Giovani anni 90. Terzo rapporto Iard sulla condizione giovanile in Italia

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Questo terzo rapporto IARD sulla condizione giovanile in ltaiia segue quelli pubblicati nel1984 e nel 1988 e costituisce un ulte­

riore tassello nella costruzione ai un osservaiorio empirico sulle dinamiche della popolazione giovanile nel nostro Paese. Basata su un ampio campione di soggetti intervistati in tutte le regioni italiane, la ric:erca esplora i temi più rilevanti della problematica giovanile: scuola e lavoro, consumi e tempo libero, vita familiare e affettiva, partecipazione politica e sociale, valori e devianza. L'accurato rnonitoraggio di comportamenti, aspettative, atteg­giamenti, progetti di vita e opinioni dei giovani fornisce molteplici e preziosi elementi di riflessione a quanti- genitori, insegnanti, operatori politici, datori di lavoro- sono chiamati a confrontarsi con tale problematica. Nei cinque anni trascorsi dalla precedente ricerca la società italiana è entrata in una fase di trasformazioni e turbolenze di grande portata, che inevitabilmente hanno modifi­cato anche il quadro complessivo dell'universo giovanile: pro­fondi mutamenti si registrano nei rapporti con la famiglia, con la sfera educativa e con quella professionale. Le nuove genera­zioni sembrano auspicare una società fondata più sul principio di relazione che sul principio di prestazione, e tendono quindi apri­vilegiare forme di partecipazione capaci di mettere in sintonia bi­sogni individuali ed esigenze collettive.

Indice del volume: Prefazione, di F. Brambilla. - Introduzione, di A. de Lillo. - l. Percorsi formativi e giudizi sulla scuola, di R. Massa. -Il. li lavoro come scelta e opportunità, di A. Chiesi e A. Martinelli. - Iii. Orientamenti di valore E:' immagini della società, di A. da Lillo. - IV. Associazionismo e partecipazione politica, di L. Ricolti. - V. Lo spazio politico e la collocazione della Lega, di L. RicolfL -VI. l giovani come consumatori, di A. Cavalli a A. de Lillo. -VII. Trasgressione, devianza e droga, di C. BuzzL ··VIli. Prolungamento della fase giovanile e orientamenti al futuro, di A. Cavalli. - IX. Conclusioni, di A. Cavalli. - Appendice statistico­metodologica, di A Volino. - Riferimenti bibliografici.

Alessandro Cavalli i11segna Sociologia nell'Università di Pavia. Ha svolto e coordin&.to numerose ricerche su! mondo giovanile, tra le quali ricordiamo i due precedenti rapporti IARD e «l giovani del Mezzogiorno» (Il Mulino, 1990). Sempre per lo lard ha recen­temente curato «Insegnare oggi» (Il Mulino, 1992).

Antonio de Li Ilo insegna Sociologia nell'Università di Milano. Ha svolto ricerche sulla stratificazione e sulla mobilità sociale in Ita­lia. Con A. Cavalli ha curato il secondo rapporto IARD sulla con­dizione giova11ile nel nostro Paese.

L. 32.000 (i.i.)

ISBN 88-15-04 2 0 9-1 l l l

788815 042095 Il

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S TUDI E RICERCHE

CCCXXVIII.

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Istituto di Ricerca lARD

. lARD è un Istituto che opera dal 1961 nel campo della ri­cerca sui processi culturali, educativi e formativi con ap­procci che integrano le prospettive delle diverse scienze so­ciali (pedagogia, psicologia, sociologia, economia) . Gli studi sulla condizione giovanile, sulla scuola, sui suoi contenuti educativi e sui suoi aspetti curricolari hanno caratterizzato l'impegno ultra-trentennale lARD.

lARD è pertanto oggi in grado di mettere a disposizione degli utenti - pubblici e privati - le proprie capacità e le proprie competenze su uno spettro assai ampio della ricerca sociale e dell'erogazione di servizi.

Le attività lARD sono riconducibili a tre filoni principali di studio: la condizione giovanile; le politiche sociali; gli in­terventi didattico-pedagogici.

All'interno di ciascuna tematica, lARD ha sviluppato par­ticolari competenze in settori specifici che si propongono come gli ambiti di tradizionale interesse dell'Istituto. Recen­temente lARD ha allargato notevolmente lo spettro delle atti­vità acquisendo e rafforzando un proprio know-how in set­tori sempre più diversificati. Tra l'altro ha formato una qua­lificata e collaudata rete di intervistatori su tutto il territorio nazionale.

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GIOVANI ANNI 90

Terzo rapporto lARD sulla condizione giovanile in Italia

a cura di

Alessandro Cavalli e Antonio de Lillo

SOC IETÀ EDITRICE IL MULINO

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ISBN 88-15-04209- 1

Copyright© 1993 by Società editrice il Mulino, Bologna. È vietata la ri­produzione, anche parziale, con qualsiasi mezzo effettuata, compresa la fotocopia, anche ad uso interno o didattico, non autorizzata.

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PREFAZIONE

Nel 1988, presentando il secondo rapporto IARo sulla condizione giovanile in Italia, avevamo assunto l'impegno morale di continuare anche in futuro questa nostra inizia­tiva di ricerca e avevamo formulato l'auspicio che essa avrebbe potuto diventare nel tempo un Osservatorio perma­nente delle dinamiche della popolazione giovanile in Italia.

Con la pubblicazione del terzo rapporto possiamo dire di non essere venuti meno a questo impegno e di essere in grado ora di offrire all'attenzione del Paese un materiale di riflessione sulla realtà giovanile la cui qualità e ricchezza, ci sembra, si accresce di volta in volta. Sarebbe stato peraltro difficile sottrarsi a questo compito di &onte alla vasta eco che la precedente indagine aveva suscitato e alle aspettative che da molte parti ci pervenivano per la sua continuazione. Sono innumerevoli infatti le persone, gli enti, le associa­zioni, gli organi di stampa che ci hanno dimostrato il loro apprezzamento e che ci hanno incoraggiato a continuare.

I cinque anni trascorsi dalla precedente indagine non sono stati anni qualsiasi. La società italiana è entrata in una fase di trasformazioni e turbolenze anche sconvolgenti. A maggior ragione, in questa situazione, è necessario monito­rare i fenomeni sociali, i comportamenti, gli orientamenti, gli atteggiamenti, le opinioni dei giovani, per poter scor­gere, nelle incertezze e nelle inquietudini del cambiamento, la direzione del cammino futuro.

La nostra speranza è appunto che tutti coloro che hanno a che fare con i giovani (insegnanti, formatori, datori di la­voro, operatori sociali, responsabili politici) e i giovani stessi possano trovare in questo lavoro uno strumento utile per orientare in modo consapevole e responsabile la loro aztone.

La conduzione dell'indagine è stata affidata ad un' é-

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quipe di studiosi composta da Alessandro Cavalli, Carlo Buzzi, Antonio Chiesi, Antonio de Lillo, Alberto Martinelli, Riccardo Massa e Luca Ricolfi.

L'indagine sul campo (estesa questa volta a tutti i gio­vani tra i 15 e i 29 anni) è stata realizzata dalla rete di inter­vistatori lARD coordinata da Carlo Buzzi.

Le elaborazioni di base sono state condotte presso il no­stro Centro di calcolo da Salvatore Salzano e sistematizzate in appendice da Antonella Volino, che ha curato anche l'a­spet�o grafico delle figure.

E doveroso, infine, ringraziare tutti coloro che hanno contribuito finanziariamente insieme al nostro Istituto alla realizzazione dell'indagine: Associazione Industriale Lom­barda, Banca Popolare di Lodi, Comitato Legge 44, Pirelli S.p.A., Saras S.p.A. Ringraziamo inoltre l'Università Boc­coni che ci ha messo a disposizione l'Aula Magna per la pre­sentazione della ricerca.

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FRANCO BRAMBILLA

Presidente lARD

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INDICE

Introduzione, di Antonio de Lilla p. 11

I.

n.

Percorsi formativi e giudizi sulla scuola, di Ric­cardo Massa 17

l. Condizione giovanile e condizione studentesca 17 2. La selezione scolastica 17 3. Confronto con i dati delle indagini precedenti 23 4. Scuola e lavoro 26 5. L'immagine degli insegnanti 29 6. I giudizi sulla scuola 34 7. Sul guadagno degli insegnanti 37 8. Lo studio delle lingue straniere 38 9. La partecipazione ad attività sui problemi della

scuola e dello studio 39 10. Alcune considerazioni d'insieme 40

n lavoro come scelta e opportunità, di Antonio Chiesi e Alberto Martinelli 43

l. Premessa 43 2. Né «hippies», né «yuppies)) 44 3. Autonomia, flessibilità e crescita professionale 46 4. I giovani in condizioni di (quasi) piena occupa- 49

zio ne 5. Le strategie di ricerca del lavoro 56 6. Le condizioni di lavoro 60 7. La soggettività del lavoro 65

ill. Orientamenti di valore e immagini della so-cietà, di Antonio de Lilla 73

l. Le cose importanti della vita 2. La religione

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73 83

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3. Le istituzioni e lo Stato p. 92 4. L'immagine delle disuguaglianze 98

IV. Associazionismo e partecipazione politica, di Luca Ricolfi 103

l. Premessa 103 2. n cambiamento 103 3. Una tipologia degli orientamenti religiosi 110 4. Partecipazione e rapporto con le istituzioni 113 5. L'asse sinistra-destra 116 6. Conclusioni 123

v. Lo spazio politico e la collocazione della Lega, di Luca &:col/i 127

l. Premessa 127 2. n cocktail leghista 127 3. I leghisti sono di destra? 129 4. I leghisti sono contro la «nomenklatura» dei 131

partiti? 5. I leghisti sono «democristiani delusi»? 133 6. Lo «splitting» dell'elettorato Dc 135 7. L'etica economica della Lega 138 8. La Lega e gli altri. Sull'etica economica della

destra 142 9. La stella a tre punte 146

10. Perché la Lega? 149 11. La rinascita della cultura laica in Italia 152

VI. I giovani come consumatori, di Alessandro Ca-valli e Antonio de Lilla 155

l. n denaro spendibile 155 2. I consumi tipicamente «giovanili» 160 3. Un indice sintetico di consumo giovanile 164 4. I consumi culturali 166 5. Un indice sintetico di consumo culturale 172 6. Una tipologia dei giovani in quanto consuma-

tori 172

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VII. Trasgressione, devianza e droga, di Carlo Buzzi p. 179

l. Premessa 179 2. La percezione delle norme sociali 180 3. Le norme individuali 182 4. La propensione a trasgredire 184 5. La valutazione e la propensione all'uso di dro-

�e l� 6. Conclusioni 202

VIII. Prolungamento della fase giovanile e orienta-menti al futuro, di Alessandro Cavalli 205

l. Precocità e ritardo nel percorso verso l'età adulta 205

2. n prolungamento dei percorsi di studio 207 3. Le modalità di ingresso nel mondo del lavoro 209 4. La permanenza nella famiglia dei genitori 2 11 5. I giovani che vivono da soli e che convivono

col partner 214 6. n dilazionamento del matrimonio 216 7. La maternità e paternità ritardate 2 16 8. La «moratoria prolungata» 217 9. Una tipologia di orientamenti temporali 220

10. Alcune implicazioni sulle politiche per i gio-varu 225

IX. Conclusioni, di Alessandro Cavalli 229

l. Premessa 229 2. La scuola 229 3. n lavoro 23 1 4. I valori 232 5. L'impegno sociale e politico 233 6. Le regole e la trasgressione 234 7. n prolungamento della fase giovanile 23 5 8. Una riflessione finale sulle politiche giovanili 23 7

Appendice statistico-metodologica, di Antonella Vo- 24 1 lino

Riferimenti bibliografici 309

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INTRODUZIONE

In questo volwne sono presentati i principali risultati della terza indagine lARo sulla condizione giovanile in Italia, condotta su un campione di 2 .500 soggetti, rappresentativo della popolazione in età compresa tra i 15 ed i 29 anni. I dati di questa ricerca, oltre ad offrire un quadro delle condi­zioni di vita e di lavoro, delle attese, dei sistemi di valori, de­gli atteggiamenti e dei comportamenti delle nuove genera­zioni, consentono utili raffronti con quelli raccolti nelle rile ­vazioni del 1983 e del 1987 1• Le interviste sono state con­dotte nel periodo febbraio-marzo del 1992 ed i soggetti in­tervistati sono stati selezionati con gli stessi criteri adottati nelle precedenti rilevazioni2, in modo da rendere compara­bili tra loro i tre campioni.

La possibilità di confrontare i risultati di tre indagini, omogenee sul piano della rappresentatività statistica e delle tecniche di campionamento adottate, fornisce utili elementi per cogliere i mutamenti intervenuti nell'arco di quest'ul­timo decennio nella nostra società. Uno dei principali mo­tivi di interesse delle indagini sui giovani sta proprio nel fatto che da queste possono trarsi elementi assai preziosi per la comprensione del cambiamento sociale. Talvolta si ritiene, a torto, che le nuove generazioni costituiscano un mondo a parte rispetto al resto della società, che esse siano portatrici di esigenze, bisogni, aspettative proprie, qualita­tivamente differenti da quelle dei loro genitori. In realtà la condizione giovanile non è altro che il riflesso della società «adulta» e, dunque, studiare come cambiano i giovani si-

1 Cfr. Cavalli et al. [1984] e Cavalli e de Lillo [1988]. 2 Per i criteri di campionamento si veda la nota metodologica in

appendice.

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59 60 61 62 6364 6566 67 68 6 9 7071 72 73 74 7576 77

(D 1 983 D 1 987 Il 1 992 J

FIG. l. Coorti interessate dalle tre indagini !ARo.

gnifica portare un contributo alla comprensione dei feno­meni che stanno trasformando la nostra società.

Una delle difficoltà maggiori nell' analisi dei comporta­menti e dei sistemi di credenza giovanili sta nel fatto che, spesso, in presenza di differenze tra gruppi di età, occorre capire se tali differenze siano imputabili a componenti di carattere evolutivo o generazionale. Siamo convinti che, an­che da questo punto di vista, i dati delle tre indagini pos­sano fornire utili elementi di comprensione. Come si vede dalla figura l, il susseguirsi delle indagini IARn ha fatto si che alcune coorti di italiani risultino rappresentate in due e, in alcuni casi, in tutti e tre i nostri campioni. I nati tra il 1969 e il 1972 sono presenti nella ricerca del '92 come 20-23enni, ma le stesse coorti erano state anche campionate nel 1987, quando avevano tra i 15 ed i 18 anni. n gruppo degli attuali 24-29enni è presente, invece, nei campioni di tutte e tre le indagini. La rappresentatività statistica dei tre cam­pioni consente, dunque, utili confronti che possono dar conto dell'evoluzione che tali coorti manifestano col passare degli anni.

Le indagini dell'83 e dell'87 coprivano le fasce di età tra

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i 15 ed i 24 anni. n campione del '92 è stato esteso ai 25-29enni, non solo per offrire migliori comparazioni con il passato, ma soprattutto per i mutamenti che la stessa defini­zione di età giovanile ha subito nel frattempo. Da un lato molti provvedimenti legislativi in favore, ad esempio, del­l' occupazione giovanile fissano l'età massima per fruire delle varie agevolazioni e benefici ai 29 anni ma, dall'altro iato, stiamo assistendo a profonde modificazioni degli stessi percorsi di vita. Si resta più a lungo in famiglia, si dilaziona, per scelta o per difficoltà oggettive, il momento di entrata definitiva nel mondo del lavoro, si procrastina la decisione di costituire una famiglia propria, si rinvia ad un futuro spesso indefinito la scelta di avere dei figli. Tutto ciò porta, come osserva Cavalli nel capitolo dedicato all'analisi di que­sti fenomeni, a profonde modifiche della natura stessa della famiglia, che diventa molto spesso luogo di convivenza di due generazioni, entrambe adulte, che impostano i loro re­ciproci rapporti su basi diverse, più negoziali e paritarie che in passato.

Rispetto all'83 ed all'87, oltre ad essere cresciuto il nu­mero di coloro che continuano a convivere con i genitori, è

, aumentata sia la quota di studenti sia quella dei lavoratori. Chiesi e Martinelli, da un lato, e Massa, dall'altro, discutono in dettaglio le cause e gli effetti di questa maggior presenza giovanile sul mercato delle credenziali educative e sul mer­cato del lavoro. Qui basterà rilevare come la crisi dei primi anni Novanta abbia modificato il quadro complessivo, non solo sul piano strutturale, ma anche su quello dei comporta­menti, delle attese, dei progetti di vita. Chi è in grado di farlo, tende a prolungare il periodo degli studi e ad interse­care formazione e lavoro. Chi vive in zone dove il mercato lo consente, aumenterà quei comportamenti di esplorazione del mondo del lavoro che già erano stati osservati nelle in­dagini precedenti. L'uscita dalla scuola non significa, quindi, immediata ricerca di un lavoro stabile e definitivo, ma spesso dà luogo, per necessità o per scelta, a comporta­menti che si potrebbero definire di «orientamento». Si svol­gono lavoretti, di tipo saltuario o a tempo definito, talvolta perché non si trova altro, ma in molti casi per saggiare le

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proprie capacità, per chiarire a se stessi le proprie voca­zioni. n rientro formativo diventa, allora, anche un modo per completare la propria preparazione in settori che si è sperimentato essere più vicini ai propri interessi ed alle pro­prie possibilità.

Questi comportamenti, oltre che essere dettati dalle dif­ficoltà oggettive di trovare lavoro e dalla speranza di miglio­rare le proprie chances presentandosi sul mercato con quali­ficazioni più elevate, sono ovviamente strettamente connessi al prolungarsi della permanenza in famiglia. La casa dei ge­nitori è, dunque, al tempo stesso rifugio, luogo che consente di diventare «grandi» il più tardi possibile, ma anche solu­zione economica, aiuto nel superare oggettive difficoltà di autonomizzazione. .

Sarebbe tuttavia limitativo spiegare queste trasforma­zioni della vita familiare e dei comportamenti lavorativi dei giovani solo in chiave economicistica. Vi sono anche modifi­cazioni sul piano più generale degli atteggiamenti verso gli altri e delle attese verso il proprio futuro. Le nuove genera­zioni appaiono meno orientate alla strumentalità rispetto al passato e più interessate alla vita di relazione. Ciò che più volentieri ricordano della scuola sono i rapporti con i com­pagni; degli insegnanti si apprezzano le capacità relazionali e l'attenzione alle esigenze degli allievi; nel lavoro si cercano ambienti capaci di offrire buone possibilità di rapporti ge­rarchici e tra pari; le attività di partecipazione politica e so­ciale vengono apprezzate quando consentono di mettere in sintonia bisogni individuali ed esigenze collettive. Si aderi­sce ad un partito, ad un gruppo di opinione non perché si vuole ricevere in cambio una visione unificante della vita, ma perché lo si ritiene adeguato (spesso solo momentanea­mente adeguato) alla soluzione o alla comprensione di qual­che aspetto del sociale sul quale si giudica che valga la pena di impegnarsi, senza che questo diventi scelta definitiva di vita.

In un mondo in profonda trasformazione i giovani sem­brano auspicare una società che sia fondata più sul princi­pio di relazione che sul principio di prestazione. L' atten­zione verso gli altri e la richiesta di attenzione verso se stessi

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da parte degli altri sembra essere un atteggiamento larga­mente diffuso tra le nuove generazioni. Ciò significa parti­colare attenzione ai processi interattivi, alle relazioni inter­personali, alle capacità comunicative e, di conseguenza, al possesso dei codici necessari a leggere realtà differenziate e non,riducibili a principi comuni.

E con questo spirito che i giovani affrontano anche le grandi trasformazioni politiche intervenute in questi ultimi anni, sul piano internazionale e su quello nazionale. Già le precedenti indagini avevano messo in luce la lontananza dell'universo giovanile dal mondo della politica, intesa in senso partitico. Prima che cadesse fisicamente, il muro di Berlino era già caduto nella testa dei giovani intervistati nell'87 e le avvisaglie erano state registrate fin dall'83. I par­titi, i sindacati non erano più da tempo i luoghi unificanti della visione del mondo, le istanze deputate dell'ideologia, gli organizzatori della partecipazione. Questo processo di laicizzazione della politica continua e si va rafforzando, ma sarebbe sbagliato intenderlo come rifugio nel privato e fuga dall'impegno pubblico. Basterebbe osservare che, rispetto a cinque anni fa, sono aumentate tutte le forme di partecipa­zione sociale per concludere che i giovani sembrano essere alla ricerca di nuove vie e nuovi modi di stare nella società.

Sono cresciuti, certamente, i valori di tipo privatistico, gli interessi a carattere evasivo, ma questo non fa diminuire l'impegno nel cercare una propria collocazione anche nel rapporto con gli altri, nel sociale. Si tenta di combinare la soddisfazione nel proprio quotidiano con forme di parteci­pazione alla vita collettiva che contribuiscano a migliorare la vita di tutti, alla ricerca di un difficile equilibrio tra feli­cità privata e pubbliche virtù.

Se queste paiono essere le tendenze di fondo, le linee in­terpretative più adeguate a leggere quanto emerge dalla comparazione fra le tre ricerche, il quadro complessivo non è, però, tutto roseo. Permangono forti squilibri fra il Nord ed il Sud del paese, tra aree economicamente e cultural­mente forti e zone depresse su entrambe le dimensioni. Troppi ancora (anche se in confortante calo) sono i dro­pouts della scuola, troppo fortemente pesano le sperequa-

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zioni di origine sui destini individuali, troppo rilevanti, in molti casi, le disuguaglianze di genere. In questo senso la crisi economica fa sentire in modo ancora più netto il fatto che nel nostro paese l'uguaglianza delle opportunità è un obiettivo lontano. Molti sono i giovani che, trovando diffi­coltà a scuola, non riuscendo a completare il ciclo di studi, entrano come soggetti deboli sul mercato del lavoro ed ini­ziano così un itinerario di sconfitte e delusioni che li porta a sviluppare una vera e propria sindrome da marginalità so­ciale, con tutti i rischi connessi. Anche da questo punto di vista, lo studio della condizione giovanile ci aiuta a meglio mettere in luce le contraddizioni della società.

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CAPITOLO PRIMO

PERCORSI FORMATIVI E GIUDIZI SULLA SCUOLA

l . Condizione giovanile e condizione studentesca

N ella fase del ciclo di vita preso in considerazione dalla ricerca ( 15-29 anni), più della metà del campione intervi­stato risulta non inserita nel sistema formativo, ma solo il 42,7% svolge qualche tipo di lavoro. Non molti sono gli studenti lavoratori (7,5%), a indicare come la formazione post-obbligatoria in genere, e in particolare quella universi­taria, difficilmente offrano la possibilità di coniugare tra loro scuola e lavoro. A proposito dell'università, occorre ri­levare che, se ben il 32,3% dei 18-29enni dichiari di averla in qualche modo frequentata, solo il10,4% dei 25-29enni è in possesso di un titolo di laurea. Quanto alla scuola secon­daria superiore, solo il 42% dei 18-20enni risulta averla fre­quentata e conclusa, con una dispersione scolastica che, comprendendo anche la scuola dell'obbligo, giunge al 15,8% dell'intero campione.

n sistema formativo si riconferma dunque nel suo in­sieme straordinariamente capace di svolgere la propria fun­zione selettiva, al punto che l'equazione, consueta in certe rappresentazioni odierne della gioventù, tra condizione gio­vanile e condizione studentesca risulta fuorviante e inconsi­stente. A ciò si aggiunga che almeno un terzo del campione ha ripetuto una o più volte un anno scolastico.

2. La selezione scolastica

Consideriamo ora alcune variabili fondamentali che ri­sultano dare conto di differenze significative nei confronti dei percorsi di formazione. Le femmine anzitutto appaiono più inclini dei maschi a giungere al compimento della scuola

1 7

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%

Basso Medio-basso Medio-alto

Livello culturale della famiglia

Alto

• Laurea D Di ploma • Elem./Media/Prof.

FIG. 1 .1 . Titolo di studio per livello culturale della famiglia.

secondaria superiore (rispettivamente il 41,4% e il 35,8%). Classe sociale e scolarità familiare incidono fortemente. Si passa dal 24,7% di ragazzi di ceto operaio che hanno con­cluso le superiori, e dal 32,5% di quello costituito da piccoli lavoratori autonomi, al 47,2% del ceto impiegatizio e al 51,2% di quello superiore. Parimenti marcate le differenze relative al titolo nniversitario (dall'1,3% e dall'1,4% al 5,1% e al 7,5%).

Un andamento analogo si riscontra in relazione all'ap­partenenza a nuclei familiari caratterizzati da livelli di scola­rità via via più elevati. Anzi, quest'ultima variabile - più ancora di quella relativa alla classe sociale - rivela ancor oggi appieno la sua evidente importanza rispetto al pro­cesso di scolarizzazione dei giovani se si considera l'accesso a un titolo universitario: dall'1,1% e dal 2,2% sino al 4,7% e soprattutto al 14,2%, relativo, appunto, quest'ultimo dato, a ragazzi e ragazze che provengono da famiglie dove entrambi i genitori hanno un'alta scolarità (fig. 1.1).

TI progetto degli anni Ottanta di una razionalizzazione

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interna alla scuola, capace di elevare la qualità dell'istru­zione e di trasformare l'azione didattica in variabile indi­pendente del processo di apprendimento, risulta cosi essersi rivelato impotente rispetto al determinismo educativo esterno connesso all'influenza culturale della famiglia. Tale progetto, sposandosi in realtà a forme consuete di tradizio­nalismo didattico, ha ottenuto, se mai, l'effetto di rendere la scuola ancora più arbitrariamente selettiva. Meno accen­tuati si direbbero invece i condizionamenti derivati dall'area geografica di residenza. Qui non è tanto la differenza Nord­Sud a incidere, quanto la diversa ampiezza del comune di residenza: i valori più alti in percentuale relativi al consegui­mento del diploma o della laurea sono infatti quelli dei gio­vani residenti in comuni con più di 250.000 abitanti.

Si considerino ora i dati relativi al tipo di occupazione, cioè alla condizione professionale. La variabile sesso sembra incidere in misura significativa. Essere ragazza vuol dire, da un lato, accedere al lavoro in misura nettamente minore dei maschi (rispettivamente 36,6% e 48,8%), dall'altro trovarsi in misura nettamente maggiore, se al di fuori del sistema scolastico, in situazione di disoccupazione. Ben più di quanto non si potesse prevedere - a conferma della dipen­denza della condizione giovanile dall'appartenenza di classe - risulta lo scarto tra i giovani studenti di classe operaia (23,7%, comprendendo anche gli studenti lavoratori) e quelli di classe superiore (60%). Al solito, la differenza è ancora più marcata se dai condizionamenti sociali si passa a quelli più specificamente culturali, espressi in termini di scolarità familiare (si va dal 21% sino al 73%, passando at­traverso il 42,1% e il 59,3%). Andamenti analoghi a quelli del titolo di studio si hanno anche rispetto all'ampiezza del comune di residenza, mentre molto incidente risulta invece in questo caso l'area geografica, laddove al Sud e nelle Isole il numero dei disoccupati cresce di ben due terzi rispetto al Nord (fig. 1.2).

Quanto alla scuola che si frequenta (comprendendo sempre anche gli studenti lavoratori), c'è da notare che il 3,3% degli studenti di 21-29 anni transita ancora nelle se­condarie superiori. La classe sociale, la scolarità familiare e

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40

20

o Basso Medio-basso Medio-alto Alto

Livello culturale del la famiglia

• Lavoratori e disocc. D Studenti e stud./lav.

FIG. 1.2. Condizione professionale per livello culturale della famiglia.

70

60

50

40

30

20

10

o

%

Classe operaia Piccola borghesia Classe media Classe superiore

Classe sociale

• Media D Media superiore • Università

FIG. 1.3. Scuola frequentata per classe sociale.

20

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o

Ripetenze

Nessuna Una o più

Livello culturale della famiglia

• Basso D Medio-basso • Medio-alto • Alto

FIG. 1.4. Ripetenze per livello culturale della famiglia.

l'ampiezza del comune di residenza comportano al solito, man mano che vanno elevandosi, un accesso più esteso al­l'università. Si vedano poi le ripetenze: molto più diffuse tra i maschi che tra le femmine (41% e 26,1%), confermando così lo stereotipo che vuole queste ultime più diligenti, de­crescono vistosamente con l'innalzarsi della classe sociale. Per ciò che concerne la scolarità familiare, i ragazzi con una o più ripetenze che hanno i genitori meno scolarizzati sono addirittura il doppio di coloro i cui genitori si collocano ai livelli più elevati di scolarità (figg. 1.3 e 1.4).

Gli abbandoni sono sempre più frequenti per i maschi che per le femmine, nei ceti inferiori che non in quelli supe­riori e, anche in questo caso, la scolarità familiare è la varia­bile che fa più differenza. L'abbandono è dunque effetto di­retto, in particolare, del livello di scolarità familiare ancor più che della classe sociale ed economica. A questo ri­guardo, sembra contare non tanto la differenza riguardo alle aspettative scolastiche nei confronti dei giovani, quanto l'orientamento delle famiglie a bassa scolarità verso modi e

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%

Basso Medio-basso Medio-alto

Livello culturale della famiglia

Alto

• Mai D Obbligo • Post-obbligo • Università

FIG. 1.5. Abbandoni per livello culturale della famiglia.

valori fortemente contrapposti a quelli dello studio1• Tutti i dati relativi all'incidenza delle variabili di base sui vari indi­catori dei processi di scolarizzazione (titolo di studio, occu­pazione, scuola che si frequenta, ripetenze e abbandoni) convergono nel ribadire, nonostante tutti gli intenti socio­pedagogici e metodologico-didattici proposti negli ultimi vent'anni, la persistenza di una selezione scolastica che, an­ziché dal merito, sembra esclusivamente dipendere dalla stratificazione sociale e dall'ambiente culturale. Vecchie e gloriose analisi di denuncia di questa evidente dipendenza (almeno sino all'Inegalité des chemines di Boudon [1979], poi accantonate forse perché troppo imbarazzanti per il ri­formismo velleitario e consolatorio di quello che Niklas Luhmann [1989] chiamerebbe l'establishment pedagogico di questi ultimi anni - tanto laico quanto cattolico - e so­prattutto per lo «scarto tecnologico» delle didattiche cogni-

l Cfr. lRER [1992].

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tivtste e curricolari rispetto ai propri obiettivi dichiarati), sembrano così riacquistare ancora una volta una inattesa at­tualità (fig. 1.5).

3. Confronto con i dati delle indagini precedenti

Per quanto riguarda le disuguaglianze di opportunità di fronte all'istruzione, sembra decisamente ridimensionata ri­spetto all'indagine del 1987 sia la discriminazione tra i sessi sia quella dovuta all'area geografica, persistendo invece quella della classe sociale e della scolarità familiare. Infatti, a fronte della differenza di un 2,6% a vantaggio dei maschi nell'87, ora le femmine che studiano sono in percentuale più numerose dei maschi (rispettivamente 43,5% e 40,2%), forse proprio perché risultano nel contempo, come s'è visto, incontrare maggiore difficoltà nel trovare lavoro. Quanto al­l' area geografica

' è importante notare che, a differenza

dell'87, i giovani che frequentano la scuola sono in maggior numero nelle regioni del Centro che al Nord, al Sud o nelle Isole, quasi che proprio in questi ultimi anni il Centro sia ri­sultato una parte d'Italia in cui si manifestano meno, sui processi di scolarizzazione, sia gli effetti educativi del man­cato sviluppo presenti nel Meridione, sia quelli di uno svi­luppo intenso che offre opportunità concorrenziali al prose­guimento degli studi come nel Settentrione.

Ciò che comunque non sembra minimamente scalfito è l'andamento delle disuguaglianze di origine sociale, econo­mica e culturale. Quanto già rilevato da Alessandro Cavalli e Antonio de Lillo [1988] risulta dunque ampiamente cor­roborato anche dalla situazione attuale:

Gli squilibri nel nostro paese permangono consistenti e sono legati non solo ai diversi livelli di sviluppo delle aree geografiche, ma anche a una struttura di disuguaglianze sociali, economiche e culturali che tende a perpetuarsi, a causa dell'incapacità del

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sistema di garantire pari opportunità di accesso ai livelli superiori dell'istruzione a tutti i cittadini2•

Consideriamo ora due ipotesi fondamentali che secondo Vincenzo Cesareo [1984] risultavano corroborate dai dati relativi alla prima indagine lARD dell'83, anche in ordine ad altre ricerche nel settore:

n rapporto fra selezione e classe sociale si attenua al limite sino a sparire nella scuola secondaria superiore, perché i ragazzi sono già stati selezionati e quelli che arrivano alla secondaria su­periore da classi subalterne sono in genere sufficientemente a t­trezzati per poter proseguire; lo stesso rilievo vale per le femmine, che hanno minori probabilità dei maschi di proseguire, ma se pro­seguono hanno un rendimento migliore 3•

Quanto alla prima ipotesi, essa risulta ampiamente di­sconfermata rispetto alla situazione attuale. Essa poteva in­fatti risultare valida agli inizi degli anni Ottanta, quando la scolarizzazione di massa risentiva positivamente sia dell'e­voluzione economica sia del movimento di democratizza­zione pedagogica e di innovazione metodologica avviatosi diffusamente negli anni precedenti. Ora invece sembra do­versi pagare lo scotto della caduta di tensione politico-peda­gogica e dell'ambiguo ripresentarsi di forme restaurative di tradizionalismo didattico, sotto le mentite spoglie del riasse­gnare serietà culturale alla scuola o di una ingegneria didat­tica del tutto disattenta alle condizioni socio-affettive del­l' apprendimento. Ma soprattutto sembrano riemergere le conseguenze di un periodo di crisi sociale e di oggettivo di­sagio dei giovani e degli insegnanti, che riportano il pro­cesso di scolarizzazione - anche per quanto riguarda l'in­tero decorso della formazione post-obbligatoria - a dipen­dere direttamente da condizioni ideologiche e materiali de­terminate. Si considerino di nuovo, a questo proposito, i dati sul titolo di studio, sull'occupazione, sulla scuola fre-

2 Cfr. Cavalli e de Lilla [1988, 18]. 3 Cfr. Cesareo [1984, 26].

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quentata, sulle ripetenze e sugli abbandoni in rapporto alle variabili di classe sociale e di scolarità familiare.

Le cifre parlano davvero da sole a questo proposito, e indicano con chiarezza non l'attenuazione ma il rafforza­mento delle determinazioni socio-economiche e socio-cul­turali proprio a livello di scuola secondaria superiore. Certo, si può anche dire che questo avviene perché l'accesso a quest'ultima, come noto, è andato progressivamente estendendosi. Ma occorre appunto ribadire che un simile fatto, anziché indurre capacità di mutamento da parte del­l'istituzione scolastica, ne ha accentuato l'arretramento su posizioni francamente passatiste e arbitrariamente selettive.

Appare quindi, almeno oggi, più che mai consolatorio interpretare il fenomeno della dispersione scolastica nell'or­dinamento secondario superiore come segno di una sorta di cultura della soggettività che porterebbe a orientarsi più o meno consapevolmente verso differenti opportunità forma­tive relative soprattutto a un ambito extra-scolastico, quando invece tutto questo, per quanto presente e agente, sembra rappresentare piuttosto l'incapacità della scuola di far &onte a una nuova domanda di formazione e di integra­zione sociale. L'innalzamento dell'obbligo ai sedici anni di età e nuovi programmi curricolari che colleghino forma­zione e lavoro costituiscono a questo proposito l'occasione futura per invertire una simile tendenza.

Quanto alla seconda ipotesi, si direbbe invece che l' ac­cesso delle femmine all'istruzione secondaria superiore in misura pari se non maggiore a quella dei maschi si sia ormai definitivamente consolidato alla distanza di quasi dieci anni. Anche qui rinviamo ai dati già presentati. Com'è noto, però, proprio questo fatto induce ad approfondire in termini nuovi, quelli ad esempio di una «pedagogia della differenza di genere», la problematica ancora irrisolta di una identità al femminile dell'esperienza culturale e relazionale nella vita scolastica.

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4. Scuola e lavoro

n giudizio che viene dato dai giovani che lavorano sul­l'utilità della preparazione scolastica in ordine allo svolgi­mento del proprio lavoro risulta positivo solo nel 42,7% dei lavoratori intervistati. Sia pure con scarti non vistosi, le fem­mine in generale e i giovani tra i 21 e i 29 anni appaiono più severi degli altri. Significativo è il fatto che coloro che hanno interrotto la scuola media o la scuola superiore diano una valutazione più severa (50% e 43,6%) sia di quelli che hanno interrotto l'università (23,4%), sia di quelli che non hanno mai interrotto un ciclo di studi (29,2%), a riprova di quanto, nella stessa percezione dei giovani, appaia netta­mente contrapposta l'esperienza lavorativa rispetto a quella scolastica.

Tutto ciò è avvalorato anche da una considerazione dei dati relativi al titolo di studio posseduto. Coloro che hanno il solo diploma di terza media, in particolare, ribadiscono fortemente una simile percezione, che probabilmente sta alla base della decisione stessa di non proseguire gli studi. Sembra di essere rinviati così a una rappresentazione pre­gressa della scuola dell'obbligo da parte del giovane e della sua famiglia che risulta poi confermata dal processo effet­tivo di scolarizzazione, come dimostrano anche i dati sulle ripetenze. Quasi emblematico della sua condizione è il pro­filo che offre invece in proposito lo studente lavoratore: prevalentemente incerto sull'utilità della scuola per il pro­prio lavoro, infatti, è più fluttuante degli altri tra i vari giu­dizi positivi o negativi proposti (fig. 1.6).

Connesso alle questioni precedenti è l'orizzonte di va­lore espresso in ordine all'importanza attribuita nella pro­pria vita al lavoro, per un verso, e allo studio e alla cultura per l'altro. Se il lavoro risulta molto importante per il 61,7%, lo studio e la cultura lo sono soltanto per il 35,2% dell'intero campione. Lo studio e la cultura sono comunque più importanti per le femmine che non per i maschi, per i diciottenni che non per i venticinquenni, e ovviamente per gli studenti lavoratori più che non per ogni altra condizione professionale. Particolarmente incidenti in questo senso

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35 30 25 20 15

Mo lto Abbastanza Poco Per niente

Util ità della scuola per il lavoro svolto

• Lavoratori D Studenti/lavoratori

FrG. 1.6. Utilità della scuola per il lavoro attuale (lavoratori e studenti/lavora­tori).

sono inoltre, puntuahnente, la classe sociale, la scolarità fa­miliare e l'ampiezza del comune di residenza. Da notare, in­fine, come il valore massimo assegnato allo studio e alla cul­tura si innalzi particolarmente in ragione del titolo di stu­dio: dal15,1% di chi possiede la sola licenza elementare al 59,1% di chi ha concluso l'università.

Tutto questo appare ovviamente prevedibile, nel senso di un percorso formativo che assegna progressivamente a se stesso una significazione positiva intrinseca, tale peraltro da non raggiungere elevata intensità neppure in chi ha intera­mente attraversato l'esperienza universitaria. Ma rinvia an­che alla mancanza, nei processi di socializzazione diffusa, di particolari attribuzioni di valore esterne, tali da contrastare il venir meno di motivazioni e di implicazioni sufficienti di senso da parte del sistema scolastico e universitario nei con­fronti di tantissimi giovani del tutto indifferenti al valore della cultura e dello studio.

A riprova di ciò vi sono i dati relativi all'interruzione di qualche ciclo di studio. I dropouts delle medie e delle supe-

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70

60

50

40

30

20

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o Per nulla Poco Abbastanza Molto

Importanza dello studio e della cultura

• Non stud. ne lavor. D Studenti • Studenti/lavoratori • Lavoratori

FIG. 1.7. Importanza dello studio e della cultura per condizione professionale.

riori infatti assegnano in misura nettamente maggiore di chi ha interrotto l'università poca importanza allo studio e alla cultura, ma si allineano con tutti gli altri nell'assegnare molta importanza al lavoro. Questo confermerebbe un'ipo­tesi desumibile da altre indagini quantitative e qualitative sul fenomeno della dispersione scolastica, secondo cui l'in­terruzione degli studi, più che da necessità o eventi e condi­zioni determinate, sarebbe sostenuta da istanze psicologiche e da atteggiamenti culturali - a cui l'attuale organizzazione scolastica non riesce che a contrapporsi - orientati invece verso un possibile inserimento in luoghi lavorativi (per quanto di basso profilo possano essi poi risultare). n che continua a suscitare, se non altro, una preoccupazione so­stanziale, sia per il mancato accesso da parte di una cosl larga maggioranza di giovani ai valori della cultura formale, sia per la possibilità di inserimento a livelli più elevati nel mondo del lavoro.

La responsabilità maggiore sembra essere ancora una volta della scuola, incapace di svolgere quella funzione spe­cifica di mediazione culturale- con tutte le attenzioni psi-

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cologiche e le condizioni organizzative che questo comporta - in cui dovrebbe consistere il suo compito primario. Si mostra inoltre, se di nuovo ve ne fosse bisogno, quanto illu­soria sia la fiducia nella consistenza formativa dei fattori di inculturazione esterna rispetto alla valorizzazione stessa della cultura formale e dello studio. Ancora una volta em­blematico di un percorso che sembra invece riuscire a inte­grare i valori del lavoro e quelli dello studio su standard meno riduttivi di formazione personale è il profilo degli stu­denti-lavoratori, che assegnano molta più importanza allo studio degli stessi studenti e altrettanta importanza al lavoro dei lavoratori (fig. l . 7).

5. L'immagine degli insegnanti

Al di là della scuola come istituzione, qual è l'immagine che ci restituiscono oggi i giovani della figura dell'inse­gnante? Rispetto al grado di fiducia nei confronti degli inse­gnanti come gruppo sociale si direbbe che le diverse varia­bili considerate siano sostanzialmente prive di incidenza, tranne il caso - in maniera peraltro assai significativa - di quelle relative alla classe sociale e alla scolarità familiare. Tanto più elevate sono queste ultime, tanto minore è il grado di fiducia. Per il resto è come se rispetto al gruppo degli insegnanti - il che risulta comunque tutt'altro che scontato e facilmente interpretabile - il mondo giovanile si compattasse di più che su altre figure professionali e istitu­zionali. Questo potrebbe essere spiegato proprio in ragione della lunga e continua frequentazione che i giovani hanno dovuto subire di esso, al di là di esperienze personali posi­tive o negative rispetto a insegnanti determinati. Per tutti dunque vi è poca (28,2%) o abbastanza fiducia (55,1%). D'altra parte, se solo il 6,6% dichiara di non averne nes­suna, è appena 1'8,7% ad affermare di nutrirne molta in proposito.

Tuttavia gli insegnanti si collocano, insieme ai sacerdoti, ai carabinieri, ai poliziotti e alle banche, in un arcipelago istituzionale che riceve fiducia in misura nettamente mag-

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giare che non il governo, i funzionari dello Stato, i sindacali­sti, i militari di carriera, gli uomini politici, gli industriali e i giornalisti . La loro funzione, verrebbe da dire, è dunque ri­portata, indipendentemente dalla sua concreta fenomenolo­gia di cui parleremo in seguito, a un ambito di ruolo caratte­rizzato da prestazioni d'ordine e di servizio. Esso appare in quanto tale più congruente, pertanto , con i valori in cui i giovani dimostrano di avere ancora una qualche fiducia. Nessuna identificazione dunque rispetto alle possibili va­lenze trasgressive , o anche soltanto progressive ed emanci­patorie, del ruolo di educatore. Piuttosto, collocazione di quest'u ltimo entro una sorta di cintura di sicurezza capace di garantire in qualche modo l'affidabilità personale e la te­nuta sociale.

Venendo ora a quel la parte del questionario più specifi­camente dedicata alle opinioni sugli insegnanti e sulla scuola, i modi di essere ritenuti più diffusi oggi tra gli inse ­gnanti nelle scuole frequentate dai giovani sono , nell'or­dine , i seguenti: la tendenza a non considerare le esigenze ed il punto di vista degli studenti (61 ,7%), l'incompetenza e l'impreparazione nella propria materia (38,7%) , l'influenza politica e ideologica sugli allievi (38,1%), l'eccessiva seve­rità (23,6%), l'eccessiva accondiscendenza e arrendevolezza di fronte alle richieste degli studenti (20,3%). Chiedendo di scegliere una sola tra le varie alternative proposte, risulta che i modi più diffusi di tutti , sempre tra i precedenti, ven­gono a disporsi nello stesso ordine (rispettivamente il 45%, il 23,5%, il 15 ,2%, i l9 ,3% e il 7,1%).

Viene così riconfermata l'immagine dell'insegnante che già emergeva nettamente sia nell'indagine dell'83 sia in quella dell'87. A differenza di allora, come vedremo, le va­riabili relative alla propria esperienza scolastica risultano però in proposito più incidenti all'interno di una tale artico­lazione.

Una simile immagine costituisce un analizzatore formi­dabile delle istanze pedagogiche poste alla scuola dal mondo dei giovani e un uti le termine di confronto delle rap­presentazioni di esse da parte degli insegnanti e degli esperti. Che i l punto critico nettamente più significativo ri-

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sulti l'incompetenza relazionale prima ancora che discipli­nare degli insegnanti è un dato che non può essere letto solo in ordine a un possibile egocentrismo giovanile rispetto alle esigenze e al punto di vista degli insegnanti. Esso individua, a nostro avviso, il vero nodo irrisolto nel sistema scolastico attuale . La sua improduttività culturale, pertanto - per lo meno per quanto riguarda il punto di vista ineludibile del soggetto che apprende - risulta qui poter essere fatta risa­lire all'incapacità dell'insegnante di istituire modalità comu­nicative e clima emotivo adeguati per fare dello studente l'effettivo protagonista del processo di apprendimento. Questo sembra dare ragione a quelle pedagogie, pure molto vigili sul piano della preparazione didattica dell'insegnante e delle finalità cognitive della scuola, le quali ritengono che il perseguimento di esse comporti nel contempo la capacità di attenzione e comprensione nei confronti della personalità degli allievi e delle loro esigenze.

Potremmo esprimere una tale richiesta nei termini di una scuola più educativa, o meglio di una scuola più orien­tata verso un'autentica qualità educativa dell'istruzione. Ciò non ha nulla a che vedere infatti né con una scuola più per­missiva o più incentrata su dimensioni di tipo valoriale, né con una scuola meno impegnata sul fronte degli apprendi­menti cognitivi, come dimostrano bene le risposte in me­rito. I giovani non vogliono né maggior accondiscendenza né maggior influenza ideologica, ma chiedono nel con­tempo, invece che minor severità, maggiore competenza di­sciplinare, didattica e relazionale. n vero problema della scuola è dunque quello della sua capacità di accogliere e contenere la soggettività degli allievi, che prima di essere tali sono adolescenti e giovani adulti bisognosi di autonomia e di riconoscimento (fig. 1.8).

Riguardo a un vissuto siffatto, la variabile sesso non sembra incidente, mentre le altre appaiono, a una lettura at­tenta ad alcuni dettagli, ampiamente determinanti. Si veda l'età: la percezione di incompetenza disciplinare passa dal 15,4% fra i 15-17 anni al 24% fra i 18-20 anni, sale ancora fra i 21-24 anni al 27,3% per poi stabilizzarsi sul 24,5% ai 25-29 anni. Proporzionalmente cala la percezione di seve-

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I ncomprensione �--·····• .. 1111111•111111111...:..._ verso g l i studenti .�..:::-----------:-�-'---....____

Accondiscendenza

o 10 20 30 40

(. Maschi D Femmine J

FIG. 1.8. Difetti più diffusi tra gli insegnanti (per maschi/femmine).

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rità e soprattutto quella di essere trascurati (dal 49, 1% a 15-17 anni al 4 1 ,3% a 25-29 anni).

La sensazione di non essere stati considerati, pur persi­stendo viva nel ricordo di chi è uscito da maggior tempo dal sistema scolastico e ha comunque già acquisito una propria identità di giovane adulto, è quindi maggiore proprio nel­l' età che coincide con il biennio delle superiori, e più in ge­nerale con l'intero ciclo di esse. Che è, com'è noto, il vero anello debole del nostro sistema scolastico rispetto alle ne­cessità, rilevate da specifiche ricerche in proposito, di una sufficiente elaborazione pedagogica del processo adolescen­ziale.

Crescendo, i giovani si adattano a questa mancata rispo­sta culturale, a questa sorta di latitanza intergenerazionale. Essi riescono nella maggioranza dei casi a fare da sé e diven­gono cosi, proprio fra i 18 e i 20 anni (periodo oggi risultato cruciale in indagini di tipo clinico per il raggiWlgimento di

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una maggior separatezza psicologica nei confronti della fa­miglia e della scuola4), più capaci di prescindere dalla qua­lità delle relazioni sociali con gli adulti. Essi riescono cosl a gettare uno sguardo critico sulla preparazione degli inse­gnanti rispetto ai vari contenuti del curricolo scolastico.

Parimenti significativo è che la percezione di non essere stati considerati sia di gran lunga minore in quei giovani che hanno soltanto la licenza elementare, e nettamente mag­giore in chi ha compiutamente frequentato le scuole profes­sionali o le scuole superiori. Chi ha interrotto la scuola del­l' obbligo assegna valori minimi all'influenzamento ideolo­gico, e anziché di trascuratezza fa denuncia di eccessiva se­verità da parte degli insegnanti, con un valore del tutto sproporzionato (38,5%) rispetto a chi non ha mai interrotto un ciclo di studi ( 9, l%) o ha interrotto invece le superiori (7 ,8%) e l'università ( 4%).

Si tratta di dati di grande evidenza, che sottolineano con forza, se ancora ve ne fosse bisogno, la radicale differenza pedagogica tra scuola media e scuola superiore rispetto al vissuto e alle rappresentazioni sociali che i giovani hanno -e certamente non loro soltanto - degli insegnanti. Dire che qui è unicamente in gioco una differenza di età sarebbe in­fatti fuorviante. La questione, invece, consiste proprio nella mancata capacità di elaborazione e di contenimento, da parte della scuola superiore, di una simile differenza evolu­tiva.

Quanto all'occupazione, tutto ciò è avvalorato dal fatto che sono soprattutto gli studenti a sottolineare lo stato di trascuratezza da essi subito, mentre i disoccupati - dove sono presumibilmente più numerosi i casi di dropouts - in­sistono maggiormente sulla severità. Ciò appare tipico di un atteggiamento rimasto, per cosl dire, pre-adolescenziale nei confronti del proprio vissuto scolastico.

Ancora una volta sono gli studenti lavoratori a delineare il profilo più originale e articolato. Capaci di non dramma­tizzare, pur sottolineando la trascuratezza subita; quasi nep-

4 Cfr. Massa e Demetrio [ 1991] .

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pure toccati dagli eccessi di severità; critici severi della in­competenza didattica e culturale, allo stesso modo di chi è già fuori dal mondo scolastico e universitario. Altrettanto critici su quest'ultimo aspetto sono gli studenti universitari: non sappiamo se per il confronto con i loro docenti univer­sitari o proprio in ragione di questi ultimi, ma propendiamo di più per un maggior distacco critico rispetto alla propria esperienza scolastica.

Vi sono in realtà alcune interessanti variazioni rispetto alla scuola attualmente frequentata, ma risulta comunque che in ogni tipo di scuola almeno metà del campione la­menta la tendenza diffusa degli insegnanti a non conside­rare le esigenze e il punto di vista degli studenti5•

6. I giudizi sulla scuola

I giudizi che vengono dati sulla scuola dai giovani inter­vistati delineano comunque un quadro complessivo più po­sitivo di quanto non emerga dai dati sui percorsi formativi e dall'individuazione dei tratti più ricorrenti nel comporta­mento degli insegnanti, quasi che, rispetto alla propria espe­rienza scolastica in generale, per la stessa centralità che essa ha di fatto assunto nel corso della loro vita, i giovani non riescano a raggiungere una sufficiente distanza critica. Ve­dremo peraltro che l'immagine complessiva della scuola re­stituitaci dalla nostra indagine assume via via forma diversa a seconda delle variabili e degli aspetti considerati. La do­manda 48 del questionario chiedeva un giudizio positivo o negativo sulla scuola in ordine alla soddisfazione per le ca­pacità professionali acquisite, la cultura generale, i rapporti con i compagni e quelli con i docenti.

Il giudizio meno positivo è riservato all'acquisizione di capacità professionali (solo 56,2%) e converge largamente con quello, più negativo, espresso dai soli studenti lavora-

5 Per il punto di vista degli insegnanti, si vedano Massa [1988] e Ca­valli [1992].

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tori - su cui ci siamo già soffermati - sull'utilità della loro preparazione scolastica in ordine allo svolgimento del pro­prio lavoro (42,7%). Di non molto maggiore risulta la sod­disfazione per i rapporti con i docenti (67%), mentre poco più dei tre quarti del campione si dice soddisfatto della cul­tura generale acquisita. Ben 1'84,6% è infine soddisfatto per i rapporti con i compagni.

Rispetto alle indagini precedenti si ha una netta contro­tendenza che riduce notevolmente la soddisfazione per i rapporti con i docenti (67,1% nell'83 e 74, 1% nell'87) . Tale controtendenza sembra corrispondere sul piano del vissuto dei giovani a quella oggettivamente posta in atto nella scuola rispetto a forme di innovazione didattica e pedago­gica e al crescente livello di frustrazione degli insegnanti di­mostrato da altre ricerche. A riprova di un generale clima di disagio, cala anche la soddisfazione per i rapporti con i compagni (91,2% nell'87) .

Risulta così confermata l'immagine di una scuola vista prevalentemente dai giovani come ambito di socializzazione tra pari e di acquisizione di una cultura piuttosto generica, dove i rapporti con gli adulti restano comunque problema­dci e l'acquisizione di capacità professionali si rivela ancora una volta il vero punto debole del sistema di istruzione. Quanto più l'esperienza scolastica si allontana, tanto più critico risulta il giudizio su di essa nei suoi vari aspetti. La variabile sesso invece incide soprattutto per quanto ri­guarda il livello di soddisfazione nei rapporti con i compa­gni, più sciolti tra i maschi che tra le femmine. Queste ul­time sono di poco più propense a una relazione verticale con gli insegnanti e a una valorizzazione della cultura gene­rale.

I più insoddisfatti rispetto ai contenuti di apprendi­mento, siano essi relativi a capacità professionale oppure a cultura generale, ma anche ai rapporti con i docenti e con i compagni, sono coloro che non hanno concluso la scuola media. Da segnalare per essi il valore particolarmente basso assegnato alla soddisfazione per l'acquisizione di capacità professionali (27%) e anche di cultura generale (42,9%). Getta un po' di luce sulle caratteristiche di questi dropouts

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o 20 40 60 80 1 00 % di soddisfatti

• Studenti D Studenti/lavorat. • Lavoratori

FIG. 1.9. Soddisfazione per aspetti dell'esperienza scolastica (per condizione pro­fessionale).

anche il fatto che non solo i rapporti con i docenti, ma so­prattutto quelli con i compagni, risultano più difficili che non per gli altri. Qui si evidenzia ancora una volta come la scuola tenda a creare effetti di immagine positiva in chi rie­sce a conformarsi alle sue regole e alle sue richieste, e a ri­sultare insoddisfacente per chi si è confrontato in qualche modo con il mondo del lavoro.

Più insoddisfatti di tutti rispetto alle capacità professio­nali sono ovviamente i non occupati. Più critici nei rapporti con i docenti sono gli, studenti lavoratori, e soprattutto gli studenti universitari. E noto, del resto, che uno dei pro­blemi più gravi del nostro assetto universitario riguarda l'in­capacità di molti docenti di stabilire con i propri studenti forme di relazione e di organizzazione didatticamente effi­caci (fig. 1.9).

Alcuni altri aspetti sufficientemente significativi pos­sono essere segnalati sempre in merito ai giudizi sulla scuola. Nella soddisfazione per la capacità professionale de­gli insegnanti valori maggiori, per quanto di poche unità

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percentuali, sono presenti nelle due fasce intermedie rela­tive alla classe sociale e alla scolarità familiare, quasi che sia all'uno sia all'altro dei due estremi di esse si acuisse un mag­gior atteggiamento critico a questo proposito. La soddisfa­zione per una cultura di tipo generale riceve apprezzamento progressivamente maggiore con l'elevarsi della scolarità fa­miliare (dal 7 1 ,4% all'84,3%), la quale, come ben sap­piamo, è direttamente correlata alla prosecuzione negli studi, e in questo caso a una simile attribuzione di valore, che si direbbe pregiudiziale rispetto alle finalità dell'istitu­zione scolastica. Lo stesso può essere detto per il passaggio al ceto medio e superiore e per i grandi centri. Ancor più soddisfatti dei propri rapporti con i compagni paiono poi essere i giovani residenti in comuni con meno di diecimila abitanti, dove la scuola sembra poter accentuare maggior­mente la sua funzione socializzante. Nettamente meno sod­disfatti per i rapporti con i docenti sono i giovani apparte­nenti alla classe sociale più alta. Questa correlazione appare di grande interesse nel mettere in luce una possibile dialet­tica di classe tra gli allievi e le loro famiglie da un lato e gli insegnanti dall'altro. Dialettica che si estende anche sul piano culturale, se si considera che una scolarità familiare alta o medio-alta accentua nettamente, anche se non di molto, una insoddisfazione che sembra potersi esprimere maggiormente in condizioni di parità almeno virtuale tra il livello scolastico dei genitori e quello degli insegnanti. Sem­pre su di una simile linea interpretativa si può collocare il dato relativo alla maggiore insoddisfazione dei giovani resi­denti in comuni con più di 250.000 abitanti rispetto a tutti gli altri. Ininfluente risulta invece l'area geografica di resi­denza.

7. Sul guadagno degli insegnanti

A completamento di quanto già visto sull'immagine che hanno i giovani degli insegnanti, può essere interessante considerare quanto secondo i giovani intervistati sarebbe giusto che un insegnante guadagnasse, posto che un impie-

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gato di concetto guadagni circa 1.800.000 al mese. n valore medio indicato per gli insegnanti di scuola media è stato di 1 .884.000 lire, a fronte di 2.561.000 per un docente univer­sitario, 1 .4 13 .000 per un bidello e 1.902.000 per un operaio specializzato. Da notare dunque che l'insegnante è sostan­zialmente equiparato a quest'ultimo su di un valore di poco superiore a quello attribuito ad un impiegato di concetto.

Sono i laureati a indicare la quota più alta sia per gli in­segnanti medi sia per i docenti universitari (rispettivamente 2.061.000 e 3.360.000), e gli allievi di centri professionali la più bassa ( 1 .730.000 e 2.236.000). Dal punto di vista di una percezione esterna risulta quindi maggiormente premiante, rispetto al ruolo di insegnante e a quello di docente univer­sitario, il ritrovarsi in una condizione potenzialmente più vi-

. . cma a ess1.

8. Lo studio delle lingue straniere

Un aspetto particolare delle vicende formative dei gio­vani messo in luce dall'indagine concerne le lingue parlate e quelle studiate. n 56,3% del campione risulta aver studiato almeno una lingua straniera, parlata però soltanto dal 43%. Una seconda lingua straniera è stata studiata dal 34,9%, ma è parlata appena da11'1 1 ,7%. La lingua più studiata è l'in­glese, nella misura del 75,7%, che viene però conosciuta ab­bastanza bene per sostenere una conversazione solo dal 40% degli intervistati. Segue il francese, rispettivamente con il 51,9% e con il 25,2%, e poi il tedesco, con il 10% e il 4,7%.

Tutto ciò sta a indicare come il sistema di istruzione, sebbene integrato da molteplici iniziative extra-scolastiche in merito, e nonostante la consuetudine sempre più diffusa di condurre soggiorni estivi di studio all'estero, si mostri particolarmente carente rispetto a un settore di cosl attuale importanza. Interessante sarà verificare in futuro quanto lo studio di una lingua straniera già a partire dalla scuola ele­mentare, come previsto dai nuovi programmi, riuscirà a mi­gliorare un simile quadro.

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9. La partecipazione ad attività sui problemi della scuola e dello studio

La scuola rappresenta comunque, per la sua stessa inva­denza e pesantezza nella vita dei giovani, la realtà istituzio­nale più significativa anche in ordine a una valorizzazione degli aspetti extra-curricolari del processo di formazione. Ciò è evidenziato nella nostra indagine dal fatto che la par­tecipazione ad attività come manifestazioni, raccolta di firme, assemblee e simili, per almeno due volte nel corso di un anno, è maggiore sui problemi stessi della scuola e dello studio - appena il 15,7%, però! - che non su quelli della pace e del disarmo (13,7%), della difesa dell'ambiente (12,1%), dei lavoratori (8,7%), del quartiere (4,6%), delle donne (3,8%) e così via.

Più partecipi appaiono le femmine, forse perché più di­sciplinate nel presenziare alle ore canoniche di assemblea generale previste dalla stessa istituzione scolastica. A ri­prova del fatto che si tratta prevalentemente di una parteci­pazione non spontanea, o per lo meno indotta da una sorta di rito istituzionale, si evidenzia un netto decremento pro­gressivo con il crescere dell'età, specie a partire dai 18-20 anni, quando i più sono già fuori dal sistema scolastico. Che il titolo di studio posseduto non incida significativamente in merito, se non per chi ha solo la licenza elementare, dimo­stra appunto che si tratta ormai di un costume consueto per tutti quelli che hanno proceduto nella frequenza dell' ordi­namento secondario. Interessante è che a partecipare ad at­tività sui problemi della scuola siano stati prevalentemente coloro che non hanno mai interrotto il ciclo di studi, a con­ferma di quanto il fenomeno dei dropouts sia collegato anzi­tutto ad atteggiamenti culturali di disinteresse e di rifiuto verso l'istituzione scolastica in quanto tale, che l'istituzione medesima viene di fatto a rafforzare. Lo stesso, in misura minore, vale per le ripetenze. Com'è ovvio, la partecipa­zione risulta estremamente più alta da parte di chi attual­mente è ancora inserito nel sistema formativo, in particolare nella scuola superiore.

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10. Alcune considerazioni d'insieme

Ci sembra che quanto sin qui riferito e commentato au­torizzi a trarre sinteticamente alcune considerazioni d'in­sieme. Una prima considerazione riguarda la centralità asso­luta della scuola nell'esperienza giovanile, benché cosi tanti giovani siano poi privi dell'esperienza di studente. Questa affermazione, apparentemente tautologica nell'epoca della scolarizzazione di massa, risulta meno ovvia se si considera che il processo di scolarizzazione esprime le proprie poten­zialità non tanto sul piano che dovrebbe essergli proprio dell'acquisizione da parte dei giovani di contenuti culturali e competenze professionali adeguate, quanto su quello di una socializzazione istituzionalizzata e dell'orientamento verso scopi e valori.

La seconda considerazione, d'altronde, riguarda il senso e la qualità di un tale fenomeno. La scuola cioè viene a co­stituire, di fatto, ben più che le iniziative specializzate in tal senso, una sorta di grande orientatore verso un inserimento precoce e spesso precario nel mondo del lavoro, oppure verso una progressiva assegnazione di valore alla prosecu­zione della frequenza scolastica. Nell'orientare di fatto verso i valori di ordine psicologico e materiale che l'inseri­mento lavorativo sembra poter consentire agli occhi di cosi tanta parte dei giovani, la scuola appare svolgere semplice­mente un'azione di consolidamento dei valori propri del nucleo familiare di appartenenza. I processi di socializza­zione tra pari che si svolgono in essa non vengono in genere neppure riconosciuti e tematizzati in ordine alla possibile modificazione e acquisizione di schemi cognitivi più evoluti. Qualunque cosa si dia su questo piano, ed è tantissimo, av­viene invece, per quanto concerne lo sguardo adulto dell'i­stituzione, clandestinamente e spontaneamente. La scuola, in conclusione, è ancora del tutto incapace di elaborare una cultura che sappia integrare in maniera avanzata lo studio e il lavoro, l'apprendimento e la socializzazione, ricono­scendo cosi ai giovani tra i 15 e i 20 anni il loro statuto di giovani adulti. Una simile elaborazione, invece, si pone dav­vero come inderogabile se non si vuole proseguire a illu-

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dersi di risolvere i problemi della condizione giovanile sol­tanto aumentando velleitariamente i tempi e i livelli di sco­larizzazione secondo forme tradizionali ormai in crisi.

