Giovanni Mattazzi - Verbano il tempo e il ricordo. Prefazione e Capitolo 23- "I Celti e la Cultura...
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Transcript of Giovanni Mattazzi - Verbano il tempo e il ricordo. Prefazione e Capitolo 23- "I Celti e la Cultura...
Foto di Gabriella Brusa Zappellini
Verbano il tempo e il ricordo
Giovanni M
attazzi
Giovanni Mattazzi
Dal Risorgimento all’antifascismo: gli eventi e gli uomini
Giovanni Mattazzi (Romano di Lombardia, 1941) proviene dal mondo delle aziende. Direttore amministrativo e finanziario, ha operato a lungo in società industriali e com-merciali, italiane e straniere. Studioso di storia contemporanea, ha pubblicato saggi e volumi monografici. Tra questi: Mussolini – Breviario (Rusconi 1997), Gandhi. La gran-de anima (Mondadori Electa 2002, tradotto in spagnolo e in tedesco), Che Guevara – Breviario (Rusconi 1997, ristampato nel 2003 da Bompiani), L’arte Copta in Egitto e L’arte Copta in Abissinia (in AA.VV., La Storia dell’Arte, Mondadori Electa 2006), Il tempo della speranza. Gli anni di Giovanni XXIII e John F. Kennedy (Arcipelago Edi-zioni 2009), Verbano e dintorni a ritroso nel tempo. Figure, eventi, nostalgie di un re-cente passato lontano (Arcipelago Edizioni 2011). Ha collaborato alle pagine culturali di quotidiani a diffusione nazionale e alle rubriche storiche di periodici locali. Vive e lavora a Milano.
Il libro fa seguito a Verbano e dintorni a ri-troso nel tempo (Arcipelago Edizioni 2011). Anche in questo caso, gli articoli che racco-glie – apparsi dal 2003 al 2006 sulle riviste «MAG» ed «Eco del Verbano» – riguardano vicende e figure legate al Lago Maggiore. Spaziano dal Risorgimento alla “Grande Guerra”, dai fatti d’Etiopia del 1936 alla Se-conda guerra mondiale e all’antifascismo. Punto di riferimento il Lago – protagonista assoluto – con la realizzazione d’imprese memorabili come il Traforo del Sempione e di altre meno significative, ma ricordate con nostalgia: la ferrovia di montagna Intra-Premeno, a esempio, e il trenino che la per-correva. E poi al vertice della celebrità per il tentativo vano di salvaguardare la pace in Europa, con le conferenze di Locarno (1925) e di Stresa (1935).
Gli articoli non trascurano il versante svizzero: drammatico il “blocco” (1853-55), imposto da Radetzky, per punire il Tici-no antiaustriaco e filocarbonaro; e la storia dei “fortini della fame”, singolare reazio-ne elvetica a quel drastico provvedimento. Rievocata la “Comune” di Monte Verità a Moscia, ritrovo di utopisti vegetariani e na-turisti, e i convegni di Eranos ad Ascona – mitico ponte tra Oriente e Occidente – ap-prodo di studiosi da ogni dove, richiamati dal carisma di Carl Gustav Jung.
Infine una galleria di personaggi molto noti: alcuni celebrati, altri discussi. Si va da Luigi Cadorna, il generale di ferro, al romanziere americano Ernest Hemingway; dall’ingegner Alessandro Marchetti, proget-tista d’idrovolanti e d’aeroplani, allo sculto-re Pavel Troubetzkoy. Non dimenticati – per concludere – lo scontro di Megolo (13 feb-braio 1944) e la morte onorevole dell’archi-tetto Filippo Maria Beltrami “il Capitano”. E l’attività esemplare del professor Ettore Tibaldi, presidente della Giunta di governo dell’Ossola, anticipazione di democrazia e di libertà.
