Giovanni Tabacco e l'Esegesi Del Passato

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    PREMESSA

    Giovanni Tabacco stato professore di Storia medioevale nella Facoltdi Lettere e filosofia dellateneo torinese per un ventennio, dal 1966 all85, esocio dellAccademia delle Scienze di Torino fin dal 1976, prima come cor-rispondente e quindi (dieci anni dopo) come nazionale residente. A Torinoera legato da vincoli profondi: anche se era nato a Firenze (ma da famigliatorinese), vi aveva studiato, si era laureato, aveva compiuto i primi passi del-la propria carriera accademica e ritornato dopo dodici anni dinsegnamentoa Trieste vi aveva fondato la sua scuola, una scuola formata da un grup-po di giovani impegnati nel rinnovamento degli studi medievistici italiani.

    Lesordio della sua carriera non era stato facile, n fortunato. Subito do-po la guerra era diventato assistente volontario di Francesco Cognasso, tra-sferito dufficio nel 1939 alla Facolt di Lettere a prendere il posto di Gior-gio Falco, che era stato destituito dallinsegnamento di Storia medioevale inseguito allapplicazione delle leggi razziali. Quando Falco fu reintegrato do-po la guerra, Torino ebbe per lungo tempo unica facolt in Italia due tito-lari della disciplina, di diversa ascendenza e di diverso segno politico; e Ta-bacco si trov dalla parte sbagliata. Chi in quegli anni frequentava la Facoltdi Lettere se lo ricorda, prima assistente e poi libero docente, al fianco diCognasso, che la Facolt aveva difeso ma anche emarginato, mentre gli stu-denti migliori seguivano le affascinanti lezioni di Falco. Eppure, Tabacco eraquanto mai lontano dalle posizioni politiche di Cognasso: non ne condivide-va n le nostalgie monarchiche n linterpretazione del processo risorgimen-tale in chiave sabaudista; le sue simpatie andavano invece al Partitodazione, poi al Partito socialista. Anche sotto il profilo storiografico egli sidifferenziava nettamente dal maestro per lapertura crescente alla medievi-

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    PREMESSA 5

    lesegesi del passato. Questo volume ne raccoglie le relazioni. Chi scrivenon pot prendervi parte, perch assente dallItalia; ma con questo breve ri-cordo vuole oggi rendere anchegli omaggio alla memoria di un consocio pianziano, che era anche un amico.

    PIETRO ROSSIPresidente dellAccademia delle Scienze di Torino

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    GIOVANNI TABACCO(1914-2002)

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    Giovanni Tabacco e lesegesi del passatocome esperimento di verit

    GIUSEPPE SERGI

    Lapertura della giornata di studi dedicata a Giovanni Tabacco mi dloccasione per una rievocazione in parte irrituale. Non lo studioso con la suaenorme incidenza sui progressi della medievistica, non il maestro che ispirauna scuola con i suoi scritti: bens soprattutto linsegnante con la sua praticaquotidiana, esercitata nelle aule delluniversit oppure negli incontri a due

    con i suoi scolari. Losservazione della concretezza del suo lavoro pu esse-re utile anche per avvicinarsi allo storico e al suo metodo, innervato da ele-menti al tempo stesso empirici e sofisticati.

    In aula prima nella storica sede di Palazzo Campana poi, dal 1969, nelPalazzo delle Facolt Umanistiche di fronte a un pubblico sempre superio-re ai centocinquanta studenti, usava un linguaggio semplice, con il coraggiodi ripetere e insistere. Ricorreva istintivamente a tecniche da insegnante dirazza e da comunicatore convincente: partiva, ad esempio, da ci che gli stu-denti potevano gi sapere dai manuali, preannunciava la novit spesso for-te di ci che stava per esporre, e sottolineava poi i contrasti degli orienta-menti della storiografia aggiornata rispetto alla cultura comune sul medioe-vo. La museologia pi attuale ha dimostrato che, nel rivolgersi ai visitatori,

    chi allestisce un percorso deve appellarsi al tempo stesso a meccanismi diconferma del gi conosciuto e di meraviglia di fronte alla novit e alsoprendente1: ebbene, Giovanni Tabacco usava sistematicamente la tecnicadella meraviglia; perch lo stupore, il contrasto rispetto al gi noto, funzio-nava egregiamente da stimolatore dellattenzione per quei visitatori di altolivello che dovevano essere, secondo lui, gli studenti universitari. Anche invirt duna forma di rispetto per gli studenti evitava, a lezione, di far leva sucitazioni dotte. Evitava anche di ricorrere alluso di documenti: riteneva que-sta procedura un illusorio ingresso nel laboratorio degli storici. Non a casoera perplesso sui manuali scolastici che, proprio nei suoi anni, si andavano

    1Culture in mostra. Poetiche e politiche dellallestimento museale, a cura di I. KARP, S. D. LAVIN, Bo-logna, 1995.

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    riempiendo di appendici documentarie, che hanno il difetto di un fai da tea cui non credeva (i documenti non parlano da soli, richiedono un mestiereche per lo pi non hanno n studenti n insegnanti) e anche qualcosa di in-trinsecamente autoritario, perch suggeriscono la leggibilit di un testonellesclusiva direzione indicata dallautore che la medesima appendice hacostruito.

    Diceva di non essere molto adatto, invece, alla didattica seminariale. Di-sciplinatissimo nel ragionamento, Tabacco rischiava di non essere tollerantenei confronti delle intuizioni non argomentate, delle libere associazioni dipensiero, ed era anche severo nei confronti di chi cercava di cavarsela soste-nendo dopo aver ascoltato lui e correggendo di fatto le proprie precedentiaffermazioni che era proprio quello che voleva dire. La furbizia era forsela caratteristica umana che lo irritava maggiormente. Eppure, poich era ungrande erogatore di informazioni sugli strumenti (raccolte di fonti, tipi diedizione, bibliografie, percorsi di lettura) diventava, come vedremo, un otti-mo insegnante da seminari se lavorava sulle fonti con laureandi e dottorandi.

    Oltrech a lezione, dava il meglio di s nel seguire tesi di laurea e lavoridegli scolari. Era lettore di una meticolosit totale, aiutava a costruire il di-

    scorso e a dotarsi di una scrittura vigilata. Ed era lettore efficacissimo anchesu temi non suoi, in coerenza con lapprezzamento per le diverse specializ-zazioni, come si vide agli inizi degli anni Settanta quando, in una fase di e-spansione degli insegnamenti universitari, non solo convinse la Facolt tori-nese di Lettere e filosofia a far spazio a discipline nuove (come Storia degliinsediamenti tardoantichi e medievali o Storia della chiesa e dei movimentiereticali nel medioevo) ma si prodig nel cercare, per insegnarle, giovanistudiosi anche non formatisi alla sua scuola e sicuramente promettenti per leloro competenze specifiche.

    Era pluralista sui temi (qualunque argomento degno di ricerca stori-ca, usava spesso dire, mentre esprimeva se pur in fondo con lestraneitdellistituzionalista la sua simpatia per le Annales), non era n pluralista

    n tollerante sulla struttura di un lavoro scientifico. Non credeva in diverseforme di scrittura quando si trattava di produrre un contributo scientifico,invitava a essere attenti e rigorosi nella costruzione della pagina edellinsieme del lavoro. Capitoli e paragrafi dovevano risultare ben articolatitematicamente. Rifuggiva dallesposizione narrativa in ordine cronologico,cercava una struttura forte, una sorta di ossatura del discorso, pretendevapassaggi logici ineccepibili: appunto nel controllo di questi ultimi venivafuori la sua eccellente capacit di controllo anche su temi lontani dalle sueletture e dalla sua consuetudine di ricerca. Un simile studioso-lettore era ov-viamente nemico del descrittivismo, e individuava talora, in chi disponeva dimolte fonti dal tardo medioevo in poi, una non apprezzabile indulgenza ver-

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    so il racconto dei documenti: non cera, per lui, plaisir de larchive2 chegiustificasse lintrattenimento del lettore con excursus non direttamente fina-lizzati al ragionamento. Non un segreto che spesso, per dissuadere gli al-lievi dalle divagazioni, usava la metafora del buon cammino, che non deveessere disturbato da calci dati a ogni ciottolo che si incontri per strada. Difronte a una frase, a un inciso, a unosservazione supplementare, giungeva

    inesorabile la sua domanda: ma questo serve a ci che si vuole dimostra-re?.Parte fondamentale dellimpegno concreto di Tabacco nella didattica e

    nel magistero scientifico era la sua attenzione per la biblioteca: una sezione aidentit forte prima dellIstituto e poi del Dipartimento di Storia, che proprioper la sua attivit si sviluppata, distinguendosene profondamente, da quellaereditata dal vecchio Istituto di Paleografia e Storia medievale intitolato aPietro Fedele. Si occupava personalmente degli spogli di repertori e rivisteper le ordinazioni. La sua politica degli acquisti era svincolata dalle ricerchein corso ed era progettata per il futuro. Tabacco ha lasciato in eredit a noi,suoi scolari, unopinione positiva sulle biblioteche che contengono libri conle pagine non tagliate: una caratteristica che si presta allironia solo dei su-

    perficiali e che invece buon segno, perch indica che abbiamo compratolibri che non servono soltanto a noi, ma potranno essere utili ai nostri nipotiquando affronteranno argomenti di ricerca che esulavano dai nostri interessi.Perch un impegno per la biblioteca con questa ispirazione potesse averequalche successo era indispensabile usare tutti i fondi (dotazioni, ma anchefinanziamenti specifici per la ricerca): perci cera una oculatezza estremanello spendere per fini diversi dai libri, e chiedeva a se stesso e ai suoi colla-boratori di limitare a casi davvero eccezionali il ricorso ai fondi di ricercaper rimborsare missioni, escludendone luso per finanziare pubblicazioni (eper fortuna la sua fama presso editori e altri enti era tale che non mai suc-cesso che una ricerca di valore non fosse pubblicata per mancanza di un no-stro contributo finanziario). La sua idea di biblioteca universitaria come bi-

    blioteca specialistica ma non finalizzata al presente non solo servita a co-struire nel tempo uno strumento prezioso e molto ricco, ma ha anche costi-tuito modello per sezioni diverse da quella medievale: non a caso lAteneotorinese, il 16 giugno 2003, ha intitolato a Giovanni Tabacco la Bibliotecadel Dipartimento di Storia.

    Ho esposto, sopra, i principi della scrittura insegnata dal maestro tori-nese. Qual stata la scrittura da lui stesso personalmente praticata? La sua pa-gina scritta quanto di pi lontano si possa immaginare dalloralit delle le-zioni alle matricole. priva di insistenze, di ripetizioni, in generale di accor-2A. FARGE, Il piacere dellarchivio, Verona, 1991 (trad. delledizione francese del 1989); su Tabaccomaestro di scrittura cfr. R. BORDONE, Ricordo di Giovanni Tabacco, in Quaderni medievali, 54(dicembre 2002), p. 8.

