte.
Il silenzio che oggi, Sabato santo, avvolge la comunità dei credenti
è diverso. La liturgia del Venerdì santo è già celebrazione
pasquale: lo si vede chiaramente al momento dell'adorazione della
croce. Prima di lasciare la chiesa, i fedeli si sono dati
appuntamento per partecipare, alla sera dell'indo-mani, a un'altra
celebrazione: quella della risurrezione di Cristo, che sarà
proclamata, con gioia traboccante, al termine della Veglia
pasquale.
Nel silenzio del Sabato santo, la Chiesa medita sul mistero della
passione di Cristo, morto per la salvezza di tutti gli uomini,
mormorando già, nel cuore, il canto dell'alleluia che non tarderà a
risuonare.
Il mondo è sempre al Sabato santo
e sogna fra la sua morte e la sua risurrezione
ma coloro che sono imprigionati in fondo
e non possono dormire sentono al di sotto
aprirsi davanti al Cristo le porte sotterranee.
(J.P. Lemaire, L'esodo e la nube)
VEGLIA PASQUALE A-B-C
Nella tradizione ebraica, i giorni si contano da tramonto a tramonto
e non da mezzanotte a mezzanotte. Questa divisione del tempo è
continuata nella liturgia della Chiesa: le feste cominciano alla sera,
con i primi vespri, e terminano con i vespri del giorno seguente.
Poiché, secondo la testimonianza dei vangeli, la risurrezione del
Signore è avvenuta all'alba del «primo giorno della settimana»,
detto oggi domenica, fin dalle origini i cristiani ne hanno celebrato
il ricordo settimanale nella notte precedente.
Una celebrazione annuale ha preso piede a partire dal Il secolo,
preparata da un rigoroso digiuno della durata di uno o più giorni.
A partire dal IV secolo, la notte pasquale è stata contrassegnata
dalla grande celebrazione annuale dei battesimi. E la sua liturgia
ha continuato ad evolvere, fino al XIII secolo, sotto l'influenza di
tradizioni diverse.
A Roma, ancora nel V secolo, c'era una sola celebrazione
pasquale, quella della notte, come testimoniano le omelie di papa
Leone (440-461). Ma in Africa, al tempo di Agostino (354430), si
celebrava già una seconda messa la domenica mattina. Il vescovo
di Ippona predicava anche a quella messa, «nonostante la fatica
della lunga liturgia notturna». Quest'abitudine si è diffusa: alcuni
libri liturgici del VII secolo contengono i testi della messa della
domenica di Pasqua.
Ma molto presto la Veglia pasquale è stata spesso anticipata. E
quando il concilio di Trento (1545-1563) ha vietato la celebrazione
della messa dopo mezzogiorno, la celebrazione è stata anticipata
al mattino del Sabato santo. Così si è fatto fino al 1951, quando
essa ha ritrovato il suo posto originario, prima ad experimentum e
a giudizio dei vescovi e poi definitivamente, a partire dal 1956.
Nella sua forma attuale, la Veglia pasquale comporta quattro parti
nettamente distinte. Comincia con un ampio Lucernario o rito della
luce: benedizione del fuoco al quale si accende il cero pasquale,
dalla cui fiamma si accendono poi i ceri tenuti in mano dai membri
dell'assemblea. Segue l'annuncio solenne della Pasqua, salutato
da un canto di acclamazione.
Si passa poi a una liturgia della Parola eccezionalmente lunga.
Ricapitolazione della catechesi dispensata ai catecumeni, essa
ricorda le grandi tappe della storia della salvezza che ha preceduto
e preparato l'avvento della «vera luce che illumina ogni uomo» (Gv
1,9). Dopo sette grandi testi dell'Antico Testamento, si legge un
breve passo della Lettera di Paolo ai Romani, prima della
proclamazione del Vangelo della risurrezione secondo Matteo
(anno A), Marco (anno B) o Luca (anno C).
La terza parte è costituita dalla liturgia battesimale: benedizione
dell'acqua, professione di fede, battesimi e cresime, se ve ne
sono, o aspersione dell'assemblea con l'acqua lustrale.
Segue, infine, la quarta parte: la liturgia eucaristica.