9546347888769
ISBN 978-88-7695-463-4
€ 36,00(IVA ASSOLTA DALL’ EDITORE)
Verbanoil tempo e il ricordo
Dal Risorgim
ento all’antifascimo: gli eventi e gli uom
ini
In copertina, dall’alto e in senso orario: ma-nifesto pubblicitario degl’idrovolanti Siai e della I^ trasvolata atlantica (Italia-Brasile 1930-31); Giuseppe Mazzini apostolo del Risorgimento; Italo Balbo all’idroscalo di S. Anna (Sesto Calende) ritira il 24 maggio 1933 il suo I-BALB col quale guiderà la Cro-ciera del Decennale; un bando dell’occupa-zione militare tedesca durante la Seconda guerra mondiale; un fotogramma del film di Charles Vidor Addio alle armi (1957); l’alpi-no Attilio Bagnolini di Villadossola caduto a Mai Ceu in Etiopia il 31 marzo 1936
Giovanni Mattazzi
VERBANO IL TEMPO E IL RICORDODal Risorgimento all’antifascismo: gli eventi e gli uomini
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La pubblicazione di questo libro è stata resa possibile dalla disponibilità e dalla cortesia della DottoressaVirginia Martelli di «EV eco del verbano» e del Sig. Gautier M. Zanchi di «MAG» Magazine, rispet-tivamente Amministratore Unico della XY.IT Srl di Arona e Liquidatore della Idearti Srl di Lesa
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INDICE
Prefazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 7
Articoli apparsi su «MAG» e su «Eco del Verbano»dall’Agosto 2003 al Dicembre 2006
«MAG» rivista mensile gratuita
AGOSTO Sesto Calende e gl’idrovolanti. Settant’anni fa la II Crociera Atlan- tica. Il ruolo della SIAI-Marchetti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 15
SETTEMBRE L’ufo di Vergiate. Anni Trenta, cronaca di una visitazione extraterre- stre . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 19
FEBB. MARZO Lo scontro di Megolo e la morte del Capitano. Nel febbraio del 1944 un episodio non dimenticato della Resistenza . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 23
«Eco del Verbano» rivista mensile
OTTOBRE La Repubblica dell’Ossola. Nell’autunno del 1944 un’anticipazione di democrazia e di libertà . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 31
NOVEMBRE Quel mostro fumante del Lago Maggiore. Nel febbraio del 1826 l’esor- dio della navigazione a vapore . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 37
GENNAIO Quel ponte sul Ticino a Sesto Calende. Distrutto nel 1944 dalle bom- be americane rinacque, ma non come era . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 41
MARZO Cannoniere asburgiche sul Verbano. Verso la Seconda guerra d’indi- pendenza tra blocchi navali austriaci e moti mazziniani . . . . . . . . . . . 45
APRILE Settant’anni fa la Conferenza di Stresa. Dall’isola Bella, nell’aprile del 1935, disco verde a Mussolini per l’impresa d’Abissinia . . . . . . . . . . 49
MAGGIO Quel Sancarlone ferito. 26 aprile 1945: la ritirata della “colonna Stamm” e gli ultimi spari della Guerra civile ad Arona . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 53
GIUGNO Luigi Cadorna il generale di ferro. 24 maggio 1915: l’esercito scende in campo agli ordini del soldato di Pallanza . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 57
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LUGLIO Carl Gustav Jung e l’Eranos di Ascona. Con una frequentazione assi- dua, il grande psicoanalista di Basilea contribuì a fare del borgo ticine-
se un centro culturale di valore internazionale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 61AGOSTO Arona e il sogno destinale di Jung. Come la bicicletta giocò un ruolo
nella storia della psicoanalisi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 65SETTEMBRE Quando Radetzky affamò il Ticino. I moti di Milano del febbraio 1853
e la ritorsione austriaca . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 69OTTOBRE Il Patto di Locarno.Nell’ottobre del 1925 il tentativo di garantire all’Eu-
ropa una pace duratura . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 73DICEMBRE Il Capitano Ettore Crippa di Oggebbio. Settant’anni fa in Abissinia
i carri veloci italiani nella trappola di Dembeguinà . . . . . . . . . . . . . . . . 77GENNAIO Alessandro Marchetti l’ingegnere con le ali. Negli anni ruggenti, tra
le due guerre mondiali, portò al successo la SIAI di Sesto Calende e di Vergiate . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 81FEBBRAIO Ernest Hemingway e il Lago Maggiore. A Stresa romanzo e cinema
in un lungo “Addio alle armi” da Gary Cooper a Rock Hudson . . . . . . 85MARZO Pavel Troubetzkoy artista scapigliato. Nato a Intra 140 anni fa il cele-
bre scultore giramondo tornò a morire sul Lago Maggiore . . . . . . . . . . . 89APRILE Gli alpini dell’Intra protagonisti a Mai Ceu. In Abissinia il 31 marzo
1936 la battaglia decisiva per l’Impero . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 93MAGGIO L’Anno del Sempione. Duecento anni di strada Napoleonica e cento
di via ferrata . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 97GIUGNO Quel trenino che da Intra saliva a Premeno. Dal 1926 favorì il turismo
nella zona e andò in pensione nel 1959 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 101LUGLIO Monte Verità di Ascona. Agl’inizi del secolo scorso teosofi, vegetariani
e naturisti sperimentano un vivere alternativo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 105OTT.NOV. I Celti e la Cultura di Golasecca. Sulle tracce di antichi insediamenti
del Verbano . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 109DICEMBRE Il ponte galleggiante Laveno-Intra. Un discusso progetto degli anni
Trenta per unire le sponde del Lago Maggiore . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 113
Album . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 117
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Prefazione
Gli articoli di rivisitazione storica qui raccolti fanno seguito a Verbano e dintorni aritroso nel tempo (Arcipelago Edizioni 2011) che riuniva scritti pubblicati sulla ri-vista di Arona «Eco del Verbano», negli anni 2007-08, ultimi della mia collabo-razione con il periodico. “Fare seguito” non va però inteso nel senso di uncontinuum cronologico. Perché il lavoro che adesso viene dato alle stampe riguardaricerche di anni precedenti, apparse non soltanto su «Eco del Verbano», ma anchesu «MAG»: un mensile illustrato che ebbe vita effimera negli anni 2003-04 (cin-que numeri in tutto). Il progetto di MAG – un magazine di una trentina di pagine– era ambizioso. Sulla falsariga dei quotidiani “leggi e butta” – novità milanese deltempo – si voleva tentare un esperimento analogo sul Lago Maggiore con la distri-buzione gratuita di 40 mila copie per ogni numero stampato. L’intesa era che il fo-glio dovesse vivere di sola pubblicità. L’esperimento andò male; feci però in tempoa pubblicare su quella testata tre pezzi che sono l’incipit di questo volume.
