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jl k l d o ^ c f b GIOVAMBATTISTA PALUMBO, MARIA ELISA CHININEA, FABIOLA BIGIARINI Autotutela tributaria Ravvedimento operoso e acquiescenza Accertamento con adesione e nuovi strumenti di adesione ai PVC Conciliazione Reclamo e mediazione Ristrutturazione dei debiti e transazione fiscale Interpello Tributi COME EVITARE LE LITI CON IL FISCO GLI ISTITUTI DEFLATIVI DEL CONTENZIOSO TRIBUTARIO II edizione

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GIOVAMBATTISTA PALUMBO, MARIA ELISA CHININEA, FABIOLA BIGIARINI

Giovambattista Palumbo

Maria Elisa Chininea

Fabiola Bigiarini

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• Autotutela tributaria

• Ravvedimento operoso e acquiescenza

• Accertamento con adesione e nuovi strumenti di adesione ai PVC

• Conciliazione

• Reclamo e mediazione

• Ristrutturazione dei debiti e transazione fiscale

• Interpello

T r i b u t i

COME EVITARE LE LITI CON IL FISCO

GLI ISTITUTI DEFLATIVI

DEL CONTENZIOSO

TRIBUTARIOII edizione

Giovambattista Palumbo, Maria Elisa Chininea, Fabiola Bigiarini

Gli istituti deflativi del contenzioso tributarioII edizione

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ISBN 978−88−6279−087−1

Finito di stampare nel mese di marzo 2013 presso Global Print S.r.l. - Gorgonzola (MI)

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A Federico e Lorenzo A Cosimo

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Indice

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Premessa

Tavole sinottiche

1. L’autotutela tributaria1.1 Profili

1.1.1 La disciplina 1.1.2 La natura del potere di autotutela tributaria1.1.3 La differenza tra autotutela tributaria e autotutela amministrativa1.1.4 Autotutela e Statuto del contribuente

1.2 Fonti1.3 Applicazioni

1.3.1 Organi competenti a esercitare l’autotutela1.3.2 I limiti oggettivi dell’autotutela1.3.3 Il procedimento di autotutela e l’impugnazione del diniego 1.3.4 Attivazione su richiesta del Garante e giurisdizione del giudice

amministrativo1.3.5 Scheda esempio - Richiesta di riesame in autotutela 1.3.6 Scheda esempio - Provvedimento di autotutela parziale

1.4 Effetti 1.4.1 Autotutela in corso di giudizio e pagamento delle spese processuali1.4.2 La condanna al risarcimento del danno1.4.3 L’autotutela sostitutiva1.4.4 L’autotutela sospensiva

2. Il ravvedimento operoso2.1 Profili

2.1.1 La disciplina2.1.2 Novità del decreto semplificazioni fiscali2.1.3 Riparto del cinque per mille2.1.4 Indeducibilità di costi e spese per beni e servizi utilizzati per delitti

non colposi2.2 Fonti 2.3 Applicazioni

2.3.1 Termini per la regolarizzazione e commisurazione della sanzione amministrativa

2.3.2 Modalità operative2.3.3 La più recente giurisprudenza in tema di ravvedimento operoso

2.4 Quesiti2.4.1 Riduzione credito Irpeg o Irap2.4.2 Il ravvedimento in caso di errore codice ufficio2.4.3 Il ravvedimento frazionato2.4.4 D.l. 98/2011: il ritardo nel versamento inferiore a 15 giorni

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3. L’acquiescenza3.1 Profili

3.1.1 La disciplina3.2. Fonti3.3. Applicazioni

3.3.1 Presupposti3.3.2 Il termine3.3.3 Modalità di versamento delle somme dovute

3.4. Effetti3.4.1 Riduzione delle sanzioni3.4.2 Altri effetti di natura premiale

3.5. Quesiti

4. L’accertamento con adesione4.1 Profili

4.1.1 La natura dell’accertamento con adesione4.1.2 La disciplina e il procedimento4.1.3 Gli effetti del perfezionamento dell’adesione4.1.4 Il contraddittorio con il contribuente e la motivazione dell’atto

di adesione4.2 Fonti4.3 Applicazioni

4.3.1 Accertamento e consolidato4.4 Effetti

4.4.1 La forma dell’atto di adesione4.4.2 La sospensione dei termini 4.4.3 Il pagamento4.4.4 La più recente giurisprudenza

4.5 Quesiti4.5.1 Instaurazione del giudizio prima del perfezionamento dell’atto

di adesione4.5.2 Gli interessi nell’adesione agli accertamenti

5. L’adesione ai processi verbali di constatazione5.1 Profili

5.1.1 Introduzione5.1.2 Disciplina

5.2 Fonti5.3 Applicazioni

5.3.1 Premessa5.3.2 Violazioni oggetto dell’adesione5.3.3 Le modalità di adesione ai processi verbali di constatazione5.3.4 Momento di perfezionamento dell’adesione al PVC5.3.5 La più recente giurisprudenza

5.4 Effetti5.4.1 Differenze tra l’acquiescenza e l’accertamento con adesione

5.5 Quesiti

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6. Definizione dell’accertamento su invito al contraddittorio6.1 Profili

6.1.1 Premessa6.1.2 Tipologie di controllo

6.2 Fonti6.3 Applicazioni

6.3.1 Premessa6.3.2 Modalità di adesione6.3.3 Definizione nel caso di inviti a società di persone6.3.4 Definizione dell’invito al contraddittorio in materie di altre imposte indirette

6.4 Effetti6.4.1 Confronto con l’accertamento con adesione6.4.2 Limite agli accertamenti analitico - induttivi

6.5 Quesiti

7. La conciliazione 7.1 Profili

7.1.1 La disciplina7.1.2 La natura giuridica dell’istituto

7.2 Fonti 7.3 Applicazioni

7.3.1 La conclusione dell’accordo conciliativo7.3.2 La conciliazione delle liti relative ad accertamenti a società di persone7.3.3 I limiti della conciliazione giudiziale in relazione a determinati

atti impositivi7.3.4 Scheda esempio - Proposta di conciliazione da parte del contribuente7.3.5 Scheda esempio - Proposta di conciliazione da parte dell’Ufficio

7.4 Effetti7.4.1 Il pagamento7.4.2 Rifiuto della conciliazione e refusione delle spese di lite

8. Ristrutturazione dei debiti e transazione fiscale8.1 Profili

8.1.1 Premessa8.1.2 Gli accordi di ristrutturazione dei debiti8.1.3 Transazione fiscale8.1.4 La transigibilità dei contributi previdenziali ed assistenziali 8.1.5 Gli “accessori” 8.1.6 La percentuale, i tempi di pagamento e le eventuali garanzie

8.2 Fonti8.3 Applicazioni

8.3.1 Presentazione della proposta di transazione8.3.2 Consolidamento del debito fiscale8.3.3 Valutazione della proposta di transazione8.3.4 Proposta di dilazione del pagamento 8.3.5 Conclusioni e sintesi degli adempimenti

8.4 Effetti

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8.4.1 Natura chirografaria o privilegiata del credito e crediti iscritti o non iscritti a ruolo

8.4.2 Crediti tributari muniti di prelazione8.4.3 Crediti tributari privilegiati8.4.4 Facoltatività della transazione fiscale

8.5 Quesiti8.5.1 Deposito della domanda di accordo sui crediti fiscali

9. L’interpello9.1 Profili

9.1.1 La disciplina9.2 Fonti9.3. Applicazioni

9.3.1 I requisiti dell’istanza di interpello «ordinario»9.3.2 Il termine9.3.3 Interpelli presentati dalle imprese di rilevanti dimensioni

9.4. Effetti9.4.1 L’interpello antielusivo 9.4.2 L’interpello disapplicativo9.4.3 L’interpello CFC9.4.4 Il ruling internazionale

9.5 Quesiti

10. Il reclamo e la mediazione10.1 Profili

10.1.1 La disciplina10.1.2 L’istanza di mediazione

10.2 Fonti10.3 Effetti

10.3.1 Gli effetti della presentazione dell’istanza10.4 Applicazioni

10.4.1 L’accordo di mediazione10.4.2 La riduzione delle sanzioni in caso di mediazione10.4.3 Il perfezionamento della mediazione10.4.4 Il diniego all’istanza10.4.5 L’instaurazione del giudizio10.4.6 Indicazioni operative10.4.7 Conclusioni

10.5 Quesiti e formulario

11. La definizione delle liti pendenti11.1 Profili

11.1.1 La disciplina11.2 Fonti11.3 Applicazioni

11.3.1 La lite definibile11.3.2 Le fattispecie comprese e le fattispecie escluse dalla nozione

di lite definibile

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11.4 Effetti 11.4.1 Procedura e perfezionamento della definizione11.4.2 Il “costo” della definizione

11.5 Quesiti

12. La composizione delle controversie fiscali internazionali12.1 Profili

12.1.1 Premessa12.1.2 Le fonti giuridiche “internazionali”12.1.3 Fonti giuridiche “interne”

12.2 Fonti12.3 Applicazioni

12.3.1 L’art. 25 del modello OCSE12.3.2 La Convenzione arbitrale

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Premessa

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Premessa

Vista l’alea e l’incertezza che caratterizza il contenzioso tributario (come peraltro tutti icontenziosi), sia per l’Amministrazione che per il contribuente, in un’ottica di deflazionedello stesso contenzioso assumono oggi sempre più rilevanza istituti quali il ravvedimentooperoso, l’adesione, la conciliazione, la transazione fiscale ed infine la recente mediazione.In tale contesto il contraddittorio che si instaura tra contribuente ed Amministrazioneriveste un ruolo centrale ai fini della positiva o negativa conclusione transattiva.La possibilità di concludere accordi transattivi con l’Amministrazione finanziaria, peraltro,si può conciliare con l’azione di contrasto all’evasione fiscale, sempre che non si tramutiin una distorsione del principio di indisponibilità dell’obbligazione tributaria.Il diritto tributario, del resto, oltre al fatto di essere caratterizzato da norme tecniche par-ticolarmente complesse e frammentate, a differenza per esempio del diritto penale, èspesso incentrato su di un’applicazione di presunzioni legali, che prescindono cioè dal-l’effettivo accertamento dei fatti e che lasciano dunque, comunque, un’alea sulla effettivitàdella pretesa tributaria, la quale si presta quindi in questi casi ad ipotesi transattive(pensiamo in particolare a strumenti statistici di accertamento come il recente red-ditometro o gli studi di settore, o ancora la valutazione dell’avviamento nelle cessioni diazienda).Il funzionario pubblico nel perseguire i risultati richiestigli dalla legge, lo deve fare del restosecondo le modalità indicate dalla stessa legge.L’assunzione di responsabilità, mediante una comunque soggettiva interpretazione nel-l’applicazione della norma (come appunto accade ogni volta in cui si raggiunge unaccordo transattivo fra contribuente ed Amministrazione finanziaria), sarà quindi possibilesolo quando, magari in un contesto di lacunosa indicazione normativa o giurisprudenzialeo di incertezza fattuale, tale interpretazione sia necessaria per raggiungere l’obiettivoprefissato, che resta sempre e comunque quello del legittimo contrasto all’evasionefiscale.

Gli Autori

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Tavole sinottiche

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Tavole sinottiche Capitolo 1 – L’autotutela tributaria Riferimenti normativi Presupposti Adempimenti Effetti Art. 2-quater, d.l. n. 564/1994

L’aver ricevuto un avviso di accertamento illegittimo o infondato, con il limite rappresentato dalla presenza di una sentenza di merito passata in giudicato e favorevole alla stessa Amministrazione finanziaria.

Presentare all’ufficio un’istanza di annullamento, totale o parziale, dell’atto di accertamento.

Annullamento dell’atto.

Capitolo 2 – Il ravvedimento operoso Riferimenti normativi Presupposti Adempimenti Effetti Art. 13, d.lgs. n. 472/1997

La violazione non deve essere stata già constatata e comunque non devono essere iniziati accessi, ispezioni, verifiche o altre attività amministrative di accertamento delle quali l’autore abbia avuto formale conoscenza.

a) Regolarizzazione dell’operazione; b) pagamento dell’eventuale imposta, unitamente agli interessi calcolati giorno per giorno; c) pagamento contestuale della sanzione amministrativa.

Riduzione, in varia mi-sura, delle sanzioni amministrative applicabili.

Tavole sinottiche

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Capitolo 3 – L’acquiescenza Riferimenti normativi Presupposti Adempimenti Effetti Art. 15, d.lgs. n. 218/1997

a) L’atto di accertamento non sia impugnato; b) non sia presentata istanza di accertamento con a-desione; c) si provveda al pagamento, entro il termine per la proposizione del ricorso, delle somme complessivamente dovute.

Provvedere al pagamento, entro il termine per la proposizione del ricorso, delle somme complessivamente dovute.

a) Riduzione delle sanzioni a 1/3 del minimo; b) riduzione a 1/6 se l’avviso di accertamento o di liquidazione non è stato preceduto dall’invito al contraddittorio formulato ai sensi degli artt. 5 o 11 del d.lgs. n. 218/1997. La medesima agevo-lazione non si applica qualora il contribuente, pur potendo, non abbia definito direttamente i processi verbali di constatazione, ai sensi dell’art. 5-bis del d.lgs. n. 218/1997.

Capitolo 4 – L’accertamento con adesione Riferimenti normativi Presupposti Adempimenti Effetti D.lgs. n. 218/1997 L’aver subìto un

accesso, un’ispezione, una verifica o l’aver ricevuto un avviso di accertamento.

a) Sottoscrizione da parte del contribuente dell’atto di adesione e versamento; b) delle somme dovute (o della prima rata in caso di rateazione) entro venti giorni dalla firma.

a) Riduzione delle sanzioni a 1/3 del mi-nimo; b) limiti a ulteriore azione accertatrice per il medesimo periodo di imposta.

Tavole sinottiche

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Capitolo 5 – L’adesione ai processi verbali di contestazione Riferimenti normativi Presupposti Adempimenti Effetti Art. 5-bis, comma 1, d.lgs. n. 218/1997

a) L’aver ricevuto PVC in materia di imposte sui redditi e di imposta sul valore aggiunto che consentano l’emissione di accertamenti parziali previsti dall’art. 41-bis del d.P.R. n. 600/1973 e dall’art. 54, quarto comma, del d.P.R. n. 633/1972; b) l’integrale accettazione da parte del contribuente dei rilievi del PVC.

Presentare all’Ufficio la comunicazione su apposito modello entro il trentesimo giorno successivo alla notifica del PVC. Con la notifica dell’atto di definizione dell’accertamento parziale da parte dell’Ufficio si perfeziona il procedimento e insorge in capo al contribuente l’obbligo di versare le somme dovute.

a) Riduzione delle sanzioni a 1/6 del mi-nimo; b) limiti a ulteriore azione accertatrice per il medesimo periodo di imposta.

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Capitolo 6 – La definizione dell’accertamento su invito al contraddittorio Riferimenti normativi Presupposti Adempimenti Effetti Art. 5, commi da 1-bis a 1-quinquies, d.lgs. n. 218/1997

L’adesione all’invito al contraddittorio non può attuarsi se l’invito riguarda un processo verbale di constatazione che determina l’emissione di un accertamento “parziale” e gli interessati non abbiano effettuato l’adesione, ai sensi dell’art. 5-bis del d.lgs. n. 218/1997, ai contenuti dell’atto.

Per comunicare l’adesione all’invito va utilizzato lo stesso mo-dello da impiegare per la definizione al PVC di cui all’art. 5-bis. Alla comunicazione, oltre alla quietanza di pagamento, occorre allegare anche copia di un documento di iden-tità o di riconoscimen-to. Presupposto per il perfezionamento, unitamente alla presentazione della comunicazione, è l’avvenuto versamento da parte del contribuente.

a) Riduzione delle sanzioni a 1/6 del mi-nimo; b) limite alla possibilità per l’Amministrazione finanziaria di effettuare accertamenti presuntivi in caso di adesione all’invito, nel caso in cui l’invito derivi da controlli da studi di settore (art.10-ter, legge n. 146/1998). Il limite vale solo nel caso in cui si verifichino due presupposti: - l’ammontare delle attività non dichiarate, derivanti dalla ricostruzione presuntiva, non deve essere superiore a 50.000 euro; - l’ammontare delle attività non dichiarate, derivanti dalla ricostruzione di tipo presuntivo, deve risultare pari o inferiore al 40% dei ricavi o compensi definiti.

Tavole sinottiche

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Capitolo 7 – La conciliazione Riferimenti normativi Presupposti Adempimenti Effetti Art. 48, d.lgs. n. 546/1992

Possono formare oggetto di conciliazione tutte le controversie, purché l’accordo venga raggiunto entro il primo grado del giudizio e più precisamente entro la prima udienza di trattazione.

a) Istanza: - entro 10 giorni prima della data di trattazione con deposito e notifica alle altre parti; - direttamente in udienza se essa è formulata dalla Comm. Trib. Prov. con termine alle parti per aderire; - dopo la fissazione della data di trattazione ed entro la trattazione in camera di consiglio o la discussione in pubblica udienza con deposito dell’istanza dell’Ufficio e preventiva adesione del contribuente; - fuori udienza, prima della data di trattazione con deposito da parte dell’Ufficio dell’accordo conciliativo raggiunto con il contribuente; b) versamento diretto in un’unica soluzione ovvero in forma rateale.

Gli effetti della conciliazione sono di natura sostanziale e processuale, in quanto estinguono il giudizio senza possibilità che il medesimo possa tornare in vita, stante la intangibilità dell’atto negoziale di conciliazione. Riduzione delle sanzioni al 40% delle somme irrogabili in relazione all’ammontare del tributo risultante da conciliazione.

Tavole sinottiche

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Capitolo 8 – La ristrutturazione dei debiti Riferimenti normativi Presupposti Adempimenti Effetti D.lgs. n. 169/2007

Accordo di ristrutturazione dei debiti stipulato con i creditori rappresentanti almeno il sessanta per cento dei crediti.

Relazione redatta da un professionista sull’attuabilità dell’accordo stesso, con particolare riferimento alla sua idoneità ad assicurare il regolare pagamento dei creditori estranei.

a) Composizione concordata e agevolata della crisi; b) sospensione automatica degli atti esecutivi e delle azioni cautelari sul patrimonio del debitore, per sessanta giorni dalla pubblicazione dell’accordo.

Capitolo 8 – La transazione fiscale Riferimenti normativi Presupposti Adempimenti Effetti D.lgs. n. 169/2007 La proposta di

transazione deve essere presentata unitamente alla domanda di concordato depositata presso il Tribunale e conte-stualmente presentata al Concessionario della riscossione e al competente Ufficio dell’Agenzia delle entrate.

Una volta presentata la domanda, entro i 30 giorni successivi, il Concessionario deve trasmettere al debitore una «certificazione atte-stante l’entità del debito iscritto a ruolo scaduto o sospeso». In questo stesso termine l’Ufficio deve liquidare i tributi risultanti dalle dichiara-zioni e notificare even-tuali avvisi di irregolarità o atti di accertamento. L’adesione alla proposta di concordato si perfeziona con atto del Direttore dell’Ufficio, su parere conforme della competente Direzione regionale, espresso me-diante voto favorevole in sede di adunanza dei creditori.

a) Possibilità di pagamento in misura ridotta e/o dilazionata del credito tributario privilegiato, oltre che di quello chirografario; b) cessazione della materia del contendere nelle liti aventi a oggetto i tributi per i quali si è perfezionata la transazione.

Tavole sinottiche

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Capitolo 9 – L’interpello Riferimenti normativi Presupposti Adempimenti Effetti Art. 11, legge n. 212/2000

L’interpello deve essere riferito ad atti, operazioni o iniziative riconducibili direttamente alla sfera di interessi del soggetto istante. In particolare, le istanze ammissibili: a) non possono riguardare fattispecie meramente ipotetiche; b) devono essere documentate; c) non possono riferirsi a ipotesi generali, normalmente disciplinate dalle circolari. L’istanza de-ve essere inoltre pre-sentata prima di porre in essere il comportamento rilevante ai fini tributari. L’istanza è ammissibile solo qualora riguardi questioni per le quali sussistano obiettive condizioni di incertezza.

L’istanza deve essere rivolta al Direttore regionale dell’Agenzia delle entrate competen-te per territorio, spedita in plico raccomandato con avviso di ricevimento, all’ufficio locale dell’Agenzia delle entrate territorialmente competente e deve in-dicare i dati identificati-vi. L’istanza deve inoltre contenere: a) la descrizione completa della fattispecie; b) l’indicazione delle disposizioni di legge di cui viene richiesta la disapplicazione; c) l’enunciazione dei motivi e l’indicazione degli elementi sulla ba-se dei quali il contri-buente intende dimo-strare che, nella fatti-specie concreta, gli ef-fetti elusivi non si verifi-cano. L’Ufficio, entro 30 giorni dal ricevimento dell’istanza, deve trasmetterla, unitamen-te al proprio parere, al Direttore regionale che, a sua volta, nel termine di 30 giorni dalla data di ricevimento dell’istanza da parte dell’Ufficio, è tenuto a comunicare al contribuente le deter-minazioni assunte con provvedimento avente carattere definitivo.

a) In caso di risposta positiva, efficacia limitata al caso concreto e personale con limiti alla possibilità di accertamento; b) in caso di risposta negativa, nessun obbligo per il contribuente di adeguarsi alla risposta ma potenziale conflitto con l’Amministrazione finanziaria.

Tavole sinottiche

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Capitolo 10 – Mediazione Riferimenti normativi Presupposti Adempimenti Effetti Art. 17-bis del D.Lgs. n. 546 del 1992

Controversie di valore non superiore a ventimila euro, relative ad atti dell’Agenzia delle Entrate, notificati a decorrere dal 1° aprile 2012

L’istanza può essere alternativamente presentata: - dal contribuente che ha la capacità di stare in giudizio, sia diret-tamente sia a mezzo di procuratore generale o speciale; la procura va conferita con atto pubblico o per scrittura privata autenticata; - dal rappresentante legale del contribuente che non ha la capacità di stare in giudizio. - dal difensore, nelle controversie di valore pari o superiore a 2.582,28 euro. L’istanza va notificata: - a pena di inammis-sibilità, entro sessanta giorni dalla data di notificazione dell’atto che il contribuente intende impugnare; - nel caso di rifiuto tacito opposto a una domanda di rimborso, l’istanza può essere proposta dopo il novantesimo giorno dalla domanda di rimborso presentata entro i termini previsti da ciascuna legge d’imposta e fino a quando il diritto alla restituzione non è prescritto.

La notifica dell’istanza di mediazione produce l’effetto di interrompe-re il decorso del termine di decadenza per l’impugnazione dell’atto. La notifica-zione dell’istanza e-quivale alla notifica-zione del ricorso. Accertata l’ammissibilità dell’istanza e verifica-ta l’impossibilità di procedere a un annullamento dell’atto impugnato, l’Ufficio valuterà, anche in as-senza di proposta formulata dal contri-buente, la sussistenza dei presupposti per la mediazione. Una volta conclusa con la sottoscrizione, la mediazione si perfeziona con il pagamento delle somme dovute. In caso di avvenuta mediazione, le sanzioni amministrative si applicano nella misura del 40% delle somme irrogabili in rapporto dell’ammontare del tributo risultante dalla mediazione.

Capitolo 1 – L’autotutela tributaria

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1. L’autotutela tributaria 1.1 Profili 1.1.1 La disciplina Il comma 1 dell'art. 2-quater del d.l. 30 settembre 1994, n. 564 (convertito con modifi-cazioni dalla l. conv. 30 novembre 1994, n. 656, poi integrato dall'art. 27 della l. 18 febbraio 1999, n. 28) stabilisce che: «Con decreti del ministro delle Finanze sono indi-cati gli organi dell'Amministrazione finanziaria competenti per l'esercizio del potere di annullamento d'Ufficio o di revoca, anche in pendenza di giudizio o in caso di non im-pugnabilità, degli atti illegittimi o infondati. Con gli stessi decreti sono definiti i criteri di economicità sulla base dei quali si inizia o si abbandona l'attività dell'amministrazione». Il comma 1-bis dispone poi che: «Nel potere di annullamento o di revoca di cui al comma 1 deve intendersi compreso anche il potere di disporre la sospensione degli effetti dell'atto che appaia illegittimo o infondato». A sua volta, il comma 1-quinquies stabilisce che: «La sospensione degli effetti dell'atto disposta anteriormente alla proposizione del ricorso giurisdizionale cessa con la notifi-cazione, da parte dello stesso organo, di un nuovo atto, modificativo o confermativo di quello sospeso; il contribuente può impugnare, insieme a quest'ultimo, anche l'atto modificato o confermato». In attuazione della sopra indicata normativa, il d.m. 11 febbraio 1997, n. 37, all’art. 1 individua nell’Ufficio che ha emanato l’atto illegittimo, o che è competente per gli ac-certamenti d’Ufficio, ovvero in via sostitutiva, in caso di grave inerzia, nella Direzione regionale dalla quale l’Ufficio stesso dipende, gli organi competenti per l’esercizio del potere di annullamento e di revoca d’Ufficio o di rinuncia all’imposizione. L’art. 4 del d.m. n. 37/1997 stabilisce in particolare che: «Nel caso in cui l’importo dell’imposta, sanzioni ed accessori oggetto di annullamento o di rinuncia all’imposizione... o della agevolazione superi lire un miliardo (pari agli attuali euro 516.456,90, NdA)… l’annullamento è sottoposto al preventivo parere della Direzione regionale o compartimentale da cui l’Ufficio dipende». L’art. 2 dello stesso decreto, con un’elencazione solo esemplificativa, specifica poi al-cune ipotesi di annullamento d’Ufficio o di rinuncia all’imposizione, sussistendo le quali l’Ufficio può eventualmente procedere all’annullamento, anche solo parziale, del pro-prio atto impositivo. I casi tipici di autotutela prospettati dalla norma si riferiscono a: errore di persona; evidente errore logico o di calcolo; errore sul presupposto; doppia imposizione;

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mancata considerazione di pagamenti regolarmente eseguiti; mancanza di documentazione sanata dalla successiva produzione entro i termini di

decadenza; sussistenza dei requisiti per fruire di deduzioni, detrazioni o agevolazioni preceden-

temente non riconosciute; errore materiale del contribuente facilmente riconoscibile. L’unico limite alla possibilità di procedere ad autotutela tributaria è rappresentato dalla presenza di una sentenza di merito, passata in giudicato e favorevole alla stessa Am-ministrazione finanziaria (comma 2, art. 2, d.m. n. 37/1997). 1.1.2 La natura del potere di autotutela tributaria Poter provvedere ad annullare direttamente, cioè senza preventivo intervento giurisdi-zionale, i propri atti costituisce una potestà tipica della Pubblica Amministrazione. Tale capacità di riesaminare il proprio operato risponde infatti all’esigenza di assicurare il perseguimento dell’interesse pubblico a cui tutti i poteri amministrativi sono subordi-nati ed è attuata attraverso il riesame e l’eventuale correzione o rimozione degli atti vi-ziati, sia sotto il profilo della legittimità che del merito. In caso però di autotutela tributaria si pone il problema che, annullando gli atti impositi-vi, l’Amministrazione non sembra perseguire un interesse pubblico specifico, ulteriore naturalmente rispetto a quello del generico ripristino della legalità violata, rinunciando anzi a un credito in teoria caratterizzato dal vincolo dell’indisponibilità. I dubbi al riguardo sono stati dunque superati con l’introduzione dell’art. 68, comma 1, del d.P.R. 27 marzo 1992, n. 287, in base al quale gli uffici, salvo che sia intervenuto giudicato, possono «procedere all’annullamento totale o parziale dei propri atti riconosciuti illegittimi o infondati con provvedimento motivato, da comunicarsi al destinatario dell’atto». L’articolo citato ometteva però di dettare disposizioni procedimentali per il concreto esercizio del potere di autotutela. Il legislatore vi ha quindi provveduto, prima con l’art. 2-quater della l. 30 novembre 1994, n. 656 (di conversione del d.l. 30 settembre 1994, n. 564), e poi con il d.m. n. 37/1997. Oggetto dell’autotutela tributaria possono dunque essere oggi gli avvisi di accertamen-to, di liquidazione e di irrogazione di sanzioni, e tutti gli altri atti che comunque incidano negativamente nella sfera giuridica del contribuente, quali ad esempio il ruolo e gli atti di diniego di agevolazioni fiscali o di rimborso. Come detto, l’autotutela tributaria investe atti posti in essere dall’ente impositore nell’esercizio di un’attività legislativamente vincolata e tale carattere «vincolato» si estende anche alla successiva fase del riesame, non riconducibile alla sfera della pura discrezionalità amministrativa. In caso di autotutela, quindi, l’attività dei funzionari dell’Amministrazione finanziaria è piutto-sto caratterizzata da discrezionalità tecnica, intesa come accertamento dei fatti che si ac-compagna ad attività vincolata (conseguenze giuridiche legate ai fatti accertati).

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L’autotutela rappresenta dunque una manifestazione del potere di riesame dell’Amministrazione. L’Amministrazione può in particolare assumere determinazioni in via di autotutela, ai sensi della legge 7 agosto 1990, n. 241, ove è disposto che: «Per sopravvenuti motivi di pubblico interesse ovvero nel caso di mutamento della si-

tuazione di fatto o di nuova valutazione dell’interesse pubblico originario, il provvedi-mento amministrativo ad efficacia durevole può essere revocato da parte dell’organo che lo ha emanato ovvero da altro organo previsto dalla legge. La revoca determina la inidoneità del provvedimento revocato a produrre ulteriori effetti. Se la revoca compor-ta pregiudizi in danno dei soggetti direttamente interessati, l’amministrazione ha l’obbligo di provvedere al loro indennizzo. Le controversie in materia di determinazione e corresponsione dell’indennizzo sono attribuite alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo» (art. 21-quinquies, Revoca del provvedimento);

«Il provvedimento amministrativo illegittimo ai sensi dell’articolo 21-octies può essere an-nullato d’Ufficio, sussistendone le ragioni di interesse pubblico, entro un termine ragione-vole e tenendo conto degli interessi dei destinatari e dei controinteressati, dall’organo che lo ha emanato, ovvero da altro organo previsto dalla legge. È fatta salva la possibilità di convalida del provvedimento annullabile, sussistendone le ragioni di interesse pubblico ed entro un termine ragionevole» (art. 21-nonies, Annullamento d’Ufficio).

L’annullamento degli atti in autotutela deve comunque essere sempre giustificato da concrete ragioni di interesse pubblico alla rimozione del provvedimento. L’Amministrazione deve quindi procedere a una valutazione in ordine all’opportunità dell’annullamento, anche al di là delle mere ragioni di ripristino della legalità. 1.1.3 La differenza tra autotutela tributaria e autotutela amministrativa L’autotutela tributaria è caratterizzata da una connotazione specifica, diversa da quella puramente amministrativa. In campo amministrativo infatti vi è un bilanciamento di interessi diverso da quello tribu-tario, ove l’esercizio dell’autotutela, oltre a dover conformarsi ai principi di imparzialità, trasparenza e buon andamento, deve tenere comunque conto anche degli specifici principi costituzionali che presiedono al prelievo tributario e in particolare del principio in base al quale tutti devono concorrere alle spese pubbliche in ragione della propria capacità contributiva (art. 53, Cost.). Un’altra sostanziale differenza tra autotutela amministrativa e autotutela tributaria risie-de inoltre nel fatto che in campo tributario, a differenza che in campo amministrativo, la posizione del soggetto passivo è sempre di diritto soggettivo. L’interesse legittimo presuppone infatti un potere discrezionale che nel diritto tributario, come detto, non esiste, o comunque non esiste in maniera piena. In campo tributario, infatti, quando si deve decidere di eliminare un atto illegittimo, l’interesse da valutare (rectius: il primo interesse da valutare) riguarderà il ristabilimento di una giusta imposizione in base al principio costituzionale già citato.

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L’autotutela tributaria è quindi finalizzata a tutelare il principio di eguaglianza sostanziale e ad assicurare che il contribuente concorra alle spese pubbliche in ragione della pro-pria capacità contributiva e secondo criteri di progressività. Circa la peculiarità dell’autotutela tributaria rispetto a quella ordinaria amministrativa, anche la dottrina non è comunque orientata in modo univoco. Da un lato, infatti, vi sono coloro che attribuiscono al contribuente la titolarità di un inte-resse di mero fatto e limitano dunque di molto l’ambito di applicabilità dell’autotutela in materia tributaria; per esempio, in caso di provvedimenti definitivi, l’autotutela sarebbe assolutamente inconfigurabile. In senso opposto si pone invece chi giustifica il potere di annullamento con il solo riferi-mento al ripristino della legalità violata. Secondo tale tesi, infatti, dato il carattere vincolato dell’esercizio dell’attività impositiva, l’Amministrazione finanziaria non dovrebbe, né po-trebbe perseguire interessi diversi rispetto a quello della corretta e giusta imposizione. L’impostazione prevalente si pone in una posizione intermedia rispetto alle due tesi so-pra esposte, senza peraltro risultare del tutto univoca. Da un lato, infatti, vi è chi, ravvisando nel potere di autotutela tributaria l’espressione di una funzione distinta da quella impositiva (suo presupposto), attribuisce allo stesso il carattere della discrezionalità, evidenziando come l’Amministrazione sia in tal caso chiamata a compiere una ponderazione tra esigenze diverse: da una parte, quella al ripristino della legalità e dall’altra quella della certezza e stabilità dei rapporti esauriti, in modo analogo e corrispondente alle altre Pubbliche amministrazioni. Secondo tale tesi il contribuente avrebbe quindi una posizione soggettiva, indiretta-mente tutelata (interesse legittimo), a che l’esercizio del potere di annullamento si esplichi in modo ragionevole e non arbitrario, pena il ricorso al giudice amministrativo, per eccesso di potere. In caso di diniego di autotutela l’intervento del giudice amministrativo potrebbe portare all’annullamento dello stesso diniego, potendo il giudice decidere anche in ordine ai criteri di giudizio a cui l’amministrazione si deve uniformare nel riesercizio della funzione impositiva, pena il ricorso al giudizio di ottemperanza (interesse legittimo quindi, a con-tenuto sostanziale e procedimentale). Vi è invece chi attribuisce al contribuente la titolarità di un interesse legittimo di natura so-lo procedimentale: un interesse cioè alla mera correttezza del procedimento di riesame. Anche la sussistenza di un tale interesse attribuirebbe quindi al contribuente una tutela giurisdizionale davanti al giudice amministrativo, ma solo in relazione all’inizio del pro-cedimento di riesame e all’adozione di un provvedimento motivato: non sarebbe infatti attribuita alcuna tutela a fronte dell’adozione di un eventuale provvedimento. In tale ipotesi il giudice amministrativo potrebbe solo rilevare l’eccesso di potere da parte dell’Amministrazione, con conseguente condanna della stessa alla mera reiterazione dell’attività di riesame. Vi è, infine, chi sostiene che il legislatore, con l’emanazione di apposita disciplina rego-lamentare, ha sancito la peculiarità dell’autotutela tributaria, nel senso che, a seguito della presentazione dell’istanza di parte, il procedimento di riesame deve ritenersi ora-

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mai avviato, senza possibilità per l’Amministrazione di decidere se concluderlo o meno, pronunciandosi in modo espresso sull’istanza presentata. Se dunque, in base a tale tesi, è vero che l’Ufficio ha il dovere di riesaminare e di co-municare l’esito al contribuente, non può quindi non tutelarsi anche la legittima aspet-tativa dell’istante alla conclusione del procedimento entro un dato termine, il cui inutile decorso comporterà silenzio-rifiuto e dunque la possibilità di richiedere il controllo giuri-sdizionale, da parte del giudice tributario, in ordine all’obbligo di provvedere. 1.1.4 Autotutela e Statuto del contribuente L’art. 13, comma 6, della l. 27 luglio 2000, n. 212, c.d. Statuto del contribuente, nel disciplinare le funzioni del Garante del contribuente, ha riconosciuto a tale organo la possibilità di attivare le procedure di autotutela nei confronti di atti amministrativi di ac-certamento o di riscossione notificati al contribuente. Si tratta, in realtà, di funzioni più di sollecitazione che non di soluzione delle problematiche segnalate dai contribuenti. Innanzitutto, l’attivazione dell’autotutela da parte del Garante ai sensi dell’art. 13, comma 6, può scaturire «anche» da apposita segnalazione inviata per iscritto dal con-tribuente, ovvero da qualsiasi altro soggetto interessato alla richiesta, che lamenti di-sfunzioni, irregolarità, scorrettezze, prassi amministrative anomale o irragionevoli. Emerge dunque chiaramente che l’attivazione può avvenire d’Ufficio, senza cioè un preciso ed espresso input da parte degli interessati. I presupposti indicati dall’art. 13, ovviamente, non sono tassativi, trattandosi piuttosto di mere indicazioni. Per quanto riguarda poi il procedimento, ricevuta l’istanza del contribuente o del terzo, ovvero, una volta venuto a conoscenza di comportamenti non conformi alle norme vi-genti, il Garante deve innanzitutto attivare gli Uffici, al fine di richiedere e ottenere do-cumenti di interesse o specifici chiarimenti. Differente, invece, risulta l’approccio ai fini dell’autotutela. Questa può essere attivata esclusivamente per gli atti amministrativi di accertamento o di riscossione notificati al contribuente. La diversità delle situazioni e, conseguentemente, delle funzioni del Garante è provata anche dagli obblighi che ne derivano a carico degli Uffici. Infatti, mentre nel primo caso, è stato fissato un termine di trenta giorni entro il quale questi devono provvedere a quanto di competenza (invio di documenti, chiarimenti, ecc.), nel secondo, a fronte dell’attivazione, non è stato previsto alcun obbligo, nean-che in termini di mera informazione in ordine alle decisioni assunte. Una seconda limitazione emerge inoltre direttamente dalla lettura dell’art. 13, comma 6, posto che non rileva qualsiasi atto impositivo o di riscossione, ma soltanto quelli che sono stati «notificati» al contribuente. Al Garante inoltre non è in ogni caso consentito entrare nel merito della pretesa creditoria.

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1.2 Fonti Normativa L. 18 febbraio 1999, n. 28 - art. 27 D.m. 11 febbraio 1997, n. 37 D.l. 30 settembre 1994, n. 564 - art. 2-quater D.P.R. 27 marzo 1992, n. 287 - art. 68 L. 7 agosto 1990, n. 241 - artt. 21-quinquies, 21-octies e 21-nonies Prassi Circ. min. 28 marzo 2008, n. 29/E Circ. min. 5 agosto 1998, n. 198/E Circ. min. 17 luglio 1997, n. 206/E Circ. min. 15 maggio 1997, n. 138/E Circ. min. 21 febbraio 1997, n. 271/E Circ. min. 17 febbraio 1997, n. 42/E Giurisprudenza Ord. Cass. 3 luglio 2012, n. 11127 Ord. Cass. 18 giugno 2012, n. 10020 Sent. Cass. 16 maggio 2012, n. 7687 Sent. Cass., 23 aprile 2009, n. 9669 Sent. Cass., 16 febbraio 2009, n. 3698 Sent. Cass., 6 febbraio 2009, n. 2870 Sent. Cass., 27 marzo 2007, n. 7388 Sent. Cass., 10 agosto 2005, n. 16776 T.A.R. Emilia Romagna, Bologna, Sez. I, ord. 27 gennaio 2005, n. 114 Consiglio di Stato, Sez. VI, 4 giugno 2004, n. 3492 T.A.R. Lazio, Sez. II, 4 giugno 2003, n. 5026 T.A.R. Campania, Salerno, Sez. I, 3 luglio 2002, n. 674 T.A.R. Veneto, 27 maggio 2002, n. 2401 T.A.R. Lazio, Sez. II, 23 marzo 1998 n. 456

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1.3 Applicazioni 1.3.1 Organi competenti a esercitare l’autotutela Il potere di annullamento o di revoca spetta all’Ufficio che ha emanato l’atto illegittimo, anche nel caso in cui occorra richiedere il preventivo parere della Direzione regionale delle entrate1. Unica eccezione è quella prevista per il caso di inerzia grave dell’Ufficio, in cui spetta in via sostitutiva alla Direzione regionale delle entrate (art. 1, ultimo parte, del d.m. n. 37/1997). Per quanto riguarda le modalità e i tempi da seguire per l’espletamento della procedura di acquisizione del preventivo parere della Direzione regionale delle entrate2: l’Ufficio fa pervenire la richiesta del parere, spiegando i motivi sulla base dei quali

ritiene accoglibile, o proponibile l’istanza di riesame, nel caso si proceda d’Ufficio; la richiesta di parere viene corredata della copia dell’istanza, degli allegati, nonché

di tutta la documentazione necessaria per consentire alla Direzione regionale un compiuto esame della fattispecie.