La terza considerazione riguarda la denuncia dei giovani di incompetenza relazionale degli insegnanti. La riqualifica­zione culturale della scuola non può essere vista pertanto come una finalità disgiunta, se non addirittura contrappo­sta, a una specifica considerazione delle esigenze psicologi­che e del punto di vista di ogni singolo allievo. Questo mag­gior rispetto e considerazione per la personalità degli allievi è in realtà la condizione necessaria per poter fare funzionare rp.eglio la scuola sul versante degli apprendimenti cognitivi. E probabile che gli stessi problemi di disciplina spesso de­nunciati dagli insegnanti, come risulta da altre ricerche, na­scano proprio dalla mancanza di un tale riconoscimento en­tro un quadro organizzativo e istituzionale più capace di ef­ficienza e di contenimento.

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CAPITOLO SECONDO

IL LAVORO COME SCELTA E OPPORTUNITÀ

l . Premessa

Gli atteggiamenti verso il lavoro hanno sempre costi­tuito uno dei temi di maggiore interesse negli studi sociolo­gici e psicologici sulla condizione giovanile per ragioni facil­mente comprensibili. In contesti culturali anche molto di­versi tra loro, infatti, il lavoro è uno degli ambiti più impor­tanti in cui si sviluppano i rapporti tra le generazioni, si atti­vano meccanismi di socializzazione dei giovani ai ruoli adulti, si svolgono processi di riproduzione economica e sociale.

Le indagini lARD sulla condizione giovanile in Italia, ef­fettuate nel 1983 e nel l987, hanno prodotto alcuni risultati di rilievo: in primo luogo hanno mostrato come la condi­zione e gli atteggiamenti dei giovani italiani concernenti il lavoro, pur conservando alcune significative specificità, si siano andati uniformando a quelli dei loro coetanei degli al­tri paesi sviluppati dell'occidente; in secondo luogo hanno fatto giustizia di alcuni luoghi comuni diffusi nell'opinione pubblica, in particolare dello stereotipo del rifiuto del la­voro dei giovani degli anni Settanta e dello stereotipo della competizione individualistica e del conformismo dei giovani del decennio successivo. La ricerca lARD del 1992 conferma e chiarisce questi risultati, introducendo anche alcuni ele­menti di novità.

Circa la crescente affinità degli atteggiamenti dei giovani italiani con quelli dei loro coetanei europei, vale la pena di richiamare alcune tendenze chiaramente percepibili. La prima tendenza è il prolungamento dell'età giovanile e il mutato significato dello stesso concetto di gioventù; essere giovani è sempre meno un processo orientato a un fine, cioè al fine di diventare adulti, iniziare a lavorare e assumersi le

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responsabilità dell'età adulta, ed è invece sempre più una condizione sociale che può durare per anni. I giovani ten­dono a lasciare la famiglia più tardi e a rimandare l'età del matrimonio e della nascita dei figli, una tendenza, questa, più accentuata in Italia che altrove a causa di atteggiamenti più protettivi da parte di molti genitori e della minore ten­denza dei giovani ad allontanarsi dalla famiglia per ragioni di studio e di lavoro e a formare unioni coniugali di fatto, come avviene diffusamente nei paesi dell'Europa del Nord e in Francia.

La seconda tendenza è la crescita delle aspettative, de­terminata dall'aumento del livello di istruzione, che ha com­portato un progressivo sfasamento tra domanda e offerta nel mercato del lavoro, una crescente disoccupazione intel­lettuale (soprattutto nelle aree in cui non si è verificato uno sviluppo dei ruoli tecnici e professionali, connessi alla ci­conversione industriale e all'espansione dell'economia ter­ziaria, tale da soddisfare la domanda di lavoro qualificato dei giovani scolarizzati) e un rifiuto dei lavori di basso pre­stigio sociale che vengono lasciati agli immigrati.

Infine, come negli altri paesi sviluppati, la condizione la­vorativa e gli atteggiamenti verso il lavoro dei giovani risul­tano influenzati dal genere, dallo status socio-economico della famiglia e dal luogo di origine e di residenza. Le dise­guaglianze connesse a questi tre fattori sono ancora ben vi­sibili nella ricerca del 1992, anche se nel caso del genere sembrano attenuarsi. Si osserva, infatti, una riduzione delle differenze tra maschi e femmine rispetto al titolo di studio ed alla presenza--nei vari tipi di occupazione. Va tuttavia detto che permangono ancora molto forti le diseguaglianze di genere (a favore, ovviamente, dei maschi) tra gli inattivi e tra coloro che sono in cerca di prima occupazione.

2. Né «hippies», né «yuppies»

L'analisi degli stereotipi mostra che l'atteggiamento di rifiuto del lavoro sembra interessare esigue minoranze. I giovani della generazione del '68 hanno introdotto valori e

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atteggiamenti antiautoritari nei rapporti di lavoro, che si sono sviluppati negli anni successivi non nel senso di una crisi dei meccanismi di socializzazione al lavoro, ma nel senso di un atteggiamento più razionale nei confronti dell'e­sperienza lavorativa. n lavoro rimane un aspetto centrale della vita degli individui, ma si cerca di introdurre più ele­menti di libertà e di autonomia, nel caso di lavori che con­sentano di realizzare le proprie capacità; si cerca di ridurre la quantità e i tempi, nel caso di lavori poco gratificanti, ai quali non si è disposti a sacrificare la propria vita affettiva.

A questo riguardo la ricerca lARD del '92 consente di ap­profondire e meglio interpretare la crescente richiesta di au­tonomia e di valorizzazione delle proprie capacità. Questi risultati permettono di superare lo stereotipo dello «yuppi­smo» degli anni Ottanta. L'atteggiamento della maggior parte dei giovani verso la scelta lavorativa non sembra rien­trare nell'attuazione di un risoluto disegno di affermazione individualistica e di una rigorosa pianificazione della pro­pria carriera, ma sembra piuttosto mostrare sia un atteggia­mento di incertezza al momento della scelta del primo la­voro, sia un atteggiamento pragmatico e negoziale e un rea­listico compromesso tra scelte e opportunità.

La tendenza a una crescente incertezza circa le proprie scelte lavorative è a sua volta riconducibile a due ordini di cause. In primo luogo, la scarsa conoscenza e la ancor mi­nore esperienza che buona parte dei giovani ha del lavoro negli anni della scuola: il lavoro è una realtà piuttosto re­mota e scarsamente visibile per molti studenti, avvicinabile soltanto nella forma del lavoro precario e occasionale. I pro­grammi scolastici non prevedono forme di alternanza istru­zione-lavoro, i mass-media comunicano messaggi incentrati sul tempo libero e sul consumo piuttosto che sulla produ­zione, sulla gratificazione immediata dei bisogni piuttosto che sulla necessità di processi di apprendimento lunghi e complessi e sugli obblighi derivanti da un contratto di la­voro. In secondo luogo, i genitori mancano spesso di una chiara percezione delle inclinazioni e delle effettive capacità dei figli e di adeguate informazioni circa l'evoluzione del mondo del lavoro, quando non offrono un'immagine del la-

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voro come fonte di ansia, preoccupazione e fatica più che di soddisfazione. Questa incertezza non va tuttavia sopravva­lutata, poiché per molti essa nasconde in realtà un atteggia­mento di sperimentazione e di prova che porta a rimandare la scelta definitiva dopo aver esplorato le proprie capacità personali e le richieste del mercato attraverso diverse espe­rienze di lavoro occasionale, temporaneo o precario.

3. Autonomia, flesszbilità e crescita professionale

L'esigenza di autonomia, l'atteggiamento di sperimenta­zione e l'approccio realistico alla scelta del lavoro, capace di mediare tra aspettative e opportunità, appaiono i tratti più qualificanti dei giovani intervistati. L'inizio degli anni No­vanta coincide con il culmine di un periodo in cui il mercato del lavoro raggiunge la piena occupazione nelle regioni del Nord e anche nel Sud si assiste ad una diminuzione della di­soccupazione. Le strategie di offerta di lavoro da parte dei giovani risentono di questa congiuntura favorevole, che non ha precedenti nell'ultimo decennio, e sono influenzate an­che dalle politiche di flessibilizzazione dell'offerta, adottate a cominciare dalla seconda metà del decennio passato, che hanno modificato soprattutto i comportamenti dei giovani in cerca di primo impiego (basti pensare, ad esempio, allo sviluppo dei contratti di formazione e lavoro) .

Benché le prospettive del mercato del lavoro siano celer­mente mutate in peggio, a cominciare dall'anno successivo alla rilevazione, a causa del deterioramento delle condizioni economiche generali, delle crescenti incertezze di molte im­prese circa il futuro e della conseguente riduzione degli in­vestimenti, all'epoca in cui è stata effettuata l'indagine (marzo '92), la percezione dei giovani circa il proprio futuro occupazionale era nel complesso più positiva che in passato, con le cqnsuete parziali eccezioni di alcune aree del Mezzo­giorno. E quindi al contesto socio-economico precedente alla crisi dell'inizio degli anni Novanta che dobbiamo fare riferimento per interpretare gli atteggiamenti dei giovani.

Gran parte dei giovani, avendo esorcizzato la preoccu-

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pazione per il posto di lavoro, appaiono molto interessati ai contenuti e alle modalità del lavoro ed esprimono una forte richiesta di autonomia, non temono la flessibilità del rap­porto di lavoro, che anzi vedono con favore, prediligono la dimensione creativa del lavoro, in grado di favorire l'auto­realizzazione personale, ricercano opportunità di apprendi­mento e crescita professionale, allo scopo di poter espri­mere al meglio le proprie capacità. Significativa al riguardo è la netta propensione per il lavoro autonomo, il mettersi in proprio, l'essere unici responsabili del proprio lavoro. n rapporto di lavoro dipendente sembra sempre meno un mo­dello di aspirazione, un porto sicuro e protetto a cui ten­dere '.

È da rilevare anche il fatto che la preferenza per il lavoro in proprio è elevata non solo tra i figli di lavoratori auto­nomi, ma anche tra i figli di impiegati, mentre è decisa­mente più bassa solo tra i disoccupati, per i quali prevale, ovviamente, preoccupazione di trovare un lavoro comun­que. Inoltre il lavoro è considerato sempre importante nel proprio progetto di vita, ma appunto perché è percepito come più sicuro rispetto al passato, perde una posizione nella graduatoria delle cose importanti nella vita, a favore dell'amicizia e dell'amore.

Se esaminiamo il rapporto tra le strategie degli attori e le condizioni del contesto, appare chiaramente l'adozione di comportamenti molto realistici, cui corrispondono atteggia­menti disincantati e razionali nella ricerca del lavoro, ten­denti a trovare una mediazione praticabile tra aspettative e opportunità del mercato del lavoro, confermando in questo una tendenza ormai decennale, già emersa fin dalla prima indagine lARD dell'83. Ad esempio, confrontando gli atteg­giamenti degli studenti e dei giovani che lavorano, si osserva

1 Le passate edizioni dell'indagine hanno già sottolineato la prefe­renza dei giovani per il lavoro autonomo, piuttosto che per il lavoro di­pendente, ma l'ultima rilevazione mostra un ulteriore calo di favori per il lavoro dipendente (da 32,4% dell'83 al 27,5% del '92) e un aumento di coloro che rispondono «dipende», cioè che mostrano di voler soppesare razionalmente i pro e i contro dell'alternativa.

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un progressivo ridimensionamento delle aspettative circa il lavoro autonomo, espressione del fatto che le trasforma­zioni del sistema produttivo (sviluppo dei ruoli professio­nali e di condizioni lavorative a forte grado di autonomia) procedono più lentamente di quanto sarebbe richiesto dalle aspettative dei giovani. Ciò non deve tuttavia indurre a sot­tovalutare le appena ricordate aspettative di autonomia, au­torealizzazione e responsabilizzazione della maggior parte dei giovani. Anzi, sia le grandi imprese, sia la pubblica am­ministrazione dovrebbero adottare forme di organizzazione del lavoro con forti caratteri di delega di responsabilità e di funzioni, di valutazione dei risultati, di autonomia nella de­finizione delle modalità e dei tempi della prestazione lavora­tiva.

Indicazioni analoghe emergono dall'esame delle moda­lità di ricerca del lavoro, che appaiono adattarsi realistica­mente alla situazione specifica del mercato nelle diverse aree del paese. I giovani meridionali puntano molto più fre­quentemente sull'iscrizione agli uffici di collocamento e sui concorsi pubblici, strategie complementari in una situa­zione di carenza di posti nel settore privato. I giovani del Nord e del Centro si affidano più spesso alle domande inol­trate ad aziende e alle risposte alle inserzioni. I risultati del­l'indagine smentiscono inoltre l'immagine che i giovani del Sud siano costretti, più di quelli del Nord, a ricorrere all'ap­poggio di persone influenti per trovare lavoro. La persi­stenza del divario tra Nord e Sud si manifesta anche nelle differenze nel modo di lavorare e di trovare lavoro dei gio­vani. Ma le difficoltà del mondo del lavoro giovanile al Sud non sono più una condizione omogenea e diffusa e produ­cono degrado solo quando intervengono fattori precipitanti ben individuati nell'indagine, come il basso titolo di studio, l'origine sociale contadina e la condizione femminile.

Chiarite le tendenze generali, vediamo adesso analitica­mente i principali aspetti della condizione lavorativa dei giovani e dei loro atteggiamenti verso il lavoro.

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4. I giovani in condizioni di (quasi) piena occupazione

Ci si può domandare innanzi tutto quale peso eserciti la congiuntura economica sulle strategie di ritardo della tran­sizione all'età adulta. Se è vero infatti che nell'ultimo quarto di secolo, e non solo in Italia, i giovani tendono a rimandare ciascuno dei cinque passaggi essenziali a tale transizione (conclusione degli studi, residenza neo-locale, unione di coppia, lavoro e paternità-maternità), è anche plausibile supporre che almeno due di questi passaggi siano forte­mente influenzati dalla congiuntura economica. La nuova residenza può rappresentare, infatti, una scelta realizzabile solo se il mercato delle abitazioni è favorevole alle modeste disponibilità economiche di un giovane. Anche l'entrata nel mondo del lavoro può dipendere, in definitiva, dalle condi­zioni dell'offerta di posti. li 1992 mostra condizioni occupa­zionali molto favorevoli ai giovani. Ciò nonostante, la per­centuale di coloro che hanno un'esperienza di lavoro non occasionale scende al 37,9%, dal 43% di cinque anni prima. I dati suggeriscono quindi che il miglioramento delle condizioni del mercato del lavoro, ben evidente nei dati della figura 2 . 1 , non riesce ad intaccare una tendenza cultu­rale molto profonda.

La quota di giovani in cerca di prima occupazione, cate­goria storica della condizione giovanile degli ultimi trenta anni, si è ridotta a meno di un terzo (passando dall' 1 1% dell'87 al 3,7% del '92) . Si tratta di un calo davvero rile­vante, difficilmente riscontrabile nelle statistiche ufficiali di altri paesi sviluppati. Tale dato è, peraltro, in linea con le di­namiche occupazionali reali del 1992, giudicate dal CENSIS [1992] sostanzialmente positive fino all'autunno, e con i ri­sultati della rilevazione trimestrale lsTAT [1992] sulle forze di lavoro del secondo trimestre 1992, che mostrano un lieve peggioramento della disoccupazione soltanto a cominciare da luglio .

Esistono con ogni probabilità dei rapporti diretti tra la diminuzione della disoccupazione giovanile degli anni Ot­tanta e l'applicazione delle politiche di flessibilizzazione del rapporto di lavoro perseguita negli anni recenti anche in

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o Lavoratori e Studenti I n cerca di l Disoccupati Inattivi

studenti/ occupazione lavoratori

• IARD '87 D IARD '92

FrG. 2.1. Condizione professionale 1987-1992 (sottocampione età 15-24).

Italia. Basti pensare che i lavoratori avviati con contratti di formazione e lavoro, che rientrano esattamente nelle fasce di età comprese nella nostra ricerca, raddoppiano dopo la metà degli anni Ottanta fino a superare il mezzo milione 2• Anche i contratti a tempo parziale, che non riguardano tut­tavia soltanto i giovani, superano il numero di 200.000 nel 1991.

I dati ricavabili dalla nostra inchiesta non mostrano tut­tavia solamente una riduzione drastica dei giovani che at­tendono il primo impiego. Anche i disoccupati, cioè coloro che sono in cerca di una nuova occupazione, avendo perso la precedente, sono diminuiti, sia pure in misura più ridotta (passando dal 5,3% al 4,9%).

2 A causa delle modifiche normative riguardanti questo tipo di con­tratti di lavoro, i giovani avviati calano però a 286.000 unità nel 1991 (cfr. Ministero del Lavoro [1992]).

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n 41% del totale degli intervistati al di sotto dei 25 anni attualmente lavora a diverso titolo e secondo modalità molto differenziate. I giovani che svolgono un lavoro vanno a comporre, infatti, una categoria eterogenea, perché sol­tanto la metà lavora con un contratto di lavoro a tempo pieno, cioè secondo modalità di lavoro standard3• I lavora­tori autonomi rappresentano il 15,4%, mentre il 14,5% ha un rapporto di lavoro atipico (part-time, lavoro a termine, lavoro precario). A questo gruppo deve essere aggiunto il restante 22,2%, rappresentato da studenti-lavoratori.

Tra gli studenti che attualmente non lavorano (46,8%, in aumento sensibile rispetto al 39, 1% dell'indagine '87), il 4,4% ha già lavorato in modo non occasionale, il 4,9% ac­cetta spesso lavori saltuari retribuiti, il 28,2% ha comunque fatto almeno un'esperienza saltuaria di lavoro occasionale.

In sostanza si può dire che la percentuale di coloro che nel corso della propria esistenza hanno maturato una qual­che esperienza di lavoro sale dal 60% del 1983 al 66,4% del 1992. Si tratta quindi di una crescita non trascurabile, che riguarda essenzialmente l'allargamento della fascia di occupazione marginale. Come cercheremo di dimostrare fa­cendo ricorso ai dati sulla soggettività del lavoro, la diffu­sione dei ruoli marginali corrisponde in parte ad una stra­tegia precisa e dipende quindi dalla combinazione di scelte consapevoli e di nuove condizioni strutturali. L'attrazione che il mondo del lavoro ha esercitato sui giovani è testi­moniata, del resto, anche dalla riduzione degli inattivi e degli studenti che, pur non dichiarandosi studenti-lavora­tori, ammettono di lavorare occasionalmente al momento dell'intervista. Questo ultimo gruppo raddoppia addirittura nel periodo considerato,_ passando dal 4,3% al 8,5% del campione complessivo. E quindi vero che i giovani posti­cipano l'entrata definitiva o «ufficiale» nel mondo del la­voro, rimanendo più a lungo in condizione di studenti, ma

3 Specificamente si tratta del 54,2% su un totale di 661 individui oc­cupati, cioè soltanto del 20,9% del campione complessivo.

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TAB. 2.1. Condizione professionale per sesso (%)

Condizione 1987

M F M

Lavoratore-studente/lavoratore 43,5 30,6 43,9 Studente 40,1 38,1 45,1 In cerca di prima occupazione 7,8 14,3 2,3 Disoccupato 5,5 5,1 5,1 Inattivo 3,1 1 1,9 3,6

100,0 100,0 100,0 N = 2.000 1.718

TAB. 2.2. Condizione professionale per titolo di studio (%)

Lavoratore-studente/lavoratore Studente In cerca di prima occupazione Disoccupato Inattivo

N = 2.500

Elementare

50,1 8,8 3,9

12,7 24,5

100,0

Media Inferiore

47,5 39,3 2,6 5,5 5,4

100,0

1992 F

38,3 48,5 4,2 4,7 4,2

100,0

Media Superiore

54,6 30,9 5,2 5,7 3,5

100,0

ne assaggiano il sapore con qualche esperienza «ufficiosa» in modo altrettanto generalizzato (tab. 2 . 1 ).

n richiamo del mercato del lavoro non ha, peraltro, fre­nato la crescita progressiva di lungo periodo del titolo di studio, che continua a rappresentare una credenziale im­portante per accedere al mercato delle occupazioni. Infatti, coloro che hanno soltanto la licenza elementare sopportano un tasso di disoccupazione molto più alto di quelli che sono almeno diplomati ( 12,7% contro 5,7%) e soprattutto una più alta percentuale di disoccupati scoraggiati che non cer­cano più il lavoro (22,5% contro 1 ,5%) (tab. 2.2).

La tabella 2.3 mostra inoltre in modo evidente il perma­nere delle tradizionali differenze tra regioni ricche e povere. Al Sud la disoccupazione è più alta, è più elevata la propor­zione di giovani in cerca di prima occupazione, e rimane alta anche la percentuale di inattivi, cioè di giovani disoccu-

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TAB. 2.3. Condizione professionale per zona geografica di residenza (%)

NO NE Centro Sud

Lavoratore-studente/lavoratore 59,4 61,4 46,9 43,1 Studente 32,9 32,7 4 1,8 33,0 In cerca di prima occupazione 1,3 0,5 3,6 6,5 Disoccupato 2,8 2,5 4,5 9,5 Inattivo 3,6 2,9 3,2 7,9

100,0 100,0 100,0 100,0 N =2.500

pati che, essendo scoraggiati, non cercano neppure il la­voro. La situazione del mercato del lavoro appare più favore­vole nel Nord-Est che nel Nord-Ovest. Nelle tre Venezie e in Emilia Romagna il gruppo di 341 intervistati comprende sol­tanto due giovani in cerca di prima occupazione. Si può quindi affermare che, all'inizio degli anni Novanta, in queste regioni, il problema non riguarda i giovani, ma le aziende, che ri­schiano di non trovare addetti in caso di bisogno.

I maschi tendono ad entrare più precocemente delle femmine nel mercato del lavoro, poiché tra gli occupati il 3 1 ,5% dei maschi ha un'anzianità lavorativa superiore a quattro anni, contro il 23,3% delle femmine. Tra i lavora­tori-studenti, i maschi hanno più frequentemente accesso ad un lavoro stabile, mentre le femmine conoscono più spesso esperienze di lavoro occasionale. Questa situazione è frutto della persistente maggiore difficoltà relativa della componente femminile a trovare lavoro ed è comprovata anche dal fatto che, per ottenere un posto, le giovani inter­vistate devono possedere un titolo di studio mediamente su­periore a quello dei maschi. Infatti, tra gli occupati, le donne diplomate sono il 45,2% contro il 32,7% dei maschi. Anche le giovani con istruzione post-diploma o laurea sono relativamente più numerose dei maschi (9, 1% contro 6,4%). Non stupisce quindi che i tassi di disoccupazione femminili siano sensibilmente superiori a quelli maschili4•

4 I tassi di disoccupazione sono calcolati secondo la definizione del­l'lsTAT: rapporto tra coloro che cercano lavoro e totale degli attivi.

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Le figure 2.2 e 2.3 mostrano il duplice aspetto della di­soccupazione, quello quantitativo e quello qualitativo. n tasso complessivo rappresenta infatti un indicatore di gra­vità generica, concentrata soprattutto tra i giovani del Sud, con basso titolo di studio e bassa estrazione sociale. L'inci­denza di coloro che sono in cerca di prima occupazione ci dice qualcosa anche sulla qualità della disoccupazione: quanto più basso è il valore, in una situazione di alta disoc­cupazione, tanto più grave la disoccupazione stessa, perché coinvolge giovani che hanno vissuto l'esperienza della per­dita di un lavoro: è il caso soprattutto di coloro che non hanno terminato la scuola dell'obbligo, che sono soggetti ad un sistema di precoce espulsione dal processo produttivo a causa della mancanza di capacità professionali o addirittura di una inadeguata socializzazione al lavoro. Dove, invece, il peso relativo dei giovani in cerca di prima occupazione è basso, all'interno di una situazione di bassi livelli di disoccu­pazione complessiva, si può sostenere che la disoccupazione dovuta a perdita del posto corrisponda ad una sttuazione di mobilità del lavoro assolutamente fisiologica. E questo il caso delle regioni del Nord-Est. Infine, può darsi il caso in cui livelli di disoccupazione superiori alla media sono rap­presentati soprattutto da giovani in cerca di primo impiego. E questo il caso delle alte qualifiche, dei diplomati e soprat­tutto dei laureati, tra i quali persistono fenomeni di disoccu­pazione intellettuale dovuta alle difficoltà di reperimento di un'occupazione adeguata al livello di istruzione formale conseguito .

Le statistiche sui tassi di disoccupazione nascondono però un ulteriore aspetto, circoscritto ma grave, costituito da quei giovani che vorrebbero un lavoro, ma essendo sco­raggiati, non lo cercano più. Tra i figli di contadini per esempio, la percentuale di scoraggiati è del 12,7% del totale degli intervistati, mentre tra i figli della borghesia (impren­ditori, dirigenti, liberi professionisti) e tra i figli di impie­gati, tale percentuale scende al 3,2%.

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1 5

5

o Totale Femmine Maschi Nord-Ovest Nord-Est Centro

• Perso lavoro � Cerca 1 o occupaz.

FIG. 2.2. Tassi di disoccupazione per categorie rilevanti.

25

20

1 5

1 0

5

Sud

O Elementare Media ln l . Diploma Laurea Borghesia Impiegati Aulonomi Operai Contadini

• Perso lavoro Q In cerca 1 o occupaz.

FIG. 2.3. Tassi di disoccupazione per categorie rilevanti.

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5. Le strategie di ricerca del lavoro

Sono ben note le carenze istituzionali del nostro paese nel campo dell'orientamento professionale, dell'integra­zione tra scuola e lavoro e dell'inserimento dei giovani nel mondo del lavoro. L'Italia non possiede, infatti, un sistema di orientamento e formazione professionale per i giovani, capillare ed efficiente come quello francese e neppure strut­ture formative simili a quelle tedesche, che si basano sulla stretta integrazione tra scuola e impresa e prevedono pe­riodi di permanenza degli studenti nelle aziende.

Nonostante queste carenze strutturali, i dati a disposi­zione mostrano un notevole grado di spirito di iniziativa dei giovani italiani. La propensione per il lavoro autonomo e l'alta percentuale di intervistati che hanno vissuto precoci esperienze lavorative fin dal periodo degli studi inducono a ritenere che i giovani siano in grado, nonostante tutto, di sviluppare strategie molto realistiche e «competenti» nella ricerca di un lavoro qualitativamente soddisfacente. Un primo aspetto di queste strategie consiste nella definizione dei confini geografici entro cui muoversi per offrire le pro­prie capacità (tab. 2.4).

La disponibilità a trasferirsi per trovare lavoro o miglio­rame le condizioni è molto elevata perché riguarda più della metà dei rispondenti e coinvolge anche la maggioranza degli intervistati, sia maschi (61%), sia femmine (53%). Un ele­vato titolo di studio rende più disponibili alla mobilità, per­ché i più istruiti aspirano a posti di lavoro più remunerati e il mercato del lavoro delle alte qualifiche è normalmente più

TAB. 2.4. Per trovare lavoro o per migliorar/o, sarebbe disposto a trasferirsi in altro comune? (%)

NO NE Centro Sud Totale

No 29,8 35,3 27,3 27,6 29,3 Sl 52,8 51,6 56,8 61,3 56,9 Dipende 17,3 13,1 15,9 1 1,1 13,8

100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 N = 2.500

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vasto di quello della manodopera generica. Mentre, infatti, tra coloro che hanno la sola licenza elementare, poco più di un terzo (il 37%) è disposto a trasferirsi per motivi di la­voro, tale proporzione raggiunge quasi i due terzi (i l 64%) tra i diplomati e laureati.

La disponibilità a trasferirsi al Nord riguarda il 64% dei giovani del Sud disposti a muoversi, mentre la disponibilità di andare al Sud riguarda soltanto i l 34% dei giovani resi­denti nel Nord-Est, di coloro, cioè, per i quali è più facile trovare lavoro nella propria zona di residenza.

Recenti ricerche comparate internazionali hanno riaffer­mato la preferenza dei lavoratori italiani in generale per i rapporti di lavoro autonomo5• Questa preferenza è ben vi­sibile anche nel nostro campione di giovani e tocca, ovvia­mente, più i maschi delle femmine, oltre ad essere legata alla disponibilità di chances, come l'origine sociale o il livello di sicurezza dell'attuale posto di lavoro. In particolare, mentre l'area geografica di residenza non sembra influenzare la pre­ferenza per il tipo di rapporto di lavoro, i giovani apparte­nenti a famiglie borghesi e di lavoratori autonomi sono rela­tivamente meno propensi al lavoro dipendente, che è invece più apprezzato dai disoccupati e dai giovani che sono at­tualmente impiegati con rapporti di lavoro non standard (part-tùne, lavoro a termine, contratto di formazione e la­voro, lavoro nero, ecc . ) (tab. 2.5) .

In un contesto in cui i giovani sono di fatto privi di una tutela e di un indirizzo istituzionale per l'entrata nel mer­cato del lavoro (meno del 9% si rivolge a centri di orienta­mento) , le modalità di ricerca di quest'ultimo mostrano in prevalenza strategie individualistiche e familistiche: il posto di lavoro viene cercato coinvolgendo il reticolo delle solida­rietà primarie e i l�gami forti del vincolo di amicizia e di pa­rentela (tab. 2.6). E vero che l'iscrizione alle liste di colloca­mento riguarda quasi la stessa percentuale di coloro che confidano in amici e parenti e al Sud è la modalità di ricerca

5 La comparazione di undici campioni riferiti ad altrettanti paesi in­dustrializzati mostra il più alto livello di preferenza assoluta per il lavoro autonomo in Italia [cfr. Eurisko 1993].

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TAB. 2.5. Grado di preferenza dei giovani verso il lavoro in proprio (%)

Nel complesso: maschi femmine

Posizione occupazionale: alle dipendenze stabile alle dipendenze atipico lavoratore autonomo disoccupato studente

Posizione sociale patema: borghesia impiegato lavoratore autonomo operaio contadino

Titolo di studio: elementare media inferiore diploma o laurea

58,8 65,7 51,6

52,9 48,0 76,2 43, 1 64,6

69,1 58,0 61,7 53,0 52,9

52,8 61,0 56,5

del lavoro più diffusa (quasi i tre quarti degli intervistati), ma chi si iscrive alle liste di collocamento è anche più pessi­mista sulla possibilità di trovare effettivamente un posto e, come mostrano molte ricerche, lo fa per ragioni che spesso non hanno direttamente a che fare con obiettivi occupazio-

ali6 n . I dati mostrano peraltro strategie adattive sul mercato

del lavoro. Mentre al Nord c'è un ricorso più frequente al rapporto diretto con le aziende (domande, risposte ad an­nunci, inserzioni), incoraggiato dalle condizioni più favore­voli per l'offerta di lavoro giovanile, al Sud e al Centro, in mancanza di alternative, ci si iscrive senza illusioni alle liste di collocamento e si partecipa ai concorsi pubblici con at­teggiamento disincantato.

6 I limiti del ruolo giocato dagli uffici di collocamento sul mercato del lavoro sono ben noti. L'iscrizione nelle liste di collocamento dipende da vari fattori, alcuni estranei (priorità di accesso ad alcune prestazioni assistenziali), altri collegati solo indirettamente alla ricerca del lavoro (ac­quisire punti in graduatoria per l'ammissione mediante concorso).

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TAB. 2.6. Modalità di ricerca del lavoro (%)

NO NE Centro Sud Totale

Interessato amici e parenti 68,7 52,0 56,0 59,2 59,4 Iscritto all'Ufficio di Collocamento 33,0 33,3 46,6 72,0 57,6 Partecipato a concorsi pubblici 26,1 24,0 44,0 43,2 38,6 Fatto domande ad aziende 45,2 40,0 43,1 26,3 33,5 Risposto ad inserzioni 37,4 29,3 32,8 28,7 30,8 Presentato ad aziende, scuole ... 28,7 33,3 25,9 20,0 23,8 Rivolto a persone influenti 24,3 13,3 17,2 16,4 17,5 Rivolto a centri di orientamento 8,7 8,0 6,9 9,4 8,8 Messo annunci sui giornali 7,0 12,0 6,0 4,6 6,0 N = 2.500

I giovani che sono già entrati a vari livelli nel mondo del lavoro continuano ad orientarsi verso strategie di migliora­mento della propria condizione. Infatti quasi un terzo (il 3 1 , 1%) degli occupati cerca un lavoro migliore. Questa proporzione costituisce, ovviamente, un dato medio e varia nòtevolmente a seconda delle risorse effettive di cui il gio­vane occupato può disporre, nonché delle condizioni e delle caratteristiche del lavoro che svolge. A fronte del 33% di diplomati e laureati che cercano un lavoro migliore, evi­dentemente non accontentandosi del primo lavoro che hanno trovato, sta il 46% di coloro che hanno meno di tre mesi di anzianità lavorativa e quindi dimostrano di accettare il posto con la riserva mentale di cambiare alla prima occa­sione e il 54% di coloro che hanno comunque ottenuto un posto di lavoro di bassa qualifica.

Si profila, in sostanza, una situazione in cui la separa­zione tra condizione occupazionale e condizione inattiva, tra occupazione e disoccupazione, non è più nettamente de­lineata come un tempo. Gli studenti spesso lavorano, agli occupati a tempo pieno, con rapporto di lavoro indetermi­nato, si affianca una significativa proporzione di lavoratori in condizioni atipiche, dal punto di vista del contratto di la­voro e dell'orario. Coloro che entrano nel mondo del lavoro concepiscono il primo posto di lavoro semplicemente come un'occasione temporanea, in attesa di trovare migliori con-

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dizioni, sulla base dell'esperienza maturata e dell' acquisi­zione di capacità professionali on the job. In sostanza i gio­vani degli anni Novanta hanno imparato a servirsi del mer­cato del lavoro per sfruttare una realtà occupazionale molto più variegata che in passato, in cui il lavoro è descrivibile come un continuum dall'occupazione saltuaria al posto di lavoro sicuro e questo continuum può essere percorso cam­biando spesso posto di lavoro, in una situazione più mobile e flessibile che in passato, quando il posto era per defini­zione un posto fisso da raggiungere una volta per sempre.

6. Le condizioni di lavoro

Nei paragrafi precedenti ci siamo occupati delle strate­gie sul mercato del lavoro; ci concentreremo ora sull'analisi delle condizioni di lavoro. n tema è tanto complesso che poco si adatta ad essere studiato dall' «esterno», mediante un questionario, in grado di darci soltanto un'immagine sommaria e un giudizio sintetico dell'intervistato, senza per­metterei di cogliere l'estrema varietà delle effettive condi­zioni di lavoro, che possono, per esempio, dividere gli inse­gnanti precari del Sud, dagli operai delle regioni ad indu­strializzazione diffusa del Centro Italia, dagli impiegati del terziario avanzato urbano di una grande città del Nord. Ciò nonostante l'indagine permette di analizzare almeno due parametri fondamentali della prestazione lavorativa: la re­tribuzione e l'orario di lavoro.

Le differenze nei valori medi delle retribuzioni ricalcano in parte le diseguaglianze, emerse nelle tabelle precedenti, relative all'entrata nel mercato del lavoro: chi ha difficoltà a trovare un posto dovrà probabilmente accontentarsi di uno mediocre. Tuttavia, come emerge dalla tabella 2.7, l'origine sociale, misurata sulla base della posizione paterna, non è in grado di spiegare le differenze dei livelli retributivi, come se la condizione giovanile assicurasse a tutti almeno le mede­sime condizioni di partenza. Tra quello che guadagna il fi­glio del contadino e le entrate del figlio del professionista o del dirigente non ci sono differenze statisticamente signifi-

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TAB. 2.7. Retribuzione media per categorie rilevanti in migliaia

Media generale: 1 .223 maschi 1.361 femmine 1 .053

Area di residenza: Nord-Ovest 1.378 Nord-Est 1.296 Centro 1.300 Sud 1.003

Posizione paterna': borghesia 1.208 impiegato 1.263 autonomo 1 .235 operaio 1 .194 contadino 1.264

Titolo di studio: elementare 970 media inferiore 1. 175 diploma 1.256 laurea 1.444

• differenze statisticamente non significative (sig. = > .01).

cative. Sappiamo che in indagini di questo tipo, le risposte sui redditi tendono, non solo ad essere sottostimate, ma an­che a dare un'immagine meno diseguale rispetto alla realtà effettiva. Tuttavia le differenze riemergono tra i sessi e tra le diverse zone del Paese. Le donne guadagnano mediamente un quinto (il 22,6%) in meno dei maschi, con un lieve ag­gravamento delle differenze rispetto alla rilevazione del 1983, anche se il loro livello di istruzione è, in media, supe­riore a quello dei maschi. TI divario trà Nord e Sud si è in­vece ridotto, pur rimanendo su livelli consistenti. Dall'inda­gine del 1983 risultava che un giovane occupato al Sud gua­dagnava circa un terzo (il 35%) in meno dei suoi coetanei del re'sto del Paese; nel 1992 la differenza si è ridotta ad un quarto ( - 24,7%). Le differenze retributive maggiori re­stano, tuttavia, quelle legate al titolo di studio: i laureati guadagnano mediamente il 50% in più di coloro che hanno soltanto la licenza elementare.

La diseguaglianza delle condizioni di lavoro emerge, in modo più complesso e qualitativo, dall'analisi delle diffe-

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renze nella durata della prestazione, come esposto in figura 2.4, che descrive non solo la ovvia relazione per cui più si la­vora, più si guadagna, ma evidenzia inoltre come nella fascia del part-timel, fino a 29 ore settimanali, esista una fortis­sima diseguaglianza delle retribuzioni a parità di orario, come dimostrato dal calcolo della deviazione standard. Ad orari intorno alle quaranta ore settimanali corrispondono retribuzioni sensibilmente più alte, rappresentate dal veloce innalzamento della curva dei valori medi e dall'abbassa­mento della curva della deviazione standard. Si tratta, in­fatti, della fascia del lavoro tutelato, che troviamo nel mer­cato del lavoro centrale, al quale i giovani aspirano. Oltre le 45 ore settimanali le retribuzioni non aumentano più allo stesso ritmo, ma i valori delle deviazioni standard ricomin­ciano ad impennarsi; ciò sta ad indicare che orari di lavoro particolarmente gravosi comportano maggiori disegua­glianze economiche e segnalano quindi la presenza di disa­gio (( marginalità.

E interessante, a questo punto, analizzare le caratteristi­che sociali dei giovani che si collocano prevalentemente nelle aree estreme del grafico riportato nella figura 2.4. L'o­rario di lavoro effettivo dipende innanzi tutto dal genere dell'intervistato, poiché le donne tendono ad avere orari di lavoro settimanali più brevi e nelle fasce oltre le 45 ore setti­manali la loro proporzione è molto inferiore a quella dei maschi ( 1 8% delle une contro il 36% degli altri). La spiega­zione corrente di queste differenze richiama lo stato civile delle donne: le donne sposate sono meno disponibili ad orari di lavoro lunghi a causa degli impegni domestici. I dati a nostra disposizione richiedono tuttavia una spiegazione un po' più complessa. Se è vero, infatti, che nella fascia di orario standard, intorno alle 40 ore settimanali, troviamo

7 È interessante notare, per inciso, che questa fascia di lavoratori rappresenta il 17,7% del totale, ma che solamente il 3,1% dichiara espli­citamente di lavorare part-time. Come vedremo in seguito, questa diffe­renza percentuale dimostra l'aspirazione dei giovani al tempo pieno e av­valora l'ipotesi che il part-time come condizione stabile sia giudicata sol­tanto una soluzione di ripiego.

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Valori i n .000 l i re

2000

1500

1000

500

o �--L-__ 1_ __ � __ -L __ _L __ _L __ _L __ ����__/ < 1 o 1 0-19 20-29 30-34 35-39 40-44 45-49 50-54 55-59 > 6 o

Ore settimanali di lavoro

D Media D Deviazione standard

FIG. 2.4. Retribuzioni medie e orario di lavoro.

una percentuale di nubili pressoché uguale a quella dei ma­schi e che tra le sposate la percentuale si riduce di quasi un terzo, al di sotto delle 20 ore la proporzione di nubili equi­vale a quella delle coniugate ed è quasi il triplo dei maschi. I dati confermano, in sostanza, che l'orario di lavoro breve è anche un indicatore di sotto-occupazione femminile: molte donne preferiscono lavorare ad orario ridotto a causa dei loro impegni familiari, ma altre non riescono ad ottenere un orario più lungo, come vorrebbero8."

I giovani del Sud non solo lavorano mediamente meno ore, ma l'orario standard di 40 ore riguarda la percentuale più bassa, poiché la proporzione di giovani con orario di la­voro lungo (superiore alle 45 ore) è mediamente più alto

8 La disaggregazione per stato civile di maschi e femmine mostra an­che che quasi la metà delle coniugate (47,1%) concentra il proprio orario tra le 20 e le 39 ore settimanali, mentre oltre un quarto dei maschi coniu­gati (26,8%) lavora per più di 50 ore.

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TAB. 2.8. Occupazione e relativi tassi di femminili:atJzione

Imprenditore, professionista, proprietario agricolo Mansioni direttive Insegnante Impiegato di concetto Impiegato esecutivo Operaio qualificato Artigiano Commerciante Apprendista, lavoratore a domicilio Coadiuvante Altro

Totale

% F su totale

26,9 40,9 85,0 60,0 51,5 27,4 40,7 23,1 25,0 37,4 73,5 43,6

delle altre regioni. Anche l'età influisce sull'orario di lavoro, nel senso di rendere progressivamente più omogenei i re­gimi intorno all'orario standard a tempo pieno, man mano che si passa alle classi di età più avanzate. Un orario molto corto, ma anche molto lungo, è quindi un indicatore di mar­ginalità temporanea di chi è entrato da poco nel mercato del lavoro.

I giovani che svolgono un lavoro autonomo hanno orari di lavoro settimanale mediamente molto più lunghi dei col­leghi alle dipendenze. Infatti il 43,8% di essi ha lavorato più di 45 ore nell'ultima settimana contro il 23% dei dipen­denti. ll fatto che certe condizioni di lavoro implichino orari più o meno lunghi, e che certe occupazioni impongano uno specifico regime settimanale, può essere alla base della per­sistente segregazione di genere su molte occupazioni, ma la tabella 2.8 mostra anche che la segregazione a sfavore delle giovani donne riguarda anche altre dimensioni, come il li­vello di qualificazione del lavoro manuale e il livello di re­sponsabilità del lavoro intellettuale (imprenditori e profes­sionisti), con un'unica significativa eccezione nel lavoro im­piegatizio, dove la femminilizzazione delle mansioni di con­cetto supera quella degli impiegati esecutivi.

In sostanza, si può quindi affermare che le giovani gene­razioni non fanno eccezione alla tradizionale regola gene-

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rale per cui esistono occupazioni più o meno «adatte» a se­conda del genere. Tendono quindi a persistere gli stereotipi che vedono quella dell'insegnante come un'occupazione prevalentemente femminile e il lavoro autonomo come pre­valentemente maschile.

7. La soggettività del lavoro

n dibattito degli anni Settanta sui nuovi orientamenti culturali (cioè gli orientamenti di allora) delle giovani gene­razioni è stato condizionato dalla contrapposizione tra va­lori materialistici e post-materialistici. In questo dilemma l'immagine del lavoro e i suoi significati sono stati assunti come un indicatore attendibile della cultura giovanile in ge­nerale, sia nella riaffermazione della centralità del lavoro o nella sua negazione post-materialistica, sia nella sua conce­zione strumentale o realizzativa. n nostro punto di vista è più circoscritto. Vogliamo analizzare gli atteggiamenti e l'immagine del lavoro in se stessi, non come indicatori di un sistema culturale più vasto. In questa ottica il punto di par­tenza dell'analisi è costituito dalla distribuzione delle rispo­ste relative al livello di soddisfazione nel lavoro.

Nel sondaggio del 1992, condotto, come si è detto, in condizioni di mercato del lavoro decisamente migliori di quelle che hanno caratterizzato le precedenti edizioni del­l'indagine, il grado di soddisfazione dichiarata non è au­mentato, ma si è fatto più moderato e ponderato. Sono in­fatti diminuiti gli entusiasti (i molto soddisfatti sono scesi dal 28,7% del 1983 al 25,3%), ma anche gli insoddisfatti (passati dal 26,6% al 2 1,2%). Prevalgono quindi i giudizi sfumati, mentre vengono confermate le relazioni tra livello di soddisfazione e area geografica. Pur rimanendo sfumato, il giudizio è fortemente influenzato dal livello di istruzione: i meno istruiti sono molto più insoddisfatti, mentre il pos­sesso della laurea aumenta anche il livello di soddisfazione (tab. 2.9).

La soddisfazione sul lavoro è anche correlata positiva­mente con il guadagno mensile (i molto soddisfatti guada-

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TAB. 2.9. Soddisfavone sul lavoro (15-29ennz)

NO NE Centro Sud Totale

Per nulla 6,1 1,7 7,5 10,4 6,5 Poco 9,0 7,3 14, 1 21,7 13,3 Non so 0,9 0,9 1,0 1,2 5,7 Abbastanza 53,0 59,0 54,8 49,5 50,8 Molto 3 1,0 31,2 22,6 17,2 23,7

100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 N = 1.257

gnano mediamente 1 .374.000 lire contro 936.000 dei non soddisfatti) e con l'origine sociale dell'intervistato. Conse­guentemente con il modello di razionalità strategica, i meno soddisfatti sono anche più propensi a trasferirsi per miglio­rare la loro condizione. Se confrontato con analoghe inda­gini su campioni rappresentativi di tutta la popolazione9, il grado di soddisfazione nel lavoro espresso dai giovani non si discosta sostanzialmente da quello dei colleghi più an­ziani. Infatti le domande che mirano semplicisticamente a misurare il livello assoluto di soddisfazione sul lavoro pec­cano di scarsa varianza e tendono in genere a spostare la di­stribuzione delle risposte sui valori corrispondenti ad alti li­velli di soddisfazione dichiarata. Questo fenomeno è ben conosciuto ed è legato al fatto che il giudizio sul proprio la­voro equivale in parte anche ad un giudizio su se stessi, coinvolgendo l'immagine e l'identità personale. La corretta misurazione del livello di soddisfazione sul lavoro deve per­ciò essere rapportata ad altre grandezze valoriali.

Come discusso in altra parte del volume 10, all'interno della tipologia dei valori presentata, il lavoro viene collocato al terzo posto in ordine di importanza, dopo la famiglia e le amicizie/l' amore. n lavoro conta più del tempo libero, dello studi� e della cultura, dell'impegno sociale, religioso e poli­tico. E interessante notare che, rispetto alle precedenti rile-

9 Cfr. Ceri [1988] e Chiesi [1990]. 10 Si veda in proposito il capitolo terzo e, in particolare, la tabella 3.L

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vazioni, il valore attribuito al lavoro perde la seconda posi­zione e viene superato da quello riguardante gli affetti (ami­cizia e amore) . La perdita di importanza del lavoro rispetto ad altri obiettivi è, a nostro avviso, attribuibile al raggiungi­mento del pieno impiego e, di conseguenza, dovrebbe avere un carattere congiunturale. In particolare si possono fare due previsioni per il futuro, sulla base di un'interpretazione congiunturale o di una strutturale. L'interpretazione con­giunturale suggerisce che il peggioramento delle condizioni occupazionali giovanili dovrebbe far crescere l'importanza relativa del lavoro rispetto ad altri aspetti della vita. L'ipo­tesi strutturale, che si basa sulla progressiva perdita di im­portanza del lavoro nel lungo periodo, rilancerebbe invece le interpretazioni post-materialistiche della cultura giova­nile.

L'analisi delle gerarchie valoriali condotta per categorie rilevanti di intervistati non sembra tuttavia dare molto cre­dito a questo tipo di interpretazione. Percentuali di rispon­denti al di sopra della media generale che ritengono il la­voro «molto importante» sono presenti tra coloro che non hanno ancora raggiunto una posizione soddisfacente, come i giovani in cerca di prima occupazione (72%) e i lavoratori occasionali (79, 1%). Anche i giovani del Sud attribuiscono una relativa maggiore importanza al lavoro rispetto ai gio­vani del Nord (65,1% contro 57, 1%), verosimilmente a causa della sua maggiore scarsità relativa. I modelli di rispo­sta non devono tuttavia indurre a pensare che il lavoro sia più importante solo per coloro che aspirano ad attenerlo o ad averne uno migliore. Anche coloro che svolgono attività gratificanti e realizzative, come gli imprenditori (73,8%) e i professionisti (76%), considerano il lavoro molto impor­tante. Più in generale, l'importanza attribuita al lavoro cre­sce con il crescere del titolo di studio.

In sostanza, i risultati dell'indagine mettono in evidenza che non ci troviamo di fronte al declino dell'importanza del lavoro, ma alla trasformazione della sua concezione. Infatti la graduatoria degli aspetti più importanti del lavoro subi­sce una modifica ancora più significativa rispetto alle prece-

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TAB. 2.10. Graduatoria degli aspetti più importanti nel lavoro

l. Possibilità di imparare cose nuove ed esprimere le proprie capacità 2. Lo stipendio, il reddito 3. La possibilità di migliorare (reddito e tipo di lavoro) 4. Le condizioni di lavoro (ambiente, tempi di trasporto, ecc.) 5. Buoni rapporti con i compagni di lavoro 6. Buoni rapporti con i superiori, i capi 7. La possibilità di viaggiare molto 8. L'orario di lavoro

denti edizioni dell'indagine. Era già stato rilevato 11 che le opinioni dei giovani si dividono tra una concezione tradizio­nale del lavoro, che ne assume la valenza strumentale, e con­sidera quindi il reddito come l'aspetto più importante, e una concezione realizzativa, posta più in alto nella scala di evoluzione dei bisogni. Con gli anni Novanta, la crescita dei livelli di istruzione e l'evoluzione delle condizioni di lavoro giovanile hanno portato alla prevalenza della concezione realizzativa su quella strumentale, come dimostrato dall'in­versione in graduatoria delle due concezioni ( tab. 2. 1 O).

L'interesse per l'aspetto reddituale del lavoro cresce scendendo al Sud e tra i giovani di estrazione sociale più modesta. n titolo di studio influisce molto sull'immagine del lavoro. All'aumento del titolo di studio diminuisce l'in­teresse per il reddito (i giovani che hanno soltanto il titolo elementare mettono il reddito al primo posto, i diplomati al terzo), per la qualità dei rapporti con i compagni di lavoro e con i superiori e per l'orario e aumenta l'interesse per la di­mensione realizzativa, come la possibilità di migliorare la propria posizione e soprattutto la possibilità di imparare cose nuove ed esprimere le proprie capacità (primo posto tra i diplomati, terzo posto tra i giovani con sola istruzione elementare).

In sostanza, il lavoro perde una posizione significativa nella competizione con altri valori esistenziali, ma acquista

11 Si veda in particolare l'interpretazione dei dati che viene proposta nella precedente edizione del rapporto [cfr. Cavalli e de Lillo 1988].

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TAB. 2.11. Preferirebbe /are meno ore guadagnando meno o guadagnare di più fa­cendo più ore di lavoro?

Elementare Media Diploma Laurea Totale

Meno ore 13,6 19,7 29,4 28,3 24,1 Più ore 72,7 63,3 52,0 56,6 58,2 Non so 13,6 17,0 18,6 15,1 17,7

100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 N = 1.257

una dimensione più pregiata nell'aspirazione qualitativa. n lavoro è cioè sempre meno una necessità faticosa, da con­quistare, per ridurre gli effetti negativi della sua assenza, ma neppure da neutralizzare o circoscrivere, una volta otte­nuto, per ridurre gli effetti negativi della sua presenza.

La tabella 2. 1 1 esemplifica questo atteggiamento attra­verso l'analisi delle risposte all'alternativa tra durata dell'o­rario di lavoro e retribuzione. La maggior parte degli inter­vistati vorrebbe lavorare di più e guadagnare di più, ma per i diplomati e i laureati questa propensione si riduce sensibil­mente, pur rimanendo maggioritaria. Anche l'età influisce sull'alternativa tra orario e salario. L'aspirazione dei giovani è quella di arrivare ben presto ad una completa integrazione nel mondo del lavoro, perciò i più giovani, che di fatto lavo­rano meno, preferirebbero lavorare più a lungo per guada­gnare maggiormente.

Questa propensione si riduce con l'età, a causa del pro­gressivo raggiungimento di una posizione di lavoro stabile e a tempo pieno; infatti il 65% dei giovani che lavorano da meno di due anni vorrebbe lavorare di più, contro il 49,5% di coloro che hanno più di quattro anni di anzianità lavora­tiva.

Si può quindi affermare che la razionalità attiva con cui i giovani affrontano il loro rapporto con il lavoro sembra emergere da un capitolo sull'individualismo metodologico di un qualsiasi manuale di sociologia. n lavoro è de-ideolo­gizzato, gli ideali di realizzazione e autonomia lasciano spa­zio anche ad atteggiamenti moderatamente opportunistici (basti pensare, per esempio, che il 65% dei rispondenti

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condanna l'assenteismo sul lavoro come inammissibile, ma solo il 50% si dichiara estraneo al fenomeno) e anche gli in­teressi sono perseguiti in una logica prevalentemente indivi­duale, come appare evidente dal fatto che soltanto 1'8,2% degli occupati alle dipendenze ha partecipato negli ultimi dodici mesi ad attività sindacali, mentre una percentuale maggiore dei lavoratori autonomi ( 1 1 ,7%) ha aderito ad at­tività delle rispettive associazioni di categoria. In una lista di quindici organizzazioni, gruppi, associazioni e iniziative col­lettive, il sindacato viene esattamente all'ultimo posto nel­l'interesse degli intervistati, dopo i club dei tifosi, gli scouts e le associazioni turistiche. Questi dati sono in linea con quanto emerge dall'Eurobarometro del 1990, dedicato ai giovani dei paesi della CEE, che mostra livelli di sindacaliz­zazione italiani del 2,1%, simili a quelli della Spagna ( 1 ,8%) e della Francia (2,2%), mentre i paesi in cui i giovani sono più sindacalizzati raggiungono appena il 10% come in Ger­mania Occidentale e in Gran Bretagna. Nel panorama euro­peo di declino della partecipazione sindacale, i giovani rap­presentano quindi la componente più critica. La situazione è particolarmente grave in Italia, perché a tassi di sindacaliz­zazione complessivi stimabili intorno alla media europea del 40% nella seconda metà degli anni Ottanta, la sindacalizza­zione giovanile è relativamente molto più bassa, simile a quella di paesi come Francia e Spagna, in cui il tasso di sin­dacalizzazione complessivo risulta più basso in assoluto, in­torno al 15%. Occorre quindi spiegare il relativo maggiore distacco dei giovani dal sindacato nel nostro paese.

In generale, è stato autorevolmente rilevato 12 che i sin­dacati in Italia sono rimasti estranei al secondo miracolo economico degli anni Ottanta, quello che ha permesso ai giovani di oggi di entrare nel mercato del lavoro. n sinda­cato ha infatti sempre difeso l'occupazione delle grandi aziende, dove le assunzioni di giovani sono state marginali negli ultimi dieci anni e ha visto lo sviluppo della piccola impresa diffusa e del terziario come una vittoria della ten-

12 C&. Accornero [1992].

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denza de-regolativa e neoconservatrice del capitale. Anche nelle grandi fabbriche la rappresentanza sindacale di base è rimasta a lungo impermeabile al ricambio della forza lavoro, a causa di una diffusa incapacità di rinnovare i consigli dei delegati, rimasti a lungo espressione delle leve anziane della forza lavoro. Non stupisce quindi che i giovani del nostro campione avvicinino, nel grado di fiducia accordato, l'im­magine del sindacalista a quella, peraltro alquanto deterio­rata, del funzionario statale, della classe politica e dei mem­bri del governo 13• I sindacati si sono posti tradizionalmente obiettivi concreti di tutela del salario, di riduzione dell'ora­rio e di miglioramento delle condizioni di lavoro e in questi campi hanno ottenuto in passato significativi risultati e am­pio consenso della base. L'indagine mostra che i giovani non sono insensibili a tutto questo, poiché i tassi di sindaca­lizzazione aumentano significativamente tra coloro che con­dividono una concezione strumentale del lavoro. Ma è an­che vero che, come si è detto, questa concezione tende ad essere sostituita dal lavoro come opportunità di realizza­zione 14. Su questo obiettivo i sindacati non hanno ancora sa­puto offrire niente ai lavoratori, anche perché esso viene ef­ficacemente perseguito ricorrendo a strategie individuali, più che collettive.

13 Alla domanda sul grado di fiducia accordato a tredici diverse isti­tuzioni e figure sociali, il sindacalista occupa soltanto il decimo posto.

14 Ad esempio, il tasso di sindacalizzazione dei lavoratori dipendenti che considerano più importante lo stipendio e le condizioni di lavoro su­pera il 10%, mentre tra i giovani che ricercano soprattutto occasioni per imparare ed esprimere le proprie capacità, il tasso di sindacalizzazione crolla sotto il 5%.

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CAPITOLO TERZO

ORIENTAMENTI DI VALORE E IMMAGINI DELLA SOCIETÀ

l . Le cose importanti della vita

Cogliere il quadro valoriale delle giovani generazioni non è un procedimento facile per numerosi motivi. Anzi­tutto la stessa nozione di valore ha assunto diversi significati e specifiche connotazioni a seconda dei contesti teorici nei quali è stata usata. In secondo luogo la fascia di età qui in­dagata si caratterizza proprio per il fatto di corrispondere ad una fase del ciclo di vita nella quale i sistemi valoriali si vanno strutturando e trasformando; risulta dunque difficile fissare un processo in corso. Non va trascurato, infine, che in ùn'indagine di tipo estensivo come quella che abbiamo condotto, la parte dedicata ai valori è, necessariamente, li­mitata ad un numero di indicatori notevolmente ridotto, ri­spetto a quello necessario per indagare a fondo il sistema di valori degli intervistati.

Malgrado queste limitazioni, il complesso di risposte alle domande che analizzeremo in questo capitolo ci consente di delineare un quadro abbastanza netto degli orientamenti giovanili, delle condizioni di vita che le nuove generazioni ritengono desiderabili e dei principi che ispirano tanto la loro visione del mondo, quanto l'immagine che essi hanno della società, quanto, infine, gli atteggiamenti che elaborano verso alcune importanti dimensioni della vita. Dovremo, na­turalmente, considerare le risposte alle domande come in­dizi o tracce visibili di dimensioni valoriali sottostanti, cer­cando di identificare l'esistenza di strutture implicite e di fattori che ne possano spiegare la variabilità.

n primo elemento da prendere in considerazione fa rife­rimento al peso che gli intervistati danno ad alcuni ambiti di vita (come la famiglia, il lavoro, il tempo libero, lo sport) e ad alcune aree di impegno o di interesse (come la religione,

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TAB. 3.1 . La gerarchia dei valori. Confronto fra le tre indagini fARD. Percentuale di coloro che hanno indicato come «molto importante» ciascun valore

1983 1987 1992'

l. La famiglia 81,9 82,9 85,6 2. ll lavoro 67,7 66,6 60,2 3. n ragazzo l a, gli amici 58,4 60,9 70,6 4. Lo svago nel tempo libero 43,6 44,2 54,4 5. Lo studio e la cultura 34,1 32,2 36,4 6. Le attività sportive 32,1 31,9 36,1 7. L'impegno sociale 21,9 17,9 23,5 8. L'impegno religioso 12,2 12,4 13,2 9. L'attività politica 4,0 2,8 3,7

N = 4.000 2.000 1.718

' Sottogruppo dei 15-24enni.

la politica, il sociale, la cultura, la vita affettiva) . Per cia­scuno di questi elementi abbiamo chiesto, analogamente a quanto fatto nelle precedenti indagini, in che misura gli in­tervistati li ritenessero importanti per la propria vita, collo­candoli su una scala a cinque livelli (dal «molto» al «per nulla» importante). Dal momento che si tratta di items che fanno riferimento a sfere diverse della vita di ciascuno di noi, possiamo considerare le risposte ottenute come indizi del sistema di valori, intesi nel senso precisato sopra di con­dizioni o stati desiderabili.

Possiamo, quindi, confrontare le risposte ottenute nel­l'inchiesta del '92 con quelle raccolte nelle due indagini pre­cedenti per tracciare un quadro dei mutamenti intervenuti nell'arco di quest'ultimo decennio. La tabella 3 . 1 riporta tale confronto (dal quale, per ovvi motivi di comparabilità, sono stati esclusi i 25-29enni), basato sulla percentuale di coloro che hanno indicato come «molto importante» cia­scuno dei diversi items proposti. La graduatoria comples­siva non ha subito mutamenti nel tempo tranne che per lo scambio di posizioni tra il lavoro e la dimensione affettivo­amicale. Per il resto le posizioni reciproche non sono mu­tate nel corso del decennio. La famiglia continua a rimanere l'area di riferimento forte e, anzi, va rafforzandosi sempre più, come luogo privilegiato e fondamentale nella costru-

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zione dell'identità giovanile. All'estremo opposto l'attività politica, pur in leggera ripresa rispetto all'87, rimane sem­pre un ambito lontano dagli interessi delle nuove (ma forse, oggi, anche delle vecchie) generazioni.

Indipendentemente dalla posizione occupata in gradua­toria, possiamo distinguere i diversi ambiti di vita e le diffe­renti aree di interesse in quattro gruppi a seconda dell' anda­mento mostrato dal confronto fra le tre indagini: a ) valori in ascesa netta: area affettivo-amicale, svago e tempo libero; b) valori in ascesa lenta ma costante: la famiglia, l'impegno re­ligioso; c) valori in ripresa rispetto alla stasi o al calo del pe­riodo '83-'87: l'impegno sociale, le attività sportive, lo stu­dio e la cultura e, seppure in misura estremamente ridotta e poco significativa, la politica; d) valori in calo netto: il la­voro.

I giovani dei primi anni Novanta sembrano caratteriz­zarsi, dunque, per una maggiore valorizzazione di quegli ambiti di vita che si collegano alle sfere del privato, dei rap­porti interpersonali, dell'evasione. La ripresa di interesse per l'impegno sociale e la costante crescita per quello reli­gioso sono, tuttavia, indizi di una realtà più articolata di quanto possa apparire a prima vista.

La diminuzione dell'importanza del lavoro indica che le nuove generazioni sono più pigre delle precedenti o è spie­gabile in altro modo?

Per analizzare più a fondo le tendenze ora delineate oc­corre vedere come il sistema dei valori si articoli all'interno delle diverse fasce di età, tentando di separare le compo­nenti evolutive da quelle generazionali. La tabella 3.2 mo­stra il confronto tra le percentuali di «molto importante» raggiunte da ciascun valore nei diversi gruppi di età. E facile vedere che l'unico ambito di vita la cui importanza cresce costantemente al crescere dell'età è proprio il lavoro. n calo d'importanza osservato nel decennio può, allora, essere in­terpretato non tanto come «rinascita» della disaffezione al lavoro, quanto come conseguenza del prolungarsi dell'età giovanile, intesa come condizione di attesa e di rinvio dei momenti di scelta. Già viene osservata in altre parti di que­sto volume la crescente tendenza dei giovani a restare sem-

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TAB. 3.2. La gerarchia dei valori. Confronto fra i gruppi di età. Percentuale di co-loro che hanno indicato come «molto importante» dascun valore

15-17 18-20 21-24 25-29 Totale anni anni anni anni '92

l . Famiglia 83,9 83,7 87,9 87,5 86,2 2. Lavoro 52,9 63,0 63,0 65,1 61,7 3. Affetti 67,4 74,6 70,0 61,5 67,8 4. Tempo libero 60,9 55,7 49,3 43,2 50,9 5. Studio-cultura 36,0 40,0 34,2 32,4 35,2 6. Sport 43,7 35,2 31 ,9 26,7 33,2 7. Impegno sociale 23,8 24,1 22,8 22,1 23,0 8. Impegno religioso 16,5 12,5 1 1,4 13,6 13,3 9. Attività politica 4,6 3,8 3,0 4,9 4,0

N =2.500

pre più a lungo in famiglia, a prolungare il periodo degli studi, ad orientarsi verso comportamenti «esplorativi» sul mercato del lavoro, prima di compiere scelte definitive. Non stupisce, quindi, che il lavoro sia una dimensione della vita che, pur restando fra le principali, tende ad essere sot­tovalutata nelle età più giovani, per aumentare via via di peso col passare degli anni e con l'avvicinarsi dei momenti di svolta della vita.