Il primo ha per titolo Sesto Calende e gl’idrovolanti ed è una rievocazione dellecrociere mediterranee e delle trasvolate atlantiche organizzate e dirette, tra gli anniVenti e Trenta del secolo scorso, da Francesco De Pinedo e da Italo Balbo. SestoCalende, una fra le culle dell’industria aviatoria italiana, viveva a quel tempo unacondizione di grave disagio. Il paese, nei primi decenni del Novecento, necessitavadi una rifondazione per essere all’altezza della fama che nel mondo andava acqui-sendo grazie all’attività della Siai (società aeronautica guidata dall’ingegner Ales-sandro Marchetti). Il compito di far rinascere la borgata lombarda (4.554 abitantinel 1921 con le frazioni di Lisanza e Lentate) – già nota sin dalla fine dell’Ottocentoper il celebre ponte in ferro sul Ticino – era toccato al ragionier Ernesto Cacciari,nominato commissario prefettizio nel settembre del 1927 e incaricato della gestionestraordinaria del Comune.
In poco meno di tre anni, grazie al dinamismo dell’instancabile funzionario, lalocalità (che era priva di tutto o quasi e mancava persino del gonfalone municipale)venne trasformata. Con lui furono costruiti l’acquedotto e le fognature; fu creatoil nuovo macello pubblico e realizzato il nuovo mercato del bestiame; fu ristruttu-rato il palazzo delle scuole (ampliato con l’introduzione della palestra ginnica) ri-cavando, con l’aggiunta di una nuova ala – sede del Municipio – un complesso
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funzionale di buon impatto estetico. Furono sistemati gli argini e il lungo Ticino,a evitare le conseguenze delle piene e il ristagno melmoso delle acque. Tanto chedalle opere murarie eseguite, oltre alla scalinata di accesso a piazza Cesare da Sesto– abbellita al centro da un’artistica fontana in marmo di Carrara ora scomparsa –risultò un ampio belvedere sull’ansa del fiume: e il ponte in ferro, già menzionato,ne era lo sfondo suggestivo.
Molto altro venne fatto in termini d’igiene e d’illuminazione pubblica (la fra-zione di Lentate, per esempio, era priva di elettricità anche per uso privato). In temadi viabilità, migliorati i tracciati e facilitato il traffico, si costruì la strada di S. Annaper congiungere Sesto Calende e l’idroscalo e per legare il paese all’aeroporto A.Campacci della Regia Aeronautica. Venne pure rettificato il percorso della stradadel Sempione con l’eliminazione dell’andamento stretto e tortuoso che aveva all’in-terno dell’abitato.
Legata alla memoria della Siai è anche la curiosa vicenda dell’Ufo di Vergiate, se-gnalato nel giugno del 1933. È la storia, accuratamente secretata, di una presuntavisitazione extraterrestre e dei resti di un’astronave incidentata, nascosti – anni dopo– in un capannone della locale fabbrica d’aeroplani. Altra cosa è il terzo articoloapparso su MAG, che ricorda gli anni terribili della lotta ingaggiata tra italiani nelVerbano sul finire della Seconda guerra mondiale. Emblematico lo scontro di Me-golo, ove trovò una morte onorevole l’architetto milanese Filippo Maria Beltramiorganizzatore, nell’ottobre del 1943, di una delle prime formazioni partigiane d’Ita-lia.
Seguono gli articoli apparsi su «Eco del Verbano». Si tratta di 21 brevi ricercheche spaziano dal Risorgimento alla “Grande Guerra”, dalle vicende coloniali del-l’Etiopia a episodi della guerriglia 1943-45. Senza dimenticare le conferenze inter-nazionali di Locarno e di Stresa, tentativi vani – fra le due guerre mondiali – disalvaguardare la pace in Europa.
Al ricordo di Attilio Bagnolini, alpino di Villadossola, è dedicato uno degli scrittisull’impresa d’Etiopia 1935-36. Bagnolini, appartenente al battaglione Intra dell’XIreggimento (divisione alpina Pusteria), caduto sull’Amba Bohorà nel corso dellabattaglia di Mai Ceu, si guadagnò con coraggio e abnegazione la medaglia d’oro alvalore. Un sommergibile della Regia marina militare italiana ne portò il nome – apartire dal 1939 – e nel corso della secondo conflitto mondiale fu il primo battelloa registrare una vittoria colando a picco, il 12 giugno 1940, l’incrociatore britannicoleggero Calypso. Anche la Marina militare italiana del dopoguerra ha voluto ricor-dare l’eroico alpino. La seconda unità dei sommergibili “Classe Toti” (l’omonimocapostipite dopo il restauro e un viaggio avventuroso via terra si trova ora espostoal Leonardo da Vinci – Museo nazionale della scienza e della tecnologia di Milano),
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ne portò per più di vent’anni il nome (S 505 Attilio Bagnolini – varato nel 1967 eposto in disarmo nel 1991).