È prescritto di non cominciare la Veglia pasquale prima del
tramonto del sole. Questo è evidentemente richiesto dalla verità
dei riti e dei simboli che caratterizzano questa grande liturgia e le
conferiscono la sua straordinaria forza espressiva e il suo
incomparabile valore spirituale.
«Ogni uomo pio e amante di Dio gioisca per questa bella e
luminosa solennità. Ogni servo fedele entri nella gioia del suo
Signore. Colui che si è imposto il digiuno riceva ora la ricompensa
che gli spetta. Colui che ha lavorato fin dalla prima ora riceva ora
il suo giusto salario. Se qualcuno è venuto dopo l'ora terza, celebri
questa festa con riconoscenza. Se qualcuno ha tardato fino all'ora
sesta, non esiti, poiché non perderà nulla. E se qualcuno ha
aspettato fino all'ora nona, non si vergogni della sua tiepidezza,
poiché il Signore è generoso e riceve l'ultimo allo stesso modo del
primo...
Gustate tutti del banchetto della fede. Gustate tutti delle ricchezze
della misericordia. Nessuno si lamenti della sua povertà, poiché è
apparso il regno che abbiamo tutti in comune. Nessuno si lamenti
dei suoi peccati, poiché dal sepolcro è scaturito il perdono.
Nessuno tema la morte, poiché la morte del Salvatore ce ne ha
liberati...
Il Cristo risorto dai morti è divenuto primizia del defunti. A lui gloria
e potenza nei secoli dei secoli. Amen».
(Giovanni Crisostomo, Sermone per la Veglia di Pasqua)
SOLENNE INIZIO DELLA VEGLIA
O «LUCERNARIO»
Per indicare l'inizio del sabato, gli ebrei accendono, ancora oggi,
una lampada rendendo grazie a Dio fonte di ogni luce e luce del
suo popolo. I primi cristiani hanno conservato questo rito
tradizionale all'inizio dell'ufficio vespertino detto «lucernario», che,
in seguito, ha ceduto il posto ai vespri. Nella notte pasquale il
fuoco nuovo risplende nelle tenebre. Vi si accende il cero pasquale
che spande la sua luce da fedele a fedele in tutta l'assemblea:
«Cristo, luce del mondo», «Rendiamo grazie a Dio».
L'assemblea risponde:
Deo gratias oppure Rendiamo grazie a Dio
LITURGIA DELLA PAROLA
«Oggi, si è adempiuta questa scrittura che voi avete udita con i
vostri orecchi». «E cominciando da Mosè e da tutti i profeti spiegò
loro in tutte le scritture ciò che si riferiva a lui» (Lc 4,21; 24,27). Nel
corso della notte pasquale più che in qualsiasi altra occasione la
liturgia cristiana rilegge le antiche Scritture a partire dal loro
compimento in Gesù Cristo risuscitato dai morti.
Il lezionario propone sette letture dell'Antico Testamento prima
della Lettera di Paolo e del Vangelo. A rigore, ci si può
accontentare di due letture, ma senza omettere il racconto del
passaggio del Mar Rosso (Es 14,15-15,1a).
prima lettura Gen 1,1-2,2 (lett. breve: 1,26-31)
Il problema dell'origine del mondo e di tutte le cose, dell'uomo e
degli esseri viventi, si è imposto con forza ai saggi di Israele alle
prese con le tradizioni e i miti dei popoli pagani. L'esperienza di
colui che si è rivelato nella storia li ha guidati verso la fede in un
solo Dio, creatore di ogni cosa: dell'universo e degli uomini. Non
ci si stanca di rileggere queste magnifiche pagine della Bibbia che
trasmettono un insegnamento così profondo in un linguaggio
immaginoso e poetico accessibile a tutti. Sentendole proclamare,
i cristiani pensano a ciò che afferma l'autore del quarto Vangelo:
«In principio era il Verbo. Tutto è stato fatto per mezzo di lui. In lui
era la vita e la vita era la luce degli uomini; la luce splende nelle
tenebre, ma le tenebre non l'hanno accolta» (Gv 1,15). I padri della
Chiesa dicevano che il Cristo, primogenito di ogni creatura, è
l'immagine di Dio in base alla quale sono stati creati l'uomo e la
donna. Mediante il lavacro del battesimo, quest'immagine viene
ripristinata in coloro che credono nel suo nome. Lo stesso
universo, che Dio ha creato bello e buono, viene riorientato: esso
è destinato a diventare la creazione che sarà inaugurata dal ritorno
di Cristo.