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    gimenti espositivi di tipo retorico; si caratterizza per la pregnanza di ogni av-verbio e di ogni aggettivo, saltarne uno nella lettura comporta limpossibilitdella comprensione. La maggior parte degli storici francesi (e mi riferiscoalla medievistica che ha maggior successo nelle librerie) avrebbe scritto ildoppio sugli stessi contenuti. Inoltre la sintassi di Tabacco complessa:perch lipotassi e le subordinate erano, a differenza della paratassi, pi

    adatte a un pensiero in cui risultavano fondamentali gli intrecci e i tipi di-versi di connessione. La complessit del ragionamento scritto doveva ri-flettere la complessit dei contenuti e dei meccanismi storici che illustrava.

    La prosa di Tabacco, di conseguenza, risulta particolarmente difficileoggi, in tempi di lettura veloce e cursoria, nella quale importantelimpressione della pagina e nella quale per una sorta di tacita intesa fraautore e lettore solo ci che insistito importante. Le caratteristicheerano queste anche nelle dispense, che in soli tre casi avevano tradotto nel-lo scritto le sue lezioni3: gli studenti che cominciavano a lavorare con lamatita o con levidenziatore per sottolineare i passi salienti si accorgevano,dopo poche pagine, che stavano sottolineando tutto, e smettevano. E la stessacosa avveniva con il trattato Medioevo o con il volume Egemonie sociali e

    strutture del potere nel medioevo italiano, oggetto entrambi di frequenti a-dozioni per i corsi.Come revisore di testi altrui non arrivava a imporre tutto di queste tecni-

    che espositive, ma sulle scelte formali era severo. Pignolo sul lessico ai limi-ti del purismo, non lasciava passare nessun sia...che (mi rimprover perluso dellaggettivo coeso perch non si trovava nello Zingarelli del 1957,ultimo vocabolario che, secondo lui, accettava i neologismi solo quando era-no utili perch si riferivano a contenuti davvero nuovi). Ma a ben guardarenon era n un passatista n un cruscante. Riteneva piuttosto chelinnovazione lessicale dovesse avvenire attraverso una dialettica progres-siva: il nuovo poteva vincere, ma incontrando resistenza, la cosiddetta lin-gua viva non doveva corrispondere con lappiattimento su usi dipendenti da

    altri e diversi autoritarismi (giornalismo corrivo, televisione, linguaggio a-ziendale).Non apprezzava la terminologia tecnica, perch era convinto della pre-

    gnanza in s della lingua letteraria; gli piaceva il fatto che il lessico deglistorici coincidesse per lo pi con il linguaggio comune: distinguere proprie-t e possesso non era una scelta tecnica, era una risorsa del lessico da nongiudicare esclusiva n dei giuristi n degli storici.

    3G. TABACCO,La connessione fra potere e possesso nel medioevo europeo, Torino, 1973; ID.,Le meta-morfosi della potenza sacerdotale nellalto medioevo, Torino, 1974; ID., Egemonie sociali e vicende delpotere nel medioevo, Torino, 1976: testi a tiratura limitata confluiti in parte nel volume ID., Profilo distoria del medioevo latino-germanico, Torino, 1996.

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    La sua personale traduzione nel testo di questi principi era molto pinetta di quanto non esigesse come maestro: il suo testo sempre tematico,mai narrativo. Era convinto che non cedere allevocazione aiutasselinterpretazione del passato. Le pagine romantiche e sanguigne di Jules Mi-chelet erano molto lontane dalla sua sensibilit4. Non cera in lui passionecoloristica per il passato, non si pu dire che si fosse avvicinato al medioevo

    per amore verso quel periodo, e neppure che un simile amore si fosse svilup-pato in un secondo tempo. Si avvertiva in lui, s, una forte passione, ma erapassione per alcuni temi (ai confini con linteresse antropologico) su cui ilmedioevo si prestava pi di altri periodi a fornire risposte, perch era statauna lunga fase sperimentale: non a caso al concetto di sperimentazionefece ricorso per intitolare una raccolta di suoi scritti5.

    Sul piano del metodo storiografico, leggeva i testi che se ne occupavanoma non li usava, anche perch vi avvertiva, sempre, una tendenza a evitaregli aspetti tecnici della metodologia e a sviluppare argomenti, a cui non eraincline, di filosofia della storia. Non pretendeva di fare dichiarazioni di me-todo in senso euristico, da imporre agli altri. Era sicuramente contrario agliirrigidimenti.

    Ammirava Arsenio Frugoni ma invitava a non esagerare sulla strada dalui tracciata: era un bene lavorare sulle fonti come testimonianze di se stes-se6, ma poi occorreva fermarsi, e non rinunciare alla ricostruzione possibiledei fatti e dei problemi. Credeva nel possibile avvicinamento alla verit,era molto lontano dallapprezzamento per un libro per il solo fatto che fadiscutere, non dava eguale diritto di cittadinanza storiografica a unoperafondata su unidea e a unaltra fortemente sostanziata di prove e dimostrazioni:valutava sempre una ricerca sulla base della sua capacit di essere base perricerche ulteriori, come fosse e prendo lespressione da Paul Auster un e-sperimento di verit.

    Esprimeva giudizi positivi sulla storia totale, ma invitava a non preten-dere che lo storico si muovesse con competenza su tutto dalla mineralogia

    alla teologia e proponeva di realizzare ricerche ad ampio raggio attraversoil lavoro di gruppi che contenessero le diverse specializzazioni7. Parlava conammirazione (a lezione soprattutto) della prima e dellultima fase delle An-

    4Sulla forma espressiva di Michelet, giudicata eloquenza romantica [...] ricca di intuizioni ma appros-simativa nellutilizzare il documento per rievocare immaginosamente la vita del popolo di Francia cfr.G. TABACCO, G. G. MERLO,Medioevo. V-XV secolo, Bologna, 1981, p. 314.5G. TABACCO, Sperimentazioni del potere nellalto medioevo, Torino, 1993; su questa e altre marchelessicali degli scritti di Tabacco cfr. E. ARTIFONI, La medievistica in Piemonte nel Novecento e il pro-blema dellidentit regionale, in La cultura del Novecento in Piemonte: un bilancio di fine secolo, SanSalvatore Monferrato, 2001, pp. 45-56.6A. FRUGONI, Arnaldo da Brescia nelle fonti del secolo XII, 2a ed., Torino, 1989.7

    G. TABACCO, Il Piemonte nella medievistica oggi, in Studi sul Piemonte: stato attuale, metodologie eindirizzi di ricerca (16-17 novembre 1979), in Studi piemontesi (aprile 1980), pp. 1-9.

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    nales, ma ne riequilibrava le innovazioni insistendo sulla centralit del poli-tico rispetto al quotidiano. Su questo tema, nel succedergli nel 1985, avevoconcordato con lui una prima lezione in cui si usasse lesempio dei giornaliquotidiani come fonte: di essi avrei detto che uno storico del 2050 avrebbeusato prevalentemente le prime pagine e le pagine di politica, integrandolesolo in subordine con quelle di costume e di cronaca bassa, perch in fondo

    la politica incide, e pesantemente, anche sulla vita quotidiana degli uominidei nostri anni. Invece con le Annales si schierava nel prendere le distanzeda una certa tradizione italiana ostile alle scienze sociali: non a caso nel1969, poco dopo il mio reclutamento come assistente, mi port con s daLuciano Gallino per un colloquio sulla sociologia storica e per ricavarne unabibliografia che servisse anche alle ordinazioni per la nostra biblioteca.

    Le sue lezioni di metodo, mai teoriche, erano piuttosto unesportazionedi tecniche di ricerca da lui collaudate, e fondate sul corto circuito fra le ab-bondanti letture e lesegesi attenta del documento. Lesperienza pi affasci-nante, per gruppi ristretti di scolari, era seguirlo nella lettura, riga per riga,del capitolare di Querzy, dellEdictum de beneficiis, oppure del Liber con-suetudinum Mediolani, scoprendo con lui linterpretazione meno ovvia, il

    contrasto con la tradizione, il segnale testuale sottovalutato. Lesempio con-creto era per lui lunico modo per far acquisire un metodo.Si pu concludere affermando con semplicit che era uomo di forti pas-

    sioni, ma le teneva sotto controllo, le comprimeva, facendo il mestiere distorico. Pu bastare, per affermarlo, lesempio maggiore. Era laico, anzi lai-cissimo, ma si occup con rigore e con grandi risultati di spiritualit e cultu-ra dei chierici8, ricevendo apprezzamenti anche da parte di chi aveva orien-tamenti opposti e addirittura confessionali. Le belle lettere che sono arrivateda ogni parte del mondo nel momento della scomparsa di Giovanni Tabacco,o in occasione della celebrazione del suo ricordo, costituirebbero un interes-sante capitolo di riflessione su come il suo insegnamento stato recepito.Ma, perch qualcosa ci dice di passioni civili e impegno politico, ne cito una

    soltanto, di un suo amico di giovent, storico anche lui ma non medievista,Mario Mirri:

    ti scrivo per tempo, perch tu ricordi, se credi, la mia lunga amicizia e lamia stima altissima per il vostro maestro torinese: un rapporto, il mio con Ta-bacco, che era nato a Vicenza, nellimmediato dopoguerra, quando era arrivato,giovane professore di Storia e Filosofia, al Liceo Pigafetta, che era stato il mioliceo dal 1940 al 1943. Mi piace, oggi 2 giugno, ricordare lamicizia con Ta-bacco (dati i tempi!) perch essa fu consolidata (lui ed io Azionisti; io che orga-

    8G. TABACCO, Spiritualit e cultura nel medioevo. Dodici percorsi nei territori del potere e della fede,Napoli, 1993; ma si veda anche lampia (se pur selezionata) bibliografia in appendice a ID., Sperimenta-zioni cit., pp. 371-379.

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    nizzavo comizi in giro per la provincia e lui che si spendeva sulle piazze senzarisparmio, in attacchi severissimi a Casa Savoia!) nella campagna elettorale perla Repubblica e per la Costituente che, anche per merito nostro, in quella pro-vincia ottenne un grande successo.

    Quelluomo, quellintellettuale rigoroso capace di mettere le sue doti ar-gomentative anche al servizio della persuasione delle piazze, successiva-

    mente diventato uno dei pi grandi storici del Novecento.