Non dimenticato è il breve sogno di libertà della Repubblica dell’Ossola, traestate e autunno del 1944. Un episodio della Guerra civile italiana, durato soltantotrentacinque giorni, ma condotto da entrambe le parti senza i furori ideologici chene resero cupo e deprecabile il seguito. Quello, avrebbe potuto essere il modello,ben accetto alla maggioranza degl’italiani, per una transizione dal fascismo alla de-mocrazia.
Non mancano ricerche su vicende e personaggi del versante svizzero del LagoMaggiore. Così è rievocato il bizzarro esperimento della comune naturista e vege-tariana di Monte Verita, sorta a Moscia agl’inizi del Novecento. E la fama crescente,a partire dai successivi anni Trenta, degli Eranos Tagungen di Ascona: incontri trauomini di cultura provenienti da tutto il mondo, sotto la regia di Olga Fröbe Kap-teyn e la supervisione di Carl Gustav Jung.
Ripercorrendo l’epopea risorgimentale ecco Cannoniere asburgiche sul Verbano:racconto del fallito attacco garibaldino ai forti di Laveno (30 maggio 1859 – Se-conda guerra d’indipendenza), con notizie di fonte austriaca poco note, e l’accennoalle vicende tragicomiche delle opposte flottiglie. Per evitare la distruzione, quelladisarmata piemontese era riparata a Magadino, due giorni prima dello scoppio delleostilità, nel sicuro porto della Svizzera neutrale. Quella austriaca da guerra, in fugada Laveno, vi era giunta al completo – tra la malcelata soddisfazione dei piemontesi– poco più di un mese dopo (i francesi di Napoleone III avevano battuto l’armatadi Ferencz Gyulaj a Magenta il 4 giugno, e gli austriaci – in rotta – avevano evacuatoMilano). Cessati i combattimenti, i vapori asburgici internati, dopo lunghe e com-plesse vicissitudini giudiziarie, saranno ceduti al neo-costituito Regno d’Italia econtinueranno a navigare, alcuni sul Verbano, altri sul Benaco, come battelli pertrasporto passeggeri e merci.
Legato a quegli avvenimenti e precedente solo di qualche anno, era stato il tenta-tivo del governo imperial-regio del Lombardo-Veneto di ridurre alla fame il CantonTicino, per punirlo dell’appoggio dato ai moti milanesi del febbraio 1853; la solle-vazione organizzata (si diceva) da Giuseppe Mazzini, esule a Lugano, era stata re-pressa nel sangue. Il maresciallo boemo Josef Radetzky, sigillando i valichi stradali evietando grazie alla flottiglia armata il traffico sul lago, aveva dato vita a un “blocco”durato venticinque mesi. Il provvedimento causò non pochi problemi all’economiaticinese basata in gran parte sul lavoro stagionale frontaliero e sul commercio con ilNord-Italia, specie con la Lombardia (tutto questo è narrato in Quando Radetzkyaffamò il Ticino).
PREFAZIONE 9
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Per il tema della “Grande Guerra” a farla da padrone è l’articolo Ernest Heming-way e il Lago Maggiore che cita Stresa e altre località menzionate dallo scrittoreamericano volontario sul fronte italiano, autista di autoambulanze, ferito nel 1918a Fossalta di Piave e decorato di medaglia d’argento. In Addio alle armi, una dellepiù celebrate pagine di narrativa del secolo scorso, la protagonista – una croceros-sina inglese in attesa di un bimbo – viene raggiunta dal tenente americano da leiamato, disertore nelle giornate di Caporetto, in un hôtel di Stresa.
Apparso negli Usa sin dal 1929, il romanzo non fu pubblicato nell’Italia del Ven-tennio. Curiosi sono i retroscena del divieto. Ai fascisti, con alle spalle anni di cele-brazioni della guerra e di rivendicazioni della “Vittoria mutilata”, non poteva piacerequel libro pacifista basato sulle vicende personali di un disertore. Proprio a loro chenel 1921, con le maniere brusche, avevano cacciato dal Parlamento Francesco Mi-siano, deputato del Partito Comunista d’Italia, disertore dichiarato. Non dimenti-chiamo che i governi post bellici avevano dovuto affrontare, con opportuniprovvedimenti legislativi, il vasto fenomeno dell’opposizione alla guerra (più di 300mila tra disertori e renitenti).
Vi è pure chi fa risalire la censura a un’antica ruggine personale tra Benito Mus-solini e lo scrittore. Nel 1922 il Duce, mesi prima della “Marcia su Roma”, aveva ac-consentito a concedergli un’intervista. Al giornalista, a quel tempo corrispondenteper l’Italia di una testata d’oltre oceano, non sembrava vero di poter intervistare ilfondatore de «Il Popolo d’Italia». Mussolini, che non lo aveva in simpatia, gli avevaperò fatto fare a Milano una lunga anticamera. Hemingway se n’era dispiaciuto eaveva ricambiato lo sgarbo descrivendo il Duce – nelle sue corrispondenze – in ter-mini poco lusinghieri.