seconda lettura Gen 22,1-18 (lett. breve: 1-2.9a.10-13.15-18)
Per quanto si possa sapere che tutto finisce poi per aggiustarsi,
ecco un racconto biblico sconvolgente, soprattutto oggi. Chi è
questo Dio che chiede a un padre di sacrificargli il proprio figlio?
Che pensare di questo padre che parte senza esitazione per
andare a immolare il proprio figlio? Nella tradizione ebraica e
cristiana, testimoniata, fra l'altro, da diversi affreschi delle
catacombe, il sacrificio di Isacco occupa un posto rilevante. Il Dio
rivelato dalla Bibbia non vuole sacrifici umani: a rendergli omaggio
è un'assoluta obbedienza e fiducia. Avendolo testimoniato fino a
questo punto estremo, Abramo è diventato il padre
dell'innumerevole moltitudine dei credenti di tutti i tempi. Per
salvare il mondo, il Padre ha consegnato alla morte suo Figlio, il
suo Figlio unigenito. Egli non ha scampato dalla morte questo
Agnello senza macchia che ha preso su di sé il peccato del mondo
(Gv 1,36; 3,16). Ma il terzo giorno lo ha liberato dai vincoli della
morte, affinché con lui e per lui noi avessimo la vita.
terza lettura Es 14,15-15,1
Notte memorabile più di ogni altra quella in cui Dio passò e liberò
il suo popolo dalla schiavitù! Di generazione in generazione, gli
autori biblici hanno meditato e richiamato quest'avvenimento per
ravvivare la fede e la fedeltà del popolo radunato dal Signore, il
quale ha detto: «Voi sarete per me la proprietà fra tutti i popoli...
un regno di sacerdoti e una nazione santa» (Es 19,5-6). I cristiani,
a loro volta, hanno riletto quest'epopea divina alla luce della
Pasqua di Cristo, alla quale fa partecipare il passaggio attraverso
le acque del battesimo: «Voi siete il popolo che Dio si è acquistato
perché proclami le opere meravigliose di lui che vi ha chiamato
dalle tenebre alla sua ammirabile luce; voi, che un tempo eravate
non-popolo, ora invece siete il popolo di Dio; voi, un tempo esclusi
dalla misericordia, ora invece avete ottenuto misericordia» (1Pt
2,9-10).
quarta lettura Is 54,5-14
L'alleanza è una storia d'amore che ha conosciuto momenti di crisi
a causa delle ripetute infedeltà del popolo con cui Dio si era unito.
Le cose sono giunte a un punto tale che, a volte, il Signore ha
«nascosto il suo volto», ma senza rimangiarsi il suo impegno o
rompere con coloro che aveva scelto. «Ai giorni di Noè», egli ha
solennemente giurato che mai la sua collera avrebbe avuto il
sopravvento e che nulla avrebbe fatto vacillare «la sua alleanza di
pace». Tale è l'inalterabile tenerezza di Dio. Là dove abbonda il
peccato, sovrabbonda la grazia (Rm 5,20). Il «Dio di tutta la terra»
non si accontenta di riparare le rovine; egli getta su pietre stabili le
fondamenta di una nuova Gerusalemme, i cui figli «godranno di
una grande prosperità». Il Cristo risorto ne è la pietra angolare, il
battesimo la porta di ingresso.
quinta lettura Is 55,1-11
Per noi fra il dire e il fare c'è di mezzo il mare. Passare dall'una
all'altra sponda, soprattutto quando si tratta di cose importanti,
richiede molta determinazione, molto coraggio e sforzi non
sempre coronati dal successo; capita anzi spesso di dover
ritentare molte volte. Nulla di tutto questo per Dio. La sua parola,
espressione perfetta della sua volontà, non ricade mai su se
stessa come un sacco vuoto: «essa non ritornerà senza effetto,
senza aver operato ciò che desidero”. Tutto è stato compiuto
attraverso Gesù, il Verbo di Dio fatto carne che ha suggellato con
il suo sangue l'alleanza nuova ed eterna.