Se il lavoro è l'unico valore che cresce con l'età, altri due ambiti di vita - lo svago nel tempo libero e le attività spor­tive - mostrano la tendenza decisamente opposta. Anche questo dato tende a ridimensionare quella propensione al­l' evasione che appariva dalla lettura della tabella 3 . l . Lo sport è importante per quasi metà (44%) dei 15- 17enni, ma continua ad esserlo solo per circa un quarto (27%) dei 25-29enni. Anche in questo caso l'interpretazione non è diffi­cile e non consente, comunque, la lettura semplicistica di una realtà giovanile sempre più orientata al disimpegno.

Abbiamo visto che nella rilevazione del '92 la dimen­sione affettivo-amicale (il ragazzo/la ragazza, gli amici/le amiche) ha tolto il secondo posto in graduatoria al lavoro. Per comprendere meglio tale fenomeno può aiutarci il gra­fico di figura 3 .1 , nel quale è rappresentato l'andamento delle percentuali di coloro che, all'interno di ciascuna leva,

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80

75

70

65

60

55

%

50�----------------------------------------_J

1 5 1 6 1 7 1 8 1 9 20 21 22 23 24 25 26 27 28 29

Età

D Affetti • Media

FIG. 3.1. Importanza della dimensione affettivo-amicale secondo l'età. Interpola­zione con le medie mobili.

hanno indicato come «molto importante» l'area degli affetti extra familiari. Per rendere più chiaro l'andamento com­plessivo del fenomeno tra le varie leve, il grafico è stato co­struito con la tecnica delle medie mobili 1• La forma gene­rale è quella di una parabola, con il massimo in corrispon­denza dei l? -19 anni ed una discesa molto ripida dai 2 1 anni in poi. E abbastanza facile concludere che la figura 3 . l esprime in modo chiaro l'andamento dello sviluppo della socialità nell'età giovanile. Intorno ai 15- 16 anni inizia la ri­cerca di affetti fuori della famiglia, tra gli amici del proprio e dell'altro sesso, che raggiunge il culmine tra i 17 e 19 anni. Nelle età più adulte, la maggior sicurezza raggiunta, lo sta­bilizzarsi delle amicizie e degli affetti, l'ampliarsi delle sfere

1 Le medie mobili sono state calcolate con il metodo «before-after». In pratica il valore corrispondente ad ogni anno di età è stato sostituito dalla media calcolata sul valore stesso e su quelli immediatamente prece­dente e seguente. In questo modo la linea spezzata viene «lisciata» ri­spetto agli sbalzi dovuti a variabilità di campionamento e ad altri fattori; si rende, cosl, più facilmente leggibile il trend generale del fenomeno sotto osservazione.

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di vita portano ad una relativa diminuzione del peso di que­st'area.

Per quanto riguarda lo studio e la cultura, l'andamento assume la forma di una parabola. n fatto che la proporzione più elevata di interesse si trovi in corrispondenza dei 18-20 anni dimostra che questo item è fortemente legato ai pro­cessi di scolarizzazione. A sostegno di questa affermazione va anche osservato che l'importanza maggiore viene attri­buita da chi proviene da una famiglia di livello culturale alto ed ha un titolo di studio elevato. Poco confortante, peraltro, è il calo che si registra nel gruppo dei 25-29enni, che appare essere la coorte meno interessata allo studio ed alla cultura. È presumibile, tuttavia, che la fase particolare del ciclo di vita attraversata dalle persone in questa fascia di età possa spiegare tale caduta di interessi. La ricerca di un lavoro sta­bile e la definizione del proprio progetto di vita raggiun­gono, in queste età, il culmine e, probabilmente, inducono a prestare maggior attenzione alle componenti strumentali a scapito di quelle espressive ed evasive.

Anche l'impegno religioso ha un andamento quasi para­bolico ma, in questo caso, la concavità è rivolta verso l'alto, con il minimo in corrispondenza dei 22-24 anni (fig. 3.2). L'andamento dell'importanza della religione secondo le di­verse età mostra un calo molto netto in corrispondenza con l'uscita dall'adolescenza ed una ripresa, seppure lenta, tra gli ultra venticinquenni. Considerato il rilievo di quest'area nella formazione dei sistemi di valore, conviene rimandare al paragrafo successivo un'analisi più dettagliata del peso che la religione ha nella vita delle giovani generazioni.

Gli ambiti di vita e le aree di interesse esaminate nelle tabelle 3 . 1 e 3.2 possono essere ricondotte facilmente a due dimensioni principali, la prima caratterizzata dall'orienta­mento verso il privato e dall'evasione, la seconda, invece, riconducibile all'impegno pubblico ed all'attenzione verso gli altri. Per verificare se, effettivamente, gli indicatori uti­lizzati riescono a cogliere tali dimensioni, abbiamo fatto ri­corso all'analisi dei fattori, dopo avere eliminato tre items che, dall'analisi precedente, sono risultati di più complessa interpretazione perché, presumibilmente, correlati a dimen­sioni differenti.

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1 8 kC - - - - - - - - - -

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D Religione • Media

FIG. 3.2. Importanza della religione secondo l'età. Interpolazione con le medie mobili.

Poco utile, infatti, è inserire nell'analisi l'item sUlla fami­glia, sia per la sua scarsa variabilità, dovuta al fatto di essere considerata importante dalla quasi totalità del campione, sia per l'ampiezza semantica del termine che, probabilmente, copre una vasta gamma di proiezioni e di bisogni affettivi, anche assai diversi tra loro. Anche l'importanza data al la­voro è stata eliminata dall'analisi perché fortemente corre­lata al titolo di studio conseguito, al tipo di scuola frequen­tata e alla condizione professionale dell'intervistato che, a loro volta, dipendono dalle condizioni socio-economiche della famiglia, dalle prospettive offerte dal mercato del la­voro locale, dal genere dell'intervistato e dai suoi progetti di vita. L'importanza assegnata allo studio ed alla cultura, in­fine, ha mostrato una certa ambiguità di andamento fra i vari sottogruppi, forse per l' accostamento di due termini («studio» e «cultura») non sempre vissuti come sinonimi. Tale ambiguità non rende facile l'attribuzione dell' item ad una dimensione specifica e l'item stesso è stato, quindi, espunto dall'analisi.

L'analisi fattoriale condotta sui restanti sei items ha dato risultati complessivamente soddisfacenti, consentendo di

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identificare due fattori, il primo correlato allo sport, al tempo libero ed alla dimensione affettivo-amicale, il se­condo spiegato dall'impegno sociale, dall'impegno religioso e dall'attività politica 2• n primo fattore identifica chiara­mente una dimensione che potremmo chiamare «orienta­mento al privato», nel senso che si connette agli interessi più strettamente legati al sé ed al suo intorno immediato, allo svago, all'evasione. n secondo fattore, per contro, corri­sponde ad una dimensione che possiamo chiamare di «orientamento al sociale», dal momento che fa riferimento ai diyersi settori di impegno con gli altri e per gli altri 3•

E possibile, a questo punto, classificare tutti i soggetti del campione a seconda della posizione che occupano su ciascuna delle due dimensioni, posizione espressa in termini di punteggi fattoriali. Per semplicità di analisi, le due distri­buzioni sono state suddivise in terzili, in modo da poter fa­cilmente identificare alcuni tipi particolarmente rilevanti. La classificazione dell'intero campione nello spazio bi-di­mensionale costituito dai due fattori è riportata nella tabella 3.3.

Dei nove tipi identificati dall'incrocio dei due fattori, quattro possono essere considerati «puri» e gli altri cinque combinazioni, in misura variabile, dei primi. Sull'asse eva­sione-impegno troviamo, infatti, da un lato, gli evasivi puri, pari al 10,3% del totale, costituiti da coloro che hanno va­lori alti sulla dimensione del privato e bassi su quella del so­ciale; all'estremo opposto stanno gli impegnati puri (il 12,2% del campione), che mostrano scarso interesse per svago, affetti, amicizie, sport e giudicano importante per la

2 I due fattori spiegano complessivamente poco più del 50% della varianza totale. Risultato che, se anche lascia qualche margine di indeter­minatezza, consente di identificare chiaramente le due dimensioni sotto­stanti al complesso di indicatori. La trasformazione in punteggi fattoriali, dopo la rotazione varimax, è stata compiuta col metodo della regressione.

3 Qualche dubbio potrebbe suscitare l'inclusione dell'impegno reli­gioso nella sfera del sociale. Tale inclusione ci appare legittima, se pen­siamo che la domanda faceva riferimento alla religione non come fatto privato e individuale ma, appunto, come «impegno», cioè testimonianza di fede, azione comune con gli altri, aiuto al prossimo.

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TAB. 3.3. Classificazione del campione secondo le due principali dimensioni va/o­n'ali

Intensità dell'orientamento al privato

Bassa Media Alta

N = 2.500

Intensità dell'orientamento al sociale Bassa Media Alta

12,2 10,8 10,3

9,0 10,2 14,2

12,2 12,3 8,8

loro vita la religione, la politica, l'impegno sociale. n terzo tipo rilevante è quello degli attivi, cioè di coloro che si col­locano nel terzile più alto sia sul privato, sia sul sociale. Si tratta di un gruppo che rappresenta la quota più piccola del campione (1'8,8%). Vi è, infine, il gruppo degli apatici, pari al 12,2% degli intervistati, che si colloca nelle posizioni basse rispetto ad entrambe le dimensioni, mostrando una buona dose di distacco tanto dall'evasione quanto dall'im­pegno.

L'analisi di tali tipi rispetto alle variabili strutturali di­mostra che il livello culturale, familiare, le origini sociali, la condizione professionale, così come i fattori ambientali in­fluiscono sui sistemi di valori qui delineati. Al Sud vi è una proporzione più elevata di impegnati rispetto alle altre aree del paese, ma anche una quota superiore di apatici. Mag­giori livelli di disimpegno e di apatia li troviamo tra chi la­vora, rispetto a chi studia, mentre gli attivi sono proporzio­nalmente più numerosi tra i laureati e tra coloro che pro­vengono da situazioni familiari favorevoli dal punto di vista socio-culturale.

In sintesi possiamo dire che le situazioni di vantaggio so­ciale, quali il vivere nelle zone più sviluppate del paese, l'a­vere la possibilità di studiare, il provenire da famiglie di condizioni culturali e sociali alte, facilitano uno sviluppo più armonico e completo del sistema di valori: in tutti questi gruppi le percentuali di attivi sono superiori alla media del campione. Per contro, lo svantaggio sociale sembra svilup­pare due sindromi diverse, l'apatia o il forte impegno so-

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1 5

1 0

5

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(D Maschi • Fem m i ne )

FIG. 3.3. Proporzione di apatici alle diverse età secondo il genere.

dale. Tipico è il caso già ricordato dei giovani residenti al Sud. Analogamente, tra coloro che provengono da famiglie di condizione operaia o con genitori con scolarità bassa, le proporzioni di impegnati puri e di apatici sono più alte di quelle dell'intero campione. Significativo, al proposito, è os­servare che la quota di apatici tra coloro che hanno come ti­tolo di studio la licenza elementare o meno è pari al 3 5%, contro l' 1 1% del resto degli intervistati.

Lo sviluppo, l'articolazione e la combinazione dei si­stemi di valori non sono, peraltro, indipendenti nemmeno da fattori evolutivi e dalle fasi del ciclo di vita. Illuminante al riguardo può essere l'analisi dell'andamento della pro­porzione di apatici secondo l'età e il genere dell'intervistato esposto nella figura 3.3. L'andamento a forbice del grafico mostra come le ragazze, fino ai 2 1-24 anni, abbiano tassi di apatia inferiori ai maschi; il rapporto si inverte per i 25-29enni, presumibilmente per il fatto che le donne di questa età vivono condizioni più difficili dei loro coetanei. n matri­monio e le difficoltà occupazionali le costringono, probabil-

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mente, ad un distacco da quelle aree della vita che pur erano rilevanti negli anni precedenti.

2. La religione

L'impegno religioso, come abbiamo visto, mostra una leggera tendenza all'aumento presso i giovani degli anni Novanta, rispetto alle generazioni precedenti. Per analiz­zare un poco più a fondo questa area, particolarmente im­portante nello strutturare e ispirare il sistema di valori, di­sponiamo di alcuni indicatori, che cercheremo di combi­nare insieme per arrivare ad identificare una tipologia di at­teggiamenti e comportamenti religiosi.

Accanto alla domanda sull'impegno religioso in senso stretto, il questionario prevedeva un'altra domanda, a cara t­tere più generale, sull'importanza della religione in quanto tale nella vita dell'intervistato. n confronto con le rileva­zioni precedenti (tab. 3.4) conferma la crescita della reli­gione nella considerazione dei giovani. Coloro che la giudi­cano molto o moltissimo importante sono passati dal 27% dell'83 al 33% del '92; per converso si va riducendo l'area dei «tiepidi» (la risposta «poco importante» è scesa dal 24% al 19,5%), mentre gli indifferenti sono aumentati ri­spetto all'87, ma restano al di sotto dei valori dell'83.

Vi sono numerose aree di sovrapposizione fra questa domanda e quella sull'impegno religioso, esaminata nel pa­ragrafo precedente. Entrambe mirano a cogliere, seppure con valenze e connotazioni diverse, l'atteggiamento dei gio­vani nelle sue componenti cognitive, affettive e valoriali. Viene, quindi, naturale combinare assieme i due indicatori, per attenerne un terzo, più solido e meglio correlato con la dimensione che stiamo cercando di cogliere. Per comodità di analisi abbiamo dicotomizzato tale indicatore di sintesi 4,

distinguendo due gruppi, il primo che manifesta un atteg-

4 L'indicatore di cui si parla nel testo è stato calcolato semplice­mente sommando i pwlteggi dei due indicatori di partenza (importanza dell'impegno religioso e importanza della religione nella vita).

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TAB. 3.4. Quanto è importante la religione nella vita. Confronto fra le tre indagini fARD (%)

1983 1987 1992 1992 ( 15-24) (15-29)

Moltissimo 7,3 8,4 10,4 10,6 Molto 19,6 22,4 22,5 23,1 Abbastanza 37,1 38,1 36,6 35,6 Poco 24,0 22,7 19,5 19,7 Per niente 1 1,5 8,1 10,1 9,9 Non so 0,5 0,4 1,0 1,1

100,0 100,0 100,0 100,0

N = 4.000 2.000 1.718 2.500

giamento poslttvo nei confronti della religione (pari al 48,6% del campione), il secondo che esprime un atteggia­mento negativo o di indifferenza (relativo al 5 1 ,4% degli intervistati) .

Una terza domanda formulata agli intervistati mirava a stabilire il loro rapporto con la fede, chiedendo se essi fos­sero credenti o meno e, in caso negativo, perché non lo fos­sero. Quasi otto intervistati su dieci (il 79,4%) si sono di­chiarati esplicitamente credenti. TI restante gruppo è com­posto per circa un terzo (il 7,8% rispetto all'intero cam­pione) da agnostici (che dichiarano di non essere credenti perché sull'esistenza di Dio non ci si può pronunciare) e per un quinto (il 3 ,9% del totale) da indifferenti. Solo una quota assai piccola di intervistati (il 2,8%) si dichiara espli­citamente ateo («non sono credente perché sono convinto che Dio non esista»), mentre il restante 5,8% argomenta in vario modo il proprio non essere credente o non risponde.

Un quarto indicatore ha natura tipicamente comporta­mentale e riguarda la frequenza alla messa nell'arco degli ul­timi sei mesi.

La tabella 3 .5 riporta la distribuzione delle frequenze di risposta alle varie alternative proposte. Anche se non esiste la comparabilità perfetta con le domande analoghe formu­late nelle precedenti indagini, nelle quali si faceva riferi­mento ad un arco temporale di tre mesi, possiamo conclu-

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Page 87: Giovani anni 90. Terzo rapporto Iard sulla condizione giovanile in Italia

TAB. 3.5. Frequenza alla messa (o a funzioni religiose di altri culti) negli ultimi 6 mesi (%)

Mai in 6 mesi Una volta in 6 mesi Circa una volta al mese Due o tre volte al mese Tutte le settimane o quasi Altra risposta

N = 2.500

28,2 26,2 12,4 10,3 22,0

0,9

100,0

dere che la pratica religiosa, almeno per quanto riguarda la frequenza regolare, non si è modificata di molto. Nelle due rilevazioni precedenti la proporzione di coloro che assi­stono settimanalmente o quasi alle funzioni religiose era pari al 24,4%; nel '92 la percentuale è praticamente la stessa per il sottogruppo dei 15-24enni: 24,5%. Qualche varia­zione, semmai, si osserva nei praticanti meno regolari; la quota dei partecipanti alle funzioni religiose due o tre volte al mese era del 12% nell'83, del 12,3% nell'87 e scende al 10,8% nel '92 (il confronto riguarda sempre il gruppo di età tra i 15 ed i 24 anni) ; andava a messa una volta al mese nell'83 il 1 0,4%, nell'87 1'8,6%, contro il 12,6% dell'ultima rilevazione. La scarsa comparabilità delle due domande non consente, peraltro, considerazioni conclusive circa eventuali variazioni nella pratica religiosa.

L'analisi della frequenza alla messa per età e genere ( tab. 3.6) conferma gli andamenti già osservati a proposito del­l'impegno religioso; dopo il brusco calo tra i 18 ed i 20 anni, anche la pratica riprende lentamente (più per le ragazze che per i ragazzi) a partire dai 25 anni. Inoltre il contributo dato dai maschi alla quota di praticanti è sistematicamente infe­riore, a tutte le età, a quello delle loro coetanee. Ciò porta a pensare che andare in chiesa sia ancora un comportamento fortemente legato alla tradizione e guidato in larga misura da componenti ritualistiche e di controllo sociale. Queste considerazioni paiono confermate anche dallo scarto esi­stente fra la pratica religiosa che possiamo chiamare «rego-

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Page 88: Giovani anni 90. Terzo rapporto Iard sulla condizione giovanile in Italia

TAB. 3.6. Proporzione di alta frequenZP religiosa (più volte al mese) per genere e gruppi di età

Maschi Femmine

15-17 anni

43,4 58,1

18-20 anni

27,6 39,9

21-24 anni

19,2 31 ,8

25-29 anni

20,8 33,2

late» (tutte le settimane o almeno due o tre volte al mese) nelle grandi città e quella nei piccoli centri. Nei comuni con oltre 250.000 abitanti la proporzione di giovani praticanti regolari (nel senso ora definito) è di poco inferiore ad un quarto (23,9%); nei paesi al di sotto dei 10.000 abitanti tale quota supera un terzo (36,7%) . E l'andamento è costante­mente crescente al diminuire delle dimensioni del comune di residenza. Anche il fatto che tra coloro che vivono ancora in famiglia la proporzione di praticanti regolari sia del 34%, contro il 24% dei giovani che sono andati via di casa, sem­bra un'ulteriore conferma dell'esistenza di una componente conformistica nella pratica religiosa.

Gli indicatori fin qui illustrati possono essere utili alla costruzione di una tipologia di religiosità, composta proce­dendo per suddivisioni successive del campione. Per motivi di semplicità espositiva ricorreremo a divisioni dicotomi­che, pur consapevoli che tale procedura tende ad occultare alcune differenziazioni interne ai vari gruppi che, seppure di scarso rilievo numerico, possono rappresentare modalità significative di rapporto con l'esperienza religiosa. Una prima spaccatura del campione può essere condotta ri­spetto a quella che appare essere la discriminante fonda­mentale in materia religiosa: l'essere credente o meno. Come abbiamo visto, quasi l' 80% dei giovani intervistati si dichiara tale ed è, appunto, a partire da questo gruppo che possiamo procedere alla costruzione dei tipi, secondo lo schema ad albero illustrato nella figura 3 .4.

La seconda suddivisione possiamo farla rispetto all'at­teggiamento, positivo o negativo, manifestato nei confronti della religione. La maggioranza dei credenti dichiara, oltre

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Page 89: Giovani anni 90. Terzo rapporto Iard sulla condizione giovanile in Italia

l credenti

79,4%

l l l Dimensione Non importante è importante

47,2% 32,2%

l l l l l l Praticanti

Non Non Praticanti

34,1% praticanti praticanti 9,0% 1 3 , 1 % 23,2%

l l l l Osservanti

I ndividualisti Individualisti Ritualisti

religiosi secolarizzati

FIG. 3.4. La religione: sottogruppo dei credenti. Atteggiamenti e comportamenti.

alla propria fede, anche che nel proprio sistema di valori la religione ha una posizione di rilievo. Una parte minore ma consistente (il 32,2% degli intervistati), pur credendo, non fa rientrare la dimensione religiosa tra gli aspetti di rilievo della propria vita.

TI sottogruppo che ha dichiarato di non credere in Dio, né in alcuna altra entità soprannaturale, mostra, rispetto al subcampione precedente, una maggiore coerenza: la quasi totalità dichiara infatti la propria estraneità ai valori reli­giosi. Solo una piccola quota (1' 1 ,4% dell'intero campione) entra, per cosi dire, in contraddizione con se stessa, dichia­randosi non credente e, allo stesso tempo, riconoscendo l'importanza della religione nella propria vita5•

5 Va osservato, peraltro, che questo piccolo gruppo di intervistati, apparentemente incoerente, è suddiviso, rispetto alla domanda sulla pro­pria fede, tra gli agnostici e coloro che hanno dato motivazioni diverse ai loro dubbi sull'esistenza di Dio. Nessuno di loro si è dichiarato esplicita­mente ateo.

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Page 90: Giovani anni 90. Terzo rapporto Iard sulla condizione giovanile in Italia

A questo punto disponiamo già di una tipologia fondata sulla combinazione tra fede e rapporto con la religione. Per meglio chiarire il tema che qui stiamo esaminando, con­viene completare il quadro con una variabile di comporta­mento, rappresentata dalla frequenza alle funzioni religiose, anch'essa dicotomizzata. Abbiamo assegnato al gruppo dei «praticanti» coloro che hanno assistito alla messa almeno una volta al mese (il 44,7% del campione) e considerato «non praticante» chi in sei mesi vi ha assistito una-due volte o mai (il 54,4%).

n gruppo dei credenti rappresentato nella figura 3.4 può, quindi, essere ulteriormente scomposto in base alla pratica religiosa. n risultato è costituito dai quattro tipi fi­nali, la cui consistenza percentuale è indicata in ciascun ri­quadro. n tipo certamente più coerente è rappresentato da coloro che si dichiarano credenti, considerano la religione un aspetto importante della vita e la praticano con una certa regolarità. Possiamo chiamare questo gruppo degli osser­vanti ed in esso ricade poco più di un terzo (il 34, 1 %) del campione. L'altra porzione di praticanti, per contro, pur di­chiarandosi credente, non ha alcun rapporto con i valori della religione. Si tratta, presumibilmente, di giovani che hanno una generica fede in Dio, ma non si sentono coinvolti in tutto quanto questa fede comporta in termini di vita e di orientamenti valoriali. n fatto che, malgrado ciò, continuino ad assistere alle funzioni religiose, porta a considerarli dei ritualisti, legati agli aspetti esteriori e formali della religione, più che alla sua sostanza. La consistenza di questo gruppo è pari a circa un decimo (9%) del campione.

n dichiararsi credenti e non praticare il culto è certa­mente indice di una concezione individualista del sacro, che cerca un rapporto diretto con Dio, senza alcuna mediazione legata a riti o funzioni. La figura 3 .4 mostra, peraltro, che esiste una significativa divisione all'interno di questo gruppo, fondata sull'assegnare o meno importanza alla di­mensione religiosa nell'impostazione della propria vita. Chiamiamo individualisti religiosi coloro che, pur essendo credenti non praticanti, hanno tuttavia un rapporto positivo con la religione in quanto tale, considerandola una dimen-

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Page 91: Giovani anni 90. Terzo rapporto Iard sulla condizione giovanile in Italia

sione importante della vita. n 13' l% dei giovani intervistati ricade in questo gruppo. Chi, invece, credente e non prati­cante, si considera distaccato anche dalla dimensione reli­giosa, appartiene al gruppo che abbiamo chiamato degli in­dividualisti secolarizzati e che riunisce quasi un quarto (il 23,2%) del campione.

Circa un quinto (il 20,6%) dei nostri intervistati si è di­chiarato, a vario titolo, non credente; abbiamo già visto come una piccola quota (1' 1 ,4%) di questo gruppo abbia una posizione contraddittoria, dato che afferma di conside- · rare la religione comunque importante. Anche nel restante 19,2% vi è una piccola parte di intervistati (1' 1 ,4%) che, non credente e lontana dai valori religiosi, afferma di essere praticante. Data la scarsa consistenza munerica di questi due gruppi possiamo riunirli sotto l'unica etichetta degli incoerenti.

L'ultimo tipo da considerare è quello che abbiamo chia­mato dei laici puri, composto da coloro che dichiarano di non credere in Dio, di non considerare importante per la propria vita la dimensione religiosa e di non essere prati­canti; a questo gruppo appartiene il 17,8% dei giovani in­tervistati.

Nel paragrafo precedente abbiamo rilevato che l'impe­gno religioso mostra un andamento . fortemente discendente con il crescere dell'età; raggiunge il minimo intorno ai 22-23 anni per riprendere lentamente negli anni successivi. La di­stribuzione della tipologia ora vista all'interno dei singoli gruppi di età (tab. 3.7) ci aiuta a comprendere meglio le di­verse componenti di questo andamento. Gli osservanti ca­lano tra i 15 ed i 20 anni per poi stabilizzarsi intorno al 30% dai 21 anni in poi. Correlativamente cresce il numero degli individualisti, sia religiosi sia secolarizzati, e dunque il nu­mero dei non praticanti, che giustificano in vario modo, a se stessi ed agli altri, il proprio distacco dalla pratica religiosa. Anche il tasso di conformismo, rappresentato dai ritualisti, cala al crescere dell'età. I laici puri rappresentano una pro­porzione costante a partire dai 18 anni in poi. E presumibile che quest'ultimo tipo sia fortemente correlato a tradizioni familiari e culturali. La proporzione di laici è, infatti, signifi-

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TAB. 3.7. Distribuzione della tipologia di religiosità secondo i gruppi di età (%)

15- 17 18-20 21 -24 25-29 Totale anni anni anni anni

Osservanti 48,2 34,1 29,4 29,9 34,1 Ritualisti 13,1 10,2 8,1 6,8 9,0 Individualisti religiosi 8,8 1 1,8 14,0 15,6 13,1 Individualisti secolarizzati 12,6 23,7 26,6 26,2 23,2 Incoerenti 2,7 2,6 2,3 3,5 2,8 Laici puri 14,5 17,5 19,6 18,0 17,8

100,0 100,0 100,0 100,0 100,0

cativamente più alta tra coloro che provengono dalla classe superiore, hanno genitori di livello culturale alto e vivono nelle regioni del Centro.

La tipologia ora vista può essere corroborata mettendola in relazione con altri due aspetti indagati dal questionario ed attinenti all'area della religione: la partecipazione ad or­ganizzazioni religiose e la fiducia nei sacerdoti. Una delle domande proposte mirava a conoscere se ed in che misura l'intervistato avesse partecipato alle attività di una serie di organizzazioni di vario genere tra le quali, appunto, quelle di tipo religioso o parrocchiale . Una seconda domanda chiedeva invece quale fosse, tra le diverse organizzazioni, quella che interessava di più l' intervistato stesso, cioè quella alla quale non avrebbe voluto rinunciare, nel caso avesse dovuto sceglieme una sola.

La combinazione delle risposte alle due domande con­sente di costruire un indice che esprime il grado di adesione dei giovani alle organizzazioni di tipo religioso. Tale grado è «nullo» nel caso in cui negli ultimi tre mesi l'intervistato non abbia partecipato ad alcuna attività promossa da orga­nizzazioni di tal genere; i quattro quinti del campione rica­dono in questa categoria. n grado di adesione è stato classi­ficato «basso» per coloro che, pur avendo partecipato a tali attività, non indicano quelle religiose tra le organizzazioni preferite; il grado di adesione «alto» è stato, infine, asse­gnato a coloro che hanno indicato l'organizzazione religiosa come quella principale oppure hanno, in ogni caso, un ele-

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TAB. 3.8. Grado di adesione alle organi=zioni religiose secondo la tipologia di re­ligiosità (%)

Nullo Basso Alto

Osservanti 57,2 18,1 24,7 Ritualisti 82,7 10,2 7,1 Individualisti religiosi 86,8 8,6 4,6 Individualisti secolarizzati 95,5 3,5 1,0 Incoerenti 80,0 12,9 7,1 Laici puri 98,6 0,7 0,7

Totale 80,2 9,5 10,3

N =2.500

vato tasso di partecipazione alle attività di tali organizza­zioni.

La tabella 3.8 mostra la distribuzione del grado di ade­sione cosi calcolato all'interno dei vari tipi di posizione nei confronti della religione. La tabella 3.9 riporta, invece, la percentuale di coloro che hanno dichiarato di avere «molta» o «abbastanza» fiducia nei sacerdoti all'interno di ciascuna delle sei categorie della tipologia di religiosità.

Le tabelle 3.8 e 3.9 contribuiscono a chiarire le diffe­renze tra i vari tipi di posizione nei confronti della religione. Coloro che abbiamo definito osservanti non solo hanno un grado di adesione alle organizzazioni religiose decisamente più elevato del resto del campione (quasi la metà contro il 20% del totale di intervistati) , ma anche mostrano in assai più larga misura degli altri fiducia nei sacerdoti. I ritualisti hanno un grado di fiducia nei sacerdoti minore della media generale e, per la quasi totalità, bassa o nulla partecipazione ad attività promosse dalle organizzazioni religiose.

All'interno della concezione individualista della reli­gione, che caratterizza quella parte dei credenti che preferi­sce un rapporto diretto con la divinità, senza partecipare alle funzioni religiose, abbiamo distinto la posizione di chi comunque accetta i valori della religione, da quella di co­loro che abbiamo chiamato secolarizzati e che a tali valori non aderiscono. n diverso grado di adesione alle organizza-

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Page 94: Giovani anni 90. Terzo rapporto Iard sulla condizione giovanile in Italia

TAB. 3.9. Percentuale di coloro che hanno fiducia nei sacerdoti secondo la tipologia di religiosità

Osservanti Ritualisti Individualisti religiosi Individualisti secolarizzati Incoerenti Laici puri

Totale

80,2 44,9 65,1 30,4 31,4 11 ,6

50,0

zioni religiose e la posizione nettamente differente nei con­fronti dei sacerdoti contribuiscono a meglio delineare i con­fini tra i due gruppi. Assai ridotta, infine, è la partecipa­zione ad attività religiose da parte dei laici puri, cosi come ridotto è il loro grado di fiducia nei sacerdoti.

3 . Le istituzioni e lo Stato

La fiducia dei giovani nei confronti delle diverse istitu­zioni e gruppi che compongono la nostra società non ha su­bito variazioni particolarmente rilevanti nell'arco dell'ul­timo decennio. Polizia e carabinieri sono sempre ai primi posti, percepiti molto più simili che in passato. Sindacalisti, governo, uomini politici si contendono sempre gli ultimi posti, mentre gli insegnanti paiono in leggero calo. La gra­duatoria non è, nella sostanza, differente neppure tra i di­versi gruppi di età (tab. 3 . 10). Vi è, semmai, un maggior grado di fiducia complessivo tra i più giovani, anche se al­cuni gruppi come i poliziotti e gli insegnanti sembrano muoversi in controtendenza. A parte qualche eccezione, l'impressione che si ricava dalla lettura della tabella 3 . 10 è che, al crescere della conoscenza della società e delle istitu­zioni che Ja fanno funzionare, il grado di fiducia vada dimi­nuendo. E il caso delle banche (che raccolgono la fiducia del 61,3% tra i più giovani e del 46,7% tra i più anziani), degli industriali (dal 47,3% tra i 15-17enni al 39,6% degli ultra venticinquenni), dei giornalisti (dal 47,9% al 37,6%),

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TAB. 3. 10. La fiducia nelle istituzioni. Confronto fra i gruppi di età. Percentuale di coloro che hanno «molta» o «abbastanlll» fiducia nelle singole istitu-zioni

15-17 18-20 21-24 25-29 Totale anni anni anni anni '92

La polizia 66,1 69,8 69,6 71,9 69,7 I carabinieri 65,1 63,0 63,8 66,5 64,7 Gli insegnanti 63,6 63,6 62,6 65,3 63,8 Le banche 61,3 65,0 55,8 46,7 55,8 I sacerdoti 59,6 50,7 46,7 46,9 50,0 I magistrati 41,4 48,7 45,6 48,2 46,2 Gli industriali 47,3 48,1 45,0 39,6 44,4 I giornalisti 47,9 43,5 39,6 37,6 41,4 I militari di carriera 42,5 39,0 31 , 1 30,6 34,7 I sindacalisti 21,3 25,4 24,8 22, 1 23,4 I funzionari dello Stato 21,3 19,7 18,3 20,7 19,9 TI governo 26,6 20,1 16,0 16,2 18,9 Gli uomini politici 14,4 13,5 10,4 1 1,6 12,2

N =2.500

dei militari (42,5% contro il 30,6%), del governo (dal 26,6% al 16,2%).

Per identificare, anche in questo caso, eventuali dimen­sioni valoriali sottostanti, che possano essere collegate al modo di porsi dei giovani nei confronti delle istituzioni e, in generale, del «mondo adulto» che fa funzionare e governa la società, abbiamo fatto ricorso all'analisi dei fattori. Non tutte le singole domande sulla fiducia sono state utilizzate per la costruzione dei fattori; l'analisi dei singoli ltems ha portato a scegliere, fra i tredici proposti dal questionario, solo i sette che hanno messo in luce, in forma più chiara, le dimensioni latenti. L'analisi dei fattori è stata, quindi, con­dotta solo sulle domande riguardanti la fiducia verso i fun­zionari statali, la polizia, il governo, gli uomini politici, i ca­rabinieri, gli industriali e i giornalisti.

I risultati, assai soddisfacenti dal punto di vista stati­stico 6, hanno portato all'identificazione di tre fattori. n

6 L'analisi dei fattori, applicata con gli stessi criteri illustrati prece-

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Page 96: Giovani anni 90. Terzo rapporto Iard sulla condizione giovanile in Italia

primo, saturato dal grado di fiducia verso gli uomini poli­tici, verso il governo e verso i funzionari pubblici, esprime una dimensione che potremmo chiamare politico-ammini­strativa, collegata alla accettazione dello stato e delle sue strutture. n secondo fattore è saturato dalla fiducia verso la polizia ed i carabinieri. In questo caso il fattore fa riferi­mento agli apparati di sicurezza ed è, probabilmente, espressione del bisogno di ordine e di certezza nella tutela dei cittadini. n terzo fattore, infine, si correla con la fiducia negli industriali e nei giornalisti, visti come rappresentanti della libera iniziativa in campo economico, gli uni, e come espressione della pubblica opinione e della libertà di parola, gli altri.

Combinando le posizioni occupate da ciascun intervi­stato sulle tre dimensioni è possibile identificare sei tipi di atteggiamento verso le istituzioni. n primo è di sfiducia, ca­ratterizza circa il 16% degli intervistati ed è rappresentato da coloro che hanno valori bassi su tutti e tre i fattori. n se­condo tipo di posizione verso le istituzioni è costituito da quei soggetti che hanno valori medi sulle tre dimensioni. Si tratta di giovani che non mostrano particolare fiducia per nessun aspetto della vita istituzionale del paese, ma non ma­nifestano nemmeno negatività marcate. Tale posizione me­diana e, tutto sommato, neutrale, che riguarda circa il 15% del campione, corrisponde ad un atteggiamento di indiffe­renza.

Vi sono poi tre tipi puri, ciascuno caratterizzato da va­lori superiori alla media su una sola delle tre dimensioni. L'atteggiamento di fiducia verso l'iniziativa privata è tipico di coloro che sono portatori di un'idea !iberista, che danno peso al singolo ed alla sua libera iniziativa e rispecchia circa un settimo (il 14,4%) degli intervistati. Più numeroso e cor­rispondente a quasi un quarto dei giovani (il 22,1%) è il

'gruppo che si colloca sui valori alti del fattore che esprime il bisogno di ordine e di legalità, identificato, come abbiamo

dentemente (v. nota 2), ha messo in luce tre fattori che, insieme, spiegano il 70,3% della variabilità complessiva dei sette items.

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Page 97: Giovani anni 90. Terzo rapporto Iard sulla condizione giovanile in Italia

visto, nella polizia e nei carabinieri. Questo tipo di posi­zione verso le istituzioni può, quindi, chiamarsi, fiducia verso gli apparati di sicurezza. Poco più di un decimo (il 10,6%) del campione mostra, invece, un atteggiamento di

fiducia verso gli apparati politico-amministrativi e la restante parte (il 22,4%) assume una posizione di fiducia indiscrùni­nata, dal momento che si colloca sulle posizioni alte in tutte e tre le dimensioni. Quest'ultimo gruppo esprime, probabil­mente, la posizione di maggior integrazione sociale ed il li­vello più eJevato di accettazione delle istituzioni.

La tabella 3 . 1 1 riporta la distribuzione dei sei tipi per area geografica; essa mostra che i giovani del Nord si carat­terizzano per orientamenti più marcati verso l'iniziativa pri­vata e la sicurezza; gli intervistati del Centro hanno mag­giori tassi di indifferenza e condividono con quelli del Sud alti valori sulla fiducia indiscriminata. Al Sud sembra inoltre più diffuso che nel resto del paese l'atteggiamento di fiducia verso gli apparati politico-burocratici. Altre differenze nella distribuzione dei tipi si possono rilevare anche rispetto ad altre variabili definitorie degli intervistati. Le posizioni di sfiducia e di indifferenza, ad esempio, crescono al crescere dell'età, così come cresce l'orientamento verso la sicurezza. Con gli anni, per contro, vanno diminuendo gli atteggia­menti di fiducia indiscriminata, il favore verso l'iniziativa privata e la fiducia verso gli apparati politico-burocratici.

La tipologia di atteggiamenti verso le istituzioni esprime, dunque, in una certa misura, il senso dello stato e si mostra correlato tanto con le posizioni politiche ( tab. 3 . 12) degli intervistati, quanto con l'orgoglio di sentirsi ita­liano (tab. 3 . 13) . L'analisi della relazione tra il sentimento di appartenenza nazionale ed i tipi di atteggiamento verso le istituzioni mostra come questi ultimi possano anche essere letti come modalità crescenti di integrazione sociale. L' au­mento costante della percentuale di coloro che si sentono «molto» orgogliosi di essere italiani (dal 36% degli sfidu­ciati al 55% dei fiduciosi in tutto) è un dato che suffraga ampiamente questa interpretazione.

La tipologia ora vista si correla anche con un altro aspetto del sistema valoriale, quello riguardante la contrap-

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Page 98: Giovani anni 90. Terzo rapporto Iard sulla condizione giovanile in Italia

TAB. 3.11 . Tipi di atteggiamento Vt?T!O le istituzioni per area geografica (%)

Nord Centro Sud Totale

Sfiducia 14,4 16,4 16,5 15,6 Indifferenza 15,0 19,1 13,4 15,0 Fiducia verso l'iniziativa privata 15,6 14,5 13,1 14,4 Fiducia verso gli apparati di

sicurezza 25,3 18,6 20,7 22,2 Fiducia verso gli apparati

politico-amministrativi 9,0 8,6 12,6 10,4 Fiducia indiscriminata 20,7 22,7 23,6 22,3

100,0 100,0 100,0 100,0

N = 2.500

TAB. 3. 12. Distribuzione dei tipi di atteggiamento Vt?T!O le istituzioni secondo l'o-rientamento politico (%)

Sinistra Centro Destra Totale

Sfiducia 18,2 12,4 16,4 15,5 Indifferenza 18,5 13,4 10,4 14,9 Fiducia verso l'iniziativa privata 15,3 14,1 16,8 15,1 Fiducia. verso gli apparati di

sicurezza 21,8 22,2 25,7 22,7 Fiducia verso gli apparati

politico-amministrativi 6,9 10,1 9,3 8,7 Fiducia indiscrirninata 19,3 27,8 21,4 23,2

100,0 100,0 100,0 100,0 N = 1.487

posizione tra gli orientamenti «materialistici» e «post-mate­rialistici» 7. Non abbiamo avuto la possibilità di indagare a fondo la presenza di queste dimensioni nell'universo valo­riale giovanile e, anche in questo caso, abbiamo dovuto ac­contentarci di qualche indizio.

Agli intervistati sono stati proposti quattro obiettivi po­litici, due di orientamento post-materialistico («dare alla

7 La distinzione, come è noto, è stata introdotta da lnglehart [1980].

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Page 99: Giovani anni 90. Terzo rapporto Iard sulla condizione giovanile in Italia

T AB. 3. 13. Distribuzione del grado di orgoglio di essere italiano tra i tipi di atteggia­mento verso le istituzioni (%)

Poco o nulla Abbastanza Molto

Sfiducia 22,2 41,6 36,2 Indifferenza 13,9 48,8 37,3 Fiducia verso l'iniziativa privata 15,7 45,5 38,8 Fiducia verso gli apparati di sicurezza 12,1 41,7 46,3 Fiducia verso gli apparati

politico·amministrativi 10,3 42,1 47,5 Fiducia indiscrirninata 7,1 37,6 55,3

Totale 13,2 42,4 44,4

N= 2.500

gente maggiore potere nelle decisioni politiche» e «proteg­gere la libertà di parola») e due relativi a posizioni di tipo materialistico, cioè legati al bisogno di ordine e di sicurezza economica («mantenere l'ordine nella nazione» e «proteg­gere la libertà di parola»). A ciascun intervistato veniva chiesto di ordinare questi quattro obiettivi secondo la prio­rità in una eventuale decisione politica. I due terzi del cam­pione si sono pressoché equamente divisi, nell'assegnare il primo posto, tra il mantenimento dell'ordine nel paese (3 5,5%) e il dare alla gente maggior potere nelle decisioni politiche (32,3%). Poco meno di un quarto (il 23,5%) ha giudicato prioritaria la difesa della libertà di parola, mentre solo 1'8,8% ritiene che l'azione politica nel nostro paese debba affrontare prima di tutto la lotta all'inflazione.

n comportamento tenuto dai vari tipi di atteggiamento verso le istituzioni nello stabilire l'obiettivo politico priori­tario è illustrato dalla tabella 3 . 14. Coloro che abbiamo clas­sificato come «sfiduciati» verso lo Stato e gli apparati pub­blici sono i principali portatori dei valori post-materialistici che si riferiscono alla partecipazione politica dei cittadini e alla libertà di parola; l'ordine nella nazione viene al terzo posto. Per contro gli integrati, che esprimono fiducia indi­scriminata nelle istituzioni, ritengono in larga misura (42,1%) che la priorità debba essere data al mantenimento dell'ordine nella nazione.

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Page 100: Giovani anni 90. Terzo rapporto Iard sulla condizione giovanile in Italia

TAB. 3. 14. Obiettivo politico prioritario secondo i tipi di atteggiamento verso le isti-tuz.ioni (%)

Ordine Partecipazione Libertà Lotta all' di parola inflazione

Sfiducia 26,6 36,5 27,1 9,9 Indifferenza 30,5 34,8 25,3 9,4 Fiducia verso l'iniziativa privata 34,9 34,1 24,3 6,7 Fiducia verso gli apparati di

sicurezza 37,1 34,5 20,2 8,2 Fiducia verso gli apparati

politico-amministrativi 39,1 28,7 22,6 9,6 Fiducia indiscrirninata 42,1 25,9 23,0 9,0

Totale 35,5 32,3 23,5 8,8

Se, come abbiamo osservato sopra, la tipologia di fidu­cia può essere interpretata come espressione del livello di integrazione, l'andamento delle percentuali esposte nella ta­bella 3 .14 può illuminarci intorno alle esigenze politiche ed agli orientamenti dei vari gruppi. Al crescere dell'integra­zione diminuisce l'esigenza di tutela delle libertà democrati­che, forse perché coloro che accettano il ruolo delle istitu­zioni giudicano che tali libertà siano sufficientemente garan­tite. Cresce, per converso, il bisogno di ordine, inteso non tanto nella sua componente autoritaria, ma come tutela di ciò che si ha, sicurezza, certezza delle regole. Coloro, in­vece, che sono in posizione di critica o di distacco dalle isti­tuzioni (sfiduciati e indifferenti) manifestano in misura net­tamente maggiore degli altri la preferenza per le libertà de­mocratiche e sono, ovviamente, meno preoccupati del man­tenimento dello «status quo». In questo caso prevalgono i bisogni di partecipare alle decisioni politiche e di far sentire la propria voce.

4. L'immagine delle disuguaglianze

n quadro fin qui tracciato dei sistemi di valori desumi­bili dalle risposte al questionario è, tutto sommato, abba­stanza chiaro. N ella stragrande maggioranza le nuove gene-

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razioni sembrano voler evitare gli eccessi. Esistono, certo, delle differenze al loro interno, in larga misura legate tanto alle caratteristiche socio-economiche e culturali delle fami­glie di provenienza, quanto a fattori di tipo ambientale. Vi sono maggiori o minori livelli di accettazione dell'ordine co­stituito, ma le posizioni estremistiche (almeno quelle nel si­gnificato tradizionale del termine) paiono appannaggio di piccole frange minoritarie. Semmai preoccupante è l'avan­zata di quel complesso di atteggiamenti che abbiamo chia­mato, secondo i casi, apatia o indifferenza e che, in campo religioso, corrispondono al gruppo che abbiamo definito degli individualisti secolarizzati.

Le critiche alla società non mancano, ma paiono muo­versi all'interno di una generale accettazione quanto meno dei principi di fondo sui quali poggiano i nostri sistemi de­mocratici. Resta da chiedersi, a questo punto, come si pon­gano i �astri intervistati nei confronti delle disuguaglianze sociali. E, questo, un tema assai complesso e sul quale oc­correrebbe indagare molto più a fondo di quanto sia stato possibile fare. Una prima, anche se generica, indicazione al riguardo possiamo trarla dalla risposta ad una domanda sulla equità distributiva. Abbiamo, infatti, chiesto al nostro campione: «Se un impiegato di concetto guadagna circa 1 .800.000 lire al mese, quanto sarebbe giusto, a suo avviso, che guadagnasse . . . ?». Seguiva un elenco di tredici profes­sioni, per ciascuna delle quali veniva chiesto di indicare una cifra approssimativa mensile.

Va subito detto che, nel rispondere a questa domanda, i giovani intervistati non solo hanno manifestato nn alto grado di realismo, ma hanno anche mostrato di accettare, nel suo complesso, il sistema di disuguaglianze vigente nel nostro paese. Due sole professioni sono apparse fortemente ideologizzate: il direttore di rma grande impresa (cioè con oltre 5.000 addetti) ed il deputato: sono queste due occupa­zioni, infatti, che hanno la maggior dispersione intorno ai valori medi. Per il resto, il quadro complessivo che emerge è molto vicino alla realtà.

La prima colonna della tabella 3 . 15 riporta gli stipendi medi che il campione ritiene giusto spettino alle diverse

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professioni Come si può facilmente rilevare, l'unica diffe­renza rispetto alle retribuzioni realmente percepite sta nel­l'intervallo più ristretto entro il quale le nuove generazioni pensano debbano essere contenuti gli stipendi. Ciò porta a giudicare che debbano essere pagate di meno (e, in qualche caso, molto meno) della realtà le professioni più elevate e poco più della realtà le occupazioni meno qualificate. Com­plessivamente sembra che per i nostri intervistati la giustizia distributiva si realizzi, oltre che diminuendo le differenze, anche abbassando a tutti le retribuzioni. Questa lettura della tabella 3 . 15 appare confermata anche dal fatto che la fascia di età degli ultraventicinquenni, cioè di coloro che dovrebbero conoscere meglio il mercato del lavoro, non si discosta in modo significativo dalle valutazioni date dai più giovani.

Per avere una visione più precisa dell'immagine della stratificazione presente nei giovani, abbiamo costruito una graduatoria delle occupazioni che prescindesse dalle dimen­sioni dello stipendio e tenesse sol<;_> conto delle posizioni re­ciproche delle varie occupazioni. E stata calcolata una scala da O a 100, nella quale il valore minimo corrisponde all' oc­cupazione che si trova nella posizione più bassa ed il valore massimo corrisponde alla posizione più elevata8•

La seconda colonna della tabella 3 . 15 riporta i punteggi di scala calcolati tenendo conto solo del rango che ogni oc­cupazione ha ottenuto da ciascun intervistato. La struttura della stratificazione sociale secondo i giovani del campione appare, così, in forma più chiara. Si tratta, grosso modo, di una scala a cinque livelli, nella quale l'alto è rappresentato dal direttore di grande impresa. n gradino successivo è oc­cupato da quelle professioni ad elevato contenuto tecnico ed alti livelli di responsabilità (medico specialista ospeda­liero, magistrato, ingegnere dipendente, dirigente di piccola azienda). n livello intermedio è rappresentato dal profes­sore universitario e dal deputato (anche se, per quest'ul-

8 Per una descrizione dettagliata della tecnica di costruzione della scala e per le sue proprietà metriche si veda de Lillo e Schizzerotto [1985]

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TAB. 3 . 15. Stipendio medio mensile (in .000 di lire) e posizione in graduatoria di al­cune professioni

Direttore di grande impresa Direttore di piccola impresa Magistrato Ingegnere dipendente da grande impresa Medico specialista ospedaliero Deputato Professore universitario Operaio specializzato Carabiniere Insegnante di scuola media Impiegato di concetto ' Segretaria Operaio non specializzato Bidello

' Occupazione di riferimento.

Stipendio

18. 121 4.921 3.980 3.721 3.523 3. 190 2.561 1.902 1.891 1.884 1.800 1.546 1 .462 1.413

Punteggio

90,76 72,25 77,03 76,24 73,86 58,26 58,33 38,27 36,02 36,87 35,87 19,84 14,24 12,15

timo, occorre tener conto del gran numero di coloro che ri­tengono non debba percepire nulla, compensato da coloro che gli assegnano stipendi molto elevati). Lo strato medio­basso è occupato da insegnanti, impiegati e (forse per il va­lore sociale assegnato) carabinieri. Al livello basso, infine, i giovani collocano le occupazioni poco qualificate.

Come si vede il quadro che ne esce non è certo quello di una generazione che si propone di sconvolgere gli assetti esistenti; al contrario, gli ideali di giustizia distributiva dei giovani intervistati risultano molto vicini alla realtà che li circonda.

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CAPITOLO QUARTO

ASSOCIAZIONISMO E PARTECIPAZIONE POLffiCA

l . Premessa

Una delle novità dell'indagine IARn del 1992 è l'allarga­mento del campione alle fasce di età più elevate (25-29 anni). Mentre le indagini 1983 e 1987 operavano sulla fascia 15-24 anni, la nuova indagine opera sulla fascia 15-29 anni.

Questa circostanza ha suggerito di dividere il presente capitolo in due parti. La prima (par. 2) è dedicata esclusiva­mente all'individuazione di quel che è cambiato rispetto alle indagini precedenti, ed utilizza quindi soltanto il sottocam­pione dei giovani di età compresa fra i 15 e i 24 anni ( 1 .718 casi su 2.500). La seconda (par. 3-5) affronta il problema della partecipazione politica lavorando sull'intera popola­zione giovanile, ed utilizza quindi il campione complessivo di 2.500 casi.

2. Il cambiamento

2. 1 . La politica

Fra il 1987 e il 1992 il rapporto dei giovani con la poli­tica sembra aver subito un processo di intensi/icazione, nel senso che è diventato al tempo stesso più diretto e più con­flittuale. Fra i quattro atteggiamenti verso la politica previsti dal questionario IARD, sono aumentati i due atteggiamenti estremi (impegno e disgusto) , mentre è notevolmente dimi­nuito l'atteggiamento di delega (tab. 4. 1 ).

Nel 1992 toccano il loro massimo sia l'impegno politico sia il rifiuto della politica, mentre raggiunge il valore più basso l'atteggiamento di delega. Complessivamente, sia l'impegno politico in senso stretto, sia le forme più o meno

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TAB. 4.1. Atteggiamento nei confronti della politica (%)

1983 1987 1992

Mi considero politicamente impegnato 3,2 2,3 3,3 Mi tengo al corrente deUa politica, ma

senza parteciparci personalmente 44,2 39,3 39,4 Penso che bisogna lasciare la politica a persone

che hanno più competenza di me 40,0 42,1 36,4 La politica mi disgusta 12,0 15,8 20,4 Non indica 0,6 0,6 0,4

100,0 100,0 100,0 N = 4.000 2.000 1.718

TAB. 4.2. Indicatori di partecipazione politica. Variazioni '87-'92

1987 1992 Differenza

Giovani che considerano molto importante l'attività politico-sindacale 2,8 3,7 +0,9

Giovani che fanno parte di due o più associazioni e privilegiano queUa politica 2,5 3,6 + 1,1

Giovani che negli ultimi dodici mesi hanno preso parte ad almeno una iniziativa di impegno pubblico 43,2 51,7 + 8,5

diluite di partecipazione politica appaiono in netta ripresa rispetto al 1987 e, per quanto riguarda le seconde, anche ri­spetto al 1983.

Fra il 1987 e il 1992 sono aumentati tutti gli indici di partecipazione politica, come risulta dalla tabella 4.2.

Soprattutto l'ultimo dato appare di estremo interesse: nel giro di cinque anni l'impegno pubblico è aumentato di circa il 20%.

2.2. La religione

n quadro degli orientamenti religiosi appare meno ni­tido. A un debole aumento della religiosità e della fre­quenza alla messa fa riscontro un declino dell'impegno reli­gioso (tab. 4.3 ) .

1 04

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TAB. 4.3. Indicatori di religiosità. Variazioni '87-'92

1987 1992 Differenza

Giovani che considerano la religione importante o molto importante nella vita 30,8 32,8 + 2,0

Giovani che vanno a messa almeno una volta al mese 45,3 47,4 + 2,1

Giovani che considerano importante l'impegno religioso 50,9 50,0 - 0,9

Giovani che fanno parte di due o più associazioni e privilegiano quella di tipo religioso 18,7 17,2 - 1,5

n primo aspetto potrebbe suggerire un rafforzamento dell'influenza della Chiesa ed una maggiore capacità delle autorità religiose di orientare gli atteggiamenti e i comporta­menti_ Questa interpretazione sembra confermata dal fatto che i sacerdoti rappresentano l'unico gruppo sociale verso il quale la fiducia non solo non è diminuita ma è addirittura aumentata negli ultimi cinque anni.

n lieve declino dell'impegno religioso sembra ricolle­garsi al parallelo rafforzamento dell'impegno politico, ma soprattutto all'allargamento dell'area dell'impegno sociale non direttamente controllato dalla Chiesa. Nel quinquennio sono aumentati l'impegno so�iale, il volontariato, le inizia­tive di difesa dell'ambiente. E probabile che tale aumento - contrariamente a quanto era avvenuto una decina di anni fa - sia il risultato di un «risveglio» del mondo laico piutto­sto che di quello cattolico 1 •

2.3 . La fiducia nelle istituzioni

Fin dalla prima indagine del 1983 il questionario lARD prevede una batteria di domande sul grado di fiducia in un

1 Cfr. il primo rapporto lARD [Cavalli et al. 1984], in particolare il paragrafo 5 del capitolo IV.

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TAB. 4.4. Il consenso verso le istituzioni. Confronto fra le tre rilevazioni

% Consensi Variazioni 1992 1983- 1987-

87 92 ( 15-29 anni) ( 15·24 anni)

l. Polizia 69,7 1,9 -2,7 2. Carabinieri 64,7 0,6 - 0,4 3. Insegnanti 63,8 -2,9 -3,5 4. Banche 55,9 - 0,8 - 2,8 5. Sacerdoti 50,1 6,6 1,3 6. Magistrati 46,2 - 1,4 -5,9 7. Militari di carriera 34,7 - 1,7 - 2,7 8. Sindacalisti 23,5 -6,5 - 0,2 9. Funzionari dello Stato 19,9 1,5 - 8,2

10. Governo 19,0 12,6 - 18,2 11 . Uomini politici 12,2 3,3 - 8,3

Media di tutti i gruppi 45,8 1,2 -4,7

Nota: Le percentuali si riferiscono a coloro che hanno «molta>> o «abbastanza fiducia».

certo numero di istituzioni sociali, colte attraverso i gruppi che tipicamente le rappresentano. Questa sorta di «termo­metro dei sentimenti» consente di valutare con precisione sia le variazioni aggregate della fiducia, sia le sue variazioni specifiche (quali categorie salgono e quali scendono).

Nella tabella 4.4 è riportato il profilo delle variazioni in­tervenute nei due periodi che separano tra loro le tre inda-

gini. Come si vede, l'ultimo quinquennio è caratterizzato da

una caduta verticale della fiducia in tutti i gruppi sociali, ec­cetto i sacerdoti. n cambiamento diventa un vero e proprio crollo nel caso della classe politica, del governo e della bu­rocrazia statale, che perdono rispettivamente 8,3, 8,2 e 1 8,2 punti.

Questi mutamenti sono particolarmente significativi se si pensa che nel quadriennio precedente il grado medio di fiducia negli stessi gruppi sociali era aumentato.

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2.4. L'associazionismo

Nell'ultimo quinquennio l'associazionismo è aumentato sia nella sua componente organizzata sia nella sua compo­nente informale (gruppi di amici).

I giovani che fanno parte di almeno una associazione sono passati dal 51 ,5% al 65,2% del totale: erano uno su due nel 1987, sono diventati due su tre nel 1992.

Particolarmente consistente è la quota di coloro che ap­partengono a due o più associazioni ( 40% una sola associa­zione, 60% due o più associazioni). Fra questi ultimi le as­sociazioni che hanno incrementato la loro importanza rela­tiva sono soprattutto quelle culturali e di impegno socio-as­sistenziale.

Anche il peso dei gruppi di amici, nonostante fosse già molto alto nel corso degli anni Ottanta, è ulteriormente au­mentato, passando dall'83% all'88, 7%. La struttura dei gruppi è però notevolmente cambiata. Diminuiscono i gruppi di dimensioni piccole e medie, e aumentano sia le «compagnie» costituite da oltre dieci persone (dal 24, l% al 29,5%) sia le amicizie singole (dal 2% al 10,2%) . Nello stesso tempo diminuisce la frequenza degli incontri: i gruppi che si vedono quotidianamente o quasi scendono dal 45,6% al 34,8% del totale. In termini generali possiamo dire che nell'ultimo quinquennio è aumentata la polarizza­zione fra gruppi grandi e piccoli, ed è diminuita la «densità morale» media dei gruppi stessi.

2.5. Le preferenze elettorali

Ogni confronto fra le preferenze elettorali del 1992 e quelle del 1987 è reso difficoltoso dalla presenza di forma­zioni politiche diverse nelle due tornate elettorali. Nel 1992 scompaiono il Pc1 e Democrazia proletaria, «rimpiazzati» dal Pns e da Rifondazione comunista. Inoltre si presentano molte formazioni politiche nuove (la Rete, la Lista referen­daria, ecc.) , o quasi nuove (la Lega Nord e le altre Leghe) .

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TAB. 4.5. Le preferenze elettorali. Andamento degli aggregati di liste nelle tre rile­vazioni (%)

1983 1987 1992

Destra (Msi) 7,8 6,8 5,4 Cattolici (Dc) 29,2 37,8 28,9 Manristi (Pci, Pns, DP, Re) 30,0 25,4 16,1 Centro laico 33,0 29,9 49,6 tradizionale (Psi, PRI, Psm, Pu, PR) (33,0) (25,2) ( 17,1) nuovo (Verdi, Leghe, Rete) (0,0) (4,7) (32,5)

100,0 100,0 100,0

TAB. 4.6. Le preferenze elettorali. Andamento delle aree ideologiche nelle tre rile­vazioni (%)

Sinistra Laici progressisti Laici moderati

1983

51,5 21,5 1 1,5

1987

46,7 21,3

8,6

1992

43,7 27,6 22,0

Per questo abbiamo preferito operare su aggregati di liste relativamente omogenee (tab. 4.5) .

I dati confermano pienamente le tendenze messe in luce una decina di anni fa dalla prima indagine lARD: &a i gio­vani è particolarmente visibile il declino delle culture politi­che tradizionali (le «chiese» marxista e cattolica) e l'ascesa di un'area laica tendenzialmente maggioritaria2• Questo processo era evidente all'inizio degli anni Ottanta, aveva su­bito una battuta d'arresto nella seconda metà del decennio a causa del rafforzamento della Dc, e torna ad essere del tutto visibile oggi, all'inizio degli anni Novanta. A questo trend forniscono un contributo decisivo le formazioni politiche nuove, sia nella loro componente moderata (Leghe) sia nella loro componente progressista (Verdi e Rete) . N ello stesso tempo la crescita dell'ala laica progressista non basta a &e-

2 Cfr. il primo rapporto lARD [Cavalli et al. 1984], in particolare il paragrafo 3 del capitolo IV.

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Sinistra Centro-destra Totale

Centro-laico 27,6 22,0 49,6

a Non laici 16,1 28,9 45,0

Totale 43,7 50,9 94,6

Escluso Ms1

FrG. 4.1. Incrocio fra aggregati di liste e aree ideologiche (rilevazione '92).

nare il declino della sinistra nel suo insieme (dai socialde­mocratici a Rifondazione comunista) .

U n quadro completo di queste tendenze può essere ri­costruito isolando tre componenti parzialmente sovrappo­ste: la sinistra nel suo insieme, l'area laica progressista e l'a­rea laica moderata.

La tabella 4.6 mostra bene quali sono le direzioni princi­pali del mutamento. La caduta della sinistra è frenata dal rafforzamento della sua componente laica, mentre l'ascesa dell'area laica è dovuta prevalentemente all'aumento della sua ala moderata. Le due ali (moderata e progressista) del­l' area laica, infine, si nutrono soprattutto dell'espansione delle formazioni politiche nuove (Verdi, Rete e Leghe) .

n risultato netto di tutte queste tendenze e spinte è una configurazione dei rapporti di forza relativamente inedita. I due classici «poli» di aggregazione politica (marxisti e catto­lici) non raggiungono neppure insieme il 50% dei consensi, mentre l'area laica per la prima volta nel dopoguerra lo sfiora da sola. Nell'ambito di quest'ultima, tuttavia, i rap­porti fra destra e sinistra appaiono rovesciati rispetto a come si presentano nelle culture politiche tradizionali, come risulta dalla figura 4. 1 .

Nell'area laica la componente più forte è quella progres­sista, nell'area «confessionale» (marxisti e cattolici) la com­ponente più forte è quella moderata.

1 09

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3. Una tipologia degli orientamenti religiosi

Fra le innovazioni del questionario lARn 1992 vi è l'in­troduzione di una nuova domanda sulla religione. Accanto alle due classiche domande sull'importanza della religione nella vita e sulla frequenza alla messa, che dovrebbero co­gliere rispettivamente la dimensione «esperienziale» e la di­mensione «comportamentale» dell'atteggiamento verso la religione, se ne è introdotta una terza relativa alle credenze, che dovrebbe cogliere la dimensione «cognitiva». Conside­rate congiuntamente, le tre domande dovrebbero permet­tere di capire meglio che cosa si cela dietro quella che Ga­relli [ 1991] ha chiamato la «religione di maggioranza»: l'in­sieme di coloro che non sono né coerentemente religiosi né coerentemente irreligiosi.