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    Le discussioni, spoletine e non, di Giovanni Tabaccosullo stato medievale e sulla religiosit medievale: in

    margine ad alcune notazioni

    OVIDIO CAPITANI

    Ho gi ricordato Giovanni Tabacco ai Lincei nel febbraio scorso* ed og-gi avrei ripreso qualche osservazione finale di quel ricordo: non sar possibi-le farlo, perch devo cercare di rimediare de lge lirrparable outrage.Ma comunque voglio in qualche modo essere presente: e lo far non con una

    vera e propria relazione, ma con poche considerazioni rampollate sulle mieprecedenti riflessioni. E intanto perch discussioni spoletine e non?Perch va detto in questa circostanza torinese una cosa che, per ovvi

    motivi, non pot essere detta a Roma ai Lincei, e che non fu detta a Spoletoperch venne meno, per un molto discutibile nuovo orientamento assuntodalla maggioranza del Consiglio direttivo, di evitare di aprire i lavori delleSettimane con unNachruf, che si sarebbe potuto collocare, insieme con altririchiesti dallinesorabilit del tempo, in una pubblicazione a parte. Non seramai fatto e, credo, non si far mai. Tanto pi nel caso specifico, poich Ta-bacco, a limitarsi soltanto alla sua partecipazione alle Settimane ben seirelazioni, tra il 1965 e il 1990 tutte seguite da ampie, vivaci, talora violentediscussioni pot trovare proprio nel clima internazionale del Centro di Spo-

    leto la giusta dimensione della sua reale vocazione di storico delle istituzionipolitiche concrete dellalto medioevo (e forse occorrerebbe usare cautela nelparlare di istituzioni), proprio in reazione pubblica ad un mondo storiografi-co, specie italiano, che pareva non sapesse svincolarsi da schemi desueti,apparentemente sordo a quanto immediatamente prima della guerra, nelcampo specifico delle strutture politico-sociali, era avvenuto nella storiogra-fia doltralpe, specie francese e tedesca. Possono essere illuminanti alcuneconsiderazioni fatte nellaIntroduzione alla ristampa della Societ feudale diMarc Bloch, che del 1987, quando ormai il quadro metodologico interpre-tativo della medievistica da parte di Tabacco si largamente definito: e in-

    * Commemorazione tenuta nelladunanza del 14 febbraio 2003.

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    tendo riferirmi a quel preciso, intelligente, ponderato ripercorrere delliterstoriografico, meglio metodologico dello stesso Bloch, da Fustel de Coulan-ges e da Durkheim a Waitz, a Monod, a Febvre alluniversalismo ideologicodi Karl Lamprecht, con la sua larga base economicistica (una Kulturgeschichtelargamente egemonizzata dalle considerazioni economiche allhistoire de lamentalitdi Georges Duby e de lHistoire et ses mthodes, di una fase avan-

    zata delle Annales), un iter che certamente non costringeva nel letto diProcuste di uninterpretazione monistica il grande afflato storico del Bloch,che in fondo era laspirazione ad una storiografia compiutamente umanapropria di Giovanni Tabacco. Quindi nessun esclusivismo per intendereMarc Bloch e certamente Tabacco poteva ricordare le deformazioni opera-te in certi ambienti culturali italiani, nei primi anni Cinquanta quando appar-ve la prima traduzione italiana deLa socit fodale, per i tipi Einaudi, 1949,senza alcuna introduzione, quasi che tutto fosse scontato e nulla o quasi loera, in Italia, in quellimmediato dopoguerra! , nessuna storia globale che insostanza rinunziava nel suo punto di partenza stesso ad essere storia ad n di-mensioni.

    Daltro canto, proprio a Spoleto ebbe modo di manifestarsi loriginalit

    dellapproccio di Giovanni Tabacco a quella che, appunto, doveva essere lanuova dimensione della storiografia medievistica italiana che significativa-mente non registrava nellIntroduzione a Bloch nemmeno un nome italiano:e si era nel 1987 e la riscoperta (peraltro doverosa) di Volpe era gi avve-nuta ed era stato e veniva rivendicato come storico della societ italiana al-tomedievale. Ma Bloch era colui che aveva studiato la societ medievalecercando i nodi di collegamento di tutta la complessit umana,

    non accontentandosi, nella dilatazione del racconto in una rievocazione globalee in mezzo al fervore delle scienze umane in sviluppo (di impressioni), non piaccettabili come nude intuizioni.

    In altre parole, si doveva prendere

    atto del molto ragionare di psicologia non solo e non tanto nellambito dei puripsicologi, bens fra i sociologi, gli etnologi, gli antropologi e i costruttori di si-stemi interpretativi delle societ storiche.

    Ricordo che una volta, Tabacco nelle pause dei lavori di una non compiuta-mente assortita commissione di concorso a cattedra universitaria, in uno deitanti corridoi dei passi perduti del faraonico Ministero della Pubblica Istru-zione, a Roma, in uno dei tipici scatti dira tabacchiani, verso i pelosi cavillidi un collega di commissione che sembrava essere sempre e comunque diparer contrario, ebbe a confidarmi Maledetti gli interpreti. Ma non ci siinganni: i costruttori di interpretazioni storiche dellIntroduzione a Blocherano appunto costruttori, si affannavano, cio, sagacemente a rendere il

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    LE DISCUSSIONI, SPOLETINE E NON, DI GIOVANNI TABACCO 17

    pi completamente e umanamente comprensibile il nesso intricato della sto-ria delluomo, insofferente di formule, comunque, tentate di coartazioni econcettualmente brachilogiche. Ci fu in proposito un garbato dissenso, a di-stanza, fra Tabacco e me, in proposito, poi chiaritosi, come ho avuto modo diricordare nella commemorazione lincea.

    Fu proprio la rivista del Centro di Spoleto, non a caso, ad ospitare uno

    dei saggi pi meritatamente celebri non solo di Tabacco, ma della storia isti-tuzionale dove istituzione va intesa come Verfassung, istituzione concretaLa dissoluzione medievale dello stato nella moderna storiografia, pi volteristampata e, da ultimo, contenuta nella raccolta Sperimentazioni del poterenellalto Medioevo (1993), nella quale raccolta i contributi di matrice percos dire spoletina sono 4/11, per complessive 163/365 pagine. E a confer-mare ci che non ha certamente bisogno di essere ulteriormente confermato e cio che il problema dellordinamento del potere in quella umana societdel medioevo sia centrale nellopera di Tabacco baster scorrere i titolidella bibliografia che chiude lultima raccolta di saggi che abbiamo ricorda-to. Ma occorre stare attenti ai titoli: non si tratta genericamente del potere o,peggio, dello stato, come intervenuto ad alcuni dei suoi contraddittori spo-

    letini, di cui si diceva prima, non si tratta mai di una proiezione indebita esemplificatrice dovuta allingenua fiducia di poter tradurre [le istituzionipolitiche] in schemi concettuali coerenti. E pi questa preoccupazione diesprimere senza tradire la realt storica, che non una sorta di incontenibileattrazione verso il tema del potere, ag nel portare Tabacco con costante ri-meditazione a riprendere, limare, connettere e differenziare, nel contesto del-le situazioni circostanziali, unapparentemente identica problematica. Pochigiorni or sono, lamico Girolamo Arnaldi, rammaricandosi, in una conversa-zione telefonica, di non poter essere presente oggi a Torino, ricordava che,sceso alla stazione di Spoleto, nelloccasione di una delle ultracinquantennalisettimane, si sent chiedere da Tabacco che aveva ben presente lattenzioneda sempre portata da Arnaldi allopera storiografica di Giorgio Falco che

    cosa egli (cio Arnaldi) avesse inteso circa lassunzione falchiana del termi-ne particolarismo: perch se era indubbiamente vero che nel Medio Evo eper il Medio Evo non era assolutamente il caso di parlare di Stato, altro di-scorso meritava il tema dellordinamento pubblico, esigenza, orientamento,sperimentazione, magari istituzionalmente ambigua, che era stata nei suoipolimorfismi e soprattutto nelle sue polisemie al fondo del processo di for-mazione della societ medievale. Tutta la societ medievale, non sololItalia, si badi. Ci mi ha indotto a scrivere, nella commemorazione lincea:

    Nella maniera pi liquida possibile una storia comparata sfociava in una storio-grafia comparata: e se lesplicitazione di questa semplice verit fondamentale siebbe soltanto nella citata Introduzione storiografica alle Egemonie sociali del1979, lapproccio ben dichiarato e consapevole era gi quello del 1960, nel sag-

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    gioLa dissoluzione medioevale dello Stato nella recente storiografia, che con-tiene in nuce tutti gli elementi essenziali per intendere non solo le linee, ma lemotivazioni di quelle linee in una scrittura di storia che consapevolmente ripro-poneva, nella comparazione storiografica, la diversa coscienza di tre nazioni eu-ropee, Italia, Francia e Germania. [] E cos allora ci spieghiamo perch unaparte cospicua delleinaudiana Storia dItalia possa essere anche divenuta plau-sibilmente una parte pienamente integrata nel quadro della storia dellEuropa

    altomedievale. Si detto del carattere originario della storia dItalia, che, fattele opportune limitazioni alla portata del nome Italia, va ritrovato nella vicendasociale e istituzionale che si sviluppa appunto in Francia, Germania e Italia nelrisolversi dellimpero carolingio e che, per quanto concerne la penisola, nei suoiterritori gi di pertinenza longobarda, trova nel problema degli arimanni mo-tivazioni di un discorso in qualche modo esplicativo di un certo tipo di continui-t di ordinamento pubblico che si protrae nei secoli centrali del Medioevo. Av-venuto il confronto fra i vari tipi europei di dissoluzione dello stato, sgombratoil campo da fraintendimenti e illogicit, lItalia acquistava, nella sopravvivenzaanche allinterno di contesti urbani dellindicazione fin nel pieno medioevo diarimanni, assolutamente non riferibili etnicamente allepoca longobarda, unsuo ponte di collegamento tra la memoria dellordinamento pubblico di quei se-coli lontani e ci che era sempre apparso il tratto pi caratteristico della storia

    dellItalia medievale, il Comune.

    Senza esagerazioni e sopravvalutazioni pericolose della neue Verfassungsge-schichte, di cui proprio nel saggio del 1960 sulla dissoluzione medievaledello stato Tabacco aveva preso in considerazione autori ed opere. Ovvia-mente pi analitica era stata lesposizione di quella corrente storiografica sviluppatasi a cavallo tra il 1933 ed il 1943 nel 1960, molto pi perplessaera, nel 1966, la valutazione di quella che appariva al Tabacco una sugge-stiva avventura della medievistica tedesca.

    Il fastidio per gli schemi giuridici e lardore per una storia viva favorisconoquella revisione dei concetti tradizionalmente applicati al mondo medievale. Main questa predilezione per il dinamismo politico e sociale si corre il rischio di

    rinunciare a veder chiaro nel groviglio delle tradizioni giuridiche, delle strutturementali e culturali che in esse si esprimevano e attraverso cui le trasformazionidi quella societ si effettuavano.

    Nel tracciare la linea che aveva portato i teologi merovingi ad esseretalmente indignati nei riguardi delle pratiche pagane ancora operanti nellecampagne da ridurre i dmoni, del politeismo delle etnie da cristianizzare, ademni, si avverte tutta la preoccupazione di comprendere come si potessenon negare realt a potenze ultraterrene onorate dalle etnie pagane, ma nelcontempo di indicarne la metamorfosi perversa nella degenerazione dellanatura angelica dopo il distacco dalla comunanza di vita con lOnnipotente.