sesta lettura Bar 3,9-15.32-4,4
La legge è l'espressione della Sapienza di Dio. Essa fa conoscere
ciò che gli piace, la via che conduce alla vita, alla pace, alla felicità
senza fine. Beato il popolo che sa dove abita la Sapienza e ne
segue i precetti! In Gesù, Verbo di Dio fatto carne, la Sapienza
divina è stata rivelata a tutti gli uomini (1Cor 1,24). Egli è la via, la
verità e la vita. Coloro che lo conoscono conoscono anche il
Padre. Al suo ritorno, il Signore risorto prenderà con sé, per
introdurli là dove si trova (Gv 14,1-7), coloro che lo hanno accolto.
settima lettura Ez 36,16.17a.18-28
Purificazione con un'acqua che lava tutte le macchie del peccato,
sostituzione del cuore di pietra con un cuore di carne, dono dello
Spirito che conserva sulla via dei comandamenti, riunione di un
popolo fedele: ecco ciò che Dio intende fare per il suo popolo
disperso fra le nazioni. Egli agisce così per l'onore del suo nome,
poiché, altrimenti, si potrebbe dubitare della sua potenza divina e
della sua bontà. Coloro che egli libera si ritrovano investiti al tempo
stesso di una missione: testimoniare, con la loro vita, la santità del
loro Dio. Questo messaggio riguarda direttamente tutti noi che
siamo stati lavati dalle nostre colpe nelle acque del battesimo,
marchiati con il sigillo dello Spirito e nutriti con il corpo e il sangue
di Cristo. Dire «Padre nostro, sia santificato il tuo nome» significa
rinnovare l'impegno di annunciare al mondo la santità di Dio non
solo a parole, ma anche in opere.
epistola Rm 6,3-11
Per Gesù Cristo e in Gesù Cristo trovano il loro compimento tutte
le promesse di Dio. L'uomo è «morto al peccato» sulla croce del
Figlio di Dio, capo della nuova umanità. Egli «vive per Dio» dal
giorno in cui il Signore, primogenito dei risorti dai morti, è salito al
cielo, dove regna per sempre presso il Padre. Questo passaggio
dalla morte del peccato alla vita divina avviene per ciascuno di noi
nel battesimo, sacramento pasquale, pegno della vita eterna verso
la quale ormai si può e si deve avanzare giorno dopo giorno. Co
sì, l'intera esistenza cristiana è sotto il segno della morte e della
risurrezione, intimamente congiunte nella Pasqua del Cristo.
Vangelo A - Mt 28,1-10
Con la risurrezione del Signore, si leva l'alba del primo giorno di
una nuova settimana che inaugura l'ultima tappa della storia del
mondo e della salvezza. Il terremoto, lo spavento di coloro che non
credono, qui rappresentati dai soldati, ricordano gli eventi della
fine dei tempi. Le due donne andate a visitare il sepolcro hanno
constatato, come avrebbe potuto fare chiunque, che il corpo del
crocifisso non c'era più. Per vedervi un segno, è stata necessaria
una rivelazione dall'alto e il richiamo di ciò che Gesù aveva detto.
Allora, quando il risorto è andato loro incontro, esse si sono
prostrate in un gesto di adorazione liturgica. In realtà, la
risurrezione del Signore è un evento che soltanto la fede può
conoscere; è la buona novella che gli apostoli, convocati in
Galilea, in questo crocevia delle genti, devono annunciare a tutti i
popoli.
Vangelo B Mc 16,1-7
Tre donne andate con gli aromi a completare la sepoltura di un
morto; la tomba vuota, con il «masso dell'ingresso»
misteriosamente rotolato via; «un giovane vestito di una veste
bianca» seduto nel sepolcro «sulla destra»; il turbamento
provocato dall'annuncio della risurrezione del crocifisso; un
importante appuntamento dato «ai discepoli e a Pietro». Il Vangelo
secondo Marco si ferma lì, lasciando al lettore il compito di
decifrare personalmente i segni della risurrezione del Signore
annunciata e celebrata dalla Chiesa. Marco non ha smesso di
ripeterlo: credere, soprattutto nel caso di un salvatore morto e
risorto, richiede del tempo. Si devono progressivamente superare
molto dubbi, molte esitazioni, molte paure prima di accogliere
senza riserve il mistero rivelato. Inoltre, bisogna guardarsi
dall'annunciarlo prematuramente. La fede è un cammino pasquale
di morte a se stessi, alle proprie certezze, alle proprie «evidenze»,
per nascere alla verità di Dio e del suo messaggio.