Questa nuova domanda - il cui testo, con le percen­tuali di risposte, è riportato nella tabella 4.7 - ha permesso di articolare il quadro degli orientamenti religiosi. Combi­nandola con le altre due domande, è stato infatti possibile costruire una tipologia che prevede cinque tipi fondamen­tali di atteggiamento verso la religione. I cinque tipi, otte­nuti dicotomizzando le tre domande e riducendo lo spazio di attributi risultante dal loro incrocio, sono stati conven­zionalmente così denominati3:

Tipo l. Devoti Tipo 2. Ritualisti Tipo 3. Individualisti Tipo 4. Opportunisti Tipo 5. Laici

23,9 20,8

9,4 27,7 18,2

I tipi estremi ( l e 5) rappresentano le combinazioni di risposte coerenti. n tipo l («devoti») è costituito da chi è credente (C), considera importante o molto importante la

3 La tipologia qui utilizzata differisce da quella costruita da Antonio de Lillo nel precedente capitolo che tiene conto, oltre che delle tre varia­bili qui considerate, anche di una quarta variabile relativa all'impegno religioso.

1 1 0

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TAB. 4.7. L'atteggiamento nei confronti della religione (%)

Sono credente 79,4

Non sono credente perché ritengo che sulla esistenza di Dio non ci si possa pronunciare 7,8

Non sono credente perché i problemi di fede mi sono indifferenti 3, 9

Non sono credente perché sono convinto che Dio non esista 2,9

Altra risposta 6,0

100,0

N = 2.500

religione (R) e inoltre va a messa almeno una volta al mese (P). Grosso modo corrisponde al tipo che Franco Garelli [ 1991] definisce «religione di minoranza», e Loredana Sciolla [1988] «religione di chiesa». ll tipo 5 («laici») ne rappresenta l'esatto opposto: non crede (C), non considera importante la religione (R), non frequenta o frequenta rara­mente la messa (P) . Fin qui la tipologia è molto simile a quella proposta da Loredana Sciolla sulla scorta delle risul­tanze di due indagini locali (Torino e Reggio Emilia). Al di là di alcune differenze tecniche, il tipo l corrisponde al tipo «religione di chiesa», il tipo 5 al tipo «non religione»4•

Per quanto riguarda le combinazioni incoerenti o par­zialmente incoerenti, invece, le due tipologie divergono sen­sibilmente. Poiché noi consideriamo tre dimensioni - cre­denza, esperienza e pratica - anziché due - credenza e pratica - le combinazioni incoerenti logicamente possibili salgono da due a sei, come mostra la figura 4.2.

Da tale figura si capisce bene qual è la logica delle due tipologie. Se si considerano solo due dimensioni, la combi­nazione «ritualista» (dimensione oggettiva senza dimen­sione soggettiva) risulta empiricamente assai poco presente

4 Cfr. Sciolla [1988, 52-58].

1 1 1

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Con 2 dimensioni

[ p c l (eliminato)

P C (religione privata)

Con 3 dimensioni

P R C (ritualisti)

P R C (ritualisti) P R C (ritualisti)

P R C (individualisti)

P R C (individualisti) P R C (opportunisti)

%

18,9

0,4 1 , 5

0,4

9,0 27,7

FrG. 4.2. L'atteggiamento nei confronti della religione. Combinazioni incoerenti.

(meno del 2% dei casi nel nostro campione), e quindi il re­lativo tipo può anche essere eliminato. Resta così un solo tipo incoerente (dimensione soggettiva senza dimensione oggettiva), che Sciolla definisce «religione privata».

Se invece consideriamo tre dimensioni, allora non solo compare un tipo «ritualista» (pratica e credenza senza reli­giosità), tutt'altro che esiguo, ma diventa possibile articolare il tipo «religione privata» in almeno due componenti: gli in­dividualisti (religiosità senza pratica) e gli opportunisti ( cre­denza senza religiosità e senza pratica) .

n rapporto fra le due tipologie può essere rappresentato con questo semplice schema:

Religione di chiesa

Religione privata

Non religione

------ Devoti Ritualisti

------ Individualisti Opportunisti

Laici

La suddivisione del tipo religione privata in una com­ponente individualista e m una componente opportunista

1 12

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permette anche di fornire una prima risposta all'interroga­tivo con cui si concludeva l'analisi di Sciolla:

Anche il tipo «religione privata» presenta delle sorprese, ci fornisce cioè un profilo in parte inedito. La scarsità di risorse so­ciali e culturali che contraddistingue sia il suo ambiente famigliare sia il suo contesto d'esperienza, l'alto livello di frustrazione psico­logica, la sua scarsa disponibilità non solo all'impegno religioso, ma anche a quello pubblico, associati ad un profilo ideologico e morale piuttosto «piatto» e conformista e ad una marcata inclina­zione verso valori neo-materialisti delineano un tipo nel com­plesso pragmatico e assai poco motivato idealmente.

Che dunque la divaricazione tra credenza e comportamenti, costitutiva di questo tipo di giovani, non nasconda dawero una sorta di indifferenza «pragmatica» per la religione, un agnostici­smo «latente» che non vuole o non sa dichiararsi apertamente? La domanda non vuole essere che una suggestione per ulteriori e più approfondite indagini 5•

Poiché solo il tipo «individualista» si presta ad un'inter­pretazione benevola dello scarto fra credenze e pratiche, e poiché gli individualisti rappresentano appena un quarto del tipo religione privata, la congettura di Sciolla sembra decisamente corroborata dai dati. Fra le due classiche inter­pretazioni dello scarto fra credenze e pratiche - quella che la legge come passaggio a una forma personalistica dell'e­sperienza religiosa [Garelli 1986; Crespi 1986], e quella che la legge come declino dell'esperienza religiosa [Wilson 1985] - la seconda appare più coerente con l'evidenza em­pirica disponibile.

4. Partecipazione e rapporto con le istituzioni'

Per capire come i giovani «vedono» le istituzioni si può cercare, innanzi tutto, di valutare quali istituzioni riscuo­tono una certa fiducia e quali no. Nella tabella 4.8 ripor-

5 Cfr. Sciolla [1988, 59].

1 13

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tiarno la graduatoria fra tredici gruppi sociali che rappre­sentano altrettante istituzioni o funzioni sociali.

TAB. 4.8. Il rapporto con le istituzioni (%)

l . Polizia

2. Carabinieri

3. Insegnanti

% Consensi

69,7 64,7 63,8

4. Banche 55,9 5. Sacerdoti 50, l

AREA DELlA

FIDUCIA

· --- - -------- - - - - - - - - --- -------- - - - - - - - - - - - - - - ----------- AREA GRIGIA

6. Magistrati 46,2 7. Industriali 44,4 8. Giornalisti 41,4 9. Militari di carriera 34,7

10. Sindacalisti 23,5 11 . Funzionari dello Stato 19,9 AREA DELlA

12. Governo 19,0 SFIDUCIA

13. Uomini politici 12,2

Nota: La graduatoria è costruita calcolando quanti hanno «molta>> o <<abba­stanza fiducia>> in ciascuna istituzione.

Polizia, carabinieri e insegnanti sono le sole istituzioni che ottengono la fiducia di una larga maggioranza dei gio­vani. Le istituzioni che suscitano il massimo di sfiducia sem­brano quelle dell'establishment politico-burocratico: sinda­calisti, funzionari statali, governo e uomini politici. In mezzo, ossia prossime alla metà dei consensi, tutte le altre.

Oltre a valutare il grado di fiducia riscosso dalle varie istituzioni, può essere utile capire come i giovani le raggrup­pano, quali considerano simili e quali considerano diverse. La figura 4.3 illustra i risultati di un'analisi fattoriale con­dotta sulle tredici scale di fiducia 6•

Come si vede, i giovani sembrano distinguere piuttosto

6 A differenza di quanto fatto da Antonio de Lillo nel capitolo pre-

1 14

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Fattore 2 - - -

Banche

Fattore l Industriali

Uomini politici lnseganti Governo Sacerdoti Funzionari dello stato Magistrati Sindacalisti Giornalisti

Polizia Militari di carriera Carahinieri

FIG. 4.3. Le dimensioni sottostanti al rapporto con le istituzioni.

nitidamente fra tre classi di funzioni: a) complesso politico­burocratico (solo fattore l) ; b) ordine pubblico ed econo­mia (solo fattore 2); c) autorità e comunicazione (interse­zione fra i due fattori).

La prima classe coincide esattamente con l'insieme delle istituzioni che riscuotono la minore fiducia fra i giovani.

Si è visto nella parte sul cambiamento (cfr. par. 2) che fra i mutamenti principali intervenuti nel mondo giovanile nel corso degli ultimi cinque anni vi è l'aumento generaliz­zato dell'associazionismo e della partecipazione. TI numero di soggetti che ha preso parte a qualche iniziativa pubblica come manifestazioni, raccolte di firme, assemblee, è passato dal 43,2% al 51 ,7% del totale. Alla fine degli anni Ottanta i giovani impegnati erano ancora una (consistente) mino­ranza, all'inizio degli anni Novanta sono diventati la mag­gioranza.

Per cercare di capire questo cambiamento abbiamo pro­vato ad individuare e «pesare» alcune possibili determinanti della partecipazione, misurata con il numero di «azioni pubbliche» compiute negli ultimi dodici mesi. Abbiamo fis­sato la nostra attenzione, in particolare, sulle seguenti scale:

cedente, abbiamo condotto l'analisi fattoriale su tutti i tredici items delle scale di fiducia e non su sette soltanto.

1 15

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Atteggiamento positivo verso la politica Atteggiamento positivo verso gli immigrati Orientamento di sinistra Religiosità Fiducia (fattore 2) Fiducia (fattore l)

Contributo esplicativo

50,1 24,2 12,6 10,1 2,7 0,3

Come si più notare, l'impegno pubblico dipende soprat­tutto da un atteggiamento di tolleranza e di accettazione della politica (74,3% della varianza spiegata), e solo in mi­sura minore dalla religiosità e da una auto-collocazione «a sinistra» (22,7). Quanto alla fiducia nei confronti delle isti­tuzioni, abbiamo un risultato piuttosto interessante. Mentre la fiducia nelle istituzioni del complesso politico-burocra­tico (fattore l) è priva di effetti sulla partecipazione, la fidu­cia nelle istituzioni connesse all'ordine pubblico e all'econo­mia (fattore 2) ha effetti negativi sul livello di partecipa­zione. Questo significa che il calo di fiducia in queste istitu­zioni ha contribuito (sia pure in misura modesta) all' au­mento della partecipazione registrato nell'ultimo quinquen­nio. Poiché nello stesso periodo i giovani non si sono spo­stati a sinistra (anzi), l'aumento della partecipazione - in assenza di informazioni comparabili sugli atteggiamenti verso gli immigrati - sembra attribuibile soprattutto all' au­mento parallelo della religiosità e della politicizzazione (cfr. par. 2) .

5. L'asse sinistra-destra

L'ordinamento fra i partiti che emerge dalle auto-collo­cazioni medie sull'asse sinistra-destra è il seguente:

1 1 6

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P1<c Rete Verdi Leghe Ms1 ·- - - - - - - - - · - - - - - - ---· -- - - - - - - -· - - - ---------- - - - - - ·- - - - - - - - - · - - - - - - - - - · -- -- · · · - -· - - - - - - - - -·

l 2 3 4 5 6 7 8 9 lO P o s P1< Ps1 P R I D c Pu

Abbiamo omesso i socialdemocratici perché il numero dei casi ( 8 risposte) era troppo limitato per consentire valu­tazioni affidabili. Gli unici elementi da segnalare, in questo ordinamento generale, sono la posizione dei Verdi (vicini ai repubblicani, più a destra del Psi), l'allineamento fra Pns e Rifondazione comunista, e la posizione centrale delle Le­ghe, che fanno blocco con Dc e Pu e non con il Msr.

n fatto che i giovani siano capaci di autocollocarsi lungo l'asse sinistra-destra non significa, di per sé, che tale dimen­sione sia anche rilevante o sia la principale fonte di differen­ziazione fra gli orientamenti politici dei giovani, innanzi tutto perché una frazione considerevole dei giovani - poco più del 40% - non sa o non vuole autocollocarsi lungo il continuum sinistra-destra. Questa frazione è ovviamente massima nelle prime fasce d'età ma non è affatto trascura­bile anche nelle ultime, fra i giovani che sono già stati chia­mati alle urne due o più volte.

Come si vede infatti dalla tabella 4.9, quel che cambia nel passaggio dalle prime alle ultime fasce d'età non è tanto la quota di giovani che non si autocollocano (che passa dal 43 ,9% al 39%) quanto il tipo di motivazioni della mancata collocazione. Con l'età aumenta la quota di coloro che non vogliono rispondere, e diminuisce quella di coloro che non sono in grado - o dichiarano di non essere in grado - di autocollocarsi lungo l'asse sinistra-destra. Tuttavia, nell'ul­tima fascia di età (25-29 anni) c'è ancora quasi un 30% di giovani che dichiara di non sa persi collocare sull'asse sini­stra-destra.

Ma c'è anche una seconda ragione che suggerisce di va­lutare con prudenza le autocollocazioni dei giovani. Anche se limitiamo l'attenzione ai giovani che hanno scelto una po­sizione sull'asse sinistra-destra, nulla garantisce che tali au­tocollocazioni costituiscano una spiegazione adeguata delle preferenze elettorali dei giovani. E possibile, in altre parole,

1 1 7

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TAB. 4.9. Collocazione sull'asse sinistra-destra per gruppi di età

Età

15-17 18-20 21-24 25-29

Rispondono 56,1 58,5 60,8 61,0 Non sanno 39,1 33,2 30,8 28,0 Non rispondono 4,8 8,3 8,4 1 1,0

100,0 100,0 100,0 100,0

TAB. 4. 10. Giovani e scelte partitiche

Medie Dev. st. % Cons. Moda % Casi moda

Dc 5,8 1,6 26,6 5 43,5 Pos 2,8 1,3 16,8 3 33,8 Leghe 6,0 2,1 1 1,5 5-8 21 ,1 Verdi 4,8 1,5 9,7 5 35,9 Ps1 4,3 1,5 8,8 5 38,1 Ms1 7,8 2,2 5,3 lO 30,0 Rete 3,8 1,5 5,1 3 31 ,3 Pru 4,8 1,5 5, 1 4-5 27,1 Re 2,8 2,2 4,3 l 36,6 Pu 6,0 2,1 3,1 7 24,1 PR! antiproibizionisti 3,6 1,9 2,9 3 25,0 Psm 5,4 1,5 0,8 4 37,5

che la capacità di autocollocarsi sopravviva 'al venir meno della sua rilevanza come criterio di orientamento nello spa­zio politico.

Alcuni indizi suggeriscono precisamente che sia questa la situazione, primo tra tutti la grande dispersione dei pun­teggi dei vari partiti intorno alla media (tab. 4. 10) .

Per nessun partito esiste una posizione della scala che raccolga la maggioranza delle valutazioni, e solo nel caso della Dc c'è una posizione che supera il 40%. Pur essendo il range delle posizioni medie piuttosto limitato (da un mi­nimo di 2,8 per l'estrema sinistra a un massimo di 7,8 per l'estrema destra), la dispersione delle valutazioni intorno a

1 18

Page 121: Giovani anni 90. Terzo rapporto Iard sulla condizione giovanile in Italia

ciascuna media di partito è estremap1ente ampia (da un mi­nimo di 1 ,3 a un massimo di 2,2) . E come dire che, in me­dia, i baricentri di due partiti distano fra loro circa due scalini ma, nello stesso tempo, le oscillazioni intorno alla media delle valutazioni degli elettori di ciascun partito sono press' a poco dello stesso ordine di grandezza. Que­sto, in pratica, significa che se cerchiamo di prevedere il voto in base all' autocollocazione sull'asse sinistra-destra, nella maggior parte dei casi finiiemo per sbagliarci.

Un secondo indizio che ci invita alla prudenza è il con­fronto fra la capacità discriminante dell'asse sinistra-destra e la capacità discriminante di altre variabili, come il grado di secolarizzazione 7 o le dimensioni latenti ricavabili da batte­rie di domande come quelle sulla fiducia nelle istituzioni 8 o quelle sul grado qi disprezzo per vari comportamenti più o meno immorali9• E vero che nessuna delle variabili del que­stionario considerate singolarmente ha lo stesso potere di­scriminante dell'asse sinistra-destra, ma è anche vero che, combinandone un certo numero, non è difficile costruire dimensioni irriducibili all'asse sinistra-destra e dotate di un potere discriminante analogo. Se, ad esempio, lavoriamo con le dimensioni di cui si è appena detto, è possibile co­struire una funzione discriminante che separa i vari partiti altrettanto bene dell'asse sinistra-destra 10, anche se li ordina in modo del tutto diverso 11 :

7 Come indici di secolarizzazione abbiamo utilizzato le risposte a va­rie domande del questionario come la 50, la 51, la 52, la 53 e la 91 (items C G M Q N S).

8 Cfr. domanda 45 del questionario. 9 Cfr. domanda 73 del questionario. 1° Con le tre classi di variabili indicate nelle tre note precedenti, la

prima funzione discriminante ottenuta presenta una correlazione cano­nica con le preferenze elettorali pari a 0,51 e una quota di predizioni cor­rette pari al 23,8%. Entrambi i valori sono piuttosto vicini a quelli della collocazione sull'asse destra-sinistra, pari rispettivamente a 0,64 e al 18,2%.

1 1 Per rendere il più confrontabili possibili le collocazioni sull'asse si­nistra-destra e sulla nuova funzione discriminante, il range di quest'ul­tima è stato reso identico a quello della prima mediante una trasforma­zione affine. Ecco i risultati:

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PR Re Rete Verdi Dc Pu P1u Ps1

· - - - - - - - - - · - - - - - - - - - · - - - - - - - -- - - - - - - - - · - - - - ·- - - - - - - - · - - - - - - - - - · - - - - - - - -· -- - - - - ---·

2 3 4 5 6 PsDI M si

Pns Leghe

7 8 9 10

Come si vede, la dimensione sembra cogliere soprattutto la contrapposizione &a la concezione confessionale e mode­rata della politica tipica del partito cattolico e le concezioni più laiche e radicali della maggior parte dei partiti di oppo­sizione 12.

Con ciò, sia chiaro, non si vuole affatto suggerire che l'asse sinistra-destra colga distinzioni superate, o sia sosti­tuito da un nuovo asse come quello appena tracciato. Quel che si vuol far notare è, semplicemente, che le distinzioni che portano i giovani a preferire partiti differenti non hanno a che fare soltanto con la tradizionale contrapposizione fra

Medie Dev. st. % Cons.

Dc 7,8 2,4 27,2 PDs 3,7 2,9 14,7 Leghe 5,3 2,4 13,7 Verdi 5,5 2,9 11,7 Ps1 6,3 2,7 8,3 Ms1 6,0 2,7 4,8 PRI 5,9 2,6 4,6 Rete 4,6 2,6 4,4 Re 3,5 3,0 4,0 PLI 5,6 2,4 3,0 PR ecc. 2,8 2,2 2,8 Psm 6,0 1,6 0,8

La correlazione fra la funzione discriminante e le posizioni sull'asse sinistra-destra è pari a 0,27. Ciò mostra l'irriducibilità dell'una all'altra.

12 Sulla collocazione della Lega nell'ambito del centro laico si veda il prossimo capitolo, in particolare il paragrafo 9.

120

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sinistra e destra ma anche con altre contrapposizioni, più o meno importanti e più o meno inedite. Se si tiene conto di queste contrapposizioni, la dislocazione dei partiti nello spazio politico può anche cambiare radicalmente, portando ad avvicinare partiti tradizionalmente lontani sull'asse sini­stra-destra, e a separare partiti tradizionalmente contigui.

Avere un'idea di quali possano essere queste nuove linee di divisione può essere importante per capire le alleanze e i rimescolamenti che il futuro del sistema politico italiano po­trà riservarci. A questo scopo abbiamo provato a sottoporre ad analisi fattoriale le due batterie di domande sulla fiducia nelle istituzioni e sul grado di disprezzo per un certo nu­mero di comportamenti devianti, e abbiamo poi valutato la posizione di ciascun partito sui primi due fattori emersi in ciascuna analisi.

Dall'analisi della prima batteria di domande sono emersi un fattore che esprime la fiducia nel complesso politico-bu­rocratico e un fattore che esprime la fiducia nelle altre isti­tuzioni, specie quelle relative all'ordine pubblico e all'eco­nomia l}. Le collocazioni medie degli elettori dei partiti sui due fattori sono rappresentate nella figura 4.4.

La contrapposizione principale risulta essere &a la cop­pia Dc-Psi da un lato (massimo di fiducia su entrambi i fat­tori) e la coppia PR-Rc (massimo di sfiducia su entrambi i fattori) . L'aspetto più interessante, tuttavia, è dato dalla contiguità &a Pos, Ms1 e Lega. Questi tre partiti - e, an­cora più accentuatamente, il partito liberale - sono caratte­rizzati da un livello di fiducia estremamente basso nei con­fronti del complesso politico-burocratico, e da un livello di fiducia abbastanza alto (molto alto nel caso del Pu) nei con­fronti delle istituzioni dell'economia e dell'ordine pubblico. In questo i giovani del Pos appaiono assai più vicini alle

B L'analisi è stata condotta con il metodo GLs (Generalized Least Squares); la rotazione con il metodo Oblimin. La varianza spiegata dai primi due fattori è pari al 40,2%, la distorsione è pari al 12%. Gli items che caratterizzano il primo fattore sono quelli relativi a funzionari dello stato, sindacalisti, governo e uomini politici; gli items che caratterizzano il secondo fattore sono quelli relativi a polizia, carabinieri e industriali.

121

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o -� ... '" ... u o ... ;:l .!l o :� o o. o >Jl ,_, <1.>

Ci E o u

Qj c:: '" ·o ;:l -o u:

0,375

0,25 -

0,125

o -

- O, 125

- 0,25 -

- 0,375

- 0,5 • PI<

• Dc

• Ps1

• Pns

• Verdi • Psm

• Rete

• Ms1

• Lega

• PRI

Pu •

- 0,56 - 0,4 - 0,24 - O,OH O,OH 0,24 - 0,64 - 0,48 - 0,32 - 0,16 o 0,16 0,32

Fiducia nelle istituzioni dell'economia e dell'ordine pubblico

FIG. 4.4. Posizioni dei partiti e fiducia nelle istituzioni.

forze politiche della destra (dalla Lega al Movimento so­ciale) che non ai «cugini» di Rifondazione comunista.

Ma le sorprese maggiori arrivano da un'analisi della se­conda batteria, quella condotta sulle «scale di disprezzo». Qui i due fattori che emergono 14 rappresentano rispettiva-

14 L'analisi è stata condotta con il metodo ULs (Unweighted Least Squares), la rotazione con il metodo Oblimin. La varianza spiegata dai primi tre fattori è pari al 61,1%, la distorsione è pari al 12%. Gli items che caratterizzano il primo fattore sono quelli relativi a «un consumatore di droghe pesanti», «uno che si ubriaca abitualmente» e - con segno op­posto a quello dei precedenti - «uno che dichiara meno al fisco (eva-

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mente: a) il disprezzo per i più tipici comportamenti difree riding (evasori fiscali e imprenditori che inquinano l' am­biente), unito a una certa tolleranza per i comportamenti autodistruttivi (droga e alcool); b) il disprezzo per i com­portamenti devianti dei potenti (politici e amministratori corrotti, trafficanti di droga), unito a una certa tolleranza per i comportamenti devianti dei più deboli (piccoli furti) .

Come mostra la figura 4.5, la contrapposizione princi­pale è ora fra il rigorismo di radicali, Pos e Rete (massimo di disprezzo su entrambe le dimensioni) e la benevolenza di socialisti, democristiani e leghisti (minimo di disprezzo su entrambe le dimensioni), con il Movimento sociale collo­cato in una posizione particolare (benevolenza verso evasori e inquinatori, pugno di ferro sulla corruzione e sul traffico di droga) .

6. Conclusioni

n quadro della partecipazione politica che emerge dalla terza indagine IARD ci presenta un mondo giovanile in ra­pida evoluzione, in cui alcune spinte di lungo periodo si combinano e si intrecciano con movimenti ciclici di periodo più breve. Fra le prime, forse, la più importante è costituita dall'aumento costante e regolare dell'impegno pubblico. Anche se non sempre è possibile effettuare confronti pun­tuali fra le varie indagini, dal complesso delle informazioni raccolte fin qui, la crescita dell'impegno pubblico appare come una delle pochissime tendenze che non ha mai subito inversioni o battute d'arresto. Valutabile intorno al 20-25% negli anni della contestazione (69-70), l'impegno pubblico

sore)», e «il responsabile di un'azienda che inquina l'ambiente»; gli items che caratterizzano il secondo fattore sono quelli relativi a «un politico, un amministratore che si impossessa di denaro pubblico», «un uomo poli­tico, un amministratore che richiede tangenti», «un trafficante di droga» e - con segno opposto ai precedenti - «uno che commette piccoli furti (negozi, supermercati)»; il terzo fattore coincide in gran parte con un sin­golo item, quello relativo a «un assenteista».

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- 0,375

• Pos Rete

• R e Pu o • Verdi

• Ms1

• P1n

- 0, 1 125 - 0,0375 0,375 0,1 125 0,1875 0,2625

- 0, 1 5 - 0,075 o 0,075 0,15 0,225 0,3

Disprezzo per tangentomani e trafficanti di droga

FIG. 4.5. Posizioni dei partiti e scale di disprezw.

risultava salito al 36% verso l'inizio degli anni Ottanta, in corrispondenza della prima indagine lARD ( 1983 ); quattro anni dopo, in corrispondenza della seconda indagine lARD ( 1987), i giovani attivi erano saliti al 43%; all'inizio degli anni Novanta, infine, l'impegno pubblico sembra aver rag­giunto più della metà dei giovani.

L'ultima indagine, condotta all'inizio del 1992, registra infatti un tasso di impegno pubblico pari al 52%. Questo si­gnifica che, in poco più di venti anni, dalla fine degli anni Sessanta all'inizio degli anni Novanta, la partecipazione e l'impegno pubblico dei giovani sono più che raddoppiati. Questo dato è tanto più interessante se si riflette sul fatto

124

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che negli ultimi cinque anni la crescita della partecipazione giovanile è stata accompagnata da una profonda crisi di fi­ducia, che ha coinvolto tutte le istituzioni eccetto la Chiesa.

Si potrebbe pensare, riflettendo su questo «privilegio» delle istituzioni ecclesiastiche, che la matrice dell'aumento della partecipazione sia stato proprio l'impegno religioso, dal volontariato alle battaglie per il disarmo e la pace. Ma le cose non stanno così, o meglio non stanno più così. Se nel cuore degli anni Ottanta la crescita della partecipazione aveva una cospicua impronta religiosa, tra la fine degli anni Ottanta e i primi anni Novanta il dato di fondo che sembra emergere è, semmai, quello di una ripresa del processo di secolarizzazione. Dopo il «risveglio» del mondo cattolico segnalato dal primo rapporto IARD ( 1984), dopo la spettaco­lare ripresa dei consensi alla Dc registrata nel secondo rap­porto !ARo ( 1988), oggi il pendolo sembra di nuovo volgere nettamente a favore della cultura laica. Questa tendenza è particolarmente evidente e univoca nel caso delle prefe­renze elettorali. Fra i giovani dei primi anni Novanta i par­titi che si richiamano alle tre grandi ideologie del nostro se­colo - il marxismo, il fascismo, il cattolicesimo - stanno per la prima volta perdendo la maggioranza assoluta dei consensi, sopraffatti dall'ascesa dei partiti laici e, nell' am­bito di questi ultimi, dall'esplosione dei consensi ai partiti di più recente formazione: la Lega, i Verdi, la Rete.

Questa affermazione della cultura politica laica, che è particolarmente accentuata nel mondo giovanile ma coin­volge progressivamente anche il mondo adulto, sta awe­nendo nel quadro di uno spostamento del baricentro del si­stema politico verso destra. La sinistra, che ancora all'inizio degli anni Ottanta poteva contare sulla maggioranza dei consensi giovanili, ha perso progressivamente il sostegno del mondo giovanile, ad un ritmo di circa un punto al­l' anno. Ma oggi il dato più significativo che sembra emer­gere da un'analisi delle preferenze elettorali dei giovani è il grande rimescolamento dei rapporti di affinità e di opposi­zione fra le varie forze politiche. Per rendersene conto oc­corre guardare i partiti con lenti nuove, cercando di sco­prire quali altre dimensioni - oltre all'ideologia - sono

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dotate di capacità discriminante, conducono cioè giovani «posizionati» su di esse in modo diverso a scegliere partiti diversi. Se questo esercizio viene tentato si possono scoprire parentele inedite o, viceversa, mettere in questione matrici com,uni date per scontate.

E il caso, per citare un solo esempio, del neonato Partito democratico della sinistra. Anche se lungo l'asse sinistra-de­stra la posizione dei suoi sostenitori è praticamente indistin­guibile da quella dei «cugini» di Rifondazione comunista, su altri piani essa si avvicina a quella di altre forze, sovente considerate agli antipodi del Pns. Quanto alla fiducia nelle istituzioni, ad esempio, i giovani del Pns sono vicini soprat­tutto a quelli del Movimento sociale, della Lega e della Rete. Quanto ai giudizi morali su evasori e tangentomani, i gio­vani del Pns sono a metà strada fra i «rigoristi» della Rete e del Partito radicale e i «moderati» di Rifondazione comuni­sta e del Psr. Un discorso analogo si potrebbe imbastire per i giovani leghisti. Lontani dalla Dc e vicinissimi al Pns quanto alla fiducia nelle istituzioni, capovolgono la loro po­sizione - avvicinandosi alla Dc ed allontanandosi dal Pns - quanto ai giudizi su corrotti ed evasori.

Tutto questo significa che, almeno nel mondo giovanile, i rapporti, le alleanze, le affinità fra i partiti sono tutt'altro che fissate una volta per tutte. A seconda dei terreni di scontro, gli schieramenti e le aggregazioni possono cam­biare radicalmente, rovesciando schemi mentali che sem­bravano naturali e immodificabili. Forse oggi, dopo mezzo secolo di vischiosità delle scelte elettorali e di immobilismo del sistema politico, dobbiamo anche prepararci ad assi­stere a qualche sorpresa.

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CAPITOLO QUINTO

LO SPAZIO POLITICO E LA COLLOCAZIONE DELLA LEGA

l . Premessa

N el capitolo precedente, dedicato all'associazionismo e alle varie forme della partecipazione politica, abbiamo avanzato l'ipotesi che la collocazione dei partiti politici lWlgo l'asse sinistra-destra non fosse sufficiente a render� conto in modo adeguato delle scelte elettorali dei giovani. E probabile che, nella scelta del partito per cui votare, i gio­vani tengano conto di differenze che non sono in alcWl modo riconducibili alla classiche contrapposizioni fra sini­stra e destra, fra progressisti e conservatori, fra fautori del­l'intervento pubblico e difensori del mercato. Soprattutto per le formazioni politiche di più recente apparizione -come i Verdi, la Lega, la Rete - è piuttosto arduo immagi­nare che esse vadano semplicemente ad occupare Wl seg­mento più o meno scoperto del continuum sinistra-destra. Più ragionevole è supporre che l'affermazione di formazioni politiche nuove provochi o accentui Wla certa ristruttura­zione dello spazio elettorale, ossia delle dimensioni entro le quali gli elettori percepiscono le varie forze politiche. Un modo per capire se e in che misura ciò stia avvenendo è quello di lavorare sulle formazioni politiche nuove cer­cando, al tempo stesso, di coglierne la specificità e di �rovar loro una collocazione nello spazio politico-elettorale. E quel che cercheremo di fare con la Lega Nord, ossia con la più importante fra le forze politiche nuove.

2. Il cocktail leghista

La maggior parte delle inchieste sugli elettori della Lega ne hanno perlopiù messo in luce tre «sentimenti» distintivi:

127

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il senso di appartenenza territoriale, l'intolleranza verso i di­versi e la disaffezione nei confronti delle forze politiche tra­dizionali. Nessuno dei tre sentimenti avrebbe, da solo, un ruolo decisivo nella scelta leghista, ma la loro compresenza costituirebbe un cocktail esplosivo, capace di deviare il voto dalle sue destinazioni tradizionali 1•

Anche se l'importanza relativa di questi tre ingredienti è piuttosto difficile da valutare 2, vi è un discreto accordo sul fatto che il ruolo delle tre componenti non è perfettamente simmetrico, innanzi tutto perché il senso di appartenenza territoriale sembra più un elemento derivato, una sorta di «collante ideologico» ex post, che non un motivo autonomo di adesione alla Lega e, in secondo luogo, perché dei tre tipi di sentimenti la disaffezione nei confronti delle forze politi­che tradizionali appare quello dotato del maggiore impatto causale, specie nelle realtà metropolitane3•

L'occasione fornita dalla terza indagine IARD sui giovani italiani, condotta pochi mesi prima del successo leghista alle elezioni politiche del 5 aprile 1992, consente di ripercorrere alcune delle analisi precedenti lavorando su un universo al tempo stesso più generale (perché esteso a tutta l'Italia) e più specifico (perché limitato alla fascia di età che va dai 14 ai 29 anni). Come si vedrà, alcuni dei risultati confermano quelli delle inchieste precedenti, altri se ne discostano più o meno radicalmente. Le differenze possono essere neon­dotte ad almeno tre cause: a) cambiamenti di atteggiamento intervenuti negli ultimi mesi o anni; b) non omogeneità delle popolazioni studiate; c) differenze nelle informazioni raccolte con le varie inchieste e nelle tecniche utilizzate per analizzarle.

N el primo caso ci troveremmo di fronte ad una vera e propria mutazione della Lega, intervenuta in un lasso di

1 Cfr. Mannheimer [1991a, 10- 1 1] . 2 Fra le cause di questa difficoltà ricordiamo: il carattere indetermi­

nato dell'ordinamento causale (importante soprattutto per valutare il ruolo del regionalismo), la presenza di errori di misurazione di entità sco­nosciuta, le possibili distorsioni connesse alle variabili omesse.

3 Cfr. Mannheimer [1991b, 155-157].

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tempo molto breve. Nel secondo dovremmo prendere atto del fatto che i giovani leghisti hanno motivazioni alquanto diverse da quelle degli adulti. Nel terzo dovremmo ripen­sare alcune delle interpretazioni del fenomeno leghista fi­nora avanzate. Personalmente, anche se posso soltanto indi­care alcuni indizi che la sostengono, propendo per quest'ul­tima interpretazione 4•

3 . I leghisti sono di destra?

Nell'indagine lARn del 1992, i giovani che dichiarano l'intenzione di votare Lega sono risultati pari al 15% delle preferenze espresse, più o meno quanto quelli vicini al Pns, e un po' più della metà di quelli vicini alla Dc. Poiché i con­sensi degli adulti alla Lega sono valutabili intorno all'8% (risultati del Senato alle politiche del 1992), ciò indica una netta sovra-rappresentazione dei giovani nell'elettorato le­ghista. Questo risultato non fa che confermare quanto già si sapeva sulla struttura per età della Lega: spostamento del baricentro verso le classi di età basse e centrali, propensione dei giovani a votare Lega di parecchi punti superiore a quella degli adulti 5•

Anche gli altri elementi del profilo sociodemografico del leghista risultano sostanzialmente confermati dall'indagine lARD. Nell'elettorato della Lega prevalgono nettamente i soggetti di sesso maschile, con titoli di studio medio-bassi, e dotati di esperienze lavorative non episodiche6•

4 La prima lettura (mutazione della Lega) è poco plausibile perché il tempo che separa la ricerca IARD dalle altre ricerche che abbiamo preso in considerazione è davvero molto ridotto (oscilla fra un minimo di qual· che mese e un massimo di un paio di anni). La seconda lettura contrasta con il fatto che nessuna fra le ricerche che hanno lavorato su campioni misti (giovani e adulti) ha mai segnalato differenze di grande portata fra le motivazioni dei giovani e quelle degli adulti. La terza interpretazione, infine, è resa plausibile dalla notevole diversità fra il questionario IARD e i questionari delle ricerche sulla Lega.

5 C&. Mannheimer [199Ib e 1992]. 6 Fra questi ultimi, tuttavia - contrariamente a quanto risulta da al-

129

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Sul piano degli atteggiamenti, l'indagine IARn permette di confermare buona parte dell'identikit del leghista trac­ciato nelle indagini precedenti. I giovani della Lega supe­rano quelli di qualsiasi altro gruppo politico sulle scale di regionalismo e di xenofobia 7 ma non sulla scala di conser­vatorismo, almeno finché quest'ultimo viene valutato attra­verso l' autocollocazione sull'asse sinistra -destra. Dei giovani della Lega, in altre parole, si può ragionevolmente sostenere che sono razzisti e provinciali ma non che sono di destra. La posizione da essi mediamente occupata sul continuum sini­stra-destra è decisamente al di qua di quella dei giovani del Movimento sociale, e pressoché coincidente con quella dei giovani della Dc e del Pu.

2 Sinistra

PR Verdi Dc PRc Psr PRr Pu Pos Rete Media Lega Msr

• • • • • •

3 4 5 6 7 8 9 10 Destra

Come si vede la Lega è più vicina ai Verdi e ai repubbli­cani (circa un gradino di distanza) di quanto lo sia al Movi­mento sociale italiano (circa due gradini). Essa è caratteriz­zabile assai più come una componente del blocco moderato

tre indagini [Mannheimer 1991b] - non prevalgono i lavoratori auto­nomi e gli impiegati ma i lavoratori dipendenti collocati nelle posizioni più basse.

7 La scala di regionalismo è costruita a partire dalla domanda 68 del questionario IARD, assegnando O punti a chi non sceglie mai (né primo né secondo posto) una identificazione di tipo regionalista, l punto a chi la sceglie una volta ma le assegna solo il secondo posto, 2 punti a chi la sce­glie una volta e le assegna il primo posto, 3 punti a chi la sceglie due volte (primo e secondo posto). La scala di xenofobia è ottenuta facendo la me­dia aritmetica fra i punteggi ottenuti sulle sei scale Lickert della domanda 70 del questionario (sull'immigrazione straniera in Italia), naturalmente dopo avere riscalato (y' = 6-y) i punteggi degli items a polarità invertita (favorevoli agli immigrati).

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che gravita intorno alla Dc che non come una formazione di destra in competizione con il Movimento sociale italiano.

4. I leghisti sono contro la «nomenklatura» dei partiti?

n profilo culturale del leghista non era fatto solo di senso di appartenenza territoriale e di intolleranza per i di­versi. n terzo, e più fondamentale, ingrediente del cocktail era la disaffezione per le forze politiche tradizionali. Ed è qui che cominciano le differenze fra i risultati dell'indagine lARD e quelli delle indagini precedenti. In queste ultime gli indici di sfiducia, disistima, disaffezione per i partiti e per il sistema politico registravano i loro massimi proprio nel caso dei sostenitori della Lega8• Con il questionario lARD l'atteg­giamento verso il sistema politico può essere valutato attra­verso due batterie di domande, l'una volta a cogliere il grado di fiducia verso un certo numero di gruppi o istitu­zioni, la seconda volta a registrare l'intensità dei sentimenti di disprezzo nei confronti di un certo numero di comporta­menti più o meno devianti o anti-sociali.

Un'analisi della prima batteria ha messo in luce la pre­senza di un fattore di «sfiducia nel complesso burocratico­statale» (governo, funzionari dello stato, uomini politici, sindacalisti) �, mediante il quale è possibile ordinare gli elet­tori dei vari partiti da quelli più sfiduciati a quelli più fidu­ciosi: PR, PRc, Lega, Ms1, Pos, Pu, Rete, (Psm), non voto, Pru, Verdi, Ps1, Dc (qui e nel seguito i socialdemocratici, dato l'esiguo numero di casi, sono sempre indicati tra pa­rentesi). Con qualche sorpresa la Lega non occupa il primo posto, e continua a non occuparlo anche se restringiamo l'a-

8 Cfr. Mannheimer [1991b]. � L'analisi è stata condotta mediante il package SPSS/PC + , con il me·

todo Minres (ULS); la rotazione dei fattori è stata effettuata con il metodo Oblimin e la stima dei punteggi fattoriali con il metodo della regressione; la varianza spiegata è risultata pari al 31 ,7%, la distorsione (misurata me­diante la quota di celle con residui troppo grandi) è risultata pari all' I l%.

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nalisi all'elettorato di centro-destra, escludendo dall'analisi tutti i soggetti che si autocollocano «a sinistra» sul conti­nuum sinistra -destra 10•

Ma ancora più stupefacenti sono i risultati che si otten­gono analizzando la distribuzione delle risposte alle due «scale di disprezzo» più inerenti al nostro problema, quella relativa a «un politico, un amministratore che si impossessa di denaro pubblico» e quella relativa a «un uomo politico, un amministratore che richiede tangenti». In entrambi i casi, l'intensità dei sentimenti di disprezzo espressi dagli elettori della Lega non solo non è la più elevata, ma è fra le più basse riscontrabili fra tutte le formazioni politiche ana­lizzate, compresa l'area del non voto. Nel caso della prima formulazione (il politico «ladro») solo democristiani e so­cialisti esprimono sentimenti (leggermente) più benevoli di quelli della Lega, nel caso della seconda formulazione (il politico «corruttore») solo democristiani e socialdemocra­tici appaiono più teneri dei leghisti. Considerato che i soli tre partiti capaci di competere con la Lega quanto a benevo­lenza verso i politici disonesti - Dc, Ps1, Psm - sono an­che i massimi esponenti del sistema delle tangenti e del voto di scambio 11, sembra difficile accreditare l'immagine della Lega come movimento che nasce dal rifiuto della partitocra­zia.

Qualche tempo fa, quando i giovani leghisti del Tren­tina invitarono i meridionali a tomarsene a casa per com­battere la mafia, Luciano De Crescenza commentò il fatto con una domanda che allora parve retorica, o provocatoria: «Vogliono che vada via anche Di Pietro?». Alla luce delle risultanze dell'indagine lARn quella domanda appare tutt'al­tro che retorica.

10 Questo esito non cambia se si alterano i livelli di taglio, replicando l'analisi su coloro che hanno punteggi superiori a 2, 3, 4, 5 sull'asse sinistra-destra.

1 1 Su questo punto si vedano Cazzola [1988] e Sciolla e Ricolfi [1989, 1 26-128].

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5. I leghisti sono «democristiani delusi>>?

Fra gli osservatori politici e gli studiosi è opinione abba­stanza diffusa che l'elettorato della Lega abbia molti punti di contatto e di affinità con quello della Democrazia cri­stiana. Questo, sia nel senso che la Dc sarebbe il serbatoio privilegiato dei voti della Lega, sia nel senso che i cattolici costituifebbero una parte essenziale della base sociale della Lega. E quest'ultimo, ad esempio, il presupposto logico delle ricorrenti richieste - rivolte alla Lega dai suoi avver­sari - di chiarire la compatibilità fra l'egoismo sociale di molte posizioni della Lega e la (presunta) adesione ai valori cristiani di una parte consistente dei suoi sostenitori.

Ebbene, entrambe queste letture del fenomeno leghista appaiono tutt'altro che supporta te dall'evidenza empirica. La presenza di una quota consistente di ex elettori Dc fra i sostenitori della Lega non indica affatto, di per sé, un' ele­vata propensione dell'elettorato Dc a «migrare» verso la Lega stessa. Quella quota può essere alta semplicemente perché la Dc resta, nonostante tutto, il partito maggiore, e costituisce dunque il bacino di raccolta di gran lunga più ampio da cui la Lega possa attingere. Per dimostrare che esiste una affinità fra voto alla Lega e voto alla Dc, occorre­rebbe dimostrare che la propensione a tradire il proprio par­tito in favore della Lega è più alta fra gli elettori democri­stiani che fra quelli degli altri partiti. Ma i pochi - e so­vente contraddittori - dati di cui si dispone indicano sem­mai proprio il contrario. Sia le rilevazioni condotte con la tecnica degli exit-polls sia le stime dei flussi elettorali effet­tuate a partire dai risultati ufficiali indicano che la Lega non sembra possedere un «bacino di raccolta» stabile. Consul­tando una decina di diverse analisi condotte in realtà locali e nazionali 12 abbiamo anzi potuto constatare che non esiste un solo partito che, almeno in una rilevazione, non sia risul­tato uno degli «affluenti» principali della Lega 13• Se una ten-

12 Per un quadro di queste analisi si vedano Natale [1991], Biorcio e Natale [1992] e Ricolfi [1992].

13 In generale un partito fa parte degli «affluenti» principali di un al-

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denza sistematica sembra emergere dalle varie analisi essa è, semmai, una certa differenziazione fra la struttura dei flussi in provincia e la struttura dei flussi nelle grandi realtà me­tropolitane. A Milano, ad esempio, il contributo della Dc alla crescita della Lega fra il 1987 e il 1990 sembra essere stato relativamente contenuto a fronte di quello dato dal Ps1 e dai partiti laici minori 14• Così a T orino la crescita della Lega alle politiche del 1992 sembra imputabile soprattutto al «saccheggio» del centro laico, che ha falcidiato le ffia di repubblicani, liberali e Verdi 1�.

Dobbiamo concluderne, come sembra suggerire Paolo Natale, che esistono «due anime» della Lega, «la prima le­gata alla nascita di un fenomeno di «sostituzione» della tra­dizionale subcultura cattolica, la seconda più vicina invece al voto di protesta e alla volontà di autonomia dallo stato centrale»? 16•

Forse non è necessario. Anziché pensare - come sem­brano suggerire molte analisi - che ai leghisti di provincia, xenofobici e tutto sommato un po' buzzurri, si contrappon­gano i leghisti di città, più maturi e politicizzati, si può con­getturare, più semplicemente, che la presenza di una consi­stente fetta di elettorato proveniente dalla Dc non alteri il carattere fortemente laico della scelta a favore della Lega. Secondo questa lettura, l'elettorato leghista non sarebbe la risultante di un «mixaggio» fra due elettorati delusi ma il prodotto congiunto di un drenaggio dal centro laico (dai so­cialisti ai liberali) e di uno splitting dell'elettorato democri­stiano. La distanza fra elettori provenienti dai partiti laici ed elettori provenienti dalia Dc sarebbe molto minore di quel che di solito si suppone perché la scelta della Lega non fa-

tro partito se la propensione degli elettori del primo a votare il secondo è superiore alla media. Nei casi in cui mancava nna docwnentazione com­pleta sulla matrice dei flussi elettorali, la propensione media è stata sti­mata utilizzando tutti i partiti per cui erano disponibili le informazioni necessarie.

14 Cfr. Natale [1991]. 15 Cfr. Ricolfi [1992]. 16 Cfr. Natale [1991, 1 13].

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rebbe altro che selezionare la parte meno religiosa e meno impegnata dell'elettorato cattolico.

6. Lo «splitting>> dell'elettorato Dc

C'è un modo di confortare un'ipotesi di questo tipo? Se la Lega fosse il risultato di una sorta di mix fra eletto­

rato laico e cattolico dovremmo attenderci che gli orienta­menti religiosi dei leghisti siano una sorta di compromesso fra quelli dell'elettorato laico e quelli dell'elettorato catto­lico. Se, viceversa, è più vicina alla realtà l'idea che l'ade­sione alla Lega sia governata da una sorta di processo di au­toselezione, che ripartisce l'elettorato democristiano fra cat­tolici «devoti» o impegnati, da un lato, e cattolici «confor­misti» o «ritualisti» dall'altro 17, dovremmo attenderci che il profilo religioso dell'elettorato della Lega non sia interme­dio fra quello della Dc e quello dei partiti laici ma, semmai, più simile a quello di questi ultimi che a quello della Dc.

Per controllare la nostra ipotesi abbiamo sfruttato una novità dell'ultimo questionario lARD, ossia la presenza -accanto alle due classiche domande sulla religiosità e la fre­quenza alla messa - di una domanda relativa alle credenze religiose. Combinandola con le altre due abbiamo costruito una tipologia degli orientamenti religiosi che prevede quat­tro tipi fondamentali di atteggiamenti verso la religione 18, e

17 Sulle etichette da attribuire ai vari tipi di fedeli la letteratura non è concorde [Le Bras 1955; Luckmann 1969; Garelli 1986; Ricolfi, Sca· muzzi e Sciolla 1988]. Le etichette da noi scelte vanno considerate larga· mente convenzionali.

18 I quattro tipi sono stati ottenuti dicotomizzando le tre domande sulla religione (51 , 52, 53), e riducendo lo spazio di attributi risultante dall'incrocio delle tre dicotomie secondo le seguenti regole:

C R P C R p C r P C r p c R P c R p

devoti individualisti conformisti conformisti conformisti individualisti

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TAB. 5.1 . Atteggiamenti religiosi e scelte elettorali (%)

Dc Laici Leghe Tutti

Devoti 44,4 23,1 1 1,8 23,9 Conformisti 39,9 45,4 56,5 48,5 Individualisti 11 ,8 9,8 7,1 9,4 Laici 3,9 21,7 24,7 18,2

100,0 100,0 100,0 100,0

l'abbiamo incrociata con le preferenze elettorali (tab. 5.1). I risultati non solo non confermano l'ipotesi del «com­

promesso» (Lega in posizione intermendia &a Dc e laici) ma vanno ben al di là delle nostre stesse aspettative. Nes­suna delle quattro componenti che costituiscono l'elettorato della Lega ha una consistenza intermedia &a quella tipica dell'elettorato laico e quella tipica della Dc. I «devoti», che sono caratterizzati dalla coerenza fra dimensione cognitiva (credenza in Dio), dimensione esperienziale (religiosità) e dimensione comportamentale (frequenza alla messa), si di­mezzano passando dalla Dc ai partiti laici, e si dimezzano nuovamente passando da questi ultimi alla Lega. I «laici», caratterizzati da una sorta di coerenza «negativa» (assenza dei tre caratteri precedenti), crescono passando dalla Dc ai partiti laici, ma crescono ulten"ormente passando da questi ultimi alla Lega. Le stesse dinamiche estreme si ritrovano &a le due componenti incoerenti, gli «individualisti» e i «conformisti». I primi, caratterizzati da una sorta di reli-

c r P = conformisti c r p = laici

dove le lettere maiuscole indicano il possesso dei tre attributi considerati (credenza, religiosità e pratica), mentre le lettere minuscole indicano la loro assenza. La dicotomizzazione delle tre scale originarie ha utilizzato questi livelli di taglio:

C: risposta «sono credente» alla domanda 52; R: risposte «moltissimo o molto importante)) alla domanda 51 ; P: risposte «tutte le settimane o quasi)), «2-3 volte al mese», «circa

una volta al mese» alla domanda 53.

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gione privata (religiosità senza pratica), assumono il loro va­lore più basso proprio fra gli elettori della Lega. I secondi, caratterizzati da un rapporto con la religione in cui la di­mensione oggettiva (le pratiche) è in contraddizione con quella soggettiva (la fede o la religiosità) , aumentano pas­sando dalla Dc ai partiti laici e diventano maggioranza asso­luta fra gli elettori della Lega.

La laicità della Lega è confermata da tutti gli indicatori di secolarizzazione presenti nel questionario, da quelli che riguardano le scelte matrimoniali a quelli relativi alla morale sessuale. L'indice che li riassume tutti 1� permette di farsi un'idea precisa del grado di secolarizzazione dell'elettorato della Lega.

Min.

Dc (PsDI) • •

Ms1

Rete Ps1 Pn1 Verdi l Lega l ru l �i f. com. Pos Pn

• • • • • • • • •

·5 -4 -3 ·2 -1 o 2 3 4 5

Scala di secolarizzazione Max.

Si vede bene che solo i «mangiapreti per definizione» (radicali ed ex comunisti) presentano indici di secolarizza­zione più alti di quello della Lega. Così, alla fine dell'analisi, la Lega non solo si presenta come un partito più laico della maggior parte dei cosiddetti partiti laici, ma risulta caratte­rizzato da una presenza massiccia · della ç:omponente più conformista dell'elettorato democristiano. E come se il de­clino della Dc e la contemporanea ascesa della Lega stes­sero anche, in qualche modo, «purificando» la composi-

1� L'indice è stato costruito sottoponendo ad analisi fattoriale sette indicatori di secolarizzazione, di cui uno ricavato dalla domanda 50 sulla convivenza senza vincolo matrimoniale, gli altri sei dagli items della do­manda 91 relativi alla morale sessuale (divorziare, avere rapporti sessuali senza essere sposati, avere esperienze omosessuali, vivere insieme senza essere sposati, abortire, avere una relazione con una persona sposata).

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TAB. 5.2. Distribuzione dei credenti nella Dc e nella Lega

Religiosi Conformisti

Dc

58,5 4 1,5

100,0

Lega

25,0 75,0

100,0

zione della Dc. È molto probabile che il flusso Dc-Lega coinvolga soprattutto la componente conformista, e rafforzi quindi - fra i «superstiti» - il peso delle due componenti più religiose e impegnate, i «devoti» e gli «individualisti». Se trascuriamo l'elettorato coerentemente «miscredente» di entrambi i partiti (i «laici»), i credenti dei due partiti si di­stribuiscono come riportato nella tabella 5 .2.

Fra i leghisti, la componente conformista è nettamente maggioritaria e i «religiosi» (devoti e individualisti) sono solo uno su quattro. Nella Dc le cose vanno in modo oppo­sto. La maggioranza è fatta di soggetti coinvolti sul piano re­ligioso, e i «conformisti» sono una robusta minoranza. Se la Lega crescerà ancora, è ragionevole pensare che quella mi­noranza sia destinata ad assottigliarsi.

Viste in questa prospettiva, le difficoltà che la Lega ha incontrato ed incontra nei suoi rapporti con il mondo catto­lico - si pensi alla minacciata raccolta di firme contro il cardinal Martini, e alla dura reazione della gerarchia catto­lica - diventano forse più comprensibili di quanto lo fos­sero prima, finché si assumeva lo stereotipo di una sostan­ziale omogeneità fra il suo elettorato e quello della Dc.

7. L'etica economica della Lega

Se si trascura un tratto secondario e, tutto sommato, in­dotto, come il senso di appartenenza territoriale, i tratti con cui finora abbiamo caratterizzato i giovani leghisti sono es­senzialmente quattro, due di tipo positivo (presenza) e due di tipo negativo (assenza) . n giovane leghista è ostile agli stranieri, altamente secolarizzato e, nello stesso tempo, non

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è di destra, né manifesta un particolare disprezzo per i poli­tici corrotti. Dei due tratti essenziali del cocktail leghista -l'intolleranza per i diversi ed il rifiuto dei partiti - resta in piedi solo il primo, un tratto che sembra avvicinare la cul­tura dei giovani leghisti a quella dei giovani del Movimento sociale italiano. Se il nucleo della cultura della Lega non è il rifiuto dei partiti e della nomenklatura politica, viene da chiedersi se i leghisti rappresentino soltanto una forma ine­dita di etnocentrismo (xenofobia senza nazionalismo) o se esista qualche altro tratto culturale che permetta di definire in positivo l'identità della Lega. Fra i possibili tratti caratte­rizzanti, quello che ha maggiormente attirato l'attenzione degli studiosi e degli osservatori politici è probabilmente il tipo di interessi economici difesi dalla Lega. Secondo An­gelo Panebianco [1990], ad esempio, nel fenomeno Lega «protesta anti-partito, interesse economico e affermazione di diversità culturale si incontrano e fanno sinergia». An­cora più radicale e disincantata l'analisi di Eugenio Scalfari [1992] :

La Lega si ammanta di federalismo e di possibile secessioni­smo, ma il vero nucleo del suo programma è di natura fiscale e le adesioni che riceve provengono in larga parte dal «terziario». n popolo minuto e il popolo grasso voteranno per Bossi perché la borsa è più importante di ogni altra considerazione.

Per approfondire questo punto abbiamo analizzato gli atteggiamenti morali dei giovani italiani nei confronti di un certo numero di comportamenti economici o dotati di rile­vanza economica, cercando di identificare la posizione della Lega nello spazio individuato da tali comportamenti. Gli at­teggiamenti morali che maggiormente caratterizzano il pro­filo dei giovani leghisti sono risultati i seguenti:

- basso disprezzo per «uno che dichiara meno al fisco (evasore)»;

- basso disprezzo per «il responsabile di un'azienda che inquina l'ambiente»;

- alto disprezzo per «un assenteista»; - alto disprezzo per «uno che commette piccoli furti

(negozi, supermercati)».

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A questi quattro comportamenti di diretta rilevanza eco­nomica vanno aggiunti i già ricordati atteggiamenti di tolle­ranza per politici ladri e corrotti, e un giudizio severo su «un individuo che assiste ad un delitto di mafia e non colla­bora con la legge»2o.

Qual è la logica che tiene insieme questo complesso di atteggiamenti?

Per capirlo basta cogliere quel che differenzia la prima coppia di comportamenti dalla seconda. Mentre l'egoismo e il tornaconto personale costituiscono il tratto comune di tutti e quattro i comportamenti, solo i comportamenti della seconda coppia evocano anche un danno al settore privato dell'economia, nella figura del proprietario che subisce il furto, o dell'imprenditore che viene «sfruttato» dall' assen­teista. Questo non significa che i primi due comportamenti non rechino alcun danno ai privati, ma che lo fanno in modo impersonale e, per così dire, distribuito. Evasione fi­scale e inquinamento colpiscono beni pubblici (l'ambiente e le funzioni dello stato), furti e assentesimo colpiscono diret­tamente le tasche di specifici operatori del settore privato. I primi rappresentano due tipiche forme di free riding (man­cata partecipazione ai costi di produzione di beni indivisi­bili), gli altri due rappresentano tipiche forme di parassiti­smo economico (appropriazione di ricchezza senza contro­partite in lavoro).

Questa distinzione permette di individuare con preci­sione la specificità della posizione della Lega. L'etica econo­mica della Lega non è affatto, come talora si è affermato, una forma di egoismo sociale generalizzato. L'egoismo della Lega è altamente selettivo. Esso ammette tutto ciò che va a vantaggio dei privati senza danneggiare direttamente altri

20 La formulazione di questo item è apparentemente priva di riferi­menti all'economia. E tuttavia, se si tiene conto che dietro molti delitti di mafia si celano conflitti di interesse di natura economica (appalti, tan­genti, estorsioni), si può anche congetturare che una parte degli intervi­stati abbia colto il possibile nucleo economico della domanda (un testi­mone reticente può essere pensato come qualcuno che non aiuta altri «privati>> a difendersi dal ricatto mafioso).

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privati, e condanna tutto ciò che va a vantaggio dei singoli ma provoca danni a figure centrali del settore privato (pro­prietari, negozianti, imprenditori).

L'etica economica della Lega, in altre parole, non è altro che una forma estrema di liberismo, un ritorno tardivo del­l'ideologia del laissez /aire. Come il liberismo ottocentesco, essa si basa sulla minimizzazione dei vincoli all'economia e al mercato (di qui l'accettazione del .free rzder) , e su una se­vera critica di tutte le forme di parassitismo e di «consumo improduttivo». Questa interpretazione permette, tra l'altro, di rendere conto di due fra gli esiti più sorprendenti di un'a­nalisi degli atteggiamenti morali dei giovani leghisti: la già ricordata benevolenza per i politici corrotti, ma anche la singolare tolleranza per molti comportamenti più o meno devianti, dall'assunzione di droghe all'etilismo e al suicidio.

La benevolenza per i politici corrotti si spiega esatta­mente con la stessa logica con cui si spiega quella per l'eva­sione e i comportamenti inquinanti. Anche il «buon go­verno» è un bene pubblico, e, come tale, non merita prote­zione. L'importante, per assolvere un comportamento egoi­stico, è che esso vada a beneficio di privati senza danneg­giare altri privati: la richiesta di tangenti, in quanto avvan­taggia sia l'impresa che ottiene l'appalto sia il politico che intasca le tangenti, ha tutti i requisiti per rientrare fra i com­portamenti tollerati.

L'indulgenza per figure sociali devianti come ubriaconi, drogati, suicidi, del tutto incomprensibile se si adotta lo ste­reotipo del leghista ostile verso i «diversi», diventa improv­visamente comprensibile se si riflette sulla natura autodi­struttiva di tali comportamenti. Liberismo può anche volere dire che i singoli hanno diritto di governarsi da sé, almeno fino a quando il loro comportamento non urta contro gli in­teressi, soprattutto se di natura economica, di altri soggetti individuali. I giovani leghisti, a differenza di quelli del Mo­vimento sociale, non sono ostili ai diversi in quanto tali ma ai diversi in quanto vettan· di specifici interessi economzd supposti incompatibili con quelli dei settori produttivi. I meridionali, gli immigrati, non sono guardati con ostilità in quanto portatori di una cultura «altra» rispetto a quella

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delle popolazioni del Nord ma in quanto potenziali concor­renti di queste ultime nella ripartizione del prodotto nazio­nale (posti di lavoro e risorse pubbliche). Gli ubriaconi, i drogati, i suicidi possono essere tollerati, nonostante la loro diversità, perché i loro comportamenti non hanno alcun contenuto economico: sono portatori di una diversità pura­mente culturale.

8. La Lega e gli altri. Sull'etica economica della destra

Di per sé, il fatto che l'etica economica dei giovani leghi­sti sia sostanzialmente !iberista non basta a caratterizzare la Lega in quanto tale. Dopo tutto il liberismo è vecchio come il capitalismo, e formazioni politiche di orientamento liberi­sta sono sempre esistite e tuttora esistono nel mondo. Nelle grandi democrazie occidentali, elementi !iberisti sono sem­pre stati presenti nei programmi dei partiti conservatori, e molta parte della storia del capitalismo degli anni Ottanta può essere letta come la grande rivincita delle ideologie e delle pratiche liberiste. TI reaganismo negli Stati Uniti, il thatcherismo nel Regno Unito, le privatizzazioni in Francia non sono altro che i singoli tasselli di quel grande movi­mento di «deregolazione» dell'economia che il fallimento del welfarismo ha innescato verso la metà degli anni Set­tanta.

Dunque la specificità della Lega non sta nella sua tenace difesa di posizioni liberiste. La particolarità della Lega sta nel modo in cui formula la dicotomia privato-pubblico, con la riduzione dell'intero Mezzogiorno d'Italia a mero con­sumo improduttivo, ma soprattutto sta nella sua eccentri­cità e nel suo isolamento. Può sembrare incredibile, ma la realtà è che la visione dell'economia tipica della Lega rap­presenta una novità nel panorama politico italiano. In Italia uno schieramento politico che esprimesse una politica eco­nomica coerentemente !iberista non è mai esistito, e conti­nua a non esistere neppure oggi, nonostante l'evoluzione in senso !iberista di partiti come il Pru e la stessa Dc. Di questa assenza di una visione dei problemi economici come quella

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patrocinata dalla Lega si possono trovare le tracce anche nelle interviste ai giovani italiani dell'ultima indagine lARD . Basta rappresentare su un diagramma le posizioni medie de­gli elettorati dei vari partiti sulle due dimensioni evidenziate dalla nostra analisi: l'atteggiamento verso il free rider, o di­mensione di altruismo/egoismo, e l'atteggiamento verso i comportamenti parassitari, o dimensione di privatismo21•

La figura 5 . l mostra nel modo più chiaro l'eccentricità della posizione della Lega. La Lega si situa nell'estrema re­gione sud-est del nostro diagramma, dove un massimo di egoismo (accettazione del/ree rider) si coniuga con un mas­simo di privatismo (rifiuto del parassitismo economico) . In quest'area di liberismo puro, o estremo, troviamo solo la Lega. Più verso il centro del diagramma, occupato dall'area del non voto, troviamo i cinque partiti che ci hanno gover­nato negli anni Ottanta, caratterizzati da una visione dell'e­conomia che - a seconda dei punti di vista - può essere definita o come una forma di liberismo ben temperato o come una forma di welfarismo «bastardo», costruito combi­nando privatismo e assistenzialismo.