Come detto, se è da escludere l’esistenza di un dovere giuridico a ritirare l’atto viziato e, correlativamente, di un diritto soggettivo in capo al contribuente, l’Ufficio ha comun-que l’obbligo di esaminare l’istanza presentata, accogliendola o respingendola, e di comunicare l’esito del riesame alla parte istante (vedi circ. min. 5 agosto 1998, n. 198). L’ipotesi di intervento della Direzione regionale in caso di «grave inerzia» dell’Ufficio è, invece, una norma di chiusura, con la quale è stata trasferita, in via eccezionale, la competenza all’emanazione dell’atto, dall’organo istituzionale a quello gerarchicamente sovraordinato. L’inerzia consistente nel mancato esame dell’istanza, se connotata dal requisito della gravità, determina, su istanza di parte o anche d’Ufficio, lo spostamento in via sostituti-va della competenza a decidere alla Direzione regionale delle entrate. Ma che cosa si intende per gravità dell’inerzia che può condurre all’esercizio del potere sostitutivo della Direzione regionale? L’inerzia è legata innanzitutto all’inutile decorso del tempo. D’altronde, data la natura discrezionale del potere di riesame, la norma non fissa un termine preciso entro il quale l’Ufficio deve pronunciarsi. Pur tuttavia non c’è dubbio che il fattore temporale è a tal fine rilevante, in particolare quando l’Ufficio, pur sollecitato dal contribuente, non provveda al riesame dell’istanza, o quando, pur accogliendo l’istanza, l’Ufficio non rimuova comunque gli effetti negativi che dall’atto derivano. Rispetto all’elemento temporale si possono dunque fornire alcune indicazioni di massima.

- - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - 1 Vale a dire: «Nel caso in cui l'importo dell'imposta, sanzioni ed accessori oggetto di annullamento o di

rinuncia all'imposizione in caso di autoaccertamento o della agevolazione superi lire un miliardo,…» (art. 4, comma 1, d.m. n. 37/1997).

2 Si tratta di un parere obbligatorio e vincolante, fermo restando che l'Ufficio che ha emanato l'atto rimane competente all'adozione dell'atto di annullamento.

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Ad esempio si ritiene che la gravità possa manifestarsi: per il mancato esame protratto nel tempo; in caso di mancato riesame prima della scadenza dei termini di impugnativa, in quanto

con la presentazione del ricorso già potrebbe verificarsi un’ipotesi di danno; in corso di giudizio, per il protrarsi del silenzio, ad esempio, fino all’udienza di tratta-

zione del ricorso. Un comportamento solo inerte dell’Ufficio non potrebbe comunque, di per sé, giustifi-care l’intervento sostitutivo della Direzione regionale, occorrendo, come detto, l’ulterio-re requisito della gravità. La gravità sarà comunque esclusa in caso di comportamenti dell’Ufficio di natura in-colpevole, o derivanti da ostacoli di natura giuridica o formale, come nel caso, per e-sempio, in cui l’istante non abbia prodotto documenti importanti ai fini della decisione. In ogni caso l’inerzia sarà grave nell’ipotesi in cui non possa giustificarsi il comporta-mento omissivo dell’Ufficio, come per esempio in presenza dei presupposti di cui all’art. 2 del d.m. n. 37/19973, ovvero in casi specifici, per fattispecie oggetto di una preesistente e precisa direttiva centrale o regionale. 1.3.2 I limiti oggettivi dell’autotutela Salvo che sia intervenuto giudicato sostanziale, gli uffici dell’Amministrazione finanziaria possono procedere all’annullamento, totale o parziale, dei propri atti riconosciuti illegit-timi o infondati, con provvedimento motivato comunicato al destinatario dell’atto. L’esercizio del potere di annullamento in via di autotutela trova quindi un limite insupe-rabile solo nell’esistenza di una sentenza di merito passata in giudicato. Il solo altro limite, potremmo dire di fatto e non di diritto, è poi quello della «convale-scenza» dell’atto per decorso del tempo. La possibilità di annullare di Ufficio gli atti illegittimi non può infatti spingersi fino all’eliminazione di situazioni ormai esaurite. 1.3.3 Il procedimento di autotutela e l’impugnazione del diniego Per ottenere l’annullamento dell’atto impositivo illegittimo, l’eventuale sollecitazione del contribuente non determina per l’Amministrazione alcun obbligo giuridico di provvede-re e, tanto meno, di provvedere nel senso prospettato dal contribuente medesimo. Se il contribuente ritiene l’addebito infondato può comunque presentare all’Ufficio un’istanza di annullamento, totale o parziale, dell’addebito, e se l’Ufficio non risponde, il contribuente può rivolgersi alla competente Direzione regionale, che, come sopra detto, se ritiene sussista una «grave inerzia» dell’Ufficio, può anche sostituirlo.

- - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - 3 Vedi retro, in fondo al par. 1.1.1.

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Gli Uffici, a fronte di appositi atti di iniziativa dell’interessato, anche quando ritengono non sussistenti i presupposti per l’annullamento, devono dare al contribuente comuni-cazione del relativo rifiuto. Al riguardo si può infatti affermare che, anche rispetto all’autotutela tributaria, si appli-cano le norme contenute nella l. n. 241/1990, le quali impongono all’Amministrazione il dovere, in presenza di un procedimento che consegua obbligatoriamente a una istanza di parte o anche d’ufficio, di concluderlo mediante l’adozione di un provvedimento e-spresso positivo o negativo e ciò anche per consentire all’interessato di ricorrere in via giurisdizionale per la tutela delle proprie ragioni (T.A.R. di Salerno, Sez. I, 3 luglio 2002, n. 674; Consiglio di Stato, Sez. VI, 4 giugno 2004, n. 3492). L’art. 7, comma 4, dello Statuto del contribuente (l. n. 212/2000) del resto afferma e-spressamente che: «La natura tributaria dell’atto non preclude il ricorso agli organi di giustizia amministrativa... ». In caso di inerzia, al contribuente potrebbe dunque, in linea teorica, essere consentito il ricorso al giudice amministrativo, ai sensi dell’art. 21-bis della l. 6 dicembre 1971, n. 1034, avverso il «silenzio-inadempimento» per ottenere una pronuncia di condanna dell’Amministrazione a emettere un provvedimento espresso di accoglimento o di riget-to dell’istanza di autotutela. L’eventuale giudizio amministrativo, secondo i fautori di tale tesi, avrebbe comunque a oggetto non il rapporto giuridico sottostante all’atto impositivo, bensì soltanto il sinda-cato di eventuali vizi nella comparazione degli interessi pubblici coinvolti nella vicenda. Tale conclusione cade però laddove si sposi la tesi prima presentata dell’assenza di interessi pubblici e privati tra loro contrastanti e della natura meramente tecnica del sindacato dell’Amministrazione finanziaria. Decisamente maggioritario, soprattutto nell’ambito della giurisprudenza, è del resto ormai il filone che propende per la giurisdizione delle Commissioni tributarie (cfr., in giu-risprudenza, T.A.R., Bologna, Sez. I, ord. 27 gennaio 2005, n. 114; T.A.R., Lazio, Sez. II, 23 marzo 1998, n. 456; T.A.R., Veneto, 27 maggio 2002, n. 2401; T.A.R., Lazio, Sez. II, 4 giugno 2003, n. 5026; Comm. trib. prov. di Matera, 15 marzo 2004, n. 15). La questione relativa all’individuazione del giudice competente è stata comunque oggi definitivamente risolta dalle Sezioni Unite della suprema Corte di cassazione, con la sent. 27 marzo 2007, n. 7388, in base alla quale la giurisdizione tributaria, do-po le modifiche legislative di cui all’art. 12 della l. n. 448/2001, ha assunto la caratte-ristica della giurisdizione a carattere generale, idonea quindi a dirimere tutti i tipi di controversie insorte in relazione a uno specifico rapporto tributario, compreso dun-que il diniego di autotutela. L’unica deroga al principio di onnicomprensività della giurisdizione tributaria riguarda, secondo la Corte, l’impugnazione di un atto di carattere generale.

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L’impugnabilità o meno del provvedimento di diniego di autotutela davanti al giudice tributario deve però fare i conti con la tassatività dell’elenco degli atti impugnabili ex art. 19, comma 1 del d.lgs. n. 546/19924. Se da una parte infatti desta qualche perplessità l’opinione espressa al riguardo dalla Corte di cassazione con la sent. n. 16776/2005, che esclude l’attuale vigenza della re-gola del numerus clausus, dall’altra sembra invece più corretto attenersi al criterio dell’interpretazione estensiva, più volte applicato dalla stessa Corte nell’esegesi dell’ art. 19, ravvisando nel provvedimento di diniego di autotutela un atto dell’imposizione assimilabile all’avviso di accertamento, in quanto accerta comunque la perdurante esi-stenza dell’obbligazione tributaria. Con la sent. n. 7388/2007, le Sezioni Unite della suprema Corte, inoltre, pur rimettendo alle Commissioni tributarie il compito di verificare se l’atto di diniego di autotutela possa concretamente ritenersi impugnabile nell’ambito delle categorie indicate dall’ art. 19 del d.lgs. n. 546/1992, hanno sottolineato che «la mancata inclusione degli atti in contesta-zione nel catalogo contenuto in detto articolo comporterebbe una lacuna di tutela giuri-sdizionale, in violazione dei principi contenuti negli artt. 24 e 113 della Costituzione». Si apre così in ogni caso la strada al riconoscimento dell’impugnabilità da parte del contribuente degli atti di diniego di autotutela dell’Amministrazione finanziaria, pena una possibile eccezione di illegittimità costituzionale della norma. Contro il rifiuto espresso di autotutela potrà comunque esercitarsi solo un sindacato sulla legittimità del rifiuto stesso e non anche sulla fondatezza della pretesa tributaria, ciò che comporterebbe un’indebita sostituzione del giudice nell’attività amministrativa propria dell’Amministrazione finanziaria. Sulla questione è comunque tornata da ultimo ancora la Corte suprema, la quale, con la sent. n. 2870 del 6 febbraio 2009, SS.UU. civili, ha stabilito che: «È devoluta alla cogni-zione del giudice tributario la controversia relativa all’impugnazione del provvedimento di rigetto - espresso o tacito - dell’istanza di autotutela promossa dal contribuente per l’annullamento di un atto impositivo dell’Amministrazione finanziaria in dipendenza del ca-rattere generale assunto della giurisdizione speciale laddove sia comunque dedotto nel

- - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - 4 Il ricorso può essere proposto avverso:

a) l'avviso di accertamento del tributo; b) l'avviso di liquidazione del tributo; c) il provvedimento che irroga le sanzioni; d) il ruolo e la cartella di pagamento; e) l'avviso di mora; e-bis) l'iscrizione di ipoteca sugli immobili di cui all'articolo 77 del decreto del Presidente della Repubbli-ca 29 settembre 1973, n. 602, e successive modificazioni; e-ter) il fermo di beni mobili registrati di cui all'articolo 86 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 602, e successive modificazioni; f) gli atti relativi alle operazioni catastali indicate nell'art. 2, comma 3; g) il rifiuto espresso o tacito della restituzione di tributi, sanzioni pecuniarie ed interessi o altri accessori non dovuti; h) il diniego o la revoca di agevolazioni o il rigetto di domande di definizione agevolata di rapporti tributari; i) ogni altro atto per il quale la legge ne preveda l'autonoma impugnabilità davanti alle commissioni tributarie.

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giudizio un rapporto giuridico d’imposta. È inammissibile il ricorso avverso il provvedi-mento di rigetto, espresso o tacito, dell’istanza di autotutela promossa dal contribuente volta ad ottenere l’annullamento di un atto impositivo divenuto definitivo (nella specie, per l’intervenuto giudicato formatosi sulla decisione di reiezione del ricorso davanti alla com-missione tributaria provinciale), in conseguenza sia della discrezionalità nell’esercizio del potere di autotutela quanto dell’inammissibilità di un nuovo sindacato giurisdizionale sull’atto di accertamento munito del carattere di definitività». Con ord. n. 10020 del 18 giugno 2012 la Corte Suprema ha poi ancora ribadito che contro il diniego dell'Amministrazione di procedere all'esercizio del potere di autotutela può essere proposta impugnazione soltanto per dedurre eventuali profili di illegittimità del rifiuto e non per contestare la fondatezza della pretesa tributaria. La Corte afferma in particolare che deve essere ormai considerato come consolidato l’orientamento in base al quale il contribuente, che richiede all’Amministrazione finan-ziaria di ritirare, in via di autotutela, un avviso di accertamento divenuto definitivo, deve prospettare l’esistenza di “un interesse di rilevanza generale dell’Amministrazione” alla rimozione dell'atto: “ne consegue che contro il diniego dell'Amministrazione di proce-dere all'esercizio del potere di autotutela può essere proposta impugnazione soltanto per dedurre eventuali profili di illegittimità del rifiuto e non per contestare la fondatezza della pretesa tributaria (cfr. Cass. n. 11457/2010; n. 16097/2009). Giacché fuori dalla detta situazione, l'atto con il quale l'Amministrazione finanziaria manifesta il rifiuto di riti-rare in autotutela un atto impositivo divenuto definitivo - stante la relativa discrezionalità - non è suscettibile di essere impugnato innanzi alle commissioni tributarie (cfr. sez. un. n. 3698/2009)”. Ancora, con l’ord. n. 11127 del 3 luglio 2012, la Cassazione Civile, Sez. VI, cassando una sentenza della Commissione Tributaria Regionale di Milano, che aveva accolto l'appello di un contribuente dichiarando illegittimo il provvedimento di diniego di annul-lamento in autotutela impugnato, dopo aver ribadito che “la questione posta dal ricorso sembra possa essere definita sulla base dell'orientamento giurisprudenziale (Cass. n. 1219/2011, n. 11457/2000, n. 2870/2009), secondo cui è da ritenersi inammissibile l'impugnazione del provvedimento con il quale si opponga un rifiuto alla domanda di procedere in via di autotutela all'annullamento di precedente atto impositivo, trattando-si di attività discrezionale”, ha trattato dunque la causa in camera di consiglio, ai sensi degli artt. 366 e 380-bis c.p.c., accogliendo il ricorso dell’Amministrazione per manife-sta fondatezza. Ancora, con l’ord. n. 10020 del 18 giugno 2012 della Cassazione Civile, Sez. VI, que-sta volta decidendo su un ricorso di un contribuente, che aveva impugnato una sen-tenza della Commissione Tributaria Regionale del Veneto, che aveva dichiarato, rifor-mando la decisione di primo grado, l'inammissibilità del ricorso per l'annullamento in autotutela, i giudici di legittimità hanno nuovamente affermato il “consolidato orienta-mento di questa Corte che ha reiteratamente affermato che il contribuente, che richie-de all'Amministrazione finanziaria di ritirare, in via di autotutela, un avviso di accerta-mento divenuto definitivo, deve prospettare l'esistenza di "un interesse di rilevanza ge-nerale dell'Amministrazione" alla rimozione dell'atto. Ne consegue che contro il diniego

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dell'Amministrazione di procedere all'esercizio del potere di autotutela può essere pro-posta impugnazione soltanto per dedurre eventuali profili di illegittimità del rifiuto e non per contestare la fondatezza della pretesa tributaria (cfr. Cass. n. 11457/2010; n. 16097/2009)”. E infine, con la sent. n. 7687 del 16 maggio 2012 della Cassazione Civile, Sez. V, dopo aver “ribadito che l’elencazione tassativa degli atti impugnabili innanzi al giudice tributario (art. 19 cit.), nel termine perentorio fissato dal medesimo d.lgs. n. 546 del 1992, art. 22, non esclude la facoltà del contribuente di impugnare innanzi al medesimo giudice anche atti diversi da quelli contenuti in detto elenco…”, la Corte conclude affermando che “questa Corte ha da tempo chiarito che, nel giudizio relativo al diniego di autotutela, il sindacato del giudice tributario ha per oggetto il corretto esercizio di un potere ampia-mente discrezionale; sicché il giudice non può comunque sostituirsi all'Amministrazione in valutazioni discrezionali, né ivi sindacare la fondatezza della pretesa tributaria (cfr. sez. un. n. 7388/2007). Questo per la ragione che, quanto all'esercizio del potere amministra-tivo di autotutela, il privato può dirsi titolare di semplici interessi di fatto…”. La Corte, nella medesima sentenza, è poi ancora più precisa, laddove chiarisce che a conclusione diversa non può giungersi nemmeno sulla base dell’affermazione che la pretesa viene espressamente confermata dal provvedimento di diniego, dato che “il diniego di annullamento equivale sempre a conferma del precedente provvedimento; e che, tuttavia, per regola generale di diritto processuale, il mero atto di conferma non è un atto in quanto tale impugnabile, non potendosi per tale via incidere sul termine di impugnazione dell'atto originario”. Insomma, davvero un orientamento ormai consolidato. 1.3.4 Attivazione su richiesta del Garante e giurisdizione del giudice ammini-strativo Sul piano della tutela giurisdizionale, tutt’altra situazione si determina invece se è il Ga-rante del Contribuente, nell’ambito della funzione istituzionale prevista dall’art. 13, comma 6, della l. n. 212/2000, ad attivare con atto di iniziativa eteronoma “la procedu-ra di autotutela nei confronti degli atti amministrativi di accertamento o di riscossione notificati al contribuente”. L’esercizio di tale potere da parte del Garante ha carattere vincolante per l’Amministrazione finanziaria e comporta per essa l’obbligo procedimentale di provvedere. Tale investitura realizza un’ipotesi di distribuzione del potere tra due diversi Organi pubblici, quello di iniziativa del Garante che, nell’esercitarlo ha riconosciuto e valutato l’esistenza di una situazione oggettiva che ha richiesto l’intervento discrezionale, e quello di emanare l’atto, che compete all’Amministrazione finanziaria, non essendo contemplato nel vigente ordinamento che il Garante possa sostituirsi ad essa nella de-terminazione finale. L’Amministrazione destinataria dell’avvio procedimentale deve provvedere con atto e-splicito, attenendosi al contenuto predeterminato nell’atto di iniziativa del Garante, dal

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quale non può prescindere, se non rendendo ragione del suo diverso avviso con ade-guata motivazione. Per effetto dell’esercizio del potere di attivazione del procedimento di autotutela si de-termina dunque un rapporto tra Autorità pubbliche, nell’interesse del contribuente all’annullamento dell’atto illegittimo, cui consegue un ampliamento della sua sfera giu-ridica, sicché le posizioni soggettive di tutti i soggetti coinvolti hanno consistenza di in-teresse legittimo. In particolare, il contribuente diviene titolare, sia di un interesse pretensivo all’adozione del provvedimento finale in base alla corretta valutazione della sussistenza dei presup-posti indicati nella citata norma regolamentare, sia di un interesse procedurale al rego-lare svolgimento del procedimento. Le relative controversie sono quindi attribuite alla giurisdizione del giudice amministrati-vo, ai sensi dell’art. 103 della Costituzione e dell’art. 7 del codice del processo ammi-nistrativo, approvato con d.lgs. 2 luglio 2010, n. 104, in relazione alla situazione giuridi-ca soggettiva di interesse legittimo oggetto della tutela, che concerne la violazione di norme di azione le quali presiedono al corretto esercizio della funzione amministrativa. In particolare, i casi di mancata adozione del provvedimento di ritiro, di rifiuto di riesa-me o di mera inerzia rientrano nell’ipotesi normativa delle “omissioni” di cui al comma 4 del citato art. 7, che attiene alla tutela degli interessi legittimi lesi dal “silenzio” dell’Amministrazione. Al riguardo, l’art. 31 del codice del processo amministrativo, per quanto riguarda l’azione avverso il silenzio, prevede, al comma 1, che “chi vi ha interesse”, quindi anche il contribuente, “può chiedere l’accertamento dell’obbligo di provvedere dell’ammi- nistrazione”. Inoltre, l’art. 117, comma 2 dello stesso codice stabilisce che, in caso di totale o par-ziale accoglimento del ricorso, il giudice ordina all’Amministrazione di provvedere entro un termine non superiore, di norma, a trenta giorni. Se, invece, il procedimento si conclude con l’adozione di un provvedimento negativo, il sindacato giurisdizionale concernerà il vaglio della sua legittimità, se del caso, con con-seguente pronuncia di mero annullamento, senza però estendersi alle valutazioni di merito dell’Amministrazione. Del resto, secondo il disposto dell’art. 7, comma 4, della l. n. 212/2000, la natura tribu-taria dell’atto non preclude il ricorso agli organi di giustizia amministrativa, quando ne ricorrano i presupposti. L’Amministrazione finanziaria, in caso di inosservanza dolosa o colposa del termine di conclusione del procedimento, è tenuta inoltre anche al risarcimento del conseguente danno ingiusto cagionato, ai sensi dell’art. 2-bis della l. n. 241/1990. L’azione di condanna, in base al disposto dell’art. 30, comma 1, del codice del pro-cesso amministrativo, può essere proposta anche in via autonoma, in quanto la con-troversia è devoluta alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, ai sensi dell’art. 133, comma 1, lettera a), punto 1 dello stesso codice.

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1.3.5 Scheda esempio - Richiesta di riesame in autotutela

All’Ufficio dell’Agenzia delle entrate

di........................

OGGETTO: Richiesta di annullamento di atto illegittimo ai sensi dell’art. 2-quater del d.l. 30 settembre 1994, n. 564; del d.m. 11 febbraio 1997, n. 37 e dell’art. 27 della l. 18 febbraio 1999, n. 28. Il/la sottoscritt ...................................... nat ..................... a .............................. residente in .......................... via .............................. n. ...... tel. ............................. codice fiscale ..................................................

PREMESSO che con atto [cartella di pagamento o comunicazione di irregolarità, avviso di accertamento, atto di contestazione …] n. .............. del .................. notificato/a il ................................. in relazione all’anno d’imposta .................. codesto Ufficio ha accertato un imponibile di euro ................. e chie-sto il pagamento di un’imposta di euro .................................., irrogando altresì sanzioni per euro ...................................................

CONSIDERATO CHE tale provvedimento appare illegittimo/infondato in tutto/in parte per i seguenti motivi: ...................................................................................................................................................

CHIEDE a codesto Ufficio di riesaminare il provvedimento sopra indicato e di procedere al suo annullamento. Allegati: .......................................... Luogo e data ......................

Firma ...............................

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1.3.6 Scheda esempio - Provvedimento di autotutela parziale

Contribuente: ……………… Codice fiscale e partita Iva: …… Sede: …………………… Attività: ……………………… Anno: …………… Avviso di accertamento: ……………….… Istanza di autotutela parziale: prot. n. ………….

Premessa La posizione fiscale della società, con riferimento al periodo di imposta …, è stata sottoposta a un controllo generale a seguito dell’attività investigativa svolta dall’Agenzia delle entrate, Ufficio di … Sulla base dei rilievi contenuti nel PVC, l’Ufficio ha notificato alla società l’avviso di accertamento n. …; tale atto è stato impugnato dalla società con ricorso del … In data …, la parte ha presentato all’Ufficio un’istanza di autotutela, chiedendo l’annullamento della ripresa fiscale relativa al conto … denominato «Prodotti di importazione». Tale recupero riguarda i costi relativi a operazioni intercorse con Paesi c.d. black list dedotti in viola-zione dell’art. 110, comma 11, Tuir.

Motivazioni

Nell’istanza di autotutela la parte chiede all’Ufficio l’annullamento del rilievo in questione e il ricono-scimento della legittima deduzione dei costi suddetti sulla base delle seguenti argomentazioni: per quanto concerne i fornitori residenti in Taiwan, perché tale Stato non è considerato Paese

black list ai fini dell’applicazione dell’art. 110, comma 11, Tuir; per quanto concerne, invece, i rapporti intercorsi con i soggetti residenti in Hong Kong, all’istanza

di autotutela la parte ha allegato una copiosa documentazione relativa ai suddetti fornitori, volta a dimostrare la sussistenza di entrambe le condizioni richieste dalla norma ai fini della deducibilità, vale a dire: lo svolgimento di una prevalente ed effettiva attività commerciale da parte dei fornitori; l’effettivo interesse economico e la concreta esecuzione delle operazioni contestate.

Relativamente al punto 1, l’Ufficio accoglie le argomentazioni di parte e riduce il recupero nella misu-ra corrispondente al valore delle operazioni intercorse con i fornitori del Taiwan. Relativamente al punto 2, invece, l’Ufficio ritiene che le argomentazioni svolte dalla parte e i docu-menti dalla stessa esibiti non sono idonei a dimostrare la sussistenza delle condizioni di deducibilità richieste dalla norma.

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Dispositivo Pertanto, in accoglimento parziale dell’istanza presentata dal contribuente, l’Ufficio, ai sensi dell’art. 2-quater del d.l. 30 settembre 1994, n. 564, convertito nella l. 30 novembre 1994, n. 656, e del d.m. 11 febbraio 1997, n. 37, ridetermina in autotutela il recupero relativo ai costi da Paesi black list. A seguito dell’esercizio del potere di autotutela, vengono rideterminati imposte, sanzioni e interessi dovuti dal contribuente.

1.4 Effetti 1.4.1 Autotutela in corso di giudizio e pagamento delle spese processuali Con circ. min. n. 198 del 1998 l’Amministrazione finanziaria affermava che, in caso di autotutela intervenuta nel corso del giudizio, le spese processuali rimanevano a proprio carico. In tale direzione si erano infatti orientate alcune commissioni di merito, partendo dal presupposto che l’annullamento era comunque consequenziale a un errore dell’Ammi-nistrazione. Normativamente, tuttavia, non era così. La questione, oggi, deve però essere valutata alla luce del canone del giusto processo (art. 111, Cost.). Già la precedente normativa (art. 39 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636), infatti, esclu-deva espressamente in questo caso l'applicabilità delle disposizioni in tema di condan-na alle spese di giudizio (artt. 90-97 del c.p.c.). Tale previsione non era stata ritenuta illegittima dalla Corte costituzionale, la quale ave-va ritenuto che «l’istituto della condanna del soccombente nel pagamento delle spese ha bensì carattere generale, ma non è assoluto e inderogabile»; nel processo tributario, inoltre, la deroga era giustificata dalle peculiarità del rito, «pur sempre diverso e più snello dell’ordinario procedimento civile» (C. Cost., 24 novembre 1982, n. 120). La Corte costituzionale, nella sent. n. 53 del 1988, non ritenne peraltro fondata la que-stione di costituzionalità degli artt. 44-46 del d.P.R. n. 636/72, nella parte in cui non consentivano la condanna dell’Amministrazione, ritenendo, da un lato, che la «spiccata specificità» del processo tributario escludesse la violazione del principio di uguaglianza in ragione delle diversità di disciplina rispetto ad altri processi e, dall’altro, che non si sarebbe comunque violato il diritto di difesa, poiché l’art. 46 si limita a prevedere una «fattispecie legale tipica» di compensazione delle spese in presenza di giusti motivi. Con la riforma del 1992 la condanna alle spese veniva prevista, ma con una lacuna, proprio relativamente al caso dell’autotutela. Infatti, se da una parte l’art. 15 del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, accoglieva il prin-cipio della condanna del soccombente alle spese, salvo compensazione ai sensi dell’art. 92 del c.p.c., dall’altra, l’art. 46 introduceva invece una deroga, stabilendo al

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comma 3 che le spese del giudizio estinto per cessazione della materia del contendere restavano a carico della parte che le aveva anticipate. Solo con la sentenza della Corte costituzionale del 12 luglio 2005, n. 274, è stata dun-que dichiarata incostituzionale la norma che escludeva la condanna alle spese in caso di estinzione del giudizio per cessazione della materia del contendere (a seguito di au-totutela). Perciò l’Amministrazione finanziaria può oggi essere condannata alle spese anche quando ritira l’atto impugnato in pendenza di giudizio - a meno che il giudice non opti per la pronuncia di compensazione, dando però in quel caso specifica con-tezza dei motivi che giustificano una tale scelta. 1.4.2 La condanna al risarcimento del danno Con la sentenza n. 6283 del 20 aprile 2012, la Corte di Cassazione ha affermato che la sola illegittimità della pretesa vantata dall'Amministrazione finanziaria non può compor-tare il sorgere del diritto al risarcimento del danno, posto che occorre la violazione delle regole di imparzialità, buona fede e corretta amministrazione. In sostanza, il compor-tamento doloso o colposo deve aver violato i suddetti principi, oltre che aver, natural-mente, cagionato la lesione del diritto del contribuente. Tanto premesso, non è invece sostenibile che l'annullamento d'ufficio di un atto sia meramente discrezionale, in quan-to ciò sconfinerebbe nell'arbitrio, e ciò vale anche qualora il contribuente abbia omesso di impugnare l'atto dinanzi alla Commissione tributaria. L'autotutela deve essere co-munque esercitata in tempi brevi, tali da non ledere la posizione giuridica soggettiva del contribuente, e spetta al giudice del merito verificare se il tempo impiegato dalla P.A. sia stato eccessivo o meno. Questi i principi espressi dalla Corte suprema. Non è quindi sufficiente l'obiettiva illegittimità del comportamento della P.A. (nel caso di specie della pretesa tributaria), ma occorre che tale illegittimità sia connotata da un quid pluris, che viene identificato nella violazione delle regole di imparzialità, correttezza e buona amministrazione. Del resto, tutte le volte che l'azione giudiziaria viene basata sull'art. 2043 c.c., occorre necessariamente verificare non solo che la condotta abbia cagionato l'evento e che si sia verificato un danno-conseguenza, ma anche che essa sia qualificata dall'elemento soggettivo del dolo o della colpa. Il giudice deve in sostanza procedere, in ordine successivo, ad accertare se: a) sussista un evento dannoso; b) l'accertato danno sia qualificabile come ingiusto, in relazione alla sua incidenza su

di un interesse rilevante per l'ordinamento (a prescindere dalla qualificazione forma-le di esso come diritto soggettivo);

c) l'evento dannoso sia riferibile, sotto il profilo causale, facendo applicazione dei crite-ri generali, ad una condotta della P.A.;

d) l'evento dannoso sia imputabile a responsabilità della P.A., sulla base non solo del dato obiettivo dell'illegittimità del provvedimento, ma anche del requisito soggettivo del dolo o della colpa.

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All’interno di questi “paletti” si conferma pertanto che l'attività della P.A., anche nel campo della pura discrezionalità, deve svolgersi nei limiti posti della legge e dal princi-pio primario del neminem laedere, di cui all'art. 2043 c.c.. La P.A. è dunque tenuta a subire le conseguenze stabilite dall'art. 2043 c.c., ponendo-si i principi di legalità, imparzialità e buona amministrazione come limiti esterni alla sua attività discrezionale. Le predette regole impongono quindi alla P.A., una volta appurato l’errore in cui è in-corsa, di annullare il provvedimento riconosciuto illegittimo, o, comunque, errato, non essendoci, dunque, spazio alla mera discrezionalità, poiché essa verrebbe necessa-riamente a sconfinare nell'arbitrio, in palese contrasto con l'imparzialità, correttezza e buona amministrazione. Questo principio vale anche allorché il contribuente abbia lasciato scadere il termine utile per impugnare il provvedimento avanti alla Commissione Tributaria. Sempre secondo la Corte, l'obbligo per la P.A. di agire nel rispetto delle regole di im-parzialità, correttezza e buona amministrazione impone anche il riconoscimento in tem-pi ragionevoli del diritto del contribuente, anche quando non sia previsto uno specifico termine per l'adempimento. Spetta, dunque, al giudice di merito stabilire, volta per vol-ta e considerando la situazione concreta se il tempo impiegato dalla P.A. sia o meno rispettoso delle regole indicate. Come detto, in ogni caso, la condanna della P.A. non può essere pronunciata sulla base della allegazione della mera illegittimità dell'atto, ma presuppone che sia accer-tata la violazione delle richiamate regole di imparzialità, correttezza e buona ammini-strazione, laddove la relativa valutazione non può che essere demandata al giudice di merito, il quale decide applicando i principi in tema di onere probatorio posti dall'art. 2697 c.c.. Quindi, se invoca l'art. 2043 c.c. per lamentare il ritardo con cui la P.A. ha esercitato l'autotutela, il contribuente, una volta che sia stata negata l'ingiustizia del provvedimen-to poi annullato, deve dimostrare il danno che tale ritardo gli ha cagionato e che invece non si sarebbe verificato ove il provvedimento della P.A. fosse stato tempestivo. È dunque acquisito, nella giurisprudenza di legittimità, che la potestà tributaria deve essere esercitata avuto riguardo al principio generale dell’art. 2043 del codice civile: il comportamento doloso o colposo che abbia a causare un danno ingiusto obbliga per-tanto al risarcimento del danno e la discrezionalità accordata alla Pubblica Amministra-zione in merito all’esercizio del potere di annullamento degli atti in autotutela non esime la stessa da responsabilità aquiliana laddove l’intempestiva o l’omessa adozione del contrarius actus abbia cagionato un danno al contribuente costringendolo ad adire la giurisdizione ed a sostenere oneri e spese per la difesa tecnica (cfr. anche Cass., sent. n. 698 del 2010).

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1.4.3 L’autotutela sostitutiva La Corte di cassazione, confermando sue precedenti pronunce5 ha riconosciuto la possibilità di ricorrere all’autotutela sostitutiva attraverso la rinnovazione ex nunc dell’atto viziato, individuando contestualmente i limiti entro cui può essere esercitata tale facoltà (Cass., sent. n. 11114 del 16 luglio 2003). La rinnovazione infatti: deve essere preceduta dall’annullamento del precedente atto impositivo; presuppone il mancato decorso del termine di decadenza; non può costituire elusione del giudicato, pertanto l’atto può essere riproposto solo

con una diversa motivazione rispetto all’avviso originario. In ogni caso occorre avere ben presente la differenza tra autotutela sostitutiva e accer-tamento integrativo ex art. 43, comma 3, del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, che può essere emesso solo in presenza di sopravvenute conoscenze. Il consolidato orientamento della Cassazione6 in tema di esercizio del potere di autotu-tela da parte del Fisco ha infatti chiaramente delineato i presupposti di ammissibilità della c.d. autotutela sostitutiva, consistente nel ritiro di un atto impositivo e nella ema-nazione di un nuovo atto di identico contenuto, ma corretto dai suoi vizi formali. Il criterio in base al quale è ritenuto possibile procedere alla nuova emanazione è dun-que quello della perennità della potestà amministrativa. In particolare, i giudici di legittimità (Cass., sent. n. 2531/2002) hanno riconosciuto la le-gittimazione a rinnovare ex nunc un avviso di accertamento invalido, allorché la rinnova-zione non comporti una maggiore pretesa erariale rispetto al precedente accertamento. La giurisprudenza della Corte di cassazione ha dunque ritenuto legittimo l’esercizio del potere di autotutela sostitutiva a condizione però che l’atto impositivo sia inficiato esclusivamente da nullità derivante da vizi di natura formale, tali cioè da non incidere sull’esistenza o l’ammontare del credito tributario. Nell’ipotesi di integrazione o modificazione si esercita, invece, un ulteriore potere accertati-vo, il quale, in quanto tale, richiede necessariamente la sopravvenuta conoscenza di nuovi elementi. Per la suprema Corte il presupposto della sopravvenuta conoscenza di nuovi elementi non è richiesto, invece, per l’autoannullamento di un precedente avviso di rettifica e la sua sostituzione con uno nuovo contenente lo stesso dispositivo ma una diversa moti-vazione, poichè, in tal caso, non ricorre esercizio del predetto potere integrativo o mo-dificativo, ma mera sostituzione di un precedente provvedimento illegittimo con un nuovo provvedimento conforme a diritto.

- - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - 5 Corte di cassazione, sent. n. 2531 del 22 febbraio 2002 e n. 4534 del 28 marzo 2002. 6 Corte di cassazione, sent. n. 8854 del 21 agosto 2003 e n. 4534 del 28 marzo 2002.

Capitolo 1 – L’autotutela tributaria

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1.4.4 L’autotutela sospensiva Un’ultima fattispecie di autotutela da prendere in considerazione è quella sospensiva. Con l’art. 27 della l. n. 28/1999 il legislatore ha infatti integrato l’articolo 2-quater del d.l. n. 564/1994, istitutivo, come già detto, dell’autotutela in ambito tributario. Con la norma del 1999 sono stati dunque aggiunti all’articolo 2-quater, i commi 1-bis, 1-ter, 1-quater e 1-quinques, che istituiscono e disciplinano l’autotutela sospensiva. In virtù del comma 1-bis, nel potere di annullamento o di revoca di cui al comma 1 deve quindi ora intendersi compreso anche il potere di disporre la sospensione degli effetti dell’atto che appaia illegittimo o infondato. La ratio di tale norma risiede nella necessità, in pendenza di un procedimento di riesa-me di un atto amministrativo sul quale sussiste un fumus d’illegittimità, d’impedire che tale atto possa produrre nel frattempo i suoi effetti, arrecando così un danno ingiusto al destinatario. Il comma 1-quater sancisce poi che, in caso di pendenza del giudizio, la sospensione degli effetti dell’atto cessa con la pubblicazione della sentenza. Il comma dell’art. 2-quater, del d.l. n. 564/84 dispone infine che: «La sospensione degli effetti dell’atto disposta anteriormente alla proposizione del ricorso giurisdizionale ces-sa con la notificazione, da parte dello stesso organo, di un nuovo atto, modificativo o confermativo di quello sospeso; il contribuente può impugnare, insieme a quest’ultimo, anche l’atto modificato o confermato».

Capitolo 2 – Il ravvedimento operoso

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2. Il ravvedimento operoso Maria Elisa Chininea

2.1 Profili 2.1.1 La disciplina Con il termine «ravvedimento» viene indicato l’istituto giuridico che permette all’autore di una violazione di rimediare spontaneamente alle omissioni o alle irregolarità com-messe, beneficiando così della riduzione, in varia misura, delle sanzioni amministrative applicabili. Ciò deve avvenire secondo le modalità ed entro i limiti temporali previsti dal-la legge. L’istituto del ravvedimento è disciplinato dall’art. 13 del d.lgs. n. 472/1997, ora modifi-cato dall’art. 16, comma 5, lett. a), d.l. n. 29 novembre 2008, n. 185, convertito dalla l. 28 gennaio 2009, n. 2, il quale stabilisce che la sanzione è ridotta, sempreché la viola-zione non sia stata già constatata e comunque non siano iniziati accessi, ispezioni, ve-rifiche o altre attività amministrative di accertamento delle quali l’autore abbia avuto formale conoscenza: a un dodicesimo del minimo nei casi di mancato pagamento del tributo o di un accon-

to, se esso viene eseguito nel termine di trenta giorni dalla data della sua commissione; a un decimo del minimo, se la regolarizzazione degli errori e delle omissioni, anche

se incidenti sulla determinazione o sul pagamento del tributo, avviene entro il termi-ne per la presentazione della dichiarazione relativa all’anno nel corso del quale è stata commessa la violazione, ovvero, quando non è prevista dichiarazione periodi-ca, entro un anno dall’omissione o dall’errore;

a un dodicesimo del minimo di quella prevista per l’omissione della presentazione della dichiarazione, se questa viene presentata con ritardo non superiore a novanta giorni, ovvero a un dodicesimo del minimo di quella prevista per l’omessa presenta-zione della dichiarazione periodica prescritta in materia di imposta sul valore ag-giunto, se questa viene presentata con ritardo non superiore a trenta giorni.