    Lantistoricit di qualsiasi rozza banalizzazione del sacro, del reli-gioso a mero strumento di oppressione colta assai bene da Tabacco in un

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    LE DISCUSSIONI, SPOLETINE E NON, DI GIOVANNI TABACCO 19

    ambito che riguarda lagiografia, ma che si rivela applicabile anche alla de-monologia. Si leggano queste parole del saggio apparso stavo per dire ov-viamente in una relazione spoletina, ristampata nel volume miscellaneoSpiritualit e cultura nel Medioevo. Dodici percorsi nei territori del potere e

    della fede:

    Non si vuol dire che lo sviluppo agiografico di et carolingia debba ricondursi

    alla strumentalizzazione ideologica. Si pu dire di pi. In tanto lagiografia po-teva essere largamente strumentalizzata, secondo gli interessi cos dei monasteridelle chiese regionali e locali, come dellordinamento unitario dei singoli regnie dellimpero, in quanto ai valori morali e spirituali della santit e alla potenzadei taumaturghi si credesse realmente.

    Ed era pienamente comprensibile che

    in una cultura polivalente, dove lannalistica regia, episcopale e monastica e itrattati e ogni forma di produzione letteraria non di rado si incontravano con glisviluppi agiografici o con la riflessione sulle presenze diaboliche e angelichenella vita dei singoli e dellumanit, senza che nellincontro molteplice vi fossesubordinazione di tutto a una sola suprema finalit.

    Si pu capire il carattere delle discussioni spoletine, anche violente, chesi suscitavano, spesso, tra Tabacco ed i suoi interlocutori, allorch il discorsoverteva sulle istituzioni altomedievali considerate, spesso, come forme ra-zionalizzanti di una realt tanto magmatica e mutevole come quella dellasociet altomedievale. Ma questo non significava affatto svilire il significatodella storia delle istituzioni rese partecipi di un processo dialettico e spessocontraddittorio proprio a indicare il groviglio tumultuoso di forze magariconcorrenti ad un unico fine, ma di varia provenienza. Non il politico chesopravvanzi leconomico, non leconomico che comunque si affermi inogni caso senza lacquisizione di un significato politico. Ci bisogna averein mente per comprendere laccesissima diatriba tra Tabacco e Bertolini in-tervenuta alla XX Settimana di Spoleto, dedicata ai Problemi dellOccidente

    nel sec. VIII.Gi nel 1967 Bertolini aveva accolto lidea che tra gli arimanni si fosse

    trovato a sussistere un ceto di possessori naturalmente non etnicamente lon-gobardi: su questo punto Tabacco e Bertolini erano sostanzialmentedaccordo; ma non allorch nel 1972 Bertolini sosteneva che della mutazioneintervenuta allinterno di quel popolo longobardo, che ormai comprendevaanche gli abitanti dellesarcato al tempo di Astolfo, questi fosse consapevolea tal punto da avvertire un rapporto tra il libero e le armi che di natura di-versa dallantica.

    Per Tabacco il fatto innovativo consisteva non certo nel ripudio da partedi Astolfo della tradizione longobarda: il regno longobardo non poteva ri-nunciare a questa idea che era la ragione stessa di esistenza di questo regno.

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    E se, come insisteva Bertolini, Astolfo, che imponeva a tutto il popo-lo/esercito longobardo (inteso non in senso esclusivamente etnico, come si visto), lobbligo del servizio militare non aveva previsto sanzioni per chi aquellobbligo si sottraesse, ci non significava che lomissione avvenisse permotivazioni psicologiche, per mancanza di coraggio: ci avveniva perchNemmeno le leggi del nostro tempo escono cos bene dalla penna dei redat-

    tori che ci si possa orientare con chiarezza. Figuriamoci quelle dellVIII se-colo!. E pi che sulla debolezza dellargomento ex silentio di Bertolini (nonci sono sanzioni), si deve constatare che Tabacco punta proprio sulla forzadellapparente contraddizione. Astolfo pu tollerare che ci siano uomini libe-ri non armati, perch non ne hanno la possibilit materiale. Non c contrad-dizione, perch ci che conta la coscienza di un popolo/esercito. Luomolibero non in grado di armarsi leccezione che conferma la regola. La mu-tata condizione dei liberi in armi, da guerrieri in classe sociale economica-mente impegnata non implicava lassunzione di una diversa valenza politicadella tradizione longobarda.

    Chiedere conto, quindi, delle ipotesi, specie in fatto di storia istituzionaleconcreta (appunto Verfassung): che era la suggestione che non derivava a Ta-

    bacco solo dallo stato dei nostri studi medievistici, larghissimamente affidati,come ognun sa, a pur benemeriti studiosi di storia del diritto, ma anche dallafrequentazione della storiografia abbastanza recente tedesca, a proposito dellaquestione del regno territorialmente concepito o come Personenverbandestaat,e degli scontri tra le tesi di Theodor Mayer, Helmut Beumann o Karl Ferdi-nand Werner; ed anche delle forti suggestioni filtrate da Bloch delle for-mule pi consone a designare le tipologie di signoria che riuscissero a com-prendere sia laspetto fondiario sia quello proprio della Bannherrschaft, si-gnoria bannale. Non si tratta di una querelle de mots, ma di uno sforzo seris-simo di tensione interpretativa di situazioni specifiche, non di aspirazioni astorie globali, come vorrei ripetere citando quanto gi dicevo ai Lincei nelfebbraio scorso:

    Tabacco non solo non ha mai avuto nessuna tentazione di fare una storia glo-bale, ma si felicemente cimentato, di volta in volta, nel rispondere alla sfidache Le Goff e Toubert avevano lanciato nel 1975, allorch serano chiesti Unehistoire totale du Moyen Age est-elle possible? scegliendo liberamente il fe-nomeno storico che abbia funzionato in una data zona del medioevo europeo inconnessione cos ampia con altri da poter assumere il ruolo di phnomne glo-balisant, Medioevo europeo, perch solo le dilatazioni delle esperienze eu-ropee erano cresciute e si erano trasferite proprio dal medioevo sino a raggiun-gere quella dimensione mondiale che hanno fino a ieri mantenuto, nonostante ilcontestuale tramonto di egemonia politica. Anche di questo ammonimento dob-biamo essere grati a Giovanni Tabacco, meditandolo.

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    Il popolo-esercito degli arimanni.Gli studi longobardi di Giovanni Tabacco

    STEFANO GASPARRI

    I Longobardi non hanno mai rappresentato uno dei nuclei principali del-la riflessione storiografica di Giovanni Tabacco. una constatazione in uncerto qual modo sorprendente, se si pensa ai tanti studiosi che, come chiscrive, lo hanno sempre considerato un punto di riferimento anche in questosettore particolare della ricerca; ma una constatazione a cui si pu facil-

    mente arrivare semplicemente scorrendo la ricca bibliografia di Tabacco, alcui interno i lavori espressamente dedicati al tema longobardo sono davveropochi1. vero, ed banale dirlo, che linfluenza di uno studioso non si misu-ra sulla base del numero di pagine scritte su un determinato argomento; tut-tavia losservazione ha un suo peso, anche perch ci aiuta a mettere in luceun fatto importante, ossia che Tabacco in realt giunge ad occuparsi delletlongobarda partendo da unottica che non quella degli studi longobardi insenso stretto. Questottica, che per lui in riferimento a quei secoli rimarrsempre fondamentale, unottica franca, ed in particolare carolingia. Forse,anzich parlare di Tabacco e i Longobardi, sarebbe stato pi opportuno par-lare dei Carolingi, della loro grande sintesi militare-ecclesiastica che ha rap-presentato, essa s, uno dei punti focali dell'interesse di questo studioso, e ai

    margini della quale si collocava precisamente, per Tabacco, il problema lon-gobardo. Tuttavia il ruolo da lui giocato nell'evoluzione di questultimo pro-blema non per nulla marginale, come vedremo.

    1I titoli sono:Dai possessori dellet carolingia agli esercitali dellet longobarda, in Studi Medieva-li, s. III, 10/1 (1969), pp. 221-268; La connessione fra potere e possesso nel regno franco e nel regnolongobardo, in I problemi dellOccidente nel secolo VIII, XX Settimana di studio del CISAM, Spoleto,1973, pp. 133-168; Linserimento dei Longobardi nel quadro delle dominazioni germanichedellOccidente, in Atti del VI Congresso internazionale di studi sullalto medioevo, Spoleto, 1980, pp.225-246;Milano in et longobarda, in Atti del X Congresso internazionale di studi sullalto medioevo,Spoleto, 1986, pp. 19-43;Manzoni e la questione longobarda, in Manzoni e lidea di letteratura, Torino,1985, pp. 47-57; Lavvento dei Carolingi nel regno dei Longobardi, in Langobardia, a cura di S.GASPARRI e P. CAMMAROSANO, Udine, 1990, pp. 375-403 (ristampato in Il regno dei Longobardi inItalia. Archeologia, societ, istituzioni, a cura di S. GASPARRI, Spoleto, 2004, pp. 443-479).

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    Non affatto un caso dunque che il primo lavoro nel quale Tabacco si occupato del regno longobardo sia il famosissimo I liberi del re nellItaliacarolingia e postcarolingia, pubblicato a Spoleto nel 1966, un libro che ri-mane a mio avviso il suo contributo principale agli studi longobardi: ed unlibro invece dedicato espressamente al periodo successivo al 7742. In essoveniva smontata la teoria delle arimannie, formulata per la prima volta in

    modo compiuto circa ottantanni fa da Fedor Schneider, sulla scia di PierSilverio Leicht e di Aldo Checchini. Questa teoria postulava lesistenza diparticolari insediamenti militari, le arimannie, che sarebbero state colonie diguerrieri longobardi collocati dai re su terra fiscale, in zone situate non soloai confini ma anche dentro il regno, in tutte le aree provviste di valore strate-gico, con fini di presidio e difesa. Era per una teoria priva di un reale fon-damento documentario e basata esclusivamente su una cattiva interpretazio-ne delle fonti, fonti inoltre che sono tutte posteriori, anche di parecchio, al774. Arimanni ed arimannie non ci illuminano in nulla, concludeva Tabacconel suo libro, sulle strategie militari dei sovrani barbarici: gli arimanni eranosemplicemente una classe sociale di guerrieri di origine longobardo-carolingia, anticamente legata al potere pubblico, e le arimannie rappresen-

    tavano il ricordo lontano delle terre da loro possedute.In questo modo Tabacco chiariva s alcuni nodi importanti della storiasociale ed istituzionale del regno italico nei secoli IX e X, concernenti inparticolare la sorte dei liberi possessori, ma al tempo stesso gettava anche lebasi per uninterpretazione radicalmente nuova della fase longobarda di quelregno. Infatti la teoria arimannica, che pretendeva di ricostruire la strategiamilitare dei re longobardi utilizzando soprattutto un metodo, la ricerca topo-nomastica, nel quale si era in particolare impegnato Gian Piero Bognetti3,costituiva forse la prova principale dellesistenza di un insediamento longo-bardo radicalmente distinto da quello romano, in campagna come in citt. Uninsediamento che avrebbe avuto un rigido carattere militare e che sarebbestato per di pi contraddistinto da un altro elemento di separazione,

    larianesimo, giacch abbonderebbero nei luoghi segnati dai toponimi fatidi-ci anche le dedicazioni di chiese indicate come antiariane, che sarebbero

    2 I primi sei capitoli del libro erano gi apparsi sulla rivista Studi Medievali, s. III, 5 (1964), pp. 1-65 e6 (1965), pp. 1-70.3 Bognetti, al pari dei suoi numerosi epigoni, aveva applicato questo metodo - luso diretto dei toponimicome fonte - anche ad altri termini di origine longobarda, fra i quali qui per brevit ricorder solo fara esala. Per rendersene conto basta scorrere le pagine della raccolta di scritti di G. P. B OGNETTI, Let lon-gobarda, I-IV, Milano, 1966-67. Un perfetto esempio di imitazione dei metodi toponomastici di Bo-gnetti fornito da G. FASOLI, Tracce di insediamenti longobardi nella zona pedemontana tra il Piave elAstico e nella pianura tra Vicenza, Treviso e Padova , in Atti del I Congresso internazionale di studilongobardi, Spoleto, 1952, pp. 303-315. Si veda poi anche il libro di Cavanna citato pi avanti alla nota 8.