Figura ambigua quella dell’americano, oggetto di una vivace polemica – anni ad-dietro – sulla Terza Pagina del «Corriere della Sera». Il quotidiano milanese avevaospitato nel settembre del 2006 interventi dei filosofi Giovanni Reale, EmanueleSeverino e del germanista Claudio Magris. Il dibattito aveva preso spunto dalla pub-blicazione di alcune lettere in cui Hemingway confessava di aver provato gioia nel-l’uccidere inermi soldati tedeschi prigionieri in Francia, nel corso della Secondaguerra mondiale. Il reporter di Chicago – al tempo ufficiale dell’US Army – nel1944 dopo lo sbarco in Normandia era stato aggregato (embedded diremmo oggi)a un reggimento di fanteria e non soltanto per raccontare, da giornalista, le vicendedelle battaglie. Faceva parte dell’Oss (il servizio segreto Usa – antesignano dellaCia) e aveva il compito, tra gli altri, d’interrogare i prigionieri.
Per Reale il comportamento dello scrittore, sia che ne fosse stato uno specchiatoautoritratto o un caso di mitomania letteraria, era una testimonianza agghiacciante
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di «nichilismo», al punto di rendere priva di significato l’alternativa tra realtà efinzione letteraria. «Difficile pensare a una pura invenzione – dichiarava il filosofo– ma nel caso lo fosse, il fatto di trasferire l’uccisione di un uomo in un mito equivalea dargli una forma paradigmatica, un valore di modello». Il vero nichilismo – con-cludeva – «non è solo negare valore a qualsiasi cosa, ma anche volerla mandare nelnon essere, nel distruggerla».
Diversa era la risposta di Severino, secondo il quale Hemingway concepiva lasincerità come supremo comandamento morale: soprattutto nella scrittura che nondeve nascondere ciò che l’uomo prova veramente. Quindi, l’atteggiamento delloscrittore – secondo il pensatore cattolico – non era soltanto cinismo (esibizionedella propria malvagità), ma una cosa diversa.
Testimone di una lotta spietata, Hemingway credeva che i “valori supremi” dellatradizione occidentale fossero morti e che uccidere gli uomini fosse lecito, in quantonon violava più alcuna legge inviolabile. Non gli rimaneva quindi, come unico va-lore, nient’altro che la pulsione alla sincerità: il desiderio di dire la verità, qualunqueessa fosse, rivelando anche quanto di crudele vi era in lui e il godimento che ne ri-cavava. Questo perché – affermava Severino – la vera bontà non è l’innocenza, mala lotta continua e vittoriosa contro le pulsioni negative: più queste sono forti evengono sconfitte, più si è buoni.
Ben diverso atteggiamento aveva nei confronti della vita Lev Tolstoj, il celebreromanziere-filosofo. Ne fece esperienza diretta nel 1866 Pavel Troubetzkoy, lo scul-tore nato a Intra, che lo conobbe in Russia traendone ispirazione e norma di vita(ne parlo in Pavel Troubetzkoy artista scapigliato). Da lui apprese a non leggere, anon mangiare carne, e a mostrare un totale disinteresse – se non addirittura di-sprezzo – per le convenzioni di questo nostro mondo. «Il conte (Tolstoj) – confi-dava Troubetzkoj a un amico giornalista nel 1910 – legge pochissimo e quel pocolentamente; egli è persuaso che la lettura esercita un’azione negativa sulle menti esulle coscienze, snaturalizzandole e togliendo alle une l’originalità del pensiero ealle altre la forza dei divisamenti». Tali idee (molto opinabili per la verità), l’autoredi Guerra e pace trasmetteva all’ospite-apprendista nella quiete contadina di JasnajaPoljana. Troubetzkoy lo ascoltava in silenzio mentre plasmava, con tocchi nervosi,il busto del vegliardo. Ed era un evento inusuale, prova certa della stima per l’ita-liano, il fatto che il grande scrittore anticonformista avesse consentito a posare.
Anche lo scultore del Lago Maggiore, sull’esempio di Tolstoj, leggeva solo la na-tura. Cercava di veicolare nell’opera ciò che essa voleva trasmettergli, in termini diluci e di colori. E senza leggere la produzione artistica passata e contemporanea: ingrado di trasferire sensazioni di bellezza, ma non mai – a suo modo di vedere – l’in-
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tensità dei sentimenti della vita. «Quando riproduco una cosa vivente – dichiaravaTroubetzkoy – non riproduco questa cosa bensì il movimento e l’espressione dellavita che essa rappresenta». Amava teneramente gli animali – quell’uomo singolare– e nessuno meglio di lui sapeva coglierne l’espressione. Non si peritava di scriverevibrate lettere di protesta ai giornali quando veniva a conoscenza di maltrattamentiloro inflitti. Un abisso rispetto a Hemingway, cacciatore incallito, che provava pia-cere alla vista del sangue e delle agonie, che amava la corrida e il suo acre cerimoniale.E che, in un momento particolare della vita, divenne (cosa non provata e forse mil-lanteria) cacciatore di uomini1.