Il pagamento della sanzione ridotta deve essere eseguito contestualmente alla regola-rizzazione del pagamento del tributo o della differenza, quando dovuti, nonché al pa-gamento degli interessi moratori calcolati al tasso legale con maturazione giorno per giorno. Quando la liquidazione deve essere eseguita dall’Ufficio il ravvedimento si perfeziona con l’esecuzione dei pagamenti nel termine di sessanta giorni dalla notificazione dell’avviso di liquidazione. Il ravvedimento può essere utilizzato per sanare le irregolarità relative a tutte le imposte, sia dirette che indirette, nonché in caso di violazioni tanto formali quanto sostanziali. Con il ravvedimento non è tuttavia possibile sanare le violazioni relative ai contributi previdenziali (circ. min. n. 101 del 19 maggio 2000); l’errata compensazione fra crediti

Capitolo 2 – Il ravvedimento operoso

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tributari e debiti di natura previdenziale può essere regolarizzata versando l’importo corrispondente al credito inesistente o non capiente. Con riferimento alle violazioni dell’obbligo di versamento in acconto o a saldo dell’IRAP il legislatore ha stabilito inoltre, con due successivi provvedimenti1 che le disposizioni in materia di riduzione delle sanzioni previste dal citato art. 13 non si applicano con riferi-mento alle violazioni dell’obbligo di versamento dell’IRAP: a saldo relativamente al periodo d’imposta 2004; in acconto o a saldo relativamente al periodo d’imposta 2005; in acconto o a saldo relativamente al periodo d’imposta 2006. Considerato che il legislatore non ha riproposto, con riferimento ai periodi d’imposta successivi al 2006, analoghe disposizioni, l’istituto del ravvedimento operoso trova quindi applicazione con riferimento alle violazioni dell’obbligo di versamento in acconto o a saldo dell’IRAP relativo al periodo d’imposta 2007 e seguenti (vedi ris. min. n. 43/E del 17 febbraio 2009). Per poter «ravvedersi» la violazione, come detto, non deve comunque essere stata già contestata e non devono essere già iniziati accessi, ispezioni, verifiche o altre attività di accertamento delle quali l’autore della violazione abbia avuto formale conoscenza. Secondo quanto disposto dalla circ. min. n. 180/E del 10 luglio 1998, è però consenti-to effettuare il ravvedimento per un periodo d’imposta diverso da quello per il quale è iniziata una verifica, e per un tributo diverso da quello oggetto di controllo. Non costituisce inoltre causa ostativa alla regolarizzazione fiscale l’avvio di indagini di natura penale. Il ravvedimento si realizza dunque al compimento delle seguenti operazioni: regolarizzazione dell’operazione; pagamento dell’eventuale imposta, unitamente agli interessi calcolati giorno per giorno; pagamento contestuale della sanzione amministrativa. Il ravvedimento si perfeziona solo al concretizzarsi di tutte le operazioni sopra eviden-ziate, con la conseguenza che se manca un solo elemento nel momento in cui inter-vengono i fattori preclusivi, il ravvedimento resta inibito. Tutti gli adempimenti per il ravvedimento (rimozione formale della violazione, pagamen-to dell’imposta, degli interessi e della sanzione), comunque, non devono necessaria-mente essere soddisfatti nello stesso giorno. È consentito infatti, per esempio, definire oggi il pagamento dell’imposta, o rimuovere la violazione formale, e pagare la sanzione amministrativa entro il termine di presenta-zione della dichiarazione relativa all’anno in cui è stata commessa la violazione. È sot-tinteso però, che, se nel frattempo intervengono fattori preclusivi, il ravvedimento non è più attuabile.

- - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - 1 Si tratta dell’art. 1 del d.l. n. 106 del 17 giugno 2005, convertito con modificazioni dalla l. n. 156 del 31

luglio 2005 e dell’art. 1 del d.l. 7 giugno 2006, n. 206, convertito con modificazioni dalla l. n. 234 del 17 luglio 2006.

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Non è comunque consentito regolarizzare comportamenti antigiuridici. L’art. 13 del d.lgs. n. 472/1997, infatti, prevede la regolarizzazione soltanto per gli erro-ri e le omissioni, escludendo quindi tutti i comportamenti fraudolenti, fra cui si annove-rano, per esempio, anche l’emissione o l’utilizzo di fatture fittizie. Infine si sottolinea che, ai fini Iva, se la regolarizzazione avviene nello stesso anno in cui è stata commessa l’infrazione, il contribuente dovrà anche emettere fattura, o integrare la stessa, provvedere alla sua annotazione, contabilizzazione e contestualmente paga-re la corrispondente sanzione. In tale ipotesi al contribuente è data inoltre la facoltà di adottare la procedura di presentazione della dichiarazione periodica integrativa relativa allo stesso periodo in cui è stata commessa la violazione. Il ministero delle Finanze, con circ. min. n. 101/2000, ha poi precisato che, nel caso in cui sia stato utilizzato in compensazione un credito Iva superiore al disponibile, si dovrà integrare lo stesso mediante un versamento da esporre poi nella dichiarazione Iva. 2.1.2 Novità del decreto semplificazioni fiscali Con il d.l. 2 marzo 2012, n. 16, convertito, con modificazioni, dalla l. 26 aprile 2012, n. 44, sono state introdotte disposizioni di semplificazione degli adempimenti tributari. L’art. 2, comma 1, del decreto introduce infatti una nuova forma di Ravvedimento ope-roso (c.d. remissione in bonis) volto ad evitare che mere dimenticanze relative a comu-nicazioni ovvero, in generale, ad adempimenti formali non eseguiti tempestivamente, precludano al contribuente, in possesso dei requisiti sostanziali richiesti dalla norma, la possibilità di fruire di benefici fiscali o di regimi opzionali. Ai sensi del citato articolo, infatti, “la fruizione di benefici di natura fiscale o l’accesso a regimi fiscali opzionali, subordinati all’obbligo di preventiva comunicazione ovvero ad altro adempimento di natura formale non tempestivamente eseguiti, non è preclusa, sempre che la violazione non sia stata constatata o non siano iniziati accessi, ispezioni, verifiche o altre attività amministrative di accertamento delle quali l’autore dell’inadempimento abbia avuto formale conoscenza, laddove il contribuente: a) abbia i requisiti sostanziali richiesti dalle norme di riferimento; b) effettui la comunicazione ovvero esegua l’adempimento richiesto entro il termine di

presentazione della prima dichiarazione utile; c) versi contestualmente l’importo pari alla misura minima della sanzione stabilita

dall’art. 11, comma 1, del d.lgs. 18 dicembre 1997, n. 471, secondo le modalità stabilite dall’art. 17 del d.lgs. 9 luglio 1997, n. 241, e successive modificazioni, e-sclusa la compensazione ivi prevista”.

Come chiarito dalla relazione illustrativa, la previsione in esame, in presenza di alcuni presupposti di natura sostanziale di cui si dirà oltre, intende “salvaguardare la scelta operata dal contribuente che presenta la comunicazione ovvero assolve l’adempimento richiesto tardivamente”, ed è “strutturata in modo tale da sanare quei soli comportamenti che non abbiano prodotto danni per l’erario, nemmeno in termini di pregiudizio all’attività di accertamento”.

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La medesima relazione, nel precisare che la suddetta previsione “intende salvaguarda-re il contribuente in buona fede”, esclude che il beneficio possa essere fruito o il regime applicato nelle ipotesi in cui il tardivo assolvimento dell’obbligo di comunicazione ovve-ro dell’adempimento di natura formale rappresenti un mero ripensamento, ovvero una scelta a posteriori basata su ragioni di opportunità. L’esistenza della buona fede, in altri termini, presuppone che il contribuente abbia tenuto un comportamento coerente con il regime opzionale prescelto ovvero con il beneficio fiscale di cui intende usufruire (c.d. comportamento concludente), ed abbia soltanto omesso l’adempimento formale nor-mativamente richiesto, che viene posto in essere successivamente. Condizioni per la regolarizzazione Per potersi avvantaggiare della regolarizzazione di cui all’art. 2, comma 1, è necessa-rio, innanzitutto, che la violazione “non sia stata constatata o non siano iniziati accessi, ispezioni, verifiche o altre attività amministrative di accertamento delle quali l’autore dell’inadempimento abbia avuto formale conoscenza, laddove il contribuente”. Ne consegue che soltanto in assenza di attività di accertamento avviate da parte dell’Amministrazione finanziaria e conosciute dal contribuente è possibile porre in esse-re, ancorché tardivamente, gli adempimenti necessari al fine di fruire del beneficio o del regime fiscale prescelto. Al fine di accedere alla “sanatoria” in esame, il contribuente deve, inoltre, possedere “i requisiti sostanziali richiesti dalle norme di riferimento”. Tali requisiti, in particolare, de-vono essere posseduti alla data originaria di scadenza del termine normativamente previsto per la trasmissione della comunicazione ovvero per l’assolvimento dell’adempimento di natura formale propedeutici alla fruizione di benefici di natura fi-scale o all’accesso a regimi fiscali opzionali. Inoltre, il contribuente deve effettuare la comunicazione ovvero eseguire l’adempimento richiesto “entro il termine di presentazione della prima dichiarazione utile”, da intendersi come la prima dichiarazione dei redditi il cui termine di presentazione scade successi-vamente al termine previsto per effettuare la comunicazione ovvero eseguire l’adempimento stesso. Qualora l’adempimento omesso rilevi esclusivamente ai fini dell’imposta sul valore aggiunto, il termine cui occorre fare riferimento è quello di pre-sentazione della prima dichiarazione Iva che scade successivamente al termine previ-sto per effettuare la comunicazione ovvero eseguire l’adempimento stesso. Sulla base delle disposizioni del d.p.r. 22 luglio 1998, n. 322, per “termine di presenta-zione” si intende comunque quello ordinario di presentazione del Modello UNICO, a nulla rilevando il “periodo di tolleranza” di 90 giorni previsto dall’art. 2, comma 7, del medesimo decreto secondo cui “sono considerate valide le dichiarazioni presentate entro novanta giorni dalla scadenza del termine, salva restando l’applicazione delle sanzioni amministrative per il ritardo”. Ai fini del perfezionamento dell’istituto in esame, inoltre, contestualmente alla presenta-zione tardiva della comunicazione o all’adempimento tardivo occorre versare la sanzio-

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ne in misura pari a 258 euro, ossia l’importo minimo previsto dal citato art. 11, comma 1, del d.lgs. n. 471 del 1997. Detta sanzione: deve essere versata tramite modello F24, ai sensi dell’art. 17 del d.lgs. 9 luglio

1997, n. 241, senza possibilità di effettuare la compensazione con crediti eventual-mente disponibili;

non può essere oggetto di ravvedimento ai sensi dell’art. 13 del d.lgs. 18 dicembre 1997, n. 472, dal momento che la sanzione rappresenta l’onere da assolvere per aver diritto al riconoscimento dei benefici concessi dalla norma in esame.

Ambito oggettivo di applicazione L’art. 2, comma 1, del decreto, come visto, circoscrive l’ambito di applicazione del nuovo istituto alla fruizione di benefici di natura fiscale e all’accesso ai regimi fiscali op-zionali, subordinati all’obbligo di preventiva comunicazione o di altro adempimento di carattere formale. Tanto l’obbligo di comunicazione quanto l’adempimento formale de-vono essere previsti a pena di decadenza dal beneficio o dal regime opzionale. Ne consegue che la disposizione in esame non trova applicazione con riferimento alle co-municazioni o agli adempimenti fiscali la cui non tempestiva esecuzione assume natura di mera irregolarità (e dal cui mancato o tardivo adempimento discenda la sola irroga-zione di sanzioni). Si pensi, ad esempio, alla comunicazione che, a partire dal periodo d’imposta successivo a quello in corso al 31 dicembre 2008, deve essere inviata all’Agenzia delle entrate per beneficiare della detrazione, pari al 55%, delle spese so-stenute per gli interventi di risparmio energetico (art. 29, comma 6, del d.l. 29 novem-bre 2008, n. 185, convertito, con modificazioni, dalla l. 28 gennaio 2009, n. 2). L’omesso invio della suddetta comunicazione non determina la decadenza dall’agevolazione ma l’applicazione della sanzione di cui all’art. 11, comma 1, del d.lgs. n. 471 del 1997 (cfr., sul punto, anche circ. n. 21/E del 23 aprile 2010). La disposizione introdotta dal decreto n. 16 del 2012 esplica inoltre la propria efficacia in ipotesi diverse da quelle cui sono applicabili gli artt. 1 e 2 del d.p.r. n. 442 del 1997, vale a dire in ipotesi: di benefici, agevolazioni o regimi opzionali, diversi da quelli di determinazione

dell’imposta o dai regimi contabili, di cui al medesimo d.p.r. n. 442 del 1997; di regimi di determinazione dell’imposta o di regimi contabili per i quali la normativa

di settore, derogando all’art. 2 del d.p.r. n. 442 del 1997, preveda l’effettuazione di adempimenti di comunicazione o di altri adempimenti formali, a pena di decadenza.

La relazione illustrativa al decreto, a titolo esemplificativo, individua alcune fattispecie alle quali l’istituto della remissione in bonis risulta applicabile. Tra queste vengono richiamate espressamente: il regime di tassazione per trasparenza nell’ambito delle società di capitali; il consolidato fiscale; le disposizioni di favore introdotte per gli enti di tipo associativo (per esempio per

l’omesso invio del modello EAS). A tal fine si ricorda che l’art. 30, commi da 1 a 3-

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bis, del d.l. n. 185 del 2008 ha stabilito che, per beneficiare della non imponibilità, ai fini IRES e IVA, dei corrispettivi, delle quote e dei contributi, gli enti di tipo associati-vo devono trasmettere, in via telematica, i dati e le notizie fiscalmente rilevanti, me-diante un apposito modello, al fine di consentire gli opportuni controlli. Il modello di comunicazione dei dati deve essere presentato entro 60 giorni dalla data di costitu-zione dell’ente. Beneficiando dell’istituto della remissione in bonis, i contribuenti in possesso dei requisiti sostanziali richiesti dalla norma che non hanno inviato la co-municazione entro il termine previsto possono fruire comunque dei benefici fiscali inoltrando il modello entro il termine di presentazione del modello UNICO successi-vo all’omissione, versando contestualmente la sanzione pari a 258 euro. Così, ad esempio, un ente, che si è costituito a gennaio 2012 e per il quale non sia stato in-viato tempestivamente il modello EAS, può inviare quest’ultimo entro il 1° ottobre 2012 (termine che, in sede di prima applicazione della norma, slitta al 31 dicembre 2012).

Oltre alle fattispecie elencate nella relazione illustrativa, ad ulteriore titolo esemplifi-cativo, si osserva che la disposizione in esame può trovare applicazione anche re-lativamente: all’opzione per l’adesione al regime di liquidazione e versamento mensile o trime-

strale dell’IVA di gruppo; all’opzione per la determinazione dell’IRAP in base al bilancio. Al riguardo, si ricorda

che, ai sensi dell’art. 5-bis, comma 2, del d.lgs. n. 446 del 1997, le società di per-sone e gli imprenditori individuali in contabilità ordinaria possono avvalersi della fa-coltà di determinare la base imponibile IRAP – in luogo del regime naturale fondato sulle disposizioni del TUIR – secondo le medesime regole previste per le società di capitali, utilizzando un apposito modello. Come chiarito con la circ. n. 60/E del 28 ottobre 2008, tale modello deve essere inoltrato, “pena l’inefficacia dell’opzione stessa”, all’Agenzia delle entrate entro il termine di 60 giorni dall’inizio del periodo d’imposta per il quale si intende applicare la disciplina in parola. Così, ad esempio, se una società di persone non ha esercitato tempestivamente l’opzione per l’anno d’imposta 2012, la stessa, avvalendosi della sanatoria in commento, può inviare l’apposito modello entro il 1° ottobre 2012 (termine che, in sede di prima applica-zione della norma, slitta al 31 dicembre 2012);

alla tonnage tax. Tale regime si applica al reddito delle navi che presentano i requi-siti di cui all’art. 155, commi 1 e 2, del TUIR, così come integrato dall’art. 6, comma 1, del decreto del Ministro dell’Economia e delle Finanze del 23 giugno 2005.

L’opzione per la determinazione forfettaria del reddito: deve essere inviata telematicamente all’Agenzia delle entrate entro tre mesi

dall’inizio del periodo d’imposta a partire dal quale si applica, utilizzando l’apposito modello (per le imprese neo costituite, il predetto termine decorre dalla data di co-stituzione);

va esercitata relativamente a tutte le navi aventi i requisiti richiesti, conseguiti entro la chiusura del periodo d’imposta;

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può essere relativa ad una singola società di navigazione oppure relativa ad un gruppo d’imprese;

è irrevocabile per 10 esercizi sociali e può essere rinnovata, con le medesime mo-dalità, entro 3 mesi dall’inizio del periodo successivo alla scadenza.

Come previsto dall’art. 3, comma 3, del decreto del 23 giugno 2005 (e dalla circ. n. 72/E del 21 dicembre 2007), l’invio telematico della comunicazione è stabilito “a pena d’inefficacia”. Pertanto, l’omesso invio di detta comunicazione può essere regolarizzato avvalendosi della sanatoria in commento, al ricorrere di tutti i presupposti richiesti dall’art. 2, comma 1, del decreto. Ad esempio, se una società, con esercizio coinci-dente con l’anno solare, intendeva avvalersi del regime della tonnage tax a partire dal periodo d’imposta 2012, la stessa doveva esercitare l’opzione entro il 31 marzo dello stesso anno. Avvalendosi della sanatoria in commento il mancato esercizio dell’opzione è sanabile entro il termine di presentazione dell’UNICO 2012 ovvero entro il 1° ottobre 2012 (termine che, in sede di prima applicazione della norma, slitta al 31 dicembre 2012). Decorrenza Il d.l. n. 16 del 2012 è entrato in vigore il 2 marzo 2012. In ossequio agli ordinari princi-pi di efficacia delle leggi nel tempo, le relative disposizioni trovano applicazione con rife-rimento alle irregolarità per le quali, alla suddetta data di entrata in vigore, non sia an-cora scaduto il termine di presentazione della prima dichiarazione utile ai fini della rego-larizzazione. Poiché, peraltro, la fruizione del beneficio fiscale ovvero l’accesso al regime opzionale trovano, di fatto, compiuta rappresentazione solamente nella dichiarazione relativa al periodo d’imposta in cui il contribuente se ne è avvalso, la remissione in bonis trova applicazione anche con riferimento alle irregolarità per le quali, alla suddetta data di en-trata in vigore, sia scaduto il termine di presentazione della prima dichiarazione utile ma non sia ancora scaduto quello di presentazione della dichiarazione riguardante il perio-do d’imposta nel quale l’adempimento è stato omesso. Si tratta, ad esempio, degli a-dempimenti omessi nel 2011 dai contribuenti con periodo d’imposta coincidente con l’anno solare. Peraltro, in sede di prima applicazione della norma, in considerazione dell’incertezza interpretativa in merito all’individuazione del dies ad quem entro il quale sanare l’adempimento omesso, si ritiene che, in attuazione di principi di tutela dell’affidamento e della buona fede, il termine entro cui regolarizzare le omissioni sopra individuate (compresi gli adempimenti omessi nel periodo d’imposta per il quale il termine di pre-sentazione della relativa dichiarazione è scaduto successivamente al 2 marzo 2012) sia il 31 dicembre 2012.

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2.1.3 Riparto del cinque per mille Oltre alla remissione in bonis, a carattere generale, di cui al comma 1, l’art. 2, discipli-na, al comma 2, una forma di ravvedimento particolare per gli enti che non hanno as-solto, in tutto o in parte, entro i termini di scadenza, gli adempimenti richiesti per parte-cipare al riparto del cinque per mille dell’imposta sul reddito delle persone fisiche. Ai sensi del citato articolo, infatti, “a decorrere dall’esercizio finanziario 2012 possono par-tecipare al riparto del 5 per mille dell’imposta sul reddito delle persone fisiche gli enti che pur non avendo assolto in tutto o in parte, entro i termini di scadenza, agli adem-pimenti richiesti per l’ammissione al contributo: a) abbiano i requisiti sostanziali richiesti dalle norme di riferimento; b) presentino le domande di iscrizione e provvedano alle successive integrazioni do-

cumentali entro il 30 settembre; c) versino contestualmente l’importo pari alla misura minima della sanzione stabilita

dall’art. 11, comma 1, del d.lgs. 18 dicembre 1997, n. 471, secondo le modalità stabilite dall’art. 17 del d.lgs. 9 luglio 1997, n. 241, e successive modificazioni, e-sclusa la compensazione ivi prevista”.

Per potersi avvantaggiare di detta regolarizzazione i soggetti che intendono partecipare al riparto del cinque per mille e che non abbiano tempestivamente eseguito gli adem-pimenti nei termini normativamente previsti devono: possedere i requisiti sostanziali richiesti dalle relative disposizioni; presentare la domanda di iscrizione entro il 30 settembre; effettuare, entro la medesima data del 30 settembre, le successive integrazioni do-

cumentali; versare la sanzione in misura pari a 258 euro, ossia l’importo minimo previsto dal

citato art. 11, comma 1, del d.lgs. n. 471 del 1997, utilizzando il codice tributo “8115” (cfr. ris. n. 46/E del 2012). Detta sanzione deve essere versata tramite mo-dello F24, ai sensi dell’art. 17 del d.lgs. 9 luglio 1997, n. 241, senza possibilità di ef-fettuare la compensazione con crediti eventualmente disponibili. La sanzione non può essere oggetto di ravvedimento ai sensi dell’art. 13 del d.lgs. n. 472 del 1997, dal momento che la stessa rappresenta l’onere da assolvere per aver diritto al rico-noscimento dei benefici concessi dalla disposizione in esame (vedi anche circ. n. 10/E del 20 marzo 2012).

2.1.4 Indeducibilità di costi e spese per beni e servizi utilizzati per delitti non colposi Il recupero a tassazione di costi e spese relativi a beni o prestazioni di servizio diret-tamente utilizzati per il compimento di attività delittuose, non colpose, oltre al recu-pero della maggiore imposta e degli interessi, espone il contribuente alle conseguenti sanzioni. Nella specie, risultano applicabili le sanzioni dal 100 al 200% della maggior imposta (art. 1, comma 2, del d.lgs. 18 dicembre 1997, n. 471) per “infedeltà” della dichiarazione.

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In linea con quanto già chiarito nella circ. n. 42/E del 26 settembre 2005, rimane tuttavia in facoltà del contribuente, successivamente all’esercizio dell’azione penale nei termini prece-dentemente descritti, procedere ad una variazione in aumento del reddito imponibile in re-lazione ai costi in esame, al fine di evitare l’attività di accertamento nei suoi confronti. In tal senso, il contribuente nei cui confronti non siano ancora iniziati accessi, ispezioni, verifiche o altre attività amministrative di accertamento potrà presentare, in relazione alla dichiarazione in cui ha dedotto i costi, una dichiarazione integrativa ai sensi dell’art. 2, comma 8, del d.p.r. 22 luglio 1998, n. 322 contenente le necessarie variazioni in aumento, corrispondenti ai costi indebitamente dedotti in quanto direttamente connes-si al delitto non colposo. Qualora la dichiarazione integrativa, effettuata prima dell’avvio dell’attività di controllo fiscale, venga presentata nei termini di cui all’art. 13, comma 1, lettera b) del d.lgs. 18 dicembre 1997, n. 472, il contribuente otterrà la riduzione della sanzione ad 1/8 del minimo, avvalendosi dell’istituto del ravvedimento operoso.

2.2 Fonti Normativa D.lgs. 18 dicembre 1997, n. 472 - art. 13 Prassi Circ. min. 5 luglio 2000, n. 138/E Circ. min. 17 maggio 2000, n. 98/E Circ. min. 24 settembre 1999, n. 195/E Ris. min. 28 giugno 1999, n. 105/E Circ. min. 25 gennaio 1999, n. 23/E Circ. min. 23 luglio 1998, n. 192/E Circ. min. 13 luglio 1998, n. 184/E Circ. min. 10 luglio 1998, n. 180/E Circ. Guardia di Finanza 25 marzo 1998, n. 107000 Giurisprudenza Cass., sez. VI, ord. 8 agosto 2012, n. 14298 Cass., sez. V, ord. 29 febbraio 2012, n. 3158 Cass., sez. V sent. 6 dicembre 2011, n. 26172 Comm. trib. prov. di Milano, sez. XVI, sent. 6 giugno 2008 (ud. del 13 maggio 2008), n. 146 Cass., sez. trib., sent. 1° giugno 2007 (ud. del 4 aprile 2007), n. 12883 C. cost., sent. 6 febbraio 2002 (ud. del 28 gennaio 2002), n. 17 Cass., sez. I, sent. 2 luglio 1999 (ud. del 24 febbraio 1999), n. 6823

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2.3 Applicazioni 2.3.1 Termini per la regolarizzazione e commisurazione della sanzione ammi-nistrativa Prima delle sopradette modifiche introdotte dal d.l. n. 185/2008, per le violazioni derivanti dall’omesso pagamento del tributo o di un acconto, era prevista una riduzione a: 1/8 del minimo della sanzione irrogabile, nel caso in cui il pagamento del tributo ve-

niva eseguito nel termine di trenta giorni dalla data della sua scadenza naturale; 1/5 del minimo della sanzione irrogabile, nel caso in cui il pagamento del tributo ve-

niva eseguito nel termine per la presentazione della dichiarazione relativa all’anno in cui era stata commessa la violazione.

Considerato che l’importo irrogabile è pari al 30 per cento, la violazione commessa po-teva dunque essere definita con il pagamento di una sanzione amministrativa pari al 3,75 per cento dell’imposta e relativi interessi (nel primo caso) e al 6 per cento dell’im-posta e relativi interessi (nel secondo caso). L’art. 13, comma 1, lett. a) del d.lgs. 18 dicembre 1997, n. 472, come modificato dal d.l. n. 185 del 29 novembre 2008, come visto, dispone però ora, nei confronti del con-tribuente che abbia omesso il versamento di un tributo o di un acconto, la riduzione della sanzione a un dodicesimo (dal 30% al 2,5%) se esso viene eseguito nel termine di trenta giorni dalla data della violazione. Per gli errori e omissioni incidenti e non sulla determinazione del tributo, invece, la ridu-zione è pari a 1/10 (prima era 1/5) del minimo della sanzione irrogabile, se la regolariz-zazione degli errori e delle omissioni, anche se incidenti sulla determinazione e paga-mento del tributo, avviene entro il termine per la presentazione della dichiarazione rela-tiva all’anno in cui è stata commessa la violazione. Per l’omissione della dichiarazione, infine, la riduzione è pari a 1/12 (prima era 1/8) del minimo di quella prevista per l’omissione della presentazione della dichiarazione se questa viene presentata con ritardo non superiore a novanta giorni dalla scadenza na-turale. La stessa riduzione si applica alla presentazione della dichiarazione Iva periodica con ritardo non superiore a trenta giorni dalla scadenza naturale. Oltre tali termini le precitate dichiarazioni sono considerate omesse e quindi l’istituto del ravvedimento non può operare. 2.3.2 Modalità operative La contestualità In ordine alla «contestualità», con la citata circ. min. n. 180 del 10 luglio 1998, è stato chiarito che non è necessario che i pagamenti vengano effettuati «nello stesso momen-to», ma è solo necessario che avvengano nello stesso arco temporale previsto per la regolarizzazione; per esempio, il ravvedimento di un omesso versamento nei 30 giorni, è valido anche se l’imposta e i relativi interessi vengono corrisposti in un giorno diverso da quello in cui viene versata la sanzione, pur se sempre nei trenta giorni.

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Le fattispecie regolarizzabili Le fattispecie regolarizzabili sono le seguenti: omesso o insufficiente versamento del tributo, a titolo di acconto o saldo, in base

alle dichiarazioni; violazioni di carattere formale, non incidenti sulla determinazione del tributo; violazioni di natura sostanziale; omessa presentazione della dichiarazione. Nel caso di violazioni relative al pagamento del tributo ci si può ravvedere pagando l’imposta dovuta, gli interessi moratori2 e la sanzione in misura ridotta. In sede di revisione delle sanzioni amministrative per le violazioni di norme tributarie il comma 4 dell’art. 13 del d.lgs. n. 472/1997 è stato espressamente abrogato (art. 7 del d.lgs. n. 32/2001). La soppressa disposizione consentiva, in presenza di violazioni meramente formali, cioè non incidenti sulla determinazione della base imponibile, dell’imposta e sul versamento del tributo e, al contempo, non pregiudizievoli dell’attività di controllo, di ravvedersi entro 3 mesi dalla violazione senza applicazione di sanzioni. Di fatto, era già venuta meno la punibilità delle violazioni formali, per effetto dello Statu-to del contribuente (art. 10, comma 3), dalle quali non derivasse alcun debito d’imposta. L’Agenzia delle entrate, con la circ. min. n. 77/E del 3 agosto 2001, ha peraltro chiarito che l’abrogazione del suddetto comma 4 deriva proprio dalla espressa non punibilità delle violazioni meramente formali, cosicché il contribuente può regolarizzare la propria posizione mediante l’invio di una comunicazione all’Ufficio competente o la presenta-zione di una dichiarazione integrativa. Per violazioni di carattere sostanziale si intendono invece le omissioni e gli errori che incidono sulla determinazione e sul pagamento del tributo. Secondo la definizione data dall’Amministrazione finanziaria nella circ. min. n. 98 del 17 maggio 2000, vi rientrano: a) errori e omissioni rilevabili in sede di liquidazione o controllo formale delle imposte

dovute: ai sensi degli artt. 36-bis e 36-ter del d.P.R. n. 600/1973, quali errori materiali e

di calcolo nella determinazioni dell’imponibile e dell’imposta, detrazioni d’imposta indicate in misura superiore a quella spettante, oneri deducibili o de-traibili, ritenute d’acconto e crediti d’imposta evidenziati in misura superiore a quelli spettanti;

ai sensi dell’art. 54-bis del d.P.R. n. 633/1972, in materia di Iva; b) errori e omissioni rilevabili in sede di rettifica della dichiarazione, quali l’omessa indi-

cazione di ricavi o compensi che determinano l’infedele dichiarazione.

- - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - 2 Gli interessi moratori sono calcolati al tasso legale con maturazione giornaliera a decorrere dal giorno in

cui il versamento doveva essere effettuato e fino al giorno in cui lo stesso è effettivamente eseguito.

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Entrambe le tipologie possono (rectius: potevano) essere regolarizzate, ai sensi dell’art. 13, comma 1, lett. b), del d.lgs. n. 472/1997: nel caso sub a), con il pagamento della sanzione ridotta a un 1/5 del minimo, pari al

6 per cento (un quinto del 30 per cento previsto); nel caso sub b), sempre con il pagamento della sanzione ridotta a 1/5 del minimo,

pari al 20 per cento (un quinto della sanzione minima prevista del 100 per cento). Tuttavia come detto, l’art. 13, comma 1, lett. a) del d.lgs. 18 dicembre 1997, n. 472, come modificato dal d.l. n. 185 del 29 novembre 2008, dispone ora nei confronti del contribuente che abbia omesso il versamento di un tributo o di un acconto, la riduzione della sanzione a un dodicesimo (dal 30% al 2,5%) se esso viene eseguito nel termine di trenta giorni dalla data della violazione. Anche per le violazioni in esame occorre comunque provvedere alla presentazione del-la dichiarazione integrativa nei termini previsti. Si ribadisce, infine, che l’omessa presentazione della dichiarazione è regolarizzabile a norma dell’art. 13, comma 1, lett. c), del d.lgs. n. 472/1997, con il pagamento della sanzione ridotta a 1/12 del minimo, se la stessa viene presentata con un ritardo non superiore a 90 giorni. Resta ferma l’eventuale sanzione prevista per l’omesso versamento, ridotta a 1/12, dell’imposta o maggiore imposta, se versata entro 30 giorni dalla scadenza e a 1/10 dell’imposta o maggiore imposta, se versata oltre i 30 giorni dalla scadenza, ma entro il termine per la presentazione della dichiarazione relativa all’anno in cui è stata inoltrata la dichiarazione tardiva. Per regolarizzare l’omessa dichiarazione dei sostituti d’imposta, ai sensi dell’art. 2, comma 4, del d.lgs. n. 471/1997, oltre alle sanzioni indicate sopra, occorre versare 1/12 di 51 euro per ogni percipiente. Il versamento Il ravvedimento operoso va effettuato mediante il modello di versamento F24 debita-mente compilato, cumulando l’importo relativo al tributo omesso e i relativi interessi le-gali maturati, usando il codice del tributo, nonché versando la sanzione ridotta (e, quindi, senza più dover ricorrere all’utilizzo del mod. F23). Ai fini della determinazione degli interessi legali dovuti, gli stessi vanno calcolati sulla base della seguente formula:

C x I x T 36000

dove C: l’imposta dovuta; I: interessi; T: numero dei giorni intercorsi dalla data di mancato pagamento a quello in cui il pa-gamento viene effettuato. Tale prodotto va, poi, diviso per 36.000 (corrispondenti al numero dei giorni dell’anno commerciale) e determina, appunto, il valore degli interessi da pagare.

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2.3.3 La più recente giurisprudenza in tema di ravvedimento operoso Di seguito alcune delle più recenti ed interessanti pronunce della giurisprudenza di le-gittimità sull’argomento. Con l’ord. n. 3158 del 29 febbraio 2012 la Corte Suprema ha stabilito che non è acco-glibile l'istanza di rimborso da parte del contribuente in presenza di tardività accertata della dichiarazione dei redditi e del ravvedimento operoso. La Corte Suprema ha infatti rilevato come, giusto il disposto del comma 1 dell’art.13 del d.lgs. 472/1997, il ravve-dimento, nel caso, era precluso dalla verifica della violazione, nonché dal fatto che, comunque, la relativa istanza era stata presentata a distanza di circa quattro anni dalla omessa dichiarazione, in violazione del comma 4 del medesimo articolo, che prevede la regolarizzazione avvenga entro tre mesi dalla omissione della dichiarazione. Con l’ord. n. 12661/2011 la Corte ha poi affermato che la mera volontà del contribuen-te ovvero un qualunque versamento manifestante l’intendimento di ovviare ad una vio-lazione alla disciplina tributaria non sono sufficienti per beneficiare delle conseguenze positive dell’istituto contemplato all’art. 13 del d.lgs. n. 472/1997. Dispone infatti la norma che “La sanzione è ridotta, sempreché la violazione non sia stata già constatata e comunque non siano iniziati accessi, ispezioni, verifiche o altre attività amministrative di accertamento delle quali l’autore o i soggetti solidalmente ob-bligati, abbiano avuto formale conoscenza … Il pagamento della sanzione ridotta deve essere eseguito contestualmente alla regolarizzazione del pagamento del tributo o del-la differenza, quando dovuti, nonché al pagamento degli interessi moratori calcolati al tasso legale”. È opinione dunque del Collegio che l’iter previsto dalla norma non consenta altra solu-zione che quella di ritenere l’esattezza dell’importo assolto quale condicio sine qua non per eliminare (parzialmente) gli effetti negativi della compiuta violazione. In sintesi non sussiste alcun legittimo ravvedimento – con conseguente impossibilità di opporre da parte del contribuente le somme versate quale titolo per la decurtazione delle sanzioni irrogabili – in difetto del pagamento del tributo, degli interessi e delle san-zioni nei termini ridotti. L’irrilevanza dell’errore di calcolo è ascritta alla natura di condizione da cui deriva la ne-cessità che l’importo sia coerente con le richieste esplicitate dalla disciplina. La posizione assunta dai Giudici di legittimità conferma quanto sostenuto dall’Amministrazione finanziaria sin dalla circ. n. 180/E del 1998, laddove si precisa che in “… mancanza anche di uno solo dei citati pagamenti il ravvedimento non può opera-re” e si inserisce nel medesimo indirizzo interpretativo con il quale la Suprema Corte ha escluso l’applicazione del ravvedimento in presenza di tardiva presentazione della di-chiarazione annuale dell’IVA “contemplante anche l’obbligo di versamento della relativa imposta” in carenza “… nello stesso termine” del “… pagamento sia dell’imposta do-

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vuta in base alla dichiarazione tardivamente presentata, sia delle sanzioni ridotte che degli interessi maturati”3. Il ravvedimento operoso si perfeziona pertanto solo mediante l'integrale osservanza degli adempimenti imposti dall'art. 13 del d.lgs. n. 472/1997, quindi con il pagamento delle maggiori imposte, delle sanzioni sebbene nella misura ridotta, nonché degli inte-ressi legali. Ove, invece, il contribuente commetta un errore nella computazione della sanzione irrogabile, il ravvedimento non può ritenersi perfezionato, per cui è legittima la ripresa a tassazione delle sanzioni nella misura dovuta. Come infatti ancora sottolinea la Corte, si tratta di condizioni di perfezionamento dell’istituto, come chiaramente si evince dall’impiego dell’espressione "deve" di cui al citato comma 2, a proposito del versamento integrale della sanzione (sebbene nella misura ridotta dal comma 1) contestualmente alla regolarizzazione dell’obbligo tributa-rio; come appare confermato dal testuale riferimento alla condizione di perfezionamen-to di cui al comma 3, della medesima disposizione, salva la fissazione in tal caso di un termine (60 giorni) per il versamento dalla notifica dell’avviso di liquidazione; e come del resto vuole la logica, trattandosi di ravvedimento comunque soggetto al pagamento di una ben determinata sanzione. 2.4 Quesiti 2.4.1 Riduzione credito Irpeg o Irap D: Sia in caso di ravvedimento operoso relativo a errori rilevabili in sede di liquidazione o di controllo formale, sia in caso di ravvedimento operoso relativo a errori non rilevabili in sede di liquidazione o di controllo formale deve essere eseguito il pagamento dell’imposta dovuta, degli interessi moratori e della sanzione in misura ridotta. In en-trambi i casi, anche quando la dichiarazione originaria presentava un credito d’imposta non richiesto a rimborso, non ci si deve limitare a ridurre il credito risultante dalla di-chiarazione, ma si deve procedere al versamento del maggior tributo, con l’effetto che il credito risultante dalla dichiarazione originaria resterà: utilizzabile per future compen-sazioni in dichiarazione o nel modello F24? R: Ai fini del ravvedimento operoso relativo: a) a errori rilevabili in sede di liquidazione o di controllo formale delle imposte dovute

(esempio: errori materiali e di calcolo; indicazione in misura superiore a quella spet-tante di detrazioni d’imposta, di oneri deducibili o detraibili, di ritenute d’acconto e di crediti d’imposta, eccetera);

- - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - 3 Cass., sent. n. 12883 del 1° giugno 2007.