Vangelo C Le 24,1-12
Unità d'azione, di tempo e di luogo, nei racconti della risurrezione
secondo Luca: tutto avviene in una stessa giornata, a
Gerusalemme o nei suoi dintorni. L'evento è per così dire vissuto
da tutta la comunità riunita, nella quale ciascuno condivide
immediatamente con gli altri la propria esperienza e la propria
fede. Il gruppo delle donne che aveva visto Gesù morire in croce
e assistito alla sua sepoltura, si reca al sepolcro, «il primo giorno
dopo il sabato, di buon mattino», per ungere con aromi quel corpo
che, il venerdì precedente, lo si era solo potuto avvolgere in un
lenzuolo. La pietra che ostruiva l'ingresso al sepolcro si trova
rotolata da parte, ma il crocifisso non si trova più là dove era stato
deposto. «Perché cercate fra i morti colui che è vivo? Non è qui, è
risuscitato». Per ricevere questo messaggio, che ha la brevità di
una professione di fede pasquale, bisogna ricordarsi di ciò che
Gesù ha detto «quando era ancora in Galilea». Gli apostoli, che
nella loro predicazione faranno appello alla testimonianza delle
Scritture, non hanno ancora fatto questo lavoro. Pietro, che corre
al sepolcro e lo trova così come le donne l'hanno descritto, se ne
ritorna perplesso. Ma ben presto egli vedrà il risorto (Lc 24,34).
Allora diventerà l'intrepido predicatore della buona novella (At
5,29) e confermerà, come gli ha promesso il Signore, la fede dei
suoi fratelli (Lc 22,32).
sviluppi e armonie
Il popolo di Dio riconosca di essere una nuova creatura in Cristo e
sia attento a comprendere chi lo ha adottato e chi è colui che esso
stesso ha adottato. Ciò che è stato rinnovato non ritorni
all'incostanza della sua precedente condizione e non rinunci al suo
duro lavoro colui che ha posto mano all'aratro; ma faccia
attenzione a ciò che semina e non ricada in ciò che ha
abbandonato. Nessuno ricada nei vizi di cui si è liberato, ma,
anche se, a causa della debolezza della carne, è ancora vittima di
qualche malattia, desideri subito di essere guarito e ristabilito.
Questa è la via della salvezza, questa è la maniera di imitare la
risurrezione avviata nel Cristo.
(Leone Magno, Sermone sulla Passione del Signore, tenuto il Sabato santo, 20,6)
Attraverso la finestra senza tende, da molto tempo vedo risplende-
re una piccola stella.
Non dormo. Ma fra Sabato santo e Pasqua, la notte non è fatta
Per dormire.
Le montagne e le foreste attendono; esse mi avvolgono in un
alone luminoso.
La luna piena, progressivamente eleva, sospende il suo pio volto...
Il sole non è ancora alzato: c'è ancora un'ora di quest'immensa
solitudine.
Non vi sono, per custodire il sepolcro, che questi milioni di stelle
in armi, vigilanti dal polo fino a Sud!
E d'un tratto, al chiaro di luna, le campane, in grappolo enorme
nel campanile,
le campane, nel cuore della notte, come da se stesse, le campane
si sono messe a suonare!
Non si capisce ciò che dicono, parlano tutte insieme!
Ciò che impedisce loro di parlare è l'amore, la sorpresa tutte
insieme della gioia!
Non è un flebile mormorio, non è questa lingua in mezzo a noi so-
spesa che comincia a muoversi;
è la campana, verso i quattro punti cardinali, cristiana che suona
a distesa..
Voi che dormite, non temete, perché è vero che io ho vinto la
morte!
Ero morto, e sono risorto nella mia anima e nel mio corpo!