12 Verbano il tempo e il ricordo
1 In una lettera ad Arthur Mizener, docente di letteratura alla Cornell University di Ithaca(N.Y.), Hemingway ribadiva quanto già rivelato nell’agosto del 1949 a proposito delle ripetuteeliminazioni di prigionieri tedeschi: “Ho fatto i calcoli con molta cura e posso dire con precisionedi averne uccisi 122” – scriveva il 2 giugno 1950. Nel settembre dello stesso anno dava alle stampeil romanzo Across the River and into the Trees apparso in Italia nel febbraio del 1965 con il titoloDi là dal fiume e tra gli alberi. Pubblicato da Arnoldo Mondadori nella collana Medusa, tradottoda Fernanda Pivano, nel libro si legge a pagina 127: «Quanti ne hai uccisi?», «Centoventidueaccertati. Senza contare i probabili», «Non hai mai avuto rimorso?», «Mai». È il dialogo trail personaggio principale – un vecchio colonnello americano (ex generale degradato) – e Renata,la diciannovenne italiana di cui è innamorato, che lo interroga sulle vicissitudini e sugli orroridella guerra. Siamo a Venezia e l’ufficiale ha combattuto contro i tedeschi (i crauti come li chiama)nelle due guerre mondiali: da giovane prima e da uomo maturo poi. Non è un caso ritrovare lacifra “122” riportata, sia nella lettera, che nel romanzo. Nella problematica personalità delloscrittore realtà e finzione si sovrappongono e si mescolano. Non è facile dipanare la matassa esceverare le esperienze autentiche da quelle immaginarie. Era tanto potente la smania di prota-gonismo del romanziere da condurlo a immedesimarsi nei personaggi da lui creati al punto dafargli ritenere vero ciò che era solo fantasia? Può essere! Forse, nella lettera del 2 giugno, non èHemingway che scrive, ma il colonnello Richard Cantwell. Lascio volentieri al lettore questo ra-gionevole dubbio. Che è anche il mio.
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Ott.Nov. 2006
I Celti e la Cultura di GolaseccaSulle tracce di antichi insediamenti del Verbano
Diodoro Siculo, storico greco vissuto al tempo di Cesare, così descrive iCelti: «…essi hanno corpi immani, carne soda e bianca, e una capiglia-tura rossiccia con capelli spessi come criniere di cavallo (…) Lascianocrescere i baffi, così da nascondere la bocca, sicché, quando mangiano,il cibo si trattiene nei peli e quando bevono pare che il liquido scoli daun colatoio (…) In battaglia corrono con i cavalli contro il nemico sca-gliando giavellotti, e poi scendono per combattere con la spada. Molticombattono nudi. Appendono ai colli dei cavalli le teste mozze dei ne-mici. Terribili d’aspetto emettono suoni gravi e orridi, ma parlano brevee oscuro. Sono però d’ingegno acuto. Hanno poeti e musici, filosofi eteologi detti Druidi e indovini».
Curioso è quanto riferisce Plinio il Vecchio sulle motivazioni che nelIV sec. a. C. portarono i Celti a irrompere in Italia: «Uno della loro na-zione, l’elvetico Helico, aveva soggiornato a Roma per fare il fabbro e alritorno aveva portato con sé dei fichi secchi, uva e assaggi di olio e vino.Sarebbero perciò scusabili – scrive, non senza ironia, il grande storico enaturalista latino nato a Como – per aver cercato di procacciarsi, anchecon la guerra, questi prodotti». È probabile che non fossero soltantogastronomiche le ragioni dell’invasione.
Sta di fatto che, dopo aver travolto gli Etruschi che signoreggiavanol’Italia centrale e aver messo a sacco Roma nel 388, la calata dei Galli ponefine, perlomeno in Italia, alla Cultura di Golasecca, originata da antichiinsediamenti celtici attorno al Lago Maggiore. A partire da quel mo-mento la manifattura, peculiare e ben distinguibile, dei corredi funeraridi quell’ambito geografico scompare, soppiantata dalla tipologia gallica.Le ragioni di un tale avvicendamento non sono chiare, anche perché si
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ritiene che i Galli fossero di passaggio in quelle contrade e non vi rima-nessero stanziali.
Non sappiamo se i Celti del Verbano, in virtù delle comuni origini edella assonanza linguistica, si siano uniti all’invasore. Nessuna fonte sto-rica autorizza a ritenerlo. Sappiamo però che i rapporti con gli Etruschi– che rifornivano l’Europa centrale di prodotti e di manufatti anche diprovenienza greca – erano buoni e basati su di un fitto interscambiocommerciale. Non soltanto, dagli Etruschi del nord essi avevano mu-tuato l’alfabeto, implementandolo con il segno mancante della vocale“o”, come appare dalle iscrizioni, peraltro assai scarse, che ci sono perve-nute nella loro lingua di tipo celtico. Buoni anche i rapporti con i Venetistanziati a oriente (importante il centro di Este, presso Padova), e con laCultura di Hallstatt, località non lontana da Salisburgo, dalle cui minieredi salgemma proveniva l’indispensabile ingrediente per la conservazionedelle carni. L’economia della zona era basata, infatti, più che sull’agricol-tura, sulla pastorizia e sull’allevamento del bestiame.