Percorrendo a ritroso la diagonale principale del dia­gramma, in direzione nord-ovest, troviamo quel che - con le categorie analitiche qui adottate - può essere pensato come il contrario del liberismo: il welfarismo spinto, o soli­darismo. Questa visione tende a portare la logica egualitaria e redistributiva dello stato sociale alle sue estreme conse­guenze: un massimo di rifiuto del free rider si coniuga con un massimo di intervento pubblico.

Ma le scoperte più interessanti sono quelle che si pos­sono fare dando un'occhiata agli altri due quadranti, quello di nord-est (welfarismo) e quello di sud-ovest (corporativi-

21 L'indice di altruismo/egoismo è stato costruito combinando gli items relativi all'evasore fiscale e all'imprenditore che inquina. L'indice di privatismo è stato costruito combinando gli items relativi all'assenteista, al ladruncolo e al testimone reticente (per la giustificazione di quest'ul­tima inclusione si veda la nota precedente). Prima di essere combinate additivamente, tutte le scale di disprezzo sono state «deflazionate» (tra­sformate in scarti dalla media generale, relativa a tutte le scale).

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� Solidarismo "' ·g • Rete

< • Rif. com.

• Verdi

Welfarismo

• Pos

• Pn

r--------- nv --------�

o Msr

Corporativismo

Penta partito

Privatismo

FIG. 5.1 . Le dimensioni della politica economica.

smo). n primo individua la posizione di quanti (giovani ra­dicali e pidiessini), pur respingendo l'egoismo delfree rider, non rifiutano in toto né il mercato né gli interessi privati che esso veicola. TI secondo (corporativismo) individua la posi­zione di quanti (giovani missini), pur difendendo alcuni in­teressi economici forti (evasori e imprenditori), non sono strenui difensori del mercato, né sono contrari all'inter­vento pubblico in economia.

Con tutti i limiti che ha un'analisi condotta su poche domande e su un campione di soli giovani, il quadro che emerge dall'incrocio delle due dimensioni ci sembra degno di attenzione se non altro perché mostra quanto sia difficile, anche sul terreno della politica economica, separare netta­mente i progressisti e i conservatori. I due partiti nati dalla scissione del Partito comunista, ad esempio, sembrano col­locarsi su sponde opposte almeno per quanto riguarda la loro accettazione della )ogica del mercato e degli interessi che esso rappresenta. E come dire che nell'opposizione di sinistra convivono almeno due atteggiamenti verso la po­litica economica: quello un po' populista della Rete, dei Verdi e di Rifondazione comunista, e quello più capitali­stico e «rigorista» difeso dai radicali del Partito democra­tico della sinistra.

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Ma lo stesso discorso potrebbe essere ripetuto per l' op­posizione di destra. Anche l'etica economica della destra è bifronte. Al liberismo «sfrenato» della Lega si oppone la vi­sione più dirigistica e tut,to sommato meno estrema tipica del Movimento sociale. E vero che entrambi difendono a spada tratta gli evasori, e lo fanno più di qualsiasi altra for­mazione politica, ma persino in questa loro difesa dell' egoi­smo sociale c'è una differenza. n totem in nome del quale i giovani della Lega giustificano gli evasori è il settore privato in quanto tale, visto come il luogo della produzione e del­l' efficienza. La Lega, si potrebbe persino dire, ripropone una variante reazionaria e paradossale dell' «alleanza dei produttori» di berlingueriana memoria. n suo rifiuto della politica sociale è una conseguenza della sua fede nel mer­cato. La sua sfiducia nello stato è una conseguenza della sua fiducia nella società civile . Non così i giovani del Movi­mento sociale. La loro sfiducia nello stato e nelle sue istitu­zioni non coinvolge lo Stato in quanto tale, ma questo stato, con la sua sequenza infinita di ruberie, sprechi, furbizie, ar­roganze. Di qui la difesa degli evasori, visti come vittime di questo stato assai più che come paladini della società civile.

Si potrà obiettare che questa è un'interpretazione. In fondo il grado di benevolenza di leghisti e missini verso gli evasori è più o meno il medesimo22• Come si fa a dire che le motivazioni che stanno dietro queste due «assoluzioni» sono così diverse?

In realtà un modo esiste. Se la nostra interpretazione è sbagliata, la relazione fra disprezzo degli evasori e grado di fiducia nel sistema politico dovrebbe essere relativamente debole, o almeno essere simile nei due sottocampioni. Se in­vece la nostra interpretazione è giusta, la relazione do-

22 I leghisti hanno un indice di disprezzo per i politici corrotti pari a 1,41 , i democristiani un indice pari a 1,23. Entrambi sono al di sotto della media, pari a l ,53. Fra gli elettori degli altri partiti, solo i socialdemocra­tici hanno un indice di disprezzo più basso di quello dei leghisti ( 1 ,24). Persino i socialisti, tradizionalmente piuttosto indulgenti con il finanzia­mento «irregolare» del sistema politico, hanno un indice di disprezzo più alto ( 1,43 ) .

1 45

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T AB. 5.3. Disprezzo per gli evasori e fiducia nelle istituzioni

Lega

Ms1

byx

0,26

1,04

0,07

0,36

sig. T

0,38

0,01

vrebbe essere inesistente o debole nel sottocampione dei le­ghisti, che difendono gli evasori indipendentemente dalla loro fiducia nello stato, ed essere invece presente o molto più intensa nel sottocampione dei missini, la cui difesa degli evasori è una conseguenza della loro sfiducia in questo stato.

Nella tabella 5.3 riportiamo i risultati delle regressioni semplici fra disprezzo per gli evasori (y) e fiducia nelle isti­tuzioni (x) .

Come si può notare, i risultati rispettano puntualmente le attese. Nel sottocampione dei leghisti la relazione, pur avendo il segno atteso, non risulta statisticamente significa­tiva. Nel campione dei missini, invece, essa ha il segno at­teso, è statisticamente significativa, e ha un'intensità (espressa dal coefficiente di regressione byx) ben quattro volte superiore a quella registrata nel sottocampione dei le­ghisti. Questo significa che, conformemente alla nostra in­terpretazione, la giustificazione degli evasori è incondizio­nata da parte dei giovani leghisti, mentre è subordinata ad un giudizio negativo sul complesso politico-burocratico nel caso dei giovani del Movimento sociale.

9. La stella a tre punte

Etnocentrici, !iberisti, secolarizzati, ostili allo stato cen­trale ma indulgenti con i politici corrotti. Dove si collocano i giovani leghisti nel sistema politico italiano?

I dati che abbiamo presentato sulla collocazione dei gio­vani leghisti lungo l'asse sinistra-destra e sul loro grado di secolarizzazione dovrebbero essere sufficienti per formulare una risposta. Nonostante il suo estremismo in materia di

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politica economica e sulla questione etnica, la Lega, cultu­ralmente e politicamente, è parte integrante del centro laico. Insieme agli altri due nuovi partiti di centro - la Rete e i Verdi - essa si va ad aggiungere a quella costellazione di forze politiche laiche che non si riconoscono né nell' espe­rienza storica del fascismo, né nelle due «chiese» - catto­lica e marxista - che hanno egemonizzato la cultura poli­tica del dopoguerra.

Per controllare la plausibilità di questa lettura abbiamo provato a rappresentare i partiti oggi presenti sulla scena politica in uno spazio che tenesse conto del maggior nu­mero possibile di atteggiamenti e di comportamenti: dalla posizione sull'asse sinistra-destra alla religiosità, dalla fidu­cia nelle istituzioni al postmaterialismo, dalla partecipa­zione politica agli atteggiamenti morali. I partiti sono stati raggruppati in modo da evitare formazioni politiche troppo piccole, e gli assi che strutturano lo spazio politico sono stati costruiti in modo da essere i più capaci di discriminare fra le varie opzioni disponibili 23.

I risultati, corrispondenti alla più semplice soluzione compatibile con la struttura dei dati 24, sono riportati nella figura 5.2.

Tenendo conto sia del tipo di forze politiche rappresen­tate, sia delle variabili «caricate» su ciascuna delle due di­mensioni, queste ultime potrebbero essere caratterizzate l'una (asse delle ascisse) come una dimensione di conserva-

23 La tecnica utilizzata è stata un'analisi discriminante, condotta passo passo su una batteria di 45 variabili di atteggiamento e di compor­tamento. L'analisi è stata effettuata mediante il package Spss/pc + , utiliz­zando come criterio di selezione delle variabili la minimizzazione della varianza non spiegata (rninresid, in Spss). Le variabili selezionate sono state 23. La quota di varianza spiegata dalle prime due funzioni è risultata pari all'81,9% della varianza totale.

24 Utilizzando una sola funzione discriminante, la quota di varianza spiegata superava di poco il 50% del totale, fornendo quindi una rappre­sentazione decisamente inadeguata delle differenze &a i gruppi. Con l'ag­giunta di una seconda funzione, la quota di varianza spiegata saliva in­vece all'82%, lasciando alle altre quattro funzioni discriminanti il com­pito di spiegare il restante 18%.

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• Pos Hif. com.

FIG. 5.2. Struttura dello spazio politico.

Xenofohia

torismo, o di xenofobia, l'altra (asse delle ordinate) come una dimensione di fiducia nella chiesa e nello stato o, per dirla in termini più astratti e forse meno precisi, come una dimensione di integrazione sociale in senso durkheimiano (integrazione nella «società religiosa» e nella «società poli­tica»).

Diamo ora un'occhiata alla disposizione dei punti sul piano cartesiano. Lo spazio politico si presenta, molto niti­damente, come una stella a tre punte. Alla periferia del si­stema politico troviamo i tre grandi sistemi ideologici che, nel bene e nel male, hanno fatto la storia degli ultimi settan­t'anni: il fascismo (Msi), il cattolicesimo (Dc) e il marxismo (Pns.PRc) . Al centro della stella, in una regione relativa­mente ristretta, troviamo l'intero spettro della cultura poli­tica laica, con le sue varianti progressiste e moderate, vec­chie e nuove, compresa la Lega. Questo significa che, pur con tutte le sue specificità e le sue inclinazioni moderate, la Lega fa comunque parte del nucleo della stella, esattamente come ne fanno parte, sul versante opposto, i Verdi e la Rete.

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10. Perché la Lega?

Come ha fatto la Lega a percorrere, in così pochi anni e senza l'aiuto di tangentopoli (l'inchiesta lARD è di poco an­teriore allo scoppio dello scandalo milanese), un tratto di strada così lungo?

Per capirlo occorre fare un passo indietro di una decina di anni, alle riflessioni sull'evoluzione delle preferenze el et­torali contenute nel primo rapporto lARD, che commentava i risultati dell'indagine del 1983.

Nel 1987, anno della penultima indagine lARD, l'insieme delle liste locali non raggiungeva il 2% dei consensi giova­nili: cinque anni dopo li ha decuplicati (dall' 1,5% al 15,1% nella fascia 15-24 anni). Lo stesso discorso vale per i con­sensi nella popolazione adulta. Nel 1987, alle elezioni politi­che per il Senato, la Lega non raggiungeva l'l% dei con­sensi, cinque anni dopo è quasi ventuplicata (dallo 0,4 al-1'8,2%).

Primo posto Secondo posto Terzo posto

Adulti '83

cattolici marxisti laici

Giovani '83

(33,7) laici (33,2) marxisti (25,5) cattolici

(34,3) (29,9) (28,3)

L'ordine di importanza delle tre culture politiche che si divi­dono i consensi «democratici» subisce, nel passaggio dal voto adulto al voto giovanile, un vero e proprio ribaltamento. Fra gli adulti la Dc è al primo posto, i partiti dell'area marxista sono al secondo, i partiti laici sono nettamente relegati al terzo posto. Fra i giovani la Dc scende nell'ultima posizione, ma il suo posto non è occupato dai partiti di ispirazione marxista bensi dai partiti laici, che costituiscono anche il solo raggruppamento che può contare su più di un voto su tre.

Le preferenze elettorali dei giovani dell'83, più che porsi in contrasto con quelle degli adulti, sembrano rispecchiarne ed am­plificarne le tendenze recenti. I giovani votano oggi come gli adulti stessi potrebbero votare domani se le tendenze delle ultime

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elezioni dovessero essere confermate dalle elezioni successive. Le variazioni 79-83 del voto adulto (laici: + 3,7; marxisti: - 0,4; cat­tolici: - 5,9) hanno infatti la medesima gerarchia delle preferenze elettorali dei giovani, con i laici al primo posto (netta crescita), i marxisti al secondo posto (lieve declino) e i cattolici al terzo posto (sensibile caduta) 25.

Sappiamo tutti come sono andate le cose. Alle politiche di cinque anni dopo, nel 1987, nell'insieme della popola­zione i partiti laici sono già saliti al secondo posto, «sorpas­sando» i partiti marxisti (Pci e DP). Tre anni dopo, nel 1990, a pochi mesi di distanza dalla caduta del muro di Ber­lino, i consensi ai partiti laici superano anche quelli alla Dc, che a sua volta incrementa il proprio vantaggio verso l'area marxista. Le elezioni politiche del 1992, infine, non fanno che amplificare le tendenze precedenti. L'area laica è al suo massimo storico, e la gerarchia fra le tre aree nell'ambito del voto adulto è ora identica a quella del voto giovanile: al primo posto i laici, al secondo i cattolici, al terzo i marxisti.

Primo posto Secondo posto Terzo posto

Adulti '83

laici cattolici marxisti

Giovani '83

(42,7) laici (27 ,3) cattolici (23,5) marxisti

(49,6) (28,9) ( 16,1 )

Se si riflette su queste tendenze l ' «irresistibile» ascesa della Lega diventa decisamente più comprensibile. La Lega non solo si è giovata di un'onda lunga che si era formata al­meno dieci anni fa, ma a un certo punto - verso la seconda metà degli anni Ottanta - è divenuta essa stessa una com­ponente essenziale di quell'onda. In quel periodo nel si­stema politico italiano cominciavano a manifestarsi due ten­denze molto forti, che nel sistema stesso non riuscivano a

25 C&. Ricolfi [1984, 87-88].

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trovare i propri sbocchi: una spinta a destra, e una do­manda di innovazione. Se si riflette sulla struttura interna del centro laico è immediato rendersi conto perché - senza una formazione politica come la Lega - quelle spinte fos­sero destinate a rimbalzare contro un muro di gomma.

Vecchi Nuovi

Destra Pu Lega

P1n Psm

Sinistra Ps1 Verdi P l< Rete l

TI mercato politico laico prima dell'avvento della Lega offriva solo due opzioni: rinunciare alla spinta a destra, e scegliere l'innovazione (l'opzione per i Verdi, e successiva­mente per la Rete), oppure rinunciare all'innovazione, e sce­gliere la spinta a destra (l'opzione per il Pu e per il Pru). La Lega - come partito laico, moderato e nuovo - è stata l'u­nica formazione politica in grado di fornire una risposta ad entrambe le spinte dell'elettorato.

Ma c'è un altro, decisivo, elemento che ha permesso alla Lega di prendere il volo. Questo elemento è la secolarizza­zione «latente» dell'elettorato democristiano, quel lungo processo storico che - specie nelle zone bianche - ha pro­dotto la scissione fra l'identità politica e l'identità culturale del mondo cattolico. Contrariamente a quanto uno stero­tipo molto diffuso lascerebbe supporre, le zone bianche del paese sono tali a livello politico-elettorale (voto alla Dc), ma non lo sono affatto sul piano dei comportamenti quotidiani (frequenza alla messa) e degli atteggiamenti morali (etica sessuale, matrimonio) . Da questo punto di vista, anzi, il Nord «bianco» e democristiano assomiglia al Centro «rosso» e secolarizzato più di quanto somigli a qualsiasi al-

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tra zona del paese26• È questa l'altra grande fonte del suc­cesso della Lega, e la ragione ultima del suo «vampirismo» nei confronti della Dc. Se la Lega ruba elettori alla Dc non è tanto perché una parte dell'elettorato democristiano non ne può più dei partiti, ma perché il sistema politico italiano nel suo insieme si sta «secolarizzando», e perché su quella medesima strada una parte non piccola dell'elettorato Dc si era già messa da tempo.

1 1 . La rinascita della cultura laica in Italia

Vista in questa prospettiva, l'ascesa della Lega appare in una luce nuova, più rassicurante per alcuni aspetti, più in­quietante per altri. Più rassicurante perché la sua xenofobia e la sua intolleranza appaiono, tutto sommato, di natura al­quanto diversa rispetto a quelle dei movimenti politici di destra che negli ultimi tempi hanno preso piede in Europa. Più inquietante perché la sua ascesa è il prezzo che il nostro sistema politico deve pagare per due «peccati» fondamen­tali, che hanno segnato la sua storia e - temo - non po­tranno che segnare il suo futuro.

n primo, e più recente, è il ritardo con cui i partiti che occupano la stessa regione dello spazio politico hanno de­ciso di rompere con il passato, offrendo a un elettorato sem­pre più laico e conservatore un'alternativa al malgoverno degli ultimi venti anni. Questa rottura con il passato, come noto, è stata consumata dal partito repubblicano solo un anno prima della fine della Legislatura, e per quan!o ri­guarda i liberali attende tutt'ora di essere consumata. E dif­ficile non pensare che un atto di coraggio compiuto anche solo tre o quattro anni fa avrebbe avviato il nostro sistema politico (e probabilmente anche il nostro debito pubblico) in una direzione ben diversa da quella lungo la quale esso appare oggi avviato.

n secondo peccato è più fondamentale, e al tempo

26 Cfr. Sciolla e Ricolfi [1989].

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stesso più antico. Sono molti a credere che la debolezza dei partiti laici che ha caratterizzato il nostro sistema politico fin verso la fine degli anni Ottanta non sia altro che la tradu­zione - a livello elettorale - di una sorta di «gracilità sto­rica» della cultura laica in Italia, quasi un retaggio della ci­viltà contadina da cui proveniamo, e dalla quale siamo usciti solo di recente27• Occorre dire con forza che le cose non stanno cosi. Un'analisi empirica dei più importanti indica­tori di secolarizzazione condotta sul periodo che va dalla ri­costruzione ai giorni nostri basta a mostrarci una realtà ben diversa28• Composizione dei reati, comportamenti fami­gliari, rapporti fra le forze politiche, peso delle scuole reli­giose non segnalano affatto, nell'immediato dopoguerra, un «deficit di laicità» ereditato dal passato. n deficit, semmai, si produce negli anni successivi, con impressionante velo­Cità negli anni Quaranta, e in modo meno spinto e meno univoco lungo tutti gli anni Cinquanta, fino agli anni della guerra fredda. Nel 1946, alle elezioni per la costituente, il peso elettorale delle forze laiche eguaglia quello della Dc, ed è quasi doppio rispetto a quello del Partito comunista. Pochi anni dopo risulterà ridotto di oltre dieci punti, e non risalirà ai livelli del 1946 fino alla soglia degli anni Novanta. La storia dell'immediato dopoguerra - ed è qui l'altro «peccato» che il nostro sistema politico sta oggi espiando -

è anche la storia della distruzione della cultura laica, di qual­cosa che dopo gli anni del fascismo, della guerra e della resi­stenza c'era ancora, ma che dieci anni dopo era già virtual­mente scomparso, sommerso dall'ascesa dei due partiti po­polari di massa, e dalla frammentazione e litigiostà degli stes�i partiti laici.

E forse anche per questo che oggi, nel momento in cui l'improvvisa rinascita di una cultura politica laica porta allo scoperto il fiume carsico della ri-secolarizzazione della so­cietà italiana, alla guida di questo processo troviamo una forza politica nuova, che interpreta a modo suo i valori e le

27 È il caso di ricordare che il Censimento del 1951 è il primo in cui la popolazione agricola scende al di sotto del 50% della popolazione totale.

28 Cfr. Ricolfi [1988].

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istanze della laicità. Questo «modo» di essere laici può an­che non piacere, e in molti casi può suscitare dissenso, indi­gnazione, inquietudine. Resta il fatto che - finora - quel modo è anche il solo che il nostro sistema politico ha tro­vato per voltar pagina, per ricostituire faticosamente un pa­trimonio buttato al vento mezzo secolo fa.

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CAPITOLO SESTO

I GIOVANI COME CONSUMATORI

l . Il denaro spendibile

Lo status di constunatore si acqws1sce precocemente nella nostra società. I bambini imparano presto a maneg­giare il denaro e col procedere dell'età compiono sempre più decisioni di acquisto nelle quali i genitori interferiscono sempre meno ed anzi, per alcune categorie di beni, l'in­fluenza dei figli sulle decisioni di acquisto dei genitori ap­pare sensibile. Di questo fatto se ne sono ovviamente ac­corti i produttori che indirizzano al target giovanile non po­chi dei loro messaggi pubblicitari e considerano i giovani un segmento di mercato degno di attenzione. Non è tuttavia, questo, un segmento di mercato facilmente identificabile perché è complesso stabilire in che misura i giovani siano dei «constunatori autonomi» che dispongono di somme di denaro da spendere «liberamente».

Prendiamo, ad esempio, l'acquisto di un capo di abbi­gliamento. Possono darsi molti casi: il genitore può dire «andiamo in centro dove ho visto un giaccone che va bene per te», oppure «ti do 100.000 lire al mese e con quelle devi badare al tuo vestiario», oppure, ancora «vai a comperarti un giaccone che non costi più di 150.000 lire», ma può an­che darsi il caso che il giovane in questione si comperi il giaccone coi soldi che ha guadagnato facendo qualche la­voro. In tutti questi casi, e in altri ancora, il grado di auto­nomia della scelta di acquisto varia, cosi come varia la fonte del reddito spendibile.

L'analisi dei rapporti economici all'interno della fami­glia e dei livelli di autonomia nell'uso del denaro presso le fasce giovanili della popolazione richiederebbe un'inda­gine specifica. In sede di survey abbiamo potuto introdurre solo qualche indicatore atto a mettere in luce alcuni aspetti generali del rapporto dei giovani con il denaro.

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TAB. 6. 1 . Età alla quale ha inivato a guadagnare, con il proprio lavoro, dei soldi da poter spendere liberamente per sé, per genere (%)

Maschi Femmine Totale

Prima dei 15 anni 10,9 4,5 7,9 Tra i 15 ed i 17 anni 3 1,5 18,2 25,0 Tra i 18 ed i 20 anni 23,0 29,8 26,3 Dopo i 20 anni 10,4 1 1 ,7 1 1,0 Mai potuto spendere per sé 3,3 3,6 3,4 Mai guadagnato dei soldi 20,9 32,2 26,4

100,0 100,0 100,0 N = 2.500

In primo luogo, abbiamo cercato di sapere a che età si incominciano a guadagnare, con il proprio lavoro, dei soldi da poter spendere liberamente per sé. In generale, l'età me­dia in cui inizia una certa autonomia economica si aggira in­torno ai 17/18 anni (tab. 6. 1 ) . Vi sono, naturalmente, diffe­renze di rilievo a seconda delle condizioni sociali della fami­glia di origine, della zona di residenza e di altri fattori di na­tura socio-economica. Va tuttavia rilevato che, in tutti i sot­togruppi, le differenze di maggior rilievo sono imputabili al genere.

Sul complesso degli intervistati di età tra i 15 e i 29 anni, circa un quarto (il 26,4%) non ha ancora guadagnato dei soldi nella sua vita e, dunque, non solo dipende ancora inte­ramente dalla famiglia, ma non ha mai provato nemmeno a fare qualche lavoretto, magari per soddisfare autonoma­mente un desiderio o un capriccio. Questa condizione ri­guarda un ragazzo su cinque (il 20,9%) e quasi una ragazza su tre (il 32,2%). Mentre è logico aspettarsi che questa pro­porzione sia molto alta nelle fasce più giovani (i due terzi dei 15- 17enni dichiarano, infatti, di non avere mai guada­gnato soldi col proprio lavoro), più sorprendente è il dato relativo agli ultra venticinquenni. n 7% dei maschi di que­sta età ed il 17% delle ragazze dipendono ancora dalla fami­glia e non hanno mai avuto esperienze di lavoro retribuito. Ancora una volta troviamo una forte sperequazione di ge­nere, che appare particolarmente accentuata tra i residenti

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TAB. 6.2. Somma mensile disponibile (in migliaia di lire) per classe sociale di ori­gine e convivenza (sottogruppo di coloro che guadagnano)

Totale Vive in Non vive famiglia in famiglia

Classe operaia 385 405 324 Piccola borghesia autonoma 384 398 335 Classe media impiegatizia 389 402 318 Classe superiore 452 461 397

Medie generali 401 416 337

al Sud. In questa area del Paese, infatti, 1' 1 1% dei giovani uomini e ben il 33% delle giovani donne tra i 25 ed i 29 anni dichiarano di non aver mai guadagnato dei soldi.

Se, dunque, per moltissimi giovani, il prolungarsi della convivenza con i genitori è una scelta di vita, dettata da un calcolo razionale di costi e benefici (siano questi di natura materiale o affettiva), vi sono ampie fasce della popolazione giovanile (tipicamente le ultra venticinquenni del Sud, ma non solo loro) per le quali il restare in casa è ancora una di­pendenza ed una attesa, tanto più sofferte, quanto meno le­gate a decisioni liberamente prese.

A coloro che, comunque, guadagnano del denaro col proprio lavoro (sia esso stabile o saltuario), abbiamo poi chiesto di quale somma essi possono disporre liberamente per sé, tenuto conto anche delle eventuali integrazioni da parte dei parenti. La cifra media risultante si aggira intorno alle 400.000 lire al mese, con forti differenze a seconda della classe sociale di origine e del fatto che l'intervistato viva o meno in famiglia (tab. 6.2). A fronte di una media generale di 401 .000 lire al mese, vi è una differenza di rilievo, a se­conda che gli intervistati vivano o meno in famiglia. I primi possono disporre, in media, di una cifra mensile che è di circa un quarto superiore a quella dei loro coetanei che sono andati via di casa. Questo scarto si ripropone presso­ché identico in tutte le classi sociali.

Noi non sappiamo a quali tipi di spese vengano desti­nate tali somme, ma la formulazione della domanda («soldi

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TAB. 6.3. Somma mensile disponibile (in migliaia di lire) per classe sociale di on� gin e ed età (sottogruppo di coloro che vivono in famiglia)

15-17 18-20 21-24 25-29

Classe operaia 170 284 464 546 Piccola borghesia

autonoma 133 303 439 552 Classe media impie-

gatizia 1 14 328 409 568 Classe superiore 143 355 479 655

Medie generali 143 3 1 1 443 588

TAB. 6.4. Somma menszle disponibile (in migliaia di lire) per area geografica e ge­nere (sottogruppo di coloro che vivono in famiglia)

Totale Maschi Femmine

Nord-Ovest 498 548 43 1 Nord-Est 415 457 361 Centro 428 438 415 Sud e Isole 354 394 292

Medie generali 416 453 365

che può spendere liberamente per sé») lascia presumere che gli intervistati abbiano fatto riferimento a quanto resta loro disponibile, una volta detratte le spese di mantenimento. Possiamo, quindi, ragionevolmente pensare che le cifre della tabella 6.2 siano destinate a quei consumi tipicamente «giovanili», rispetto ai quali le differenze di classe pesano meno di quelle generazionali. La stessa tabella 6.2 ce ne dà una conferma, sia pure indiretta. Le differenze di somme a disposizione non variano per classe sociale, s�lvo che per i figli degli strati privilegiati della popolazione. E ragionevole dedurne che, salvo che per la classe alta, i contributi dei ge­nitori costituiscano un'integrazione dei guadagni dei loro fi­gli, tali da consentire una disponibilità di denaro pressoché identica per tutti i giovani. Ovvie differenze legate all'età vanno a comporsi con quelle di classe ( tab. 6.3 ); interes­sante ci pare notare che, per i 21-24enni, la disponibilità di

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TAB. 6.5. Quota del proprio stipendio data in casa per classe sociale di appartenenza (sottogruppo di coloro che lavorano e vivono in famiglia)

Classe Piccola Classe

Classe operaia

borghesia media superiore autonoma impiegatizia

Nulla 36,6 48,9 59,5 72,5 Meno del 20% 20,5 14,5 13,8 1 1,6 Dal 20% al 39"k 15,5 12,2 13,8 6,3 Dal 40% al 79% 13,4 10,0 6,5 5,3 L'BO% e oltre 14,0 14,4 6,4 4,3

100,0 100,0 100,0 100,0 N = l.006

denaro dei figli di famiglie operaie è solo di poco inferiore a quella dei giovani di classe alta. Le differenze regionali sono, una volta di più, assai più accentuate delle differenze di classe (tab. 6.4); a disporre di meno denaro per i propri consumi sono, come c'era da aspettarsi, i giovani che vivono nelle regioni meridionali.

Sappiamo anche che una parte dei giovani che lavorano versano ai genitori una quota del guadagno per coprire le spese del ménage familiare e che questa quota è maggiore nelle classi più basse (tab. 6.5), ed abbiamo visto che, per chi ha comunque delle entrate monetarie, il vivere in fami­glia consente disponibilità e possibilità di spesa maggiori. Quello che non sappiamo, e che potremmo sapere solo con altri strumenti di indagine, è il mix tra bilancio familiare e bilancio individuale, cioè, chi spende quanto per comperare che cosa a chi.

Possiamo però esplorare il grado di accesso di diverse categorie di giovani a tipi selezionati di consumi per vedere, da un lato, come sia segmentato al suo interno questo set­tore di consumo e, dall'altro lato, come dai consumi sia pos­sibile trarre indicazioni sugli stili di vita della popolazione giovanile.

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2. I consumi tlpicamente «giovanili»

Abbiamo identificato una serie di consumi che conside­riamo tipicamente «giovanili» per il fatto che presentano la caratteristica di decrescere con il crescere dell'età: si tratta di consumi di loisir, legati alla musica, allo sport e ai viaggi.

2. 1 . La musica come consumo giovanile

Come vedremo meglio fra poco, sono molto più nume­rosi i giovani che «consumano» musica di quelli che la «pro­ducono». Consumare «musica» vuoi dire soprattutto con­sumare musica riprodotta (dischi, video-music, ecc.) . Al consumo di dischi di musica rock (prendiamo questo ter­mine non nel suo significato «tecnico», ma come simbolo del tipo di musica che piace ai giovani) accede la quasi tota­lità dei nostri intervistati, salvo una piccola minoranza (meno del 15%). Gli esclusi da questo tipo di consumo sono prevalentemente ragazze meridionali che non studiano e non lavorano, mentre i più assidui consumatori sono stu­denti/lavoratori maschi del Nord tra i 18 e i 24 anni. Non si tratta, inoltre, di un tipo di consumo legato alla città; anche i giovani che vivono in piccoli centri fruiscono con la stessa intensità di questa categoria di beni: attraverso il disco la cultura musicale giovanile è arrivata ovunque.

L'ascolto di dischi è un'attività prevalentemente indivi­duale o di piccoli gruppi: si ascolta musica ovunque, in casa o per strada, da soli o con pochi amici, di giorno e di notte; andare in discoteca, invece, è un'attività tipicamente di gruppo che associa la musica al ballo, all'incontro con nuove persone e allo stare insieme. La quota di giovani che vanno a ballare in discoteca almeno una volta al mese è piuttosto elevata (il 37% dei ragazzi e il 28% delle ragazze) ed è in leggera crescita rispetto alla rilevazione del 1987. Se si pensa, poi, che almeno un ragazzo su sette e una ragazza su dieci dichiarano una frequenza come minimo settima­nale, ci si rende conto che si tratta di un vero e proprio fe­nomeno di massa che, peraltro, coinvolge più i giovani del

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Nord e del Centro che non del Sud. La massima frequenza si riscontra tra gli studenti/lavoratori, una categoria che gode evidentemente di maggiore indipendenza sia dai geni­tori che economica, e tra i 18-20enni, dopo di che decresce sia per i maschi che per le femmine. Anche questa attività non è tipicamente urbana; piccole discoteche e luoghi dove ballare sono dispersi sul territorio e facilmente raggiungibili anche dai centri più piccoli.

Molto meno diffusa è, invece, la frequenza ai concerti di musica rock: 1'85% degli intervistati non vi è mai andato ne­gli ultimi tre mesi, senza apprezzabili differenze tra maschi e femmine. Qui si nota ancora il divario Nord-Sud (maggiore frequenza al Nord) ed una certa prevalenza di giovani che vivono in centri di grandi e medie dimensioni, dove eviden­temente l'offerta di concerti rock è maggiore. Che 15 gio­vani su 100 siano andati a un concerto rock negli ultimi tre mesi non deve essere ritenuta una quota modesta, se te­niamo presente che rappresenta comunque più di un mi­lione di persone e che, nell'arco di un anno, deve probabil­mente venire almeno raddoppiata.

La musica rappresenta per i giovani innanzi tutto una grande occasione di socializzazione, poiché si manifesta in forme di fruizione collettiva e di gruppo, e, inoltre, un forte elemento di identificazione generazionale, poiché, in man­canza di altri criteri, sono soprattutto i gusti musicali a dif­ferenziare una generazione da quelle che l'hanno preceduta e da quelle che la seguiranno.

2.2. Lo sport: pratica e spettacolo

In Italia la pratica sportiva non è un fenomeno capillar­mente diffuso, sebbene nel giro degli ultimi anni appaia in netta crescita. N ella rilevazione del 1987 i giovani praticanti regolari (almeno una volta la settimana) erano poco più di uno su quattro (il 27,3%), mentre ora sono diventati più di uno su tre (il 36%). Nello stesso periodo i non-praticanti in assoluto si riducono dal 59 al 50%. Resta il fatto che lo sport è abbastanza diffuso tra i giovanissimi, ma la pratica

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tende a decrescere con l'età e con l'approssimarsi della fase adulta. Inoltre l'attività sportiva è molto legata al genere, al ceto sociale e alla zona geografica. Tra i ragazzi giovani ( 15-18 anni) troviamo che due su tre praticano almeno ogni tanto qualche sport, ma tra i meno giovani (24-29 anni) il rapporto si riduce a uno su due. Per le ragazze, meno di una su due pratica sport in età giovanile e, nella fascia d'età più alta, soltanto una su quattro. Anche le differenze di ceto sono molto marcate: tra i giovani di ceto alto i non-prati­canti sono il 32% dei maschi e il 52% delle femmine, che salgono rispettivamente al 52 e al 7 4% nei ceti più bassi. Inoltre, la differenza di genere è molto più accentuata al Sud rispetto al Nord, dove la pratica sportiva è più fre­quente sia per i maschi che per le femmine. Infine, è la con­dizione di studente che favorisce più di ogni altro fattore la pratica sportiva, mentre i meno «sportivi» sono coloro che non studiano e non lavorano. A ciò si aggiunge che la pra­tica sportiva raggiunge la massima frequenza nei centri di medie dimensioni (tra i 50 e i 250.000 abitanti), mentre de­cresce sia nelle grandi città che nei centri più piccoli. Ab­biamo quindi due gruppi polari: gli studenti maschi di ceto elevato tra i 15 i 18 anni che vivono al Nord in città medio­grandi (che quasi tutti praticano uno sport) e le giovani donne di ceto inferiore che vivono al Sud in grandi città e non studiano né lavorano (e quasi nessuna pratica qualche sport).

I dati sull'associazionismo sportivo confermano le diffe­renze di genere: il 40% dei maschi partecipa alle attività di un'associazione sportiva, contro il 21% delle femmine.

L'andamento della fruizione dello sport come spettacolo vede di nuovo la massima frequenza tra i giovanissimi e gli studenti di sesso maschile. La frequenza allo stadio diminui­sce fortemente con l'età, più di quanto non accada per la pratica sportiva. Tuttavia, rispetto allo sport come pratica, vi sono anche altre differenze significative. In primo luogo, scompaiono, almeno per i maschi, le differenze Nord-Sud: la passione sportiva che si esprime nel tifo allo stadio acco­muna il Paese molto di più della pratica sportiva vera e pro­pria. In secondo luogo, anche le differenze di ceto sono

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molto attenuate; è interessante notare, però, che mentre tra i maschi i più assidui frequentatori dello stadio sono ragazzi di ceto medio-basso, tra le ragazze, invece, prevalgono quelle di ceto medio-alto e alto, che quindi accedono, più delle altre, ad attività e comportamenti che sono definiti nella nostra cultura come tipicamente «maschili» (in gene­rale, il 47% dei maschi non è mai andato allo stadio negli ultimi tre mesi, rispetto al 70% delle femmine). Una con­ferma di questa penetrazione delle ragazze, magari al se­guito del proprio ragazzo, in quel santuario della cultura maschile che è lo stadio la si ricava dai dati della partecipa­zione ad associazioni di «tifosi»: è pur vero che la quota dei ragazzi maschi è doppia rispetto a quella delle ragazze (il 16 rispetto all'8%), ma queste ultime non sono affatto assenti.

2.3. I viaggi

Per esplorare questo ambito di consumi nella ricerca del 1992 disponiamo di un solo indicatore: la frequenza delle gite che comportano almeno un pernottamento fuori dal luogo di residenza. n dato disponibile, inoltre, non con­sente un confronto con la ricerca del 1987 perché, mentre allora la rilevazione era stata effettuata in autunno (quindi dopo la vacanze estive), questa volta la rilevazione è caduta nei primi mesi dell'anno, in un periodo quindi di più scarsa mobilità turistica. Vediamo chi sono coloro che si «muo­vono» e coloro che «stanno fermi»: i ragazzi maschi si muo­vono un po' più delle ragazze, ma questa differenza è do­vuta quasi esclusivamente alle ragazze meridionali (che sono quelle che stanno più ferme di tutti) ; i giovani che proven­gono da famiglie di ceto elevato si muovono molto di più dei loro coetanei meno privilegiati (i «sedentari» sono tra i ragazzi il 3 1% nel ceto più alto e il 60% in quello più basso, per le ragazze le percentuali sono rispettivamente del 35 e del 70%); la massima frequenza di mobilità turistica si ri­scontra tra i 20 e i 24 anni, quando si hanno meno vincoli famigliari, e tra i lavoratori/studenti, che hanno maggiori di­sponibilità economiche. n dato però forse più interessante è

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il forte legame tra la propensione a muoversi e il luogo di re­sidenza: i giovani che vivono nei piccoli centri sono molto più «sedentari» dei giovani che vivono nelle grandi città (il 60 contro il 3 7%). A prescindere dal ceto e dalla condizione professionale, è la vita nelle grandi città che fa nascere l'esi­genza di evadere, almeno per qualche giorno, per godere di un'atmosfera più respirabile.

3 . Un indice sintetico di consumo giovanile

Abbiamo costruito un indice sintetico di consumo gio­vanile combinando i seguenti indicatori: pratica attiva di uno strumento musicale, frequentazione delle discoteche e sale da ballo, dei cinema, dei concerti di musica leggera (rock), di manifestazioni sportive (stadio), frequenza di ascolto di musica rock riprodotta. L'indice, espresso in ter­mini di punteggi da O (nessuna partecipazione ad alcuna delle attività) ad un massimo di 18 (partecipazione con fre­quenza settimanale a tutte le attività) è stato poi ricodificato in quattro livelli: alto, medio, basso, molto basso.

Le elaborazioni in base alle consuete variabili «struttu­rali» forniscono una serie di indicazioni importanti per ca­ratterizzare i diversi gradi di accesso ai consumi giovanili da parte di fasce diverse della popolazione giovanile e quindi per identificare quali gruppi sono portatori dei modelli di consumo tipicamente giovanile.

In primo luogo, i consumi giovanili (naturalmente, cosi come li abbiamo definiti e misurati) si caratterizzano come più maschili che femminili. In secondo luogo, i giovani delle regioni del Nord mostrano un accesso a questo tipo di con­sumi più intenso dei giovani delle regioni meridionali e lo stesso vale per i giovani provenienti da famiglie di livello alto e medio-alto rispetto a coloro che hanno origini sociali medio-basse e basse. n fatto, tuttavia, che vi sia una quota non trascurabile (il 4 1%) di giovani che provengono da fa­miglie di livello socio-culturale basso che presentano un in­dice alto o medio di consumi giovanili (rispetto al 71% dei giovani di estrazione alta) indica che si tratta di un unico

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modello di consumo diffuso a tutti i livelli della scala so­ciale, l'accesso al quale risulta più o meno favorito dalle condizioni della famiglia d'origine.

Che si tratti, inoltre, di un modello di consumo «giova­nile» è dimostrato dal fatto che la classe di età che presenta i punteggi più alti (sia per i ragazzi che per le ragazze) sia quella tra 18 e 20 anni e che i punteggi più bassi riguardino i giovani che vivono col partner e che quindi hanno varcato la soglia più importante dell'età adulta (tabb. 6.6, 6.7 e 6.8).

TAB. 6.6. Livello di consumi <<giovanili» per genere

Maschi Femmine

Alto 25,1 13,6 Medio 36,6 34,9 Basso 23,5 25,5 Molto basso 14,7 26,0

100,0 100,0 N = 2.500

TAB. 6.7. Livello di consumi giovanili per area geografica

Nord Centro

Alto 23,7 17,7 Medio 37,4 42,7 Basso 23,3 23,5 Molto basso 15,7 16,1

100,0 100,0 N = 2.500

TAB. 6.8. Livello di consumi giovanili per livello culturale familiare

Basso Medio basso Medio alto

Alto 1 1,8 21 ,3 25,0 Medio 29,6 35,0 43,0 Basso 26,8 27,3 20,9 Molto basso 3 1,7 16,5 1 1 ,5

100,0 100,0 100,0 N = 2.500

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Totale

19,5 35,8 24,5 20,2

100,0

Sud-Isole

16,1 30,7 26,2 27,0

100,0

Alto

28,0 43,9 18,7 9,1

100,0

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4. I consumi culturali

Per indagare i conswni culturali dei giovani abbiamo scelto di concentrare la nostra attenzione su una serie di un­dici indicatori: la frequenza di lettura dei quotidiani e dei settimanali di informazione, la pratica di suonare uno stru­mento musicale, la frequenza agli spettacoli cinematogra­fici, ai concerti di musica classica, agli spettacoli teatrali, la visita a musei, la frequentazione delle biblioteche, l'ascolto di dischi di musica classica, l'acquisto di libri non scolastici e la lettura degli stessi.

4. 1 . La lettura dei quotidiani e dei settimanali di in/orma­zzone

I giovani che leggono frequentemente un quotidiano (al­meno quattro/cinque giorni la settimana) sono poco più di un terzo (esattamente il 38%), coloro che non lo leggono mai o quasi (meno di una volta la settimana) sono poco di meno (il 34%), mentre il restante terzo (28%) è costituito da lettori saltuari (da uno a tre giorni settimanali) . Rispetto alla rilevazione del l987 non si notano differenze di rilievo.

Chi sono i lettori più assidui? I giovani maschi preval­gono sulle giovani donne (il 45 contro il 3 1%), nelle regioni del Nord la lettura dei quotidiani è più diffusa che nelle re­gioni del Centro e del Mezzogiorno (salvo la Sardegna che presenta livelli analoghi a quelli del Centro) . Circa la metà dei giovani del Nord sono lettori assidui, mentre la loro quota scende al 45% nel Centro e al 32% nel Sud, per rag­giungere il livello più basso per le giovani ragazze meridio­nali (21,8%).

Non stupisce, inoltre, che la frequenza della lettura di quotidiani sia fortemente connessa al livello culturale della famiglia d'origine: nello strato più istruito, più del 60% dei giovani (ragazze e ragazzi) sono lettori assidui, mentre nello strato più basso la loro quota raggiunge appena il 3 7% per i maschi e il 23% per le femmine. Le differenze regionali prima indicate si mantengono anche a parità di livello cultu-

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rale della famiglia, ma solo per i giovani di estrazione sociale bassa e medio-bassa, il che vuol dire che il minore accesso alla stampa quotidiana dei giovani meridionali riguarda so­prattutto i giovani provenienti dalle famiglie culturalmente più povere e che nel Mezzogiorno vi è, almeno per quanto riguarda le abitudini di lettura dei quotidiani, una maggiore polarizzazione che non nel Nord tra classi colte e classi cul­turalmente deprivate.

L'abitudine di lettura dei quotidiani cresce con l'età: tra i giovanissimi ( 15-18 anni) solo un ragazzo su quattro e una ragazza su sei legge regolarmente il giornale, mentre nella fascia d'età più alta (24-29 anni) i lettori assidui sono il 55% dei maschi e il 35% delle femmine.

Per i settimanali di informazione la situazione è invece diversa. Bisogna notare che si tratta di una categoria etero­genea nella quale compaiono sia settimanali di informazione vera e propria e di commento dell'attualità (come «L'E­spresso» o «Panorama»), sia settimanali illustrati dove pre­vale la «cronaca rosa». Le ragazze leggono più settimanali dei maschi (in relazione alla forte diffusione dei settimanali illustrati femminili), scompaiono le differenze tra aree geo­grafiche e tra classi di età, mentre restano le differenze le­gate al livello culturale della famiglia.

I due pubblici, quello dei quotidiani e quello dei setti­manali, si sovrappongono solo in parte: un 20% legge assi­duamente entrambi i tipi di carta stampata, il 25% non ne legge nessuno, un altro 20% legge solo quotidiani ma non settimanali, uno scarso 8% legge solo settimanali ma non quotidiani, mentre il restante 27% legge saltuariamente en­trambi.

È interessante notare come i nostri dati confermino un risultato acquisito dagli studiosi di media e cioè l'esistenza di una relazione inversa tra lettura dei quotidiani ed inten­sità di esposizione alla TV: i lettori assidui di quotidiani se­guono regolarmente anche i telegiornali, ma non apparten­gono a coloro che passano gran parte del loro tempo da­vanti allo schermo televisivo. Questi ultimi, al contrario, ac­cedono assai poco alla carta stampata. Lo stesso non vale, invece, per l'ascolto della radio: tra radio e giornali non vi è

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né un effetto di rafforzamento (l'ascolto della radio non in­duce ad una maggiore lettura di quotidiani), né un effetto di sostituzione.

4.2. Il consumo del libro

Per sondare l'accesso dei giovani al bene «libro» inco­minciamo a vedere l'uso delle biblioteche. I giovani che sono entrati in una biblioteca almeno una volta negli ultimi tre mesi sono circa il 35% del nostro campione. I frequenta­tori più assidui (con una frequenza almeno settimanale) sono i giovani delle regioni settentrionali e centrali, mentre la loro incidenza scende drasticamente nel Mezzogiorno e nelle Isole. Le regioni del Nord-Est mostrano la propor­zione più alta di frequenza in biblioteca (il 12,3% dei ma­schi), le Isole, invece, la più bassa (2,2%). TI livello culturale della famiglia e la condizione di studente spiegano ovvia­mente gran parte della variabilità di questo comporta­mento.

Lo stesso discorso vale per l'acquisto e la lettura di libri non di studio. Coloro che non sono mai entrati in una libre­ria per acquistare un libro non di studio negli ultimi tre mesi sono il 53% delle ragazze e il 63% dei ragazzi. Gli ac­quirenti più assidui (hanno acquistato almeno un libro nel­l'ultimo mese) sono il 18% dei maschi e il 22,4% delle ra­gazze. Se prendiamo in considerazione la lettura e non il semplice acquisto, possiamo tracciare più accuratamente il profilo sociale del non lettore e quindi anche del lettore di libri: i non lettori sono più maschi che femmine (il 43% contro il 29%), vivono più al Sud che non al Nord e al Cen­tro, provengono da famiglie culturalmente svantaggiate, tendono ad essere in condizione non professionale (non stu­diano e non lavorano). I lettori, al contrario, sono più fem­mine che maschi, vivono al Nord e al Centro, vengono da famiglie «colte» e sono in maggioranza studenti. Un dato merita però di essere segnalato: la più alta percentuale di lettori si riscontra nella categoria degli studenti/lavoratori. Oltre allo studio e al lavoro costoro trovano anche il tempo

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di leggere e ciò è indicativo della presenza di una forte moti­vazione all'acquisizione di cultura.

Un dato che possiamo considerare confortante ci viene dal confronto con i risultati della ricerca del 1 987 per le stesse classi di età: in relazione a tutti e tre gli indicatori di «consumo» del libro (biblioteca, libreria, lettura) la percen­tuale di «non-consumatori» si riduce mediamente di un

10%. Coloro che allora non frequentavano le biblioteche erano il 73%, ora si riducono al 62%, coloro che non com­peravano libri erano il 7 1%, ora sono il 60% e coloro che non leggevano erano il 44%, ora sono il 36%. Nonostante i livelli di consumo librario restino assai bassi, il libro sta forse recuperando lettori proprio tra i giovani.

4.3. La pratica musicale

TI consumo di musica, come abbiamo già notato, è fon­damentale tra le attività di tempo libero dei giovani di que­sta generazione; essi dedicano molte ore al giorno all'a­scolto individuale di musica e attraverso la musica passa an­che gran parte della loro socialità e della loro vita di gruppo. Si tratta però più che altro di un consumo passivo che solo raramente diventa pratica attiva . La pratica musicale è assai poco diffusa tra i giovani italiani, anche se, rispetto ai dati del 1987, sembra in crescita. Nel complesso, solo il 15,6% dei maschi e il 7, 7% delle femmine suonano con regolarità uno strumento musicale (ben il 77% dei maschi e 1'85% delle femmine non lo hanno mai fatto negli ultimi tre mesi).

Come c'era da aspettarsi, la pratica di uno strumento musicale è molto legata al livello culturale della famiglia (nelle famiglie di livello alto è tre volte più frequent� che in quelle di livello basso) e tende a ridursi con l'età. E infatti più alta tra i 15- 18enni e si riduce fino a raggiungere il li­vello più basso tra i 24-29enni, soprattutto per le giovani donne già sposate e con figli.

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4.4. La frequenza a concerti e l'acquisto di dischi di musica classica

La passione per la musica classica riguarda una piccola minoranza di giovani: non più del 7% del campione è an­dato ad un concerto negli ultimi tre mesi. Le ragazze sono solo di poco più assidue dei coetanei maschi e non vi sono forti differenze regionali. L'ascolto di concerti di musica classica è invece chiaramente un fenomeno legato agli strati culturalmente superiori tra i quali la frequenza ai concerti sale al 15% per i maschi e al 17% per le femmine. Si di­rebbe quindi che non si tratta in Italia di un fenomeno po­polare. Ciò è vero se si guarda solo alla frequenza ai con­certi; la musica classica registrata gode di una audience più vasta. Circa un terzo del nostro campione ha un rapporto «discografico» con la musica classica e di questi almeno la metà ascolta dischi di musica classica con frequenza più che settimanale. Qui, però, emergono di nuovo nettamente le differenze per aree geografico-culturali, che penalizzano le regioni meridionali, e per classi sociali, che privilegiano gli strati superiori. Vale la pena notare che la frequenza più alta di ascolto di dischi di musica classica si riscontra tra i gio­vani di classe sociale elevata che vivono nelle regioni nord­orientali: in questo gruppo, forse per la maggiore prossimità con l'area culturale tedesca, più del 70% dei giovani sono consumatori di questo genere di musica, mentre ciò vale nelle Isole solo per il 32% dei figli della classe cultural­mente più elevata.

4.5. Il cinema, il teatro, i musei e le mostre d'arte

n cinema resta uno dei consumi culturali ai quali i gio­vani hanno più frequentemente accesso. n 40% circa va al cinema almeno una volta al mese, ma vi è un buon l O% che va tutte le settimane. L'incidenza più alta di spettatori gio­vani si ha tra i 18 e i 24 anni, segno che il cinema è un luogo dove si va con gli amici o con la ragazza o il ragazzo quando si esce la sera: in questa fascia d'età non si notano infatti dif-

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ferenze tra maschi e femmine. Dopo il matrimonio, invece, fa frequenza al cinema cade e ciò spiega come mai dopo i 24 anni le ragazze, che si sposano mediamente tre anni prima dei maschi, smettano in buon parte di andare al cinema. Vi è comunque un terzo dei giovani italiani che nei tre mesi precedenti l'intervista non era mai stato al cinema; si tratta prevalentemente di giovanissimi ( 15-18 anni) o di giovani adulti (24-29 anni) che vivono nelle regioni meridionali e che provengono dagli strati sociali più bassi.

Nonostante si tratti di un consumo assai diffuso in tutti gli strati sociali, le barriere d'accesso, culturali ed economi­che, operano comunque nel senso di discriminare i consu­matori a seconda del livello di provenienza della famiglia: i non-consumatori sono nelle fasce più basse quasi quattro volte più numerosi che non nelle fasce alte.

Se il cinema, nonostante queste differenze, resta una forma «popolare» di spettacolo, non si può dire lo stesso per il teatro. Solo un giovane su quattro (senza differenze tra maschi e femmine) è andato a teatro nel trimestre prima dell'intervista, ma la variabile che discrimina di più è il li­vello culturale della famiglia: al livello più basso sei giovani su sette non vanno a teatro, mentre al livello più alto è solo uno su due.

Differenze nella stessa direzione e di magnitudo analoga si riscontrano per le visite a musei e a mostre d'arte. Anche in questo caso i dati più recenti mostrano un «migliora­mento» rispetto al 1987, il che vuoi dire che, sia pure lenta­mente e partendo da livelli molto bassi, questo tipo di con­sumi culturali si sta diffondendo nella popolazione giova­nile. I visitatori di musei e di mostre d'arte (almeno una volta negli ultimi tre mesi) sono poco meno del 30%, ma va­riano molto a seconda del livello culturale della famiglia (ai livelli più alti sono intorno al 50%, mentre ai livelli più bassi non raggiungono il 20%).

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5. Un indice sintetico di consumo culturale

Abbiamo costruito un indice sintetico di consumo cul­turale combinando i dati dei seguenti indicatori: concerti, teatro, musei e mostre d'arte, convegni e conferenze, biblio­teche, ascolto di dischi di musica classica, acquisti in libreria e lettura di libri non di studio. Dall'indice abbiamo tolto gli indicatori di fruizione della «cultura di massa» e abbiamo aggiunto la presenza a conferenze e convegni per disporre di uno strumento capace di misurare l'accesso alla cultura, per cosi dire, «alta». L'indice varia da un punteggio mas­simo di 24 ad uno minimo di O, e tali punteggi sono stati successivamente aggregati in modo da ottenere un indice a quattro livelli: alto, medio, basso, molto basso.

L'indice cosi costruito risulta significativamente corre­lato (tabb. 6.9, 6. 10, 6. 1 1 , 6. 12, 6 .13) con una serie di varia­bili strutturali. In conclusione, si può quindi affermare che l'accesso dei giovani alla cultura «alta» è favorito dal fatto di essere una donna piuttosto che un maschio, di vivere nelle regioni del N or d e del Centro piuttosto che nel Mezzo­giorno, in una grande città piuttosto che in un piccolo cen­tro, di provenire da una famiglia i cui genitori hanno un alto, piuttosto che basso, livello di istruzione.

Inoltre, e questo è un risultato assai significativo, l' ac­cesso alla cultura è legato ad una dimensione di personalità che misura il grado di autodeterminazione oppure di fatali­smo. La «cultura» risulta essere un «bene prezioso» proprio perché il suo possesso favorisce un atteggiamento attivo e autonomo verso la propria vita e il proprio futuro, mentre la sua assenza è connessa al senso di non essere in grado di go­vernare la propria vita e di essere alla mercé delle forze in­controllabili del destino.

6. Una tipologia dei giovani in quanto consumatori

Abbiamo raccolto in forma sintetica negli indici di con­sumi giovanili e di consumi culturali una serie di attività che definiscono modelli di consumo differenti. I giovani oggetto

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TAB. 6.9. Livello di consumi <<culturali» per genere

Maschi Femmine Totale

Alto 22,5 27,0 24,7 Medio 23,1 26,0 24,5 Basso 20,8 23,9 22,3 Molto basso 33,6 23,1 28,5

100,0 100,0 100,0 N = 2.500

TAB. 6.10. Livello di consumi culturali per area geografica

Nord Nord Centro Sud Isole Totale Ovest Est

Alto 3 1,9 30,2 28,6 18, 1 12,5 24,7 Medio 21,4 27,2 24,9 24,6 25,9 24,5 Basso 23,0 19,1 22,5 22,0 25,0 22,3 Molto basso 23,7 23,4 23,9 35,3 36,6 28,5

100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 N = 2.500

TAB. 6. 11 . Livello di consumi culturali per indice di autodeterminazione/fatalismo

Auto- Quasi Quasi Fatalisti Incerti Totale determinati auto-deter. fatalisti

Alto 31,5 25,0 17,5 12, 1 24,4 24,7 Medio 23,7 26,7 23,9 24,7 16,0 24,5 Basso 21,8 24,4 20,9 15,9 23,7 22,3 Molto basso 23,0 23,9 37,7 47,3 35,9 28,5

100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 N = 2.500

del nostro studio possono tuttavia collocarsi in posizioni di­verse rispetto ai due indici; possono, cioè, essere grandi consumatori di «cultura giovanile» e nello stesso tempo es­sere grandi consumatori di «cultura colta», oppure possono preferire un modello rispetto all'altro o essere lontani da en-

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TAB. 6.12. Indice di consumi culturali per classe di ampi= del comune di resi-denza

> 250 100-250 50-100 10-50 < 10 Totale

Alto 33,9 3 1,9 24,8 21,5 19,9 24,7 Medio 21,2 27,0 25,2 26,4 24,2 24,5 Basso 19,3 17,2 23,4 22,2 25,1 22,3 Molto basso 25,6 24,0 26,6 29,9 30,8 28,5

100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 N = 2.500

TAB. 6.13. Indice di consumi culturali per livello socio-culturale della famiglia di origine

Bassa Medio-bassa Medio-alta Alta Totale

Alto 13,7 24,1 30,9 50,2 24,7 Medio 20,0 26,7 29,7 23,9 24,5 Basso 25,0 22,6 20,6 15,9 22,3 Molto basso 41,3 26,7 18,8 10,0 28,5

100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 N = 2.500

trambi. L'incrocio dei due indici ci permette quindi (come già avevamo fatto per l'indagine del 1987) di elaborare una tipologia di giovani consumatori: abbiamo chiamato «lu­dici/colti» coloro che presentano punteggi elevati in en­trambi gli indici, «ludici» coloro che hanno punteggi elevati nel solo indice di consumi giovanili e punteggi bassi nell'in­dice di consumi culturali, «colti» coloro che, al contrario, sono in posizione elevata per quanto riguarda la «cultura colta» e in posizione bassa per i consumi giovanili; gli «esclusi», infine, sono coloro che non accedono a nessuno dei due modelli di consumo (hanno, cioè, punteggi bassi su entrambi gli indici) . n campione risulta così distribuito nei quattro tipi:

Colti/ludici Ludici

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815 567

pari al 32,6% 22,7%

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Colti Esclusi

415 703

16,6% 28,1%

Una prima differenza interessante emerge dall'analisi dei vari tipi a seconda del genere degli intervistati: non c'è differenza maschi/femmine per quanto riguarda il primo tipo. n tipo di coloro che presentano consumi diversificati che combinano cultura giovanile e cultura «colta» annulla le differenze di genere. Ciò non è più vero; invece, per il tipo «ludico», che è prevalentemente maschile, e il tipo «colto» in cui prevalgono le ragazze. Queste ultime prevalgono an­che tra gli «esclusi» (tab. 6.14) .

Rispetto all'età, i tipi con forte componente di consumi giovanili tendono a ridursi dopo i 21 anni, mentre i «colti» raggiungono il minimo tra i 18 e i 20 anni, proprio nella fa­scia d'età in cui i «ludici» raggiungono la massima fre­quenza.

Rispetto alla collocazione socio-culturale della famiglia, invece, solo per i due tipi estremi, i «colti/ludici» e gli «esclusi», si nota un forte legame, nel senso, abbastanza prevedibile, che i giovani che riempiono un paniere di con­sumi più ricco e diversificato sono molto più numerosi negli strati più elevati, mentre coloro che presentano un paniere vuoto tendono a provenire dagli strati più bassi (tab. 6. 15). I due tipi, per così dire, «puri», coloro che prediligono solo consumi giovanili oppure solo consumi colti, provengono senza apprezzabili differenze da tutti gli strati sociali e ciò vuol dire che i fattori che spingono i giovani verso l'uno op-

TAB. 6. 14. Tipologia di consumatori giovani per genere dell'intervistato

Maschi Femmine Totale

Colti e ludici 32,8 32,4 32,6 Ludici 28,9 16,2 22,7 Colti 12,8 20,6 16,6 Esclusi 25,5 30,9 28,1

100,0 100,0 100,0 N = 2.500

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Page 178: Giovani anni 90. Terzo rapporto Iard sulla condizione giovanile in Italia

TAB. 6.15. Tipologia di consumatori giovani per livello socio-culturale della /ami-glia

Bassa Medio-bassa Medio-alta Alta Totale

Colti e ludici 18,5 32,7 44,6 55,0 32,6 Ludici 23,0 23,6 23,5 17,0 22,7 Colti 15,3 18,1 16, 1 19,0 16,6 Esclusi 43,3 25,7 15,9 9,0 28,1

100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 N = 2.500

pure l'altro modello di consumo non hanno molto a che fare con il livello socio-culturale della famiglia d'origine, quanto piuttosto con diverse influenze di socializzazione, probabilmente riconducibili al gruppo dei pari.

Anche la regione di residenza (tab. 6. 16) discrimina piuttosto nettamente tra i due tipi polari: i «ludici/colti» sono sensibilmente più frequenti tra i giovani del Nord e del Centro che non tra i giovani del Sud e delle Isole, mentre l'inverso si verifica per gli «esclusi» (nelle regioni del Sud sono praticamente il doppio che nelle regioni del Nord­Est). Di nuovo, «ludici» e «colti» presentano un assai tenue legame con l'area geografica di residenza, a conferma del fatto che non sono le risorse socio-economiche proprie (ori­gine sociale) o del contesto (area di residenza), a spingere verso l'uno oppure l'altro modello di consumi. E da notare che le differenze per area geografica sono molto più mar­cate per le giovani donne che non per i giovani maschi; in altri termini, la distanza in termini di modelli di consumo tra giovani del Nord e giovani del Sud è minore per i ragazzi che non per le ragazze. In particolare, ad essere «escluse» sia dai consumi giovanili sia dai consumi culturali sono so­prattutto le giovani donne meridionali.

Del resto, l'appartenenza ad uno dei quattro tipi è solo debolmente influenzata dalla quantità di soldi che i giovani hanno a disposizione per le proprie spese (gli «esclusi», evi­dentemente, hanno anche meno soldi in tasca). Per poter predire a quale tipo di consumatore un giovane appartiene,

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Page 179: Giovani anni 90. Terzo rapporto Iard sulla condizione giovanile in Italia

TAB. 6.16. Tipologia di consumatori giovani per area geografica

Nord- Nord- Centro Sud Isole Totale Ovest Est

Colti e ludici 37,8 37,5 37,0 24,6 26,1 32,6 Ludici 23,7 22,9 23,3 19,3 25,9 -22,7 Colti 15,6 19,9 16,5 18, 1 12,2 16,6 Esclusi 23,0 19,6 23,1 38,0 35,8 28,1

100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 N = 2.500

TAB. 6.17. Tipologia di consumatori giovani per condizione professionale

Né studia Studia e Studia e Lavora e Totale né lavora non lavora lavora non studia

Colti e ludici 21,8 43,8 51,1 24,3 32,6 Ludici 15,3 21,0 17,0 27,7 22,7 Colti 12,5 18,8 20,7 15,6 16,6 Esclusi 50,4 16,5 1 1 ,2 32,4 28,1

100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 N = 2.500

l'indicatore più affidabile è se studia, lavora, oppure non è né studente né lavoratore_ I consumatori «ludici/colti» sono fortemente sovrarappresentati tra gli studenti e, soprattutto, tra gli studenti/lavoratori, così come, tra gli «esclusi» sono sovrarappresentati i giovani che non studiano e non lavo­rano (tab. 6. 17). Se consideriamo come modello ideale del giovane moderno un giovane che si diverte, ma non trascura la cultura, lo studente, e in particolare lo studente che non è estraneo ad esperienze lavorative, è la figura che più fre­quentemente si avvicina a questo modello.

