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Giovanni Jervis pubblicò nella metà degli anni 70 il suo “Manuale critico di Psichiatria”, testimonianza delle lezioni, dei seminari e dei dibattiti nel Servizio Psichiatrico di Reggio Emilia. In queste lezioni, sull’onda dei temi del ’68, si intendeva verificare se “contro le istituzioni, contro la scienza borghese, contro le gerarchie e l’autorità fosse possibile un lavoro psichiatrico alternativo, non nel manicomio ma nei quartieri, nei paesi, fra la gente, nel vivo del tessuto sociale”.

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Giovanni Jervis pubblicò nella metà degli anni70 il suo “Manuale critico di Psichiatria”,testimonianza delle lezioni, dei seminari e deidibattiti nel Servizio Psichiatrico di ReggioEmilia. In queste lezioni, sull’onda dei temidel ’68, si intendeva verificare se “contro leistituzioni, contro la scienza borghese, controle gerarchie e l’autorità fosse possibile unlavoro psichiatrico alternativo, non nelmanicomio ma nei quartieri, nei paesi, fra lagente, nel vivo del tessuto sociale”.

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Il gruppo cominciò a lavorare nel 1969, in unmomento in cui “la classe operaia si poneva ilproblema della difesa della salute e del benesserenella fabbrica e nella vita quotidiana”.Parallelamente alla crescita del gruppo operativo edelle sue attività si pose il problema dellaformazione. Una delle tesi sostenute era che fosseanzitutto necessario fare un lavoro di coraggiosade-psichiatrizzazione dei problemi umani e socialie che piuttosto che libri di psichiatria bisognassestudiare testi politici, convinti che i problemipsichiatrici fossero il risultato delle disuguaglianzesociali.

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A questa posizione spontaneista sicontrapponeva quella tecnicista,psicologizzante ed antipolitica, chepresentava la psicoterapia come unincontro con l’altro antiautoritarioed in alternativa col mondo dellapolitica tradizionale.

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La teoria di base era che la distinzione traproblemi personali e privati e problemicollettivi fosse falsa e rappresentasse unostrumento per difendere il sistema sociale: lavita privata è il luogo dove il capitalismoesercita il suo potere, l’inganno e la violenza;ma è anche il luogo da cui parte la lotta dimassa. In questa ottica la psichiatria eraconcepita come strumento di potere dellaclasse dominante, di oppressione emistificazione più che strumento terapeutico.

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Da qui scaturisce la “necessità di unapsichiatria critica, nata dalla pratica e dallariflessione di molti: infermieri, assistentisociali, psicologi, psichiatri, sindacalisti,studenti, quadri politici e amministrativi dibase, pazienti ed ex pazienti, menototalmente legata alle esigenze del potereborghese e capace di fornire anchestrumenti di operatività e riflessione a chi sipone contro il potere dominante.”

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RIABILITAZIONE IN PSICHIATRIA

La deistituzionalizzazione – frutto deiprogressi della psicofarmacologia e dellepolitiche antistituzionali – è stata pertantodecisiva nel ridurre la regressione graveprovocata dall’isolamento e dalla reclusionemanicomiale.Ha aperto per il paziente psichiatrico e per ilcontesto sociale problemi di integrazione,aggravati ancora oggi dall’essere egli inseritoin una comunità poco accogliente.

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I sintomi, le caratteristiche patologiche del comportamento, le disabilità, l’incapacità di avvicinarsi all’altro, le difficoltà gravi a impegnarsi nell’apprendimento, nel lavoro, nelle attività comuni, ne fanno soggetti che vivono sì nella comunità, ma candidati permanenti alla marginalità e all’isolamento.

È in questa situazione che si fa strada il paradigma della riabilitazione psicosociale

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RIABILITAZIONE:trattamenti che aiutano i pazienti psichiatrici cronici ad acquisire le abilità fisiche, emozionali e intellettive necessarie per vivere, apprendere e lavorare nel loro particolare ambiente di vita.

NON può essere intesa riduttivamente come un aiuto protesico ai pazienti cronici per compensare i loro deficit.