Appartenente all’Età del Ferro, la Cultura di Golasecca (dal nome dellalocalità, in provincia di Varese, che a metà Ottocento per prima offrì al-l’analisi degli studiosi importanti reperti) affonda le sue radici nell’Etàdel Bronzo Finale (XII-X sec. a. C.). Geograficamente la zona è delimi-tata dalla Sesia a ovest, dall’Oglio a est e dal Canton Ticino a nord. Bel-linzona e la necropoli di Ascona sono i più importanti luoghi ticinesi diritrovamento. Qui, tale cultura si protrasse a lungo, più che altrove, al-meno fino al III-II sec. a. C., in corrispondenza del terzo periodo dellaCultura di La Tène, località della riva orientale del Lago di Neuchâtel,importante centro di diffusione dell’arte celtica in Europa.
Castelletto lungo la sponda piemontese del Ticino, Sesto Calende eGolasecca lungo quella lombarda, Vergiate e Malpensa (ripostiglio connumerosi reperti tra cui tre schinieri bronzei decorati a sbalzo, risalential XII sec. a. C.) sono i centri più significativi della zona occidentale.Perderanno importanza agl’inizi del V sec. a. C. a causa del mutamentodelle rotte commerciali etrusche, dirette non più verso Marsiglia per ri-salire il Rodano, ma in direzione dei valichi alpini. Como, a motivo diciò, conoscerà una straordinaria fioritura.
Istruttiva è la vicenda dei primi rinvenimenti agl’inizi dell’Ottocento.Si era agli albori dell’archeologia quando, nell’autunno del 1823, sullecollinette di Golasecca, l’abate Giovanni Battista Giani scava una cin-
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quantina di tombe portando alla luce urne cinerarie in ceramica e corredifunerari in ferro. Nel 1824 il religioso pubblica un libro dal titolo Bat-taglia del Ticino tra Annibale e Scipione ritenendo erroneamente che leurne contenessero ceneri di soldati romani. Per la verità, egli aveva giu-stamente correlato le urne a una produzione locale. Pensava però chepotessero essere state fornite ai latini da artigiani del posto. L’abbagliosarà chiarito dal francese Gabriel de Mortillet. Studiati i reperti di Go-lasecca, verificate le ipotesi con la ricerca in campo (scavo di una tomba),constatata l’assenza di ogni traccia di romanità, nel 1865 l’archeologodata i manufatti alla Prima Età del Ferro.
Notizie sulle costumanze delle tribù celtiche che popolarono il Ver-bano giungono a noi soltanto dallo studio dei corredi funerari e degliabitati. Nonostante avessero conosciuto la scrittura, anche se in etàtarda, i golasecchiani non ci hanno tramandato alcun testo. Nella zonadi Como e in quella di Golasecca si praticava la cremazione dei defunti.Le ceneri, raccolte in urne, coperte per lo più da una ciotola, erano se-polte nella terra in una semplice buca. Questa poteva essere nuda oavere pareti rivestite di ciottoli o di lastre di pietra. Il corredo compren-deva vasellame, utensili e ornamenti personali (fibule, armille, catenelle,pendagli, orecchini, ganci per cintura). La presenza di armi accanto al-l’urna stava a indicare un guerriero, come nel caso delle due celebritombe (forse di principi) di Sesto Calende. Le armi potevano essere ri-poste intere o spezzate in modo rituale, integre o deformate dal fuocod’incinerazione.
Nel corredo della Prima tomba furono rinvenuti: un carro a due ruote,una spada ad antenne (Cultura di Hallstatt), una punta di lancia e unadi freccia, schinieri, un elmo in bronzo e frammenti di morso per cavallo.Dell’importanza dell’interscambio commerciale con gli Etruschi testi-moniano alcuni oggetti come il bacile in bronzo, di probabile prove-nienza orientale, ornato di sfingi e leoni, ritrovato a Castelletto sopraTicino. Interessante è il coperchio bronzeo, a disco, di una situla impor-tata da Este: rinvenuto a Grandate (Como), presenta figure zoomorfe asbalzo disposte in circolo, intervallate da motivi fitomorfi.
Prodotto in loco e notevolissimo è il corredo delle tombe della necro-poli di Ca’ Morta presso Como. La Tomba del Carro, fastosa, ha resti-tuito, oltre a un veicolo funebre a quattro ruote, ceramica attica evasellame in bronzo. Dalla Tomba del Carrettino è stata recuperata
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un’anfora figurata: teste di cigno sono rivolte a prora e a poppa di un na-tante e borchie scure simboleggiano il sole. Si tratta probabilmente dellastilizzazione della mitica barca solare (era opinione comune che durantela notte l’astro venisse trasportato, lungo un percorso invisibile agli uo-mini, su di una barca trainata da cigni). Oltre a ciò, lo scavo ha riportatoalla luce un carrettino cultuale: secondo le credenze religiose del tempo,aveva il compito di trasferire l’anima del defunto nell’Aldilà.