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b) a errori e omissioni non rilevabili in sede di liquidazione o di controllo formale delle imposte dovute (esempio: omessa o errata indicazione di redditi, errata determina-zione di redditi, esposizione di indebite detrazioni d’imposta ovvero di indebite de-duzione dell’imponibile)

occorre che, entro il termine per la presentazione della dichiarazione relativa all’anno successivo, il contribuente: presenti la prevista dichiarazione integrativa; effettui il versamento del tributo dovuto, nonché degli interessi moratori e della san-

zione ridotta. In entrambi i casi, qualora la dichiarazione originaria presentasse un credito d’imposta non richiesto a rimborso, dopo aver presentato una dichiarazione integrativa con l’esposizione del minor credito o dell’imposta dovuta, occorre effettuare il pagamento del tributo dovuto (differenza tra l’importo del credito riportato nella dichiarazione originaria e quello esposto nella dichiarazione integrativa), nonché degli interessi moratori e della sanzione ridotta. Così operando, l’ammontare del credito risultante dalla dichiarazione originaria potrà essere interamente utilizzato per future compensazioni. 2.4.2 Il ravvedimento in caso di errore codice ufficio D: Per analogia al caso di errore nell’indicazione di codice tributo, è possibile applicare il ravvedimento agli errori di codice ufficio compiuti in sede di compilazione del mod. F23? R: Il codice ufficio, al pari del codice tributo, è uno degli elementi necessari all’imputazione della somma versata, per cui le inesattezze a esso relative rientrano nell’ambito di applicazione dell’art. 15 del d.lgs. 18 dicembre 1997, n. 471. Di conseguenza, nessun dubbio può esservi circa la possibilità, per il contribuente che abbia sbagliato l’indicazione del codice ufficio nel mod. F23, di esercitare il ravvedi-mento ai sensi dell’art. 13 del d.lgs. 18 dicembre 1997, n. 472. Il contribuente dovrà inviare una comunicazione sia all’Ufficio periferico, il cui codice è stato indicato erroneamente sul modello di versamento, sia a quello al quale, invece, il versamento deve essere correttamente abbinato. 2.4.3 Il ravvedimento frazionato D: È possibile la rateazione delle somme da ravvedimento e cosa si intende per ravve-dimento frazionato o parziale? R: Come anche specificato nella ris. n. 67/E del 23 giugno 2011 è necessario innanzi-tutto operare una distinzione tra “rateazione delle somme da ravvedimento” e “ravve-dimento parziale”. Deve, infatti, escludersi che possa applicarsi all’istituto del ravvedimento operoso di cui all’art. 13 del d.lgs. n. 472 del 1997 la rateazione, che è una modalità di pagamento dila-zionato nel tempo di somme dovute dal contribuente, applicabile solo ove normativa-mente prevista, ed in presenza di presupposti e secondo regole puntualmente disciplina-te. In particolare, non è ammissibile che il ravvedimento della violazione si perfezioni con il

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versamento della cosiddetta “prima rata” di quanto “complessivamente” dovuto a titolo di imposta, interessi e sanzioni, e che il contribuente possa, quindi, beneficiare della ridu-zione complessiva delle sanzioni applicabili anche quando i versamenti delle “rate” suc-cessive siano effettuati oltre i termini ultimi normativamente previsti. Allo stesso modo, deve escludersi che, in caso di controllo fiscale attivato tra un ver-samento e l’altro, il contribuente possa invocare l’avvenuta definizione integrale della violazione per effetto del versamento della “prima rata”. Ed, infine, il contribuente, nel caso di omesso o carente versamento, non può benefi-ciare della percentuale di riduzione dell’intera sanzione nelle misure più vantaggiose previste dalla lettera a) del citato art. 13, per il solo fatto di aver versato una prima rata di quanto complessivamente dovuto entro il termine di trenta giorni dalla data di com-missione della violazione. Relativamente alla fattispecie prospettata è, invece, più corretto parlare di ravvedimen-to “parziale” di quanto originariamente e complessivamente dovuto. Tale possibilità, per effetto di quanto chiarito nella circ. n. 192/E del 1998, non è pre-clusa. Ai fini del perfezionamento del ravvedimento parziale, è infatti necessario che siano corrisposti interessi e sanzioni commisurati alla frazione del debito d’imposta ver-sato tardivamente. Ovviamente il limite all’effettuazione di tali ravvedimento scaglionati è rappresentato dall’intervento di controlli fiscali nei confronti del contribuente ovvero dallo scadere del termine per il ravvedimento; in tali circostanze, l’omesso versamento della parte di de-bito che residua non può beneficiare delle riduzioni delle sanzioni previste dal citato art. 13 che, invece, andranno irrogate dagli Uffici, secondo le regole ordinarie. A titolo esemplificativo, se il contribuente non ha effettuato (o ha effettuato in parte) il versamento della somma dovuta a titolo di secondo acconto IRPEF per l’anno d’imposta 2010 (es.: euro 100), tale omissione – sempreché non sia stata già consta-tata – si considera correttamente ravveduta qualora, entro il termine del 30 settembre 2011, il contribuente stesso versi, in due o più soluzioni, la quota capitale (es.: euro 20, 40, 30 e 10) con i correlati sanzione ed interessi. Viceversa, il ravvedimento non potrà ritenersi perfezionato, se non limitatamente all’importo versato, qualora il contribuente versi entro il termine del 30 settembre 2011 solo una quota parte (es.: euro 20) con i correlati sanzioni ed interessi e, successivamente al predetto termine, la restante parte (es.: euro 40, 30 e 10). Ugualmente, come detto, la violazione sarà ravveduta solo in parte se tra un versamento e l’altro intervenga un controllo da parte dell’Amministrazione. In sintesi, il contribuente, sempre che il versamento del dovuto, ivi compresi interessi e sanzioni ridotte, sia posto in essere nei termini di cui all’art. 13 del d.lgs. n. 472/1997, può effettuare più pagamenti, in quanto, tecnicamente, non si tratta di dilazione. Da ciò deriva che il ravvedimento operoso si perfeziona sempre con il versamento della totalità degli importi dovuti, e mai con il pagamento della prima rata. Pertanto:

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il contribuente non beneficia per l’intero della più mite riduzione della sanzione ad un decimo del minimo ove esegua un primo versamento entro trenta giorni dalla commissione della violazione e i restanti in momenti successivi;

il contribuente non beneficia della riduzione della sanzione ove solo il primo versa-mento venga eseguito entro i termini per il ravvedimento;

il contribuente non beneficia del ravvedimento operoso ove, tra un versamento e l’altro, sopravvenga una verifica fiscale.

In assenza di indicazioni normative contrarie, il ravvedimento può quindi essere anche parziale, fermi restando i termini previsti dall’art. 13 del d.lgs. n. 472/1997: a tal fine, è necessario che siano corrisposti interessi e sanzioni commisurati alla frazione del debi-to d’imposta versato tardivamente. 2.4.4 D.l. 98/2011: il ritardo nel versamento inferiore a 15 giorni D: A quanto ammontano le sanzioni per il ritardo nel versamento? R: Si ricorda come il d.l. n. 98/2011 ha comunque ridotto le sanzioni da omesso ver-samento nell’ipotesi in cui il ritardo non superi i quindici giorni, stabilendo che, in tal ca-so, la sanzione è ridotta a un quindicesimo per ogni giorno di ritardo. La sanzione contemplata dall’art. 13 del d.lgs. n. 471/1997, pari al 30% delle somme non versate o versate in ritardo, è ridotta quindi a un importo pari ad un quindicesimo per ogni giorno di ritardo, perciò nella misura del 2% giornaliero. Pertanto, come affermato dalla circ. Agenzia delle Entrate 5 agosto 2011, n. 41/E (pa-ragrafo 10), “la riduzione della sanzione diminuisce all’aumentare dei giorni di ritardo, fino, ovviamente, ad annullarsi al quindicesimo giorno, tornando pari al 30 per cento (30 x 15/15)”. Riprendendo l’esempio riportato nella suddetta circolare, ne deriva che se un paga-mento di 1.000,00 euro viene eseguito con due giorni di ritardo e il ravvedimento viene posto in essere entro i trenta giorni, la sanzione sarà pari a 4,00 euro, in quanto: per effetto del “nuovo” art. 13 del d.lgs. n. 471/1997, si ha una riduzione ad un

quindicesimo per ogni giorno di ritardo, per cui la sanzione da corrispondere diviene di 40,00 euro (300 x 2/15);

per effetto del ravvedimento operoso, si ha una sanzione di 4,00 euro (40/10). In pratica, per i versamenti tardivi che avvengono nei 14 giorni successivi alla scadenza di legge: le sanzioni “ordinarie” variano, a seconda dei giorni di ritardo, dal 2% per un giorno

di ritardo (1/15 del 30%) al 28% per 14 giorni di ritardo (14/15 del 30%); se entro i suddetti 14 giorni si effettua il ravvedimento operoso, tali sanzioni sono

ulteriormente ridotte di un decimo, diventando quindi dello 0,2% per un giorno di ri-tardo (1/15 del 30%: 10) e del 2,8% per 14 giorni di ritardo (14/15 del 30%: 10).

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3. L’acquiescenza Fabiola Bigiarini

3.1 Profili 3.1.1 La disciplina L’art. 15 del d.lgs. n. 218 del 19 giugno 1997 ha introdotto la possibilità, da parte del contribuente, di ottenere una riduzione ad un terzo delle sanzioni irrogate con l’avviso di accertamento nel caso in cui l’atto non venga impugnato, non sia presentata istanza di accertamento con adesione e si provveda al pagamento, entro il termine per la pro-posizione del ricorso, delle somme complessivamente dovute applicando la predetta riduzione. Fino al 1° febbraio 2011, data di entrata in vigore della l. n.220/2010 (cd. legge di sta-bilità), la riduzione delle sanzioni in caso di acquiescenza all’avviso di accertamento era addirittura prevista nella misura di un quarto; l’art. 1 comma 18 della citata legge ha però modificato l’art. 15, comma 1 del d.lgs. n. 218/1997 prevedendo, anche per l’acquiescenza così come stabilito per l’adesione all’accertamento, che lo “sconto” sul-le sanzioni fosse portato da un quarto ad un terzo. Da tener presente che non tutte le sanzioni sono riducibili a un terzo. Ciò dovrà essere evidenziato nell’avviso di accertamento. Come per la definizione dell’avviso di accertamento mediante procedimento di adesio-ne, anche per l’acquiescenza è possibile, negli stessi termini dell’adesione, la rateazio-ne delle somme dovute. Al fine di armonizzare i nuovi istituti deflativi – la definizione dei processi verbali di con-statazione (art. 5-bis del d.lgs. n. 218/1997) e l’istituto della definizione dell’invito al contraddittorio (art. 5, comma 1-bis, del d.lgs. n. 218/1997) – con l’istituto dell’acquiescenza (art. 15 del d.lgs. n. 218/1997), il comma 4-ter dell’art. 27 del d.l. n. 185/2008, aggiunto in sede di conversione, ha integrato il predetto art. 15 con l’inserimento del comma 2-bis. Quest’ultima disposizione stabilisce la riduzione alla metà delle sanzioni previste in ca-so di rinuncia all’impugnazione (quindi un sesto di quelle irrogate) se l’avviso di accer-tamento o di liquidazione non è stato preceduto dall’invito al contraddittorio formulato ai sensi dell’art. 5 o dell’art. 11 del d.lgs. n. 218 del 1997. La medesima agevolazione non si applica qualora il contribuente, pur potendo, non abbia definito direttamente i processi verbali di constatazione, ai sensi dell’art. 5-bis del d.lgs. n. 218 del 1997.

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3.2. Fonti Normativa D.l. 6 luglio 2011, n. 98 L. 13 dicembre 2010, n. 220 D.l. 25 marzo 2010, n. 40 L. 28 gennaio 2009, n. 2 D.l. 29 novembre 2008, n. 185 D.lgs. 19 giugno 1997, n. 218 Prassi Circ. min. 21 giugno 2010, n. 37 Circ. min. 16 febbraio 2009, n. 4/E Circ. min. 8 agosto 1997, n. 235/E

3.3. Applicazioni 3.3.1 Presupposti Il contribuente può ottenere una riduzione a un terzo delle sanzioni irrogate nell’avviso di accertamento a condizione che: rinunzi a impugnare l’atto emesso dall’Ufficio; rinunzi a presentare istanza di adesione di cui agli artt. 6, comma 2, e 12, comma

1, del d.lgs. n. 218/1997; provveda al pagamento delle somme dovute con la riduzione delle sanzioni entro il

termine della proposizione del ricorso. I presupposti, le modalità e i termini per avvalersi dell’istituto in commento vanno indi-cati, da parte dell’Ufficio, nell’avviso di accertamento. Nello stesso avviso vanno evidenziate anche quelle sanzioni per le quali non compete la riduzione a un terzo in caso di mancata impugnazione: «A seguito della definizione, le sanzioni per le violazioni concernenti i tributi oggetto dell’adesione commesse nel periodo d’imposta, nonché per le violazioni concernenti il contenuto delle dichiarazioni relative allo stesso periodo, si applicano nella misura di un terzo del minimo previsto dalla legge, ad eccezione di quelle applicate in sede di liquidazione delle dichiarazioni ai sensi dell’articolo 36-bis del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600, e dell’articolo 60, sesto comma, del decreto del Presidente della Repub-blica 26 ottobre 1972, n. 633, nonché di quelle concernenti la mancata, incompleta o non veritiera risposta alle richieste formulate dall’ufficio. Sulle somme dovute a titolo di

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contributi previdenziali e assistenziali di cui al comma 3 non si applicano sanzioni e in-teressi» (art. 2, comma 5). 3.3.2 Il termine L’acquiescenza all’avviso di accertamento deve avvenire entro il termine di impugna-zione dell’atto, ossia entro sessanta giorni dalla notifica del medesimo. La circ. min. n. 235 dell’8 agosto 1997 estende all’acquiescenza, al pari dell’accertamento con adesione, la sospensione feriale, dal 1° agosto al 15 settembre di ogni anno, prevista dalla l. 7 ottobre 1969, n. 742. 3.3.3 Modalità di versamento delle somme dovute Per quanto attiene alle modalità di versamento, le somme dovute vanno versate entro il termine di proposizione del ricorso. Il contribuente dovrà presentare all’Ufficio: quietanza o attestazione di pagamento; indicazione delle modalità di pagamento prescelto. Il versamento è effettuato per ciascun anno definito. Al pari dell’accertamento con adesione, anche per l’acquiescenza si rendono applicabili, come disposto dal comma 2 dell’art. 15, le disposizioni dell’art. 8, commi 2 e 3, riguar-danti al possibilità di rateizzare le somme dovute. Il versamento dell’importo sarà maggiorato degli interessi dovuti, calcolati in base al saggio legale con possibilità di pagamento in: otto rate trimestrali di pari importo; dodici rate trimestrali se le somme complessivamente dovute superano i 51.645,69

euro. Peraltro, al fine di poter usufruire della rateizzazione del versamento, il contribuente non è più tenuto alla presentazione di idonea garanzia, neppure se l’importo dovuto supera i 50.000 euro. Si consideri, infatti, che l’art. 8 comma 2 del d.lgs. 218/1997, a cui l’art. 15 fa espresso richiamo, è stato dapprima modificato dall’art. 3 del d.l. n. 40/2010 – che inserendo nel comma 2 l’inciso “se superiori a 50.000 euro”, aveva ristretto l’obbligo di presentazione di idonea garanzia solo per i versamenti rateali che superas-sero detta soglia – e poi nuovamente modificato dall’art. 23 del d.l. n. 98/2011 (con-vertito nella l. n. 111/2011) con la totale soppressione dell’obbligo di prestare idonea garanzia anche in relazione agli importi rateali superiori a 50.000 euro. Dato il rinvio contenuto nell’art. 15 alla predetta disciplina sull’accertamento con ade-sione, è evidente che la modifica normativa che ha interessato l’art. 8 trovi applicazione anche con riferimento all’istituto dell’acquiescenza. È tuttavia da sottolineare che detta novità sull’esclusione della garanzia non opererà, per espressa previsione di cui all’art. 23, comma 20 del d.l. n. 98/2011, in relazione alle definizioni per acquiescenza già perfezionate, anche con la prestazione di garanzia, alla data di entrata in vigore del predetto decreto legge (6 luglio 2011).

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È altresì da sottolineare che il legislatore del 2011, se da un lato ha soppresso l’obbligo della garanzia anche per le rate che superino i 50.000 euro, dall’altro lato ha fortemen-te inasprito il regime sanzionatorio per il caso in cui il contribuente si renda inadempien-te nel versamento anche di una sola delle rate dovute. Infatti l’art. 23, comma 17 del d.l. n. 98/2011 è intervenuto sempre sull’art. 8 del d.lgs. 218/1997 modificando anche il comma 3-bis che, in caso di mancato pagamento di una delle rate entro il termine di pagamento della rata successiva, prevede l’iscrizione a ruolo dell’importo ancora dovu-to a titolo di tributo e di una sanzione pari al doppio di quella prevista dall’art. 13 d.lgs. 471/1997, ovvero pari al 60%, calcolata sul debito residuo. Oltre alle similitudini vi sono anche delle differenze rispetto all’accertamento con adesione. La mancata impugnazione dell’avviso di accertamento e il contestuale pagamento del-le somme irrogate, come visto, comportano con certezza una riduzione a un terzo del-le sanzioni irrogate. La stessa sicurezza non l’abbiamo con il procedimento di accertamento con adesione dal momento che l’Ufficio potrebbe non ritenere sufficiente l’apporto del contribuente nella rideterminazione del presupposto di imposta sotto il profilo delle legittimità e del merito delle sue controdeduzioni. Riguardo alle nuove disposizioni (tra cui il comma 2 bis dell’art.15), la norma (D.L. n.185/2008) non fissa la loro decorrenza. Sul punto, la circ. min. n. 4/E del 2009 mette in evidenza che la nuova disposizione sull’ulteriore riduzione alla metà delle sanzioni in caso di mancato invito al contradditto-rio (comma 2-bis) trova applicazione con riferimento agli avvisi di accertamento per i quali non risultano scaduti i termini per presentare il ricorso alla data di entrata in vigore della l. n. 2/2009 (di conversione del d.l. n. 185/2008), ovvero il 29 gennaio 2009. Ovviamente, i termini per presentare il ricorso non dovranno essere scaduti al momen-to in cui si presta l’acquiescenza. 3.4. Effetti 3.4.1 Riduzione delle sanzioni L’art. 15, d.lgs. n. 218/1997 ha una natura premiale: alla rinuncia del contribuente a impugnare l’atto corrisponde la riduzione a un terzo delle sanzioni. La riduzione delle sanzioni non è l’unico effetto positivo. Infatti, essendo l’acquiescenza inserita nell’alveo normativo del procedimento di accer-tamento con adesione (d.lgs. 18 giugno 1997, n. 218) gli effetti conseguenti a quest’ultima sono estesi anche alla rinuncia all’impugnazione: «Si applicano le disposi-zioni degli articoli 2, comma 3, 4 e 5, ultimo periodo, e 8, commi 2, 3 e 3 bis […]» (art. 15, comma 2).

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3.4.2 Altri effetti di natura premiale Uno dei più importanti è dato dalla immodificabilità della posizione del contribuente ri-guardo all’avviso di accertamento definito con procedimento di adesione. L’immodificabilità è esclusa nelle ipotesi tassativamente previste dall’art. 2, comma 4, d.lgs. n. 218/1997, vale a dire se: in base alla sopravvenuta conoscenza di nuovi elementi, emerga un maggior reddi-

to superiore al 50 per cento di quello definito, e in ogni caso non inferiore a 77.468,53 euro;

la definizione abbia riguardato un accertamento parziale; la definizione dei soci o associati di cui all’art. 5 del Tuir (d.P.R. 22 dicembre 1986,

n. 917) abbia avuto a oggetto esclusivamente redditi di partecipazione e in questo caso è possibile un accertamento sui redditi diversi da quelli di partecipazione;

sia stato accertato un maggior reddito nei confronti di una società di persone o as-sociazione professionale, che viene ribaltato sui soci in osservanza del principio di trasparenza nonostante essi abbiano già eventualmente proceduto alla definizione dei propri redditi diversi da quelli di partecipazione.

Con riferimento alla prima fattispecie, gli Uffici dovranno pertanto indicare nell’ulteriore atto di accertamento gli elementi sopravvenuti dimostrando che i fatti erano sconosciu-ti al momento del precedente accertamento. Altro effetto tipico della conclusione dell’accertamento con adesione, che si estende alla mancata impugnazione dell’avviso di accertamento, è dato dal trasferimento di competenza sull’Ufficio dell’Agenzia delle entrate del recupero delle somme dovute dal contribuente a titolo di contributi previdenziali e assistenziali in seguito al maggior red-dito recuperato: «L’accertamento con adesione non è soggetto a impugnazione, non è integrabile o modificabile da parte dell’ufficio e non rileva ai fini dell’imposta comunale per l’esercizio di imprese e di arti e professioni, nonché ai fini extratributari, fatta ecce-zione per i contributi previdenziali e assistenziali, la cui base imponibile è riconducibile a quella delle imposte sui redditi» (art. 2, comma 3). Anche per quanto riguarda gli effetti penali vi è assimilazione tra accertamento con a-desione e acquiescenza. Ai sensi dell’art. 13 del d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74, le pene previste per i delitti di cui al d.lgs. n. 74/2000 sono diminuite fino alla metà e non si applicano le pene accessorie indicate nell’art. 12 qualora il contribuente provveda all’estinzione dei debiti tributari mediante pagamento «prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado... anche a seguito delle speciali procedure conciliative o di adesione all’accertamento previste dalle norme tributarie». Tra le speciali procedure conciliative trova posto quindi anche l’acquiescenza, non fos-se altro per il motivo che con la rinuncia all’impugnazione il pagamento della maggior imposta accertata è integrale. Come già visto in precedenza, il comma 4-ter dell’art. 27 del d.l. n. 185 del 2008 ha integrato il predetto art. 15 con l’inserimento del comma 2-bis, riducendo le sanzioni

Capitolo 3 – L’acquiescenza

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per la mancata impugnazione dell’atto di accertamento a un sesto del minimo, anziché a un terzo. Da considerare che nei casi in cui l’atto di accertamento sia stato preceduto da un invi-to al contraddittorio definibile con la procedura di cui all’art. 5, comma 1-bis, oppure da un processo verbale di constatazione definibile ai sensi dell’art. 5-bis del d.lgs. n. 218 del 1997, e gli interessati non si siano avvalsi di tali procedure, in caso di rinuncia all’atto di accertamento conseguente, il contribuente potrà usufruire solo delle sanzioni ridotte a un terzo e non a un sesto. 3.5. Quesiti D. Il contribuente, per usufruire del pagamento ridotto delle sanzioni a un terzo, deve rinunciare in tutti i casi a formulare istanza di accertamento con adesione? R. La proposizione dell’istanza di accertamento con adesione ai sensi dell’art. 6, comma 1, del d.lgs. n. 218/1997 («Il contribuente nei cui confronti sono stati effettuati accessi, ispezioni o verifiche… può chiedere all’ufficio, con apposita istanza in carta libera, la formulazione della proposta di accertamento ai fini dell’eventuale definizione») non costituisce un fatto ostativo circa la possibilità di usufruire della riduzione prevista dall’art. 15 in oggetto. In altri termini, il dettato dell’art. 15 («le sanzioni irrogate… sono ridotte a un terzo se il contribuente rinuncia a impugnare l’avviso di accertamento o di liquidazione e a formu-lare istanza di accertamento con adesione…») varrebbe, giusto appunto, solo nel caso in cui l’Ufficio emetta un avviso di accertamento e il contribuente rinunci a impugnarlo in contenzioso e rinunci, nello stesso tempo, a formulare istanza di accertamento con adesione avverso lo stesso atto. Laddove, se il contribuente è stato oggetto di un controllo esterno i cui rilievi sono for-malizzati in un processo verbale di constatazione e la parte rinuncia a formulare istanza di accertamento con adesione, potrà sempre usufruire della riduzione delle sanzioni a un terzo in caso di mancata impugnazione del successivo atto di accertamento (men-tre non potrà più formulare istanza di accertamento con adesione ai sensi dell’ art. 6, comma 2). D. Il contribuente potrebbe pagare entro i sessanta giorni le sole sanzioni e impugnare l’avviso di accertamento per contestare la sola maggiore imposta accertata? R. La risposta ci è data dal disposto del secondo comma dell’art. 17 del d.lgs. n. 472 del 18 dicembre 1997: «è ammessa la definizione agevolata con il pagamento di un importo pari a un terzo della sanzione irrogata e comunque non inferiore a un terzo dei minimi edittali previsti per le violazioni più gravi relative a ciascun tributo, entro il termine previsto per la preposizione del ricorso». L’intervenuta definizione delle sole sanzioni non produce alcun effetto sostanziale, po-tendo il contribuente ricorrere in contenzioso contro il solo avviso di accertamento al

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fine di contestare la sola maggior imposta accertata. L’unica avvertenza di cui tener conto è che la definizione produce effetti irretrattabili riguardo alle sanzioni. Infatti, né il contribuente né l’Amministrazione potranno rimettere in discussione la sus-sistenza della violazione e l’importo delle sanzioni, anche con un giudizio a favore che riduca la pretesa impositiva su cui è commisurato l’importo delle sanzioni medesime.

Capitolo 4 – L’accertamento con adesione

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4. L’accertamento con adesione Maria Elisa Chininea

4.1 Profili 4.1.1 La natura dell’accertamento con adesione L’accertamento con adesione, disciplinato dal d.lgs. n. 218/1997, non è una transa-zione nel senso civilistico del termine, in quanto ai sensi dell’art. 1966 del c.c. la tran-sazione è possibile soltanto per quei rapporti dei quali le parti abbiano la disponibilità e tali non sono quelli attinenti alle obbligazioni tributarie. In tale contesto, pertanto, il contraddittorio con il contribuente non implica una trattati-va ma serve solo ad apportare ulteriori elementi di valutazione che l’Ufficio possa esa-minare al fine di determinare il (giusto) contenuto dell’atto di accertamento, tenendo anche conto del grado di sostenibilità della pretesa tributaria in sede contenziosa. Resta fermo, ovviamente, il ricorso all’autotutela per rimuovere, in tutto o in parte, gli atti di accertamento illegittimi o infondati. 4.1.2 La disciplina e il procedimento La disciplina dell’accertamento con adesione attribuisce agli Uffici finanziari la possibili-tà di definire, in via amministrativa e in contraddittorio con il contribuente, le pretese tri-butarie, al fine anche di deflazionare il contenzioso tributario e anticipare la riscossione dei tributi. Sono compresi nell’ambito di applicazione dell’istituto i seguenti soggetti: le persone fisiche; le società di persone e gli altri soggetti di cui all’art. 5 del Tuir; le società di capitali e gli enti di cui all’art. 87 del Tuir. L’ambito oggettivo dell’accertamento con adesione non è limitato a specifici elementi, ma può riguardare qualsiasi aspetto dell’accertamento. Il procedimento di adesione può essere attivato: d’ufficio, prima della notifica dell’avviso di accertamento o di rettifica (art. 5, comma 1); su istanza del contribuente, subordinatamente all’avvenuta notifica di un avviso di

accertamento o di rettifica non preceduto dall’invito dell’Ufficio nella fase istruttoria (art. 6).

Il comma 2 dell’art. 4 del citato d.lgs. detta poi una particolare disciplina in ordine agli Uf-fici competenti alla definizione nei confronti dei contribuenti che producono redditi in for-ma associata, di cui all’art. 5 del Tuir (e a seguito della modifica apportata dall’art. 27, comma 4-bis, lett. a, d.l. 29 novembre 2008, n. 185, convertito, con modificazioni, dal-la l. 28 gennaio 2009, n. 2, anche in caso di società che optano per la trasparenza fi-scale di cui agli artt. 115 e 116 del medesimo Testo unico), prevedendo un’unica pro-cedura di definizione nei confronti delle società e associazioni e dei soci e associati.

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Il citato comma 2 stabilisce infatti che l’Ufficio delle entrate o delle imposte dirette competente all’accertamento nei riguardi della società o associazione effettua anche la definizione del reddito attribuibile ai soci o associati, con unico atto e in contraddittorio con ciascun soggetto. Ne consegue pertanto che, in via generale, la definizione deve tendere alla chiusura di tutte le posizioni dei soggetti interessati, i quali, in caso di attivazione del procedimento da parte dell’Ufficio competente come sopra definito, dovranno essere tutti convocati. Per espressa previsione dello stesso comma 2, la definizione può essere peraltro effet-tuata anche solo da alcuni dei soggetti interessati, potendo dunque i soci o associati ac-cedere alla definizione anche in assenza di adesione da parte del soggetto partecipato. In ogni caso l’oggetto del contraddittorio e della conseguente definizione è innanzitutto rappresentato dalla posizione della società o della associazione e, subordinatamente, dalle quote di reddito imputabili a ciascun socio o associato, secondo il principio di tra-sparenza fissato dall’art. 5 del Tuir. L’innesco del procedimento di adesione si realizza dunque attraverso l’invio al contri-buente di uno specifico invito nel quale devono essere indicati: i periodi d’imposta suscettibili di accertamento; il giorno e il luogo della comparizione per definire l’accertamento con adesione. Per tale invito non è richiesta l’osservanza di particolari formalità. Poiché, inoltre, la partecipazione del contribuente al procedimento non è obbligatoria, ne consegue che la mancata risposta all’invito dell’Ufficio non è sanzionabile. Si deve peraltro precisare che anche l’attivazione del procedimento non riveste caratte-re di obbligatorietà, essendo la stessa in tutti i casi lasciata alla valutazione degli Uffici. La mancata attivazione del procedimento da parte dell’Ufficio lascia peraltro aperta al contribuente la possibilità di agire di sua iniziativa a seguito della notifica dell’avviso di accertamento. Il comma 2 dell’art. 6 prevede infatti la possibilità per il contribuente, al quale è stato noti-ficato un avviso di accertamento o di rettifica non preceduto dall’invito di cui all’art. 5, di attivare il procedimento di definizione, mediante la presentazione di una istanza di ac-certamento con adesione. L’istanza del contribuente, in carta libera, contenente l’indicazione del recapito, anche telefonico, deve essere presentata all’Ufficio che ha emesso l’avviso, mediante conse-gna diretta o avvalendosi del servizio postale. Tale adempimento deve precedere l’impugnazione dell’avviso di accertamento o di ret-tifica davanti alla Commissione tributaria provinciale, dato che l’impugnazione compor-ta rinuncia alla possibilità di accedere a tale procedimento. La presentazione dell’istanza da parte del contribuente produce quindi l’effetto di so-spendere i termini per l’impugnazione dell’atto davanti alla Commissione tributaria pro-vinciale. I termini per impugnare sono infatti sospesi per un periodo di 90 giorni, decorrenti dalla data di presentazione dell’istanza del contribuente.

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Gli Uffici, entro 15 giorni dalla ricezione dell’istanza presentata dal contribuente, senza particolari formalità, formulano allo stesso un invito a comparire. La formulazione dell’invito non comporta per l’Ufficio comunque alcun obbligo di defi-nizione dell’ accertamento. Il procedimento di accertamento con adesione si conclude: con la redazione di un atto scritto di definizione; con il perfezionamento della definizione. Dopo la fase del contraddittorio, o contestualmente, l’Ufficio competente redige infatti, in duplice copia, l’atto di accertamento con adesione. Tale atto deve essere sottoscritto: dal contribuente o da un suo procuratore generale o speciale; dal direttore dell’Ufficio o da un suo delegato. Gli elementi essenziali dell’atto di accertamento sono costituiti pertanto da: 1. l’indicazione, separatamente per ciascun tributo, degli elementi e la motivazione su cui

la definizione si fonda; sarà in particolare evidenziato quanto dichiarato dal contribuente, quanto proposto in rettifica dall’Ufficio e quanto definito in contraddittorio;

2. la liquidazione delle maggiori imposte, interessi e sanzioni dovute in dipendenza della definizione;

3. la liquidazione delle altre somme eventualmente dovute. 4.1.3 Gli effetti del perfezionamento dell’adesione Ai fini del perfezionamento dell’adesione, comunque, non è sufficiente la sola sottoscri-zione dell’atto. Infatti, come espressamente previsto dall’art. 9, d.lgs. n. 218/1997, la definizione si perfeziona con il versamento, entro venti giorni dalla redazione dell’atto, delle somme dovute, ovvero, in caso di pagamento rateale, con il versamento della prima rata. Non è comunque più previsto che si debba produrre garanzia fideiussoria per il versa-mento delle rate successive alla prima, a seguito delle modifiche introdotte dall’art. 23, comma 18, d.l. 98/2011, convertito con modificazioni dalla l. 111/2011 ed in vigore dal 6 luglio 2011. Entro 10 giorni dal versamento dell’intero importo o, in caso di pagamento rateizzato, della prima rata, il contribuente deve quindi far pervenire, anche tramite un suo incari-cato, presso l’Ufficio in cui si è incardinato il procedimento di accertamento con ade-sione, la quietanza o l’attestazione di pagamento. Infine, ai sensi dell’art. 2, comma 3 del d.lgs. n. 218/1997, l’accertamento definito con adesione: non è soggetto a impugnazione da parte del contribuente; non è modificabile o integrabile da parte dell’ufficio, tranne che nelle ipotesi tassativa-

mente previste dal comma 4 dell’art. 2 in ordine ai presupposti e ai limiti dell’ulteriore at-tività di accertamento;

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non rileva ai fini extratributari, fatta eccezione per i contributi previdenziali e assistenziali, la cui base imponibile è riconducibile a quella dell’imposta sui redditi.

Il perfezionamento dell’atto di adesione comporta quindi, in via generale, la definizione dei rapporti di imposta che hanno formato oggetto del procedimento. Pertanto nella maggior parte dei casi l’accertamento con adesione avrà carattere definitivo. L’art. 2, comma 4, prevede tuttavia alcune limitate ipotesi in cui gli uffici, nei termini in-dicati dagli artt. 43 del d.P.R. n. 600/1973, e 57 del d.P.R. n. 633/1972, possono pro-cedere ad accertamenti integrativi di quelli già definiti con adesione. In pratica, l’ulteriore azione accertatrice è consentita quando: 1) sulla base della sopravvenuta conoscenza di nuovi elementi è possibile accertare

un maggior reddito superiore al 50 per cento del reddito definito e comunque non inferiore alle vecchie centocinquanta milioni di lire [art. 2, comma 4, lettera a)]. Il limi-te del 50 per cento va commisurato al «reddito definito» e non al «maggior reddito definito» con la conseguenza che, una volta effettuata la prima rettifica, anche l’ammontare dichiarato concorre a determinare la soglia oltre la quale è possibile ef-fettuare accertamenti integrativi;

2) la definizione ha riguardato un accertamento parziale [art. 2, comma 4, lettera b)]. Rientrano in questa ipotesi le seguenti tipologie di accertamento: accertamenti di cui all’art. 41-bis del d.P.R. n. 600 del 1973; accertamenti di cui all’art. 54, comma 5, del d.P.R. n. 633 del 1972;

3) la definizione ha riguardato esclusivamente i redditi derivanti dalla partecipazione in società di persone o associazioni professionali di cui all’art. 5 del Tuir. In tale ipotesi l’ulteriore azione accertatrice potrà riguardare i redditi diversi da quelli derivanti dalla partecipazione oggetto della definizione;

4) successivamente alla definizione della posizione personale del socio, associato o coniuge, sia stato accertato un maggior reddito nei confronti della società di perso-ne, dell’associazione professionale o dell’azienda coniugale non gestita in forma societaria [art. 2, comma 4, lettera d)].

Il versamento delle somme dovute per effetto dell’accertamento con adesione, come detto, deve quindi essere eseguito entro venti giorni dalla redazione dell’atto di accer-tamento con adesione. È prevista, inoltre, la possibilità di corrispondere le somme dovute anche ratealmente in un massimo di otto rate trimestrali di pari importo, ovvero di dodici rate trimestrali se le somme dovute siano superiori alle vecchie cento milioni di lire. Nei casi di opzione per il pagamento rateale delle somme nei limiti massimi di rate previsti dall’art. 8, il contri-buente deve versare, entro 20 giorni dalla data di redazione dell’atto di accertamento con adesione, l’importo della prima rata. Il giorno di pagamento della prima rata costituisce la data di riferimento per il computo trimestrale del termine relativo al pagamento delle rate successive e per l’individuazione del tasso vigente degli interessi legali.

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Sugli importi delle rate successive alla prima sono dovuti gli interessi al saggio legale, calcolati dal giorno successivo a quello di perfezionamento dell’atto di adesione e fino alla data di scadenza di ciascuna rata. Gli interessi legali, computati su base giornaliera, vanno versati cumulativamente all’importo dell’imposta dovuta. Il mancato pagamento anche di una sola rata autorizza l’Amministrazione finanziaria a escutere la garanzia per l’intero debito residuo, previo ricalcolo degli interessi dovuti. Più in particolare, in caso di mancato pagamento anche di una sola delle rate diverse dalla prima entro il termine di pagamento della rata successiva, il competente ufficio dell'Agenzia delle Entrate provvede all'iscrizione a ruolo delle residue somme dovute e della sanzione di cui all' art. 13 del d.lgs. 18 dicembre 1997, n. 471, applicata in misu-ra doppia, sul residuo importo dovuto a titolo di tributo (ciò a seguito dell’entrata in vi-gore dell'art. 23, comma 17, lettera b), d.l. 6 luglio 2011, n. 98, convertito, con modifi-cazioni, dalla l. 15 luglio 2011, n. 111). In presenza di anomalie di minore entità (ad esempio, lieve carenza e tardività dei ver-samenti eseguiti, ovvero tardività nella prestazione della garanzia), nonché in presenza di valide giustificazioni offerte dal contribuente, come sottolineato dalla stessa Ammini-strazione in proprie circolari (vedi circ. min. n. 65/E del 28 giugno 2001), l’Ufficio può valutare il permanere o meno del concreto e attuale interesse pubblico al perfeziona-mento dell’adesione e quindi alla produzione degli effetti giuridici dell’atto sottoscritto. Tale valutazione, fondata sul principio di conservazione degli atti amministrativi, deve essere esercitata su elementi di riscontro oggettivi e avendo preminente riguardo ai termini di decadenza dell’azione accertatrice, in relazione ai tempi tecnici occorrenti alle attività da porre in essere per l’eventuale perfezionamento dell’adesione. A titolo esemplificativo, si precisa che non è ravvisabile l’interesse pubblico al perfezio-namento dell’adesione qualora: l’accertamento già notificato, oggetto di procedimento di adesione a seguito di i-

stanza del contribuente, sia ormai divenuto definitivo per avvenuto decorso dei ter-mini di impugnativa;

sia sopravvenuta la conoscenza di nuovi elementi in base ai quali è possibile accer-tare maggiori imponibili ovvero maggiori imposte rispetto a quelli determinati nell’atto di adesione sottoscritto a seguito di procedimento attivato ai sensi dell’art. 5 ovvero dell’art. 6, comma 1, dello stesso d.lgs. n. 218/1997.

Sussiste invece l’interesse dell’Ufficio: nel caso di accertamento notificato e non impugnato dal contribuente, per il quale,

al momento del riscontro, residuano i termini d’impugnativa; nel caso di procedimento di adesione innescato su iniziativa dell’Ufficio, ai sensi

dell’art. 5 ovvero dell’art. 6, comma 1, d.lgs. n. 218/1997: l’Ufficio dovrebbe infatti procedere alla notifica di un avviso di accertamento coerente con le determinazioni assunte in sede di sottoscrizione dell’atto di adesione e quindi con esiti contabili so-stanzialmente invariati rispetto a quelli già oggetto di adesione, con l’unica conse-guenza, pregiudizievole per l’Erario, della relativa riscossione posticipata nel tempo.

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Si deve peraltro evidenziare che in entrambi i casi, qualora si ritenesse non perfeziona-ta l’adesione in dipendenza delle riscontrate irregolarità, l’Ufficio dovrebbe conseguen-temente gestire l’eventuale istanza di rimborso delle somme versate in assenza di legit-timo titolo, con ulteriore aggravio dell’azione amministrativa. Nelle suddette ipotesi è pertanto ravvisabile il permanere dell’interesse attuale e con-creto dell’Amministrazione al perfezionamento dell’adesione, in attuazione dei generali principi di efficienza, efficacia ed economicità dell’azione amministrativa. Il contribuente sarà pertanto in questi casi invitato: a perfezionare l’adesione in relazione agli aspetti di riscontrata carenza, entro un breve

termine appositamente assegnato dall’Ufficio, tenendo debito conto dell’eventuale de-cadenza dell’azione accertatrice; il nuovo termine assegnato dall’ufficio ai fini del perfe-zionamento dell’adesione non può comunque essere superiore ai venti giorni previsti dall’art. 8, comma 1, del d.lgs. n. 218 del 1997;

in caso di omesso, tardivo, insufficiente versamento delle imposte dovute, alla corre-sponsione degli interessi legali, calcolati a decorrere dal primo giorno successivo alla o-riginaria scadenza del termine di cui al citato comma 1 dell’art. 8.