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Page 181: Giovani anni 90. Terzo rapporto Iard sulla condizione giovanile in Italia

CAPITOLO SEITIMO

TRASGRESSIONE, DEVIANZA E DROGA

l . Premessa

La popolazione giovanile si è sempre caratterizzata per una maggiore propensione trasgressiva rispetto alle norme morali e legali della società, ma è negli ultimi anni che il di­stacco tra le generazioni sembra essersi acuito. Nelle prece­denti indagini lARD del 1983 e del 1987 questo fenomeno si era puntualmente confermato: per molti ambiti del vivere sociale l'orientamento etico dei giovani mostrava una certa distanza da tutto ciò che era condiviso e considerato legit­timo dal mondo adulto. Ovviamente il processo di evoluzio­ne sociale, che comporta mutamenti nel costume e nella mo­rale, fa sì che anche la valenza degli scostamenti dalle norme codificate muti e si trasformi nel corso del tempo. Tuttavia i modi e le forme con cui si manifestava la trasgressività tra le nuove generazioni apparivano del tutto stabili nell'arco degli anni Ottanta, quasi a significare che la non perfetta confor­mità ai valori e alle norme dominanti poteva essere conside­rata aspetto fisiologico della condizione giovanile.

In tempi più recenti, le tendenze di crisi, manifeste o la­tenti, che sono apparse sempre più numerose sul contesto nazionale, hanno senza dubbio indebolito il senso della le­gittimità. Ciò ha provocato, come vedremo diffusamente più avanti, un allentamento dei principi ,etici nella popola­zione giovanile, e forse non solo in essa. E sotto questa luce che probabilmente va letto l'incremento della propensione trasgressiva registrato in questi primi anni Novanta.

Su questa problematica, nel questionario si è proposta ai giovani intervistati, in analogia con le precedenti indagini lARD, una lista di diciotto comportamenti 1; per ciascuno di

1 Dei diciotto comportamenti utilizzati nella terza indagine IARD,

1 79

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essi si è chiesto: a) se lo ritenessero socialmente criticato; b) se, nella loro valutazione personale, lo considerassero am­missibile; c) se fosse potuto capitare loro di compierlo.

Le risposte alla prima domanda esprimono la perce­zione dei giovani del giudizio dato dalla società; quelle alla seconda domanda esprimono la valutazione di ammissibilità dei giovani stessi; quelle alla terza esprimono, sia pure in modo indiretto, la tendenza dei giovani a compiere compor­tamenti considerati potenzialmente od esplicitamente tra­sgressivi.

2. La percezione delle norme sociali

L'analisi comparata del trend evolutivo dei modi con i quali i giovani percepiscono le norme sociali mostra alcuni scostamenti di un certo rilievo. Nel complesso permane la convinzione che i comportamenti proposti, nella loro gene­ralità, siano più criticati dalla società che tollerati, ma l'in­tensità di questa convinzione tende a diminuire sensibil­men_te in alcuni ambiti etico-normativi specifici.

E il caso, ad esempio, dell'area dei rapporti sessuali e co­niugali. I giovani degli anni Novanta intravedono infatti una maggiore permissività sociale per i rapporti prematrimo­niali, per la convivenza e per il divorzio; il primo comporta­mento, in particolare, trova una consistente maggioranza dei giovani (i tre quinti) concorde a ritenerlo oramai accet­tato socialmente, fenomeno nuovo dal momento che nelle indagini precedenti coloro che non lo ritenevano criticato non superavano la metà degli intervistati.

Questi risultati mostrano come i giovani stiano co­gliendo alcune trasformazioni culturali in atto nel paese. n progressivo indebolimento dei vincoli e delle norme sociali legati alla sfera della sessualità, che appare sempre di più di pertinenza del libero arbitrio del singolo individuo e sempre

quattordici erano presenti anche nelle prime due indagini; per due com­portamenti il confronto è possibile con una sola indagine; altri due sono stati inseriti nel questionario per la prima volta.

1 80

Page 183: Giovani anni 90. Terzo rapporto Iard sulla condizione giovanile in Italia

TAB. 7.1. Variazione nel tempo della percezione delle norme sociali. Percentuale di coloro che considerano criticati dalla società i diversi comportamenti per anno di rilevazione (età: 15-24 anni)

1983 1987 1992

Area dei rapporti economici Non pagare sui trasporti pubblici 79,5 74,6 64,6 Assentarsi dal lavoro senza essere veramente

malati 77,6 72,8 67,1 Prendere qualcosa in un negozio senza pagare 91,8 91,9 90,2 Dichiarare al fisco meno di quanto si guadagna 74,3 72,3 70,8

Area dei rapporti familiari e sessuali Divorziare 65,0 66,0 62,1 Avere rapporti sessuali senza essere sposati 52,4 50,0 40,9 Avere esperienze omosessuali 88,2 91,6 91,5 Convivere senza essere sposati 63,8 61,7 57,2 Avere una relazione con una persona sposata 82,4 82,1 81,8

Area dell' addiction Ubriacarsi 78,6 78,5 77,5 Fumare occasionalmente marijuana 90,1 91 ,1 88,7 Prendere droghe pesanti (eroina) 95,2 96,1 97,5

Area della vita umana Suicidarsi 84,2 83,4 Abortire 72,1 75,4 78,8 Uccidere un nemico in guerra combattendo

per il proprio Paese 30,3

Area della violen7.11 e del vandalismo Fare a botte per far valere le proprie ragioni 66,6 70,4 67,2 Fare a botte con i tifosi di una squadra

awersaria 90,7 Produrre danni a beni pubblici 90,1 88,8

meno oggetto di controllo sociale, è un fenomeno che il confronto tra le tre rilevazioni IARD permette di mettere in evidenza. Tuttavia due sono, in questo contesto, le ecce­zioni peraltro assai significative: l'omosessualità, che man­tiene ancora tutte le caratteristiche del tabù sociale, e le re­lazioni extra-coniugali, comportamenti che presuppongono l'insincerità dei rapporti interni alla famiglia. In entrambi i casi la stigmatizzazione sociale è percepita dalla grande maggioranza dei giovani.

Un secondo ambito nel quale è possibile notare l'atte­nuarsi della cogenza delle regole sociali è costituito dai com-

181

Page 184: Giovani anni 90. Terzo rapporto Iard sulla condizione giovanile in Italia

portamenti legati ai rapporti economici. Cosi gli intervistati appaiono un po' più propensi a considerare tollerato il viag­giare su un mezzo pubblico senza pagare il biglietto o l' as­sentarsi dal lavoro senza reale giustificazione o l'evadere le tasse.

Anche in questo caso i giovani sembrano recepire dalla società alcune pratiche comportamentali che hanno pesan­temente svalorizzato il senso della doverosità civica da parte del cittadino.

Rimane invece sostanzialmente stabile nel tempo il modo di intendere la morale sociale in rapporto all'uso di sostanze psicotrope, al ricorso alla violenza e alla sfera della tutela della vita umana. In quest'ultimo campo troviamo l'u­nico comportamento che denota un cospicuo incremento di intolleranza percepita: abortire, agli occhi dei giovani, ap­pare sempre di più una scelta socialmente criticata (tab. 7 .1 ) .

3 . Le norme individuali

Spostando l'analisi dalla morale sociale a quella perso­nale, il quadro complessivo muta sensibilmente. Basandoci sulle dichiarazioni di ammissibilità relative ai comporta­menti proposti, i dati dell'ultima indagine IARD, come già quelli delle indagini precedenti, mostrano una forte propen­sione giovanile a considerarsi �rsonalmente più tolleranti della società nella quale vivono. E però un fenomeno che si manifesta in termini di intensità permissiva più che di qua­lità, nel senso che i comportamenti maggiormente sanzio­nati dal sociale, cosi come quelli maggiormente accettati, trovano anche un riscontro nella stessa direzione da parte della morale giovanile.

La massima ammissibilità viene attribuita ai comporta­menti della sfera sessuale; il trend è in ascesa e, all'inizio degli anni Novanta, i giovani che non ritengono accettabili sul piano etico i rapporti prematrimoniali, oppure il divor­zio, oppure la convivenza, sono una minoranza sempre più

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Page 185: Giovani anni 90. Terzo rapporto Iard sulla condizione giovanile in Italia

TAB. 7.2. Variazione nel tempo delle regole di condotta individUIJli. PercentUIJle di coloro che considerano ammissibili i diversi comportamenti per anno di ri-leva:done (età: 15-24 anni)

1983 1987 1992

Area dei rapporti economici N o n pagare sui traspor4 pubblici Assentarsi dal lavoro senza essere veramente

26,3 25,5 35,1

malati 28,6 32,2 38,3 Prendere qualcosa in un negozio senza pagare 10,9 9,3 9,3 Dichiarare al fisco meno di quanto si guadagna 24,9 28,7 28,3

Area dei rapporti familiari e sessuali Divorziare 73,8 74, 1 78,6 Avere rapporti sessuali senza essere sposati 79,9 79,8 84,9 Avere esperienze omosessuali 36,7 30,9 40,8 Convivere senza essere sposati 76,2 79,0 77,9 Avere una relazione con una persona sposata 53,0 49,3 48,0

Area dell'addiction Ubriacarsi 49,8 49,6 49,2 Fumare occasionalmente marijuana 26,9 20,8 27,6 Prendere droghe pesanti (eroina) 8,8 6,7 7,7

Area della vita umana Suicidarsi 21,8 18,6 Abortire 57,6 51,8 47,5 Uccidere un nemico in guerra combattendo

per il proprio Paese 55,7

Area della violenw e del vandalismo Fare a botte per far valere le proprie ragioni 35,7 33,7 3 1,6 Fare a botte con i tifosi di una squadra

avversaria 7,0 Produrre danni a beni pubblici 6,2 3,6

esigua. Emerge, in tale contesto, anche nna maggiore tol­leranza nei confronti dell'omosessualità.

Allo stesso modo i comportamenti legati all'area econo­mica mostrano una tendenza ad una valutazione sempre meno rigida. Implicitamente traspare un certo allentamento della morale connessa ai doveri civici.

Molti sono dunque i comportamenti per i quali si so­stanzia tra i giovani nna minore rigorosità rispetto al pas­sato. Tre sono però le eccezioni di rilievo: è interessante notare come, sia le relazioni extra-coniugali, sia l'aborto,

183

Page 186: Giovani anni 90. Terzo rapporto Iard sulla condizione giovanile in Italia

sia i comportamenti violenti appaiano negli anni in progres­siva contrazione in quanto ad ammissibilità (tab. 7.2).

n quadro generale che emerge rivela un intersecarsi ete­rogeneo di fattori che interagiscono &a loro e che rendono complesso il rapporto tra morale comnne e morale giova­nile. Per capirne meglio la logica è utile il confronto tra norme sociali e codici morali personali.

La trasgressione delle norme preposte alla regolazione dei comportamenti privati trova i giovani fortemente tolle­ranti, molto più di quanto essi percepiscano lo sia la società. Sotto questa luce la libertà sessuale, la convivenza, il divor­zio vengono valutati come scelte condotte da individui con­senzienti, pienamente legittimati a compierle.

Ciò che invece non viene t9llerato è quando la trasgres­sione viola i diritti dell'altro. E il caso dei comportamenti violenti, per i quali il rifiuto tra i giovani è maggiore di quello ritenuto diffuso nella società. In questo contesto trova spazio anche il crescente rifiuto per l'infedeltà coniu­gale e per l'aborto, anche se per entrambi i comportamenti i giovani rimangono di gran lnnga più permissivi di quanto ritengano sia il mondo degli adulti.

Sono le norme preposte alla convivenza sociale che ve­dono giovani · e società singolarmente in sintonia. Solo il furto è largamente stigmatizzato: le altre trasgressioni, ivi compresa l'evasione fiscale, sembrano far sempre più parte di quell'area di ammissibilità che accomnna settori consi­stenti delle vecchie e delle nuove generazioni ( tab. 7.3).

4. La propensione a trasgredire

Le tendenze trasgressive dei giovani sono state analiz­zate con la domanda sulla possibilità di compiere i vari comportamenti proposti. Poiché le modalità di risposta erano «SÌ», «no», «non so», abbiamo interpretato le affer­mazioni positive come palese tendenza alla violazione nor­mativa, quelle negative come piena introiezione ed accetta­zione della norma e il «non so» come instabilità del codice

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Page 187: Giovani anni 90. Terzo rapporto Iard sulla condizione giovanile in Italia

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morale. In altre parole l'incertezza può significare che, pur nella coscienza di compiere un atto soggetto a riprovazione sociale, la situazione contingente potrebbe indurre alla tra­sgressione. Per questa ragione abbiamo accomunato i «si» con i «non so», considerandoli come espressione di una, al­meno potenziale, propensione trasgressiva.

Qui i dati mostrano una maggiore stabilità nel tempo ri­spetto agli altri due piani di analisi. I comportamenti che denotano un aumento significativo della possibilità di tra­sgredire le norme sociali sono solo tre: il viaggiare su mezzo pubblico senza pagare (dall'83 al '92 lo scostamento è di 8 punti percentuali in più), l'assentarsi dal lavoro senza essere malati ( + 7 punti), avere rapporti sessuali senza essere spo­sati ( + 5 punti) (tab. 7.4).

Nel complesso, quanto si è precedentemente affermato sui criteri di ammissibilità «teorica» viene ribadito anche in riferimento alla possibilità pratica di trasgredire. Tutto ciò che riguarda la sfera privata dell'individuo è largamente aperto a scelte che non pongono seri dilemmi morali, a tal punto che con difficoltà potremmo ad esempio definire i rapporti prematrimoniali una violazione di una norma so­ciale (solo un giovane su sei esclude categoricamente l' even­tualità, cosi come solo uno ogni quattro può dirsi sicuro che non divorzierà mai e uno ogni tre che non conviverà senza essere sposato) .

Disattendere le norme che regolano la vita degli indivi­dui nella sfera pubblica, che abbiamo visto essere conside­rato ammissibile da una cospicua minoranza di giovani, sembra coinvolgere nella pratica una quota ben più ampia, in alcuni casi superiore alla metà degli intervistati. Ciò ri­chiama al problema della coerenza tra codici etici e com­portamenti di fatto.

TI confronto tra i due livelli mostra come solo poche tra­sgressioni trovino i giovani unanimemente coerenti a rifiu­tarle sul piano morale e su quello di una anche solo ipote­tica realizzazione concreta. Sono quei comportamenti che potremmo definire esplicitamente «devianti»; nell'ordine: gli atti vandalici, l'assunzione di droghe pesanti, la violenza sportiva, il furto. Tutto il resto appare più controverso. In

1 86

Page 189: Giovani anni 90. Terzo rapporto Iard sulla condizione giovanile in Italia

TAB. 7.4. Variazione nel tempo degli atteggiamenti di «non esclusione>> della possi-bilità di trasgredire alle norme sociali. Percentuale di coloro che conside-rano possibili i diversi comportamenti, o che comunque non escludono la possibilità di compierli, per anno di rilevazione (età: 15-24 anni)

1983 1987 1992

Area dei rapporti economici

Non pagare sui trasporti pubblici 53,9 54,6 62,1 Assentarsi dal lavoro senza essere veramente

malati 49,1 50,5 55,9 Prendere qualcosa in un negozio senza pagare 14,9 12,8 12,7 Dichiarare al fisco meno di quanto si guadagna 42,5 40,4 37,8

Area dei rapporti familiari e sessuali

Divorziare 72,3 70,1 72,8 Avere rapporti sessuali senza essere sposati 79,6 79,6 84,3 Avere esperienze omosessuali 10,8 5,2 4,4 Convivere senza essere sposati 64,6 64,9 65,8 Avere una relazione con una persona sposata 56,1 49,6 49,8

Area dell'addiction

Ubriacarsi 51,0 49,3 48,7 Fumare occasionalmente marijuana 18,4 14,6 19,1 Prendere droghe pesanti (eroina) 5,7 3,8 3,3

Area della vita umana

Suicidarsi 13,9 10,7 Abortire 42,9 42,0 40,4 Uccidere un nemico in guerra combattendo

per il proprio Paese 48,2

Area della violenza e del vandalismo

Fare a botte per far valere le proprie ragioni 44,6 43,7 40,1 Fare a botte con i tifosi di una squadra

avversaria 1 1,6 Produrre danni a beni pubblici 10,1 7,7

linea di massima la coerenza aumenta con l'età e le ragazze sono coerenti più dei ragazzi, come già l'indagine dell'87 aveva messo in evidenza. Tra i sottogruppi del campione di­stinti per sesso e per età spicca quello dei maschi adole­scenti ( 15 - 17 anni); in loro la presenza di tensioni verso comportamenti teppistici e violenti è palesemente più consi­stente (tab. 7.5).

Nel complesso molti giovani appaiono portatori di

187

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FIG. 7.1. Tipologia della propensione alla trasgressività.

istanze morali e di propensioni all'azione che si discostano, a livelli diversi, da quelle che sono le attese percepite del mondo adulto. Ci siamo dunque posti l'obiettivo di indivi­duare, nell'ampia varietà degli atteggiamenti giovanili, una tipologia che raggruppasse gli intervistati attorno a modalità omogenee di orientamento generale nei confronti del com­portamento trasgressivo.

Attraverso una serie di cluster analysis la soluzione più semplice e convincente ha messo in evidenza quattro gruppi di giovani che riflettono altrettanti modi tipici di rappor­tarsi all'eventualità di incorrere in comportamenti social­mente riprovevoli (fig. 7 .1 ) .

N el primo gruppo, che potremmo definire quello degli integrati, si riconosce il 36,6% del campione. n tipo si carat­terizza per un basso indice di propensione su tutte le possi­bili «devianze», eccettuate alcune relative alla sfera dei rap­porti sessuali, che abbiamo visto essere oramai largamente

189

Page 192: Giovani anni 90. Terzo rapporto Iard sulla condizione giovanile in Italia

diffuse; nondimeno anche in questo campo le percentuali di propensione al trasgredire si mantengono in misura cospi­cua al di sotto della media generale.

Un secondo gruppo, che abbiamo denominato degli op­portunisti, è rappresentato da giovani caratterizzati da un modesto senso della doverosità civile. Gli orientamenti tra­sgressivi si indirizzano tutti verso l'area dei rapporti econo­mici (eccettuato il furto); per il resto gli atteggiamenti che emergono sono assimilabili a quelli del gruppo precedente. A ben vedere potremmo considerare questi giovani come degli integrati opportunisti, i codici morali dei quali colli­mano con quelli dell'etica comune fino a quando l'interesse collettivo chiede dei costi al singolo individuo. Nel com­plesso in questo gruppo ritroviamo il 17 ,8% del campione.

n terzo tipo, dei permissivi, appare portatore di istanze più articolate. n profilo etico che emerge può essere messo in relazione con stili di vita permissivi che probabilmente caratterizzano le tendenze evolutive della cultura giovanile odierna. Due sembrano essere le caratteristiche che si im­pongono all'attenzione. La prima riguarda la liberalità pres­soché unanime verso i comportamenti sessuali (con l'ecce­zione dell'omosessualità). In questo contesto può essere ac­comunato anche il modo diverso di considerare l'aborto; se nei primi due gruppi le pratiche abortive erano fortemente stigmatizzate perché collegate alla sfera della difesa della vita umana, in questo terzo gruppo esse sembrano maggior­mente inerenti all'area del sesso, tanto che ben i due terzi non escludono di poteme essere coinvolti. La seconda ca­ratteristica appare connessa alla cultura dell'addiction: l'u­briacarsi o l'uso di droghe leggere raggiungono livelli di propensione assai superiori alla media del campione. Per converso, il gruppo dei permissivi, che è composto dal 37,6% degli intervistati, pur non potendosi definire del tutto ligio al rispetto delle norme che regolano i rapporti economici e civili, mostra per quest'area livelli di trasgres­sione inferiori, anche in modo consistente, a quelli tipici del secondo gruppo.

Minoritario (1'8,0% degli intervistati) ma non per que­sto di scarsa importanza è il quarto gruppo, che abbiamo

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Page 193: Giovani anni 90. Terzo rapporto Iard sulla condizione giovanile in Italia

raccolto sotto la definizione di devianti. Tra questi giovani la propensione alla trasgressione è particolarmente diffusa ed indifferenziata. Tutti gli items proposti presentano alti indici, anche per quelli relativi a comportamenti violenti, al furto nei negozi e alla droga, tanto da poter definire il gruppo a forte rischio di devianza.

Nella tabella 7.6 è presentato il profilo tipico dei quattro gruppi rispetto ai diciotto comportamenti trasgressivi utiliz­zati.

I tipi emersi si distribuiscono in modo diverso in rap­porto alle condizioni socio-demografiche. Ciò rende più fa­cile valutare il loro reale significato.

Detto che il sesso ha un'influenza non irrilevante, dal momento che tra i tipi «integrati» e «opportunisti» prevale la presenza femminile e negli altri due quella maschile, di particolare interesse è la composizione dei gruppi declinata per età. Sotto questo aspetto la maggiore incidenza di gio­vani adolescenti nei tipi «opportunisti» e «devianti» ridi­mensiona, in un certo senso, la rilevanza di tali orienta­menti, destinati, con l'aumentare dell'età, a ridursi quantita­tivamente. Con tutta probabilità agisce, da una parte, una minor consapevolezza adolescenziale verso la cosa pubblica e, dall'altra, l'accentuata propensione a comportamenti pa­lesemente devianti può essere letta come il prodotto di identità ancora in costruzione che vedono nella trasgres­sione, più teorica che vissuta, una modalità di autoafferma­zione.

Sono tuttavia le appartenenze geografiche che segnalano la persistenza anche all'interno dell'universo giovanile di culture differenti. Gli «integrati» raggiungono la massima consistenza nelle regioni meridionali e la minima in quelle centrali. I giovani del Centro e del Sud del paese sono peral­tro accomunati per la loro forte presenza nel gruppo degli «opportunisti». Infine il Meridione si distingue per la minor tendenza alla permissività, orientamento che invece risulta maggioritario nelle altre tre realtà italiane (tab. 7.7).

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Page 196: Giovani anni 90. Terzo rapporto Iard sulla condizione giovanile in Italia

5. La valutazione e la propensione all'uso di droghe

5. 1 . La percezione sociale e l'immagine personale dell'uso di droghe

Che il consumo di droga sia ritenuto comportamento socialmente riprovato è una convinzione largamente diffusa tra i giovani, non cosi diffusa è, invece, la critica personale a tale consumo. Per meglio dire, le opinioni si differenziano in modo consistente in rapporto alla sostanza psicotropa considerata: grande tolleranza per le droghe comunemente dette «leggere», maggior rigore per quelle «pesanti».

Riferendoci a due situazioni distinte, «fumare occasio­nalmente marijuana» e «prendere droghe pesanti (eroina)», la percentuale di giovani che ritengono che l'uso di droghe non sia criticato in modo particolare dalla società è molto contenuta: 1' 1 1 ,3% nel primo caso il 2,5% nel secondo. Se però il giudizio si sposta a livello personale, per esprimere l'ammissibilità o la non ammissibilità dell'uso di droghe, l'atteggiamento tollerante assume dimensioni più rilevanti: il 28,6% per la marijuana e il 7,5% per l'eroina. n con­fronto tra questi due ordini di giudizio dimostra come i gio­vani siano di gran lunga più permissivi di come essi riten­gono lo sia la società nel valutare i comportamenti legati al consumo di stupefacenti. Due giovani ogni sette dichiarano dunque l'uso di droghe «leggere» completamente compati­bile con i propri codici morali. T aie posizione è più diffusa tra i maschi, tra i ceti sociali medio-superiori e cresce con l'età. Anche le variabili territoriali esercitano un'influenza significativa: la tolleranza si massimizza infatti nelle aree metropolitane (nei centri di oltre 250 mila abitanti i giovani che non condannano l'uso di droghe leggere superano il 40%) e in quelle a più alto sviluppo economico (nelle re­gioni centro-settentrionali del paese la percentuale di gio­vani permissivi si attesta intorno al 34-37% contro il ben più modesto 19% delle regioni meridionali) .

194

Page 197: Giovani anni 90. Terzo rapporto Iard sulla condizione giovanile in Italia

5.2. La propensione all'uso di droghe

TI considerare personalmente ammissibile il consumo di sostanze psicotrope illegali esprime una valutazione gene­rale su un problema sociale ma non implica necessaria­mente un coinvolgimento personale. Questo. aspetto è stato indagato, seppur in modo non diretto, con una domanda specifica: «Sarebbe potuto accadere all'intervistato di fu­mare occasionalmente marijuana» oppure «di prendere una droga pesante come l'eroina»?

I dati appaiono molto significativi: quasi un giovane ogni cinque non esclude l'esperienza del consumo di dro­ghe leggere mentre quasi uno ogni trenta non esclude il consumo di droghe pesanti. Ci troviamo dunque di fronte ad un fenomeno quantitativamente di grande rilevanza: pur con le dovute cautele, è infatti possibile stimare intorno ai due milioni e mezzo i giovani che, anche se astrattamente, non si ritengono del tutto estranei alla cultura della droga. L'età non sembra avere una grande influenza nella determi­nazione di questo atteggiamento, non cosl il sesso, la classe sociale e le variabili territoriali. La propensione all'uso è in­fatti notevolmente più accentuata tra i maschi, tra i ceti su­periori, nelle aree metropolitane e nelle regioni del Centro e del Nord del paese. Queste ultime indicazioni dimostrano come la cultura della droga non sia direttamente connessa a fenomeni di emarginazione e di sottosviluppo; anzi, i più esposti sembrerebbero quei gruppi sociali connotati da ca­ratteristiche che potremmo definire privilegiate (tab. 7.8) .

5 .3 . Il contatto con il mondo della droga

La reale incidenza che il fenomeno droga può avere come fatto sociale e culturale tra i giovani deve però neces­sariamente essere misurata in termini di «contatti» con il mondo della droga.

Un primo importante indicatore è la conoscenza di per­sone che fanno uso di droghe. Nel complesso più di un gio­vane ogni due conosce, seppur superficialmente, consuma-

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Page 199: Giovani anni 90. Terzo rapporto Iard sulla condizione giovanile in Italia

tori abituali. Ma è dai dati relativi all'esperienza personale che emerge come una grap. parte dei giovani sia esposta alla droga in modo diretto. E qui opportuno operare, ancora una volta, una distinzione tra droghe «leggere» e droghe «pesanti» perché il fenomeno si articola diversamente. Par­lare con qualcuno che ha fatto uso di hashish o marijuana appartiene all'esperienza di quasi il 40% dei giovani intervi­stati, così come circa il 30% ha visto giovani che avevano da poco consumato (o forse stavano consumando) questi tipi di droghe. Siamo ancora ad un livello superficiale di con­tatto dove l' occasionalità o l'involontarietà del fatto po­trebbe anche avere avuto il suo peso. Non cosi se valutiamo il contatto fisico con la sostanza o l'opportunità concreta di consumo: il 20,6% dei giovani intervistati ha visto o toccato hashish o marijuana, al 23,1% è stato proposto di provarne l'uso.

L'esperienza di contatto con il mondo, ben più preoccu­pante, dell'eroina o della cocaina è meno frequente ma in termini relativi decisamente rilevante: il 26,2% ha parlato con consumatori, il 20,2% ha visto qualcuno usare tali dro­ghe, il 3,4%, dato questo emblematico, ha visto o toccato una di queste sostanze, il 3,8% si è sentito proporre di provarle.

Questi contatti costituiscono già di per se stessi una «fo­tografia» dell'estensione del fenomeno, ma si deve pur­troppo ritenere che, con tutta probabilità, il dato quantita­tivo sia sottodimensionato: la delicatezza dell'argomento fa si che molte reticenze siano ovviamente scontate. La rile­vanza dei dati mostra comunque come l'esperienza di occa­sioni di contiguità con il mondo della droga non appartenga a piccole frange di emarginati ma ad una cospicua mino­ranza di giovani (fig. 7.2).

Le variabili che mostrano le correlazioni più significative sono il sesso, l'età, l'estrazione sociale, l'ampiezza del co­mune di residenza e la circoscrizione geografica. Se si prende ad esempio l'indicatore che più appare associato alla contiguità con il fenomeno - vedere o toccare qualche tipo di droga - i maschi denotano una percentuale di «esposi­zione» doppia rispetto alle femmine. All'aumentare dell'età,

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o Nel complesso Droghe leggere Droghe pesanti

• Parlare con qualcuno che ha fatto uso di droga almeno una volta

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FIG. 7 .2. Contatti con il mondo della droga.

Il Vedere qualcuno che aveva da poco usato droga

awnentano anche le occasioni di rischio raggiungendo i massimi livelli nella fascia 21-24 anni: basti pensare che un quarto dei giovani di questa età dichiara di aver avuto espe­rienza di contatto diretto con la sostanza, quota che si alza al 44% se si considerano i soli maschi. Tra i ceti sociali, il contributo maggiore viene dato dai giovani provenienti da famiglie di classe elevata (figli ·di imprenditori, liberi profes­sionisti, dirigenti) . Inoltre il fenomeno trova la sua più am­pia concentrazione nei centri con oltre 50 mila abitanti, e in particolar modo nelle grandi città del Nord e del Centro Italia.

Come influisce la vicinapza al mondo della droga con la propensione al conswno? E questo un interrogativo che è destinato a non produrre risposte soddisfacenti. N eli' am­bito delle ricerche estensive su questionario le domande di­rette, se toccano sfere private assai delicate, non riescono a quantificare in modo attendibile un fenomeno. Nondimeno l'indagine offre alcuni elementi di riflessione. n 9,5% degli intervistati dichiara di aver sentito il desiderio o la curiosità

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Page 202: Giovani anni 90. Terzo rapporto Iard sulla condizione giovanile in Italia

di provare hashish o marijuana, e si è già visto nel paragrafo precedente che il 18,0% non esclude che ciò potrebbe capi­tare. Se spostiamo l'attenzione sulle droghe pesanti, il 3,4% ha sentito almeno una volta il desiderio o la curiosità di pro­vare eroina o cocaina e una percentuale pressoché identica (3 ,0%) non esclude che ciò potrebbe capitare. Sono questi dei dati che, anche se non fossero, come in realtà sono, sot­todimensionati, sarebbero già di per sé consistenti ( tab. 7.9).

5.4. Un «trend» in ascesa

n confronto tra le rilevazioni della prima e della seconda indagine nazionale IARn sulla condizione giovanile aveva messo in luce come il fenomeno «contiguità con il mondo della droga» fosse in diminuzione. Nella terza indagine la tendenza, non solo si è invertita, ma tutti gli indicatori più significativi utilizzati hanno raggiunto e superato il livello, già alto, del 1983-84.

Analizziamo brevemente i dati: la convinzionè che il consumo di sostanze psicotrope illegali sia condannato dalla maggioranza delle persone mostra un trend divergente a se­conda del tipo di droga. Rispetto alle rilevazioni precedenti emerge infatti come i giovani d'oggi, forse anche per le re­centi ed insistenti campagne sociali orientate a combattere soprattutto l'uso dell'eroina, abbiano complessivamente l'immagine di una società più decisa nel contrastare le dro­ghe pesanti, ma più tollerante nel confronto di quelle leg­gere (tab. 7. 10).

Spostando l'analisi sulle regole di condotta individuale, le dichiarazioni di ammissibilità dell'uso di stupefacenti come la marijuana registrano un aumento a tutto campo; non così nei confronti dell'eroina che, sebbene in ascesa ri­spetto al 1987, non hanno ancora raggiunto i livelli del 1983 (tab. 7. 1 1 ) .

La propensione esplicita al consumo, o meglio la non decisa negazione che l'esperienza di provare una droga possa anche capitare, mostra parimenti una maggiore aper-

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Page 203: Giovani anni 90. Terzo rapporto Iard sulla condizione giovanile in Italia

TAB. 7 . 10. Variazione nel tempo della percezione delle norme sociali (percentuale di coloro che considerano N O N criticati d4lla società i comportamenti le­gati al consumo di droghe)

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TAB. 7. 12. Variazione nel tempo della propensione all'uso di droghe (percentuale di coloro che NON escludono che potrebbe loro capitare)

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tura alle droghe leggere che contrasta con un più severo giu­dizio verso quelle pesanti. n fenomeno è dunque interes­sante poiché traspare, almeno nelle opinioni e nelle cre­denze dei giovani, una tendenza a distinguere e differen­ziare gli effetti delle sostanze stupefacenti (tab. 7. 12) .

I dati oggettivi di esposizione alla droga sono però in au­mento deciso. La conoscenza di giovani che ne fanno uso appartiene all'esperienza di più della metà degli intervistati, quando nel 1987 riguardava solo un terzo dei soggetti; il contatto fisico con una sostanza stupefacente è più che rad­doppiato, come anche la confessione di avere il desiderio (o anche solo la curiosità) di provarla. Abbiamo già visto come queste risultanze si applichino soprattutto per le droghe leg-

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Page 204: Giovani anni 90. Terzo rapporto Iard sulla condizione giovanile in Italia

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D Molto favorevoli � Abbastanza favorevoli 111 Poco favorevoli

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FIG. 7.3. Atteggiamento verso la legalli:zazione dell'uso della droga.

gere ma la consistenza del fenomeno, misurato nella sua evoluzione quantitativa, è senza dubbio assai preoccupante (tab. 7. 13) .

L'ultima domanda in tema di droga era accentrata sulle opinioni dei giovani nei confronti di una eventuale futura legalizzazione dell'uso di stupefacenti. I contrari superano in modo piuttosto accentuato i favorevoli; nondimeno que­sti ultimi assommano a circa un terzo dei giovani. Le carat­teristiche socio-anagrafiche dei giovani che si dichiarano per una depenalizzazione del consumo della droga non sono particolarmente decise, anche se risaltano i maschi, i più anziani, i residenti nelle grandi città. Ovviamente tale opinione risulta più diffusa tra coloro che abbiamo visto es­sere i più vicini a comportamenti contigui alla cultura della droga; ad esempio, tra chi è entrato in contatto con una so­stanza stupefacente i favorevoli alla legalizzazione salgono al 43,3% (fig. 7.3 ).

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Page 206: Giovani anni 90. Terzo rapporto Iard sulla condizione giovanile in Italia

6. Conclusioni

n quadro generale che emerge conferma dunque alcune tendenze che sono andate consolidandosi nell'ultimo de­cenruo.

Se, nel complesso, i giovani sembrano portatori di una morale che si distanzia progressivamente dai valori tradizio­nali, nello specifico è negli atteggiamenti e nei comporta­menti nei confronti dell'uso di sostanze psicotrope che si stanno diffondendo nuovi modelli culturali.

n carattere di «devianza» legato alla contiguità con il mondo della droga è messo in discussione sia da un punto di vista quantitativo (percentuali troppo elevate di giovani ne sono a varia intensità coinvolti) che da quello qualitativo (il «profilo» sociale del giovane coinvolto appare larga­mente indistinto) .

Non sembra pertanto esistere alcun criterio predittivo che induca relazioni significative tra predisposizione al con­sumo e caratteristiche socio-economiche dei soggetti; la contiguità alla droga si propone infatti come un fenomeno indifferenziato aperto all'esperienza di ogni singolo gio­vane. L'uso - occasionale - di droghe diventa cosl del tutto slegato da condizioni di svantaggio e di emargina­zione, per diventare un'esperienza «normale» di gruppi estesi di giovani.

Numerosi segnali indicano come il problema sociale della droga debba essere spiegato in termini culturali; certa­mente un ruolo non irrilevante assumono alcuni elementi che caratterizzano l'universo giovanile: la percezione della reversibilità dei percorsi esistenziali, ivi compresi quelli di carattere trasgressivo; la tendenza a prefigurare canali di doppia moralità a seconda degli ambiti esperienziali contin­gentemente vissuti; la proiezione nel presente come natu­rale prodotto di una labile progettualità futura.

204

Page 207: Giovani anni 90. Terzo rapporto Iard sulla condizione giovanile in Italia

CAPITOLO OTIAVO

PROLUNGAMENTO DELLA FASE GIOVANILE E ORIENTAMENTI AL FUTURO

l . Precocità e ritardo nel percorso verso l'età adulta

N elle società moderne i confini tra le varie età del ciclo di vita appaiono assai più sfumati e incerti che non nelle so­cietà tradizionali. Sono scomparsi dei veri e propri «riti di passaggio» che marchino simbolicamente e talvolta dram­maticamente, agli occhi degli individui che ne sono oggetto e della comunità, l'ingresso nell'età adulta. O meglio, alcuni di questi riti sono rimasti (come il conferimento di un di­ploma, o il matrimonio), ma il loro valore simbolico si è di molto attenuato. Ogni società e ogni epoca hanno il proprio modo di definire chi è adulto e chi non lo è ancora. Nella società attuale, ad esempio, il ruolo di consumatore, con la capacità connessa di manipolare quel simbolo della moder­nità che è il denaro, si acquisisce molto presto nel corso del­l'adolescenza. E, del resto, i diritti civili più importanti (il voto, lo stare in giudizio, l'assumersi obblighi contrattuali, ecc.) si acquisiscono con la maggiore età, oramai fissata quasi ovunque a diciotto anni. In generale, tuttavia, si può dire che un giovane uomo, o una giovane donna, sono di­ventati adulti quando hanno varcato una serie di «soglie»: a) hanno concluso la parte più rilevante del loro iter forma­tivo; b) occupano una posizione relativamente stabile nella divisione sociale del lavoro; c) hanno abbandonato la casa dei genitori; d) si sono sposati; e, infine, e) quando, con la paternità e maternità, si assumono delle responsabilità nei confronti di una generazione successiva.

Nell'ultimo quarto di secolo, in tutte le società avanzate dell'Occidente, si sta verificando un cambiamento radicale nei modi coi quali queste cinque soglie vengono attraver­sate. In primo luogo, vi è una tendenza a spostare in avanti, verso un'età anagrafica più avanzata, ognuno di questi «pas-

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Page 208: Giovani anni 90. Terzo rapporto Iard sulla condizione giovanile in Italia

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saggi»: si finiscono più tardi gli studi, si entra più tardi nel mondo del lavoro, si lascia più tardi l'abitazione dei geni­tori, ci si sposa più tardi e si diventa padre o madre sempre più tardi. In secondo luogo, l'ordine col quale le varie soglie vengono superate non è rigidamente prescritto. In terzo luogo, la distanza temporale tra i momenti in cui vengono varcate la prima e l'ultima soglia tende ad allungarsi.

Queste tendenze, si è detto, riguardano tutte le società avanzate. Ciò vale quindi anche per la società italiana, la quale presenta tuttavia una serie di specificità che dovremo segnalare, pur senza addentrarci in un'analisi comparativa. Vi è, inoltre, una grande variabilità all'interno di ogni sin­gola società nei tempi e nei modi del passaggio all'età adulta. In generale, più basso è lo strato sociale di apparte­nenza della famiglia d'origine e più «precoce?> è il passaggio all'età adulta (tab. 8. 1 ) . Gli «anticipatori», coloro che var­cano mediamente prima le soglie dell'età adulta, sono in ge­nere ragazzi e ragazze che provengono dagli strati bassi e medio-bassi della società, mentre i «dilazionatori» hanno mediamente un'estrazione sociale più elevata. Ciò non to­glie che vi siano casi di «anticipatori» tra giovani di classe elevata e di «dilazionatori» tra giovani di classe inferiore e ciò indica che vi sono altri fattori, oltre all'origine sociale, che determinano i tempi di passaggio all'età adulta.

2. Il prolungamento dei percorsi di studio

n fenomeno della scolarizzazione di massa in Italia, in­nescatosi negli anni Sessanta e proseguito nel decennio suc­cessivo, ha subito un rallentamento nel corso degli anni Ot­tanta, assestandosi su soglie ancora inferiori, ma non molto distanti, da quelle degli altri paesi europei. Tra i paesi del OcDE, solo il Portogallo e la Turchia presentano tassi di scolarizzazione inferiori nella scuola media superiore a quello dell'Italia 1• In altre parole, la percentuale di iscritti

l Cfr. OECD [1992, 73].

207

Page 210: Giovani anni 90. Terzo rapporto Iard sulla condizione giovanile in Italia

TAB. 8.2. Previsione di finire gli studi nelle tre rilevazioni, classi di età 15-24 anni (%)

1983 1987 1992

Hanno già finito 34,0 30,8 25,4 Sl, certamente 27,0 23,8 34,2 Credo di sl 13,7 16,1 17,4 Credo di no 5,8 4,9 4,8 No, è escluso 14,9 17,0 12,9 Non so, non posso prevedere 4,6 7,5 5,3

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N = 4.000 2.000 1.718

alle scuole secondarie superiori e all'università sul totale della popolazione nelle classi di età corrispondenti è consi­derevolmente cresciuta nel tempo, ma meno di quanto non sia avvenuto altrove. In ogni modo, anche in Italia, è cre­sciuta la quota di giovani che studiano e chi studia, studia generalmente per un numero di anni superiore rispetto a quanto non avvenisse in passato. In particolare, i tassi di scolarizzazione maschili e femminili, che in passato presen­tavano uno squilibrio a favore dei maschi, non solo si sono riequilibrati, ma mostrano ora una, sia pur leggera, mag­giore propensione delle ragazze al proseguimento degli studi.

Nonostante, come abbiamo detto, il fenomeno della scolarizzazione di massa sia rallentato nel corso degli anni Ottanta, prendendo le tre rilevazioni lARn (del 1983, 1987 e 1992) si nota come tra i 15-24enni sia diminuita la quota di giovani che hanno già concluso il loro percorso educativo, mentre aumenta la quota di coloro che prevedono di con­cluderlo nell'arco dei cinque anni successivi al momento dell'intervista (tab. 8.2). La scolarizzazione prolungata ha investito tutti gli strati sociali in quanto vi è stato un innalza­mento generale del livello di istruzione della popolazione, anche se il fenomeno riguarda soprattutto gli strati medi e medio alti che costituiscono una quota crescente della po­polazione.

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3. Le modalità di ingresso nel mondo de/ lavoro

Tra i giovani che lavorano, coloro che hanno llllztato un'attività lavorativa vera e propria prima dei 15 anni sono sempre di meno (dai nostri dati sembra che la loro quota si sia drasticamente ridotta proprio negli ultimi cinque anni), mentre è aumentata sia la quota di studenti-lavoratori (che passa dal 4 all'8% nelle classi di età tra 15 e 24 anni), sia la quota di coloro che svolgono lavori saltuari o occasionali (che passa dal 25 al 32%). Da quest;i semplici dati emerge chiaramente che coloro i quali, finiti gli studi, entrano im­mediatamente nel mondo del lavoro in una posizione relati­vamente stabile sono sempre di meno. Innanzi tutto, le due fasi, formativa e lavorativa, possono sovrapporsi temporal­mente (il fenomeno degli studenti-lavoratori ne è un'indica­zione precisa) . Inoltre, tra la fine degli studi e l'ingresso in una posizione lavorativa stabile, si apre per la maggior parte dei giovani una fase, di maggiore o minore durata, segnata da periodi di vera e propria disoccupazione e da periodi di lavori più o meno precari e occasionali. Ciò vale, è bene sot­tolinearlo, sia per i giovani maschi che per le loro coetanee femmine. Come risulta dai dati raccolti (figg. 8. 1a e 8. 1b), l'andamento delle curve che descrivono l'inserimento lavo­rativo alle varie età non è molto diverso per maschi e fem­mine. L'attività lavorativa extra-domestica delle donne, al­meno nella fase che precede il matrimonio e la nascita dei fi­gli, è ormai un fatto acquisito. Anche se non abbiamo dati precisi in proposito, ci sembra di poter dire che non sempre la durata di questo periodo di transizione prima di un inse­rimento lavorativo stabile sia dovuta alle difficoltà che i gio­vani incontrano all'ingresso nel mondo del lavoro. La disoc­cupazione giovanile, come risulta da altre parti di questo rapporto, è un fenomeno grave e reale soprattutto nelle re­gioni meridionali. Tuttavia, per molti giovani questa fase in­termedia tra scuola e lavoro è anche una fase esplorativa: molti giovani esitano prima di impegnarsi in un lavoro che rischia di non essere adeguato alle proprie aspirazioni e «si guardano intorno», accumulando esperienze in lavoretti precari, per saggiare sia le proprie preferenze, sia le oppor-

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80 60 40

Occupazione

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Età

11111 Non stud. non lavar. Lj Studiano solo D Studiano e lavorano D Lavorano

FIG. B. la. Occupazione attuale per età (masçhi).

tunità effettivamente offerte loro. TI processo di inserimento nella vita attiva risulta così un processo più o meno lungo, ma comunque graduale, determinato sia da una compo­nente esterna (le difficoltà oggettive derivate dalle condi­zioni dell'offerta di lavoro), sia da una componente interna, soggettiva, che induce cautela prima di afferrare la prima occasione che capita.

Questa «fase intermedia» presuppone tuttavia la pre­senza di un'adeguata struttura di protezione e di sostegno che garantisca la sopravvivenza e il benessere dei giovani prima che questi siano in grado di assicurarsi l'indipen­denza economica. n ruolo della famiglia risulta decisivo per sostenere queste strategie di ingresso dilazionato nel mondo del lavoro.

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Età

• Non stud. non lavo r. D Studiano solo O Studiano e lavorano O Lavorano

FIG. 8.lb. Occupazione attuale per età (femmine).

4. La permanenza nella famiglia dei genitori

n fenomeno della «famiglia lunga»2 sembra una caratte­ristica tipica che distingue società come quella italiana e spagnola dalle altre società europee. L'80o/o dei giovani del nostro campione (tra i 15 e i 29 anni) vive in famiglia. n

fatto che in Italia (fig. 8.2), all'età di 29 anni, quasi la metà dei giovani maschi e più di un quarto delle giovani donne vivano ancora nella stessa abitazione dei genitori è Wl feno­meno che non si riscontra altrove in Europa (se non, ap­punto, ma in misura più ridotta, in Spagna). Non sono po­chi i giovani che, pur avendo finito gli studi ed essendosi in­seriti stabilmente in nn' attività lavorativa, continuano a con­vivere con i genitori. Non esiste, evidentemente, una spinta forte all'emancipazione dalla famiglia d'origine e ciò sia da

2 Cfr. De Sancire [1988].

2 1 1

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% che vive con i genitori

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(. Femmine D Maschi )

FrG. 8.2. Vive con i genitori (età/ sesso).

parte dei giovani, sia da parte dei loro genitori. Questo fe­nomeno è stato interpretato da molti come effetto di un persistente «familismo», di una tradizione culturale di ma­trice cattolica che assegnerebbe alla «famiglia» un prolun­gato ruolo protettivo nei confronti dei figli anche quando questi sono ormai, per molti aspetti, dei giovani-adulti.

È probabile che nella spiegazione di questo fenomeno si debba tener conto anche di questa componente culturale. Tuttavia ci sembra che il fenomeno sia dovuto non tanto alla persistenza di una tradizione culturale, quanto ad una trasformazione radicale in senso «moderno» che la famiglia italiana ha vissuto nel corso degli ultimi decenni e che le ha consentito di adattarsi con relativa facilità alla coabitazione di due generazioni, una di «adulti» e una di «quasi-adulti». I giovani-adulti, infatti, più che emanciparsi dalla famiglia, hanno negoziato all'interno di essa consistenti spazi di li­bertà. Godono spesso, all'interno dell'abitazione, di uno spazio proprio che gestiscono autonomamente sia per

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quanto concerne l'arredamento, sia per quanto concerne le persone che possono, o non possono, accedervi. Escono la sera, come e quando vogliono, senza più restrizioni sull'ora del rientro e non devono dar conto ai genitori delle persone che frequentano. Per valutare il grado di autorità che i geni­tori esercitano sui figli abbiamo un solo indicatore che tut­tavia fornisce dati assai eloquenti. Abbiamo chiesto ai gio­vani intervistati se fosse loro concesso uscire soli la sera e con quale frequenza settimanale. Abbiamo notato, come c'era da aspettarsi, che le restrizioni si applicano prevalente­mente alla fascia dei giovanissimi ( 15-17 anni) e più alle femmine che ai maschi, con modalità diverse, però, a se­conda della classe sociale di appartenenza. I maschi di classe alta subiscono più restrizioni dei maschi di classe bassa e esattamente il contrario succede per le ragazze che sono più «controllate» nelle classi sociali più basse. In ogni caso, le famiglie che pongono restrizioni severe sulle uscite serali dei loro figli e figlie più giovani sono una minoranza (grosso modo una su tre per i ragazzi e una su due per le ra­gazze) e il loro numero di.min.uisce fortemente quando ci si avvicina o si supera la soglia dei vent'anni.

Oltre una certa età, quindi, si stabilisce tra genitori e fi­gli un patto di reciproco rispetto e non interferenza che, pur mantenendo un vincolo di affettività, ne limita gli elementi costrittivi. Inoltre, i giovani che convivono e lavorano con­tribuiscono sempre meno coi loro guadagni al bilancio fa­migliare. Dalle nostre rilevazioni si ricava che, tra coloro che lavorano e vivono in famiglia, la percentuale di giovani che versano tutto quello che guadagnano per contribuire al bilancio famigliare si riduce dal 1983 al 1992 dal 22,9 al 8,8%, mentre coloro che tengono per le proprie spese per­sonali l'intero ammontare del reddito ricavato dal proprio lavoro salgono dal 36,5 al 52%.

I fattori che possono spiegare questo fenomeno della prolungata coabitazione tra genitori e giovani-adulti sono molteplici. Una serie di fattori riguarda la condizione di stu­dente e l'organizzazione degli studi. Da un lato, la carenza di strutture residenziali nelle sedi universitarie contribuisce a scoraggiare il fenomeno degli studenti «fuori sede», vale a

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dire di studenti che lasciano la famiglia per andare a stu­diare in un'altra città. Inoltre, il nostro sistema universitario consente a molti di protrarre a lungo la condizione di stu­dente (il fenomeno dei «fuori corso» non si verifica altrove o, perlomeno, non nella stessa misura).

Altri fattori riguardano il mercato delle abitazioni e de­gli affitti: non è facile per un giovane, soprattutto nelle grandi città, andare a vivere per conto proprio per evidenti ragioni economiche.

Ma vi sono anche altri fattori di ordine culturale: l' espan­sione rapida della scolarizzazione negli anni Sessanta e Set­tanta ha fatto in modo che molti giovani oggi abbiano un li­vello di istruzione superiore a quello dei loro genitori. N el nostro campione, ad esempio, anche tra i giovani laureati solo un 30% ha un padre anch'egli laureato. Questo sempli­ce fatto li mette in una posizione di van!aggio nel negoziare spazi di libertà all'interno della famiglia. E come se l' asimme­tria di autorità e potere tra genitori e figli sia stata pequili­brata, se non addirittura ribaltata, a favore dei figli. E molto difficile per genitori che hanno conseguito appena la licenza elementare imporre vincoli, restrizioni e norme a dei figli che hanno un diploma o una laurea. A ciò si aggiunge, ma solo come ultimo fattore, la «forza» del valore della famiglia nella cultura italiana, forza che si esprime non tanto nella capacità della famiglia di riprodurre rigidamente modelli tradizionali di rapporto tra genitori e figli, quanto nella ca­pacità di trasformarsi, mediante un processo di adattamento flessibile, al mutare delle condizioni esterne.

5. I giovani che vivono da soli e che convivono col partner

In Europa due fenomeni stanno prendendo rapida­mente piede tra i giovani: i giovani, di entrambi i sessi, che vivono da soli e le «coppie di fatto». Nei paesi scandinavi si calcola che più della metà delle coppie che si formano tra i 20 e i 25 anni siano coppie di fatto; lo stesso si verifica, con intensità di poco inferiore, in Gran Bretagna, Germania e Francia. In quest'ultimo paese, il nwnero dei bambini nati

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al di fuori di un vincolo matrimoniale è più che raddoppiato negli ultimi dieci anni, passando dall' 1 1 ,4 al 26,3% di tutti i nati vivi. In Danimarca, la stessa percentuale sfiora il 45%.

In Italia, i dati più recenti sono quelli di un'indagine IsTAT del 1983: i giovani che vivevano soli erano nel 1983 solo 47.000 (il 2% delle famiglie con un solo membro), mentre le coppie non coniugate erano 192.000 (1' 1 ,3% di tutte le coppie in famiglie mononucleari) di cui solo 6.000 erano composte da giovani al di sotto dei 25 anni3• Come vedremo, anche i dati sulle nascite fuori dal matrimonio in­dicano una forte distanza dai modelli nord-europei.

I dati della nostra ricerca confermano che nulla di quanto accade nel resto d'Europa sta accadendo, per quanto riguarda questo aspetto, in Italia. Nel nostro cam­pione abbiamo soltanto 36 singles (22 maschi e 14 fem­mine) , vale a dire 1' 1 ,4% dell'intero campione, e 19 giovani che convivono con il partner (meno dell' l%). Si può pen­sare che le modalità di costruzione del campione (estratto dalle liste elettorali e quindi legato alla residenza anagrafica) producano una sistematica sotto-rappresentazione del feno­meno. Può darsi, cioè, che i singles e le giovani coppie di fatto mantengano la residenza anagrafica ancora presso i ge­nitori e che quindi siano più difficilmente reperibili quando l'intervistatore bussa alla porta. In ogni caso, entrambi i fe­nomeni devono avere proporzioni assai modeste nel nostro paese. Del resto, anche i dati ufficiali indicano un tasso di nati al di fuori del matrimonio che non raggiunge il 6%, il più basso (salvo la Grecia) di tutti i paesi della CEE, anche se si è quasi triplicato nell'arco degli ultimi quindici anni.

Tuttavia, alla domanda se siano o meno favorevoli alla convivenza con un partner dell'altro sesso al di fuori del vincolo matrimoniale, solo una minoranza (28% dei maschi e 38% delle femmine) risponde negativamente e questo dato indica che, almeno tra i giovani, le barriere culturali alla convivenza extra o pre-matrimoniale stanno notevol-

3 Cfr. lSTAT [1985] e lSTAT [1988, 153].

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mente abbassandosi. Forse, tra qualche anno, il «modello europeo» si diffonderà anche in Italia.

6. Il di/azionamento del matrimonio

Da quanto detto risulta che per la grande maggioranza dei giovani italiani «andare a vivere fuori casa» vuoi dire sposarsi. Ciò non significa però che la connessione stretta tra indipendenza abitativa e matrimonio induca a sposarsi precocemente. Al contrario, come risulta anche dai dati de­mografici sull'età dei coniugi al matrimonio, la tendenza at­tuale è a sposarsi sempre più tardi. Anche i nostri dati mo­strano inequivocabilmente la stessa tendenza: mentre nel 1983 avevamo ancora un 8,8% del campione (tra i 15 e i 24 anni) che si era già sposato, nel 1992 questa quota si riduce al 5,6%. Parallelamente, mentre allora il 35,6% degli inter­vistati escludeva di sposarsi nei cinque anni successivi, que­sta quota sale al 42,6% nella rilevazione più recente (tab. 8.3 ) .

Non c'è dubbio quindi che anche per quanto riguarda il matrimonio siamo di fronte ad un fenomeno di «rinvio». N o n si tratta infatti di una minore propensione alla «nuzia­lità»; la grandissima maggioranza dei giovani intervistati aspira al matrimonio e intende, prima o poi, sposarsi, senza fretta, però. Le donne, è vero, si sposano sempre in media da due a tre anni prima dei maschi, ma anche per loro la «fretta di sposarsi» sembra notevolmente diminuita.

7. La maternità e paternità ritardate

In Italia, come abbiamo visto, il numero di bambini nati al di fuori del matrimonio, quindi da genitori non sposati, è molto basso. Mentre altrove in Europa la nascita dei figli è spesso un fattore che induce al matrimonio le coppie di fatto, in Italia è invece una conseguenza del matrimonio. Molti ritengono addirittura che la rapida caduta dei tassi di

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TAB. 8.3. Previsione di sposarsi nelle tre rilevazioni, classi di età 15-24 anni (%)

Sono già sposati Sl, certamente Credo di sl Credo di no No, è escluso Non so prevedere

1983

8,4 10,9 28,7 20,4 15,2 16,5

100,0

1987

7,3 9,3

25,5 19,3 20,4 18,3

100,0

1992

5,4 10,1 23,6 21 ,5 21,1 18,3

100,0

natalità della popolazione italiana (che, come è noto, sono attualmente i più bassi del mondo) sia dovuta, almeno in gran parte, all'assenza delle coppie di fatto e della loro prole . I nostri dati non fanno che confermare queste ten­denze: mentre nel 1983 avevamo pur sempre un 5 ,1% di in­tervistati (tra i 15 e i 24 anni) che avevano già dei figli, nel­l'ultima rilevazione ne abbiamo soltanto un modesto 2,4%. Per contro, mentre allora il 33,4% prevedeva di avere figli nei cinque anni successivi, questa quota si riduce ora al 26,5%, e sale invece (dal 41,8 al 49,7%) la quota di coloro che escludono la paternità/maternità nello stesso arco di tempo. In meno di dieci anni, un tempo in realtà assai breve, i comportamenti demografici della popolazio�e gio­vanile si sono modificati in modo molto evidente. E vero che i giovani sono destinati a diminuire di numero per ef­fetto del calo demografico, in compenso, però, essi mo­strano la inequivocabile tendenza a rimanere giovani molto più a lungo.

8. La «moratoria prolungata»

Abbiamo chiesto ai nostri intervistati se nei prossmu cinque anni prevedessero di finire gli studi, di trovare un la­voro, di andare a vivere per conto proprio, di sposarsi e di avere dei figli. Per alcuni, pochi per la verità, queste «SO­glie», tutte o soltanto alcune, sono già state varcate, altri

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prevedono di varcarle senza esitazioni, oppure con qualche incertezza, altri, ancora, rispondono «non so», «forse no», oppure escludono nei cinque anni a venire di fare qualche passo decisivo verso l'età adulta. Quest'ultima categoria mostra evidentemente incertezza, oppure staziona in quella fase di moratoria prolungata che per molti è oggi la gio­ventù. Per i giovani e le giovani che mostrano incertezza, il futuro appare ancora opaco o aperto, non risulta loro possi­bile fondare dei progetti di vita su delle previsioni attendi­bili. Sommando tutti i «non so», i «forse no» e i «no di certo» alle cinque domande, abbiamo costruito un indice che misura il grado di esitazione di fronte alle scelte che se­gnano il passaggio alla vita adulta e che potremmo appunto chiamare «indice di moratoria». I punteggi più alti su que­sto indice sono evidentemente appannaggio dei più giovani ( 15-17 anni), ma troviamo pur sempre, anche nella fascia d'età più elevata (25-29 anni), una quota non indifferente (intorno al 20%) di maschi e femmine che vedono ancora lontana la meta di diventare adulti (tab. 8.4). Come c'era da aspettarsi, coloro che indugiano di più sulla soglia dell'età adulta sono studenti chè provengono prevalentemente da famiglie di ceto elevato e da genitori con un alto livello di istruzione, ma non mancano neppure (sebbene in propor­zione più modesta) i figli di operai e i giovani che hanno già un lavoro fisso a tempo pieno. La «moratoria» è quindi chiaramente una sindrome di giovani che possono permet­tersi di aspettare, prolungando gli studi e restando in fami­glia, ma diventa anche un tratto culturale di una genera­zione, una componente di uno stile di vita che si estende e generalizza anche a frange consistenti di giovani uomini e donne di strati sociali medio bassi e bassi per i quali la «pressione a crescere» da parte delle famiglie e del contesto dovrebbe comunque essere più forte.

Se prendiamo in considerazione soltanto le fasce d'età superiori del nostro campione (i giovani tra i 22 e i 29 anni) vediamo che tra di essi coloro che esitano di fronte alle scelte di diventare adulti sono altrettanto numerosi tra le classi basse e le classi alte, anche se il «dilazionamento» delle scelte assume nei due casi significati diversi, poiché

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per i primi denota difficoltà di inserimento nel mondo del lavoro e quindi nella vita adulta, mentre per i secondi indica la presenza del privilegio di poter attendere. N el primo caso è un dilazionamento «subito», nel secondo un dilaziona­mento «voluto».

Eppure, nonostante i diversi significati che può assu­mere una strategia dilatoria, sembra quasi che tra fasce con­sistenti di giovani si stia diffondendo l'idea che esista una sorta di «diritto» a non assumersi precocemente delle re­sponsabilità di adulto, come se la vita adulta risultasse loro poco attraente e, soprattutto, gravata da vincoli, doveri e oneri che ne soffocano le potenzialità creative ed espressive.

9. Una tipologia di orientamenti temporali

Abbiamo proseguito l'analisi, seguendo il percorso già sperimentato nella ricerca del 1987 4, esplorando una di­mensione di personalità che abbiamo chiamato col termine di «autodeterminazione/fatalismo». Questa dimensione co­glie il grado di apertura/chiusura, di ottimismo/pessimismo verso il proprio futuro personale, la presenza o l'assenza di un atteggiamento progettuale, la fiducia o sfiducia nelle proprie capacità di affrontare le sfide dell'esistenza, il senti­mento che l'esistenza stessa è affidata alle forze cieche del caso, oppure governabile dalla volontà. Autodetermina­zione e fatalismo risultano cosi essere due polarità contrap­poste e la collocazione nella prossimità dell'una o dell'altra non dipende né dal genere né dall'età, non ha cioè a che fare con le dinamiche dei processi evolutivi, ma dipende in misura significativa dall'entità del «capitale culturale», in­teso come l'insieme degli strumenti che consentono un go­verno intenzionale della propria esistenza. I «fatalisti», in al­tre parole, tendono a provenire da famiglie con basso livello culturale, mentre il contrario accade per gli «autodetermi­nati» e, inoltre, anche a parità di livello culturale della fami-

4 Cfr. Cavalli e de Lillo [1988, 65-70].

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glia, coloro che studiano sono sensibilmente meno «fatali­sti» di coloro che lavorano e, soprattutto, di coloro che non studiano e non lavorano perché sono disoccupati, inoccu­pati o comunque in condizione non professionale. Ancora, la quota dei giovani che tendono al fatalismo risulta sensi­bilmente superiore nelle regioni meridionali e nelle Isole, dove coloro che non studiano e non lavorano sono più nu­merosi.

Tutto questo era già emerso chiaramente nella ricerca del 1987 e i dati del 1992 non fanno che confermare larga­mente il quadro che era stato allora delineato. Bisogna rile­vare, però, che nell'intervallo tra le due rilevazioni, proba­bilmente per effetto di un sia pur lieve incremento del li­vello medio di istruzione, la quota dei «fatalisti» e dei «quasi fatalisti» si è ridotta (passando per i fatalisti dal 9,4 al 6,6% e per i quasi fatalisti dal 22,8 al 20,2%). Un dato que­sto che può essere di buon auspicio.

La dimensione autodirezione/fatalismo può servire per approfondire il significato del rinvio delle scelte che ab­biamo appena analizzato. Un conto è infatti rinviare le scelte perché si vuole costruire consapevolmente un proprio percorso in un mondo pieno di incertezze, perché si vuole mantenere un orizzonte progettuale aperto nel quale saper cogliere le opportunità al momento giusto e un conto è rin­viare le scelte perché non si riesce ad intravedere come la propria azione possa comunque contribuire a plasmare il proprio futuro. Incrociando l'indice di «moratoria» con l'indice di «autodeterminazione/fatalismo» si nota infatti che le due dimensioni sottostanti non sono fra loro con­nesse (le due variabili sono indipendenti) e quindi la loro combinazione può dare luogo alla costruzione di una tipo­logia dalla quale trarre ulteriori motivi di riflessione.

Dicotomizzando opportunamente le variabili e incro­ciandole tra loro abbiamo quindi ottenuto la seguente tipo­logia di orientamenti temporali5: a) gli autostrutturatl (co-

5 Abbiamo ricostruito in questa sede, sulla base di dati quantitativi, la tipologia elaborata in una precedente ricerca qualitativa. Cfr. Cavalli [1985].