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La Cultura di Golasecca rimanda all’Età del Ferro con radici nel Bronzo Finale (XII-VI sec. a. C.): nell’immagine qui rappresentatail cosiddetto cromlech del Monsorino
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Il «Foglio d’Annunzj della Gazzetta di Milano» no.109 del 5 giugno 1824 informa sulla prossima uscitadel libro dell’abate prof. Giovanni Battista Giani diGolasecca: Battaglia del Ticino tra Annibale e Scipione
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L’Imperial-Regia «Gazzetta di Milano» no. 178 del 26 giugno 1824 pubblicizza il libro dell’abate G. B. Giani: Battaglia delTicino tra Annibale e Scipione. Nel corso del 1824 seguiranno sette repliche in prima pagina, nell’Appendice critico-letteraria,con ampi stralci del volume
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A sinistra: cartina dell’Italiaprotostorica – in colore lezone d’incinerazione, inbianco le zone d’inumazione(Prima Età del Ferro X-VIIIsec. a. C.)
A destra: frontespizio diBattaglia del Ticino traAnnibale e Scipione dell’abateG. B. Giani, Imperiale RegiaStamperia, Milano 1824
In basso: carta Topograficadelle Corneliane (Tav. I dellasuddetta opera)
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Tavola a sinistra: iscrizioni nell’an tico linguaggio Insubreannotate dall’abate G. B. Giani (1825)
Carta geografica con i supposti movimenti di Annibale e di Scipione (Tav. IX dell’opera dell’abate G. B. Giani)
Tavola a destra: corrispondenza dell’alfabeto dell’antico linguaggio insubre conl’alfabeto greco, secondo le ricerche dell’abate G. B. Giani
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Veduta del Ticino,sede dell’insediamentoprotostorico diGolasecca
Sopra: Ticino, piroga dell’Etàdel Ferro rinvenuta aMercurago, zona Lagoni(Parco naturale del LagoMaggiore)
A lato: il Ticino a Golasecca, “piroghe” della nostra epoca
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Sant’Anna d’Alfaedo(Verona), dintorni delmonte Loffa, settembre1888: Pompeo Castelfranco(a destra), paletnologo,autore di numerosi lavorisulla “Cultura di Golasecca”, in compagnia diLuigi Pigorini (a sinistra),realizzatore del MuseoPigorini di Roma e di Stefano DeStefani (seduto), pionieredella ricerca preistoricaveronese
Il francese Gabriel de Mortillet,archeologo, che attribuìcorrettamente all’Età del Ferro(X-VI sec. a. C.) i reperti delle tombe scavate dall’abate G. B. Giani
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Cultura di Golasecca reperti I periodo
Cultura di Golasecca reperti II periodo
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Circolo di pietre, Età del Ferro(VIII-VII sec. a. C.), zonadel Monsorino
Allineamento di pietre, necropoli delMonsorino
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Fibule e ganci (Tav. V dell’opera dell’abateG. B. Giani)
Spada di Bernate, spada e cuspide di lancia spezzate ritualmente, spilloni – Ca’ Morta di Como (X sec. a. C.)
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Bicchiere golasecchiano in ceramica a doppio tronco di cono (III sec. a. C.),necropoli della Certosa di Bologna
Urna cineraria in terracotta con decori geometrici –Golasecca (Prima Età del Ferro)
Situla in laminadi bronzo
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Elmo in bronzo
Falci, asce e cuspidi dilancia in bronzo –ripostiglio dellaMalpensa (X sec. a. C.)
Spada di guerrierospezzata in manierarituale
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Bacile bronzeo rinvenutonei pressi di Castellettosopra Ticino
Pettorale in bronzo con pendenti di conchiglie– Castelletto s. T. (inizi VI sec. a. C.)
Dettaglio del bacile bronzeo diCastelletto s. T.
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Situla in bronzorestaurata
Vaso cultuale ad anatrelle, ritrovamento di Albate (Como)
Situla rin venuta in una tomba diCastelletto s. T.
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Ruotarinvenuta in zona Lagoni
Carro funebre a quattro ruote con pianale sopraelevato, rivestimentoin lamine di bronzo, cerchioni in ferro – Ca’ Morta di Como (V sec. a. C.)
La ruota di Mercurago
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Carta geograficadell’estensione della Culturadi Golasecca
La diga della Miorina cheregola, a Golasecca, il livellodelle acque del LagoMaggiore
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Ciò che rimane del casolare di campagna dell’abate G. B. Giani, nella zona alta delle Corneliane
Un raro ritratto dell’abate G. B. Giani (Golasecca 17 dicembre 1788-Milano 20 agosto 1857) Civico Archivio Fotografico – Milano
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Golasecca, lapide in marmo murata nella facciata dell’edificio comunale il 4 aprile 1954 a ricordo della “via degli Argonauti”,battuta dalle genti dell’Età del Ferro
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Le spoglie dell’abate G. B. Giani,provenienti dal “Monumentale” di Milano, riposano dal 1976 a Gallarate, nel Museo Archeologicodella Società Studi Patri.Curiosamente la lapide, posta a ricordo, contiene un vistosoerrore circa la data di nascita e di morte del sacerdote
Golasecca, lapide inmarmo di Carrara mu ratanel lato sinistrodell’edificiocomunale il 23 novembre 1958a ricordo dell’abateG. B. Giani
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