E’ un metodo importante di trattamento, finalizzato ad attivare processi di cambiamento interno e di recupero della salute; l’attività di ricerca sui fattori che possono facilitare o inibire tali processi è parte integrante dell’intervento.

E’ un vero e proprio “paradigma riabilitativo”.

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Strumenti ed aree della riabilitazione sono gli oggetti e le relazioni della vita

quotidiana, nella loro dimensione concreta e nella risonanza emotiva.

Le funzioni dell’intervento non sono più quelle normative e di contenimento, ma risiedono nel percorso che il soggetto, la famiglia, le persone significative e gli operatori compiono contestualmente.

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LA CRONICITA’

Gli interventi riabilitativi sono tendenzialmente rivolti ai malati cronici: persone cioè che presentano disabilità emozionali e relazionali, ed una vulnerabilità allo stress di grado così elevato per cui necessitano di uno speciale sistema di supporto, per mantenere un adattamento stabile alla vita di comunità e spesso anche un lavoro e relazioni soddisfacenti.

Caratteristico della cronicità è il persistere della disabilità legata alla malattia mentale, in seguito al fallimento di un trattamento adeguato.

A ciò deve aggiungersi l’aspetto inerente l’invalidazione sociale ed i meccanismi di stigmatizzazione ed esclusione, che sono fortemente implicati nei processi di “cronificazione”

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LA DISABILITÀ

La disabilità è stata definita come un disturbo nell’espletamento di quei ruoli sociali che ci si aspetterebbe venissero svolti da un individuo nel suo ambiente abituale. Sono stati distinti tre livelli di disabilità:– primaria, cioè il danno intrinseco consistente nei sintomi psichiatrici;– secondaria, cioè l’handicap determinato dalle “reazioni personali avverse” che conseguono alla malattia, condizionate dall’ambiente (emarginazione, istituzionalizzazione) ma anche dalle risorse personali di base (mancanza di fiducia in se stessi, isolamento);– terziaria, cioè gli handicap sociali conseguenti alle condizioni materiali di esistenza (ad es. povertà).

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La famiglia richiede l’intervento per la difficoltà a sopportare il peso quotidiano di comportamenti disfunzionali: la tendenza al confinamento in casa, le difficoltà sul piano lavorativo, il progressivo ridursi dell’autonomia e dei contatti sociali del paziente e spesso dell’intero nucleo familiare.

Diventa perciò necessario, individuare i bisogni e le difficoltà specifiche del paziente e della famiglia, senza perdere di vista l’insieme della persona e del gruppo.

Pertanto la disabilità non è tanto una mancanza o difetto, ma piuttosto una strategia esistenziale attiva: espressione della interpretazione che il paziente e la famiglia danno di se stessi;

di fronte ad essa bisogna porsi in atteggiamento dialogico,più che sostitutivo.

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VALUTAZIONE DELLA DISABILITÀ

La disabilità è funzione della norma (ruolo/aspettative) all’interno dei modelli culturali relativi all’ambiente sociale del paziente. Fondamento della valutazione è il confronto fra un “prima” e un

“dopo” : le caratteristiche della disabilità attuale vanno rapportate alle competenze sociali preesistenti.

La disabilità psichiatrica non è funzione mancante ma funzione inibita nel quadro di un disturbo emozionale. Per questo l’attività riabilitativa deve avvenire all’interno di

una relazione capace di strutturare un clima terapeutico che eviti all’operatore della riabilitazione un assetto “strabico”:

da una parte il “fare”, dall’altra l’“ascolto”.Questi aspetti hanno ampliato il campo dell’elaborazione concettuale, ad esempio per superare discriminazioni fra terapia e riabilitazione.

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VALUTAZIONE DELLA DISABILITÀ:AREE DA ESPLORARE.