Qualora il contribuente non ottemperi all’invito dell’Ufficio nel termine assegnato, dovrà essere definitivamente assunto il mancato perfezionamento dell’adesione, con ogni consequenziale determinazione in ordine alle attività da porre in essere, ridando cioè efficacia all’originario accertamento notificato, ovvero procedendo alla notifica dell’avvi-so di accertamento. Con la circ. min. 8 agosto 1997, n. 235 è stato comunque precisato che il mancato pagamento anche di una sola rata autorizza l’Amministrazione finanziaria a recuperare tramite ruolo l’intero debito residuo, previo ricalcolo degli interessi dovuti; gli uffici sono quindi tenuti al tempestivo e periodico riscontro dei pagamenti rateali effettuati dai con-tribuenti e alla immediata rilevazione delle situazioni di irregolarità riferite a omessi, tar-divi, carenti versamenti alle previste scadenze. Al riguardo si evidenzia che, in dipendenza dell’avvenuto perfezionamento dell’adesione, il successivo mancato versamento delle somme oggetto di pagamento dilazionato costituisce comunque violazione punibile ai sensi dell’art. 13 del d.lgs. 18 dicembre 1997, n. 471 che a sua volta prevede, in via generale, anche la sanzione amministrativa pari al trenta per cento dell’importo non versato nel termine previsto. L’Ufficio può comunque riconoscere il mantenimento del beneficio della dilazione ori-ginariamente concessa al contribuente, se lo stesso abbia manifestato la volontà di adempiere al proprio impegno pagando, a titolo di ravvedimento ai sensi dell’art. 13 del d.lgs. n. 472 del 1997, gli importi dovuti alle rispettive scadenze rateali, gli inte-ressi legali maturati dalla data di originaria scadenza a quella di versamento, nonché la relativa sanzione. In ordine a tale ultimo aspetto si evidenzia che qualora il ritardo nel pagamento sia infe-riore a quindici giorni è applicabile l’art. 1, comma 1, lett. e, del d.lgs. 30 marzo 2000, n. 99, che ha inserito nel comma 1 del citato art. 13 del d.lgs. n. 471/1997 una specifi-ca disposizione concernente i versamenti tardivi, entro i suddetti limiti temporali, ri-

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guardanti crediti assistiti integralmente da garanzie reali o personali previste dalla legge o riconosciute dall’Amministrazione finanziaria; la norma introdotta prevede, in partico-lare, la riduzione della sanzione «ad un importo pari ad un quindicesimo per ciascun giorno di ritardo», cumulabile con la riduzione prevista dal comma 1, lett. a, del citato art. 13 del d.lgs. n. 472 del 1997. 4.1.4 Il contraddittorio con il contribuente e la motivazione dell’atto di adesione La gestione di ogni fase del procedimento di adesione deve essere improntata al prin-cipio di trasparenza. È buona prassi degli Uffici documentare i contraddittori svolti at-traverso la redazione di appositi processi verbali, nei quali, sia pure sinteticamente, vie-ne dato atto delle argomentazioni fornite dal contribuente, nonché dei relativi docu-menti prodotti. Per espressa previsione dell’art. 7 del d.lgs. n. 218 del 1997, sussiste inoltre l’obbligo di circostanziata motivazione dell’atto di definizione, nel quale devono essere puntual-mente indicati: gli elementi di valutazione addotti dal contribuente e i relativi documenti prodotti; i percorsi logico-giuridici che conducono alla revisione dell’originaria pretesa; i criteri adottati per la rideterminazione della base imponibile. Non devono quindi essere adottate generiche formule di rito, esclusivamente riferite a criteri di economicità dell’azione amministrativa, di deflazione del contenzioso e di cele-re acquisizione dei tributi.

4.2 Fonti Normativa L. 27 luglio 2000, n. 212 D.lgs. 18 dicembre 1997, n. 471 - art. 13 D.lgs. 19 giugno 1997, n. 218 Prassi Circ. min. 8 aprile 2002, n. 28/E Circ. min. 28 giugno 2001, n. 65/E Ris. min. 11 novembre 1999, n. 159/E-III-5-173678 Circ. min. 8 agosto 1997, n. 235/E Giurisprudenza Cass., sez. V, sent. n. 15250 del 12 settembre 2012 Cass., sez. VI, ord. n. 10552 del 25 giugno 2012 Cass., sez. V, sent. n. 8628 del 30 maggio 2012

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Cass., sez. V, sent. n. 7334 dell'11 maggio 2012 Cass., sez. V, sent. n. 5825 del 13 aprile 2012 Cass., sez. V, sent. n. 3762 del 9 marzo 2012 Cass., sez. V, sent. n. 2857 del 24 febbraio 2012 Cass, sez. trib., sent. 30 giugno 2006 (ud. del 12 maggio 2006), n. 15171 Comm. trib. prov. di Siracusa, sez. III, sent. 21 maggio 2004 (ud. del 28 novembre 2003),

n. 289 Comm. trib. di I grado di Trento, sez. V, sent. 28 novembre 2003 (ud. del 7 novembre 2003),

n. 95 Comm. trib. prov. di Ragusa, sez. I, sent. 21 dicembre 2001 (ud. del 1° dicembre 2001),

n. 291 Comm. trib. prov. di Verona, sez. II , sent. 27 novembre 1999 (ud. del 4 novembre 1999),

n. 325 4.3 Applicazioni 4.3.1 Accertamento e consolidato Il procedimento di accertamento con adesione assume caratteristiche particolari lad-dove si svolga nei confronti di soggetti partecipanti al consolidato nazionale. Il «consolidato nazionale» è infatti un istituto che consente ai gruppi societari di deter-minare il proprio reddito imponibile, ai fini dell’imposta Ires, in forma unitaria e globale in capo a un unico soggetto controllante (c.d. consolidante), purché le società parteci-panti siano legate da un rapporto partecipativo secondo la nozione di controllo rilevan-te previsto dagli artt. 117 e 120 del Tuir. Ai sensi del comma 1 dell’art. 118 del Tuir la tassazione consolidata di gruppo com-porta dunque la determinazione di un reddito complessivo globale, corrispondente alla somma algebrica dei redditi complessivi netti delle società oggetto di consolidamento, da considerare, quanto alle società controllate, per l’intero importo, indipendentemente dalla percentuale di partecipazione del soggetto controllante. Per l’operatività del regime di consolidamento ciascuna società partecipante, compre-sa la consolidante, determina nella propria dichiarazione il reddito complessivo netto secondo le regole ordinarie, ma senza provvedere alla liquidazione dell’imposta. Successivamente, il soggetto consolidante provvederà a sommare i suddetti risultati, positivi o negativi, apporterà le variazioni in aumento o in diminuzione conseguenti alle rettifiche di consolidamento di cui all’art. 122 del Tuir, e determinerà così il reddito complessivo globale su cui liquiderà poi l’imposta dovuta. Per i soggetti rientranti nel perimetro di consolidamento sussiste peraltro un particolare regime di responsabilità, delineato dall’art. 127 del Tuir.

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Il comma 1 del citato art. 127 prevede infatti che la consolidante è responsabile per: a) la maggiore imposta Ires accertata (e relativi interessi) riferita al reddito complessivo

globale; b) l’adempimento degli obblighi connessi alla determinazione del reddito complessivo

globale; c) il pagamento in via solidale di una somma pari alla sanzione di cui alla lettera b) del

comma 2 dello stesso art. 127, irrogata al soggetto che ha commesso la violazione. Il comma 2 dello stesso articolo, prevede poi che la società consolidata è responsabile: a) solidalmente con l’ente o la società controllante per la maggiore imposta accertata

e per gli interessi relativi, riferita al reddito complessivo globale risultante dalla di-chiarazione di cui all’art. 122, in conseguenza della rettifica operata sul proprio red-dito imponibile;

b) per la sanzione correlata alla maggiore imposta accertata riferita al reddito com-plessivo globale risultante dalla dichiarazione di cui all’art. 122, in conseguenza del-la rettifica operata sul proprio reddito imponibile;

c) per le sanzioni diverse da quelle di cui alla lettera b) dello stesso articolo. Da tale assetto normativo consegue quindi una procedura di accertamento peculiare, che è entrata in vigore, ai sensi dell’art. 35, d.l. n. 78/2010, dal 1° gennaio 2011, con riferimen-to ai periodi di imposta per i quali, alla predetta data, sono ancora pendenti i termini di cui all’art. 43 del d.P.R. n. 600/1973. Tale norma prevede espressamente che ai fini dell'imposta sul reddito delle società, il con-trollo delle dichiarazioni proprie presentate dalle società consolidate e dalla consolidante, nonché le relative rettifiche, spettano all'ufficio dell'Agenzia delle entrate competente alla data in cui è stata presentata la dichiarazione. Le rettifiche del reddito complessivo proprio di ciascun soggetto che partecipa al consoli-dato sono effettuate con unico atto, notificato sia alla consolidata che alla consolidante, con il quale è determinata la conseguente maggiore imposta accertata riferita al reddito complessivo globale e sono irrogate le sanzioni correlate. La società consolidata e la con-solidante sono litisconsorti necessari. Il pagamento delle somme scaturenti dall'atto unico estingue l'obbligazione sia se effettuato dalla consolidata che dalla consolidante. La consolidante ha facoltà di chiedere che siano computate in diminuzione dei maggiori imponibili derivanti dalle rettifiche di cui al comma 2 le perdite di periodo del consolidato non utilizzate, fino a concorrenza del loro importo. A tal fine, la consolidante deve presenta-re un'apposita istanza, all'ufficio competente a emettere l'atto di cui al comma 2, entro il termine di proposizione del ricorso. In tale caso il termine per l'impugnazione dell'atto è so-speso, sia per la consolidata che per la consolidante, per un periodo di sessanta giorni. L'ufficio procede al ricalcolo dell'eventuale maggiore imposta dovuta, degli interessi e delle sanzioni correlate, e comunica l'esito alla consolidata ed alla consolidante, entro sessanta giorni dalla presentazione dell'istanza. Le attività di controllo della dichiarazione dei redditi del consolidato e le relative rettifi-che diverse da quelle di cui al comma 2, sono attribuite all'ufficio dell'Agenzia delle En-

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trate competente nei confronti della società consolidante alla data in cui è stata pre-sentata la dichiarazione. Fino alla scadenza del termine stabilito nell'art. 43, l'accertamento del reddito complessivo globale può essere integrato o modificato in aumento, mediante la notificazione di nuovi avvisi, in base agli esiti dei controlli di cui ai precedenti commi. Parimenti, il medesimo articolo di legge ha introdotto un nuovo art. 9-bis al d.lgs. 218/1997, per disciplinare l’accertamento con adesione delle società in consolidato. Tale articolo prevede: 1) al procedimento di accertamento con adesione avente ad oggetto le rettifiche previste

dal comma 2 dell' art. 40-bis del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, partecipano sia la consolidante che la consolidata interessata dalle rettifiche, innanzi all'ufficio competente di cui al primo comma dell' art. 40-bis stesso, e l'atto di adesione, sottoscritto anche da una sola di esse, si perfeziona qualora gli adempimenti di cui all' art. 9 del presente de-creto siano posti in essere anche da parte di uno solo dei predetti soggetti;

2) la consolidante ha facoltà di chiedere che siano computate in diminuzione dei maggiori imponibili le perdite di periodo del consolidato non utilizzate, fino a concorrenza del loro importo. Nell'ipotesi di adesione all'invito, ai sensi dell'art. 5, comma 1-bis, del presente decreto, alla comunicazione ivi prevista deve essere allegata l'istanza prevista dal com-ma 3 dell'art. 40-bis del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600; in tal caso, il versamento delle somme dovute dovrà essere effettuato entro il quindicesimo giorno successivo al-l'accoglimento dell'istanza da parte dell'ufficio competente, comunicato alla consolidata ed alla consolidante, entro sessanta giorni dalla presentazione dell'istanza. L'istanza per lo scomputo delle perdite di cui al comma 3 dell''art. 40-bis citato deve essere presen-tata unitamente alla comunicazione di adesione di cui all'art. 5-bis del presente decreto; l'ufficio competente emette l'atto di definizione scomputando le stesse dal maggior reddito imponibile.

4.4 Effetti 4.4.1 La forma dell’atto di adesione L’atto di accertamento con adesione deve essere redatto per iscritto e deve essere sottoscritto, oltre che dal contribuente, anche dal Direttore dell’Ufficio o da un suo delegato. La Corte di cassazione, con la sent. n. 14945 del 28 giungo 2006, ha infatti ribadito che la forma scritta è in questi casi indispensabile, sia perché ciò è previsto dai principi generali in materia di contratti della Pubblica amministrazione, sia perché esso costitui-sce il titolo impositivo su cui si basa l’eventuale procedimento di esecuzione. I giudici della Corte di cassazione, nel caso sottoposto al loro esame nel procedimento sopra citato, hanno in particolare affermato che il ricorso della società, secondo cui l’accordo si era perfezionato con l’avvenuto pagamento, non fosse fondato, in quanto l’art. 7 del citato d.lgs. n. 218 del 1997 prevede che «l’accertamento con adesione è

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redatto con atto scritto in duplice esemplare, sottoscritto dal contribuente e dal capo dell’ufficio o da un suo delegato…». Il legislatore ha dettato, quindi, una norma che non lascia dubbi circa la sua interpre-tazione. Nel caso di specie, la forma scritta è richiesta quindi ad substantiam. La forma costituisce, quindi, un elemento essenziale, la cui inosservanza rende l’atto nullo (ex art. 1350 c.c.): infatti, la volontà di obbligarsi della Pubblica amministrazione non può desumersi implicitamente da fatti o atti, dovendo sempre manifestarsi per iscritto (vedi anche Cass. n. 1970/2002 e n. 15325/2001). 4.4.2 La sospensione dei termini L’art. 6, comma 3, del d.lgs. n. 218/1997, dispone che: «il termine per l’impugnazione indicata al comma 2 ... è sospeso per un periodo di novanta giorni dalla data di pre-sentazione dell’istanza del contribuente ...». Secondo alcuni commentatori, dunque, il termine per l’impugnazione ricomincerebbe a decorrere dal momento in cui sia stato sottoscritto il verbale con il quale si sia dato atto che il contribuente non intende aderire all’atto confezionato dall’Ufficio. In tal senso si è espressa peraltro anche la Comm. trib. prov. di Treviso, con la sent. n. 308 dell’11 ottobre 1999, affermando che «una volta conclusosi negativamente detto procedi-mento ... il termine per l’impugnazione ricomincia a decorrere. Pensare che per il solo fatto di aver presentato una istanza il termine resti sospeso per tutti i 90 giorni previsti dall’art. 6 del d.lgs. n. 218/1997 a prescindere dalla chiusura o meno del procedimento, significa vo-ler attribuire al legislatore la volontà di concedere al contribuente una proroga generalizzata di 90 giorni. Così non è, la sospensione del termine deve intendersi come finalizzata allo svolgersi del procedimento amministrativo di accertamento con adesione». La citata sentenza attribuisce quindi al verbale di mancata adesione la rilevanza di atto conclusivo del procedimento, come tale idoneo a determinare la decadenza dal bene-ficio della sospensione dei termini. Al riguardo però la stessa Agenzia ha ritenuto che tale assunto non sia condivisibile. In effetti, nel sistema delineato dal d.lgs. n. 218/1997, non si rinviene alcuna norma che disponga quali debbano essere le modalità di conclusione del procedimento in ipotesi di risultato negativo del contraddittorio, né che debba essere redatto un verbale di mancata adesione, che, in realtà, risponde soltanto alla finalità di documentare l’attività dell’ufficio al fine di garantire la trasparenza dell’azione amministrativa. Di conseguenza, poiché la sospensione, disposta ex lege per un periodo di novanta giorni, costituisce effetto automatico della presentazione dell’istanza da parte del con-tribuente, il termine per proporre ricorso ricomincia a decorrere dallo spirare del novan-tesimo giorno di sospensione normativamente previsto, a nulla rilevando la data in cui viene consacrato l’insuccesso del procedimento di adesione. Tale conclusione è peraltro confortata dalla ris. min. dell’11 novembre 1999, n. 159, contenente chiarimenti in ordine alla cumulabilità del periodo di sospensione in que-

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stione con quello della sospensione feriale dei termini processuali (1° agosto - 15 set-tembre di ogni anno) disposta dall’art. 1 della l. 7 ottobre 1969, n. 742. Tale risoluzione, infatti, nell’affermare che la finalità del periodo di sospensione di cui all’art. 6 citato è connessa a un proficuo esercizio del contraddittorio, conferma che i termini per proporre ricorso ricominciano a decorrere dalla scadenza del periodo di so-spensione, in quanto detta scadenza viene assimilata al «termine finale di redazione dell’atto di adesione». Anche la Corte di cassazione (vedi Cass. n. 15171/2006) ha del resto espressamente confermato che, una volta «partita», la sospensione dei termini non si interrompe e prima che riprendano a decorrere i termini per impugnare devono comunque trascorre-re 90 giorni (dalla ricezione). Neppure infatti il verbale negativo, formalizzato tra Fisco e contribuente, con cui si uffi-cializza la conclusione delle trattative e quindi il fallimento del contraddittorio finalizzato all’accordo, blocca i termini di sospensione, che, una volta iniziati, devono giungere comunque a compimento. La questione della sospensione dei termini e dei suoi effetti merita però un ulteriore ap-profondimento. Pensiamo infatti al caso in cui un’istanza di adesione, spedita nei termini previsti per la proposizione del ricorso, pervenga però all’Ufficio dopo la scadenza del termine di 60 giorni. Quando l’istanza di adesione perviene all’Ufficio, l’avviso di accertamento, essendo trascorsi i relativi 60 giorni, è dunque in realtà già definitivo e non più contestabile. L’istanza di accertamento per adesione, a differenza di quanto accade in caso di no-tifica a mezzo posta del ricorso (vedi art. 20 del d.lgs. n. 546/92), sospende infatti il termine per l’impugnazione dal giorno in cui perviene all’Ufficio e non dal giorno di spedizione. Essendo infatti un atto puramente amministrativo - e non condividendo dunque la na-tura «processuale» tipica invece dell’atto di ricorso -, i suoi effetti si producono soltanto con la loro ricezione da parte dell’Ufficio. Del resto lo scopo dell’istanza non è (o meglio: non deve essere) la sospensione dei termini di impugnazione, ma l’avvio del contraddittorio. La sospensione dei termini è dunque solo un mezzo per conseguire il fine, mirando esclusi-vamente alla proficua conclusione del contraddittorio, anche grazie all’aumento del tempo a disposizione per il confronto con l’Ufficio. Far decorrere allora il termine di inizio della sospensiva dalla data di spedizione dell’istanza stessa e non invece dalla ricezione da parte dell’Ufficio comporterebbe un’ingiustificata riduzione del tempo a disposizione per raggiungere l’accordo. L’istanza di adesione avvia dunque un subprocedimento amministrativo disciplinato, come tutti i procedimenti amministrativi, dalla l. n. 241/1990, laddove l’art. 2 della stes-sa legge stabilisce espressamente che il principio recettizio caratterizza in via generale tutti i procedimenti amministrativi.

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Anche l’art. 3, comma 1, del d.m. n. 678/1994 – introduttivo del regolamento attuativo de-gli artt. 2 e 4 della l. n. 241/1990 in merito ai procedimenti amministrativi di competenza dell’Amministrazione finanziaria -, dispone del resto che: «Per i procedimenti a iniziativa di parte il termine iniziale decorre dalla data di ricevimento della domanda o dell’istanza». Pertanto nel caso in cui, al momento di ricezione dell’istanza di adesione, siano già trascor-si più di 60 giorni dalla notifica dell’avviso di accertamento, il ricorso potrebbe essere con-siderato inammissibile. Si evidenzia comunque come l’Agenzia delle Entrate abbia recentemente espresso parere contrario a questa conclusione, ritenendo che l’istanza di accertamento non possa essere considerata atto recettivo e facendo rilevare come termine di inizio della sospensiva la data della spedizione. 4.4.3 Il pagamento La legge 30 dicembre 2004, n. 311 ha apportato alcune significative modifiche alla di-sciplina che regola il pagamento rateale del debito erariale. In particolare sono stati modificati gli artt. 8 e 15 del d.lgs. n. 218/1997, in tema di ac-certamento con adesione e acquiescenza, e l’art. 48 del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546 in tema di conciliazione giudiziale. Con gli interventi sopra evidenziati il legislatore ha inteso assicurare un più elevato grado di tutela del credito erariale, stabilendo che, in caso di inadempimento, il recu-pero delle somme dovute debba avvenire mediante ruolo anche nei confronti del soggetto garante. Il legislatore ha inoltre espressamente disciplinato l’ipotesi di inadempimento di alcuni dei pagamenti previsti dal piano di rateazione, stabilendo che: il mancato pagamento anche di una sola delle rate successive alla prima determina l’automatica decadenza dal beneficio della rateazione. 4.4.4 La più recente giurisprudenza Di seguito alcune tra le più recenti sentenze di legittimità in tema di accertamento con adesione. Con la sent. n. 8628 del 30 maggio 2012 la Corte Suprema ha stabilito che decade dai benefici dell'accertamento con adesione il contribuente che, dopo avere versato la prima delle rate concordate, ometta di prestare la prescritta garanzia per il pagamento delle rate successive, a nulla rilevando che queste ultime vengano poi successivamen-te versate. Il d.lgs. n. 218 del 1997, art. 8, comma 1, dispone infatti che “il versamento delle somme dovute per effetto dell’accertamento con adesione è eseguito entro venti giorni dalla redazione dell’atto”, ed il comma 2 consente il versamento rateale delle somme dovute e prevede, in tal caso, che l'importo della prima rata va versato entro il termine indicato nel comma 1, sull'importo delle rate successive sono dovuti gli interessi legali, calcolati dalla data di perfezionamento dell'atto di adesione, ed il contribuente è tenuto

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a prestare garanzia per il versamento di tali somme, ed a far pervenire, entro dieci gior-ni dal versamento, la quietanza dell'avvenuto pagamento della prima rata e la docu-mentazione relativa alla prestazione della garanzia all'ufficio, che “rilascia al contribuen-te copia dell'atto di accertamento con adesione” (comma 3). Il successivo art. 9 (nel testo, qui applicabile, antecedente il d.l. n. 98 del 2011 con-vertito, con modificazioni nella l. n. 111 del 2011), che reca la rubrica “Perfeziona-mento della definizione”, dispone, a sua volta, che “la definizione si perfeziona con il versamento di cui all'art. 8, comma 1 ovvero con il versamento della prima rata e con la prestazione della garanzia previsti dall'art. 8, comma 2”: in base al chiaro tenore letterale della norma, in tale seconda ipotesi l'esecuzione di entrambi i previsti adem-pimenti - pagamento della prima rata e prestazione della garanzia - rappresenta il presupposto fondamentale ed imprescindibile per l'efficacia della procedura, e non una mera modalità esecutiva (cfr. Cass. n. 26681 del 2009); a contrario, quando sia stata omessa la prestazione della garanzia prevista dalla legge, la procedura del concordato con adesione non può dirsi perfezionata, e permane, nella sua integrità, l'originaria pretesa tributaria. Con sent. n. 7334 dell'11 maggio 2012 la Corte Suprema ha stabilito che il verbale di constatazione del mancato accordo non integra una situazione omogenea a quella di definitiva rinuncia all’istanza di accertamento con adesione, sicché alla stessa non può riconoscersi il valore di atto idoneo all'interruzione del termine di sospensione di novan-ta giorni, previsto dagli artt. 6 e 12 del d.lgs. n. 218 del 1997, connesso alla presenta-zione dell'istanza di accertamento con adesione. Tanto deve affermarsi anche in adesione alle argomentazioni svolte dalla Corte Costi-tuzionale con la dec. n. 140 del 2011, la quale chiamata a pronunciarsi in ordine alla incostituzionalità delle disposizioni, nella parte in cui non prevedono che il mancato raggiungimento dell'accordo abbia effetto interruttivo della sospensione del termine d'impugnazione, ha rilevato che la constatazione del mancato accordo tra le parti, non integra una situazione omogenea a quella di definitiva rinuncia all’istanza di ac-certamento con adesione, sia essa manifestata con dichiarazione espressa o me-diante proposizione del ricorso (cfr sent. n. 3762 del 9 marzo 2012 e sent. n. 2859 del 24 febbraio 2012). 4.5 Quesiti 4.5.1 Instaurazione del giudizio prima del perfezionamento dell’atto di adesione D: Laddove l’Amministrazione finanziaria notifichi un avviso di accertamento, per il qua-le venga poi presentata istanza di adesione e l’adesione si concluda con la sottoscri-zione dell’atto sia da parte del contribuente che da parte dell’Ufficio e poi invece, in pendenza dei 20 giorni per l’effettuazione del pagamento necessario al perfezionamen-to dell’adesione, il contribuente presenti all’Ufficio ricorso avverso l’originario avviso di accertamento, depositando infine il ricorso anche in Commissione tributaria provinciale

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e incardinando così il contenzioso, quali sono gli eventuali effetti di quell’atto di adesio-ne sottoscritto, ma non perfezionato? R: La sentenza Cass., sez. trib., 30 aprile 2009, n. 10086, sulla questione in esame ha stabilito che una volta definito l’accertamento con adesione, mediante la fissazione an-che del quantum debeatur, al contribuente non resta che eseguire - o, per usare lo stes-so termine della legge, «perfezionare» - l’accordo, versando quanto da esso risulta. Ciò perché è normativamente esclusa la possibilità d’impugnare simile accordo e, a maggior ragione, quella d’impugnare l’atto impositivo oggetto della transazione, che conserva ef-ficacia, ma solo a garanzia del Fisco, finché non sia stata «perfezionata» la procedura, ossia non sia stata interamente eseguita l’obbligazione scaturente dal concordato. In definitiva, dopo la firma dell’accertamento con adesione, il ricorso contro l’avviso di accertamento diventa inammissibile, perché, dice la Corte, l’accertamento sottoscritto «… produce le obbligazioni …, sostitutive di quelle nascenti dall’atto impositivo». La Corte afferma anche che quando «l’istanza abbia avuto buon esito, nel senso che il concordato si sia concluso, l’accertamento definito con adesione diventa intoccabile, tanto da parte del contribuente, che non può più impugnarlo, quanto da parte dell’Ufficio, che non può integrarlo o modificarlo, come prescrive l’art. 2, comma 3, del-lo stesso testo di legge (salve le eccezioni … stabilite dal successivo comma 4)». La sentenza della Corte deve però essere letta con attenzione. Secondo i giudici di legittimità, come si è detto, l’atto di accertamento «… conserva efficacia, ma solo a garanzia del Fisco, finché non sia stata «perfezionata» la procedu-ra, ossia non sia stata interamente eseguita l’obbligazione scaturente dal concordato». Tale conclusione deve dunque fare ritenere che, se il «perfezionamento» - che si ottie-ne con il versamento di quanto dovuto in base all’accordo transattivi - non avviene, l’atto impositivo rimane comunque valido. La disciplina in materia di adesione, del resto, sancisce espressamente l’immodi-ficabilità dell’accordo (art. 3, comma 4, cit.) «mentre il successivo inadempimento (per-fezionamento), nei termini e con le modalità stabilite dall’art. 8, giustificherebbe l’adozione dei normali mezzi di coercizione». Naturalmente, nel caso sopra ipotizzato, la fase riscossoria potrebbe riguardare solo l’importo già definito - e su cui, in sostan-za, il contribuente ha esercitato un vero e proprio riconoscimento di debito - e non quello accertato (rectius: la parte rimanente dell’importo accertato) poi oggetto di im-pugnazione. In tal caso del resto, procedendosi attraversi i «normali mezzi di coercizione», le san-zioni da escutere non saranno ridotte a ¼, come appunto invece in caso di adesione perfezionata. Corrispondentemente, come detto, il contribuente potrà quindi impugnare la parte rima-nente dell’accertamento non oggetto di adesione e il cui debito non ha riconosciuto. Se infatti il contribuente non la impugnasse anche tale restante parte diverrebbe defini-tiva, questa volta per decorso dei termini anziché per riconoscimento di debito. Il solo modo per l’Ufficio per abbandonare la pretesa rimanente dopo l’adesione defini-ta, ma non perfezionata, sarebbe dunque quello di annullarla in autotutela.

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4.5.2 Gli interessi nell’adesione agli accertamenti D. Come si computano di interessi nel procedimento di adesione? R. Il d.m. 21 maggio 2009, concernente la razionalizzazione degli interessi per la riscossio-ne e il rimborso dei tributi, ha rimodulato la percentuale degli interessi applicati nella riscos-sione dei tributi. Nello specifico, l’art. 6 del d.m. 21 maggio 2009 ha fissato al 3,5% la per-centuale degli interessi sulle somme dovute a seguito di accertamento con adesione, ge-nerando dubbi interpretativi sull’applicazione della suddetta percentuale nei diversi istituti deflativi del contenzioso. Con riferimento agli interessi dovuti sulle maggiori imposte calcolate dall’Ufficio (sia in caso di pagamento in unica soluzione che di pagamento rateale), la circ. dell’Amministrazione finanziaria del 9 dicembre 1997, n. 309, che riporta le istruzioni di servizio per la gestione dell’accertamento con adesione per i settori delle imposte dirette e IVA sulla base del d.lgs. 19 giugno 1997, n. 218, nel paragrafo relativo alla gestione dell’atto di adesione (sia per quanto concerne le persone fisiche che le società di persone e di capitali) stabilisce espres-samente che nel “… campo INTERESSI verrà indicato l’importo degli interessi dovuti ai sensi dell’art. 20 del d.P.R. n. 602/1973 …”, laddove l’art. 20 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, rubricato “Interessi per ritardata iscrizione a ruolo” stabilisce che “sulle impo-ste o sulle maggiori imposte dovute in base alla liquidazione ed al controllo formale della dichiarazione od all’accertamento d’ufficio si applicano, a partire dal giorno successivo a quello di scadenza del pagamento e fino alla data di consegna al concessionario dei ruoli nei quali tali imposte sono iscritte, gli interessi al tasso del quattro per cento”. In particolare, l’articolo fissa al 4% la misura di applicazione degli interessi sulle imposte e sulle maggiori imposte dovute a seguito di accertamento d’Ufficio fino alla data di consegna dei ruoli al concessionario. Più circoscritto appare, invece, l’ambito applicativo dell’art. 6 del d.m. 21 maggio 2009 il quale dispone, a decorrere dal 1° gennaio 2010, la misura degli interessi al 3,5% annuo se “… relativi alle somme dovute a seguito di accertamento con adesione...”. Tutto ciò premesso, si potrebbe ritenere che, con una chiave di lettura a favore del contri-buente, la misura della percentuale di interessi applicata sulle maggiori imposte dovute a seguito di accertamento con adesione (sia nel caso di pagamento in unica soluzione che in forma rateale), possa essere pari: al 5%, fino al 30 settembre 2009 (ai sensi dell’art. 20 del d.P.R. n. 602/1973); al 4%, dal 1° ottobre 2009 al 31 dicembre 2009 (ai sensi dell’art. 20 del d.P.R. n.

602/1973 come modificato dall’art. 2 del d.m. 21 maggio 2009); al 3,5% dal 1° gennaio 2010 (ai sensi dell’art. 6 del d.m. 21 maggio 2009). Infatti, sembrerebbe che, se prima dell’entrata in vigore del d.m. 21 maggio 2009, l’Amministrazione finanziaria fosse tenuta all’applicazione della percentuale di interessi indi-cata all’art. 20 del d.P.R. n. 602/1973, rubricato “Interessi per ritardata iscrizione a ruolo”, ora debba applicare il tasso del 3,5% annuo sugli interessi relativi alle somme dovute a se-guito di accertamento con adesione (art. 6 del d.m. 21 maggio 2009).

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Si potrebbe ritenere, quindi, che il legislatore abbia inteso disciplinare, con un riferimento ad hoc, la misura degli interessi sulle somme dovute a seguito di accertamento con adesione, limitando l’ambito applicativo dell’art. 20. In conclusione, si precisa che, con riferimento al saggio degli interessi legali da applicare sulle rate successive alla prima, a decorrere dal 1° gennaio 2010 la misura è pari all’1% (d.m. 4 dicembre 2009), in diminuzione di 2 punti percentuali rispetto al biennio 2008-2009 (d.m. 12 dicembre 2007). La disposizione contenuta nell’art. 6 del d.m. 21 maggio 2009, è stata oggetto però anche di un’altra interpretazione che, con riferimento alla percentuale di interessi da applicare sulle somme dovute, risulta essere meno favorevole nei confronti del contribuente. Secondo quest’ultima, infatti, la previsione dell’art. 6 del citato decreto sarebbe da interpre-tare nel senso che la percentuale degli interessi pari al 3,5%, in caso di accertamento con adesione, rilevi esclusivamente sull’importo delle rate successive alla prima e non anche sulla determinazione degli interessi dovuti sulle maggiori imposte definite. In pratica, il contribuente che decidesse di versare l’importo dovuto attraverso la definizione dell’accertamento con adesione in forma rateale, si dovrebbe vedere applicata da parte dell’Amministrazione finanziaria: 1) sulle maggiori imposte indicate dall’Ufficio, la percentuale di interessi pari al 4% a partire

dal 1° ottobre 2009 (ai sensi dell’art. 20 del d.P.R. n. 602/1973); 2) sulle rate successive alla prima la percentuale di interessi pari al 3,5%. 3) In sintesi, la misura fissata dal citato art. 6 rappresenterebbe una modifica alla previsio-

ne generale, contenuta nell’art. 8, comma 2, del d.lgs. 19 giugno 1997, n. 218, secon-do la quale, in caso di versamento rateale, sull’importo delle rate successive alla prima “… sono dovuti gli interessi al saggio legale …”.

Capitolo 5 – L’adesione ai processi verbali di constatazione

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5. L’adesione ai processi verbali di constatazione Maria Elisa Chininea

5.1 Profili 5.1.1 Introduzione L’art. 5-bis, comma 1, del d.lgs. n. 218/19971 prescrive l’adesione ai verbali di constatazione in materia di imposte sui redditi e di imposta sul valore aggiunto, redatti ai sensi dell’art. 24, l. 7 gen-naio 1929, n. 4, che consentano l’emissione di accertamenti parziali previsti dall’art. 41-bis del d.P.R. n. 600/1973 e dall’art. 54, quarto comma, del d.P.R. n. 633/1972. L’art. 27, comma 1, lett. b) del d.l. 29 novembre 2008, n. 185, «recante misure urgenti per il sostegno a famiglie, lavoro, occupazione e impresa e per ridisegnare in funzione anti-crisi il quadro strategico nazionale», convertito con modificazioni dalla l. 28 gennaio 2009, n. 2, ha introdotto all’art. 5 del d.lgs. n. 218/1997, i commi da 1-bis a 1-quinquies che disciplinano il nuovo istituto della «definizione dell’accertamento mediante adesione ai contenuti dell’invito al contraddittorio», ai fini delle imposte sui redditi e dell’IVA. Con tali nuovi strumenti deflativi del contenzioso tributario si è voluto ancor di più dare al contribuente la possibilità di chiudere subito la controversia con il Fisco, con la totale accettazione della pretesa tributaria a fronte di un risparmio sulle sanzioni (riduzione alla metà rispetto al normale procedimento di accertamento con adesione). Occorre sottolineare che al contribuente che rinunci all’utilizzo di questi nuovi strumenti deflativi, rimane pur sempre integra la possibilità di instaurare il contraddittorio con l’Ufficio previsto dalla consueta procedura dell’accertamento con adesione di cui al d.lgs. n. 218/1997. Scelta quest’ultima che potrà rimanere comunque più conveniente per il contribuente nonostante il maggior sacrificio monetario per l’applicazione di sanzioni più elevate. Infatti, la valutazione tra l’utilizzo dei nuovi istituti e il ricorrere al classico strumento della procedura di accertamento con adesione dipenderà molto dalle modalità di accerta-mento adoperate dall’organo verificatore e dai risultati raggiunti in termini di recupero di imponibile. Invero, se dalla verifica o dal controllo dell’Ufficio risultino recuperi di imponibile ottenuti con metodi di accertamento di tipo analitico2 l’accettazione integrale della pretesa tri-butaria potrebbe essere non conveniente.

- - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - 1 L’art. 5-bis del d.lgs. n. 218/1997 è stato introdotto dall'art. 83, comma 18, del d.l. n. 112 del 25 giugno

2008, convertito con modificazioni dalla l. 6 agosto 2008 n. 133. 2 I metodi di accertamento di tipo analitico, in discorso, possono essere induttivi o induttivo puro. Si tratta

delle fattispecie tipiche per le quali la collaborazione in contraddittorio da parte del contribuente, al fine di ottenere una misurazione del presupposto di imposta la più verosimile possibile, è prevista dalla circ. min. 8 agosto 1997, n. 235.

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Il contribuente in contraddittorio potrà sempre esporre le ragioni per le quali la ricostru-zione analitico-induttiva dei ricavi o il recupero dello «scostamento» tra ricavi dichiarati e ricavo puntuale derivante dall’applicazione degli studi di settore dovrà essere rivista dall’Ufficio, e ottenere così una diminuzione del maggior imponibile recuperabile. Da ultimo, nel caso in cui l’Ufficio non intenda tornar sui suoi passi, il contribuente po-trà sempre adire il giudice tributario con la possibilità non remota di ottenere in questa sede ridotta o addirittura cancellata la pretesa dell’Ufficio. In entrambi i casi è necessario tener conto, oltre che della possibilità di non veder rico-nosciute le proprie ragioni, dell’allungamento dei tempi: il contraddittorio con l’Ufficio difficilmente si conclude in un solo incontro, per non dire dell’instaurazione del giudizio di fronte alle Commissioni tributarie che può richiedere addirittura anni. Mentre nel caso in cui il recupero della maggior imposta derivi da un rilievo di tipo anali-tico - nel caso di recuperi di tipo analitico è più difficile trovare un accordo con l’Ufficio o avere ragione in Commissione perché non vi è incertezza sulla legittimità del recupe-ro, laddove per un recupero di tipo analitico-induttivo, basandosi su di una valutazione soggettiva dell’Ufficio è più facile trovare un accordo dal momento che rimane pur sempre una ricostruzione in cui è insito un margine di incertezza - il contribuente, di fronte alla difficoltà di provare la legittimità della propria condotta, avrà tutta la conve-nienza di accettare integralmente la pretesa del Fisco con il beneficio della riduzione della sanzione; si pensi alla contabilizzazione da parte del contribuente di un costo non inerente o di una illegittima detrazione d'imposta ai fini Iva. Molto dipenderà anche dall’importo da versare al Fisco da parte del contribuente. In-fatti sicuramente, se la materia del contendere riguarda importi esigui, il ricorso ai nuovi strumenti rimane appetibile sia per il vantaggio della riduzione delle sanzioni sia per i tempi di «chiusura» della pratica abbastanza contenuti. Tuttavia agli effetti pratici, occorre in particolare tener presente il comportamento pre-valente adottato dagli Uffici fin qui e la prassi dominante in sede di contraddittorio per verificare se convenga o meno ricorrere all’istituto della definizione dei processi verbali di constatazione. In termini prettamente aritmetici solo con una riduzione inferiore al 10% del maggior imponibile accertato accordata dall’Ufficio in sede di accertamento con adesione si sposta la convenienza a favore della definizione del processo verbale, con un abbatti-mento superiore al 10% la convenienza si sposterebbe a favore dell’adesione. E se si tiene conto che nella realtà «fotografata» dalla Corte dei conti, gli Uffici accon-sentono mediamente a riduzioni maggiori in sede di concordato - l’abbattimento medio tra imponibile accertato e quello definito in adesione è del 54,5%; nel caso di processi verbali di constatazione l’abbattimento medio evidenziato sempre dai giudici contabili è stato del 36% con una media del 49,5% per quelli notificati dalla Guardia di Finanza; per quelli degli Uffici la riduzione media è stata del 33,8% - si deve concludere che molto spesso l’interesse del contribuente sarà quello di tentare comunque la strada dell’accertamento con adesione ordinario, che può portare a riduzioni certamente su-periori al 10%.