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    cio il risultato di tarde esaugurazioni ad opera del clero cattolico4. Cos inun paese come lItalia, attraversato nella sua dorsale dalle montagne e incisoda numerosi fiumi, oltrech percorso da grandi strade romane, dove i confinifra terre longobarde e bizantine correvano in uninfinit di luoghi e dovequindi i toponimi arimannici si trovavano frequentemente in luoghi classifi-cabili con facilit come militarmente importanti, si legittimava lidea del re-

    gno longobardo come un regime militare doccupazione, con innumerevoliarimannie, fare e sale che convergevano su citt, strade, passi montani, fiu-mi; un regime che appariva di conseguenza fondato su unevidente separa-zione fra Longobardi e Romani.

    Demolire la teoria arimannica significava dunque implicitamente di-struggere le basi della visione allora largamente dominante del periodo lon-gobardo, quella fondata soprattutto sugli studi di Gian Piero Bognetti. MaTabacco nel libro del 1966 non si addentr in unanalisi dellet longobarda,si limit per il momento a pochi accenni. Pi di questi, in realt, importantelopera di revisione della storiografia di Bognetti, da lui allora iniziata nelcapitolo intitolato appunto Gli arimanni di Gian Piero Bognetti5, unoperaquesta che proseguir poi negli anni successivi. Prima di passare a questo

    aspetto, per, si deve esaminare quello che va considerato lautentico com-pletamento de I liberi del re, larticolo del 1969 intitolato Dai possessoridellet carolingia agli esercitali dellet longobarda, un titolo che gi dasolo conferma quanto si diceva allinizio a proposito del metodo regressivoadottato da Tabacco rispetto agli studi longobardi6. Apparentemente natocome polemica risposta alla lezione sugli ordinamenti militari dei Longobar-di tenuta da Ottorino Bertolini a Spoleto due anni prima, nella quale si eramessa in dubbio, in relazione proprio ai secoli longobardi, la soluzione datane I liberi del re al problema arimannico7, larticolo che fondamentaleper comprendere il pensiero di Tabacco sullet longobarda in realt avevaunaltra motivazione profonda, che si pu cogliere leggendo quanto lo stessoTabacco aveva scritto nella recensione ad un libro di Adriano Cavanna8. L

    egli aveva criticato duramente lautore per le sue posizioni troppo tradiziona-liste, tese a legare ancora meccanicamente arimannie e stanziamenti di guer-rieri longobardi caratterizzati da un legame particolare con il re. Dopo aver

    4 Esemplare di questo modo di procedere G. P. BOGNETTI,I loca sanctorum e la storia della Chiesa nelregno longobardo, in Id.,Let longobarda cit., III, pp. 305-345.5 G. TABACCO, I liberi cit., pp. 13-36.6 Citato sopra, alla nota 1.7 O. BERTOLINI, Ordinamenti militari e strutture sociali dei Longobardi in Italia, in Ordinamenti militariin Occidente nellalto Medioevo, XV Settimana di Studio del CISAM, Spoleto, 1968, I, pp. 429-580; lafamosa discussione fra lo stesso Bertolini e Tabacco non ebbe luogo quellanno (nella discussione diquella lezione, ibid., pp. 609-629, Bertolini si confront soprattutto con Carlo Guido Mor), ma al terminedella lezione spoletina dello stesso Tabacco del 1972 (cfr. sotto, nota 33).8 A. CAVANNA, Fara, sala e arimannia nella storia di un vico longobardo, Milano, 1967.

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    premesso che egli non aveva mai messo in dubbio il fatto che la massimaparte della classe dei possessori di et carolingia fosse da intendersi contutte le eccezioni possibili di origine longobarda, Tabacco citava un pas-saggio deI liberi del re dove aveva sostenuto la connessione, non la coin-cidenza, fra lantico carattere etnico dellexercitus e la successiva tradizionearimannica, una connessione che rimane in Langobardia indubitabile,

    cos come indubitabile era il legame fra la classe carolingia degli arimanni elultima et longobarda; ricordava poi che aveva, allora, espressamente ri-nunziato a trattare [] il problema etnico; e sottolineava infine che non sipoteva saltare let carolingia, collegando direttamente let comunale oprecomunale a quella longobarda sulla base di tarde testimonianze del nomearimannico, anche se allopposto era ben naturale che, ovunque rimangatestimonianza di antichi Longobardi, si possano ivi trovare con frequenzanotevole testimonianze anche di arimanni9.

    Con queste parole, Tabacco si ricollegava direttamente alle ultime righede I liberi del re. L egli aveva volontariamente rinunciato a trattare quelloche definiva un imponente problema etnico, legato appunto al rapporto fratradizione arimannica e distinzione etnica in senso longobardo10. Questo

    problema lo affronta invece nellarticolo del 1969, e dopo quanto abbiamodetto le sue conclusioni non appaiono sorprendenti: la portata innovatricedella sua revisione della teoria arimannica non produce gli effetti che in teo-ria ci si sarebbe potuti attendere perch precisamente la questione etnica,eterna croce della storiografia italiana, che lo frena in modo decisivo11.

    indispensabile a questo punto addentrarsi in un esame piuttosto minu-zioso dei vari passaggi del pensiero di Tabacco, in quanto lunico modoper cogliere lo svolgimento complesso dei suoi ragionamenti. Egli interrogaquesta volta le fonti longobarde, alla ricerca delle origini della classe socialedegli arimanni; si rivolge alle fonti normative (laNotitia de actoribus regis ele leggi dellVIII secolo), a Paolo Diacono e, in modo limitato, alla docu-mentazione darchivio, per ricavare conforto alla sua tesi secondo la quale

    non esistevano allinterno del popolo longobardo gruppi di guerrieri con-traddistinti da fedelt particolari e da un servizio militare permanente. Ilceto dei possessori, la gens Langobardorum e la fedelt degli arimanni,scrive, convergono, nel pensiero del re, che Liutprando, come tre aspet-ti diversi di una stessa realt; ma non vi affatto identit assoluta fra questi

    9 La recensione apparsa in Studi Medievali, s. III, 8 (1967), pp. 922-931; le citazioni (non presenti inquestordine) sono riferite a p. 924.10 G. TABACCO,I liberi cit., pp. 211-213: la rinuncia si giustificava perch la questione etnica esulava dalloscopo del libro, che era quello di studiare una classe sociale definita dal vincolo del regno (p. 212).11 Qui sono costretto a citare un mio lavoro: S. GASPARRI, I Germani immaginari e la realt del regno.Cinquantanni di studi sui Longobardi, in I Longobardi dei ducati di Spoleto e Benevento, Atti del XVICongresso internazionale di studi sullalto medioevo, I, Spoleto, 2003, pp. 3-28.

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    tre concetti, anche i Romani, dice Tabacco, potevano essere proprietari fon-diari, n il solo fatto di essere di stirpe longobarda implicava un giuramentoal re, esso probabilmente era dovuto dal guerriero al momento della primaprestazione di servizio armato; e precisa: lexercitus costituiva simultanea-mente la massima parte del popolo longobardo e della classe dei possessori,ma non coincideva esattamente con essi. Tuttavia, ci che dellesercito non

    fosse etnicamente longobardo, costituiva certo in esso qualcosa di marginale,di acquisito, di pi o meno assimilato ai Longobardi, come marginali eranoi Longobardi che non erano guerrieri e i guerrieri che non fossero possessori.Intima connessione, anche se non puntuale coincidenza dunque, di tradizio-ne etnica, di apparato militare, di costruzione politica. Debolezza e forza diuna dominazione che era pur sempre la dominazione di un popolo, ed eccoquindi che la legislazione ebbe lo scopo primario di garantire la pace fra iLongobardi come popolo armato e dominatore12.

    Impostata cos la questione, tutte le altre fonti che Tabacco esamina glisembrano confermare la sua teoria. Centrale lanalisi delBreve de inquisi-tione del notaio Gunteram, che nel 715 interrog testi senesi ed aretini alloscopo di dirimere una spinosa questione di confine fra le diocesi di Arezzo e

    Siena. Ne risulterebbe confermata la larga prevalenza dei Longobardi fra gliexercitales, mentre fra i testi detti liberi homines, da intendersi come posses-sori, ben maggiore sarebbe la presenza dei Romani, circa la met; al contra-rio, ma a conferma di quello che Tabacco sostiene relativamente alla longo-bardicit degli esercitali, se consideriamo tutte le carte longobarde dellVIIIsecolo ne risulterebbe che solo circa un terzo degli esercitali sarebbero clas-sificabili come Romani. Dal canto loro, i Longobardi identificati come nonesercitali sarebbero stati quelli troppo poveri per armarsi, ovvero qualcheanziano che aveva perso la sua antica qualifica di membro dellesercito re-gio, o ancora persone con minorazioni fisiche. Ma come pu affermare que-sto Tabacco? Sulla base dellonomastica, un elemento infido, ammette, alquale tuttavia non si sente di rinunciare13.

    Nella parte finale dellarticolo, dopo un esame raffinato degli usi notariliche gli permette di affermare che la stragrande maggioranza degli esercitalierano anche viri devoti, ossia avrebbero prestato un giuramento al re in quan-to guerrieri dellesercito pubblico14, Tabacco viene alla polemica con Berto-lini e ribadisce la coincidenza dei concetti di arimanno ed esercitale, luno e

    12 G. TABACCO,Dai possessori dellet carolingia cit., citazioni alle pp. 224 e 227.13Ibid., pp. 228-234, cit. a p. 230. Recentemente, sulla questione della possibile funzione guerriera dipersone con minorazioni fisiche, ha espresso un parere diverso, sulla base di dati archeologici ed in rife-rimento ad un caso concreto, L. PEIRANO BARICCO, Presenze longobarde. Collegno nellalto medioevo,Torino, 2004, p. 37; ma cfr. la recensione di A. A. SETTIA, Una fara in Collegno, in Bollettino stori-co-bibliografico subalpino 103 (2005), pp. 274-276.14 G. TABACCO,Dai possessori dellet carolingia cit., pp. 234-246.