• Cura di sé (cura fisica, aspetto personale)

• Ruoli sociali (gestione domestica, uso del denaro, capacità di assicurarsi o mantenere la sussistenza, l’autonomia economica, illavoro)

• Condizioni di dipendenza (materiale ed emotiva)

• Qualità delle relazioni sociali (familiari, affettive, sessuali; amicizie; solitudine)

• Comportamenti disfunzionali (legati a sintomi specifici)

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Assessment obiettivi piano di trattamento intervento valutazione

1 2 3 4 5 6 7

Disabilità

Livello Area

Grave 1 Igiene

2 Cura personale

Medio 3 Denaro

4 Movimento

Lieve 5 Socializzazione

6 Gestione domestica

Nullo 7 Lavoro

Pianificazione di un intervento riabilitativo

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LE STRATEGIE DELLA RIABILITAZIONELivello più elementare :

interventi finalizzati all’acquisizione o ri-acquisizione di performance o abilità circoscritte. Obiettivo principale l’aumento dei livelli di autonomia personale, sia come cura della propria persona sia come sviluppo delle competenze necessarie alla autosufficienza nella vita quotidiana.

La diversità di impostazione metodologica, che è anche diversitàdi stile di lavoro, permette di distinguere:

- programmi basati su attività di gruppo non particolarmente specifiche, dove l’interazione tende ad essere informale e dove l’apprendimento sociale è lasciato all’incidentalità dell’interazione stessa, - attività dirette e strutturate di stile comportamentista. Criticità: stabilizzare le acquisizioni in contesti sociali “normali”,

anche per l’interazione con l’ambiente familiare che, spesso, non

rinforza i comportamenti adattivi ma piuttosto ne stimola la disfunzionalità.

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L’EDUCAZIONE O TRATTAMENTO

PSICOEDUCAZIONALE

(paziente e famiglia)

Considera il “modello stress-vulnerabilità” come patogenetico

della schizofrenia:

comparsa di sintomi psicotici al superamento di una soglia

individuale di adattamento all’ambiente, per l’azione

concomitante di fattori stressanti e di una vulnerabilità

biologica.

Obiettivo dei trattamenti psicosociali, è di

- ridurre l’impatto che i fattori stressanti e le tensioni

ambientali provocano sulla persona affetta da schizofrenia,

meno capace di adattarsi e di far fronte a tali situazioni,

- promuoverne allo stesso tempo l’apprendimento di

abilità di autonomia e l’inserimento nel suo ambiente di vita.

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PRINCIPALI PRESUPPOSTI DEI TRATTAMENTI PSICOSOCIALI

FAMILIARI:

• La schizofrenia è una malattia mentale grave con

componenti biologiche e psicosociali;

• La famiglia non è implicata nell’eziologia della

schizofrenia, di cui sostiene un rilevante carico assistenziale.

• La persona affetta da schizofrenia ha bisogno di sostegni

terapeutici e i familiari sono inclusi fra gli agenti terapeutici.

• Gli interventi psicosociali familiari sono associati alla

terapia farmacologica ed alla gestione territoriale del caso;

l’obiettivo è prevenire le ricadute e migliorare il funzionamento

sociale del paziente e la qualità di vita di tutti i membri della

famiglia. Infatti i pazienti sono per lo più trattati a livello territoriale

in condizioni di remissione parziale, comportando un notevole

carico assistenziale sostenuto dai familiari.

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Le risorse del nucleo familiare sono indirizzate:

• ad aumentare l’adesione al trattamento farmacologico,

• ad identificare precocemente i segni di ricaduta del paziente,

• a migliorare le capacità di gestione dello stress da parte di tutti i

membri della famiglia, attraverso una migliore comunicazione e lo

sviluppo di abilità di risoluzione dei problemi.

Questi interventi familiari sono stati denominati “psicoeducativi”,

perché includono l’utilizzazione di programmi e materiali

informativi sulla malattia, sui sintomi, sul decorso e sul

trattamento, con un approccio didattico per insegnare specifiche

strategie che migliorano le competenze della famiglia nella

gestione dello stress.

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EXPRESSED EMOTION

Il concetto di “Emozione Espressa”, (Expressed Emotion) (EE), è

stato sviluppato a Londra ed ha prodotto un’autentica esplosione

di ricerche negli ultimi quarant’anni.

In base a tali studi, è risultato che il decorso della malattia di

pazienti affetti da schizofrenia è influenzato da intense

“espressioni di emotività” dei familiari, che in alcuni pazienti più

vulnerabili favorirebbero le ricadute.