221

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TAB. 8.5. T ipologia di orientamenti temporali per classi di età (%)

Età 15-17 18-20 21-24 25-29

Autostrutturati 18,4 26,4 43,0 54,5 Eterostrutturati 8,4 13,3 20,2 24,4 Auto-destrutturati 53,1 44,9 23,7 13,2 Etero-destrutturati 20,1 15,3 13,0 7,9

100,0 100,0 100,0 100,0

loro che sono ben consapevoli della propria capacità di go­vernare il proprio destino e non rinviano le scelte decisive verso la condizione adulta); b) gli eterostrutturati (non hanno fiducia nella possibilità di influire sul proprio futuro, ma non si tirano indietro di fronte alla necessità di affron­tare il passaggio all'età adulta); c) gli auto-destrutturati (rin­viano le scelte, ma mantengono fiducia nelle proprie capa­cità di costruire un proprio percorso di vita); e, infine, d) gli etero-destrutturati (non fanno, o non prevedono di fare, delle scelte, intanto non credono comunque che queste pos­sano in qualche modo opporsi al peso soverchiante delle sì­tuazioni che sfuggono alla volontà individuale).

Un risultato emerge subito con chiarezza: i vari tipi sono fortemente legati all'età (tab. 8.5). Autostrutturati e etero­strutturati, che sono una minoranza tra i giovanissimi (il 26,8% dei 15- 18enni), sono la grande maggioranza dei gio­vani nella fascia d'età più elevata (il 78,9% dei 25-29enni). Per converso, auto-destrutturati ed etero-destrutturati sono una maggioranza tra i giovanissimi (il 73,2%) e una mino­ranza tra i più adulti (il 21 , 1%). La sindrome della «morato­ria», ovvero del dilazionamento delle scelte, è quindi una fase che moltissimi giovani attraversano e che è destinata a finire, anche se, tra i 29enni, troviamo ancora un 17% (più di uno su sei) per il quale non è ancora finita. Non si tratta quindi di una tipologia che individua dei «tipi di persona­lità», ma bensi dei «tipi di fasi» attraverso le quali passano i giovani nel percorso verso la vita adulta.

Significativo è il legame con il livello culturale della fa­miglia (tab. 8.6): ai livelli bassi prevalgono i primi due tipi

222

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TAB. 8.6. Tipologia di orientamenti temporali per livello socio-culturale della fami­glia (%)

Basso Medio-basso Medio-alto Alto

Autostrutturati 40,9 36,2 39,2 35,6 Eterostrutturati 23,0 18,4 12,8 10,4 Auto-destrutturati 21,8 32,2 36,1 41,9 Etero-destrutturati 14,3 13,3 1 1 ,9 12,1

100,0 100,0 100,0 100,0

(autostrutturati ed eterostrutturati), mentre ai livelli più alti il tipo «modale» è quello del giovane auto-destrutturato, che rinvia le scelte ma è ben consapevole di mantenere in mano le redini del proprio futuro. In particolare, passando dal livello più basso a quello più alto, si dimezza la quota di eterostrutturati, mentre si raddoppia la quota di auto-de­strutturati. Anche tra i figli e le figlie delle famiglie cultural­mente più deprivate, tuttavia, rimane consistente (il 21 ,8%) la quota di giovani che rinviano le scelte pur guardando con fiducia alla costruzione del proprio futuro, a conferma del fatto che la «moratoria» non è esclusivamente un privilegio dei ceti più elevati.

n tipo degli etero-destrutturati, che non fanno scelte e guardano con sfiducia al proprio futuro, e nel quale si anni­dano probabilmente i giovani che vivono con maggior disa­gio la loro condizione, è solo leggermente più presente tra i ceti meno privilegiati. Anche un numero consistente di gio­vani di estrazione alta e medio-alta (il 12%) appartiene a questo tipo. Non necessariamente, tuttavia, i giovani di que­sto tipo devono essere considerati «a rischio»; essi hanno avuto, è vero, un iter scolastico più accidentato (hanno do­vuto più di altri interrompere un ciclo di studi), ma non mo­strano, ad esempio, una più accentuata tendenza all'uso di sostanze stupefacenti.

I giovani che hanno un lavoro, purché non sia un lavoro precario, sono fortemente sovrarappresentati nel gruppo degli autostrutturati, così come gli studenti lo sono nel gruppo degli auto-destrutturati, mentre chi non studia o

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non lavora, perché disoccupato o inoccupato, tende più de­gli altri verso i tipi di chi guarda al proprio futuro senza la sper�nza di poterlo in qualche modo governare.

E interessante notare, inoltre, che i due tipi (autostruttu­rati e auto-destrutturati) che presentano, sia pure con mo­dalità diverse, un orientamento attivo e progettuale nei con­fronti della costruzione del proprio futuro tendono ad es­sere presenti con frequenza maggiore nelle regioni del Nord e del Centro, quasi che in questi tipi si manifestino delle componenti culturali che si esprimono plasmando tratti della personalità di base. n nesso, tuttavia, non è statistica­mente cosi forte da consentire se non caute generalizza­zioni.

I tipi individuati, come si è visto già in altri capitoli, for­niscono indicazioni utili per cogliere altri aspetti della con­dizione giovanile. Nell'ambito dei comportamenti di con­sumo, ad esempio, il giovane auto-destrutturato, che com­bina «moratoria» e ottimismo volontaristico, tende più de­gli altri tipi verso consumi «ricchi» che uniscono diverti­mento e accesso alla cultura, mentre il tipo che si colloca al polo opposto (l'eterostrutturato) presenta un mix di con­sumi «poveri» sia sul versante della cultura che delle attività propriamente ludico-giovanili. Tendenze nella stessa dire­zione si rilevano per quanto riguarda l'associazionismo e il grado di partecipazione sociale e politica. Anche rispetto a queste variabili i due tipi polari appaiono gli auto-destruttu­rati, molto attivi nelle associazioni e con tassi alti di parteci­pazione, e gli eterostrutturati, che mostrano invece livelli di attività e partecipazione consistentemente più bassi e ciò è vero soprattutto per le fasce centrali d'età del nostro cam­pione ( 18-24 anni) dove evidentemente la divaricazione tra giovani che ancora studiano e giovani invece che o lavorano, oppure stazionano nell'area grigia della disoccupazione e del lavoro precario, si fa più marcata.

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10. Alcune implicazioni sulle politiche per i giovani

È vero che i giovani sono destinati a diminuire di nu­mero per effetto del calo demografico; in compenso, però, essi mostrano la inequivocabile tendenza a rimanere giovani molto più a lungo. Non si tratta, lo abbiamo visto, di un fe­nomeno solo italiano, ma in Italia assume una dimensione e una forma particolare che suggerisce di considerarne atten­tamente le implicazioni sia sul piano dei rapporti tra le ge­nerazioni che sul piano delle politiche sociali in ambito de­mografico, educativo e lavorativo.

I giovani del campione IARD sono nati tra il 1962 e il 197 6 e quindi risentono già del calo demografico iniziato verso la metà degli anni Sessanta. Infatti, nella classe di età 25-29 anni abbiamo ancora soltanto il 9% di figli unici e il 32% con un fratello o una sorella, mentre queste percen­tuali salgono per la classe di età 15- 18 anni al 13,5% e al 47,3%. n 60% dei più giovani vive quindi già in famiglie as­sai piccole che saranno il modello dominante dei prossimi decenni. n prolungamento della fase giovanile è senza dub­bio una delle tante cause del calo demografico: i genitori sono più restii a mettere al mondo un numero elevato di fi­gli di fronte alla prospettiva di doverli mantenere media­mente per il primo quarto di secolo della loro vita. I gio­vani-adulti che entrano ora nella fase procreativa e che sono stati oggetto di un prolungato investimento affettivo ed eco­nomico da parte dei loro genitori mostrano qualche esita­zione di fronte alla maternità/paternità. Se le due tendenze, al calo demografico e al prolungamento della fase giovanile, dovessero continuare con il ritmo degli ultimi dieci anni, produrrebbero con ogni probabilità conseguenze social­mente non desiderabili: una folla, neppure troppo nume­rosa, di 20-30enni di fronte alle porte della società adulta, molti dei quali vorrebbero entrare e non riescono e, molti altri, invece, che indugiano perché non sono convinti di vo­ler entrare.

Di fronte a questa situazione è chiaro che bisogna pen­sare a «politiche per i giovani» (in campo demografico, edu­cativo, abitativo, lavorativo, ecc.), volte se non altro a rallen-

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tare il ritmo del fenomeno. Finora in Italia le politiche per i giovani hanno riguardato da un lato l'occupazione e dall'al­tro il tempo libero, nonché la prevenzione delle patologie sociali legate al consumo di droga. Non è questa la sede per valutare l'efficacia, purtroppo assai modesta, come risulta dalla �ituazione della disoccupazione giovanile, di tali politi­che. E chiaro, tuttavia, che esse non bastano. Sarebbe utile, ad esempio, riflettere anche sull'opportunità di impostare una politica delle abitazioni, come è stato fatto in altri paesi, che favorisca i giovani che vogliono andare a vivere per conto proprio. n campo privilegiato delle politiche per i giovani resta però quello educativo.

Non si tratta certo di frenare l'espansione della scola­rizzazione; il nostro paese, lo abbiamo visto, è ancora da questo punto di vista in condizioni arretrate. Al contrario, vista l'alta selettività «sociale» più che «meritocratica» del nostro sistema scolastico, deve essere ripensata la politica del diritto allo studio nel quadro di una più equa distri­buzione del costo dell'istruzione. Oggi, la dispersione sco­lastica è ancora molto elevata, ma, soprattutto, si può nu­trire il dubbio che coloro che arrivano all'istruzione supe­riore e alla laurea siano effettivamente i più meritevoli. Tut­tavia, ciò che ci sembra patologico è il fatto che molti ra­gazzi e ragazze «perdano tempo» (a causa di bocciature, cambi di scuola e di indirizzo) per effetto di scelte scola­stiche sbagliate perché troppo precoci. Imporre scelte de­cisive, quali quelle dell'indirizzo della scuola superiore, al­l'età di 14/15 anni (come, a mio avviso, purtroppo, mantiene anche la proposta di riforma della Commissione Brocca), vuoi dire indurre una parte considerevole di giovanissimi a compiere delle scelte di cui in seguito si pentiranno (con prolungamento abnorme dei loro percorsi scolastici) . La misura più corretta sarebbe l'elevamento dell'obbligo sco­lastico a 16 anni come prolungamento, e quindi ripensa­mento, della scuola media inferiore. Di fronte alle scelte scolastiche e lavorative sarebbe necessario, inoltre, istituire, dove non ci sono, e potenziare e migliorare, dove ci sono, i servizi di orientamento. Orientare i giovani, oggi, è og­gettivamente un compito difficile, ma senza dubbio si può

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fare qualcosa di più e di meglio di quanto non si faccia attualmente.

A livello universitario bisogna intervenire per ridurre la quota abnorme di studenti fuori-corso, introducendo, da un lato, qualche forma di obbligo di frequenza e creando, dal­l' altro, istituzioni apposite di educazione a distanza per co­loro che non possono frequentare perché lavorano. Cosi come funziona attualmente, il nostro sistema universitario favorisce percorsi lunghi, non perché ciò sia richiesto dai processi di formazione, ma perché induce molti studenti a «perdere tempo per strada».

Queste e altre «politiche per i giovani» richiederebbero di essere argomentate molto più approfonditamente. Ma qui le abbiamo soltanto volute citare come esempio di «cose» che si possono fare per contrastare gli aspetti «pato­logici» di una tendenza, il prolungamento della gioventù, che per altri versi è invece non solo inarrestabile, ma un se­gnale di modernità.

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CAPITOLO NONO

CONCLUSIONI

l . Premessa

Richiamiamo, soprattutto a beneficio del lettore fretto­loso che non ha avuto modo di soffermarsi sulle considera­zioni svolte nei capitoli precedenti, alcuni dei risultati più significativi dell'indagine. Essi ci permetteranno, di volta in volta e in conclusione, di avanzare alcune considerazioni in tema di politiche giovanili.

2. La scuola

I processi di aumento dei tassi di scolarizzazione e di prolungamento dei percorsi di studio, in atto da almeno un trentennio, proseguono ormai a ritmi rallentati, e sono an­cora lontani dall'aver raggiunto i livelli dei paesi europei più avanzati. In Italia, a differenza di altri paesi europei, è stata invece raggiunta una pressoché completa parificazione dei tassi di scolarizzazione maschili e femminili con evidenti im­plicazioni sui comportamenti demografici e sull'offerta di lavoro. L'obiettivo politico, invece, di assicurare a tutti i giovani almeno dieci anni di scolarizzazione è ancora da raggiungere e fa apparire come patologici (anche se in ridu­zione) i tassi di abbandono e dispersione durante la scuola dell'obbligo che restano ancora elevati in alcune regioni e aree del paese (ogni anno, ad esempio, in Campania ven­gono bocciati all'esame di licenzia media all'incirca 5.000 ragazzi e ragazze - il 5% degli esaminati - che sono cosi destinati ad ingrossare i ranghi del lavoro nero e, spesso, delle attività illecite).

La selezione e il rendimento scolastico restano forte­mente correlati all'origine sociale e al livello culturale della

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famiglia; ciò è vero su tutto il territorio nazionale, ma lo è molto di più nelle regiorù meridionali che non nel resto del paese, a indicare che la scuola, se non può fare molto, può però fare qualcosa per compensare lo «svantaggio cultu­rale» derivante dal fatto di nascere in un ambiente social­mente e culturalmente deprivato.

In generale, tuttavia, anche per coloro che non incon­trano particolari difficoltà, l'esperienza scolastica è spesso contrassegnata da segnali negativi: cresce, ad esempio, ri­spetto alle precedenti rilevaziorù, la percentuale di giovani che segnalano l'incompetenza e l'impreparazione professio­nale dei docenti, come pure il numero di coloro che lamen­tano incomprensione delle loro esigenze e dei loro punti di vista da parte degli insegnanti, mentre diminuisce la quota di giovani che assegnano allo studio e alla cultura un posto rilevante nella propria scala di valori. La scuola fallisce spesso nel veicolare curiosità culturali e nello stimolare mo­tivaziorù positive verso l'apprendimento e molti giovarù si chiedono a cosa serva restare per tanto tempo sui banchi di scuola se questo, oltre tutto, non garantisce più automatica­mente in prospettiva un inserimento privilegiato nel mondo del lavoro e delle professiorù. La scuola, in altri termini, non sembra essersi ancora adeguata nelle sue pratiche educative, nelle sue metodologie didattiche e nel suo impianto cultu­rale alla nuova utenza prodotta dal processo di scolarizza­zione di massa.

Le implicaziorù di questo stato di cose sugli obiettivi della politica scolastica sono evidenti e richiedono, tanto per richiamarne alcurù, senza pretesa di esaustività: a) inter­venti selettivi per migliorare la qualità dell'istruzione nelle aree di più forte disagio sociale (ad esempio, le periferie de­gradate delle aree metropolitane meridionali); h) creazione delle strutture per la formazione professionale, iniziale e in servizio, degli insegnanti; c) revisione profonda dell'im­pianto culturale della scuola secondaria e della formazione professionale per un migliore raccordo tra formazione e la­voro; d) metodologie e strutture di orientamento in grado di sostenere i giovani nelle loro scelte scolastiche e lavorative.

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3. l/ lavoro

Con il protrarsi della fase giovanile, ma anche, soprat­tutto, con la crescente divaricazione tra formazione e la­voro, caratteristica, questa, del nostro sistema educativo, il lavoro tende a perdere centralità nell'universo esperienziale dei giovani e in particolare dei giovani più scolarizzati. Tra i 15 e i 20 anni, per coloro che studiano, la prospettiva di as­sumere una posizione lavorativa stabile appare ancora lon­tana. Dopo i 20 anni, ma soprattutto dopo i 25, quando le scelte lavorative si fanno più ravvicinate anche per chi ha fruito di una scolarità lunga, molti giovani mettono in atto strategie esplorative delle opportunità che sono loro offerte: l'inserimento lavorativo avviene a tappe, difficilmente il primo lavoro è oggetto di una scelta definitiva e il lavoro oc­casionale, precario e marginale, offre appunto opportunità di esplorazione del mercato e di verifica delle preferenze e delle propensioni individuali. L'aspirazione è di trovare col tempo un lavoro che consenta una crescita professionale e apra prospettive di autorealizzazione personale. Le occa­sioni di mobilità sono quindi utilizzate per favorire un inse­rimento flessibile nel mondo del lavoro, attraverso percorsi individualizzati e spesso non lineari in cui ogni tappa è valu­tata in base al criterio della prova o errore.

Solo i giovani dei ceti più bassi, con percorsi scolastici più brevi, si affacciano precocemente al mondo del lavoro e ai loro occhi il lavoro si presenta per lo più strumental­mente, come l'unico modo per guadagnarsi da vivere e assi­curarsi un futuro. Retribuzione adeguata e sicurezza del po­sto sono ancora per loro le caratteristiche principali di un buon lavoro, proprio perché non sono mete garantite dalla posizione di partenza offerta dalla famiglia.

I giovani di origine sociale modesta e di bassa scolarità, soprattutto se femmine e abitanti nelle regioni meridionali, erano anche coloro che, al momento della rilevazione (pri­mavera 1992), rischiavano lunghi periodi di disoccupazione e di occupazione precaria. La disoccupazione giovanile era infatti un fenomeno prevalentemente femminile e meridio­nale. In seguito la situazione dell'occupazione si è aggra-

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vata, investendo anche zone del paese che, allora, godevano di condizioni di quasi piena occupazione. Ci si può aspet­tare quindi che, nella fase attuale, il lavoro, per la sua scar­sità relativa, riacquisti centralità in virtù del suo valore stru­mentale e che le aspirazioni all' autorealizzazione vengano, almeno congiunturalmente, ridimensionate.

4. I valori

Per quanto riguarda gli orientamenti di valore dei gio­vani, nonostante alcune significative variazioni, il primo dato da sottolineare è la loro sostanziale stabilità nell'arco del decennio trascorso. Gli orientamenti valoriali di fondo non sono banderuole la cui distribuzione muta al variare dei venti delle mode culturali. I gusti e gli atteggiamenti mutano più rapidamente dei valori di fondo. n fatto, ad esempio, che i valori della famiglia restino saldamente al vertice della scala dei valori e che gli affetti e l'amicizia rafforzino la loro posizione di rilievo non è da interpretarsi in termini di per­sistenza di un familismo tradizionale, ma piuttosto nel senso che le aspirazioni e i desideri più forti dei giovani (ma, in realtà, di tutti) si indirizzano verso la sfera privata dei rap­porti interpersonali di intimità e di vicinanza, ma questi a loro volta si combinano, per una quota minoritaria ma con­sistente, con l'impegno religioso o sociale nella sfera pub­blica. Certo, cresce la quota di giovani che pensano soprat­tutto a divertirsi nel tempo libero e che magari mettono lo studio e il lavoro in secondo piano, ma non per questo si deve parlare, come fanno alcuni critici di costume, di un'onda montante di edonismo giovanile.

Come risulta dall'analisi condotta, se la gerarchia dei va­lori resta piuttosto stabile nella popolazione giovanile presa nel suo insieme, al suo interno convivono gerarchie diverse che vanno da coloro che pongono al vertice i valori dell'im­pegno sociale a coloro che valorizzano esclusivamente la sfera privata, da coloro che cercano un equilibrio tra impe­gno pubblico e privato a coloro che, invece, rifuggono sia dall'evasione nel privato, sia dall'impegno nel pubblico. n

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grado di istruzione, sia proprio che della famiglia, è il fat­tore che spiega maggiormente un orientamento di valore at­tivo e impegnato e ciò, nonostante i limiti dell'esperienza scolastica che abbiamo segnalato, conferma il ruolo decisivo dell'accesso alla cultura nel promuovere modi di vita lon­tani dall'apatia e dal disimpegno.

5. L'impegno sociale e politico

L'accusa di inerzia e di apatia che, di fronte alle con­vulse trasformazioni che il paese sta vivendo in questi mesi, è stata rivolta ai giovani, non sembra proprio trovare con­ferma nei dati della nostra ricerca. I giovani di oggi possono sembrare apatici e inerti solo a chi nutre nostalgie delle grandi mobilitazioni studentesche di un quarto di secolo ad­dietro, senza rendersi conto che allora, ancor più di oggi, la grande maggioranza dei giovani era stata coinvolta solo as­sai marginalmente nell'onda dei movimenti.

Certamente, oggi i giovani non sono protagonisti di mo­vimenti che pongano al centro delle loro lotte il conflitto ge­nerazionale. Inoltre, l'impegno dei giovani d'oggi è tutt'al­tro che spettacolare, non si esterna nelle grandi manifesta­zioni di piazza, nel confronto aspro con gli awersari e le isti­tuzioni, è molto sospettoso delle grandi ideologie che pre­tendono di spiegare il mondo e rifugge dalle grandi utopie che annunciano la rivoluzione finale e l' awento del regno della libertà. I giovani possono quindi apparire silenziosi, ri­piegati sul privato, oppure impegnati nelle piccole cose, ca­paci magari di mobilitarsi su qualche singola questione, ma in modo erratico e discontinuo.

I nostri dati forniscono un quadro diverso. L'impegno pubblico cresce costantemente in una miriade di forme di associazionismo e di volontariato e, negli ultimi cinque anni, si nota anche una ripresa dell'impegno politico che si ri­volge soprattutto alle nuove formazioni politiche (Verdi, Leghe e Rete) . L'impegno · sociale e politico si incanala quindi su binari diversi da quelli tradizionali. In particolare, per quanto riguarda la sfera più strettamente politica, la di-

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mensione tradizionale destra-sinistra sembra aver perso al­meno in parte la sua capacità di descrivere e spiegare i com­portamenti. Altre dimensioni si aggiungono, si combinano e si intrecciano, ma non si sovrappongono, con la dimensione destra-sinistra: vi è la polarità religione-secolarizzazione, la polarità fiducia-sfiducia negli apparati dello stato, del go­verno e dei partiti, la polarità intransigenza-lassismo sul piano dell'etica pubblica. I giovani non sono quindi estranei o assenti dai rivolgimenti e dai rimescolamenti che sta attra­versando attualmente il sistema politico italiano. Ciò non vuoi dire che non siano riscontrabili sindromi di apatia, di disinteresse e di indifferenza (soprattutto, come al solito, tra coloro che sono più sprovvisti di risorse sociali e culturali), ma queste non sono certo le caratteristiche salienti delle nuove generazioni.

6. Le regole e la trasgressione

Che la gioventù sia una fase della vita in cui le potenzia­lità trasgressive sono più accentuate è un dato ormai asso­dato e socialmente accettato. n fatto di non essere ancora del tutto membri a pieno titolo della società allenta per i giovani sia i freni del controllo sociale, sia l'efficacia dei meccanismi interni di inibizione alla trasgressione; le norme sociali non sono sempre ben chiare agli occhi dei giovani e il loro grado di interiorizzazione è ancora talvolta parziale.

Rispetto alle precedenti rilevazioni vi sono tuttavia ten­denze che, anche se difficilmente interpretabili, meritano di essere segnalate. N eli' area dell'etica pubblica legata ai rap­porti economici si nota tra i giovani una duplice «debo­lezza»: sono deboli sia le norme del mercato, sia le norme concernenti la «cosa pubblica». Cresce, infatti, la propen­sione a viaggiare «gratis» sui trasporti pubblici (il 62%) e ad assentarsi senza motivo dal luogo di lavoro (il 56%), mentre si riduce (restando peraltro a livelli elevati, più di un terzo degli intervistati) la tendenza all'evasione fiscale; molto mi­nore e in leggero calo il furto nei negozi.

Nella sfera dei rapporti sessuali prosegue la tendenza

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alla liberalizzazione: non vige praticamente più il divieto di rapporti prematrimoniali e vi è inoltre larga accettazione della convivenza extra matrimoniale. Tendono a ridursi, in­vece, i comportamenti a rischio di Ams (omosessualità e droga pesante).

N el campo della droga si accentua la differenziazione dei comportamenti tra droghe leggere (la cui assunzione è considerata sia più ammissibile che probabile) e droghe pe­santi (rispetto alle quali sono più efficaci sia le sanzioni so­ciali sia i meccanismi di auto-controllo) . Più esposti ai con­tatti col mondo della droga sono i maschi, giovanissimi, abi­tanti in grandi città e appartenenti ai ceti superiori, mentre la propensione a fare uso di droghe coinvolge, oltre ai ceti superiori, anche giovani di classe operaia.

7. Il prolungamento della fase giovanile

Tutte le soglie di accesso alla vita adulta tendono ad es­sere varcate mediamente ad un'età più avanzata di quanto non succedesse soltanto un decennio fa. I percorsi scolastici sono più lunghi, l'ingresso in una posizione stabile nel mondo del lavoro avviene sempre più tardi, la coabitazione coi genitori si protrae per molti anche fin dopo i trent'anni, il matrimonio avviene in ritardo rispetto alle generazioni precedenti e, soprattutto, la nascita dei figli, che per la mag­gior parte degli individui segna il passaggio definitivo alla vita adulta, viene spostata sempre più avanti.

n fenomeno, lo abbiamo visto, si riscontra un po' ovun­que nelle società cosiddette avanzate ed è senza dubbio le­gato alle grandi trasformazioni che queste società hanno sperimentato nell'ultimo secolo: il prolungamento consi­stente della vita media, l'innalzamento del livello medio di istruzione, la crescente aspirazione delle donne all'auto-rea­lizzazione al di fuori della sfera domestica e l'aspirazione di tutti a «scegliere» il proprio futuro senza accettare passiva­mente i destini un tempo sociahnente prescritti. Tutti questi fenomeni, ed altri ancora che operano nella stessa direzione, sono inequivocabilmente segnali di modernità e sono pro-

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dotti da processi largamente irreversibili. È evidente che la fase giovanile si allunga se le aspettative di vita sfiorano or­mai gli ottant'anni, è evidente che le società moderne richie­dano sempre meno braccia muscolose e sempre di più menti addestrate a compiere operazioni complesse, è evi­dente che le donne non si rassegnino più ad un'esistenza confinata nella cura dei figli e nelle funzioni della riprodu­zione, è evidente che i giovani esplorino a lungo il campo delle scelte di fronte alla molteplicità, reale o fittizia, delle opportunità loro offerte. Tutti questi fenomeni concorrono a prolungare la giovinezza e sono intrinseci alla natura stessa delle società tardo-industriali.

Eppure, in Italia, il fenomeno del prolungamento della giovinezza è più accentuato che altrove. Non c'è società in Europa dove i giovani abbandonano cosi tardi la casa ma­terna-paterna, cosi come non c'è società in Europa che ab­bia sperimentato un calo cosi repentino e cosi intenso della natalità.

Ci si può chiedere se questa giovinezza «che non finisce mai» non nasconda anche dei risvolti socialmente negativi, se non significhi scarsa propensione all'autonomia, predile­zione per una vita protetta, incapacità di assumersi in pro­prio e in toto responsabilità per la propria esistenza e per quella di altri. n fenomeno del calo della natalità è a questo proposito molto significativo. A non fare figli sono proprio i giovani e soprattutto quei giovani che hanno vissuto i primi trent'anni della propria esistenza sulle spalle dei loro geni­tori. Si possono capire le loro esitazioni a passare repentina­mente da una situazione di (relativa) de-responsabilizza­zione ad una situazione nella quale ci si aspetta da loro di fare almeno quello che per loro hanno fatto i loro genitori. La maternità e la paternità, soprattutto ora che dipendono da una scelta· consapevole, segnano da un lato l'assunzione di responsabilità, ma dall'altro lato sono un segno evidente di fiducia nel futuro. n calo delle nascite indica sia paura delle responsabilità, sia scarsa fiducia nel futuro.

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8. Una riflessione finale sulle politiche giovanili

Se il dubbio che il prolungamento della giovinezza stia assumendo in Italia connotati socialmente patologici non è infondato, allora vuol dire che bisogna ripensare le politiche giovanili in una prospettiva diversa. L'obiettivo delle politi­che giovanili non deve più puntare soltanto a favorire l'es­sere giovani, ma deve puntare piuttosto a favorire il passag­gio e la crescita verso l'età adulta. Non è un caso che in Francia, ad esempio, per indicare gli obiettivi delle politiche giovanili si usi il termine di «transizione alla vita attiva». Le politiche, o l'assenza di politiche, che favoriscono, ad esem­pio, l'uso della scuola (e a maggior ragione dell'università) come «area di pSfcheggio» sono a questo proposito sicura­mente negative. E giusto che i percorsi scolastici siano lun­ghi, se le competenze da formare richiedono tempi lunghi di apprendimento, ma non si fa un buon servizio ai giovani se si consente loro di prolungare gli studi al di là di ogni li­mite ragionevole. Ragionamenti analoghi si possono fare per le politiche del lavoro, della casa, della famiglia. Poco si è fatto finora per favorire l'occupazione giovanile (nono­stante i risultati, talvolta incoraggianti, nella normativa dei contratti di formazione-lavoro) , per consentire ai giovani di accedere ad un'abitazione propria senza dipendere troppo dai loro genitori, per alleviare le difficoltà che le giovani coppie incontrano quando devono allevare figli piccoli. Es­sere giovani è senz' altro una bella cosa, ma restar lo troppo a lungo rischia di togliere alla gioventù proprio la sua bellezza di età proiettata verso la costruzione del proprio futuro.

In realtà, e non solo in Italia, è l'intero complesso dei problemi connessi al rapporto di equità tra le generazioni che deve essere radicalmente ripensato. Le società moderne hanno dimostrato finora una devastante miopia privile­giando le generazioni presenti alle generazioni future: hanno consumato scriteriatamente risorse ambientali non riproducibili di cui le generazioni future non potranno più fruire, hanno creato sistemi di previdenza che non sono più compatibili con società in cui aumenta vertiginosamente la popolazione anziana (che gode dei benefici) e diminuisce

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quella in età lavorativa (che ne paga il costo), hanno accu­mulato giganteschi debiti pubblici il cui ripianamento gra­verà sulle generazioni a venire in termini di minor sviluppo, minore occupazione e minori prestazioni sociali. Quando l'orizzonte temporale delle mete si riduce al presente, quando non si tiene conto degli effetti di lungo periodo delle scelte fatte nel presente, il prezzo è destinato inevita­bilmente a ricadere sui giovani e su coloro che verranno dopo di loro. Invece che lamentare l'esitazione dei giovani ad assumersi delle responsabilità adulte, sarebbe meglio chiedersi se la società adulta si è assunta le proprie respon­sabilità nei confronti dei giovani.

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APPENDICE STATISTICO-METODOLOGICA

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APPENDICE STATISTICO-METODOLOGICA

l . Il metodo di campionamento

La prima fase del campionamento è consistita nella stra­tificazione della popolazione tra i 15 e i 29 anni secondo il sesso, la regione e la classe di ampiezza del comune di resi­denza.

I dati di partenza sono stati quelli ra�colti dall'IsTAT nel censimento del l981 . Suddividendo i dati a disposizione per regione, per sesso e per classe di età, si è proceduto al cal­colo del numero di maschi e femmine che al 1991 avessero l'età compresa tra i 15 e i 29 anni. Riportando le medesime proporzioni al totale del campione (2.500 soggetti) si è cal­colata la quantità di giovani da intervistare suddivisi per sesso e per regione. Per quanto riguarda la suddivisione per classe di ampiezza del comune di appartenenza, si è proce­duto in modo analogo, partendo dai dati del campione rile­vato dalla Doxa nel 1987 per la seconda indagine IARD sulla condizione giovanile.

Sul campione di 2.500 giovani, 1 .275 sono maschi (51,0%) mentre le femmine sono 1 .225 (49,0%). I giovani tra i 15 e i 17 anni sono 4 7 8, corrispondenti al 19, l% del campione, i giovani tra i 18 e i 29 anni sono 2.022, pari al 80,9%.

N ella seconda fase si è proceduto al campionamento dei comuni dai quali estrarre i nominativi dei giovani da intervi­stare. I criteri per la scelta dei comuni sono stati la classe di ampiezza, la dislocazione geografica e il numero delle inter­viste da effettuare nel singolo comune (non più di otto/dieci interviste in comuni con meno di 10.000 abitanti e non più di quindici in comuni fino a 250.000 abitanti). Sono stati cosi selezionati 198 comuni situati in 7 4 diverse province di tutte le regioni d'Italia.

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T AB. l. Distribuzione delle interviste per sesso e regione di residenw

Maschi Femmine Totale

Piemonte/Valle d'Aosta 90 87 177 Liguria 32 28 60 Lombardia 190 190 380 Veneto 98 97 195 Trentine 20 20 40 Friuli 25 23 48 Emilia Romagna 75 71 146 Toscana 66 66 132 Umbria 15 15 30 Marche 28 27 55 Lazio 1 14 109 223 Abruzzo/Molise 28 29 57 Campania 158 143 301 Puglia 102 99 201 Basilicata 15 15 30 Calabria 53 52 105 Sicilia 123 114 237 Sardegna 43 40 83

Totale 1.275 1 .225 2.500

La terza fase è consistita nella estrazione casuale dalle li­ste elettorali dei nominativi da intervistare. Per ogni singolo comune è stato estratto in modo casuale un numero di se­zioni elettorali proporzionale al numero dei nominativi da intervistare. Da ogni sezione elettorale sono stati estratti ca­sualmente non più di tre nominativi maschili e tre nomina­tivi femminili. Con procedimento analogo è stata effettuata l'estrazione di altrettanti nominativi di riserva.

Si è cosi pervenuti al completamento dell'elenco dei 2.022 giovani tra i 18 e i 29 anni e di quello dei loro even­tuali sostituti, suddivisi per sesso e comune di residenza.

Per quanto riguarda i minorenni, ovviamente non pre­senti negli elenchi delle sezioni elettorali, sono stati selezio­nati i nominativi forniti dagli intervistati maggiorenni che fossero in possesso dei requisiti corrispondenti a quelli pre­fissati dal campione (età, sesso, regione e comune di resi­denza) .

242

Page 245: Giovani anni 90. Terzo rapporto Iard sulla condizione giovanile in Italia

TAB. 2. Distribuzione delle interviste per ampiewz del comune di residenu e classi di età

15-17 18-20 21-24 25-29 Totale anni anni anni anni

Oltre 250 mila abitanti 97 89 1 7 1 162 519 Da 100 a 250 mila abitanti 39 41 52 72 204 Da 50 a l 00 mila abitanti 54 49 93 78 274 Da lO a 50 mila abitanti 123 139 184 206 652 Meno di 10 mila abitanti 165 185 237 264 851

Totale 478 503 737 782 2.500

Le tabelle l e 2 indicano la distribuzione dei giovani in­tervistati rispettivamente secondo il sesso e la regione e se­condo l'età e l'ampiezza del comune di residenza.

2. Il questionario e le distribuzioni di frequenza

2.1 . Le distribuzioni di frequenza dell'indagine 1992

La replica dell'indagine lARn sulla condizione giovanile si è svolta utilizzando, come nel 1983 e nel 1987, lo stru­mento tecnico del questionario. In parte le domande conte­nute in questo questionario sono le stesse di quelle conte­nute nelle due edizioni precedenti, in parte sono differenti.

Presentiamo qui di seguito la serie pressoché completa delle tabelle che riportano in percentuale la frequenza delle risposte, allo scopo di offrire al lettore uno strumento valido per il confronto con altre indagini o per la verifica diretta dei risultati principali.

Le distribuzioni di frequenza seguono la scansione del questionario; la numerazione delle tabelle, non sempre con­tinua, corrisponde alla numerazione delle domande conte­nute nel questionario. n dato «base» indica il numero asso­luto di giovani coinvolti in ciascuna domanda.

243

Page 246: Giovani anni 90. Terzo rapporto Iard sulla condizione giovanile in Italia

l. Sesso

Maschi 51,0 Femmine 49,0

Base 2.500

2. Età

15 anni 6,6 16 anni 7,2 17 anni 5,4 18 anni 5,7 19 anni 6,6 20 anni 7,8 21 anni 8,1 22 anni 6,4 23 anni 7,6 24 anni 7,4 25 anni 7,7 26 anni 7,5 27 anni 6,4 28 anni 5,4 29 anni 4,4

Base 2.500

3a. Età del padre

Fino a 34 anni 35-44 anni 8,6 45-54 anni 39,2 55-59 anni 19,9 60-64 anni 14,6 Oltre 64 anni 8,4 Non indica 9,3

Base 2.500

3b. Età della madre

Fino a 34 anni 0,6 35-44 anni 19,6 45-54 anni 49,0 55-59 anni 16,8 60-64 anni 8,3 Oltre 64 anni 3,1 Non indica 2,7

Base 2.500

244

Page 247: Giovani anni 90. Terzo rapporto Iard sulla condizione giovanile in Italia

4. Numero di fratelli e/o sorelle viventi

l fratello/ sorella 2 fratelli/ sorelle 3 fratelli/ sorelle 4 fratelli/ sorelle Oltre 4 fratelli/ sorelle Né fratelli né sorelle

Base

6. Titolo di studio

Nessuna scuola Scuola elementare Scuola media inferiore Scuola media superiore (fino a 3 anni) Scuola media superiore (fino a 5 anni) Post -diploma o diploma para· universitario Università

Base

7. Interruzione della frequenZP ad una scuola (o corso di laurea)

N o n ho interrotto la frequenza Ho interrotto la frequenza

Base

Ho interrotto la frequenZP

Scuola elementare Scuola media inferiore Scuola media superiore (fino a 3 anni) Scuola media superiore (fino a 5 anni) Post-diploma o diploma para-universitario Università

Base

245

39,6 27,1 10,6

6, 1 6,1

10,4

2.500

0,6 3,7

43,6 10,0 36,6

1,9 3,7

2.500

79,0 21,0

2.500

1,3 10,6 21,3 41,8

2,3 22,6

526

Page 248: Giovani anni 90. Terzo rapporto Iard sulla condizione giovanile in Italia

8. RipetetiZ/1 di uno o più anni di studio

l volta 2 volte 3 o più Mai

Base

9. Ha mai svolto un'attività lavorativa vera e propria?

Sl No

Base

10. Età di inizio dell'attività lavorativa vera e propria

15 anni o prima 16 anni 17 anni 18 anni 19 anni 20 anni 21 anni 22 anni 23 anni 24 anni 25 anni 26 anni 27 anni 28 anni 29 anni

Base

12. Occupazione in lavori saltuari o occasiona/i

No, mai Sl, raramente Sl, frequentemente

Base

246

25,8 6,9 1,0

66,3

2.500

47,7 52,3

2.500

23,3 1 1,2

9,2 10,6 1 1,9 12,0 6,7 4,3 3,1 2,6 1,9 1,6 1,1 0,4 0,2

1. 192

69,9 18,8 1 1,4

2.500

Page 249: Giovani anni 90. Terzo rapporto Iard sulla condizione giovanile in Italia

13 o Condizione attuale degli intervistati

Lavoro dipendente

- un impiego continuativo a tempo pieno - un impiego continuativo a tempo parziale - un lavoro occasionale - un lavoro temporaneo

Lavoro per conto proprio

- imprenditore l proprietario - professionista - lavoratore autonomo - coadiuvante nell'azienda familiare

Non lavora

- disoccupato e in cerca di lavoro - disoccupato e non in cerca di lavoro - in cerca di prima occupazione - in servizio di leva o civile - invalido - in maternità

- srudente - srudente e lavoratore (impieghi continuativi) - srudente e lavoratore (lavori occasionali o temporanei)

Non indica

Base

14 o Che tipo di scuola frequenta?

Scuola media inferiore CoFoPo (Centri di Formazione Professionale) Scuola media superiore (fino a 3 anni) Scuola media superiore (fino a 5 anni) Post diploma o diploma para-universitario Università

Base

247

26,9 3,0 1,7 2,2

1,7 1,0 3,4 2,8

5,8 3,7 3,7 1,0 0,2 0,5

34,3 2,1 5,4

0,6

2.500

0,6 2,2 2,8

48,5 2,5

43,3

1 .045

Page 250: Giovani anni 90. Terzo rapporto Iard sulla condizione giovanile in Italia

17. Posizione lavorativa

ÙJvoratore dipendente Dirigente Appartenente alla carriera direttiva Insegnante Impiegato di concetto Impiegato esecutivo Capo operaio Operaio specializzato o qualificato Operaio comune Apprendista Lavoratore a domicilio

ÙJvoratore in proprio

Imprenditore ( 15 o più dipendenti) Libero professionista Artigiano Commerciante Proprietario agricolo Mezzadro Coadiuvante familiare Socio di cooperativa Altro

Base

18. Modalità intraprese per la ricerca dell'attuale lavoro

Ho messo annunci sui giornali Mi sono iscritto all'ufficio di collocamento Ho interessato amici e parenti Ho interessato persone influenti Ho fatto domande ad aziende Ho partecipato a concorsi pubblici Ho risposto ad inserzioni sui giornali Mi sono rivolto a centri di informazione e di

orientamento Altro

Base

248

0,5 1,3 3,3

20,0 11,0 0,9

11,5 21,0

5,3 0,4

0,3 4,2 4,3 5,0 0,7 0,1 5,8 0,7 3,7

1.257

1,2 4,0

58,0 3,1

12,3 7,8 3,3 0,7

9,6

1.257

Page 251: Giovani anni 90. Terzo rapporto Iard sulla condizione giovanile in Italia

19. Da quanto tempo lavora nell'attuale azienda

Meno di 3 mesi 3-5 mesi 6- 1 1 mesi 1-2 anni 3-4 anni 5 o più anni

Base

20. Ore lavorate nell'ultima settimana completa di lavoro

Nessuna Meno di 10 ore 10-19 ore 20-29 ore 30-34 ore 35-39 ore 40-44 ore 45-49 ore 50-54 ore 55-59 ore 60 ore o più Non so

Base

21. Guadagno medio mensile

Fino a 450.000 lire 450-650.000 lire 650-850.000 lire 850-1.050.000 lire 1 .050- 1.250.000 lire Non indica

Base

Media = l. 041 .000 lire

22. Livello di soddisfazione nei confronti dell'attuale lavoro

Molto soddisfatto Abbastanza soddisfatto Poco soddisfatto Per nulla soddisfatto Non so

Base

249

8,0 8,4 9,1

25,4 21,1 27,9

1 .257

3,5 4,3 4,7 8,0 3,0

12,3 36,1 12,5 5,7 3,1 6,2 0,7

1 .257

7,0 7,1 6,3

10,3 1 1,5 57,7

1 .257

24,8 53,2 14,0

7,0 1,0

1 .257

Page 252: Giovani anni 90. Terzo rapporto Iard sulla condizione giovanile in Italia

23. Utilità della preparazione scolastica ricevuta per svolgere l'attuale lavoro

Molto utile Abbastanza utile Poco utile Per nulla utile Non so

Base

11,2 31 ,5 22,5 33,9

0,8

1.257

24. Valutazione di preferenza rispetto al rapporto orario di lavoro e guadagno

Orario di lavoro più corto, guadagnando di meno Orario di lavoro più lungo, guadagnando di più Non so

Base

25. Ricerca di lavoro

Sl No Non indica

Base

26. Modalità intraprese per la ricerca di un lavoro

Ho messo annunci sui giornali Mi sono iscritto all'ufficio di collocamento Ho interessato amici e parenti Mi sono rivolto a persone influenti Ho fatto domande ad aziende Mi sono presentato ad aziende, scuole, ecc. Ho partecipato (sto partecipando) a concorsi pubblici Ho letto e/o risposto ad inserzioni sui giornali Mi sono rivolto ai centri di informazione e orientamento

Base

Risposte multiple

250

24,1 58,2 17,7

1.257

28,8 69,3

1,9

2.500

6,0 57,6 59,4 17,5 33,5 23,8 38,6 30,8

8,8

720

Page 253: Giovani anni 90. Terzo rapporto Iard sulla condizione giovanile in Italia

27. Motivo per cui non cerca un lavoro (intervistati non occupati)

Inizierò un lavoro in proprio nei prossimi mesi Inizierò tra breve un lavoro alle dipendenze Non ho interesse a lavorare N o n si trova lavoro Sono studente Altre risposte Non indica

Base

28. La cosa più importante ne/ lavoro

Lo stipendio/il reddito Le condizioni di lavoro Buoni rapporti con i compagni di lavoro Buoni rapporti con i superiori La possibilità di migliorare (reddito e tipo di lavoro) La possibilità di imparare cose nuove e di esprimere

le proprie capacità L'orario di lavoro La possibilità di viaggiare molto Non indica

Base

29. Pre/erenZil per /are un lavoro

Lavoro dipendente Lavoro indipendente Non so, dipende

Base

!posto

19,0 13,4 9,2 3,2

15,6

30,8 1,8 3,0 4,0

29,2 58,8 12,0

2.500

1,6 1,3 4,4 3,1

82,4 5,6 1,6

864

II posto

20,6 13,9 16,0

5,1 14,2

14,9 3,8 7,2 4,4

2.500

30. Disponibilità a trasferirsi in un altro luogo per migliorare la propria situazione di lavoro

Sl, sono disponibile No, non sono disponibile Non so, dipende

Base

251

56,9 29,3 13,8

2.500

Page 254: Giovani anni 90. Terzo rapporto Iard sulla condizione giovanile in Italia

31 . Se st� in quale luogo?

In questa regione In una regione vicina In altre regioni più lontane In un Paese europeo della CEE In un Paese europeo non CEE In un Paese extra-europeo

Base

Risposte multiple

32. Stato civile

Celibe/nubile Coniugato/a Separato/a Divorziato l a Non indica

Base

3 3. Stato di convivenza degli intervistati

Con entrambi i genitori Con un genitore Con entrambi i genitori e con fratelli/ sorelle Con i genitori più altri parenti In coppia In coppia e con figli Con altri parenti Da solo/a Non risponde

Base

85,2 69,8 51,4 51,2 31,8 37,5

1.767

84,0 15,1 0,2 0,1 0,6

2500

1 1,6 7,3

52,4 9,2 5,4 9,0 3,4 1,5 0,2

2500

34. Percentuale del guadagno che l'intervistato dà in famiglia (agli intervistati che lavorano e vivono in famiglia)

Nulla Meno del 20"/o 20-39% 40-59% 60-79"/o 80-99"/o Tutto

Base

252

51,7 15,9 12,4 7,9 1,7 2,3 8,2

1.006

Page 255: Giovani anni 90. Terzo rapporto Iard sulla condizione giovanile in Italia

35. Età, occasione di guadagno e possibilità di spendere liberamente i soldi guada­gnati

Non mi è mai capitato di guadagnare soldi Mi è capitato di guadagnare soldi ma non ho potuto

spenderli liberamente per me La prima volta che ho guadagnato soldi ed ho potuto

spenderli per me avevo: - meno di 12 anni - 12-14 anni - 15-17 anni - 18-20 anni - 20 anni o più Non indica

Base

24,6

3,4

1 , 1 6,7

25,0 26,1 1 1 ,0 2,2

2.500

36. Somma disponibile, in media, al mese da spendere liberamente per sé (tenendo conto del guadagno personale e dei soldi erogati dai familiari)

Nessuna Fino a 50.000 lire 51-100.000 lire 101-150.000 lire 151-200.000 lire 201-300.000 lire 301-400.000 lire 401-500.000 lire 501-750.000 lire 751-1.000.000 lire Oltre 1.000.000 lire

Base

Media = 400.000 lire

253

6,8 6,0

1 1,3 5,1

14,4 15,1

7,7 1 1, 1

8,0 8,5 6,1

1 .747

Page 256: Giovani anni 90. Terzo rapporto Iard sulla condizione giovanile in Italia

37. Ipotesi di eventuale cambiamento nei prossimi cinque anni: (negli studi, ne/ la­voro, nella convivenZIJ, ecc.)

Trovare un lavoro stabile

È già successo 29,8 Sl, sono sicuro 8,5 Credo di sl 3 1,8 Credo di no 9,3 No, è escluso 6,8 Non so, non posso prevedere 13,8

Sposarsi

È già successo 14,8 Sl, sono sicuro 11,7 Credo di sl 23,2 Credo di no 17,1 No, è escluso 15,9 Non so, non posso prevedere 17,2

Finire gli studi

È già successo 34,1 Sl, sono sicuro 27,3 Credo di sl 13,7 Credo di no 4,4 No, è escluso 14,7 Non so, non posso prevedere 5,8

Base

38. FrequenZIJ delle uscite alla sera per conto proprio

Mai Meno di l volta alla settimana Circa l volta alla settimana 2-3 volte alla settimana 4-5 volte alla settimana Tutte le sere o quasi

Base

39. Diffusione tra i giovani dei gruppi di amici

No, non ho un gruppo di amici Sl, ho un gruppo di amici

Base

254

Andare a vivere per conto proprio

12,7 12,5 22,0 19,5 21,1 12,2

Avere dei figli

8,1 7,3

23,3 19,9 19,9 21,4

2.500

20,6 4,5

13,6 3 1,2 10,9 19,3

2.500

13,5 86,5

2.500

Page 257: Giovani anni 90. Terzo rapporto Iard sulla condizione giovanile in Italia

40. Il gruppo di amici è composto da

2-3 persone 4-5 persone 6-1 O persone 1 1-20 persone Più di 20 persone Ho vari amici che vedo separatamente Altra risposta

Base

41. Frequenza di incontro del gruppo di amici

Meno di l volta alla settimana Una volta alla settimana 2-3 volte alla settimana 4-5 volte alla settimana Tutti i giorni o quasi Altra risposta Non indica

Base

6,7 22,9 32,9 17,1

8,1 1 1,8 0,4

2.163

7,0 24,3 37,5

9,4 20,6

0,7 0,4

2 .163

42. Partecipazione alle attività di associazioni o gruppi negli ultimi tre mesi e attività considerata più importante

Organizzazione Mai Almeno Più di Più l volta 2 volte importante

Politica 93,6 3,0 3,4 5,4 Sindacale 95,6 2,6 1,8 1,2 Religiosa 80,2 5,6 14,2 18,0 Di categoria 96,1 2,5 1,4 1,2 Spottiva di praticanti 69,4 5,2 25,5 32,3 Sportiva di tifosi 87,4 4,3 8,1 5,5 Culturale 82,6 7,4 10,0 9,6 Ricreativa/ turistica 87,6 6,6 5,9 3,7 Difesa della natura 93,6 4,4 2,1 3,7 Impegno sociale e

assistenziale 90, 1 4,4 5,5 9,5 Collettivo o gruppo di base 95,1 2,2 2,7 2,0 Degli studenti 89,6 5,1 5,4 2,3 Della gioventù 95,0 1,4 3,6 3,6 Dei diritti dell'uomo 96,6 2,1 1,3 1,8 Delle donne 98,2 1,2 0,6 Altre 99,6 0,1 0,3

Base 2.500 2.500 2.500 843

Risposte multiple

255

Page 258: Giovani anni 90. Terzo rapporto Iard sulla condizione giovanile in Italia

44. Le cose importanti nella vita

Molto Abbastanza Poco Per Non

niente so

Famiglia 86,2 12,4 0,9 0,2 0,4 Lavoro 61,7 33,8 2,8 0,8 0,8 Ragazzo/a, amici/che 67,8 28,2 2,9 0,5 0,6 Attività politica 4,0 17,0 41,9 34,9 2,2 Impegno religioso 13,3 35,8 29,9 19,1 1,9 Impegno sociale 23,0 48,7 19,0 7,7 1,6 Studio ed interessi

culturali 35,2 41,2 14,8 7,7 1 ,1 Svago nel tempo libero 50,9 41,0 6,8 1,2 0,2 Attività sportive 33,2 38,4 18,3 9,6 0,5

Base 2.500

Risposte multiple

45. Grado di fiducia per alcune istituzioni o gruppi

Molto Abbastanza Poco Per Non

niente so

I funzionari dello Stato 1,8 18,1 46,6 30,0 3,5

Gli insegnanti 8,7 55,1 28,2 6,6 1,4 Le banche 8,3 47,6 29,6 8,3 6,2 La polizia 17,9 51,8 21,7 6,1 2,6 I sindacalisti 3,2 20,3 44,3 23,9 8,3 I sacerdoti 1 1,8 38,3 28,8 18,3 2,8 D governo 2,6 16,4 44,7 33,3 3,1 I militari di carriera 6,4 28,3 30,5 24,3 10,6 Gli uomini politici 1,3 10,9 43,4 40,9 3,5 I magistrati 7,6 38,6 32,0 16,0 5,8 I carabinieri 16,3 48,4 22,2 10,8 2,3 Gli industriali 7,2 37,2 35,2 12,4 8,0 I giornalisti 6,5 34,9 38,8 15,6 4,2

Base 2.500

Risposte multiple

256

Page 259: Giovani anni 90. Terzo rapporto Iard sulla condizione giovanile in Italia

46. Modi di comportamento diffusi tra gli insegnanti secondo l' esperienVJ degli intervistati

Incompetenza ed impreparazione nella propria materia Influenza politica ed ideologica sugli allievi Eccessiva severità La tendenza a non considerare le esigenze ed il punto di

vista degli srudenti Eccessiva accondiscendenza e arrendevolezza di fronte

alle richieste degli srudenti

Base

Risposte multiple

38,7 38,1 23,6

61,7

20,3

2.500

47. Il più diffuso comportamento tra gli insegnanti secondo l'esperienVJ degli inter­vistati

Incompetenza ed impreparazione nella propria materia Influenza politica ed ideologica sugli allievi Eccessiva severità Tendenza a non considerare le esigenze e il punto

di vista degli studenti Eccessiva accondiscendenza ed arrendevolezza di fronte

alle richieste degli alunni

Base

48. Soddisfazione negli studi compiuti per ciò che riguarda

Capacità professionali acquisite Cultura generale acquisita Rapporti con i compagni Rapporti con gli insegnanti

Base

Risposte multiple

49. Posizione difronte al matrimonio

Sono già sposato/a Non sono (ancora) sposato e sono sicuro di sposanni Penso che mi sposerò Penso che non mi sposerò Sono sicuro che non mi sposerò Non so

Base

257

23,5 15,2 9,3

45,0

7,1

1.795

56,2 76,6 84,6 67,0

2.500

15,4 1 1 ,3 56,4

5,2 2,0 9,8

2.500

Page 260: Giovani anni 90. Terzo rapporto Iard sulla condizione giovanile in Italia

50. Posiv'one di fronte alla convivenza

Già convivo Sono favorevole ad un periodo di convivenza prima del

matrimonio Sono favorevole comunque alla convivenza, anche senza

matrimonio Non sono favorevole alla convivenza Non so

Base

51. Quanto è importante la religione nella vita dei giovani

Moltissimo Molto Abbastanza Poco Per nulla Non so

Base

52. L'atteggiamento nei confronti della religione

Sono credente Non sono credente perché ritengo che sull'esistenza di

Dio non ci si possa pronunciare Non sono credente perché i problemi di fede mi sono

indifferenti Non sono credente perché sono convinto che Dio non

esista Altre risposte

Base

53. Frequenza alle funzioni religiose negli ultimi sei mesi

Mai in 6 mesi 1-2 volte in 6 mesi Circa l volta al mese 2-3 volte al mese Tutte le settimane o quasi Altre risposte

Base

258

0,8

21,4

37,2 33,8

6,9

2.500

10,6 23,1 35,6 19,7

9,9 1 ,1

2.500

79,4

7,8

3,9

2,9 6,0

2.500

28,2 26,2 12,4 10,3 22,0

0,9

2.500

Page 261: Giovani anni 90. Terzo rapporto Iard sulla condizione giovanile in Italia

54. I contatti con il monM della droga

Di cui:

Totale sl Molte Qualche 1 o 2 volte volta volte

Ha avuto contatti del tipo: - parlare con qualche persona che

ha fatto uso di droga 56,5 16,5 28,4 1 1,6 - conoscere persone che fanno

uso di droghe 54,4 14,8 28,0 1 1,6 - vedere qualcuno che stava

usando droghe 43,0 9,4 22,1 1 1,5 - sentirsi offrire qualche tipo

di droga 26,0 4,2 13,8 8,0 - vedere o prendere in mano

qualche tipo di droga 22,8 3,3 12,4 7,0 - sentire il desiderio (o la

curiosità) di provare una droga 10,6 1,6 6,1 2,9

Base 2.500 Risposte multiple

54a. I contatti con il monM della droga per tipo di droga

Pesante Leggera Entrambe Nessun Non contatto indica

Ha avuto contatti del tipo: - parlare con qualche persona

che ha fatto uso di droga 13,4 26,9 12,9 43,5 3,3 - conoscere persone che fanno

uso di droghe 1 1,5 26,8 1 1 ,5 45,6 4,6 - vedere qualcuno che stava

usando droghe 12,3 20,1 7,9 57,0 2,7 - sentirsi offrire qualche tipo

di droga 1,2 20,7 2,7 74,0 1,4 - vedere o prendere in mano

qualche tipo di droga 1,2 18,6 2,3 77,2 0,7 - sentire il desiderio (o la

curiosità) di provare una 0,6 8,6 1,3 89,4 0,1 droga

55. Conoscenza della legge N. 162/90 contro l'uso di stupefacenti

Sl, conosco bene la legge 7,0 La conosco ma non bene 24,1 N e ho solo sentito parlare 34,0 Non sono informato, non so 34,8

Base 2.500

259

Page 262: Giovani anni 90. Terzo rapporto Iard sulla condizione giovanile in Italia

56. Dove ha sentito parlare della nuova legge?

Dalla televisione Dalla radio Dai quotidiani Dai settimanali Parlandone con amici

Base

Risposte multiple

58. L'atteggiamento nei confronti della legali=zione della droga

Decisamente favorevole Abbastanza favorevole Abbastanza contrario Decisamente contrario Non so, non ho un'opinione in proposito

Base

93,7 30,6 74,6 41,4 50,2

1.629

10,2 21,1 16,9 41,8 10,0

2.500

59. Se un impiegato di concetto guadagna 1.800.000 lire al mese, quanto dovrebbe guadagnare (valori per 1.000):

Un direttore di una grande impresa (con 5.000 o più addetti)

Un direttore di una piccola impresa (con meno di 50 addetti)

Un operaio non specializzato Un operaio specializzato Un medico ospedaliero specialista Un ingegnere che lavora per una grande

industria Un magistrato Un deputato Un insegnante di scuola media Un professore universitario Un bidello Una segretaria Un carabiniere semplice

260

18.120

4.920 1.462 1.902 3.524

3.722 3.980 3.200 1.884 2.561 1.413 1.546 1.891

Page 263: Giovani anni 90. Terzo rapporto Iard sulla condizione giovanile in Italia

60. Iniziativa più efficace per limitare gli episodi di vandalismo

Aumentare la vigilanza delle forze dell'ordine Inasprire le pene per chi commette atti vandalici Svolgere un'opera di educazione fin dalla prima infanzia Sensibilizzare l'opinione pubblica affinché ciascuno vigili

con attenzione contro possibili infrazioni Non indica

Base

61. Importanw per l'Italia di far parte di un'Europa unita

Molto importante Abbastanza importante Poco importante Per nulla importante Non so

Base

56,6 32,3

4,7 1,7 4,7

2.500

19,3 28,8 37,8

14,0 0,1

2.500

62. Grado di accordo sulle proposte relative a quali debbono essere i capisaldi della unificazione europea

Molto Abbastanza Poco Per Non

niente so

Moneta unica 47,4 39,9 7,2 2,8 2,6 Esercito comune 28,4 35,5 18,9 12,0 5,2 Politica estera comune 38,3 40,5 11 ,2 4,6 5,3 Più poteri al

Parlamento europeo 37,6 41,3 10,9 4,1 6,1

Base 2.223

Risposte multiple

63. Opinioni sull'eventualità di far entrare alcuni Paesi dell'Est nella Comunità Europea

Favorevole Contrario Non so Non indica

Base

261

71,3 1 1 , 1 17,1

0,4

2.223

Page 264: Giovani anni 90. Terzo rapporto Iard sulla condizione giovanile in Italia

65. Lingue conosciute abbastanza bene per poter sostenere una conversazione

Nessuna lingua Inglese Francese Tedesco Altre lingue

Base

Risposte multiple

42,6 40,0 25,2

4,7 3,9

2.500

66. Partecipazione negli ultimi 12 mesi ad attività riguardanti i seguenti temi

Ha partecipato 1-2 volte Più di 2 volte

Pace e disarmo 18,0 13,7 4,3 Problemi della scuola e dello 26,4 15,7 10,7

studio Problemi dei lavoratori 12,1 8,7 3,4 Difesa dell'ambiente 15,5 12,1 3,4 Problemi delle donne 4,3 3,8 0,5 Problemi del quartiere 5,9 4,6 1,3 Campagne elettorali 6,4 4,6 1,8 Proposte di referendum 9,3 7,7 1,6 Altre iniziative 1,5 1, 1 0,4

Base 2.500

Risposte multiple

67. Indicazione dell'importanza relativa di alcune misure politico-sociali .

Mantenere l'ordine della nazione Dare alla gente maggiore potere

nelle decisioni politiche Combattere l'aumento dei prezzi Proteggere la libertà di parola

Base

I posto

35,6

32,2 8,8

23,4

262

il posto

25,6

25,5 20,5 28,3

ID posto

21,5

23,8 29,4 24,7

IV posto

17,3

18,4 41,3 23,5

2.500

Page 265: Giovani anni 90. Terzo rapporto Iard sulla condizione giovanile in Italia

68. Senso di appartenenm ad un'unità geografica

La località o la città in cui vivo La regione o provincia in cui vivo L'Italia L'Europa n mondo in generale

Base

69. Lei si sente orgoglioso di essere italiano?

Molto Abbastanza Poco Per niente Non indica

Base

263

I posto

35,0 12,4 35,2

4,1 13,3

II posto

19,7 21,5 30,6 16,8 11,4

2.500

43,9 41,9

9,8 3,2 1,2

2.500

Page 266: Giovani anni 90. Terzo rapporto Iard sulla condizione giovanile in Italia

70. Grado di accordo con alcune affermazioni relative all'immigrazione straniera in Italia

Molto Abbastanza

Mi disturba il fatto che nel nostro Paese ci siano cosl tanti immigrati 12,6 20,7

Non è giusto che gli immigrati portino via posti di lavoro ai disoccupati del nostro Paese 19,3 21,9

Sarebbe meglio che gli immigrati tornassero a casa loro 1 1,4 16,9

Gli immigrati vivono in condizioni difficili ed è compito nostro aiutarli come possiamo 27,4 47,0

n problema degli immigrati richiede un intervento politico che aiuti a risolvere i problemi economici dei Paesi di provenienza 49,8 32,0

Gli immigrati che vivono in Italia contribuiscono ad un arricchimento culturale nel nostro Paese 9,0 24,5

Base

Risposte multiple

71. L'atteggiamento nei confronti della politica

Mi considero politicamente impegnato Mi tengo al corrente deUa politica ma senza parteciparvi

personalmente Penso che si debba lasciare la politica a persone che hanno

più competenza di me La politica mi disgusta Non indica

Base

264

Poco

32,5

24,4

28,0

16,7

9,8

33,7

Per Non so niente

33,2 1,0

32,7 1,7

40,0 3,8

6,8 2,0

5,8 2,7

28,3 4,4

2.500

3,7

41,5

35,1 19,4 0,3

2.500

Page 267: Giovani anni 90. Terzo rapporto Iard sulla condizione giovanile in Italia

72. Opinioni alternative sulla possibilità per i cittadini di injluen7.1lre le decisioni di chi governa

n cittadino può influenzare le decisioni di chi governa La società è diretta da poche persone che detengono il potere

e la gente comune può farci ben poco Non so

Base

Orientamenti alternativi nei confronti del futuro

Quando penso al mio futuro lo vedo pieno di possibilità e di sorprese

Quando penso al mio futuro lo velo pieno di rischi e di incognite

Non so

t-Jella vita è importante avere degli obiettivi e delle mete E inutile fare tanti progetti perché succede sempre

qualcosa che ci impedisce di realizzarli Non so

Se non si fanno presto delle scelte ben precise è difficile riuscire nella vita

Nella vita è meglio tenersi sempre aperte molte possibilità e molte strade

Non so

n successo dipende dal lavoro sodo e la fortuna conta poco

Non è saggio fare tanti programmi per il futuro perché molto dipende dalla fortuna

Non so

Base

73. Gerarchia del disprezzo: scostamenti dal disprezzo medio ( = O)

Sopra la media Un trafficante di droga Un politico che chiede tangenti Un politico che s'impossessa di denaro pubblico Un dirigente di un'azienda che inquina l'ambiente

Al di sotto della media Un assenteista Un testimone di un delitto di mafia che non collabori

con la legge Un consumatore di droghe pesanti Un evasore fiscale Uno che commette piccoli furti (negozi, supermercati) Uno che si ubriaca abitualmente

265

50,9

42,3 6,8

78,8

18,5 2,6

24,4

70,0 5,6

60,2

33, 1 6,7

2.500

1,73 1,63 1,43 0,73

- 0,13

- 0,55 - 0,96 - 1,03 - 1,31 - 1,52

28,9

64,5 6,6

2.500

Page 268: Giovani anni 90. Terzo rapporto Iard sulla condizione giovanile in Italia

7 4. .Autocollocazione politica sulla scala formata da 10 caselle che rappresentano al­trettante posizioni dall'estrema sinistra (casella l) all'estrema destra (casella 10)

l 2 3 4 5 6 7 8 9 10 Sinistra l _ l _ l_l_l_ l_ l_l_l_l _ l Destra

2,8 3,6 8,2 9,2 18,8 5,7 4,7 3,5 1,3 1,7

Non voglio rispondere Non so collocarmi

8,5 32,0

Base 2.500

7 5. Preferenze elettorali

Alle elezioni politiche io voterei: Democrazia Cristiana Leghe Liste Verdi (Sole che ride, Arcobaleno) Movimento Sociale Partito Democratico della Sinistra Partito Liberale Partito Radicale/Lista antiproibizionista Partito Repubblicano Partito Socialdemocratico Partito Socialista La Rete Rifondazione Comunista Altre liste Scheda bianca o nulla Non andrei a votare '

Non ci ho ancora pensato Non voglio rispondere

Base

76. Luogo di nascita dell'intervistato e dei suoi geniton·

In questo comune In questa regione In altra regione

Base

Intervistato

61,5 29,8

8,7

266

Padre

52,8 29,3 17,9

13,2 6,8 5,6 2,3 7,1 1,4 1,4 2,2 0,4 4,0 2,2 2,0 0,7 4,5 3,5

28,5 14,2

2.500

Madre

48,1 33,6 18,3

2.500

Page 269: Giovani anni 90. Terzo rapporto Iard sulla condizione giovanile in Italia

77. Luogo di origine

Regione dell'Italia Nord-Occidentale Regione dell'Italia N or d -Orientale Regione dell'Italia Centrale Regione dell'Italia Meridionale o Insulare Paesi europei Paesi extra-europei Non risponde

Base

78. Anni di residenZJZ nell'attuale comune

Meno di 5 anni 5-9 anni 10·19 anni 20-24 anni 25-29 anni Da 30 o più anni Non risponde

Base

79. Professione dei genitori

Imprenditore, libero professionista Dirigente, alto funzionario Insegnante (maestro, professore) Impiegato Negoziante, artigiano

Intervistato

15,1 12,8 37,2 23,9

7,3

3,7

218

Operaio, lavoratore manuale non agricolo Agricoltore conduttore Agricoltore dipendente Casalinga Non indica

Base

267

Intervistato

19,3 8,7

12,8 33,5 17,4

6,0 2,3

218

Padre

1,6 1,8 8,5

15,2 13,6 44,1 15,2

447

Padre Madre

9,6 10,7 14,5 16,2 14,1 13,3 53,9 48,8

2,0 5,9 2,7 2,8 3,1 2,2

447 457

Madre

1,5 2,0

10,3 17,3 15,8 39,8 13,3

457

Padre Madre 12,1

7,4 3,0

23,4 15,7 28,9

4,6 2,4

2,4

2,2 0,7 7,7

10,4 7,7 8,1 1,5 1,4

59,0 1,3

2.500

Page 270: Giovani anni 90. Terzo rapporto Iard sulla condizione giovanile in Italia

80. Titolo di studio dei genitori

Nessun titolo Licenza elementare Licenza media o avviamento professionale Licenza di scuola media superiore o professionale

(2 o 3 anni) Licenza di scuola media superiore ( 4 o 5 anni) Diploma parauniversitario o corso post-diploma Laurea Non so

Base

Padre 6,8

34,7 26,2

4,9 16,0 0,6 9,2 1,7

Madre 8,5

41,4 25,2

4,3 13,0

1,0 5,1 1,5

2.500

81. Livello di soddisfazione nei confronti di alcuni aspetti o situazioni della vita

Molto Abbastanza Poco Per nulla

La salute in questo momento 49,2 41,8 7,5 1,3 n suo tenore di vita 27,8 56,8 13,5 1,7 n luogo in cui vive 3 1,0 46,4 17,7 4,6 La casa 43,4 46,8 7,7 2,0 Le amicizie 45,7 44,8 8,2 1,0 L'amore 44,6 31,7 15,0 6,4 Come si vive in Italia oggi 5,0 46,2 38,7 9,0 n modo di passare il tempo

libero 23,9 51,1 21,4 3,0 L'istruzione che ha ricevuto

o riceve 28,2 55,8 14,0 1,6 I rapporti con gli altri giovani 33,1 57,1 8,5 0,7 I rapporti nella famiglia 49,3 43,7 5,9 0,8 I rapporti con gli insegnanti 10,9 47,8 27,8 6,4 n lavoro che fa (se lavora) 30,7 50,9 13,0 3,2

Base

Risposte multiple

82. Ore al giorno da dedicare liberamente agli interessi e al divertimento

Nessuna l ora 2 ore 3 ore 4 ore 5 ore da 6 a 9 ore Più di IO ore

Base

268

3,1 9,2

20,7 21,8 17,7 18,7 4,6 4,1

2.500

Non so

0,2 0,2 0,3 0,2 0,3 2,3 1 ,1

0,6

0,4 0,6 0,3 7,1 2,2

2.500

Page 271: Giovani anni 90. Terzo rapporto Iard sulla condizione giovanile in Italia

83a. Ora in cui l'intervistato va a dormire (escluso sabato e domenica)

Tra le 8 e le 20 Alle 21 circa Alle 22 circa Alle 23 circa Alle 24 circa Dopo le 24 Non indica

Base

83b. Ora in cui l'intervistato si alza (escluso sabato e domenica)

Prima delle 6 Alle 6 circa Alle 7 circa Alle 8 circa Alle 9 circa Dopo le 9 Non indica

Base

84a. Ora in cui l'intervistato va a dormire z1 sabato sera

Tra le 8 e le 20 Alle 21 circa Alle 22 circa Alle 23 circa Alle 24 circa Dopo le 24 Non indica

Base

84b. Ora in cui l'intervistato si alza la domenica mattina

Prima delle 6 Dalle 6 alle 8 Alle 9 circa Alle 10 circa Alle 1 1 circa Alle 12 circa Dopo le 12 Non indica

Base

269

0,8 4,8

24,1 37,2 22,2

9,4 1,6

2.500

3,2 17,0 31,0 33,4 10,2 4,4 0,8

2.500

0,5 0,8 6,0

14,8 24,8 52,1

0,9

2.500

0,7 18,2 26,9 25,5 13,8 1 1,0

3,2 0,7

2.500

Page 272: Giovani anni 90. Terzo rapporto Iard sulla condizione giovanile in Italia

85. Pratica di uno sport in modo continuativo o «abbastanza» continuativo negli ul­timi 12 mesi

No Si

Base

87. Frequenza nella lettura della stampa

Mai o quasi mai

Quotidiani d'informazione 19,5 Quotidiani sportivi 63,7 Settimanali d'informazione 34,9 Altri periodici 42,3 Telegiornali 4,1

Base

Risposte multiple

Meno di l volta a sett.