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    laltro esprimenti la realt di una tradizione militare e politica longobarda,incorporata in un popolo etnicamente ormai nellVIII secolo non intera-mente omogeneo, ma ben distinto dalla restante popolazione come classepolitico sociale egemonica, stretta formalmente intorno allapparato del re-gno e quasi in esso confusa: forse la migliore definizione del concetto dipopolo-esercito riferito ai Longobardi15. Gli enti, dice molto giustamente

    Tabacco, non vanno moltiplicati senza necessit, dunque niente fantasioseduplicazioni di gruppi di guerrieri, arimanni ed esercitali sono la stessa co-sa16. Lidentit di arimanni ed esercitali provata in modo chiaro dal giudi-cato dei vescovi toscani e dal precetto di Liutprando che cercarono di chiu-dere, sempre nel 715, la contesa istruita dal breve di Gunteram: in questi duedocumenti i testi interrogati in precedenza da Gunteram, esercitali e uominiliberi, sono ricordati tutti insieme, sbrigativamente, come arimanni, e ilmotivo che, scrive Tabacco, il termine di arimanno era il pi adatto acomprendere il complesso dei testi laici, in quanto era applicabile alla mag-gior parte di essi, agli esercitali in quanto tali, a una parte dei liberi hominesperch Longobardi, solo eccezionalmente non entrati nellesercito o uscitineper vecchiaia. Per, poche righe prima, lo stesso Tabacco aveva sottolineato

    che arimanno era un termine troppo ricco di risonanze longobarde perchnon oscillasse fra lidea del guerriero dellesercito pubblico e la nozione dilongobardo17; dunque, nonostante la grande raffinatezza dellanalisi, e la lo-gica in s stringente anche di questultima valutazione, non si sfuggeallimpressione che alla fine Tabacco sia giunto a conclusioni in parte con-traddittorie, a indicare cio come arimanni un gruppo in cui larga per quan-to egli non lo sottolinei pi era, secondo la sua stessa analisi, la presenzadei Romani: ovvero con un termine longobardo che avrebbe invece conser-vato, per sua stessa ammissione, forti sfumature etniche. Seguendo con coe-renza questa strada, nelle ultime righe dellarticolo Tabacco riprende il di-scorso relativo a limponente problema etnico, difficile da risolvere, eppu-re riguardo al quale emergerebbe ormai unindicazione chiarissima: gli ari-

    manni carolingi e postcarolingi discendono in gran parte dagli arimanni diLiutprando e dunque dai Longobardi; e a questo punto si pu addirittura re-cuperare come era gi in parte emerso nella recensione a Cavanna lastessa indagine toponomastica, alla ricerca degli insediamenti longobardisulla base delle tracce del nome arimannico, e sia pure con tutte le cautelegi ricordate18.

    15Ibid., p. 246.16Ibid., p. 260. La confutazione delle tesi di Bertolini occupa tutta la quarta parte dellarticolo, pp. 246-259, per continuare anche nella parte conclusiva.17Ibid., pp. 258-259.18Ibid., pp. 267-268.

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    Conclusioni forse un po deludenti, se lette oggi, alla distanza di pi ditrentanni. Ma conclusioni quasi inevitabili per lepoca in cui furono scritte.Se Tabacco si fosse liberato di quello che definisce limponente problemaetnico, il suo articolo ne avrebbe tratto grande giovamento; in esso, infatti,le tracce degli sviluppi futuri della ricerca ci sono tutte. Non a caso, semprenelle conclusioni, gli sfugge un ufficialmente riferito al ceto degli ariman-

    ni al tempo di Liutprando: una classe di possessori che ufficialmente coin-cideva col popolo militarmente dominatore. uno spunto importante, unaprima consapevolezza della retorica del linguaggio politico e del suo distac-co dalla realt sociale in senso stretto, come proprio di ogni discorso ideo-logico.

    Per lo sviluppo ulteriore del pensiero del Tabacco langobardista era ne-cessaria una chiara presa di distanza da Bognetti. Essa trova unespressioneforte nellarticolo del 1970, Espedienti politici e persuasioni religiose nelmedioevo di Gian Piero Bognetti

    19. Anche qui per bisogna fare attenzione,perch in realt nelle conclusioni Tabacco recupera molto di quanto smontanel corso del suo ragionamento. Egli boccia la teoria bognettiana relativa alleorigini missionarie della consacrazione romana del vescovo di Pavia, confu-

    tando puntualmente la sua lettura delle fonti, e soprattutto mette in lucelapproccio fondamentalmente etico, emozionale, di Bognetti alla ricerca:come quando ne sottolinea il patriottismo longobardo, che rimane perprofondamente estraneo alle credenze ancestrali dei barbari, al cieco tradi-zionalismo dei Longobardi, o quando ricorda il disgusto di Bognetti verso lacorte di Bisanzio, il rifiuto insomma da parte sua di quanto avvertiva come tor-bido alle due estremit dellarco di culture convergente allora sullItalia.Tabacco tuttavia sostiene il carattere innovatore del lavoro di Bognetti, ap-prezza la sua riscoperta della centralit della storia ecclesiastica nei lontanisecoli altomedievali, riscoperta di cui riconosce il valore scientifico nono-stante la tremenda carenza di fonti di et longobarda e nonostante che unostupefacente pullulare di ipotesi, da parte di Bognetti, a volte trasformi la

    sua esposizione in un racconto improbabile: ipotesi nate quasi sempre dallaspinta a ricercare in una volont consapevole, in singoli atti di volontpolitica, la radice di grandi fatti o mutamenti. Insomma, Tabacco vede conchiarezza i pericoli di una storiografia che non si disciplina dentrounesplorazione prudente, che subisce troppo il fascino del racconto e laforza della fantasia (e qui viene bene il richiamo al famoso paragone di Bo-gnetti fra Teodolinda e Maria Teresa)20. Del Bognetti, Tabacco mette pure inluce il continuo mutamento di posizioni, limpulso a cambiare le sue rico-struzioni per far quadrare tutto perfettamente (gi gli arimanni ne erano stati

    19 In Rivista di Storia della Chiesa in Italia 24/1 (1970), pp. 504-523.20Ibid., pp. 508-509, 512, 513.

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    una prova eloquente), ma lo fa bonariamente e ricorrendo anche a testimo-nianze di rapporti personali con lui21. Il gusto delle ricostruzioni minuziosedi grandi quadri storici, nonostante le ampie libert del Bognetti rispetto alpunto di partenza rappresentato dalle fonti, gli paiono la prima radice dellaautentica sua grandezza di ricercatore. Cos, pur bocciando anche lidea diun piano generale missionario preparato da Roma, Tabacco riconosce la

    validit dellindividuazione, da parte dello storico milanese, del gruppo pa-vese di chierici di origine orientale impegnato, daccordo con il re, a conci-liare gli scismatici e a potenziare le chiese cattoliche. cauto, invece, sullaquestione delle dedicazioni esaugurali delle chiese, cos come sui pro-grammi politici dei re longobardi basati sulla diffusione di precisi culti disanti, visto che le dedicazioni non sempre sono facilmente databili; e se nonesclude del tutto la possibilit di usarle, lo ritiene tuttavia un giuoco perico-loso, almeno finch non sia stato fatto un esame sistematico della diffusio-ne regionale dei diversi culti22.

    In sostanza, sotto la volont bognettiana di ricostruire complicati e con-sapevoli disegni politici o politico-religiosi, sotto il suo gusto architettonico,Tabacco scopre la fecondit di singole, concrete intuizioni. Con ci finisce

    per salvare, per, pi di quello che ha ripetutamente messo in dubbio sullabase di un confronto serrato con le fonti. Certo, i metodi usati da Bognettiesigono grande cautela, scrive, e i risultati correzioni profonde, ma i puntifondamentali da lui utilizzati nella grande crisi della gens Langobardo-rum, crisi dovuta alla conversione, rimangono saldi. Risultati ottenuti co-niugando le fonti tradizionali, ossia i testi giuridici, narrativi, documentari,con quella che Tabacco chiama un po sbrigativamente erudizione antiqua-ria: folklore, linguistica, epigrafi, dedicazioni, toponomastica, dati archeo-logici23. Ed forse proprio qui la chiave del suo rapporto con Bognetti: trop-po grande la distanza che Tabacco mantiene con queste ultime fonti, persi-no, o forse soprattutto, con le fonti archeologiche, ovvero proprio quelle fon-ti sulle quali (o sulla mancanza delle quali) Bognetti costruisce tante delle

    sue ipotesi24

    .E inoltre: perch Tabacco parla di grande crisi della stirpe longobar-da? Perch la conversione al cattolicesimo dovrebbe aver significato crisi?Tutto deriva dallidea, cara a Bognetti, della persistente importanza delleresia

    21 Come quando racconta (Ibid., p. 514, in nota) di un biglietto passatogli a Spoleto da Bognetti, in cuiquesti ammetteva la sua disponibilit a cambiare opinione. Ben pi pregnante era stato il suo giudizio sugli arimanni di Gian Piero Bognetti, inI liberi del re cit., pp. 13-36.22Ibid., pp. 521-523.23Ibid., p. 523. vero che sotto quelletichetta probabilmente era compresa da Tabacco anche la tradizio-ne erudita vera e propria, essa tuttavia per lui andava sempre insieme alle altre discipline citate, di cuidiventava in qualche modo strumento (p. es. a p. 521 egli parla, a proposito del metodo di Bognetti, disfruttamento di informazioni note soltanto attraverso la tradizione erudita e le indagini archeologiche).24 Per questultimo aspetto devo di nuovo rimandare al mio lavoro citato alla nota 11.

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    ariana come elemento di distinzione fra Longobardi e Romani idea nonpi, oggi, seriamente sostenibile25 e sul conseguente travaglio di una sof-ferta acculturazione longobarda allantica civilitas, che avrebbe prodottouna nuova simbiosi fra le forme autoritarie dellordinamento ecclesiasticoed il ceto sociale dominante nelle terre longobarde, una disadorna aristocra-zia di guerrieri, ossia fra alto clero e nobilt longobarda26. Cos si esprime

    Tabacco nella sua sintesi allinterno della Storia dItalia Einaudi, dove bencentrale il nodo profondo che sottost alla crisi: come aveva scritto pochis-simo tempo prima in un intervento sulla Toscana meridionale altomedievale,era il processo attraverso cui questo ceto di armati e di possessori si va tra-sformando, dallVIII secolo in poi, da una gens, prima etnicamente e poi ter-ritorialmente caratterizzata come popolo in armi, in una pluralit di gruppipi o meno eminenti rispetto alla massa di servi e massari nelle singolesituazioni locali, con progressivo disfacimento dellexercitus come contestounitario. E aveva aggiunto che solo tramite lanalisi di quel processo si po-teva superare la monotonia di unevoluzione uguale dappertutto,nellEuropa occidentale di quei secoli, quella di unaristocrazia promossa dalpotere regio che si insedia nel territorio e realizza unosmosi con le istituzio-

    ni ecclesiastiche27

    .Pur con qualche ambiguit, pare di capire che per Tabacco questa fosseuna particolarit della storia italiana, e appunto su di essa egli insiste nellasua sintesi einaudiana del 1974. L il processo, confuso e violento, di scio-glimento delle fare longobarde sul territorio raccontato in maniera estesa, ecos pure il processo di appropriazione della terra da parte loro. Tabacco eraun convinto sostenitore del fatto che linvasione longobarda avesse rappre-sentato una vera e propria frattura nellevoluzione del nostro paese, tanto chela defin, sempre nella sintesi del 1974, la rottura longobarda nella storiadItalia, vedendo in essa leffettiva transizione italiana fra antichit e me-dioevo, a causa prima di tutto della fine storica del ceto senatorio, lanticaclasse dirigente capace di padroneggiare i sofisticati meccanismi di governo

    e di inquadramento sociale propri dello stato tardoromano; tale fine fu ac-compagnata inoltre da uno sconvolgimento di tutte le condizioni del posses-so fondiario e dalla scomparsa di quasi tutto il ceto dei possessori romani,