L’EE viene rilevata attraverso un’intervista semi-strutturata, nota

come Camberwell Family Interview (CFI) [Vaughn, Leff, 1976a].

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La valutazione è effettuata attraverso la misurazione di 5 scale:

• criticismo,

• ostilità,

• ipercoinvolgimento affettivo,

• partecipazione emotiva

• commenti positivi.

I familiari vengono definiti ad alta o a bassa EE sulla base del

numero di commenti critici o ostili e/o della quota di

ipercoinvolgimento affettivo espressi nei confronti del paziente

durante l’intervista.

La maggioranza di tali studi ha messo in evidenza che pazienti che vivono con un familiare ad alta EE ricadono più facilmente se confrontati con pazienti che vivono in ambienti a bassa EE. Il rischio di ricaduta sembra maggiore se il familiare ad alta EE trascorre più di 35 ore alla settimana nella stessa stanza, o nella stessa abitazione a porte aperte, in contatto cosiddetto “faccia-a-faccia” con il paziente

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OBIETTIVI DELLA RIABILITAZIONE:

• Sostegno e supporto per funzioni compromesse

• Riacquisizione di capacità in aree disabili

• Riduzione della dipendenza istituzionale

• Progressi nell’autonomia della vita quotidiana

• Riduzione delle reazioni personali avverse

• Miglioramento dell’autostima personale

• Riduzione della vulnerabilità

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I LUOGHI DELLA RIABILITAZIONE

Strutture intermedie : “intermedio” esprime la caratteristica di un luogo che si colloca come tempo, come spazio e come funzione fra ricovero e vita quotidiana nel proprio domicilio. Questi luoghi svolgono una funzione terapeutica, complessa anche nel caso che offrano “rifugio” ed “asilo”, premessa della riabilitazione, per rendere comunque possibile una terapia.

Dal punto di vista organizzativo il sistema di strutture che il servizio psichiatrico deve predisporre per la riabilitazione consiste nell’integrazione dei due moduli:

– assistenza centrata sulla residenzialità;– assistenza basata sulle attività diurne.

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Il percorso riabilitativo è volto a rispondere alle necessità delle

situazioni psicopatologiche gravi, che non possono essere trattate

soltanto con interventi ambulatoriali, domiciliari e/o socio-

assistenziali, e che necessitano di una serie articolata e

complessa di procedure volte alla acquisizione o alla

riacquisizione di abilità e competenze socialmente valide.

E' esperienza comune nella prassi psichiatrica di verificare

come il "tempo psicotico" sembri non avere alcun valore:

l'impressione che ne deriva è che il paziente psicotico manchi

della possibilità e capacità, di "gettare" un ponte di investimento

affettivo tra sé e ‘’l'oggetto tempo’’. Ci si deve chiedere allora se le

esperienze umane del paziente psicotico possano essere

comprese e condivise in presenza di questo "salto" di livello

esistenziale e semantico.

Da tali presupposti emerge la possibilità di un lavoro

terapeutico e riabilitativo sul significato e sul valore del tempo del

paziente psicotico.

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In natura i cicli vitali sono strettamente legati a cicli temporali:tutti gli esseri viventi percepiscono nettamente, in condizioninormali, tale dato di fatto, sia per doti innate sia per esperienzaaccumulata grazie all'osservazione dell'ambiente circostante.

In particolare le piante rappresentano un ottimo orologioperché sono in grado di evidenziare diversi cicli in attocontemporaneamente: per esempio quello giornaliero e quellostagionale.

Di qui la scelta di svolgere attività collegate alla ciclicitànaturale e che possano rappresentare per il paziente psicotico unterreno di transizione, intermedio tra le rappresentazioni delmondo interno e di quello esterno.

In stretta analogia l'atelier di Arte-terapia, che si configuracome un insieme di metodologie e procedure orientate alcambiamento terapeutico ed attinenti ad un ambito che riconoscecome coordinate lo spazio, il tempo e l'espressione grafico-pittorica, ha l'obiettivo di creare un ponte tra mondo interno edesterno del paziente.