La legge del caos è vinta e il Tartaro è schiaffeggiato!
La terra che, in un uragano di campane da tutte le parti si scuote,
vi insegna che io sono risorto! (P. Claudel, Tu chi sei?)
MESSA DEL GIORNO E VESPERTINA A-B-C
Dopo la lunga liturgia della notte pasquale, l'eucaristia del giorno
di Pasqua si svolge in un clima di pace, di serenità, di gioia
interiore. E. il momento della meditazione della buona novella che
è risuonata con forza durante la notte. È anche il momento di
rileggere, alla luce dell'evento pasquale, tutta l'opera svolta da
Gesù di Nazaret. «Consacrato in Spirito Santo», egli reca il
perdono dei peccati a coloro che credono in lui. «Tutti i profeti gli
rendono questa testimonianza».
Passati dalla morte alla vita, grazie al battesimo, «cercate le cose
di lassù, dove si trova Cristo assiso alla destra di Dio», dice Paolo.
Quando si manifesterà, voi sarete manifestati «con lui, nella
gloria» (Col 3,1-4). Quindi, «celebrate la festa non con il lievito
vecchio, né con lievito di malizia e di perversità, ma con azzimi di
sincerità e di verità» (1 Cor 5,8). Da parte sua, Giovanni ricorda
che «nel giorno dopo il sabato», Maria di Magdala, Simon Pietro e
«l'altro discepolo, quello che Gesù amava», hanno trovata vuota
la tomba dove era stato deposto Gesù. Maria di Magdala pensa
che il corpo del Signore sia stato portato via. Simon Pietro è
perplesso, constatando che il corpo non è più nel sepolcro, ma
che vi sono rimasti, accuratamente piegati, il lenzuolo e il sudario.
«L'altro discepolo» crede immediatamente.
Attraverso un racconto ricco di significato, Giovanni propone una
riflessione sulla fede. Essa non si impone come un'evidenza;
nasce a partire da «segni» che bisogna decifrare. Alcuni ne
colgono subito la portata. Nella maggior parte dei casi, questa
lettura richiede più tempo. Per altri non vi sono «segni», ma
enigmi. In ogni caso, la fede non è come la cima di un monte sulla
quale ci si installa saldamente e definitivamente al termine di un
cammino più o meno rapido o laborioso. Essa è la risposta di tutta
una vita, è certezza che può conoscere periodi di esitazione e di
dubbio. Bisogna rinnovarla, rivivificarla, approfondirla
continuamente, grazie a una continua e attenta rilettura delle
Scritture, con l'aiuto degli altri credenti.
Le lentezze e le esitazioni della nostra fede non ci impediscano di
dire con forza e umiltà: «Cristo è risorto. Alleluia!».
prima lettura At 10,34a.37-43
Le opere di Gesù sono fatti accertati. Ma per vedervi dei segni
rivelatori della sua vera identità, occorre una luce dall'alto
trasmessa dalla Scrittura, la predicazione di un apostolo, la
testimonianza di un credente. Infatti, non è la carne e il sangue a
rivelarla, ma il Padre che è nei cieli (Mt 16,17). I fatti diventano
allora articoli del Credo. La risurrezione di Cristo, vertice del
mistero della fede, inaugura l'è-ra della salvezza offerta a tutti gli
uomini. Chiunque crede in Cristo riceve fin d'ora il perdono dei
peccati; domani, il Signore vincitore della morte si manifesterà
come «giudice dei vivi e dei morti». Tale è, in tutta la sua
ampiezza, l'oggetto della fede apostolica e della celebrazione
pasquale.
seconda lettura
Morti e risorti con Cristo: tali sono i credenti quando risalgono dal
lavacro battesimale. Questo radicale cambiamento della loro
condizione, che resta ancora nascosto agli occhi, deve imprimere
un nuovo orientamento e un nuovo dinamismo alla loro vita, in tutti
i campi e non solo in quello morale.
oppure 1 kor 5,6-8
Il battesimo fa del credente un «essere pasquale» e l'eucaristia lo
trasforma in «pane azzimo della Pasqua». «Diventa ciò che ricevi:
il corpo di Cristo», diceva Agostino dando la comunione.