14,6 1 1,2 27,2 26,6

2,3

1-3 v. a sett.

27,9 14,8 30,8 22,6 10,2

10,5 89,5

2.500

4-5 v. a sett.

9,2 3,2 4,1 4,8 8,4

Tutti i giorni

28,8 7,1 3,0 3,7

75,0

2.500

88. Ore dedicate al giorno alla visione della TV e all'ascolto della radio

Alla visione Ali' ascolto della 1V della radio

Mai o quasi mai 3,8 24,9 Meno di l ora 10,8 22,0 Da l a 2 ore 33,0 19,2 Da 2 a 3 ore 34,4 1 1,2 Da 3 a 4 ore 1 1,2 6,7 Da 4 a 5 ore 3,8 4,8 Più di 5 ore 3,1 1 1,3

Base 2.500

270

Page 273: Giovani anni 90. Terzo rapporto Iard sulla condizione giovanile in Italia

89. FrequenZ/l di una serie di attività che si svolgono nel tempo libero (stima riguar-dante i tre mesi precedenti l'intervista)

l o più l o più 1-2 volte Mai in volte la volte al in 3 mesi 3 mesi

settimana mese

Ho suonato uno strumento musicale 1 1,7 3,6 4,0 80,7

Ho ballato in un locale pubblico 12,4 20,5 26,5 40,6 Sono andato al cinema 10,3 30,7 26,7 32,3 Sono andato ad un concerto di

musica leggera 0,8 3,2 11 ,0 85,1 Sono andato ad un concerto di

musica classica 0,6 2,2 4,0 93,2 Sono andato a teatro 1,0 6,1 17,8 75,3 Sono andato a vedere una

manifestazione sportiva 7,5 15,0 18,7 58,8 Ho fatto un viaggio fuori dal

comune di residenza pernottando almeno una notte fuori 3,4 1 1,9 29,6 55,0

Ho visitato un museo o una mostra d'arte 0,8 6,1 21,3 71,8

Ho partecipato ad un convegno o a un dibattito culturale 1,2 5,3 14,8 78,6

Sono entrato in una biblioteca pubblica 7,5 1 1,2 14,8 66,5

Ho praticato attivamente uno sport 33,0 7,9 5,4 53,8

Ho ascoltato dischi o cassette di musica leggera 72,0 10,2 4,6 13,3

Ho ascoltato dischi o cassette di musica classica 15,5 9,6 8,8 66,1

Sono entrato in libreria per comprare libri (non di studio) 4,2 15,8 21,9 58,0

Ho letto libri (non di srudio) 13,7 22,6 27,5 36,2

Base 2.500

Risposte multiple

271

Page 274: Giovani anni 90. Terzo rapporto Iard sulla condizione giovanile in Italia

90. Opinioni su a:doni che possono essere ritenute devianti nella società

Viaggiare sui trasporti pubblici senza pagare Fumare occasionalmente marijuana Divorziare Ubriacarsi Assentarsi dal lavoro quando non si è realmente

ammalati Prendere qualcosa in un negozio senza pagare Avere rapporti sessuali senza essere sposati Fare a botte per far valere le proprie ragioni Fare a botte con i tifosi di una squadra awersaria Dichiarare al fisco meno di quanto si guadagna Avere esperienze omosessuali Vivere insieme (convivere) senza essere sposati Prendere droghe pesanti (eroina, ecc.) Suicidarsi Abortire (proprio o per la partner) Uccidere un nemico in guerra combattendo per il

proprio Paese Avere una relazione con una persona sposata Produrre danni a beni pubblici

(cabine telefoniche, panchine . . . )

Base

Risposte multiple

272

Questa cosa è più spesso:

Criticata N o n criticata

66,4 33,6 88,7 1 1 ,3 62,4 37,6 78,2 21,8

69,7 30,3 91,1 8,9 39,9 60,1 69,0 3 1,0 90,9 9,1 69,8 30,2 92,1 7,9 57,4 42,6 97,5 2,5 83,1 16,9 79,0 2 1 ,0

30,1 69,9 82,7 17,3

89,4 10,6

2.500

Page 275: Giovani anni 90. Terzo rapporto Iard sulla condizione giovanile in Italia

91.

Viaggiare sui trasporti pubblici senza pagare Fumare occasionalrnente marijuana Divorziare Ubriacarsi Assentarsi dal lavoro quando non si è realmente

ammalati Prendere qualcosa in un negozio senza pagare Avere rapporti sessuali senza essere sposati Fare a botte per far valere le proprie ragioni Fare a botte con i tifosi di una squadra avversaria Dichiarare al fisco meno di quanto si guadagna Avere esperienze omosessuali Vivere insieme (convivere) senza essere sposati Prendere droghe pesanti (eroina, ecc.) Suicidarsi Abortire (proprio o per la partner) Uccidere un nemico in guerra combattendo per il

proprio Paese Avere una relazione con una persona sposata Produrre danni a beni pubblici

(cabine telefoniche, panchine . . . )

Base

Risposte multiple

273

Questa cosa è secondo lei:

Ammissibile

32,,3 28,6 79,7 50,4

35,1 9,1

85,3 29,9

6,3 28,5 42,8 78,3

7,5 19,2 49,9

56,6 49,8

3,7

Non ammissibile

67,7 71 ,4 20,3 49,6

64,9 90,9 14,7 70,1 93,7 71,5 57,2 21 ,7 92,5 80,8 50,1

43,4 50,2

96,3

2.500

Page 276: Giovani anni 90. Terzo rapporto Iard sulla condizione giovanile in Italia

92.

A lei questa cosa potrebbe capitare:

Sl No Non so

Viaggiare sui trasporti pubblici senza pagare 44,4 42,9 12,7

Fumare occasionalmente marijuana 10,9 81,9 7,1 Divorziare 26,8 28,5 44,7 Ubriacarsi 30,7 52,6 16,7 Assentarsi dal lavoro quando non si è

realmente ammalati 30,7 50,7 18,6 Prendere qualcosa in un negozio senza

pagare 5,5 89,2 5,3 Avere rapporti sessuali senza essere

sposati 67,9 16,6 15,5 Fare a botte per far valere le proprie

ragioni 22,1 61,5 16,4 Fare a botte con i tifosi di una squadra

avversaria 4,8 89,9 5,3 Dichiarare al fisco meno di quanto si

guadagna 16,4 64,2 19,4 Avere esperienze omosessuali 1,5 95,2 3,3 Vivere insieme (convivere) senza essere

sposati 41,8 37,3 20,9 Prendere droghe pesanti (eroina, ecc.) 1,3 97,0 1,7 Suicidarsi 2,1 89,1 8,8 Abortire (proprio o per la partner) 14,2 58,5 27,3 Uccidere un nemico in guerra

combattendo per il proprio Paese 23,2 51 ,8 25,0 Avere una relazione con una persona

sposata 21,9 50,6 27,4 Produrre danni a beni pubblici

(cabine telefoniche, panchine . . . ) 2,5 93,8 3,7

Base 2.500

Risposte multiple

274

Page 277: Giovani anni 90. Terzo rapporto Iard sulla condizione giovanile in Italia

Distribuzione territoriale delle interoiste

Val d'Aosta Piemonte Liguria Lombardia Veneto Trentino Friuli Emilia Romagna Toscana Umbria Marche Lazio Abruzzo Molise Campania Puglia Basilicata Calabria Sicilia Sardegna

Base

0,2 6,9 2,4

15,2 7,8 1,6 1,9 5,8 5,3 1,2 2,2 8,9 1,7 0,6

12,0 8,0 1,2 4,2 9,5 3,3

2.500

2.2. Confronto tra le distribuzioni di frequenza delle indagini 1983/1987/1 992

n confronto dei dati delle frequenze relative alle inda­gini lARD 1983, 1987 e 1992 si riferisce esclusivamente alla classe di età comune alle tre rilevazioni ( 15-24 anni pari a 1 .718 casi nella rilevazione 1992) ; il confronto dei dati è stato effettuato solo per le domande effettivamente compa­rabili (in alcuni casi i confronti sono stati possibili per tutte e tre le rilevazioni, in altri le comparazioni si riferiscono alle indagini 1983/1992 oppure 1987/1992) . La numerazione delle tabelle è unicamente in,.ordine progressivo e non si ri­ferisce alle domande del questionario.

275

Page 278: Giovani anni 90. Terzo rapporto Iard sulla condizione giovanile in Italia

l. Genere dell'intervistato

1983 1987 1992

Maschi 5 1,0 50,3 50,1 Femmine 49,0 49,7 49,9

Base 4.000 2.000 1 .718

2. Età

1983 1987 1992

15 anni 10,9 8,7 9,5 16 anni 1 1, 1 10,0 10,5 17 anni 10,5 10,3 7,8 18 anni 10,1 7,6 8,3 19 anni 10,1 10,6 9,5 20 anni 10,4 1 1 ,8 1 1 ,4 21 anni 9,5 10,4 1 1 ,8 22 anni 9,3 10,6 9,3 23 anni 9,2 10,7 1 1, 1 24 anni 9,2 9,4 10,7

Base 4.000 2.000 1.718

3. Età dei genitori

Padre: 1987 1992

Fino a 34 anni 0,1 0,1 35-44 anni 12,2 12,2 45-54 anni 52,9 49,7 55-59 anni 18,9 16,3 60-64 anni 10,0 10,8 Oltre 64 anni 4,4 4,6 Non indicato 1,4 6,3

Base 1.843 1.718

Madre 1987 1992

Fino a 34 anni 0,9 0,8 35-44 anni 29,7 27,4 45-54 anni 50,7 53,0 55-59 anni 12,3 1 1,6 60-64 anni 4,1 3,7 Oltre 64 anni 0,8 1,2 Non indicato 1,4 2,2

Base 1 .970 1 .718

276

Page 279: Giovani anni 90. Terzo rapporto Iard sulla condizione giovanile in Italia

4. Numero fratelli e sorelle viventi

1987 1992

l fratello/ sorella 40,7 43,0 2 fratelli/ sorelle 25,8 26,9 3 fratelli/ sorelle 10,2 10,0 4 fratelli/ sorelle 5,3 4,7 Oltre 4 fratelli/ sorelle 4,0 4,5 Né fratelli, né sorelle 1 1 ,3 10,9

Base 2.000 1.718

5. Titolo di studio

1983 1987 1992

Nessuna scuola 0,5 0,3 0,5 Scuola elementare 8,2 6,3 3,1 Scuola media inferiore 57,2 54,2 49,2 Scuola media superiore (fino a 3 anni)

33,6 9,8 10,2

Scuola media superiore ( 4 o 5 anni) 28,5 35,3 Diploma parauniversitario o

post diploma 0,2 0,4 0,9 Università 0,4 0,6 0,7

Base 4.000 2.000 1.718

6. Interruzione della frequenza ad una scuola (o corso di laurea)

1983 1987 1992

Non ho interrotto la frequenza 81,3 76,9 82,0 Ho interrotto la frequenza 18,7 23, 1 18,0

Base 4.000 2.000 1 .718

Ho interrotto la frequenza 1983 1987 1992

Scuola elementare 2,5 2,6 1,3 Scuola media inferiore 23,7 18,0 1 1 ,3 Scuola media superiore 66,0 66,2 69,3 Università 7,8 10,5 15,9 Altro tipo di scuola 2,6 2,3

Base 748 462 309

277

Page 280: Giovani anni 90. Terzo rapporto Iard sulla condizione giovanile in Italia

7. Numero delle npetenze

1983 1992

Nessuna 65,4 66,2

Base 4.000 1 .718

Ho ripetuto 1983 1992

Un anno . 73,7 75,7 Due anni 22,5 2 1,2 Tre o più anni 3,8 3, 1

Base 1.383 581

8. Ha mai svolto un'attività lavorativa vera e propria

1983 1987 1992

Sl 4 1,8 43,0 37,9 No 58,2 57,0 62,1

Base 1.447 2.000 1.718

9. Età di inizio dell'attività lavorativa vera e propria

1987 1992

15 anni o prima 31,5 24,8 16 anni 14,2 12,8 1 7 anni 12,2 1 1,3 18 anni 9,8 13,0 19 anni 1 1 ,0 13,6 20 anni 8,7 12, 1 21 anni 6,9 6,3 22 anni 2,9 2,6 23 anni 2,2 ' 1,9 24 anni 0,5 1,6 Non indicato 0,1

Base 861 651

278

Page 281: Giovani anni 90. Terzo rapporto Iard sulla condizione giovanile in Italia

l O. Occupazione in lavori saltuari o occasiona/i

Sl, raramente Sl, spesso No, mai

Base

II. Posizione lavorativa

Lavoratore dipendente Dirigente Appartenente alla carriera direttiva Insegnante Impiegato di concetto Impiegato esecutivo

1987

9,4 15,3 75,4

2.000

Operaio, capo operaio, operaio specializzato Apprendista Lavoratore a domicilio

Lavoratore in proprio Imprenditore Libero professionista Artigiano Commerciante Proprietario agricolo Mezzadro Coadiuvante familiare Socio cooperativa Altro

Base

12. Da quanto tempo lavora nell'attuale azienda

Meno di 3 mesi 3-5 mesi 6-1 1 mesi 1-2 anni 3-4 anni 5 o più anni Non indicato

Base

1983

1 1,7 6,4

10,2 30,8 23,4 17,7

1.447

279

1992

20,8 1 1 ,2 68,0

1.718

1987 1992

0,4 3,7 7,0

13,5 39,5 1 1,9

1,3

2,0 6,9 5,7 0,7 0, 1 6,5 0,7 0,1

697

1987

12,6 8,8 9,6

30,8 17,5 20,2

0,4

697

0,3 0,6 2,1

15,8 1 1,7 36,5

9,0 0,5

0,3 3,5 3,5 3,8 0,9 0,2 6,2 0,8 4,7

703

1992

10,2 12,0 10,9 30,0 2 1,5 15,3

703

Page 282: Giovani anni 90. Terzo rapporto Iard sulla condizione giovanile in Italia

13. Ore lavorate nell'ultima settimana completa di lavoro

1983 1987 1992

Nessuna 3,7 2,2 4,9 Meno di 10 ore 3,6 4,0 5,7 10-19 ore 3,9 5,2 5,8 20-29 ore 5,6 6,7 6,6 30-34 ore 4,5 5,2 2,7 35-39 ore 9,0 8,6 9,1 40-44 ore 44,2 37,0 37,2 45-49 ore 10,6 14,5 12,9 50-54 ore 5,3 5,0 6,1 55-59 ore 2,6 5,0 3,0 60 o più ore 6,4 5,9 5,2 Non indica 0,9 0,6 0,6

Base 1.447 697 703

14. Media guadagno mensile

1983 1987 1992

840.400' 955.300 (*) 1.042.000

' in lire 1992

15. Livello di soddisfazione nei confronti dell'attuale lavoro

1983 1987 1992

Molto soddisfatto 28,7 24,5 25,3 Abbastanza soddisfatto 44,9 50,6 53,5 Poco soddisfatto 17,4 16,9 13,1 Per nulla soddisfatto 8,2 7,5 6,9 Non sa, non indica 1,0 0,7 1,2

Base 1.447 697 703

16. Utilità della preparazione scolastica ricevuta per svolgere l'attuale lavoro

Molto utile Abbastanza utile Poco utile Per nulla utile Non indica

Base

1983

16,7 22,0 23,8 37,2

0,2

1.447

280

1987

1 1,6 27,1 22,8 37,6

0,9

697

1992

10,4 32,2 22,9 33,6

0,9

703

Page 283: Giovani anni 90. Terzo rapporto Iard sulla condizione giovanile in Italia

17. Ricerca di lavoro

1983 1987 1992

Sl, sto cercando lavoro 31,2 31,1 26,0 No, non sto cercando lavoro 68,8 68,9 71,7 Non indica 2,4

Base 2.552 2.000 1.718

18. Modalità intraprese per la ricerca di un lavoro

1983 1987 1992

Ho messo annunci sui giornali 2,4 5,9 4,9 Mi sono iscritto all'ufficio di collocamento 25,8 60,9 60,3 Ho interessato amici e parenti 20,3 58,2 62,6 Mi sono rivolto a persone influenti 15,9 Ho fatto domanda ad aziende 14,2 37,8 29,6 Mi sono presentato ad aziende 8,3 22,5 23,1 Ho partecipato a concorsi pubblici 16,3 42,6 33,6 Ho letto o risposto ad inserzioni sui giornali 12,5 32,6 27,6 Mi sono rivolto ai centri di informazione

e orientamento 7,4 Altro 0,2

Base 797 622 446

Risposte multiple

19. Motivi per cui non cerca un lavoro (intervistati non occupati)

Inizierò un lavoro in proprio nei prossimi mesi Inizierò tra breve un lavoro alle dipendenze N o n ho interesse a lavorare N o n si trova lavoro Sono studente Altre risposte Non indica

Base

281

1987 1992

1,0 1,2 8,8 4,7

80,8 1,9 1,5

860

1,5 1,3 2,0 2,4

88,7 2,9 1,2

752

Page 284: Giovani anni 90. Terzo rapporto Iard sulla condizione giovanile in Italia

200 PreferenZP per fare un lavoro

1983 1987 1992

Lavoro indipendente 59,1 56,9 61,8 Lavoro dipendente 32,4 38,8 27,5 Non so, dipende 8,5 4,4 10,7

Base 2o000 2o000 1 .718

21 . Disponibilità a trasferirsi stabilmente in un altro luogo, per migliorare la propria situazione di lavoro

1987 1992

Sl, sono disponibile 68,2 59,1 No, non sono disponibile 23,8 26, 1 Non so, dipende 8, 1 14,8

Base 2o000 1.718

22 o Se sz� in quale luogo?

1987 1992

In questa regione 91,4 86,1 In una regione vicina 75,4 71,9 In altre regioni più lontane 55,3 50,7 In un Paese europeo 45,3 81,2 In un Paese extra-europeo 35,6 37,2

Base 1 .364 1.269

Risposte multiple

23 o Stato civile

1983 1987 1992

Celibe/ nubile 91,1 92,2 93,5 Coniugato/a 8,8 7,8 5,6 Separato/a 0, 1 Divorziato l a 0,1 Vedovo/a Non risponde 0,8

Base 40000 2o000 1.718

282

Page 285: Giovani anni 90. Terzo rapporto Iard sulla condizione giovanile in Italia

24. Percentuale del guadagno che l'interoistato dà in famiglia

1983 1987 1992

Nulla 36,5 34,8 52,5 Meno del 20"k 7,7 12,4 14,8 20-390,{, 1 1 ,9 12,9 11 ,3 40-590/o 9,4 9,0 7,8 60-790,{, 4,9 5,2 1,9 80-990,{, 3,6 4,4 2,8 Tutto 22,9 16,3 8,8 Non indica 2,8 5,5

Base 1.271 675 670

25. Età, occasione di guadagno e possibilità di spendere liberamente i soldi guada-gnati

1983 1987 1992

Non mi è mai capitato di guadagnare dei soldi 36,9 39,7 30,7

Mi è capitato di guadagnare soldi ma non ho potuto spenderli liberamente per me 6,7 3,4 2,7

La prima volta che ho guadagnato soldi ed ho potuto spenderli per me avevo: - meno di 12 anni 1,2 1,2 - 12-14 anni 8,0 6,7 7,6 - 15-17 anni 26,9 23,6 25,3 - 18-20 anni 16,8 18,1 24,6 - 21 anni o più 3,3 5,2 5,4

Non indica 0,3 2,7 2,6

Base 4.000 2.000 1.718

26. Somma disponibile (tenendo conto del guadagno p=onale e dei soldi erogati dai familiari) in media, al mese da spendere liberamente per sé

1987 1992

256.200 . 350.900

• in lire 1992

283

Page 286: Giovani anni 90. Terzo rapporto Iard sulla condizione giovanile in Italia

27. Ipotesi di eventuale cambiamento nei prossimi cinque anni (negli studi, nel la-voro, nella convivenZP, ecc.)

1983 1987 1992

Trovare un lavoro stabile È già successo 18,0 19,5 20,7 Sl, sono sicuro 10,1 8,9 9,0 Credo di sl 44,1 36,8 36,3 Credo di no 13,5 13,3 11 ,1 No, è escluso 7,3 7,0 7,6 Non so, non posso prevedere 7,1 14,6 15,3

-1ndare a vivere per conto proprio E già successo 5,6 6,0 5,2 Sl, sono sicuro 9,5 8,1 11 ,3 Credo di sl 24,5 21,1 23,2 Credo di no 24,5 25,4 24,6 No, è escluso 22,8 24,8 21,9 Non so, non posso prevedere 13,1 14,8 13,8

Sposarsi E già successo 8,4 7,3 5,4 Sl, sono sicuro 10,9 9,3 10,1 Credo di sl 28,7 25,5 23,6 Credo di no 20,4 19,3 21,5 No, è escluso 15,2 20,4 21,1 Non so, non posso prevedere 16,5 18,3 18,3

1vere dei figli E già successo 5,1 5,0 2,4 Sl, sono sicuro 8,2 6,7 5,8 Credo di sl 25,2 20,1 20,7 Credo di no 22,2 20,7 23,9 No, è escluso 19,6 26,0 25,8 Non so, non posso prevedere 19,7 21,7 21,3

finire gli studi E già successo 34,0 30,8 25,4 Sl, sono sicuro 27,0 23,8 34,2 Credo di sl 13,7 16,1 17,4 Credo di no 5,8 4,9 4,8 No, è escluso 14,9 17,0 12,9 Non so, non posso prevedere 4,6 7,5 5,3

Base 4.000 2.000 1.718

284

Page 287: Giovani anni 90. Terzo rapporto Iard sulla condizione giovanile in Italia

28. FrequenZP delle uscite alla sera per conto proprio

Tutte le sere o quasi 4-5 volte la settimana 2-3 volte la settimana Circa l volta alla settimana Meno di l volta alla settimana Mai Non indica

Base

1983

29,8 9,6

26,1 10,6

7,0 16,9

3.592

29. Diffusione tra i giovani dei gruppi di amici

Sl, ho un gruppo di amici No, non ho un gruppo di amici

Base

30. Il gruppo di amici è composto da

2-3 persone 4-5 persone 6-10 persone 1 1-20 persone Più di 20 persone

1983

84,0 16,0

2.000

Ho vari amici che vedo separatamente Altra risposta

Base

31. FrequenZP di incontro del gruppo di amici

1983

Tutti i giorni o quasi 41 ,0 4-5 volta la settimana 12,0 2-3 volte la settimana 28,8 Una volta la settimana 14,0 Meno di l volta la settimana 4,2 Altra risposta

Base 1.679

285

1983

13,2 25,7 34,3 15,6

7,0 4,2

1.679

1987

21,4 8,1

27,8 13,0

7,3 22,5

0,2

2.000

1987

83,0 17,0

2.000

1987

10,1 25,0 38,9 16,9 7,2 2,0

1.661

1987

33,1 12,5 34,7 16,4

3,4

1.661

1992

20,5 10,8 33,2 15,2

3,8 16,5

1 .718

1992

88,7 1 1 ,3

1.718

1992

5,6 21 ,4 32,8 20,1

9,4 10,2 0,5

1 .524

1992

23,8 10,9 39,0 21,0

4,8 0,4

1.524

Page 288: Giovani anni 90. Terzo rapporto Iard sulla condizione giovanile in Italia

32. Partecipazione alle attività di associazioni o gruppi negli ultimi tre mesi e attività considerata più importante

Organizzazione Almeno una volta Più di 2 volte

1987 1992 1983 1987 1992

Politica 3,1 3,0 6,2 4,1 2,7 Sindacale 1,5 1,7 2,8 2,1 1 ,1 Religiosa 16,9 6,1 26,0 27,3 15,8 Di categoria 1,8 2,2 1,5 2,1 1,2 Sportiva di praticanti 27,3 5,2 52,3 45,6 28,3 Sportiva di tifosi 1 1,9 4,5 21,2 18,8 9,6 Culturale 8,8 7,6 14,0 11 ,1 10,1 Ricreativa/nLristica 5,3 7,3 9,8 5,9 6,2 Difesa della natura 3,5 4,1 3,3 3,1 2,2 Impegno sociale e assistenziale 4,5 4,1 6,0 6,3 5,7 Collettivo o gruppo di base 2,6 2,2 2,7 3,6 3,7 Degli studenti 10,5 6,4 14,3 7,0 Della gioventù 1,5 4,6 Di difesa dei diritti dell'uomo 1,9 1,2 Delle donne 0,8 1,2 0,6 0,5 0,6 Altre organizzazioni 0,1 0,2

Base 2.000 1.718 1.449 1.037 1.718

Organizzazione La più importante

1983 1987 1992

Politica 3,2 2,5 3,6 Sindacale 1,3 1,3 0,8 Religiosa 18,4 18,7 17,2 Di categoria 0,7 1,0 1,0 Sportiva di praticanti 42,6 38,2 34,0 Sportiva di tifosi 9,1 8,3 6,0 Culturale 10,2 6,6 9,0 Ricreativa/turistica 3,7 2,8 3,6 Difesa della natura 3,2 3,0 3,4 Impegno sociale e assistenziale 4,9 4,1 9,6 Collettivo o gruppo di base 1,0 1,2 2,6 Degli studenti 7,3 3,1 Della gioventù 4,4 Di difesa dei diritti del!' uomo 1,6 Delle donne 1,0 0,5 Altre organizzazioni

Base 1.528 1.037 612

286

Page 289: Giovani anni 90. Terzo rapporto Iard sulla condizione giovanile in Italia

33. Le cose più importanti nella vita dell'indagine de/ 1983

Molto Abbastanza Poco Per Non niente so

Famiglia 81,9 16,8 0,9 0,2 0,1 Lavoro 67,7 28,2 2,7 0,8 0,6 Ragazzo/a amici/che 58,4 35,1 5,6 0,7 0,3 Attività politica 43,6 46,8 8,7 0,7 0,3 Impegno religioso 34,1 45,7 14,2 5,6 0,5 Impegno sociale 32,1 41,8 19,2 6,6 0,3 Studio e interessi

culturali 21,9 50,4 19,8 6,7 1,2 Svago nel tempo libero 12,2 36,1 32,7 18,4 0,6 Attività sportive 4,0 23,7 45,2 26,3 0,9

Base 4.000

Risposte multiple

Le cose più importanti nella vita dell'indagine del 1987

Molto Abbastanza Poco Per Non

niente so

Famiglia 82,9 16,2 0,6 0,2 0,1 Lavoro 66,6 29,8 2,7 0,4 0,6 Ragazzo l a amici/ che 60,9 33,9 4,2 0,7 0,3 Attività politica 2,8 22,0 45,6 28,7 1 ,1 Impegno religioso 12,4 38,5 33,1 15,7 0,4 Impegno sociale 17,9 51,3 22,9 7,2 0,8 Studio e interessi

culturali 32,2 43,6 17,1 6,9 0,4 Svago nel tempo libero 44,2 47,3 6,9 1,5 0,3 Attività sportive 31,9 40,6 18,6 8,8 0,3

Base 2.000

Risposte multiple

Le cose più importanti nella vita dell'indagine de/ 1992

Molto Abbastanza Poco Per Non niente so

Famiglia 85,6 13,2 0,8 0,2 0,3 Lavoro 60,2 35,4 2,7 0,8 1,0 Ragazzo/a amici/che 70,6 26,4 2,2 0,5 0,3 Attività politica 3,7 17,2 44,1 32,9 2,2 Impegno religioso 13,2 36,8 29,5 18,6 2,0 Impegno sociale 23,5 48,5 18,7 7,6 1,7 Studio e interessi

culturali 36,4 41,3 14,0 7,2 1,0 Svago nel tempo libero 54,4 39,8 4,7 1,0 0,1 Attività sportive 36,1 38,8 16,4 8,3 0,4

Base 1.718

Risposte multiple

287

Page 290: Giovani anni 90. Terzo rapporto Iard sulla condizione giovanile in Italia

34. Grado di fiducia per alcune istituzioni o gruppi nell'indagine 1983

Molto Abbastanza Poco Per Non

niente so

I funzionari dello Stato 2,7 23,6 48,5 21,9 3,3

Gli insegnanti 10,0 59,6 25,1 4,1 1,2 Le banche 10,3 53,3 25,0 6,7 4,7 La polizia 18,4 51 ,1 21,6 6,9 2,0 I sindacalisti 3,7 27,0 42,7 21,6 5,0 I sacerdoti 8,5 35,0 34,7 19,6 2,2 TI governo 3,2 22,6 47,2 24,3 2,7 I militari di carriera 6,9 34,0 33,3 19,0 6,8 Gli uomini politici 1,6 15,8 49,3 30,5 2,8 I magistrati 9,2 43,5 30,9 12,3 4,1 I carabinieri 14,2 49,5 23,6 10,9 2,0

Base 4.000

Risposte multiple

Grado di fiducia per alcune istituzioni o gruppi nell'indagine 1987

Molto Abbastanza Poco Per Non

niente so

I funzionari dello Stato 2,2 25,6 51 ,1 18, 1 3,2

Gli insegnanti 9,6 57,1 26,7 6,0 0,7 Le banche 9,1 53,7 27,5 5,8 4,0 La polizia 18,4 53,0 21,4 6,2 1 , 1 I sindacalisti 2,3 2 1 ,9 49,7 20,6 5,6 I sacerdoti 1 1, 1 39,0 31 ,1 17,4 1,6 TI governo 4,8 33,6 43,6 15,8 2,3 I militari di carriera 6,5 32,7 33,8 21,9 5,3 Gli uomini politici 1,6 19,1 51,3 25,6 2,5 I magistrati 8,2 43, 1 33,8 1 1 ,2 3,9 I carabinieri 13,4 50,9 25,3 8,8 1,7

Base 2.000

Risposte multiple

288

Page 291: Giovani anni 90. Terzo rapporto Iard sulla condizione giovanile in Italia

Grado di fiducia per alcune istituzioni o gruppi nell'indagine 1992

Molto Abbastanza Poco Per Non

niente so

I funzionari dello Stato 1,6 18,0 48,5 28, 1 3,8

Gli insegnanti 8,5 54,7 28,7 7,0 1,2 Le banche 9, 1 50,9 26,4 6,5 7,2 La polizia 18,2 50,5 22,5 6,0 2,8 I sindacalisti 3,4 20,6 44,0 22,4 9,6 I sacerdoti 12,7 38,7 28,6 17,0 3,0 TI governo 2,4 17,8 45,5 31 , 1 3,3 I militari di carriera 7,2 29,3 30,2 22,0 1 1,2 Gli uomini politici 1,3 1 1 , 1 44,2 39,7 3,6 I magistrati 7,4 38,0 33,0 15,8 5,8 I carabinieri 16,3 47,6 23,2 10,7 2,2 Gli industriali 7,6 38,9 34,2 10,9 8,3 I giornalisti 7,3 35,7 38,3 14,6 4,1

Base 1.718

Risposte multiple

3 5. Modi di comportamento di/fusi tra gli insegnanti secondo l'esperienza degli intervistati

1983 1987 1992

Incompetenza ed impreparazione nella propria materia 36,9 39,2 39,0

Influenza politica ed ideologica sugli allievi 29,8 36,7 38,3

Eccessiva severità 25,0 24,3 25,0 Tendenza a non considerare le esigenze

e il punto di vista degli studenti 53,9 58,7 63,3 Eccessiva accondiscendenza e arrendevolezza

di fronte alle richieste degli studenti 17,9 22,8 20,8

Base 2.000 2.000 1.718

Risposte multiple

289

Page 292: Giovani anni 90. Terzo rapporto Iard sulla condizione giovanile in Italia

36. Il più diffuso comportamento tra gli insegnanti secondo l' esperienw degli inter­vistati

1983

Incompetenza ed impreparazione nella propria materia 20,4

Influenza politica ed ideologica sugli allievi 14,3

Eccessiva severità 12,3 Tendenza a non considerare le esigenze

e il punto di vista degli studenti 37,5 Eccessiva accondiscedenza e

arrendevolezza di fronte alle richieste degli studenti 7,9

Non so, nessuno 7,6

Base 2.000

3 7. Soddisfazione negli studi compiuti per ciò che riguarda

Capacità professionali acquisite Culrura generale acquisita Rapporti con i compagni Rapporti con gli insegnanti

Base

Risposte multiple

38. Posizione di fronte al matrimonio

Sono già sposato/a Non sono ancora sposato/a

ma sono sicuro/a di sposarmi Penso che mi sposerò Penso che non mi sposerò Sono sicuro/a che non mi sposerò Non so

Base

1983

54,3 70,0 86,3 67,1

2.000

1987

7,7

21,5 60,4

4,4 0,9 5,2

2.000

290

1987 1992

19,0 16,7

13,2 10,9 9,8 6,5

35, 1 33,8

7,2 4,5 15,9 27,5

2.000 1 .245

1987 1992

58,9 59,2 76,0 79,0 91,2 85,2 74, 1 67,0

2.000 1.718

1992

5,6

10,7 65,7

5,6 2,0

10,5

1.718

Page 293: Giovani anni 90. Terzo rapporto Iard sulla condizione giovanile in Italia

39. Quanto è importante la religione nella vita dei giovani

1983 1987 1992

Moltissimo 7,3 8,4 10,4 Molto 19,6 22,4 22,5 Abbastanza 37,1 38,1 36,6 Poco 24,0 22,7 19,5 Per niente 11 ,5 8,1 10,1 Non so 0,5 0,4 1,0

Base 4.000 2.000 1.718

40. I contatti con il mondo delta droga (totale sì)

1983 1987 1992

Ho avuto contatti del tipo: - parlare con qualche persona che ha fatto uso

di droga ahneno una volta 54,8 46,8 56,6 - conoscere persone che fanno uso di droga

abituahnente 39,3 32,8 54,9 - vedere qualcuno che aveva da poco usato

droga 44,7 39,1 43,7 - vedere o prendere in mano la droga 20,4 10,8 22,6 - sentirsi proporre di provare (o comprare)

la droga 21,1 24,9 - sentire il desiderio o la curiosità di

provare una droga 7,8 4,5 10,7

Base 2.000 2.000 1.718

41. Opinioni sulle iniziative da adottare per limitare gli episodi di vandalismo

1987 1992

Aumentare la vigilanza delle forze dell'ordine 22,5 20,3 Inasprire le pene per chi commette atti vandalici 21,6 29,1 Svolgere un'opera di educazione fin dalla prima

infanzia 39,5 36,0 Sensibilizzare l'opinione pubblica affinché ciascuno

vigili con attenzione contro possibili infrazioni 15,8 14,5 Non indica 0,7 0, 1

Base 2.000 1 .718

291

Page 294: Giovani anni 90. Terzo rapporto Iard sulla condizione giovanile in Italia

42. Importanza per l'Italia di /ar parte di un'Europa unita

Molto importante Abbastanza importante Poco importante Per nulla importante Non so

Base

1987 1992

51,3 39,6

3,4 1,4 4,4

2.000

56,3 32,3

4,6 2,1 4,7

1 .718

43. Partecipazione negli ultimi 12 mesi ad attività riguardanti i seguenti temi (totale SIJ

1983 1 987 1992

Pace e disarmo 13,5 19,8 2 1,3 Problemi della scuola e degli studenti 22,0 30,4 32,9 Problemi dei lavoratori 8,0 8,5 9,6 Difesa dell'ambiente e del territorio 4,9 10,0 15,3 Problemi delle donne 4,0 3,2 4,7 Problemi del quartiere 3,2 2,8 5,2 Campagne elettorali 3,5 2,9 5,8 Proposte di referendum 8,2 Altre iniziative 1,5

Base 4.000 2.000 1.718

292

Page 295: Giovani anni 90. Terzo rapporto Iard sulla condizione giovanile in Italia

1-2 volte Più di 2 volte Ha partecipato

1983 1987 1992 1983 1987 1992

Pace e disarmo 8,9 14,7 15,9 4,5 5,2 5,4 Problemi della scuola

e degli studenti 9,6 15,7 19,4 12,4 14,7 13,5 Problemi dei

lavoratori 3,7 5,8 7,4 4,2 2,8 2,2 Difesa dell'ambiente

e del territorio 3,2 7,5 1 1 ,9 1,7 2,5 3,4 Problemi delle donne 2,3 2,8 4,1 1,5 0,5 0,6 Problemi del

quartiere 1,9 2,3 4,3 1,3 0,6 0,9 Campagne elettorali 2,2 2, 1 4,4 1,3 0,8 1,4 Proposte di

referendum 6,9 1,3 Altre iniziative 1 ,1 0,4

Base 4.000 2.000 1.718 4.000 2.000 1.718

44. Senso di appartenenza ad una unità geografica

I posto II posto

1987 1992 1987 1992

La località o la città in cui vivo 50,8 34,5 17,9 18,9 La regione o provincia in cui vivo 9,7 12,3 22,8 20,8 L'Italia 26,0 36,1 36,2 30,0 L'Europa 2,8 3,8 8,7 16,3 n mondo in generale 10,6 1 1,8 13,5 11 ,2 Non indica 0,2 1,5 1,0 2,7

Base 2.000 1.718 2.000 1.718

45. Atteggiamento nei confronti della politica

1983 1987 1992

Mi considero politicamente impegnato 3,2 2,3 3,3 Mi tengo al corrente della politica

ma senza parteciparvi personalmente 44,2 39,3 39,4 Penso che si debba lasciare la politica a

persone che hanno più competenza di me 40,0 42,1 36,4 La politica mi disgusta 12,0 15,8 20,4 Non indica 0,6 0,6 0,4

Base 4.000 2.000 1.718

293

Page 296: Giovani anni 90. Terzo rapporto Iard sulla condizione giovanile in Italia

46. Opinioni alternative sulla possibilità per i cittadini di influenzare le decisioni di chi governa

1987 1992

Ogni cittadino può influenzare le decisioni di chi governa 32,7 28,6

La società è diretta da poche persone che detengono il potere e la gente comune può farci ben poco 62,4 64,0

Non so 5,0 7,5

Quando penso al mio futuro lo vedo pieno di possibilità e di sorprese 48,4 51,8

Quando penso al mio futuro lo vedo pieno di rischi e di incognite 48,0 41,4

Non so 3,7 6,8

Nella vita è importante avere degli obiettivi e delle mete 70,5 79,1

È inutile fare tanti progetti perché succede sempre qualcosa che ci impedisce di realizzarli 26,9 18,4

Non so 2,7 2,5

Se non si fanno presto delle scelte ben precise è difficile riuscire nella vita 3 1,0 23,8

N ella vita è meglio tenersi sempre aperte molte possibilità e molte strade 65,0 70,5

Non so 4,0 5,7

n successo dipende dal lavorare sodo, la fortuna conta poco 60,5 60,1

Non è saggio fare tanti programmi per il futuro perché molto dipende dalla fortuna 34,4 33,4

Non so 5,2 6,5

Base 2.000 1.718

47. Comportamento elettorale

Alle elezioni politiche io . . . 1983 1987 1992

Voterei 58,8 51,5 49,7 Voterei scheda bianca o nulla 6,7 9,3 4,8 Non andrei a votare 5,1 2,3 3,1 Non so , non voglio rispondere 29,4 36,3 42,4

Base 4.000 2.000 1.718

294

Page 297: Giovani anni 90. Terzo rapporto Iard sulla condizione giovanile in Italia

Preferenze elettorali nelle indagini 1983 e 1987

Alle elezioni politiche io voterei . . .

Democrazia Cristiana Partito comunista Partito socialista Partito repubblicano Partito socialdemocratico Partito liberale Partito radicale Partito di unità proletaria N uova sinistra Democrazia proletaria Movimento sociale Verdi Liste locali

1983

29,2 26,3 14,9 7,8 1,7 3,7 4,9 1,3 2,4

7,8

Base 2.352

Preferenze elettorali nell'indagine 1992

Alle elezioni politiche io voterei . . .

Democrazia Cristiana Leghe Liste Verdi (Sole che ride, Arcobaleno) Movimento sociale Partito Democratico della Sinistra Partito Liberale Partito Radicale/Lista Antiproibizionista Partito Repubblicano Partito Socialdemocratico Partito Socialista La Rete Rifondazione Comunista Altre Liste

Base

48. Luogo di nascita dell'interoistato

Questo comune Questa regione Altra regione o all'estero Non indica

Base

1983

66,0 25,2

8,7 0,1

4.000

295

1987

37,8 23,6 12,6 4,0 1,2 3,1 4,3

1,8 6,8 3,2 1,5

1 .029

1987

66,7 24,8

8,3 0,4

2.000

1992

28,6 15,0 12,2 5,4

1 1,3 2,9 2,5 3,9 0,8 6,8 5,0 4,7 0,9

853

1992

62,1 30,7

7,2

1 .718

Page 298: Giovani anni 90. Terzo rapporto Iard sulla condizione giovanile in Italia

Luogo di nascita dei genitori dell'intervistato

1983 1987 1992

Padre Madre Padre Madre Padre Madre

Questo comune 52,4 47,5 53,5 47,5 53,9 50,1 Questa regione 29,6 34,1 28,7 33,6 28,5 31,9 Altra regione/estero 17,8 18,4 16,5 17,7 17,6 18,0 Non indica 0,2 0,1 1,6 1,4

Base 4.000 4.000 2.000 2.000 1 .718 1.718

49. Titolo di studio del padre

1983 1987 1992

Nessun titolo 14,3 9,2 5,0 Licenza elementare 46,1 47,3 31,4 Licenza media o avviamento professionale 20,5 23,4 28,8 Diploma 1 1,4 12,8 23,1 Laurea 5,5 5,2 10,5 Non so 2,2 2,3 1,3

Base 4.000 2.000 1.718

Titolo di studio della madre

1983 1987 1992

Nessun titolo 19,3 13,6 6,5 Licenza elementare 51,8 51,8 38,8 Licenza media o avviamento professionale 15,8 19,3 27,6 Diploma 9,1 1 1,6 19,4 Laurea 2,3 1,8 6,6 Non so 1,7 2,0 1,0

Base 4.000 2.000 1.718

296

Page 299: Giovani anni 90. Terzo rapporto Iard sulla condizione giovanile in Italia

50. Livello di soddisfazione nei confronti di alcuni aspetti o situazioni della vita

Molto, abbastanza Poco, per niente

1983 1987 1992 1983 1987 1992

La salute in questo momento 90,9 92,5 92,2 8,9 7,5 7,8

n suo tenore di vita 82,4 82,7 87,3 17,0 17,3 12,7 n luogo in cui vive 78,7 78,4 78,2 21,2 2 1,6 21,8 La casa che ha 85,8 88,0 91,5 13,9 12,0 8,5 Le amicizie che ha 89,8 91,0 91,2 9,5 9,0 8,8 L'amore 75,3 24,7 Come si vive in

Italia oggi 40,9 47,4 52,3 57,6 52,6 47,7 n modo di passare il

tempo libero 73,6 72,0 78,1 25,9 28,0 21,9 L'istruzione che ha

ricevuto o riceve 82,9 82,5 87,4 16,9 17,5 12,6 I rapporti con gli

altri giovani 88,2 90,8 92,1 1 1,3 9,2 7,9 I rapporti nella

famiglia 91,3 93,1 93,0 7,9 6,9 7,0 I rapporti con gli

insegnanti 69,5 68,7 62,4 27,5 31,3 37,6 n lavoro che ha 85,8 73,9 84,3 13,9 26,1 15,7

Base 4.000 2.000 1.718 4.000 2.000 1.718

Risposte multiple

51 . Ora in cui l'intervistato va a dormire (escluso sabato e domenica)

1987 1992

Alle 20 circa 1,3 0,8 Alle 21 circa 5,0 5,6 Alle 22 circa 33,0 26,9 Alle 23 circa 37,9 36,7 Alle 24 circa 17,3 20,8 Dopo le 24 5,2 7,9 Non indica 0,4 1,3

Base 2.000 1 . 178

297

Page 300: Giovani anni 90. Terzo rapporto Iard sulla condizione giovanile in Italia

52. Ora in cui l'intervistato si alw (escluso sabato e ®menica)

1987 1992

Prima delle 6 3 ,1 2,8 Alle 6 circa 18,8 17,5 Alle 7 circa 45,4 30,9 Alle 8 circa 19,7 33,9 Alle 9 circa 8,0 9,5 Dopo le 9 4,7 4,8 Non indica 0,4 0,6

Base 2.000 1 .718

53. Frequen:;:p nella lettura della stampa nell'indagine 1987

Quotidiani Altri Settimanali Altri sportivi quotidiani informaz. periodici

Tutti i giorni o quasi 9,1 25,4 4,6 2,9 4-5 volte la settimana 5,5 1 1,3 5,8 4,3 1-3 volte la settimana 21,3 26,7 31,5 21,3 Meno di l volta

la settimana 13,6 16,0 24,3 29,9 Mai o quasi mai 49,4 20,2 33,2 40,8

Base 2.000

298

Page 301: Giovani anni 90. Terzo rapporto Iard sulla condizione giovanile in Italia

FrequenZP nella lettura della stampa nell'indagine 1992

Quotidiani Altri Settimanali Altri Telegiornali sportivi quotidiani inforrnaz. periodici

Tutti i giorni o quasi 7,0 26,2 3,1 3,5 73,2 4 · 5 volte la settimana 3,2 8,1 4,5 5,2 8,7 1-3 volte la settimana 16,2 28,6 31,3 23,6 1 1,4 Meno di l volta

la settimana 1 1,2 16,1 25,4 24,2 2,8 Mai o quasi mai 62,4 21,0 35,7 43,4 3,8

Base 1.718

53. Ore dedicate al giorno all'ascolto della radio e alla visione della TV

Televisione Radio

1987 1992 1987 1992

Mai o quasi mai 3,4 22,1 Meno di l ora 9,3 10, 1 37,3 22,5 Da l a 2 ore 31,1 32,7 22,4 19,5 Da 2 a 3 ore 29,8 35,7 12,2 12,0 Da 3 a 4 ore 15,2 11,7 8,2 7,7 Da 4 a 5 ore 7,9 3,4 6,3 4,8 Più di 5 ore 6,6 2,9 12,6 11 ,4 Non indica 0,2 1 ,1

Base 2.000 1.718 2.000 1.718

299

Page 302: Giovani anni 90. Terzo rapporto Iard sulla condizione giovanile in Italia

54. Frequenza di una serie di attività che si svolgono nel tempo libero, indagine del 1983 (stima riguardante i tre mesi precedenti l'intervista)

l o più l o più 1-2 volte Mai in volte la volte in 3 mesi 3 mesi settimana al mese

Ha fatto piccole ripatazioni in casa 10,0 17,9 23,4 48,7 Ha lavorato n eli' orto o nel giatdino 8,4 9,3 7,3 75,0 Ha suonato uno strumento musicale 10,2 4,2 4,0 81,7 Ha ballato in casa nostra o in casa

di amici 8,1 19,4 19,2 53,4 Ha ballato in un locale pubblico

(discoteca) 14,0 22,5 16,3 47,2 È andato al cinema 12,6 32,2 20,4 34,9 È andato ad un concerto di

musica leggera 1,1 6,4 15,3 77,2 È andato a teatro 0,8 2,6 6,4 90,4 È andato a vedere una , manifestazione sportiva 11,7 20,0 17,7 50,7 E entrato in un bat, caffè 68,3 17,9 7,6 6,3 Ha mangiato fuori casa in un

ristorante, ecc. 19,5 33,8 21,3 25,5 Ha guidato un'automobile 42,1 5,9 3,9 48,3 Ha usato il treno anche fuori dal suo

comune 10,0 13,7 18,8 57,5 Ha comperato dischi o cassette di

musica leggera 6,0 21,2 19,8 53,1 Ha comperato dischi o cassette di

musica classica 1,2 3,6 4,2 91,0 Ha usato un registratore o un , giradischi E andato in viaggio dormendo

58,5 16,6 6,2 18,8

almeno una volta fuori dal comune 6,9 17,8 33,9 41,3 di residenza

Ha visitato mostre o manifestazioni culturali 2,0 11,9 20,9 65,3

È entrato in una biblioteca pubblica 3,7 9,0 1 1,0 76,4

Ha praticato attivamente uno sport 23,0 8,1 5,6 63,4 Ha ascoltato dischi o cassette di

musica 68,2 15,1 5,3 1 1 ,6 È entrato in una libreria per

comperate libri (non di studio) 4,9 15,4 13,3 66,5

Base 2.000

Risposte multiple

300

Page 303: Giovani anni 90. Terzo rapporto Iard sulla condizione giovanile in Italia

FrequenZtl di una serie di attività che si svolgono nel tempo libero, indagine del 198 7 (stima riguardante i tre mesi precedenti l'intervista)

l o più l o più 1-2 volte Mai in volte la volte al in 3 mesi 3 mesi settimana mese

Ha suonato uno strumento musicale 9,1 3,5 4,4 82,8 Ha ballato in un locale pubblico

(discoteca) 15,3 20,0 22,2 42,5 È andato al cinema 10,6 3 1,5 26,9 30,8 È andato ad un concerto di musica , leggera E andato ad un concerto di musica

0,4 3,6 11 ,4 84,5

classica 0,3 1 ,1 2,8 95,5 È andato a teatro 0,3 3,4 9,2 86,7 È andato a vedere una

manifestazione sportiva 8,8 15,7 17,5 57,7 Ha comperato disclù o cassette di

musica leggera 4,0 18,3 24,9 52,6 Ha comperato disclù o cassette di

musica classica 0,4 2,3 3,7 93,3 È andato in viaggio dormendo

almeno una volta fuori dal comune di residenza 2,5 8,4 24,9 64,0

Ha visitato un museo o una mostra d'arte 0,5 4,3 16,9 77,9

Ha partecipato ad un convegno o ad un dibattito culturale 0,5 3,3 9,5 86,5

È entrato in una biblioteca pubblica 4,0 8,0 14,3 73,2 Ha praticato attivamente uno sport 27,3 7,8 5,6 59,0 Ha ascoltato disclù o cassette di

musica leggera 60,6 14,0 6,5 18,9 Ha ascoltato disclù o cassette di

musica classica 6,5 5,8 5,7 81,7 È entrato in libreria per comperare

libri non di studio 2,1 9,9 16,6 71,1 Ha letto libri non di studio 11,5 19,6 24,4 44,0

Base 2.000

Risposte multiple

301

Page 304: Giovani anni 90. Terzo rapporto Iard sulla condizione giovanile in Italia

Frequenza di una serie di attività che si svolgono nel tempo libero, indagine del 1992 (stima riguardante i tre mesi precedenti l'intervista)

l o più l o più 1-2 volte Mai in volte la volte al in 3 mesi 3 mesi settimana mese

Ha suonato uno strumento musicale 13,7 3,8 4,4 78,1 Ha ballato in un locale pubblico

(discoteca) 15,5 23,3 26,3 34,9 È andato al cinema 10,0 33,7 27,4 28,9 È andato ad un concerto di musica , leggera

E andato ad un concerto di musica 0,7 3,7 10,5 85,0

classica 0,4 2,0 3,7 93,9 È andato a teatro 0,9 6,6 18,3 74,2 È andato a vedere una , manifestazione sportiva E andato in viaggio dormendo

8,1 17,1 20,4 54,4

almeno una volta fuori dal comune di residenza 3,1 11 ,5 29,1 56,2

Ha visitato un museo o una mostra d'arte 1,0 6,1 21,2 71,7

Ha partecipato ad un convegno o ad un dibattito culrurale 1,4 5,6 14,6 78,3

È entrato in una biblioteca pubblica 8,7 12,8 16,5 62,0 Ha praticato attivamente uno sport 36,0 8,6 5,3 50,1 Ha ascoltato dischi o cassette di

musica leggera 75,1 9,4 3,9 11 ,6 Ha ascoltato dischi o cassette di

musica classica 13,6 9,5 9,0 67,9 È entrato in libreria per comperare

libri (non di studio) 3,9 15,3 21,2 59,7 Ha letto libri (non di studio) 12,2 23,9 27,7 36,1

Base 1.718

Risposte multiple

302

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55

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Page 308: Giovani anni 90. Terzo rapporto Iard sulla condizione giovanile in Italia

56. Distribuzione territoriale delle interviste

1983 1987 1992

Piemonte e Val d'Aosta 7,0 7,3 7,4 Liguria 2,3 2,7 2,5 Lombardia 16,0 15,2 15,0 Trentina-Alto Adige 1,5 1,8 1,7 Veneto 8,0 8,0 7,7 Friuli-Venezia Giulia 2,3 1,9 1,9 Emilia-Romagna 6,5 6,2 6,0 Toscana 5,9 5,5 5,5 Marche 2,2 2,2 1,9 Umbria 1,7 1,4 1 , 1 Lazio 7,8 9, 1 9,3 Abruzzo e Molise 2,6 2,7 1,9 Campania 10,8 1 1,1 12,5 Puglia 8,7 7,6 8,4 Basilicata 3,2 1,2 1,2 Calabria 2,8 4,2 3,9 Sicilia 7,6 9,2 9,3 Sardegna 3,0 3,2 3,0

Base 4.000 2.000 1.718

306

Page 309: Giovani anni 90. Terzo rapporto Iard sulla condizione giovanile in Italia

RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI

Page 310: Giovani anni 90. Terzo rapporto Iard sulla condizione giovanile in Italia
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Finito di stampare nell'ottobre 1993 dalla Litosei - Rastignano (Bo) con i tipi della linotipia «Linosprint» - Bologna

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STUDI E RICERCHE

ultimi volumi pubblicati:

299. Rita di Leo, Vecchi quadri e nuovi politici. Chi comanda dav­vero nell'ex Urss

300. Massimo Paci, Il mutamento della struttura sociale in Italia

301. Una politica industriale per la nuova legislatura. Quinto rap­porto sull'industria e la politica industriale italiana, a cura del Centro Europa Ricerche (CER) e dell'Istituto per la Ri­cerca Sociale (IRS)

302. Nuove relazioni industriali per l'Italia in Europa, a cura di Carlo Dell'Aringa e Tiziano Treu

303. I trasporti e l'industria, a cura di Marco Ponti

304. Fabio Padoa, Riforma della previdenza. Un'Italia diversa a portata di mano

305. Donatella della Porta, Lo scambio occulto. Casi di corruzione politica in Italia

306. Marco Gambaro - Francesco Silva, Economia della televi­sione

307. Antonio Roversi, Calcio, tifo e violenza. Il teppismo calcistico in Italia

308. Serge Moscovici - Willem Doise, Dissensi e consensi. Una teoria generale delle decisioni collettive

309. Paolo Pini, Cambiamento tecnologico e occupazione. Recenti modelli di disoccupazione tecnologica

310. Insegnare oggi. Prima indagine Iard sulle condizioni di vita e di lavoro nella scuola italiana, a cura di Alessandro Cavalli

311. Paolo De Ioanna, Parlamento e spesa pubblica. Profili istitu­zionali del bilancio pubblico in Italia

312. Votare un solo candidato. Le conseguenze politiche della pre­ferenza unica, a cura di Gianfranco P asquino

313. Giorgio F uà, Crescita economica. Le insidie delle ci/re

314. Competere in Europa. Mercato unico e capacità competitiva dell'industria italiana, a cura di Salvatore Rossi

Page 318: Giovani anni 90. Terzo rapporto Iard sulla condizione giovanile in Italia

315. Giuseppe Bonazzi, Il tubo di cristallo. Modello giapponese e Fabbrica Integrata alla Fiat Auto

316. Rita Cellerino, Oltre la tassazione ambientale. Nuovi stru­menti per il controllo dell'inquinamento

317. L'industria verde, a cura di Roberto Malaman e Sergio Paba

318. Inflazione, concorrenza e sviluppo. L'economia italiana e la sfida dell'integrazione europea, a cura di Stefano Micossi e Ignazio Visco

319. Marcella Ravenna, Adolescenti e droga. Percorsi e processi socio-psicologici del consumo

320. Maurizio Ferrera, Modelli di solidarietà. Politica e n/orme sociali nelle democrazie

321. Il mercato dei titoli di stato in Italia, a cura di Vittorio Conti e Rony Hamaui

322. Giuseppe Marotta - Giovanni Battista Pittaluga, La regola­mentazione degli intermediarz· bancari

323. Filippo Ciampolini, La didattica breve. Insegnare e studiare in meno tempo per una formazione a qualità totale

324. Rifiuti e ambiente. Aspetti economicz� tecnologici e giuridici, a cura di Siro Lombardini e Roberto Malaman

325. La crescita ineguale, 1981- 1991. Przmo rapporto sulla distrz·­buzione e sulla redistribuzione, a cura di Nicola Rossi

326. Ambiente e contabilità nazionale. Crescita, inquinamento, benessere, a cura di Ignazio Musu e Domenico Siniscalco

327. Le dzmensioni della disugualianza. Rapporto della Fonda­zione CESPE sulla disugualianza in Italia, a cura di Massimo Paci