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5.1.2 Disciplina Ora andremo ad analizzare meglio l’istituto dell’adesione ai processi verbali di consta-tazione, c.d. PVC, di cui all’art. 5-bis del d.lgs. n. 218/1997, introdotto dall'art. 83, comma 18, del d.l. n. 112 del 25 giugno 2008, convertito con modificazioni dalla l. 6 agosto 2008 n. 133. Con tale istituto si dà la possibilità al contribuente, nei confronti del quale sia stato notificato un processo verbale di constatazione, di «chiudere» la controversia con il Fisco nel minor tempo possibile e con il pagamento delle eventuali sanzioni ridotte a un ottavo. Le condizioni poste dall’art. 5-bis riguardano il contenuto del verbale, il quale deve ave-re a oggetto violazioni in materia di imposte sui redditi e di imposta sul valore aggiunto che consentano l’emissione di accertamenti parziali3 e l’integrale accettazione da parte del contribuente dei rilievi del verbale di constatazione. Gli Uffici, una volta ricevuta la comunicazione da parte del contribuente, devono verifi-care se le violazioni constatate sono effettivamente tali da legittimare l’emissione di un atto di accertamento parziale, vale a dire l’unico tipo di accertamento che può consen-tire la definizione del processo verbale di constatazione. Di conseguenza, il solo margine di discrezionalità proprio dell’Amministrazione riguarda la qualifica da attribuire all’atto di accertamento con il quale recuperare quanto eviden-ziato dai verificatori nel processo verbale di constatazione: accertamento ordinario o accertamento parziale. La circ. min. n. 235/1997 afferma che tale tratto non sia più da ricercare nel contenuto proprio degli elementi comunicati all’Ufficio tributario, ma nella provenienza esterna de-gli elementi medesimi rispetto all’Ufficio e nella loro immediata utilizzabilità. Infatti, l’Ufficio adotta l’avviso di accertamento parziale quando trasfonde nell’atto stes-so gli elementi immediatamente utilizzabili che risultino da ogni tipo di segnalazione proveniente dalla Guardia di Finanza o altri organi esterni, inclusi i verbali di constata-zione redatti a seguito di verifica generale. È sufficiente il rinvio per relationem al conte-nuto del processo verbale da parte dell’organo accertatore per motivare il recupero di imposta. La legge Finanziaria 2005 (l. 30 dicembre 2004, n. 311) ha ampliato le possibilità dell’Ufficio di avvalersi dell’accertamento parziale: da strumento utilizzabile in presenza di un elemento istruttorio esterno all’Ufficio, a modalità di accertamento applicabile an-che in caso di attività istruttoria interna, ossia riferibile a elementi che provengono dagli accessi, ispezioni e verifiche nonché dalle segnalazioni effettuate dalla Direzione cen-trale accertamento, da una Direzione regionale ovvero da un ufficio della medesima Agenzia ovvero di altre agenzie fiscali. Ciò, per parte della dottrina, ha eroso la linea di confine dell’accertamento ordinario a tutto vantaggio dell’Ufficio che potrà ricorrere più spesso all’accertamento parziale, con

- - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - 3 Accertamenti disciplinati dall'art. 41-bis del d.P.R. n. 600/1973 e dall'art. 54, comma 4, del d.P.R.

n. 633/1972.

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l’indubbio vantaggio di non dover, in questo modo, sottostare ai limiti previsti per l’accertamento ordinario di cui all’art. 43, comma 4, ove si legge: «fino a scadenza del termine stabilito nei commi precedenti l’accertamento può essere integrato o modifica-to in aumento mediante notificazione di nuovi avvisi emessi, in base alla sopravvenuta conoscenza di nuovi elementi. Nell’avviso devono essere specificamente indicati, a pe-na di nullità, i nuovi elementi e gli atti o fatti attraverso i quali sono venuti a conoscenza dell’Ufficio delle imposte». Altro nodo non affrontato dal legislatore, e nemmeno risolto dalla circ. min. 17 settem-bre 2008, n. 55/E, si pone nel caso in cui il processo verbale contenga degli errori, so-prattutto se di natura non tecnico-giuridica o derivanti da un’interpretazione della nor-ma, ma quando si tratti di veri e propri errori materiali. Dalla lettura della norma e della circolare non sembrerebbe che l’Ufficio possa emen-dare l’atto di accertamento successivo, eliminando questi errori. Secondo parte della dottrina, comunque, in base ai principi generali dell’ordinamento a cominciare da quello della capacità contributiva, l’Ufficio, nell’atto di accertamento che notificherà, dovrebbe esprimere una pretesa impositiva depurata degli eventuali errori contenuti nel processo verbale di constatazione. Altro punto di dibattito è se la comunicazione prevista dalla circ. min. n. 55 del 2008 - «ogniqualvolta l’Ufficio ritenga inammissibile la domanda, ne deve dare notizia al con-tribuente ‘con apposita comunicazione’» - sia o meno impugnabile in Commissione tri-butaria. Invero, secondo quanto disposto dall’art. 19 del d.lgs. n. 546/1992, sono impugnabili anche gli atti di rigetto di domande di definizione agevolata di rapporti tributari. Tra l’altro, l’unica tutela il contribuente l’avrebbe impugnando l’atto di accertamento successivo emesso dall’Ufficio in seguito al diniego dell’istanza di definizione su pro-cesso verbale, chiedendo al giudice di riconoscere l’ammissibilità alla definizione se-condo il contenuto originario del verbale.

5.2 Fonti Normativa L. 6 agosto 2008, n. 133 D.l. 25 giugno 2008, n. 112 D.lgs. 19 giugno 1997, n. 218 Prassi Circolare Agenzia delle dogane 23 ottobre 2008, n. 38/D Circ. min. 17 settembre 2008, n. 55/E

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5.3 Applicazioni 5.3.1 Premessa L’art. 5-bis, comma 1, prevede l’adesione «ai verbali di constatazione in materia di imposte sui redditi e di imposta sul valore aggiunto redatti ai sensi dell’art. 24 della legge 7 gennaio 1929, n. 4, che consentano l’emissione di accertamenti parziali previsti dall’art. 41-bis del d.P.R. n. 600/1973 e dall’art. 54, quarto comma, del d.P.R. n. 633/1972». Dall’interpretazione letterale della norma si delinea quello che potrebbe essere l’ogget-to dell’adesione: le violazioni sostanziali - violazioni delle norme contenute nelle leggi finanziarie - contenute in processi verbali di constatazione a fronte dei quali l’Ufficio po-trà emettere avvisi di accertamento parziali («artt. 41-bis del d.P.R. n. 600/1973 e 54, quarto comma, del d.P.R. n. 633/1972»), riguardanti la normativa in materia di imposte sui redditi e di imposta sul valore aggiunto. Oggetto di adesione al PVC, chiaramente, possono essere anche le violazioni relative non solo alle imposte sui redditi e all’imposta sul valore aggiunto, ma anche quelle che implica-no dei recuperi ai fini dell’imposta regionale sulle attività produttive, le addizionali regionali e comunali all’IRPEF, le imposte sostitutive sui redditi; inoltre, il PVC può riguardare anche i contributi previdenziali per il cui accertamento l’art. 1, comma 1, del d.lgs. n. 462/1997, prevede che trovino applicazione le disposizioni in materia di imposte sui redditi. Riguardo ai rilievi contenuti nei processi verbali di constatazione redatti da funzionari dell’Agenzia delle dogane, vista la difficoltà per gli operatori di districarsi tra i vari organi competenti a emettere gli atti di accertamento a fronte di tali rilievi, l’Agenzia ha emes-so la circolare 23 ottobre 2008, n. 38/D concernente le disposizioni sulla definizione per adesione dei PVC di cui all’art. 5-bis. Con tale circolare l’Agenzia delle dogane ricorda che l’istituto dell’adesione al PVC può riguardare i soli rilievi formulati a conclusione delle verifiche in materia di Iva sugli scambi intracomunitari e di regolare costituzione e utilizzo del plafond. Non possono essere oggetto di definizione le rettifiche della dichiarazione o le ipotesi di revisione dell’accertamento doganale che comportino anche una maggiore Iva, trat-tandosi di situazioni e contesti disciplinati dalle disposizioni doganali per i quali non è consentita l’emissione di accertamenti parziali. La norma, a dire il vero, ha fino ad oggi trovato scarsa applicazione concreta, in quanto manifesta ben poco appeal per il contribuente che si trova a dover aderire a tutti i rilievi proposti dall’organo accertatore. In concreto, il contribuente preferisce infatti seguire il percorso dell’accertamento con adesio-ne e – eventualmente – presentare ricorso al giudice tributario che può esaurirsi anche con la conciliazione giudiziale, anche considerato che su tematiche interpretative complesse le Commissioni tributarie potrebbero anche dichiarare comunque non applicabili le sanzioni tri-butarie raggiungendo così, sotto il profilo sanzionatorio, un risultato migliore di quello che si ha con l’adesione al PVC. Anche l’introduzione dell’accertamento esecutivo non sembra aver spostato molto l’appetibilità dell’istituto, in quanto, rispetto ad esso, presenta sì il vantaggio delle sanzioni ridotte, ma il sostanziale svantaggio della impossibilità di contestazione.

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5.3.2 Violazioni oggetto dell’adesione Abbiamo già anticipato che l’adesione può avere a oggetto esclusivamente il contenu-to integrale del verbale di constatazione, nello specifico le sole violazioni sostanziali che consentano l’emissione di un accertamento parziale. L’accordo deve riguardare necessariamente tutti i periodi di imposta interessati dalle viola-zioni medesime, senza la possibilità di escludere alcuni dei periodi di imposta accertabili. Può verificarsi che, per taluni anni, il contribuente ritenga fondati i rilievi, e per altri no. In quest’ultimo caso, probabilmente, il contribuente non avrà interesse a concludere l’adesione visto che dovrebbe «sanare» anche annualità con rilievi non ritenuti legittimi. Rimangono fuori dalla possibilità di definizione: le violazioni relative a settori impositivi diversi da quelli espressamente richiamati

dall’art. 5-bis, come le imposte indirette diverse dall’imposta sul valore aggiunto (ad es. imposta di registro);

le violazioni formali, cioè di quelle violazioni per le quali l’Ufficio non applica sanzioni commisurate a una maggiore imposta accertata. C’è da ricordare che se il proces-so verbale di constatazione contiene, oltre alle violazioni sostanziali, anche violazioni formali che di per sé non potrebbero essere oggetto di definizione, la definizione delle prime comporta anche quella delle violazioni formali. Altrimenti, tali violazioni dovrebbero formare oggetto di un separato atto di contestazione;

ogni altra «segnalazione» da parte dell’organo verificatore all’Ufficio territorialmente competente che necessita di ulteriore istruttoria; ad esempio, le segnalazioni per le annualità ancora «aperte», cioè violazioni relative a periodi di imposta per i quali an-cora non sono scaduti i termini per la presentazione della dichiarazione. Oppure, al-tro esempio, quegli elementi che portano a considerare determinate operazioni co-me elusive ex art. 37-bis del d.P.R. n. 600/1973 (le violazioni possono essere for-malizzate solo dopo aver attivato la procedura di cui al comma 4 dello stesso art. 37-bis). Altro esempio, gli elementi che riguardano spese e altri componenti negativi di reddito ritenuti indeducibili ai sensi dell’art. 110, comma 10, del Tuir (anche qui le violazioni possono essere contestate solo dopo l’esperimento della procedura pre-vista dal comma 11 dello stesso art. 110);

quei controlli a fronte dei quali l’Amministrazione finanziaria non redige mai un pro-cesso verbale di constatazione; si pensi ad esempio ai: – controlli da studi di settore o parametri; – controlli cosiddetti «a tavolino» svolti cioè direttamente in ufficio senza verifiche o

accessi esterni; – controlli sorti dall’incrocio di dati presenti nell’Anagrafe tributaria, come ad e-

sempio i controlli c.d. «41-bis»; – accertamenti per i redditi da partecipazione, derivanti dall’incrocio dei dati di-

chiarati dalle società di persone e dei dati dichiarati dai singoli soci. Per quanto riguarda le indagini finanziarie, l’esclusione dovrebbe derivare da un’interpre-tazione letterale dell’art. 32, comma 1, n. 2), del d.P.R. n. 600/1973, il qua-

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le stabilisce che i dati e gli elementi possono essere posti a base delle rettifiche e degli accertamenti previsti dagli articoli 38, 39, 40 e 41 dello stesso decreto. La norma, in-fatti, non cita gli accertamenti parziali (art. 41-bis del d.P.R. n. 600/1973), a meno che i risultati delle indagini finanziarie non siano formalizzati in un processo verbale di con-statazione che, come abbiamo visto, può sempre dar vita a un avviso di accertamento parziale a prescindere dal contenuto del verbale. 5.3.3 Le modalità di adesione ai processi verbali di constatazione La comunicazione deve essere effettuata utilizzando l’apposito modello approvato con il provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle entrate del 10 settembre 2008 (a far data dal 6 settembre 2009 il modello da utilizzare è quello approvato con provvedi-mento pubblicato il 6 agosto 2009 sul sito internet dell’Agenzia delle entrate), nel quale è precisato che, ai fini della validità della comunicazione, è necessaria la sottoscrizione del contribuente o di chi legalmente lo rappresenta. È infatti da escludere che, ai fini dell’adesione al processo verbale di constatazione, possa valere la possibilità di rappresentanza mediante procuratore speciale prevista, dall’art. 7, comma 1-bis, del d.lgs. n. 218/1997, per la sottoscrizione dell’atto di definizione dell’accertamento con adesione del contribuente. La comunicazione va trasmessa al com-petente ufficio dell’Agenzia delle entrate per i periodi di imposta oggetto del PVC. Come capita spesso, se il processo verbale riguarda più periodi di imposta e gli Uffici competenti per i singoli periodi sono diversi, la comunicazione da parte del contribuen-te va inoltrata a ciascuno di essi, oltre che all’organo che ha redatto il PVC. Chiaramente se l’organo verificatore coincide con lo stesso Ufficio competente territo-rialmente per l’emissione dell’accertamento parziale, va fatta una sola comunicazione. È inoltre prevista l’allegazione di una fotocopia del documento di identità o di riconosci-mento del soggetto che presenta la comunicazione. Nei casi in cui il processo verbale di constatazione venga sottoscritto da altre persone si potrebbe porre il problema dell’idoneità della comunicazione di adesione presentata da parte del soggetto sottopo-sto a verifica, diverso da colui che ha sottoscritto il processo verbale di constatazione. La comunicazione va eseguita entro il trentesimo giorno successivo alla notifica del PVC (termine perentorio). Eventuali comunicazioni presentate agli uffici dell’Agenzia delle entrate oltre i trenta giorni successivi a quello della notifica del PVC saranno con-siderate non ammissibili. Alla stessa conclusione si perviene, come specificato dalla circ. min. 17 settembre 2008, n. 55, nel caso in cui la comunicazione non sia stata effettuata utilizzando il mo-dello approvato o sia stata inoltrata senza allegare copia del documento di riconosci-mento del sottoscrittore. L’Ufficio, dalla data di ricevimento della comunicazione inoltrata dal contribuente, ha ses-santa giorni per notificare al contribuente l’atto di definizione dell’accertamento parziale. Con la notifica dell’atto di definizione dell’accertamento parziale si perfeziona il procedimen-to e nasce in capo al contribuente l’obbligo di versare le somme dovute risultanti dall’atto di

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definizione nei termini e con le modalità di cui all’art. 8 del d.lgs. n. 218/1997, senza presta-zione delle garanzie in caso di versamento rateale. Il rinvio all’art. 8 comporta che: il versamento delle somme dovute deve essere eseguito entro venti giorni dalla noti-

fica dell’atto di definizione dell’accertamento parziale; è ammesso il versamento in un massimo di otto rate trimestrali di pari importo ov-

vero di dodici rate trimestrali se le somme dovute sono superiori a 51.645,69 euro, senza la presentazione di alcuna garanzia4.

La scelta di pagare con più rate invece che con un’unica soluzione, va espressa subito. Inoltre, è riconosciuta la possibilità al contribuente di attuare la compensazione con e-ventuali crediti dal momento che il pagamento in questione transiterà sul mod. F24. Ciò in ragione del fatto che l’istituto della definizione dei verbali rientra nell’alveo delle disposizioni in materia di accertamento con adesione, le quali consentono la compen-sazione delle somme dovute con eventuali crediti a disposizione del contribuente. Particolari situazioni si hanno quando il processo verbale di constatazione riguarda i soggetti di cui all’art. 5 del Tuir (società di persone), le società che abbiano optato per il regime di trasparenza fiscale o le società che abbiano optato per il regime del consoli-dato fiscale. L’Ufficio competente alla definizione dell’accertamento nei confronti della società è compe-tente anche per l’emanazione dei conseguenti atti di definizione dell’accertamento parziale riguardanti il reddito derivante dalla partecipazione nella società dei singoli soci. In pratica, entro trenta giorni dalla notifica del PVC, la società presenta la comunicazio-ne di adesione, l’Ufficio competente per la società, una volta notificato l’atto di defini-zione a quest’ultima, invia a ciascun socio l’atto di definizione del reddito di partecipa-zione a essi attribuibile sulla base della definizione effettuata per la società. Entro i trenta giorni successivi alla data di ricezione dell’atto di definizione, il socio può definire la propria posizione che, ricordiamo, riguarda le sole imposte sui redditi - men-tre la società definirà l’IRAP e l’imposta sul valore aggiunto - utilizzando il medesimo modello di comunicazione di adesione e specificando la sua posizione di soggetto par-tecipante alla società, nel campo «in qualità di». Entro i venti giorni successivi alla presentazione della comunicazione di adesione, il so-cio è tenuto a versare le somme risultanti dall’atto di definizione che lo riguarda, o la prima rata in caso di opzione per il pagamento rateale. Essendo l’adesione al PVC riservata esclusivamente al legale rappresentante della so-cietà, i singoli soci non possono richiedere di definire la propria posizione sulla base del processo verbale, a differenza di quanto previsto per il procedimento ordinario di ac-certamento con adesione. In quest’ultimo caso il socio ha facoltà di aderire anche in mancanza di adesione da parte della società.

- - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - 4 Sull'importo delle rate successive alla prima sono dovuti gli interessi al saggio legale calcolati dal giorno

successivo alla data di notifica dell'atto di definizione dell'accertamento parziale.

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Diversamente, qualora il singolo socio non intenda definire la propria posizione l’Ufficio pro-cederà a emettere avvisi di accertamento parziale nei suoi confronti con l’applicazione delle sanzioni nella misura piena. Riguardo al regime di trasparenza e al consolidato fiscale, il procedimento è lo stesso visto per le società di persone. La comunicazione dell’adesione al processo verbale di constatazione deve essere presentata dalla società trasparente o consolidata al com-petente Ufficio, che una volta definito l’accertamento parziale nei confronti di tali sog-getti, procederà all’invio dell’atto di definizione riguardante i soci della società traspa-rente o la società consolidante. 5.3.4 Momento di perfezionamento dell’adesione al PVC L’istituto introdotto con l’art. 5-bis, pur essendo inserito all’interno del corpo normativo disciplinante il procedimento dell’accertamento con adesione (d.lgs. n. 218/1997), se ne discosta per un punto fondamentale: il momento del perfezionamento. Infatti, per l’adesione al PVC il perfezionamento si ottiene con la notifica dell’atto di de-finizione a prescindere dal pagamento delle somme dovute. Mentre per l’accertamento con adesione il versamento, integrale o della prima rata, con la presentazione della fi-deiussione determina il perfezionamento della definizione. L’Ufficio consegnerà l’atto di adesione al contribuente solo dopo aver accertato: l’effettivo pagamento da parte di quest’ultimo delle somme dovute nei tempi previsti

(venti giorni dalla firma dell’atto di adesione); la regolarità della fideiussione presentata in caso di rateazione del pagamento. Nel caso della definizione di cui all’art. 5-bis, l’Ufficio non ha la possibilità di consegna-re l’atto solo dopo aver controllato la regolarità della dazione delle somme dovute, co-me non ha la possibilità di escutere la fideiussione per il mancato pagamento delle rate successive alla prima nel caso della rateazione. Se il contribuente non versa le somme dovute, l’Ufficio può procedere solo con la loro iscrizione a ruolo e con la irrogazione della sanzione per omesso versamento (art. 13 del d.lgs. n. 471/1997). L’atto costituisce titolo esecutivo per richiedere, in caso di mancato pagamento, le somme indicate. C’è da rilevare che l’iscrizione a ruolo delle somme dovute dal contribuente comporte-rebbe, con i dubbi di parte della dottrina, l’assunzione da parte di un atto istruttorio, quale è il processo verbale di constatazione, di una valenza esterna nei confronti del contribuente. L’invio della comunicazione comporta anche delle preclusioni per il contribuente, il quale non potrà più produrre memorie difensive ai sensi dell’art. 12, comma 7 dello Statuto del contribuente, nè presentare istanza di accertamento con adesione ai sensi dell’art. 6, comma 1, d.lgs. n. 21/1997. Come «contrappeso» alla posizione dell’Ufficio, che potremmo definire deficitaria di ga-ranzie sul buon esito dell’adesione, rispetto a quanto succede nel procedimento di a-desione ordinario e nell’ipotesi di acquiescenza dove il perfezionamento è subordinato

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all’effettuazione del pagamento, il legislatore ha deliberatamente escluso la possibilità per il contribuente di un ripensamento sulla definizione del verbale una volta inviata la comunicazione agli organi competenti. 5.3.5 La più recente giurisprudenza Sent. n. 456 del 29 novembre 2011 della Comm. trib. prov. di Genova Rientra nel novero degli atti impugnabili la nota con la quale l’Agenzia delle Entrate, a seguito di comunicazione di adesione ai “PVC” inviata dal contribuente, opponga il di-niego alla definizione. Infatti, tale atto è compreso nella lettera h) dell’art. 19 del d.lgs. n. 546/1992, concernenti i dinieghi di definizione agevolata dei rapporti fiscali. Il contri-buente, nell’adesione ai “PVC”, ha l’obbligo di comunicare l’intenzione di aderire con riferimento a tutte le annualità interessate dal controllo dei funzionari, non potendo so-stenere di voler aderire solo a una parte delle annualità, quale che sia la ragione. Ciò deriva dal fatto che, ai sensi dell’art. 5-bis del d.lgs. n. 218/1997, l’adesione deve es-sere necessariamente integrale. 5.4 Effetti 5.4.1 Differenze tra l’acquiescenza e l’accertamento con adesione Più che strumento assimilabile all’accertamento con adesione, l’istituto introdotto con l’art. 5-bis sembra potersi avvicinare all’acquiescenza, con la quale condivide: l’accettazione integrale della maggiore imposta contestata; il vantaggio della riduzione delle sanzioni amministrative. Peraltro, al fine di armoniz-

zare la disciplina dei nuovi istituti deflativi, anche per l’acquiescenza la riduzione è stata portata recentemente a un ottavo del minimo edittale.

La differenza rispetto all’acquiescenza riguarda l’oggetto della definizione: da una par-te, si tratta di un avviso di accertamento emesso dall’organo a ciò preposto, l’Agenzia delle entrate; dall’altra, con il nuovo istituto, si può definire un processo verbale di con-statazione, atto istruttorio, cioè propedeutico all’emanazione dell’atto di accertamento. Ciò nonostante, l’inserimento dell’adesione al PVC nell’impianto del d.lgs. n. 218/1997 ha tolto ogni dubbio in proposito: a questo istituto sono estesi gli effetti di cui all’art. 2 del d.lgs. n. 218/1997, già analizzati nel capitolo dedicato all’accertamento con ade-sione, tra i quali anche quello della riduzione delle sanzioni per le violazioni collegate al tributo, pur se in misura diversa (un ottavo e non un quarto). E così: l’accertamento definito con adesione non è soggetto a impugnazione, non è inte-

grabile o modificabile da parte dell’Ufficio, non rileva ai fini extratributari, fatta ecce-zione per i contributi previdenziali e assistenziali, la cui base imponibile è riconduci-bile a quella delle imposte sui redditi;

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la definizione non esclude l’esercizio dell’ulteriore azione accertatrice entro i termini previsti dall’art. 43 del d.P.R. n. 600/1973, relativo all’accertamento delle imposte sui redditi, e dall’art. 57 del d.P.R. n. 633/1972, riguardante l’imposta sul valore ag-giunto (art. 2, comma 4): a) se sopravviene la conoscenza di nuovi elementi, in base ai quali è possibile ac-

certare un maggior reddito, superiore al cinquanta per cento del reddito definito e comunque non inferiore a 77.468,53 euro;

b) se la definizione riguarda accertamenti parziali; c) se la definizione riguarda i redditi derivanti da partecipazione nelle società o nelle

associazioni indicate nell’art. 5 del Tuir, ovvero in aziende coniugali non gestite in forma societaria;

d) se l’azione accertatrice è esercitata nei confronti delle società, associazioni o dell’azienda coniugale di cui alla lett. c), alle quali partecipa il contribuente nei cui riguardi è intervenuta la definizione.

5.5 Quesiti D. Se una società in nome collettivo decide, tramite il suo rappresentante legale, di non aderire al PVC mediante la procedura introdotta dall’art. 5-bis, possono farlo i singoli? R: Nel caso in cui sia notificato un processo verbale di constatazione a una società in nome collettivo o a una società in accomandita semplice, solo il rappresentante legale della società può fare istanza di adesione al verbale. Come sappiamo la società è re-sponsabile per l’Irap e l’Iva mentre i singoli soci per le posizioni relative alle imposte sui redditi. I singoli soci possono decidere se intervenire o meno solo dopo che l’ufficio dell’Agenzia delle entrate territorialmente competente ha notificato loro l’atto di definizione inviando, a loro volta nei trenta giorni successivi, la comunicazione, ma non possono farlo autono-mamente se prima la società non ha preso alcuna iniziativa in tal senso. Al contrario, la società potrebbe decidere di aderire al processo verbale di constatazio-ne mentre i singoli soci potrebbero avere l’intenzione di aprire un contraddittorio con l’Ufficio o non prender alcuna iniziativa. In quest’ultimo caso l’Ufficio invierà loro un accertamento parziale con le sanzioni in misura piena. D: I vantaggi della definizione di cui all’art. 5-bis investono anche il profilo penale? R: Riguardo ai profili penali e agli eventuali vantaggi scaturenti dall’accettazione inte-grale della pretesa tributaria, né la legge né la circolare esplicativa ne fanno menzione. Ciò lascia presupporre che in presenza di un processo verbale di constatazione l’organo verbalizzante, qualora ne ricorrano i presupposti, debba procedere a notiziar-ne l’Autorità giudiziaria, a prescindere dall’eventuale istanza di definizione del verbale da parte del contribuente.

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L’unica conseguenza favorevole a quest’ultimo, nell’ipotesi in cui egli intenda avvalersi dell’istituto introdotto dall’art. 5-bis, consisterebbe nell’applicazione dell’attenuante di cui all’art. 13 del d.lgs. n. 74/2000: diminuzione sino alla metà delle pene previste per i delitti tributari contemplati dal citato decreto e inapplicabilità delle pene accessorie. Tale attenuante si applica nel momento in cui i debiti tributari scaturenti dal verbale di constatazione, e relativi ai fatti costitutivi dei delitti medesimi, sono stati estinti mediante pagamento, anche a seguito delle speciali procedure conciliative o di adesione all’accer-tamento, tra cui rientra sicuramente l’istituto introdotto con l’art. 5-bis: «Le pene previste per i delitti di cui al presente decreto sono diminuite fino alla metà e non si applicano le pene accessorie indicate nell’art. 12 se, prima della dichiarazione di apertura del dibatti-mento di primo grado, i debiti tributari relativi a fatti costitutivi dei delitti medesimi sono stati estinti mediante pagamento, anche a seguito delle speciali procedura conciliative o di adesione all’accertamento previste dalle norme tributarie» (art. 13, comma 1, d.lgs. n. 74/2000).

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6. Definizione dell’accertamento su invito al contraddittorio

Fabiola Bigiarini

6.1 Profili 6.1.1 Premessa L’art. 27, comma 1, lett. b) del d.l. 29 novembre 2008, n. 185, «Recante misure urgenti per il sostegno a famiglie, lavoro, occupazione e impresa e per ridisegnare in funzione anti-crisi il quadro strategico nazionale», convertito, con modificazioni, dalla l. 28 gen-naio 2009, n. 2, ha introdotto all’art. 5 del d.lgs. n. 218/1997, i commi da 1bis a 1quinquies che disciplinano il nuovo istituto della «definizione dell’accertamento me-diante adesione ai contenuti dell’invito al contraddittorio», ai fini delle imposte sui redditi e dell’Iva. Il legislatore, dopo aver dato al contribuente oggetto di verifica la possibilità di definire in tempi brevi e con la riduzione a un sesto delle sanzioni mediante adesione al conte-nuto dei processi verbali di contestazione, ha voluto dare la medesima opportunità a quei contribuenti oggetto di controlli ad iniziativa d’ufficio, c.d. «controlli a tavolino», in-troducendo l’istituto della definizione dell’invito al contraddittorio. Con tale istituto il contribuente accetta integralmente (non è infatti possibile un’adesione parziale) le riprese dell’ufficio indicate nell’invito, rinunciando al contraddit-torio e al futuro contenzioso. Come vedremo, anche con lo strumento dell’adesione all’invito al contraddittorio ricor-rono i vantaggi per il contribuente della definizione in tempi brevi e della riduzione delle sanzioni a un sesto del minimo, ma con un vantaggio in più rispetto alla definizione dei verbali: l’inibizione dell’ulteriore attività di accertamento con metodi induttivi per il pe-riodo di imposta oggetto dell’invito definito. Fino al 1° febbraio 2011, data di entrata in vigore della l. n.220/2010 (cd. legge di sta-bilità), la riduzione delle sanzioni in caso di adesione all’invito al contraddittorio era ad-dirittura prevista nella misura di un ottavo (ovvero la metà delle sanzioni applicabili co-me indicate nell’art. 2, comma 5 che, fino all’entrata in vigore della citata legge di stabi-lità, era pari ad un quarto); l’art. 1 comma 18 della l. 220/2010 ha però modificato l’art. 2, comma 5 del d.lgs. n. 218/1997 prevedendo che per l’adesione all’accertamento, così come stabilito anche per l’acquiescenza, lo “sconto” sulle sanzioni fosse portato da un quarto ad un terzo. Affinché il contribuente possa scegliere tra la definizione dell’invito e la presentazione al contraddittorio l’Ufficio deve indicare nell’invito tutti gli elementi in suo possesso ai fini dell’accertamento, oltre a precisare l’importo della maggior imposta contestata con le sanzioni e gli interessi.

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6.1.2 Tipologie di controllo Nello stesso tempo, tuttavia, la normativa introdotta sembra non prevedere l’obbligatorietà da parte dell’Ufficio, a conclusione di un controllo «a tavolino», di notificare un invito al con-traddittorio in tutti i casi. Se ne deduce che, in definitiva, la scelta di emettere un avviso di accertamento piutto-sto che notificare al contribuente un invito al contraddittorio sia rimessa alla discrezio-nalità dell’organo di controllo. La circ. min. n. 4/E del 16 febbraio 2009, si limita a indicare quelle tipologie di controllo a cui più si adatta l’invito al contraddittorio. Vale a dire in tutti quei casi in cui l’accertamento si basi essenzialmente su prove di na-tura presuntiva o su altri elementi comunque suscettibili di apprezzamento valutativo da parte dell’Ufficio, quali: accertamenti d’ufficio, per i casi di omessa presentazione della dichiarazione, basati su

presunzioni anche prive dei requisiti della gravità, precisione e concordanza; rettifiche di cui all’art. 38, terzo comma, e all’art. 39, primo comma, lett. d) del d.P.R. n.

600 del 1973, nonché di cui all’art. 54, secondo comma del d.P.R. n. 633 del 1972, basate su presunzioni semplici;

accertamenti induttivi di cui all’art. 39, secondo comma, del d.P.R. n. 600 del 1973 e all’art. 55 del d.P.R. n. 633 del 1972;

accertamenti con metodo sintetico di cui all’art. 38, quarto comma del d.P.R. n. 600 del 1973.

Un capitolo a parte riguarda gli accertamenti da studi di settore per i quali l’indirizzo della Agenzia delle entrate è quello dell’obbligatorietà dell’invito al contraddittorio per consentire ai contribuenti di produrre le giustificazioni dello scostamento tra ricavo di-chiarato e ricavo puntuale. Si osservi al riguardo che, se l’invito al contraddittorio si basa sugli stessi importi deri-vanti dall’applicazione del programma Gerico, al contribuente non conviene accettare in questa sede il maggior imponibile derivante dallo scostamento, anche se le sanzioni verrebbero ridotte ad un sesto. Questo perché il contribuente potrebbe colmare la differenza con il ricavo puntuale già in se-de di dichiarazione, pagando la maggiorazione del 3% ma senza applicazione della sanzione. Per quanto riguarda altre tipologie di controlli, quali accertamenti sintetici o accerta-menti scaturenti da indagini finanziarie, l’Ufficio, nella maggior parte dei casi, «contatta» il contribuente con un invito a comparire o un questionario di cui all’art. 32 del d.P.R. n. 600/1973, ponendo quesiti o richiedendo documentazione da consegnare. Quindi l’Ufficio, come ha fatto osservare parte della dottrina, potrebbe notificare un in-vito al contraddittorio tenendo conto delle spiegazioni già fornite dal contribuente. Oppure, altrimenti, rimandare al momento dell’eventuale contraddittorio la disamina delle spiegazioni rese precedentemente, notificando alla parte un invito con un maggior imponibile accertabile senza tener conto del riflesso delle giustificazioni fornite sull’importo contestato.

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6.2 Fonti Normativa D.l. 6 luglio 2011, n. 98 L. 13 dicembre 2010, n. 220 L. 28 gennaio 2009, n. 2 D.l. 29 novembre 2008, n. 185 D.lgs. 19 giugno 1997, n. 218

Prassi Circ. min. 16 febbraio 2009, n. 4/E 6.3 Applicazioni 6.3.1 Premessa Il contribuente che riceve un invito al contraddittorio può (ma non è obbligato) definire la contestazione prima ancora di instaurare il contraddittorio con l’ufficio, accettando le indi-cazioni contenute nell’invito e pagando quanto dovuto con la riduzione delle sanzioni irro-gate ad 1/6 del minimo. Vi sono però delle cause di esclusione all’istituto de quo. Per espressa previsione normativa (art. 5, comma 1-quinquies), l’adesione all’invito al con-traddittorio non può attuarsi se l’invito riguarda un processo verbale di constatazione che determina l’emissione di un accertamento «parziale» e gli interessati non abbiano effettuato l’adesione, ai sensi dell’art. 5-bis del d.lgs. n. 218/1997, ai contenuti del PVC. La circolare dell’Agenzia delle entrate n. 4/E del 2009 rileva, tuttavia, che se il processo verbale non dà luogo a un atto di accertamento parziale, non risultando effettuabile la de-finizione del verbale, il contribuente può aderire direttamente all’invito al contraddittorio. Altra ipotesi in cui si può aderire all’invito al contraddittorio, anche in presenza di un processo verbale di constatazione per il quale il contribuente non si sia avvalso della possibilità di definizione di cui all’art. 5-bis, si ha nel caso in cui l’Ufficio, nell’invito, si discosti dal contenuto del PVC in relazione agli imponibili e/o alle imposte constatate. Rimane sempre salva, in tali casi, la possibilità per il contribuente di avvalersi dell’accertamento con adesione ordinario. 6.3.2 Modalità di adesione Il contribuente che intende accedere alla definizione integrale dell’invito deve compie-re i seguenti adempimenti entro il 15° giorno antecedente alla data fissata per il con-traddittorio:

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1) versare le somme richieste nell’invito; 2) presentare apposita comunicazione, secondo le stesse modalità (lettera raccoman-

data con avviso di ricevimento o consegna diretta all’ufficio) ed utilizzando lo stesso modello previsto per la definizione al PVC di cui all’art. 5-bis.

3) Il modello che deve essere sottoscritto necessariamente dal contribuente o da chi legalmente lo rappresenta, è quello approvato con provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle Entrate del 3 agosto 2009 e consente al contribuente di prestare adesione distintamente: ai processi verbali di constatazione; all’invito al contraddittorio ai fini delle imposte dirette e Iva; all’invito al contraddittorio ai fini delle altre imposte indirette. Nella sezione «Destinatari Comunicazione» si potranno indicare gli uffici competenti a svolgere le attività di controllo e accertamento (Direzioni provinciali, regionali - Uf-fici grandi contribuenti) secondo l’ultima ripartizione territoriale introdotta dal Comi-tato di gestione dell’Agenzia n. 55/2008.

4) allegare alla comunicazione la ricevuta di versamento delle somme dovute e copia di un documento di identità o di riconoscimento.

A differenza di quanto previsto per l’adesione al processo verbale di constatazione, che si perfeziona con la semplice comunicazione del contribuente, per il perfeziona-mento dell’adesione all’invito al contraddittorio è invece necessario presentare, unita-mente alla presentazione della comunicazione, anche l’avvenuto versamento da parte del contribuente. Il pagamento può essere effettuato anche in forma rateale, senza necessità di presen-tare garanzie, con un massimo di 8 rate trimestrali di pari importo oppure 12 rate se le somme dovute sono superiori a 51.645,69 euro. In tal caso, nella comunicazione di cui sopra, il contribuente deve indicare il numero di rate prescelto e allegare il pagamento della sola prima rata. Il mancato pagamento di una rata entro il trimestre per il pagamento della rata succes-siva determina l’iscrizione a ruolo a titolo definitivo delle somme dovute con la sanzione del 60% (ciò per effetto del richiamo alle disposizioni dell’art. 8, d.lgs. n. 218/1997 contenuto nel comma 1-ter dell’art. 5 medesimo decreto); invece, il ritardo nel paga-mento di una rata (nel senso che viene comunque effettuato entro il trimestre successi-vo con il ravvedimento operoso) non comporta la revoca della rateazione che difatti prosegue, salvo l’aggiunta degli interessi legali relativamente ai giorni di ritardo e della sanzione di cui all’art. 13, comma 1, d.lgs. 472/1997 ridotta, anch’essa, in funzione all’entità del ritardo. Considerato il termine entro cui il contribuente deve – se vuole – definire l’invito (15 giorni prima della data fissata per il contraddittorio), l’Ufficio deve notificarglielo almeno 45 giorni prima dell’appuntamento, mediante raccomandata ai sensi dell’art. 14 della l. 20 novembre 1982, n. 890, sì da consentirgli di effettuare le opportune valutazioni ed eventualmente porre in essere i dovuti adempimenti.

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6.3.3 Definizione nel caso di inviti a società di persone Si tratta, in specie, della definizione dell’accertamento che riguarda i contribuenti che producono redditi in forma associata come, nel caso più frequente, delle società di persone (art. 5 del Tuir) o delle aziende coniugali o dei soggetti che optano per la tra-sparenza fiscale. Si prenda, ad esempio, il caso più ordinario delle società di persone: pur essendo di-verse le posizioni della società e quella dei singoli soci, in quanto la compagine è re-sponsabile per il pagamento dell’Irap e dell’Iva, mentre i soci lo sono per le sole impo-ste dirette (reddito di partecipazione), l’ufficio territorialmente competente per la società emette l’invito anche nei confronti di questi ultimi. I soci potrebbero anche non ricadere nella competenza dell’Ufficio stabilito per la so-cietà: sarà quest’ultimo eventualmente a definire la posizione di tutti i partecipanti con un unico atto e in contraddittorio con ciascun soggetto. Una volta che l’Ufficio ha emesso gli inviti al contraddittorio nei confronti sia della socie-tà che dei singoli soci, ciascuno di essi può autonomamente aderire ai contenuti dell’invito ricevuto, effettuando la prevista comunicazione e provvedendo al pagamento degli importi indicati nell’invito. Se la società o il singolo socio non aderisce, l’Ufficio instaura con loro il contraddittorio e deve tener conto dell’eventualità che qualcuno dei soggetti interessati possa aver de-finito l’invito del contraddittorio. In caso di conflitti, come per il procedimento ordinario di adesione, è la posizione dell’entità collettiva a prevalere. Per i soggetti che, anche a seguito del contraddittorio, non abbiano prestato adesione, l’Ufficio emette atti di accertamento basati sulla eventuale definizione avvenuta a segui-to dell’esperimento del contraddittorio ovvero, in mancanza di tale definizione, su quel-la precedentemente intervenuta mediante adesione all’invito. 6.3.4 Definizione dell’invito al contraddittorio in materie di altre imposte indirette La versione originale del decreto «anticrisi» (d.l. n. 185/2008) prevedeva la definizione agevolata degli inviti al contraddittorio solo in materia di imposte dirette e Iva. In sede di conversione (l. n. 2/2009) è stato inserito nell’art. 11 del d.lgs. n. 218/1997 il nuovo comma 1-bis che ha esteso la possibilità per il contribuente di definire l’invito al contraddittorio anche con riferimento alle altre imposte indirette, quali Invim, imposta di registro, imposta sulle successioni e imposte ipotecarie. Per permettere al contribuente di conoscere il motivo della pretesa tributaria e la som-ma dovuta complessivamente per la definizione agevolata, il legislatore ha integrato il contenuto dell’invito al contraddittorio. Oltre all’indicazione della data fissata per l’eventuale contraddittorio, infatti, l’invito deve ora indicare, nel procedimento relativo alle imposte dirette e Iva (nuove lett. c) e d), art. 5, comma 1, d.lgs. n.18/1997) così come in quello relativo alle imposte indirette (nuove lett. b-bis) e b-ter),art. 11, d.lgs. n. 218/1997)

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le maggiori imposte, ritenute, contributi, sanzioni e interessi dovuti nel caso di defi-nizione dell’invito stesso;

i motivi che hanno dato luogo alla determinazione delle maggiori imposte e con-tributi.