    25 Sul cristianesimo dei Longobardi si vedano, in ordine cronologico: S. C. F ANNING,Lombard ArianismReconsidered, in Speculum 56 (1981), pp. 241-258; S. GASPARRI, Roma e i Longobardi, in Romanellalto medioevo, XLVIII Settimana di studio del CISAM, Spoleto, 2001, I, pp. 219-247; W. POHL,Deliberate Ambiguity: Lombards and Christianity, in Christianizing Peoples and Convertings Indivi-duals, ed. by G. ARMSTRONG - I. N. WOOD, Turnhout, 2000, pp. 47-58.26 G. TABACCO,Egemonie sociali e strutture del potere nel medioevo italiano, in Storia dItalia,Einaudi,II/1, Torino, 1974, pp. 64-72, cit. a p. 65 (il saggio, con il medesimo titolo, fu ristampato come volumeautonomo nel 1979).27 G. TABACCO,Arezzo, Siena, Chiusi nellalto medioevo, in Atti del V Congresso internazionale di studisullalto medioevo, Spoleto, 1973, pp. 168-169.

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    ridotto a puro elemento residuale. Non vi dubbio, scrive Tabacco, chela massima parte dei proprietari fondiari, dai tempi di Liutprando alla finedel regno, era di Longobardi, e precisa: di uomini liberi che nei rapporti didiritto privato vivevano secondo la tradizione giuridica longobarda, il cheper, secondo lui, vuol dire in sostanza la stessa cosa perch non vi sarebbeindizio di unimponente assimilazione giuridica e militare di una libera po-

    polazione romana da parte dei Longobardi28

    .Tabacco interpreta tutto il processo di assestamento del regno secondo iparametri etnici e sociali elaborati nellarticolo del 1969; e ad esempio vienefatto di chiedersi quanto abbia negativamente pesato linterpretazione, rive-latasi poi errata, del documento pistoiese nel quale si sarebbero identificati ma solo il frutto di una cattiva lettura del copista Romani e massari,quando egli scrive che i Longobardi ridussero i Romani ai margini del poteresociale, identificandoli con i coltivatori dipendenti29. Talvolta Tabacco sidiscosta dalle fonti, operazione per lui inusuale, come quando descrive ilpassaggio alla propriet individuale da parte dei Longobardi, sottolineandoun processo del quale il meno che si possa dire che non ve ne sono traccechiare. Ecco quindi che le silvae arimannorum diventano i residui delle vec-

    chie propriet indivise delle fare longobarde, anche se poi subito dopo ag-giunge che possibile che tali spazi incolti non risalgano al primo periodo,bens ad assegnazioni anche molto posteriori fatte da re e duchi a gruppi diguerrieri30.

    Sempre in una chiave di storia territoriale, infine, nel suo saggio dedica-to alla Tuscia Tabacco, a proposito dellintimo coinvolgimento della popola-zione senese e aretina nella vita delle sue chiese, risultante dai famosi docu-menti toscani rammentati pi sopra, sottolinea lo stretto rapporto che conqueste chiese ebbero gli esercitali longobardi, che avrebbero costituito unvero e proprio gruppo emergente allinterno delle varie comunit locali; eglicontinua a chiamarli Longobardi in un senso pressoch totalmente etnico,sulla base delle sue conclusioni precedenti, non rilevando la totale assenza didistinzioni etniche nelle sue fonti e, allopposto, la presentazione di populicementati dal patriottismo territoriale e religioso. Questa sorta di patriotti-smo senese in piena et longobarda costituisce un problema non marginalenella storia delle trasformazioni sociali avvenute allora in Toscana, scrive:

    28 G. TABACCO, Egemonie sociali cit., pp. 61-62. Il titolo "La rottura longobarda nella storia dItalia" quello dellintero capitolo II del saggio (pp. 39-72).29 A. GHIGNOLI,Da massarii a Romani: note e congetture su un famoso documento longobardo (CDL, nr.206: 767 aprile 9, Pistoia), in Archivio storico italiano 578 (1998), pp. 621-636.30 G. TABACCO,Egemonie sociali cit., pp. 62-63.

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    vero, ma rappresenta anche unopportunit di leggere finalmente la societlongobarda dellVIII secolo senza occhiali etnici31.

    unopportunit che per per il momento non viene colta. Per Tabaccoera sempre il popolo dei Longobardi, in quanto felicissimo esercito, a de-tenere il potere politico, anche se negli ultimi anni della loro dominazione siera per pi versi ricostituito in Italia un apparato sociale analogo a quello

    dellultima et imperiale e teodericiana: la dominazione di una classe socialebasata sulla terra, dotata di una sua solidariet di fondo e profondamentecompenetrata con lordinamento pubblico e con quello ecclesiastico. Ma erauna vasta classe aristocratica diversa da quella antica perch era emersa daun popolo armato di cui comunque ancora faceva parte, in costante raccordocon schiere pi umili di arimanni-possessori ai quali la univa la comune tra-dizione militare longobarda32. Si vede bene la fecondit di queste posizionidi Tabacco, purch si prendano gli accenni alla tradizione e si facciano inve-ce cadere quelli alle distinzioni etniche. In questo modo la storia longobarda(ossia italiana) sarebbe pi comparabile a quella degli altri paesi, in partico-lare a quella del grande regno franco. Invece, ancora nella sua lezione spole-tina del 1972, dedicata alla connessione fra potere e possesso nel regno fran-

    co e nel regno longobardo nel secolo VIII, Tabacco aveva esplicitamenteaffermato che nel regno longobardo accertabile attraverso legislazione ecarte private lapprossimativa coincidenza del popolo militarmente domina-tore col ceto dei possessori, circostanza che al contrario non sarebbe statariscontrabile nel mondo dominato dai Franchi [] troppo vasto, vario ecomplesso [] perch il problema possa trovare una risposta uniforme pertutte le regioni incorporate in quel regno: con ci per si riproponeva anco-ra una volta lirriducibile alterit italiana33.

    Tabacco era forse ancora troppo legato allidea, di tradizione ottocente-sca, dellesistenza di una Latinit e di un Germanesimo ben definiti, chepotessero dapprima confrontarsi e poi fondersi in una nuova sintesi, la sintesi

    31 G. TABACCO,Arezzo, Siena, Chiusi cit., pp. 164-165.32 G. TABACCO,Egemonie sociali cit., p. 70.33 G. TABACCO, La connessione fra potere e possesso cit., p. 165. Nella lunga discussione che segu lalezione, nella quale Tabacco si confront vivacemente con Bertolini (come detto sopra, alla nota 7, ancorasul problema degli arimanni), egli afferm a chiare lettere che lesercito il popolo di tradizione longo-barda. Il regno longobardo non poteva rinunciare a questidea che era la ragione stessa di esistenza di quelregno. Tutti coloro che erano incorporati nellexercitus, con ci stesso entravano nella classe egemonicain cui consisteva di fatto il mondo dei Longobardi. C un allargamento, ma questallargamento non dalpunto di vista etnico una trasformazione rivoluzionaria: la base non pi etnica ma i possessori erano inmassima parte longobardi; e ancora, a proposito dei mercanti che dal capitolo 3 delle leggi di Astolforisultano essere incorporati nellesercito, Tabacco dice che con ci stesso non sono sentiti come roma-ni, ma anzi rientravano sotto letichetta di longobardi. Non che ciascun mercante diventi di leggelongobarda ma marginale il fatto che vi siano nellexercitus elementi che non professano la legge lon-gobarda (Ibid., pp. 212-214). Tra etnia, legge, tradizione, Tabacco appare dunque avviluppato in unatrama concettuale dalla quale non riesce completamente ad uscire.

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    latino-germanica del medioevo europeo; e da questa convinzione ricavavaforse la sua stessa persistente fiducia nella chiarezza delle distinzioni etni-che34. Tuttavia, progressivamente Tabacco si emancip almeno in parte daqueste posizioni. Nel suo intervento al Congresso di Milano del 1978, adesempio, parlando degli studi sulla pi antica storia delle stirpi germaniche,egli condann senza mezzi termini la concezione statica della loro natura

    in base alla quale le migrazioni erano viste come un semplice spostamentofisico di masse alla ricerca di spazio vitale , dando il merito alla ricerca ar-cheologica pi recente di aver proposto unimmagine nuova dellanticomondo germanico: le migrazioni pi che come movimento di popoli gli ap-parivano interessanti come nascita di nuovi raggruppamenti etnici e per letrasformazioni profonde subite dalle varie gentes35. Sotto la persistenza diun nome [] si cel spesso, piuttosto che il permanere di una stirpe, il pro-cesso di una sua formazione: una Stammesbildung, scriveva Tabacco, ci-tando Reinhard Wenskus e il suo fondamentale libro del 1961; il rigore del-le riflessioni storico-archeologiche esige ormai di attenuare la solidit untempo attribuita alle compagini etniche, aggiungeva con tono ultimativo36.Ma allora, viene da chiedersi, perch mai la Stammesbildung, letnogenesi, si

    sarebbe dovuta fermare o avrebbe dovuto rallentare fin quasi a fermarsi dopo il 568/69? Il punto che Tabacco sembra tenersi molto lontano da certiprocessi, che egli vede ormai chiaramente, ma che ritiene fondamentalmenteestranei alla sua ricerca: della stessa estraneit che c fra la preistoria e lastoria.

    Gli ultimi due importanti interventi di Tabacco sullet longobarda sicollocano a qualche distanza fra di loro e rappresentano soprattutto il se-condo una fase di svolta, sia pure non esplicitamente dichiarata, nella suainterpretazione di quel periodo. La prima occasione fu quella del convegnosu Milano prima del Mille, del 1983, dove, certo, Tabacco ripropone alcu-ne posizioni tradizionali, come ad esempio lidea che il gran numero di pro-fessioni di legge longobarda nel Milanese possa essere fatto risalire in mo-

    do diretto allintensit delloriginario stanziamento barbarico in quel me-desimo territorio. E ugualmente ammette ancora una volta luso della topo-nomastica per la ricostruzione dellinsediamento longobardo nel Milanese,procedendo sulla scorta di studi oggi non pi accettabili, nei loro presupposticome nelle loro conclusioni; peraltro significativo il fatto che Tabacco non

    34 Tabacco era ben cosciente dellimportanza del tema, al quale aveva dedicato espressamente due saggi:La citt italiana fra germanesimo e latinit nella medievistica ottocentesca, in Italia e Germania: Imma-gini, modelli, miti fra due popoli nellOttocento: il medioevo, Annali dellIstituto storico italo-germanicoin Trento, Contributi, 1, Bologna 1988, pp. 23-42, e Latinit und Germanesimo in medivistik TraditionItaliens, Tbingen 1989, pp. 108-140 (ristampato in Rivista storica italiana 102 (1990), pp. 691-716.35 TABACCO,Linserimento dei Longobardi cit., pp. 226-22736Ibid., pp. 227 e 233; cfr. R. WENSKUS, Stammesbildung und Verfassung. Das Werden der frhmittelal-terlichen Gentes, Kln-Graz 1961.