Vangelo Gv 20,1-9
Una precisa testimonianza sulla scoperta della tomba vuota: il
lenzuolo e il sudario accuratamente piegati in un luogo a parte
fanno pensare che il corpo di Gesù non è stato portato via di
nascosto. Le reazioni di Pietro e dell'altro discepolo», allertati da
Maria di Magdala, la dicono lunga. Tutti e due si precipitano. È
normale che il più giovane arrivi per primo sul posto, ma non si
permette di entrare nel sepolcro prima di Pietro che, nel gruppo
degli apostoli, occupa la posizione preminente. Ma questa
posizione non gli conferisce una particolare perspicacia nella
comprensione dei segni. L'altro «vide e credette»
immediatamente. Una maggiore perspicacia del cuore?
Certamente, ma più ancora una migliore e più rapida intelligenza
delle Scritture. Infatti, è sempre alla loro luce che si rivela il senso
dei segni, eclatanti o modesti, e che lo sguardo si apre alle cose
della fede.
sviluppi e armonie
Il luogo della sepoltura è stato un giardino e vi è stata piantata una
vite. «Io sono la vite», disse. Quindi, essa è stata piantata in terra
perché fosse sradicata la maledizione venuta attraverso Adamo:
la terra era stata condannata alle spine e ai rovi. Dalla terra è
uscita la vera vite perché si compisse la parola: «La verità è sorta
dalla terra e la giustizia ha guardato dal cielo». E che dirà colui
che è sepolto nel giardino? «Ho raccolto la mia mirra con i miei
aromi». E ancora: «La mirra e l'aloe con tutti i profumi», poiché
tutti simboleggiano la sepoltura. Anche i Vangeli dicono: «Le
donne si recarono alla tomba, portando con sé gli aromi che
avevano preparato». Vi andò anche Nicodemo, che «portò una
mistura di mirra e aloe». Infatti, prima di entrare attraverso le porte
chiuse, lo sposo e il medico delle anime era stato cercato dalle
donne dal cuore forte. Le sante donne andarono al sepolcro a
cercare colui che era risorto... Secondo il Vangelo, Maria andò, si
mise a cercare e non trovò, poi raccolse il messaggio degli angeli
e, infine, vide il Cristo. Anche queste circostanze erano state
descritte? Sì, Maria dice nel Cantico: «Sul mio letto ho cercato
l'amato del mio cuore». In quale tempo? «Sul mio letto, lungo la
notte» ... «Maria, dice il Vangelo, si recò al sepolcro quand'era
ancora buio». «Sul mio letto l'ho cercato, ma non l'ho trovato». E i
Vangeli: «Hanno portato via il mio Signore e non so dove l'hanno
posto». Ma allora vennero gli angeli: «Perché cercare fra i morti
colui che è vivo?» ... Maria non lo riconosceva ed è a nome suo
che il Cantico dei cantici diceva agli angeli: «Avete visto l'amato
del mio cuore?... Appena li ebbi incontrati (si tratta degli angeli)
trovai l'amato del mio cuore! Lo strinsi fortemente e non lo lasciai».
(Cirillo di Gerusalemme, Catechesi battesimale)
Signore, nessun nuovo mattino venga a rischiarare la mia vita
senza che il mio pensiero vada alla tua risurrezione e senza che,
in spirito, non vada verso il sepolcro vuoto del giardino! Infatti, è il
Cristo risorto a venire a me ogni giorno, all'alba. Per quanto grandi
possano essere le perplessità, i pericoli, l'inizio di tutte le mie
giornate sarà radioso, se mi ricordo — ma con tutta l'anima e con
tutta la mente — che il mio salvatore ha vinto le forze del male e
della morte. Il mio primo atto di fede, ogni mattina, sarà un atto di
fede nella tua vittoria finale. «L'amore è forte come la morte».
(Un monaco della Chiesa di oriente, Presenza di Cristo)
E quando Dio si addormentò da questa parte delle sponde
l'insostenibile setacciato dall'onice
che veglia nella cripta dalla gloria attenta
un sogno planò dal tempo al bello fisso
sulla tomba dei tempi perché il suo regno venga. (G. Murail, Ancora più grande disteso)