Per quanto riguarda le specificità proprie delle definizioni nel caso di controlli sulle im-poste indirette, si consideri che per effetto del comma 2 dell’art.1, d.lgs. n. 218/1997, «l’accertamento delle imposte sulle successioni e donazioni, di registro, ipotecaria, ca-tastale… può essere definito con adesione anche di uno solo degli obbligati...». Tale principio si estende anche alla definizione dell’invito al contraddittorio; così avremo che la definizione di uno solo degli obbligati avrà effetto anche per gli altri coobbligati. Inoltre, dal momento che da un unico atto può derivare il pagamento di più tributi, l’art. 3, comma 1, d.lgs. n. 218/1997 dispone che la definizione ha effetto per tutti i tributi dovuti dal contribuente in relazione ai beni o diritti risultanti da ciascun atto, denuncia o dichiarazione. Basti pensare all’ipotesi più frequente di un atto avente ad oggetto una vendita immo-biliare: in questo caso la definizione deve essere effettuata per tutti i tributi dovuti in conseguenza dello stesso atto (imposte di registro, ipotecarie, catastali) e non soltanto per uno di essi (ad esempio, per la sola imposta di registro). Per le modalità di definizione dell’invito, l’art. 11, d.lgs. 218/1997 rinvia alle disposizioni in materia di imposte dirette ed Iva di cui all’art. 5, commi 1-bis, 1-ter e 1-quater. Anche gli effetti della definizione dell’invito al contraddittorio per le imposte indirette so-no gli stessi visti per gli inviti per le imposte dirette e l’IVA: riduzione delle sanzioni a un sesto del minimo e possibilità di rateazione delle somme dovute senza presentazione della fideiussione. 6.4 Effetti 6.4.1 Confronto con l’accertamento con adesione L’istituto dell’adesione al contenuto dell’invito al contraddittorio è inserito all’interno dell’alveo normativo del procedimento di accertamento con adesione ordinario, il d.lgs. n. 218/1997. Ciò implica che si applichi in parte la medesima procedura e che si abbiano gli stessi effetti. Un primo effetto in comune è dato dall’applicazione dell’art. 12, comma 8, del d.lgs. n. 472/1997 relativo all’istituto del cumulo giuridico: «nei casi di accertamento con ade-sione, in deroga ai commi 3 e 5, le disposizioni sulla determinazione di una sanzione unica in caso di progressione si applicano separatamente per ciascun tributo e per ciascun periodo di imposta». Altro elemento in comune tra le due procedure è la possibilità riconosciuta al contribuente di richiedere la rateazione degli importi dovuti, in entrambi i casi senza necessità di presen-tare alcun tipo di garanzia. Tale uniformità di trattamento è tuttavia piuttosto recente poi-

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ché, fino al 6 luglio 2011, il comma 2 dell’art. 8, d.lgs. 218/1997 richiedeva la presentazio-ne della fideiussione in caso di adesione all’accertamento con rateizzazione del debito fi-scale e rate superiori a 50.000 euro; diversamente, il comma 1-ter dell’art. 5 del medesimo decreto escludeva espressamente che per l’adesione all’invito al contraddittorio con ratea-zione delle somme dovute fosse necessaria la fideiussione. Il d.l. n. 98/2011, come già detto in vigore dal 6 luglio 2011, è intervenuto sull’art. 8 del d.lgs. 218/1997, modificando il comma 2 con l’eliminazione della parte in cui prevedeva l’obbligo di presentazione di idonea garanzia in caso di rateazione. Considerata la crescente difficoltà per i contribuenti ad ottenere il rilascio della fideius-sione da parte degli enti finanziari, e il costo della stessa, si coglie facilmente l’importanza delle innovazioni introdotte dal d.l. n. 98/2011, che esclude l’obbligo della garanzia sia con riferimento all’accertamento con adesione sia con riferimento agli altri istituti deflattivi quali l’acquiescenza e la conciliazione. Una significativa differenza, invece, da registrare rispetto alla procedura ordinaria dell’accertamento con adesione riguarda la riduzione delle sanzioni, parametrate a un terzo dei minimi edittali per il procedimento ordinario e a un sesto del minimo per l’adesione all’invito. 6.4.2 Limite agli accertamenti analitico-induttivi Proseguendo sulla linea del confronto tra i due istituti, un’ulteriore differenza tra l’adesione all’accertamento e l’adesione all’invito al contraddittorio riguarda un effetto premiale che caratterizza il nuovo istituto: il limite alla possibilità per l’Amministrazione finanziaria di effet-tuare accertamenti presuntivi in merito ai medesimi tributi e periodi di imposta, se v’è ade-sione del contribuente all’invito a comparire, nel caso in cui l’invito derivi da controlli effet-tuati sulla base di studi di settore (art.10-ter della l. 8 maggio 1998, n. 146). Detto limite vale solo nel caso in cui si verifichino due presupposti, vale a dire, l’ammontare delle attività non dichiarate, derivante dalla ricostruzione presuntiva: non deve essere superiore a 50.000 euro; deve risultare pari o inferiore al 40% dei ricavi o compensi definiti. Così, ad esempio, se il contribuente ha dichiarato 1.000 euro di ricavi e l’Ufficio con l’invito propone il recupero di 200 euro di maggiori ricavi, il limite del 40% deve esser calcolato su 1.200 euro, tenendo sempre conto dell’ulteriore limite quantitativo di 50.000 euro. Identica «garanzia» è riconosciuta al contribuente dall’art. 10, comma 4-bis, della l. 8 maggio 1998, n. 146: nei confronti di chi ha dichiarato ricavi congrui agli studi di setto-re non possono essere effettuate rettifiche sulla base di presunzioni semplici di cui all’art. 39, comma 1, lett. d) del d.P.R. n. 600/1973 e all’art. 54, comma 2 del d.P.R.n. 633/1972, qualora l’ammontare delle attività non dichiarate, fino a un massimo di 50.000 euro, sia pari o inferiore al 40% «dei ricavi o compensi dichiarati». La differenza con la «copertura» riconosciuta per l’adesione agli inviti riguarda la base su cui applicare la percentuale del 40%: ricavi «dichiarati» per chi ha dichiarato ricavi congrui, mentre si parla del 40% dei ricavi «definiti» per l’adesione agli inviti.

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Garanzia simile la ritroviamo anche tra gli effetti della conclusione del procedimento dell’accertamento con adesione, previsti dall’art. 2, comma 4, del d.lgs. n. 218/1997: la definizione non esclude l’ulteriore azione accertatrice, per lo stesso periodo di impo-sta per il quale si è conclusa l’adesione, solo se «sopravviene la conoscenza di nuovi elementi, in base ai quali è possibile accertare un maggior reddito, superiore al 50% del reddito definito e comunque non inferiore a euro 77.486,53». La differenza con la definizione degli inviti al contraddittorio risiede, oltre che nella misu-ra della percentuale (40% e 50%), nell’oggetto su cui commisurarla: ricavi definiti per l’adesione agli inviti al contraddittorio, redditi definiti per il procedimento ordinario dell’accertamento con adesione. 6.5 Quesiti D: Quali sono le differenze e i punti in comune tra «nuova acquiescenza» e la definizio-ne dell’invito al contraddittorio? R: L’Ufficio territoriale a conclusione di un controllo di iniziativa, c.d. controlli «a tavoli-no», può emettere un avviso di accertamento o un invito al contraddittorio. La scelta in apparenza potrebbe non avere alcuna differenza sostanziale. Infatti, in entrambi i casi, il legislatore ha previsto la possibilità per il contribuente di in-staurare un contraddittorio con l’Ufficio, al fine di definire, con la normale procedura di adesione, i risultati del controllo aperto dall’organo accertatore nei suoi confronti: nel caso dell’invito al contraddittorio, presentandosi alla data prefissata nell’invito,

con la rinuncia alla possibilità offerta dall’art. 5, comma 1-bis di pagare subito l’intera imposta con le sanzioni ridotte ad un sesto;

nel caso dell’avviso di accertamento, facendo istanza all’Ufficio, ai sensi dell’art. 6, comma 2 del d.lgs. n. 218/1997, per la convocazione al contraddittorio.

Ambedue le ipotesi consentono al contribuente, laddove decidesse di rinunciare all’instaurazione del contraddittorio, di versare al Fisco la maggior imposta accertata con gli interessi e l’importo delle sanzioni ridotte a un sesto del minimo edittale. Le differenze sopra analizzate sono solo di natura procedurale ma in realtà, come visto, ricorrono altresì differenze di natura sostanziale. A favore dell’invito al contraddittorio, si ribadisce l’inibizione dell’ulteriore attività di accertamento su base presuntiva, in con-comitante presenza di due presupposti richiesti dalla legge e riguardanti l’ammontare delle attività non dichiarate, derivante dalla ricostruzione presuntiva, che: non deve essere superiore a 50.000 euro; deve risultare pari o inferiore al 40% dei ricavi o compensi definiti. Tale possibilità non è invece prevista nel caso in cui l’Ufficio emetta direttamente l’avviso di accertamento senza aver prima notificato l’invito al contraddittorio.

Capitolo 6 – Definizione dell’accertamento su invito al contraddittorio

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D: L’Ufficio può decidere di emettere invito al contraddittorio per qualsiasi tipologia di controllo? R: La risposta è no. Infatti, la norma prevede che se il contribuente a cui è stato notifi-cato un processo verbale di constatazione non si avvale, nei termini previsti, della pos-sibilità della definizione di cui all’art. 5-bis del d.lgs. n. 218/1997, l’Ufficio non può rico-noscergli la possibilità di definire, con le modalità previste dall’art. 5, comma 1-bis, del-lo stesso decreto, l’eventuale invito al contraddittorio. Un’altra limitazione può riguardare, come previsto dalla circ. min. n. 4/E del 2009, l’oggetto dell’invito al contraddittorio. Invero, l’applicazione di tale istituto dovrebbe riguardare le sole fattispecie per le quali l’Ufficio ha utilizzato, servendosi di presunzioni, un metodo di accertamento analitico-induttivo o induttivo puro. Nel caso di rilievi di natura analitica, ove i riscontri siano oggettivi e non si siano utilizza-te presunzioni, non essendovi margini di incertezza e non occorrendo la collaborazione del contribuente per arrivare ad una «ricostruzione» dei ricavi o del reddito ad esso at-tribuibile, non si ravvisa la necessità di instaurare un contraddittorio.

Capitolo 7 – La conciliazione

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7. La conciliazione Giovambattista Palumbo

7.1 Profili 7.1.1 La disciplina La conciliazione giudiziale presenta rilevanti caratteri di somiglianza con l’istituto dell’accer-tamento con adesione. In entrambi i casi infatti si può addivenire a una definizione concordata delle imposte oggetto di contestazione, con riduzione però in questo caso delle sanzioni a un terzo, invece che a un quarto come nell’adesione, ricalcolate sull’ammontare risultante dalla medesima conciliazione. L’istituto della conciliazione giudiziale è disciplinato dall’art. 48 del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, in base al quale: «1. Ciascuna delle parti con l’istanza prevista dall’articolo 33, può proporre all’altra par-te la conciliazione totale o parziale della controversia. 2. La conciliazione può aver luogo solo davanti alla commissione provinciale e non oltre la prima udienza, nella quale il tentativo di conciliazione può essere esperito d’ufficio anche dalla commissione. 3. Se la conciliazione ha luogo, viene redatto apposito processo verbale nel quale sono indicate le somme dovute a titolo d’imposta, di sanzioni e di interessi. Il processo ver-bale costituisce titolo per la riscossione delle somme dovute mediante versamento di-retto in un’unica soluzione ovvero in forma rateale, in un massimo di otto rate trimestrali di pari importo, ovvero in un massimo di dodici rate trimestrali se le somme dovute su-perano i cento milioni di lire, previa prestazione di idonea garanzia mediante polizza fi-deiussoria o fideiussione bancaria. La conciliazione si perfeziona con il versamento, en-tro il termine di venti giorni dalla data di redazione del processo verbale, dell’intero im-porto dovuto ovvero della prima rata e con la prestazione della predetta garanzia sull’importo delle rate successive, comprensivo degli interessi al saggio legale calcolati con riferimento alla stessa data, e per il periodo di rateazione di detto importo aumen-tato di un anno. Per le modalità di versamento si applica l’articolo 5 del decreto del Presidente della Repubblica 28 settembre 1994, n. 592. Le predette modalità possono essere modificate con decreto del ministro delle Finanze, di concerto con il ministro del Tesoro. 3-bis. In caso di mancato pagamento anche di una sola delle rate successive, se il ga-rante non versa l’importo garantito entro trenta giorni dalla notificazione di apposito in-vito, contenente l’indicazione delle somme dovute e dei presupposti di fatto e di diritto della pretesa, il competente ufficio dell’Agenzia delle entrate provvede all’iscrizione a ruolo delle predette somme a carico del contribuente e dello stesso garante. 4. Qualora una delle parti abbia proposto la conciliazione e la stessa non abbia luogo

Capitolo 7 – La conciliazione

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nel corso della prima udienza, la commissione può assegnare un termine non superio-re a sessanta giorni, per la formazione di una proposta ai sensi del comma 5. 5. L’ufficio può, sino alla data di trattazione in camera di consiglio, ovvero fino alla di-scussione in pubblica udienza, depositare una proposta di conciliazione alla quale l’altra parte abbia previamente aderito. Se l’istanza è presentata prima della fissazione della data di trattazione, il Presidente della Commissione, se ravvisa la sussistenza dei presupposti e delle condizioni di ammissibilità, dichiara con decreto l’estinzione del giudizio. La proposta di conciliazione ed il decreto tengono luogo del processo verbale di cui al comma 3. Il decreto è comunicato alle parti ed il versamento dell’intero impor-to o della prima rata deve essere effettuato entro venti giorni dalla data della comunica-zione. Nell’ipotesi in cui la conciliazione non sia ritenuta ammissibile il presidente della commissione fissa la trattazione della controversia. Il provvedimento del presidente è depositato in segreteria entro dieci giorni dalla data di presentazione della proposta. 6. In caso di avvenuta conciliazione le sanzioni amministrative si applicano nella misura di un terzo delle somme irrogabili in rapporto dell’ammontare del tributo risultante dalla conciliazione medesima. In ogni caso la misura delle sanzioni non può essere inferiore a un terzo dei minimi edittali previsti per le violazioni più gravi relative a ciascun tributo». A norma dell’art. 13 del d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74, inoltre, il fatto che «prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado, i debiti tributari relativi ai fatti costitutivi dei delitti medesimi (contemplati nel decreto) sono stati estinti mediante pa-gamento, anche a seguito delle speciali procedure conciliative o di adesione all’accer-tamento» costituisce circostanza attenuante; il che consente che le pene previste per i delitti in questione possano essere diminuite fino alla metà e che non si applichino le pene accessorie di cui all’art. 12 dello stesso decreto. Possono formare oggetto di conciliazione tutte le controversie, purché l’accordo venga raggiunto entro il primo grado del giudizio e più precisamente entro la prima udienza di trattazione. Alcune pronunce giurisprudenziali però - vedi per tutte Cass., sez. trib., 18 aprile 2007, n. 9222 - hanno affermato che la conciliazione non è preclusa, nell’ipotesi in cui siano state tenute in precedenza alcune udienze di mero rinvio. Secondo la Corte di cassazione citata infatti «L’istituto della conciliazione giudiziale, previsto all’art. 48 del d.lgs. n. 546 del 1992, contempla due differenti iter. Una proce-dura ordinaria che si conchiude in udienza a mezzo della redazione di processo verba-le; una semplificata, caratterizzata dal raggiungimento di un accordo stragiudiziale fra il contribuente e l’Amministrazione finanziaria i cui effetti si riverberano sulle questioni og-getto della controversia. Poiché la ratio della disposizione è quella di contribuire alla de-flazione del contenzioso, deve ritenersi che la proposta conciliativa possa essere legit-timamente proposta anche successivamente alla fissazione dell’udienza di trattazione nel qual caso il potere decisorio circa la verifica e relativa pronuncia in merito è avocato al giudice tributario».

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7.1.2 La natura giuridica dell’istituto L’adesione, la conciliazione e gli altri istituti cosiddetti deflattivi del contenzioso non so-no dunque caratterizzati da natura negoziale. La natura pubblicistica di tali istituti è in-fatti comunque legata alla indisponibilità del credito tributario. L’adesione e la conciliazione, quindi, in realtà, non hanno natura transattiva, ma mirano alla «giusta» - nel senso di giusta capacità contributiva ex art. 53, Cost. - determinazio-ne, o rideterminazione, dell’obbligazione tributaria. A norma dell’art. 1966 del c.c., del resto, per poter effettuare transazioni si deve avere la capacità di disporre dei diritti che formano oggetto della lite e l’Amministrazione fi-nanziaria non dispone di tale capacità. Peraltro, tale conclusione è confermata anche dalla recente evoluzione normativa dell’isti-tuto, laddove con il nuovo strumento dell’adesione ai verbali di constatazione neppure si realizza il contraddittorio necessario al fine di poter anche solo parlare di accordo fra le parti. A differenza infatti dell’accertamento con adesione «classico» e della conciliazione giu-diziale, al contribuente è consentito in questi casi solo di accettare o non accettare i risultati della verifica, con il mero beneficio della riduzione delle sanzioni a 1/8, invece che a 1/4, oltre all’esonero dalla prestazione di garanzia, nel caso di pagamento rateale dei tributi. Gli istituti dell’accertamento con adesione e della conciliazione, quindi, non consentono in realtà un’attività discrezionale dei funzionari dell’Agenzia, rappresentando comunque istituti eccezionali, a cui poter ricorrere solo quando la pretesa non sia obiettivamente certa e sussista comunque il fondato timore che l’eventuale contenzioso potrebbe ve-dere la soccombenza dell’Amministrazione. In sostanza, l’azione amministrativa dei funzionari dell’Agenzia è in questi casi caratte-rizzata da discrezionalità tecnica «pura», laddove dunque la fase discrezionale si esau-risce nel momento del giudizio, mentre la scelta della misura migliore per l’interesse pubblico è posta in essere direttamente dalla legge. Discrezionalità tecnica, quindi, che si accompagna ad attività vincolata. Si supera in sostanza la concezione classica della discrezionalità tecnica, che veniva assimilata alla discrezionalità amministrativa, implicando anch’essa una valutazione tra diverse soluzioni possibili, anche se tale valutazione è anticipata rispetto alla fase dell’esame del fatto, ed essendo quindi insindacabile oltre i limiti dell’eccesso di potere (c.d. sindacato estrinseco). Tale superamento si era del resto già avuto con la sent. del Cons. di Stato n. 601/1999, che aveva sottolineato la differenza tra opportunità (scelta tra più opzioni per la cura dell’interesse pubblico) e opinabilità (soggettività di un giudizio tecnico sul fatto). Pertanto, in caso di discrezionalità tecnica, vi è una possibilità di verifica diretta da parte del giudice in ordine alla attendibilità delle operazioni tecniche (c.d. sindacato intrinseco).

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Siamo dunque ai limiti tra discrezionalità tecnica e accertamento tecnico, il cui risultato è predeterminato dalla legge e quindi obbligato. Anche la conciliazione, quindi, si risolve in un reciproco riconoscimento di fatti e prete-se e, lungi dal consentire la disposizione del credito tributario, agisce solo come stru-mento di ricognizione «esatta» della «giusta» pretesa tributaria. L’efficacia della conciliazione peraltro dipende anche da un terzo soggetto: il giudice. Tale elemento conferma ancora una volta e ancora di più la natura indisponibile dell’obbligazione. Al giudice è infatti rimesso un sindacato di controllo proprio in ordine alla natura non dispositiva della conciliazione, essendo egli tenuto a verificare che l’accordo tra le parti non celi una sostanziale disposizione del credito tributario e dovendo, in caso contra-rio, negare la pronuncia di «estinzione» del giudizio per cessata materia del contendere. D’altra parte, a conferma della difficoltà di inquadramento della esatta natura delle fatti-specie di adesione/conciliazione, bisogna anche dare atto che certa giurisprudenza della Corte suprema ne richiama invece la natura negoziale. Con la sent. 6 ottobre 2001, n. 12314, per esempio, i giudici di legittimità hanno espres-samente riconosciuto nella conciliazione giudiziale una «Forma di composizione convenzio-nale della lite tributaria nella sede del processo» operante «in deroga al principio più genera-le della normale indisponibilità per l’erario del credito d’imposta». Anche successivi interventi giurisprudenziali hanno confermato tale impostazione. Con la sent. 13 giugno 2006, n. 21325, per esempio, la Corte suprema, nel respingere come infondata l’impostazione dell’Amministrazione ricorrente, secondo la quale «l’istituto della conciliazione giudiziale, previsto dalla nuova disciplina del contenzioso tributario, avrebbe natura del tutto diversa da quella di diritto comune», in quanto «nella conciliazione tributaria le parti si troverebbero in posizione non paritetica [attenendo] l’oggetto della controversia … a rapporti di diritto pubblico, … non … liberamente di-sponibili», ha espressamente affermato che «la conciliazione giudiziale di cui all’art. 48 attiene all’esercizio di poteri dispositivi delle parti», essendo «concepita come una for-ma di composizione convenzionale della lite nella sede del processo»; di talché, essa, «pur nella sua indubbia specificità, costituisce un istituto deflativo di tipo negoziale». Le suddette pronunce andrebbero però allora valutate anche alla luce dei precetti co-stituzionali e in particolare alla luce degli artt. 23, 97 e 53, Cost. Interpretate in senso dispositivo, infatti, le stesse norme che hanno introdotto gli istituti che si sono analizzati sopra, potrebbero essere anche considerate incostituzionali.

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7.2 Fonti Normativa D.lgs. 10 marzo 2000, n. 74 - art. 13 D.lgs. 19 giugno 1997, n. 218 - art. 8, comma 3-bis D.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546 - art. 48 Prassi Circ. n. 9/E del 19 marzo 2012 Circ. n. 17/E del 31 marzo 2010 Circ. min. 13 aprile 2006, n. 14/E Circolare Agenzia delle dogane 4 aprile 2002, n. 26/D Circ. min. 10 luglio 1998, n. 180/E-110100 Circ. min. 8 agosto 1997, n. 235/E Ris. min. 21 marzo 1997, n. 49/E-II-3-14244 Giurisprudenza Cass. 21 dicembre 2011, n. 27979 Cass. 12 dicembre 2011, n. 26514 Cass. 25 novembre 2011, n. 24931 Cass. 4 giugno 2008, n. 14815/2008 Comm. trib. reg., Molise, Campobasso, sez. II, 21 maggio 2008, n. 39 Cass. 18 aprile 2007, n. 9222 Cass. 3 ottobre 2006, n. 21325 Cass. 20 settembre 2006, n. 20386 Cass. 6 ottobre 2001, n. 12314

7.3 Applicazioni 7.3.1 La conclusione dell’accordo conciliativo In caso di esito positivo dell’accordo conciliativo, viene redatto apposito processo ver-bale, in cui sono analiticamente indicate le somme dovute, a titolo di imposta, sanzioni e interessi, e dichiarata, con sentenza, l’estinzione della controversia. La conciliazione stragiudiziale, c.d. «fuori udienza», di cui al comma 5 dell’art. 48, d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, si attua attraverso il deposito presso la segreteria del colle-gio, dopo la data di fissazione dell’udienza di trattazione e comunque prima che questa sia stata celebrata in camera di consiglio o in pubblica udienza, di una proposta scritta dell’Ufficio, alla quale abbia aderito la controparte.

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Qualora la proposta sia stata depositata prima della fissazione dell’udienza e sussista-no i relativi presupposti di ammissibilità, il Presidente della Commissione dichiara l’estinzione del giudizio con decreto, il quale, unitamente alla proposta, sostituisce il processo verbale di cui al precedente comma 3. Dalla comunicazione del decreto alle parti decorre il termine dei venti giorni per provve-dere al pagamento in unica soluzione, ovvero al versamento della prima rata. Le somme oggetto di accordo possono infatti essere versate, oltre che in un’unica so-luzione, anche in forma rateale, in un massimo di otto rate trimestrali di pari importo ovvero, qualora le somme da versare risultino superiori a euro 51.645,69, in un massi-mo di dodici rate trimestrali. In entrambe le ipotesi, la rateazione è comunque subordinata alla prestazione di idonea garanzia mediante polizza fideiussoria o fideiussione bancaria. Dalle somme dovute a titolo di conciliazione può essere comunque detratto ciò che il contribuente ha versato a titolo di iscrizione provvisoria in pendenza di ricorso. Il versamento dell’intera somma o della prima rata, come detto, deve essere effettuato entro venti giorni dalla data di redazione del processo verbale di conciliazione, oppure, nell’ipotesi di conciliazione fuori udienza di cui al comma 5 del citato articolo 48, da quella della comunicazione del decreto presidenziale di estinzione. Si ribadisce altresì che il mancato pagamento anche di una sola rata successiva alla prima, pur non incidendo sul perfezionamento della definizione, fa venir meno il benefi-cio della dilazione del pagamento, legittimando l’Ufficio a escutere la garanzia per l’in-tero debito residuo. L’invito a versare l’intero importo ancora dovuto deve contenere tutti i presupposti di fatto e di diritto della pretesa e deve indicare: gli importi da versare e le modalità di versamento; gli estremi della polizza o della fideiussione bancaria; la durata della garanzia; gli estremi dell’atto da cui deriva la pretesa dell’Amministrazione; la scadenza e l’importo delle rate che non sono state versate. Per le modalità di versamento delle rate si applica l’articolo 5 del d.P.R. 28 settembre 1994, n. 592. Laddove invece, la parte ometta di effettuare il versamento unico ovvero, in caso di pagamento rateale, di presentare la polizza fideiussoria, l’Ufficio finanziario proporrà dunque istanza alla Commissione tributaria di prosecuzione della vertenza per mancato perfezionamento dell’efficacia della conciliazione, provvedendo, in caso di definizione stragiudiziale della controversia, a esperire reclamo al collegio avverso il decreto di e-stinzione (o appello, in caso di pronuncia con sentenza). Secondo parte della dottrina, invece, l’accordo conciliativo avrebbe efficacia estintiva tout court e pertanto il venir meno del pagamento conferirebbe all’Ufficio la potestà di iscrivere a ruolo le somme originariamente accertate. Se vi è stata infine solo conciliazione parziale, il processo continua invece per quel che riguarda la parte non conciliata.

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7.3.2 La conciliazione delle liti relative ad accertamenti a società di persone Il risultato dirompente della sentenza n. 14815/2008, emessa dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, sembra destinato a produrre effetti anche nell’ambito della conci-liazione, ex art. 48 del d.lgs. n. 546/1992, delle liti inerenti gli atti impositivi rivolti alle società di persone. In particolare, va verificato, alla luce del litisconsorzio necessario indicato dalla Corte, se un eventuale accordo conciliativo con l’Ufficio è ammissibile solo con il coinvolgi-mento di tutti i litisconsorti. In conseguenza degli effetti del litisconsorzio necessario nell’ambito degli accertamenti alle società di persone e ai soci, va ricompresa infatti la possibilità che, nella controver-sia possa intervenire (o meno) una conciliazione giudiziale non adottata da tutti i con-sorti in lite, facendo cessare la materia del contendere solo nei confronti di coloro che hanno sottoscritto l’atto. Se prima dell’indicazione fornita dalla Suprema Corte la “parcellizzazione” delle contro-versie poteva consentire la conciliazione di una lite e il prosieguo delle altre fino alla sentenza di merito, ora la sussistenza del litisconsorzio necessario cambia lo scenario processuale e pone dei dubbi interpretativi. In dottrina è stato dunque sostenuto che la conciliazione giudiziale nel litisconsorzio necessario dovrebbe coinvolgere tutti i litisconsorti. Secondo altra tesi, ad avviso di chi scrive condivisibile, invece potrebbe comunque confi-gurarsi la possibilità di una conciliazione “autonoma” da parte di uno dei contendenti. La scelta del litisconsorzio necessario non deriva del resto dalla natura del rapporto tri-butario, ma è solo il frutto della scelta di imporre il simultaneus processus, al fine di evi-tare conflitti di giudicati. Ed è quindi alla luce del simultaneus processus che va risolto il quesito in questione. La possibilità di determinazioni e scelte autonome da parte del socio e della società in ordine ad una ipotesi conciliativa, trova conferma del resto anche in una lettura siste-matica delle norme procedimentali e processuali che regolano la materia degli istituti deflativi. La disciplina dell’accertamento con adesione prevede infatti espressamente l’autonomia decisionale dei diversi soggetti. In particolare l’art. 4, comma 2, del d.lgs. 19 giugno 1997, n. 218, prescrive che l’accertamento con adesione del reddito delle società di persone sia definito con un unico atto ed in contraddittorio, incentrato sul reddito societario, con la società ed i so-ci, così superando il problema (eventuale) della diversa competenza territoriale derivan-te dal diverso domicilio fiscale tra socio e società e concentrando il contraddittorio e l’eventuale definizione del reddito innanzi l’ufficio competente per la società. Lo stesso art. 4, comma 2, disciplina poi però proprio il caso in cui all’accertamento non aderiscano tutti i soggetti interessati ed impone agli uffici impositori di procedere, nei limiti della definizione intervenuta, nei confronti dei soggetti che hanno scelto di non aderire alle conclusioni del contraddittorio.

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Pertanto, gli uffici, ognuno per la propria originaria competenza territoriale, rettificano il reddito di coloro che non hanno sottoscritto l’atto di adesione secondo le regole e le sanzioni ordinarie ed entro il termine di decadenza. È quindi evidente che il sistema di norme di cui all’accertamento con adesione è orien-tato all’autonomia dei rapporti, nei confronti dell’Amministrazione finanziaria, della so-cietà e dei singoli soci. Sarebbe quindi quanto meno anomalo applicare ad uno strumento di deflazione del contenzioso, quale la conciliazione, una disciplina diversa rispetto a quella del, prece-dente, istituto deflativo dell’accertamento con adesione. Tenuto quindi conto dell’assenza di uno specifico obbligo di notifica dell’atto unitario ai soci e della necessità di principi uniformi che regolino gli istituti deflativi del contenzio-so, la conclusione dovrebbe indirizzarsi verso il riconoscimento dell’autonomia dei soci e della società di addivenire a una conciliazione giudiziale, anche considerato che, in termini di mera convenienza economica, il “peso” della transazione conciliativa può es-sere diverso tra socio e società. Un accordo sopportabile, dal punto di vista finanziario , per la società non necessaria-mente riveste infatti lo stesso contenuto per il socio che, ad esempio, può ritenere gra-voso l’impegno economico della conciliazione e suoi effetti nella sua sfera patrimoniale (magari a causa di un’aliquota “pesante” sotto il profilo della imposizione personale). In questo caso, non sembrerebbe allora rispettosa del principio del giusto processo ex artt. 111 e 24 della Costituzione, l’imposizione al socio delle conclusioni contenute nel-la conciliazione sottoscritta dalla società. L’ammissibilità di una conciliazione da parte di uno o più litisconsorti non sembra pos-sa, quindi, pregiudicare l’esercizio della difesa da parte del socio dissenziente. Resta quindi infine da verificare se la conciliazione intervenuta vincola l’Ufficio imposito-re nella sostenibilità della pretesa tributaria. In altre parole, deve essere esaminato se il quantum sottoscritto in conciliazione dall’Ufficio impositore assume il connotato di una rinuncia alla (maggior) pretesa e-spressa dall’accertamento originario, costituendo quindi un limite nel contenzioso che prosegue nei confronti di coloro che non hanno aderito alla conciliazione. Anche in questo caso però la risposta deve essere negativa. In una pronuncia della Suprema Corte (sent. n. 21325 del 3 ottobre 2006) è stato del resto ribadito che “la conciliazione giudiziale di cui all’art. 48 attiene all’esercizio di po-teri dispositivi delle parti”, essendo “concepita come una forma di composizione con-venzionale della lite nella sede del processo”, e “pur nella sua indubbia specificità, co-stituisce un istituto deflativo di tipo negoziale”. Se quindi la conciliazione ha carattere negoziale, deve riconoscersi altresì il principio che l’atto conciliativo sia retto unicamente dalla volontà delle parti di non affrontare l’alea del giudizio e non da una forma di giustizia sostanziale, finalizzata ad una ride-terminazione dell’accertamento. Ne consegue che il quantum della convenzione tra l’ufficio impositore e un litisconsor-te, non costituendo riconoscimento della corretta imposizione ma solo una condivisa

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misura transattiva, non può incidere in alcun modo nella contesa tra lo stesso ufficio e i litisconsorti dissenzienti, chiamati a dibattere proprio sulla debenza (o meno) dell’originario tributo. 7.3.3 I limiti della conciliazione giudiziale in relazione a determinati atti impositivi Non tutte le controversie tributarie possono formare oggetto dell’accordo conciliativo. A parte naturalmente il contenzioso su cartella, con particolare riferimento al conten-zioso in materia di sanzioni, per esempio, il maggiore ostacolo alla conciliabilità di quel tipo di controversie deriva dal contenuto della legge delega (art. 3, comma 120, l. n. 662 del 1996), con cui il Parlamento ha conferito la possibilità di legiferare in materia di istituti deflativi del contenzioso. In sede di redazione del citato testo legislativo, infatti, è stato espressamente previsto che conciliazione e accertamento con adesione sarebbero stati caratterizzati da «iden-tità di materie e di cause di esclusione», con l’ovvia conseguenza che l’impossibilità di utilizzare il secondo istituto per determinate fattispecie impositive - si pensi, per esem-pio, ai rimborsi - renderebbe necessariamente inapplicabile anche il primo. Ed è proprio su questo aspetto che fa leva la dottrina prevalente al fine di negare la conciliabilità delle liti vertenti in materia di rimborsi, sanzioni e atti di riscossione. Un ulteriore elemento a sfavore della definizione transattiva della controversia sulle san-zioni deriva dall’introduzione, nell’ambito della disciplina sanzionatoria, dell’articolo 16, comma 3, del d.lgs. n. 472 del 1997, il quale, nel consentire la definizione agevolata delle sanzioni mediante il pagamento di un quarto della somma dovuta in base all’atto di contestazione, vedrebbe vanificati, o quantomeno posticipati, gli effetti premiali qua-lora si ammettesse la possibilità di addivenire a una conciliazione giudiziale in caso di impugnazione dell’atto. Inconveniente sicuramente non mitigato dal fatto che la riduzione dell’ammontare delle sanzioni conciliate (un terzo) sarebbe inferiore a quelle previste in caso di acquiescenza (un quarto). Una ulteriore limitazione della conciliabilità di alcune controversie, quelle doganali, è stata indicata nell’ambito delle istruzioni impartite dall’Agenzia delle dogane con la cir-colare 4 aprile 2002, n. 26/D. Nel predetto documento di prassi, infatti, è stata disconosciuta la possibilità di sotto-porre a conciliazione giudiziale le vertenze aventi a oggetto risorse proprie della Comu-nità europea, come individuate alla luce della decisione del Consiglio datata 29 set-tembre 2000 n. 597, vale a dire dazi della Tariffa doganale comune, dazi compensato-ri, dazi antidumping, dazi CECA, dazi e altri diritti fissati dall’Unione europea nel quadro dei negoziati multilaterali dell’Uruguay round della politica agricola comune.

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7.3.4 Scheda esempio - Proposta di conciliazione da parte del contribuente

All’Ufficio dell’Agenzia delle entrate

di ................................ Il/la sottoscritt ............................................ residente in ..................................... via ................................, codice fiscale ............................

PREMESSO - che con atto notificato a ..................................................... depositato nella segreteria della Com-missione tributaria provinciale di .................... il .................... è stato proposto ricorso avverso ........................ l’atto n. ............, notificato il .................................. a cura dell’Ufficio di ....................................; - che la relativa lite è attualmente pendente presso la Commissione tributaria provinciale di ................. .........................; - che non è stata ancora fissata la data per l’udienza di trattazione;

CHIEDE ai sensi dell’art. 48 del d.lgs. n. 546/1992 la conciliazione della presente controversia. A tal fine

PROPONE di conciliare totalmente/parzialmente la controversia nei modi seguenti: Tale richiesta è basata sulle seguenti motivazioni: ............................................................................. ........................................................................................................................................................... Luogo e data ..........................

Firma della parte

......................................

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7.3.5 Scheda esempio - Proposta di conciliazione da parte dell’Ufficio

Alla Commissione Tributaria

Provinciale di Firenze ...........................................

Prot. n.

Proposta di conciliazione ex art. 48, comma 5 del d.lgs. n. 546/1992

dell’Agenzia delle entrate – Ufficio di ......................, in persona del direttore pro tempore; Nel giudizio contro: Contribuente ...................... Atto impugnato: ......................

* * * * * * *

FATTO ............................................ Tanto premesso: vista l’alea che comunque caratterizza il contenzioso; senza che ciò costituisca riconoscimento delle eccezioni e contestazioni formulate dalla società nel ricorso,

SI PROPONE di definire la controversia ai sensi e per gli effetti dell’art. 48, d.lgs. n. 546/1992 alle condizioni indi-cate nel seguente prospetto: ...................... Da un maggior imponibile di euro ...................... si passa dunque a un maggior imponibile con-ciliato di euro ....................... Le imposte definite e le relative sanzioni (con abbattimento a 1/3) risultano dunque le seguenti: ............................................ La parte firma per adesione.

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7.4 Effetti 7.4.1 Il pagamento Condizione indispensabile per il perfezionamento dell’accordo conciliativo è il paga-mento, nel termine prescritto, delle somme dovute in relazione all’accordo stesso. Con il d.lgs. n. 218/1997 è stato disposto che tali somme possono essere versate, ol-tre che in un’unica soluzione, anche in forma rateale analogamente a quanto previsto per l’accertamento con adesione. Il versamento dell’intera somma o della prima rata deve essere effettuato entro venti giorni dalla data di redazione del processo verbale di conciliazione, oppure, nell’ipotesi di conciliazione fuori udienza (art. 48, comma 5, d.lgs. n. 546/1992), da quella della comunicazione del decreto presidenziale di estinzione. Se il pagamento avviene in forma rateale, sugli importi delle rate successive alla prima sono dovuti gli interessi al saggio legale, calcolati dal giorno successivo a quello di re-dazione del processo verbale di conciliazione o a quello di comunicazione del decreto presidenziale di estinzione del giudizio, e fino alla data di scadenza di ciascuna rata. Nell’ipotesi di conciliazione in udienza, disciplinata dal comma 3 dell’art. 48, gli Uffici avranno dunque cura di informare il contribuente che, per l’estinzione del giudizio, si rende necessaria la tempestiva consegna di copia dell’attestazione del versamento eseguito (intero importo, ovvero prima rata) unitamente alla garanzia prestata. Sulla base di tale documentazione l’Ufficio verificherà infatti la regolarità del versamento e della garanzia e avrà inoltre cura di depositare copia della documentazione medesi-ma presso la segreteria della Commissione tributaria competente. Nei casi di mancato o insufficiente pagamento della prima o unica rata, nonché di mancata prestazione dell’idonea garanzia nell’ipotesi di rateizzazione, l’Ufficio dovrà inoltre informare di tali inadempimenti anche il giudice tributario, affinché questi decida in ordine alla prosecuzione del giudizio. Nell’ipotesi di conciliazione fuori udienza, il comma 5 dell’art. 48 citato prevede invece che la dichiarazione di estinzione del giudizio sia disposta con decreto del Presidente della Commissione, previa verifica della sussistenza dei presupposti e delle condizioni di ammissibilità dell’accordo conciliativo. Detta dichiarazione interviene precedente-mente al pagamento delle somme dovute per il perfezionamento dell’accordo stesso e alla prestazione dell’eventuale garanzia. Il comma 3-bis dell’art. 8 del d.lgs. 19 giugno 1997, n. 218 e l’art. 48 del d.Lgs n. 546/1992, in caso di mancato pagamento, prevedono comunque l’iscrizione a ruolo delle rate, successive alla prima, non versate né dal contribuente né dal suo garante. L’Ufficio, infatti, «in caso di mancato pagamento anche di una sola delle rate successi-ve, se il garante non versa l’importo garantito entro trenta giorni dalla notificazione di apposito invito, contenente l’indicazione delle somme dovute e dei presupposti di fatto e di diritto della pretesa ...», iscrive a ruolo le somme ancora dovute a carico sia del contribuente sia del garante.