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    approfondisca questi argomenti, che erano pi lontani senza dubbio dai suoiinteressi ma che evidentemente, e forse soprattutto, egli avvertiva fondati su basimolto scivolose37. La forte sottolineatura della radice etnica longobarda dellaclasse dei possessori rimane, ed anche lidea dellimportanza del lavoro missio-nario, antiariano ed anticapitolino, che attravers i primi centotrentanni circadella storia longobarda, idea questa di derivazione bognettiana anche se Tabac-

    co la depura dei piani e delle centralizzazioni di Roma. Ma nuova la sotto-lineatura della persuasione di essere Longobardi presente in gran parte delceto dei possessori fino alla prima et comunale: le ascendenze etniche, purriaffermate, si vanno facendo progressivamente pi opache e trascoloranopian piano nella tradizione. Inoltre, nel ritmo milanese del 739 i Longobardirisultano pienamente incorporati nella tradizione cittadina, scrive Tabacco,come conseguenza del raggiunto inquadramento religioso in senso cattolico,una tradizione alla quale essi conferiscono un nuovo significato militare. Intal modo la forza del clero, dei monaci, dellepiscopato, la loro capacit diimporre tramite linquadramento cattolico unacculturazione piena dei Lon-gobardi allantica civilitas, che balza in primo piano: quellinquadramentoecclesiastico scrive che implicava programmaticamente il raccordo fra

    etnie, ceti e potere politico, secondo un modello tardo-antico, adattato allapresenza germanica; e conclude: siamo in un quadro dunque profonda-mente condizionato da un passato di civilt, ma venato di nuove vocazioniguerriere38.

    Nel suo ultimo lavoro sui Longobardi, quello apparso su Langobardiadel 1990, Tabacco esamina le complicazioni sopravvenute in questo quadroitalico in conseguenza della conquista franca, avviando nello stesso tempoun impegnativo confronto fra i due regni, il longobardo e quello franco do-minato dai Carolingi. Motore fondamentale della trasformazione gli appareancora una volta la forza dellordinamento ecclesiastico, nel cui intimo con-nubio con la dominazione franca egli trova la radice prima della diversit deidue regni ed uno dei fondamenti della superiorit del regno pi settentriona-

    le. Questultimo era inoltre costruito da sempre, si pu dire, su una tradizio-ne imperiale di dominio, allinterno della Gallia, su diversipopuli; si trattavain realt di entit regionali, sottolinea Tabacco, pure se la loro denominazio-ne si richiamava ancora alle etnie: Franchi, Burgundi, Romani (ossia Aqui-tani). Al contrario, nellItalia longobarda vi ufficialmente un solo popolodi liberi, unificato nel nome arimannico, qualunque sia la legge, longobarda

    37 G. TABACCO,Milano in et longobarda cit., p. 19 (dove si dice anche che, se pure la prevalenza delleprofessioni di legge longobarda in et precomunale possa essere fatta risalire anche ad una gradualeassimilazione giuridica della popolazione romana, tuttavia tale circostanza non si sarebbe mai verificatasenza una massiccia immissione di Longobardi in quel ceto dei possessori testimoniato dalle cartedarchivio) e pp. 40-41.38Ibid., pp. 20, 34-38, 43.

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    o romana, e qualunque sia la collocazione regionale. Questo popolo forma-to da Longobardi o longobardizzati, verso di esso il re usa un linguaggiodi una semplicit e di una cordialit rare, molto pi diretto di quello delsuo omologo franco: siamo nellorizzonte di una generale solidariet fra iliberi di tradizione ufficialmente longobarda ecco un avverbio che ritorna pure se questi liberi sono profondamente mescolati da elementi latini39.

    Sono l le tradizioni germaniche della monarchia longobarda, nel richiamoalla tradizione arimannica degli esercitali, nella connessa coscienza o me-moria memoria nel caso dei Longobardi e pseudomemoria nel caso deiRomani entrati nellesercito e nella tradizione giuridica dei Longobardi diun presente o di un passato di popolo dominatore, libero per eccellenza inquanto atto alle armi.

    Sono tutti accenni ad una considerazione diversa della questione etnica,che portano dritti allaffermazione secondo la quale fin dallet longobardaerano in corso i processi di trasformazione degli arimanni da popolo armatoe dominatore in una classe sociale plurietnica. Non che Tabacco neghi lesue posizioni precedenti, molto caratterizzate dalle distinzioni etniche, ma gliaccenti sono ora profondamente diversi e puntano piuttosto verso il comple-

    tamento del processo di fusione, le cui tappe cronologiche Tabacco non sot-tolinea, sfuma, ma che verosimilmente devono essere gi antiche agli inizidella dominazione carolingia: quando i capitolari franchi si propongono co-me prosecuzione esplicita della legislazione longobarda, facendo appello,scrive, ad una persistente coscienza longobarda, di cui per non sono pidefinibili i confini: infatti una distinzione etnico-giuridica allinterno dellapopolazione del regno [] non possibile, per la profonda osmosi avvenutafra Longobardi e Latini nel ceto dei possessori. unaffermazione chiaris-sima40.

    Accanto allevoluzione del ceto dei possessori, di cui si accenna anche ildeclino nella piena e tarda et carolingia secondo le linee gi a suo tempoproposte neI liberi del re, laltro grande tema del saggio del 1990 rappre-

    sentato dallo studio di come lordinamento ecclesiastico del regno longobar-do e, accanto ad esso, la societ nel suo complesso accolgano le profondenovit introdotte dallimportazione in Italia della simbiosi franca fra istitu-zioni religiose e potenza politica. Ed interessante che, nel sottolineare imodi peculiari con i quali lepiscopato della penisola recep le novit, Ta-bacco parli di vitalit delle tradizioni italico-longobarde, un altro modoper sottolineare la raggiunta sintesi del mondo italiano precedente alla con-quista franca. Alla base della diversit, ossia della maggiore estraneit delle

    39 G. TABACCO, Lavvento dei Carolingi cit., pp. 446-448; sulla posizione differente dellordinamentoecclesiastico nei due regni, pp. 448-452 (le citazioni sono riferite sempre alledizione del 2004).40Ibid., pp. 466, 472, 474.

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    chiese e dei monasteri italico-longobardi rispetto allo sviluppo dellaristocraziae del potere pubblico, a paragone dellevoluzione franca, Tabacco richiamala violenza della prima invasione e la lunga persistenza di una tradizioneacattolica: affermazione che, come accade talvolta in Tabacco, rappresentaun omaggio alla precedente tradizione di studi, unaffermazione la cui scarsafecondit per dimostrata dal fatto che da lui immediatamente abbando-

    nata. Ben pi importante appare invece la sottolineatura del fatto che la man-canza di un connubio intimo [] fra la protezione esercitata sulle chiesedal regno e lo sfruttamento politico-militare del loro patrimonio [] realiz-zato nelle forme solenni di una sorta di clientela ufficiale comune, abbiaimpedito al mondo italico meno ricco di grandi propriet fondiarie dei pro-pri vicini di Oltralpe lo sviluppo di clientele politico-militari paragonabili aquelle vassallatiche, strumento principe della potenza franca. Nella visioneconclusiva di Tabacco, la formazione di quella che egli chiama lItalia deiLongobardi e dei Franchi il prodotto del confluire della tradizione italico-longobarda, rappresentata soprattutto dalla tradizione dei liberi homines,Longobardi, arimanni, modesti proprietari di terre, e delle loro chiese, nelcomplesso ordinamento franco di natura imperiale, una dominazione eccle-

    siastica che era coniugata con la potenza politica e la forza militare41.Nellevoluzione del suo pensiero, Tabacco ben diverso, in questo, da

    Bognetti42 si sempre caratterizzato per lestrema coerenza, proponendoricostruzioni che inglobavano progressivamente i risultati delle sue analisiprecedenti, in un modo reso evidente, in molti passaggi, dalluso rigido ditermini ed espressioni precise, che rinviavano immediatamente il lettore con-sapevole ai suoi lavori fondamentali in materia, I liberi del re eDai posses-sori dellet carolingia agli esercitali dellet longobarda.Tuttavia, nono-stante questa sua apparente rigidezza, alla fine del suo percorso Tabacco hasilenziosamente abbandonato la chiave interpretativa etnica, che gli si rive-lata via via sempre pi inutile finendo ai margini delle sue spiegazioni. Maci avvenuto senza fare i conti fino in fondo, esplicitamente, con i vecchischemi storiografici, di cui egli si di fatto in gran parte liberato semplice-mente spostando la sua attenzione sulla tarda et longobarda, l dove lospingeva anche il suo interesse prevalente verso il mondo franco: quella tar-da et che invece era ai margini della storiografia tradizionale, Bognetticompreso, che investigava quasi esclusivamente i primi tempi longobardi, almassimo il secolo VII, fin dove cio si poteva trovare traccia di Romani pio meno inventati da contrapporre ai Longobardi.

    41Ibid., pp. 450-451, 461 (tradizioni italico-longobarde), 479.42 Direi anche consapevolmente diverso: si veda ad esempio, a corollario di quanto gi scritto sopra, quan-to afferma lo stesso Tabacco, nel corso della citata discussione con Bertolini, a proposito del pericolosogioco di ipotesi che egli [Bognetti] si permesso (TABACCO, La connessione fra potere e possesso cit.,discussione, pp. 216-217).

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    Per porre seriamente in discussione non solo le esuberanze di Bognetti,ma anche tutta limpostazione storiografica prevalente nella prima met delsecolo XX, e in molti casi anche oltre, Tabacco avrebbe dovuto manifestareun interesse, che non era il suo, verso classi di fonti che egli non a caso pocousa. Il riferimento non solo alla gi accennata estraneit sostanziale versole fonti da lui definite antiquarie, fra le quali spicca larcheologia, il cui

    contributo al rinnovamento degli studi altomedievali , almeno oggi, a tuttinoto; ma anche allo scarsissimo uso che egli fa della documentazionedarchivio. Non tragga infatti in inganno il suo articolo del 1969, l le cartesono utilizzate solo per verificare formulari ed usi notarili, nientaltro, nonsono mai considerate per quello che ci possono dire della societ italico-longobarda. Lattenzione primaria di Tabacco infatti soprattutto per la sto-ria del potere politico ed ecclesiastico, del loro rapporto con le lites e deiloro schemi di inquadramento della societ, pi che per il concreto funzio-namento di quella medesima societ. Di qui il suo forte interesse per le fontinormative, leggi, capitolari, concili, che egli maneggia con unineguagliabilecapa