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Il mancato pagamento anche di una sola rata successiva alla prima, pur non incidendo sul perfezionamento della definizione, fa venir meno dunque il beneficio della dilazione del pagamento, legittimando l’Ufficio a escutere la garanzia per l’intero debito residuo. La Cassazione, con la sent. 20 settembre 2006, n. 20386, ha infatti statuito che se il contribuente paga solo una rata del tributo conciliato, l’Amministrazione finanziaria non può considerare inefficace tale accordo e pretendere, di conseguenza, l’imposta intera. La conciliazione dunque resta valida a tutti gli effetti, anche se viene a mancare l’adempimen-to spontaneo di quanto concordato. La conciliazione costituisce quindi titolo per la riscossione delle somme negoziate e dovute dal contribuente. Gli effetti della conciliazione sono pertanto di natura sostanziale e processuale, in quanto estinguono il giudizio senza possibilità che il medesimo possa tornare in vita, stante la intangibilità dell’atto negoziale di conciliazione. 7.4.2 Rifiuto della conciliazione e refusione delle spese di lite La prosecuzione della lite è un fatto addebitabile anche alla condotta di chi non ha aderito alla conciliazione ignorando le legittime pretese altrui e tenendo “in vita” la lite. La Direzione centrale normativa e contenzioso dell’Agenzia delle Entrate, nella circ. n. 17/E del 31 marzo 2010, anticipando l’impostazione poi adottata con l’istituto della mediazione (vedi capitolo 10) ha riconosciuto l’applicabilità nel processo tributario del nuovo art. 91 del codice di procedura civile e ha raccomandato agli uffici periferici di adottare dei comportamenti conformi a tale determinazione. Esclusa l’ipotesi che non comporta alcuna problematica, ossia quella della conciliazio-ne “preconcordata” (così definita dalla Suprema Corte nella sent. n. 9223 del 18 aprile 2007) di cui al comma 5 dell’art. 48 del d.lgs. n. 546/1992, regolante il deposito da parte dell’Ufficio di una proposta alla quale l’altra parte abbia previamente aderito (e peraltro di gran lunga la forma di conciliazione più frequente) resta da esaminare la forma della proposta interlocutoria, cioè di quella che è indirizzata alla controparte in attesa che la stessa scelga se aderirvi o meno. In particolare ai sensi del comma 1 “ciascuna delle parti con l’istanza prevista dall’articolo 33, può proporre all’altra parte la conciliazione totale o parziale della con-troversia”. La norma tace sulla forma del rifiuto. Certamente però la parte, destinataria della proposta ha tutto l’interesse a esternare un rifiuto in forma scritta destinato alla piena cognizione del giudice, a maggior ragione, quando esso appare “giustificato”. Infatti, a fronte di una espressa proposta di conciliazione, il silenzio non può che corri-spondere ad un rifiuto tacito e la carenza di giustificazione che inevitabilmente accom-pagnerebbe tale soluzione deporrebbe per la condanna di cui all’art. 91 del codice di procedura civile.

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Il comma 2 del citato art. 48 del d.lgs. n. 546/1992 indica del resto anche la possibilità, in capo alla commissione adìta, di esperire d’ufficio il tentativo di conciliazione. Qualora dunque la Commissione ritenesse ingiustificata l’assoluta indisponibilità di una parte al tentativo di conciliazione, avanzato dallo stesso collegio, sembrerebbe ipotizzabi-le una valutazione della condanna, in tema di spese, ai sensi dell’art. 96, comma 3, anzi-ché dell’art. 91 del codice di procedura civile, non potendo il giudice intervenire nel meri-to della causa prima della decisione, dovendo mantenere la sua posizione di terzietà. In ogni caso, la condanna alla refusione delle spese ex art. 91 del codice di procedura civile comporta un preliminare vaglio del giudice sulla giustificabilità (o meno) del rifiuto a seguito della proposta avanzata da una delle parti. Sorge quindi la necessità di individuare quali possano essere le ipotesi di “giustificato motivo”. Una sommaria elencazione può essere rintracciata nell’ambito di quelle casistiche che, in passato, erano state indicate espressamente dai giudici come “giusto motivo” per la compensazione delle spese. Tra queste elaborazioni giurisprudenziali vanno ricordate: l’obiettiva controvertibilità del-le questioni di diritto trattate (Cass. nn. 340/1976, 2885/1979), la loro peculiarità e la loro novità (Cass. n. 2299/1978), il fatto che, essendo stata accolta la domanda della parte per effetto di ius superveniens, si sia determinata cessazione della materia del contendere (Cass. n. 1522/1975), la dichiarazione di incostituzionalità di una norma in pendenza del processo (Cass. n. 1379/1971), il fatto che la causa verta su leggi recenti (Pret. Roma 9 dicembre 1974). Il responso più recente, che meglio racchiude e descrive i presupposti per la compen-sazione delle spese, è comunque quello contenuto nella sent. 30 luglio 2008, n. 20598 emessa dalle sezioni unite della Corte di Cassazione. Tale decisione indica una variegata serie di ragioni utili a determinare la conclusione suindicata in coincidenza di: 1) oscillazioni giurisprudenziali sulla questione decisiva; 2) oggettive difficoltà di accertamenti in fatto sulla esatta conoscibilità a priori delle ri-

spettive ragioni delle parti; 3) una palese sproporzione tra l’interesse concreto realizzato dalla parte vittoriosa e il

costo delle attività processuali richieste; 4) un comportamento processuale ingiustificatamente restio a proposte conciliative

plausibili in relazione alle concrete risultanze processuali. Per l’Amministrazione finanziaria, comunque, le ipotesi, configuranti il “giusto motivo”, saranno ben più numerose di quelle del contribuente. Tale conclusione nasce dal fatto che il collegamento tra l’art. 1966 del codice civile (“Per transigere le parti devono avere la capacità di disporre dei diritti che formano og-getto della lite. La transazione è nulla se tali diritti, per loro natura o per espressa di-sposizione di legge, sono sottratti alla disciplina delle parti”) e il principio di indisponibili-tà dell’obbligazione tributaria, implicito nell’art. 53 della Costituzione, impone agli enti impositori di non poter disporre a proprio piacimento dell’obbligazione tributaria.

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Per fare un esempio concreto, un “giustificato motivo” di rifiuto, da parte dell’Ufficio convenuto in giudizio, meglio si potrebbe prefigurare nelle ipotesi di liti concernenti un mancato rimborso rispetto a quelle relative a studio di settore, perché in questo se-condo caso l’imposizione è conseguenza di uno strumento presuntivo per sua natura non oggettivo e non certo nel suo presupposto impositivo.

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8. Ristrutturazione dei debiti e transazione fiscale Giovambattista Palumbo

8.1 Profili 8.1.1 Premessa La disciplina delle procedure concorsuali applicabili alle imprese in crisi, già contenuta nel r.d. 16 marzo 1942, n. 267, è stata più volte modificata grazie a vari provvedimenti legislativi che si sono succeduti nel tempo. In particolare, il d.l. 14 marzo 2005, n. 35, convertito, con modificazioni, dalla l. 14 maggio 2005, n. 80, ha apportato alcune modifiche in materia di revocatoria fallimenta-re e di concordato preventivo, introducendo, nella legge fallimentare (d’ora in avanti L.F.), l’art. 182-bis, in tema di accordi di ristrutturazione dei debiti. Per ultimo è stato emanato il d.lgs. 12 settembre 2007, n. 169, in vigore dal 1° gennaio 2008. Tra i principali obiettivi perseguiti dal legislatore vi è dunque quello di consentire e age-volare una composizione concordata della crisi, per mezzo di accordi negoziali. In tale contesto, l’istituto della transazione fiscale costituisce una particolare procedura «transattivi» tra il Fisco e il contribuente, esperibile in sede di concordato preventivo. 8.1.2 Gli accordi di ristrutturazione dei debiti Il d.lgs. n. 169 del 2007 ha quindi modificato il citato art. 182-bis L.F. La nuova norma è entrata in vigore il 1° gennaio 2008 e si applica quindi alle sole pro-cedure concorsuali aperte successivamente a tale data. Il primo comma dell’art. 182-bis L.F. prevede che l’imprenditore in crisi può domanda-re, depositando la documentazione richiesta dall’art. 161 L.F.1, «l’omologazione di un

- - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - 1 Per completezza si riporta il testo dell’art. 161 L.F., rubricato «Domanda di concordato»: [1] La domanda per l’ammissione alla procedura di concordato preventivo è proposta con ricorso, sotto-

scritto dal debitore, al tribunale del luogo in cui l’impresa ha la propria sede principale; il trasferimento della stessa intervenuto nell’anno antecedente al deposito del ricorso non rileva ai fini della individuazione della competenza.

[2] Il debitore deve presentare con il ricorso: a) una aggiornata relazione sulla situazione patrimoniale, economica e finanziaria dell’impresa; b) uno stato analitico ed estimativo delle attività e l’elenco nominativo dei creditori, con l’indicazione dei

rispettivi crediti e delle cause di prelazione; c) l’elenco dei titolari dei diritti reali o personali su beni di proprietà o in possesso del debitore; d) il valore dei beni e i creditori particolari degli eventuali soci illimitatamente responsabili. [3] Il piano e la documentazione di cui ai commi precedenti devono essere accompagnati dalla relazione

di un professionista in possesso dei requisiti di cui all’articolo 67, terzo comma, lettera d), che attesti la veridicità dei dati aziendali e la fattibilità del piano medesimo.

[4] Per la società la domanda deve essere approvata e sottoscritta a norma dell’articolo 152. [5] La domanda di concordato è comunicata al pubblico ministero.

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accordo di ristrutturazione dei debiti stipulato con i creditori rappresentanti almeno il sessanta per cento dei crediti, unitamente ad una relazione redatta da un professioni-sta in possesso dei requisiti di cui all’art. 67, terzo comma, lettera d) sull’attuabilità dell’accordo stesso, con particolare riferimento alla sua idoneità ad assicurare il regola-re pagamento dei creditori estranei». Si tratta dunque di una procedura semplificata, a carattere stragiudiziale, sfociante in un accordo, stipulato dal debitore con i creditori rappresentanti almeno il sessanta per cento dei crediti, la cui efficacia è garantita dal provvedimento di omologazione del Tribunale. Più specificamente, gli accordi di ristrutturazione sono caratterizzati da due fasi: 1) la prima, a carattere stragiudiziale, nella quale il debitore e i creditori pervengono a

un accordo sul risanamento dell’impresa mediante un regolamento consensuale della situazione debitoria;

2) la seconda, a carattere giudiziale, nella quale l’accordo raggiunto, pubblicato nel registro delle imprese al fine di consentire la formulazione di eventuali opposizioni, è soggetto alla procedura di omologazione.

La percentuale minima del sessanta per cento dei crediti, che rappresenta una condi-zione necessaria per la stipula dell’accordo di ristrutturazione dei debiti, va calcolata sull’intera esposizione debitoria dell’imprenditore, compresi quindi i crediti garantiti da diritto di prelazione, e si riferisce non al numero dei creditori, ma alla complessiva entità dei crediti. Il terzo comma del nuovo art. 182-bis L.F. stabilisce inoltre, nelle more del procedimento di omologazione e comunque per sessanta giorni dalla pubblicazione dell’accordo, la so-spensione automatica degli atti esecutivi e delle azioni cautelari sul patrimonio del debitore. Gli effetti fiscali degli accordi di ristrutturazione Quanto agli effetti fiscali degli accordi di ristrutturazione, la circ. 13 marzo 2009, n. 8/E dell’Agenzia delle Entrate, al par. 4.2, aveva precisato che l’accordo di ristrutturazione dei debiti, di cui all’art. 182-bis del r.d. n. 267/1942, non comportava per il debitore l’assoggettamento ad una procedura concorsuale, requisito richiesto dall’art. 101, comma 5, secondo periodo, del Tuir, per la deducibilità immediata della perdita su crediti. Più precisamente, secondo l’Amministrazione finanziaria, l’art. 182-bis della legge falli-mentare (r.d. 16 marzo 1942, n. 267) era finalizzato a valorizzare il ruolo dell’autonomia privata nella gestione della crisi dell’impresa, mediante ricorso a una procedura sempli-ficata avente carattere stragiudiziale che culmina con un accordo il quale diviene effica-ce a seguito del provvedimento di omologazione da parte del Tribunale (in tal senso si era espressa anche la circ. dell’Agenzia delle Entrate n. 40/E del 18 aprile 2008). Pertanto non sarebbe stato possibile dedurre immediatamente le perdite sui crediti come previsto dall’art. 101, comma 5, del Tuir, che prende (rectius, come vedremo di seguito: prendeva) in considerazione, in particolare, le procedure concorsuali ordinarie,

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vale a dire il fallimento, la liquidazione coatta amministrativa, il concordato preventivo e la procedura di amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi. Ne conseguiva che in questi casi la perdita su crediti era deducibile solo se risultava da elementi certi e precisi. D’altro canto, secondo quanto stabilito dall’art. 88, comma 4, del Tuir, la riduzione dei debiti dell’impresa in sede di concordato preventivo o di concordato fallimentare, per effetto della cosiddetta falcidia concordataria, non si considera sopravvenienza attiva tassabile. Gli accordi di ristrutturazione dei debiti, secondo la stessa ratio, rimanevano allora e-sclusi anche dal suddetto ambito normativo e, quindi, non potevano beneficiare dell’esenzione da tassazione delle sopravvenienze attive originate dalla riduzione dei debiti. Nel caso di accordi di ristrutturazione, pertanto, la sopravvenienza attiva derivante dalla riduzione dei debiti dell’impresa concorreva a formare il reddito nell’esercizio di compe-tenza ai fini Irpef/Ires. I commi 4 e 5 dell’art. 33 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83 hanno però poi risolto (in sen-so contrario alla originaria interpretazione dell’Agenzia) ogni dubbio sul trattamento fi-scale sia nel bilancio del debitore, sia nel bilancio del creditore. Tra le procedure concorsuali previste dall’art. 101, comma 5, del Tuir, rientrano dun-que ora: 1) la sentenza dichiarativa del fallimento; 2) il provvedimento che ordina la liquidazione coatta amministrativa; 3) il decreto di ammissione alla procedura di concordato preventivo; 4) il decreto che dispone la procedura di amministrazione straordinaria 5) delle grandi imprese in crisi; 6) e il decreto di omologazione dell’accordo di ristrutturazione dei debiti. Dato dunque che l’accordo di ristrutturazione dei debiti rientra tra le procedure concor-suali previste dall’art. 101, comma 5, del Tuir, ne segue che nel bilancio del debitore la sopravvenienza attiva derivante dalla riduzione dei debiti non concorre a formare il red-dito imponibile, essendo inclusa nell’esenzione prevista dall’art. 88, comma 4, del Tuir. Dall’altra parte, nei bilanci dei creditori, la perdita su crediti è deducibile secondo la re-gola delle procedure concorsuali. L’accordo di ristrutturazione dei debiti è stato quindi espressamente incluso nelle pro-cedure concorsuali dal comma 5 dell’art. 33 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83. La relativa perdita viene dunque dedotta integralmente alla data del decreto del Tribu-nale di omologazione dell’accordo di ristrutturazione, superando pertanto l’orientamento dell’Agenzia delle Entrate, la quale, come visto, aveva giudicato tale ac-cordo non rientrante tra le procedure concorsuali previste dall’art. 101, comma 5, del Tuir (circ. 13 marzo 2009, n. 8). Sotto il profilo della sopravvenienza attiva, in particolare, nel caso in cui l’accordo di transazione preveda la parziale remissione del debito, come detto, nel bilancio del de-

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bitore deve essere contabilizzata una sopravvenienza attiva corrispondente alla ridu-zione del debito. A tale sopravvenienza attiva, secondo il comma 4 dell’art. 33 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, si applica dunque la nuova disposizione legislativa che dispone quanto segue: la riduzione dei debiti dell’impresa non costituisce sopravvenienza attiva per la parte che eccede le perdite, pregresse e di periodo, di cui all’art. 84. Esempio Sopravvenienza attiva 5.000 meno: Perdita di periodo (ad esempio, 2012) (1.500) Perdite pregresse (ad esempio, 2009 - 2010) (2.500) ________________________________________ Eccedenza non imponibile 1.000 ================================== Qualora le perdite, pregresse o di periodo, fossero superiori alla sopravvenienza attiva, tali perdite sarebbero utilizzate solamente per la parte che eccede la sopravvenienza attiva. 8.1.3 Transazione fiscale L’istituto della transazione fiscale è disciplinato invece dall’art. 182-ter L.F., come mo-dificato dall’art. 16, comma 5, del d.lgs. n. 169 del 2007. La transazione fiscale rappresenta una particolare procedura «transattiva» tra Fisco e contribuente, collocata nell’ambito del concordato preventivo e degli accordi di ristrut-turazione, avente a oggetto la possibilità di pagamento in misura ridotta e/o dilazionata del credito tributario privilegiato, oltre che di quello chirografario. L’istituto della transazione, tipico del diritto civile (art. 1965 c.c.), rappresenta del resto un’assoluta novità nell’ordinamento tributario, dove è tradizionalmente vigente il princi-pio di indisponibilità del credito tributario (con i limiti già evidenziati in tema di accerta-mento con adesione e conciliazione). La ratio che giustifica il ricorso allo strumento transattivo, a differenza degli altri istituti defla-tivi già evidenziati negli altri capitoli, si lega essenzialmente in questi casi all’esigenza di rag-giungere una composizione concordata della crisi, evitando così, per quanto possibile, il dissesto irreversibile dell’imprenditore commerciale, e così anche la perdita definitiva delle possibilità di riscossione del credito.

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In tale ottica, mentre l’art. 3, comma 3, del d.l. n. 138 del 20022 attribuiva l’iniziativa della transazione all’Agenzia delle entrate - «L’Agenzia delle entrate, dopo l’inizio dell’esecuzione coattiva, può procedere alla transazione dei tributi iscritti a ruolo dai propri uffici …» -, l’art. 182-ter L.F. stabilisce invece, ai commi primo e sesto, che la proposta di transazione fiscale può essere presentata dal debitore «Con il piano [di concordato preventivo] di cui all’art. 160», ovvero «nell’ambito delle trattative che pre-cedono la stipula dell’accordo di ristrutturazione di cui all’art. 182-bis». Ne consegue quindi che, attualmente, la proposta di transazione non può essere pre-sentata dagli Uffici finanziari, ma esclusivamente dal debitore. L’art. 182-ter, primo comma, L.F., stabilisce quindi che «il debitore può proporre il pa-gamento, anche parziale, dei tributi amministrati dalle agenzie fiscali e dei relativi ac-cessori, … , ad eccezione dei tributi costituenti risorse proprie dell’Unione europea». Ne consegue che restano esclusi dall’ambito applicativo della disposizione in commen-to i tributi locali, ad esempio, Ici, Tarsu, Tosap, imposta sulle pubblicità e diritto sulle pubbliche affissioni. Con riferimento all’IRAP, invece, tale imposta deve essere ricompresa nell’ambito ap-plicativo della transazione fiscale, in quanto, pur dando luogo a un gettito non erariale, essa è comunque amministrata dall’Agenzia delle entrate. Infine, l’art. 182-ter esclude espressamente dalla transazione fiscale i «tributi costituenti risorse proprie dell’Unione europea». Per quanto concerne l’Iva, si osserva infine che «in applicazione della decisione 2000/597/CE, Euratom del Consiglio, del 29 settembre 2000, relativa al sistema delle risorse proprie delle Comunità europee, il bilancio delle Comunità europee, salvo altre entrate, è integralmente finanziato da risorse proprie delle Comunità. Dette risorse comprendono, tra l’altro, quelle provenienti dall’Iva, ottenute applicando un’aliquota comune ad una base imponibile determinata in modo uniforme e secondo regole co-munitarie» (ottavo considerando della Direttiva CEE del 28 novembre 2006, n. 112). L’Iva è dunque esclusa dalle transazioni fiscali e il relativo debito dovrà essere comun-que interamente assolto dal contribuente. È comunque escussa solo l’imposta; gli accessori relativi all’Iva, vale a dire gli interessi e le sanzioni possono pertanto formare oggetto di transazione fiscale. Su tali questioni è comunque poi ancora intervenuto il legislatore, che con l’art. 32, comma 5, del d.l. 29 novembre 2008, n. 185 ha nuovamente modificato l’art. 182-ter in più parti, stabilendo, tra l’altro, espressamente, che la proposta di transazione fiscale può prevedere esclusivamente la dilazione del pagamento Iva.

- - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - 2 Decreto legge 8 luglio 2002, n. 138 (Gazzetta Ufficiale - serie generale - 8 luglio 2002, n. 158), coordina-

to con la legge di conversione 8 agosto 2002, n. 178, recante: «Interventi urgenti in materia tributaria, di privatizzazioni, di contenimento della spesa farmaceutica e per il sostegno dell’economia anche nelle a-ree svantaggiate».

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L’art. 32, comma 5, lett. a) del decreto citato ha infatti modificato il primo comma del citato art. 182-ter L.F., il quale quindi attualmente dispone che, «con riguardo all’imposta sul valore aggiunto, la proposta [di transazione fiscale, NdA] può prevedere esclusivamente la dilazione del pagamento ». Per effetto di tale modifica legislativa il debitore può dunque prevedere il pagamento dilazionato dell’Iva anche nell’ambito di una procedura di concordato preventivo in cor-so alla data del 29 novembre 2008 (data di entrata in vigore del d.l. n. 185/2008). A tal fine occorre tuttavia la presentazione, da parte del debitore, di una nuova propo-sta di transazione fiscale, anche mediante integrazione della domanda precedente-mente presentata. In proposito si osserva che il secondo comma dell’art. 175 L.F., inserito dall’art. 15 del d.lgs. n. 169 del 2007, stabilisce che «la proposta di concordato non può più essere modificata dopo l’inizio delle operazioni di voto». Ciò comporta quindi che la modifica normativa in commento non può trovare applica-zione oltre il termine individuato dal citato art. 175 L.F. La possibilità per il debitore di proporre un pagamento dilazionato dell’Iva trova appli-cazione anche nell’ambito delle trattative per accordo di ristrutturazione debiti, di cui all’art. 182-bis, in corso alla data del 29 novembre 2008. Con la circ. min. 10 aprile 2009, n. 14, l’Agenzia ha peraltro confermato l’impossibilità di proporre la riduzione dell’Iva, ammettendo però che le imprese in crisi possano pre-sentare comunque una domanda di transazione fiscale per l’Iva, anche se limitata alla mera possibilità di ottenerne una dilazione di pagamento. La medesima circolare ha inoltre confermato anche l’estensione della procedura ai crediti contributivi amministrati dagli enti previdenziali e assistenziali, sebbene precisi che, in riferimento all’applicazione dell’istituto a tali contributi, è necessario differenziare le due procedure. Si tratta, infatti, di due tipologie di crediti che hanno una diversa re-golamentazione giuridica - ente creditore, causa del credito, interesse tutelato, giurisdi-zione competente, eccetera - e quindi, posizione giuridica e interessi economici non omogenei. 8.1.4 La transigibilità dei contributi previdenziali ed assistenziali Mentre nel testo iniziale dell’art. 182-ter la transazione fiscale era riservata ai “tributi”, a seguito delle modifiche apportate dal d.l. n. 185 del 2008 l’ambito oggettivo di applica-zione dell’istituto è stato allargato ai “contributi amministrati dagli enti gestori di forme di previdenza e assistenza obbligatorie”. La novella normativa è essenzialmente diretta a consentire la fruizione della transazione fiscale anche con riferimento alle somme dovute dall’impresa in stato di crisi a titolo di contributo previdenziale o assistenziale ad Enti quali l’INPS, bilanciando così parzial-mente la restrizione dell’ambito oggettivo operata precludendo la possibilità di abbatte-re i debiti riferiti all’imposta sul valore aggiunto, fermo restando che, invece, con riferi-mento alle ritenute operate e non versate, la proposta di transazione, come per l’Iva,

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potrà prevedere esclusivamente la dilazione del pagamento (oltre all’abbattimento degli interessi e delle sanzioni). Le modalità di applicazione della transazione fiscale in ambito contributivo è poi preci-sato dal d.m. 4 agosto 2009, in forza del quale la proposta deve prevedere il paga-mento integrale per quanto riguarda i crediti privilegiati di cui al n. 1) del primo comma dell’art. 2778 c.c. (cioè i crediti per contributi ad istituti, enti o fondi speciali, compresi quelli sostitutivi o integrativi, che gestiscono forme di assicurazione obbligatoria per l’invalidità, la vecchiaia ed i superstiti) e per i crediti per premi. Per i crediti privilegiati di cui al n. 8) del primo comma dell’art. 2778 c.c. [cioè i crediti per contributi dovuti ad istituti ed enti per forme di tutela previdenziale e assistenziale diverse da quelle obbligatorie, nonché gli accessori, limitatamente al cinquanta per cento del loro ammontare, relativi a questi ultimi crediti ed a quelli di cui al precedente n. 1)] la proposta del contribuente deve essere invece non inferiore al quaranta per cento; per i crediti di natura chirografaria, infine, non può essere inferiore al trenta per cento. Diversamente da quanto accade con riferimento ai tributi, dunque, in ambito contributi-vo sono stati fissati dei livelli massimi per gli abbattimenti concedibili in sede di transa-zione ex art. 182-ter. Quanto alla dilazione di pagamento essa non può essere superiore a sessanta rate mensili con applicazione degli interessi al tasso legale. Giova infine evidenziare che il richiamo indistinto a tutti i “contributi amministrati dagli enti gestori di forme di previdenza e assistenza obbligatorie”, deve far ritenere poten-zialmente transigibili anche le somme dovute agli Enti di previdenza diversi dall’INPS, quali, ad esempio, l’ENPALS, l’ENASARCO e l’IPSEMA. 8.1.5 Gli “accessori” In base all’art. 182-ter, nell’ambito della transazione fiscale, oltre ai tributi e contributi sin qui individuati, rientrano altresì i “relativi accessori”, laddove tra gli accessori rientra-no gli interessi, in quanto trattasi di somme strettamente correlate al (e computate sul) tributo o contributo, al fine di “aggiornarne” il valore in funzione del decorso del tempo. Anche le sanzioni, del resto, dovrebbero considerarsi “accessori” del tributo o contri-buto, in quanto tendenzialmente connesse, oltre che commisurate, ad un tributo o contributo. Del resto, una volta riconosciuta la possibilità di transigere i tributi ed i contributi, la ne-cessità di rideterminare le sanzioni dovrebbe rappresentare una conseguenza logica, al pari di quanto avviene in istituti quali l’accertamento con adesione e la conciliazione. Sennonché, mentre in detti istituti la modalità di rideterminazione delle sanzioni è e-spressamente prevista dal legislatore, nell’ambito della transazione fiscale non è previ-sto alcunché.

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8.1.6 La percentuale, i tempi di pagamento e le eventuali garanzie Dal dettato normativo emerge che anche “la percentuale, i tempi di pagamento e le eventuali garanzie” sono oggetto della transazione fiscale. L’art. 182-ter fissa i limiti quantitativi della transazione fiscale stabilendo che se il credi-to tributario e contributivo è assistito da privilegio “la percentuale, i tempi di pagamento e le eventuali garanzie non possono essere inferiori a quelli offerti ai creditori che hanno un grado di privilegio inferiore o a quelli che hanno una posizione giuridica ed interessi economici omogenei a quelli delle agenzie e degli enti gestori di forme di previdenza e assistenza obbligatorie”. Se il credito tributario e contributivo ha natura chirografaria, invece, il trattamento non può essere differenziato rispetto a quello degli altri creditori chirografari ovvero, nel caso di sud-divisione in classi, dei creditori rispetto ai quali è previsto un trattamento più favorevole. In sede di predisposizione della proposta di transazione fiscale, dunque, il contribuente dovrà rispettare il criterio fissato dal legislatore, che si risolve, in sostanza, in un divieto di discriminare in peius l’Erario e gli Enti previdenziali ed assistenziali rispetto agli altri creditori con privilegi analoghi o inferiori. Nel caso in cui la transazione riguardi anche contributi, inoltre, si dovrà tenere conto delle sopra descritte percentuali minime stabili-te dal d.m. 4 agosto 2009. Quanto ai “tempi di pagamento”, si deve ritenere che sia possibile prevedere una dila-zione di pagamento. In tal caso, in linea con quanto avviene nell’ambito di altri istituti, è verosimile che sarà richiesto, da un lato, il pagamento degli interessi e, dall’altro lato, la prestazione di ido-nee garanzie, tant’è che lo stesso art. 182-ter richiama, proprio di seguito alla defini-zione dei tempi di pagamento, le “eventuali garanzie”. 8.2 Fonti Normativa D.l. 29 novembre 2008, n. 185 - art. 32, comma 5 D.lgs. 12 settembre 2007, n. 169 L. 14 maggio 2005, n. 80 D.l. 14 marzo 2005, n. 35 Cod. civ. - artt. 1965, 2741, 2746 R.d. 16 marzo 1942, n. 267 (L.F.) – artt. 160, 161, 182-bis, 182-ter Prassi Circ. 13 marzo 2009, n. 8/E Ris. min. 5 gennaio 2009, n. 3/E Circ. min. 18 aprile 2008, n. 40/E

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Giurisprudenza Tribunale di Perugia, sentenza del 16 luglio 2012 Cassazione Civile, sez. I, sentenza n. 7907 del 18 maggio 2012 Cassazione Civile, sez. V, sentenza n. 7667 del 16 maggio 2012 Cassazione Civile, sez. V, sentenza n. 2196 del 16 febbraio 2012 Cassazione Civile, sez. III, sentenza n. 947 del 24 gennaio 2012 Tribunale di Brescia, sez. fall., decreto, 22 febbraio 2006 Tribunale di Milano, sez. II civ, decreto, 13 dicembre 2007 (ud. del 25 ottobre 2007), n.

13728 8.3 Applicazioni 8.3.1 Presentazione della proposta di transazione Al fine di consentire il consolidamento del debito fiscale, il secondo comma dell’art. 182-ter L.F. prevede che «copia della domanda e della relativa documentazione, con-testualmente al deposito presso il tribunale, deve essere presentata al competente concessionario del servizio nazionale della riscossione e all’ufficio competente sulla ba-se dell’ultimo domicilio fiscale del debitore, unitamente alla copia delle dichiarazioni fi-scali per le quali non è pervenuto l’esito dei controlli automatici nonché delle dichiara-zioni integrative relative al periodo sino alla data di presentazione della domanda». Il debitore, pertanto, contestualmente al deposito presso il Tribunale, deve presentare copia della domanda di transazione all’Ufficio competente sulla base dell’ultimo domi-cilio fiscale, nonché al competente agente della riscossione. Considerato che la transazione fiscale può essere proposta con il piano di cui all’art. 160 L.F., la domanda deve essere corredata della relativa documentazione, inclusa quella prevista dall’art. 161 L.F., nonché da copia delle dichiarazioni fiscali per le quali non è pervenuto l’esito dei controlli automatici e delle dichiarazioni integrative relative al periodo sino alla data di presentazione della domanda stessa. La presentazione di copia della domanda debitamente documentata, sia al competen-te agente della riscossione sia al competente ufficio dell’Agenzia delle entrate, costitui-sce pertanto un onere il cui assolvimento rileva come requisito di ammissibilità della transazione fiscale. La domanda di transazione fiscale, redatta su carta semplice e indirizzata al competen-te ufficio dell’Agenzia delle entrate, deve contenere, oltre agli allegati richiesti dalla leg-ge, almeno: le indicazioni complete del contribuente che richiede la transazione (denominazione

o nome, codice fiscale, rappresentante legale, ecc.); se del caso, gli elementi identificativi della procedura di concordato preventivo in

corso (indicazione degli organi giudiziari competenti, dati identificativi del procedi-mento, del decreto di ammissione ecc.);

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la completa ed esauriente ricostruzione della posizione fiscale del contribuente, così come a lui nota, con indicazione di eventuali contenziosi pendenti;

l’illustrazione della proposta di transazione, con indicazione dei tempi, delle modali-tà e delle garanzie prestate per il pagamento, tenendo conto di tutti gli elementi utili per un giudizio di fattibilità e convenienza della transazione;

l’indicazione, anche sommaria, del contenuto del piano concordatario. Il piano an-drà comunque allegato alla domanda di transazione, con tutta la documentazione relativa, prevista dagli artt. 160 e ss. L.F.

8.3.2 Consolidamento del debito fiscale Entro il termine di trenta giorni dalla presentazione della domanda di transazione, l’Ufficio, previa verifica del rispetto dei requisiti posti dalla legge per l’ammissibilità della proposta di transazione, dovrà provvedere, qualora ne ricorrano i presupposti, ai ne-cessari adempimenti connessi con l’attività di controllo: liquidazione tributi risultanti dalle dichiarazioni; notifica delle relative comunicazioni di irregolarità; notifica avvisi di accertamento. Prima che sia decorso il medesimo termine di trenta giorni, l’Ufficio dovrà quindi predi-sporre e trasmettere al debitore una certificazione attestante il complessivo debito tri-butario; di particolare importanza qualora quest’ultimo sia di importo superiore a quello indicato nella domanda di transazione fiscale presentata. Nella certificazione dovrà in-cludersi in ogni caso anche il debito relativo all’Iva. Nell’identificare il debito di imposta gli Uffici terranno altresì conto degli atti acquisiti an-che nei trenta giorni successivi alla presentazione della domanda, quali: avvisi di accertamento notificati, inclusi gli accertamenti parziali di cui all’art. 41-bis

del d.P.R. n. 600 del 1973, per la parte non iscritta a ruolo; ruoli vistati ma non ancora consegnati all’agente della riscossione alla data di pre-

sentazione della domanda. Gli Uffici terranno conto a fini istruttori anche dei seguenti atti: processi verbali di constatazione; inviti al contraddittorio di cui agli artt. 5 e 11 del d.lgs. 19 giugno 1997, n. 218 inviati

al contribuente. Nel caso in cui il Tribunale abbia emesso il decreto di apertura della procedura di con-cordato preventivo, copia degli atti notificati o comunicati al debitore successivamente alla data di presentazione della proposta, nonché copia della certificazione attestante il debito di imposta, dovranno essere trasmessi al Commissario giudiziale. La disciplina normativa non dispone peraltro, in caso di transazione fiscale, la preclu-sione di ulteriore attività di controllo da parte dell’Amministrazione finanziaria. Ciò com-porta che è sempre possibile per l’Amministrazione finanziaria, ove ne ricorrano le con-dizioni, l’esercizio dei poteri di controllo. Da tale controllo potrà conseguire la determi-nazione di un debito tributario anche superiore rispetto a quello attestato nella certifica-

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zione rilasciata al debitore, o altrimenti individuato al termine della procedura di transa-zione fiscale; di più, l’Amministrazione potrà far valere in ogni caso questo maggior credito nei confronti dello stesso contribuente che ha ottenuto l’omologazione del con-cordato nonché degli obbligati in via di regresso. Per quanto concerne i tributi oggetto di contenzioso, si ricorda inoltre che il quinto comma dell’art. 182-ter stabilisce che «la chiusura della procedura di concordato ai sensi dell’art. 181 determina la cessazione della materia del contendere nelle liti aventi ad oggetto i tributi di cui al primo comma». Tale effetto attiene ovviamente solo alle liti riguardanti i tributi oggetto di transazione. La cessazione della materia del contendere si produce con la chiusura della procedura e, quindi, con il decreto di omologazione. 8.3.3 Valutazione della proposta di transazione Gli Uffici, sulla base della documentazione prodotta dal debitore, nonché di ogni altra informazione in loro possesso, dovranno in via preliminare effettuare un riscontro in or-dine all’effettiva sussistenza dei requisiti formali e procedimentali previsti dall’art. 182-ter L.F. Per quanto concerne, invece, il merito della proposta di transazione del debito fiscale, gli Uffici dovranno: valutare l’eventuale effettiva possibilità di una migliore soddisfazione del credito era-

riale in sede di accordo transattivi; confrontarla con l’ipotesi di avvio di una procedura concorsuale di fallimento; tenere in considerazione sia i principi di economicità ed efficienza dell’azione ammi-

nistrativa sia la tutela degli interessi erariali. Al riguardo, tuttavia, è necessario altresì considerare gli obiettivi sottesi alla riforma organica delle procedure concorsuali e, di conseguenza, all’istituto della transazio-ne fiscale. Il legislatore ha infatti inteso evitare, per quanto possibile, il dissesto irreversibile dell’impren-ditore commerciale. Pertanto, in considerazione delle finalità dell’istituto in esame, è comunque opportuno che gli Uffici, in sede di valutazione dell’accordo, tengano conto anche degli altri inte-ressi coinvolti nella gestione della crisi, quali, ad esempio, la difesa dell’occupazione, la continuità dell’attività produttiva, la complessiva esposizione debitoria dell’impresa, ol-tre alla sua generale situazione finanziaria e patrimoniale. Per quanto concerne i tributi non iscritti a ruolo, ovvero iscritti in ruoli non ancora con-segnati all’agente della riscossione alla data di presentazione della domanda di transa-zione, il terzo comma dell’art. 182-ter stabilisce dunque che l’adesione o il diniego è approvato con atto del Direttore dell’Ufficio, su conforme parere della competente Di-rezione regionale. In ipotesi di tributi iscritti a ruolo e già consegnati all’agente della riscossione, l’adesione o il diniego alla proposta transattiva sono invece espressi dall’agente della

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riscossione mediante voto in sede di adunanza dei creditori, su indicazione del Diretto-re dell’Ufficio, previo conforme parere della competente Direzione regionale. In caso di diniego alla proposta transattiva, l’Ufficio dovrà formulare, sulla base degli elementi in suo possesso e della documentazione comunque acquisita alla procedura, le opportune contestazioni alla soluzione concordataria. Le eccezioni dovranno essere formulate già in sede di adunanza, senza attendere la fase dell’opposizione per rappre-sentare all’organo giudiziario le ragioni alla base del diniego. 8.3.4 Proposta di dilazione del pagamento Si considerino i seguenti aspetti: ai sensi dell’art. 182-ter L.F. la proposta di transazione fiscale può prevedere la di-

lazione del pagamento; la proposta di rateazione formulata dal contribuente all’Ufficio potrà anche eccedere

i limiti previsti dall’art. 19 del d.P.R. n. 602/1973; anche nel caso di proposta di dilazione formulata nell’ambito degli accordi di ristrut-

turazione dei debiti (art. 182-bis L.F.), la prestazione di una idonea garanzia costi-tuisce, in linea generale, elemento essenziale di valutazione dell’adesione agli ac-cordi medesimi.

8.3.5 Conclusioni e sintesi degli adempimenti Dal momento che la proposta di transazione deve essere presentata unitamente alla domanda di concordato, l’avvio della transazione fiscale coincide con l’inizio della pro-cedura di concordato preventivo. La proposta di transazione fiscale deve essere sottoscritta dal debitore e depositata al Tribunale del luogo in cui l’impresa ha la propria sede principale, unitamente al ricorso di cui all’art. 161 L.F. Inoltre, in base all’art. 182-ter L.F., copia della domanda e della relativa documentazio-ne deve essere depositata presso il Tribunale e contestualmente presentata al Con-cessionario della riscossione e al competente ufficio dell’Agenzia delle entrate. Al fine di consentire il consolidamento del debito fiscale, alla domanda devono essere accluse sia le copie delle dichiarazioni fiscali per le quali non è pervenuto l’esito dei controlli automatici, sia le dichiarazioni relative al periodo di imposta compreso tra inizio anno e la data di presentazione della domanda stessa. La proposta può anche non riguardare la totalità dei debiti fiscali potenzialmente transabili. Una volta presentata la domanda, entro i trenta giorni successivi, il Concessionario de-ve trasmettere al debitore una «certificazione attestante l’entità del debito iscritto a ruo-lo scaduto o sospeso». In questo stesso termine l’Ufficio deve liquidare i tributi risultanti dalle dichiarazioni e notificare eventuali avvisi di irregolarità.

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L’Ufficio provvede anche a emettere una «certificazione attestante l’entità del debito derivante da atti di accertamento ancorché non definitivi, per la parte non iscritta a ruo-lo, nonché da ruoli vistati, ma non ancora consegnati al concessionario». In sostanza, il Concessionario e l’Ufficio «fotografano» la situazione debitoria del contri-buente per quanto attiene ai debiti oggetto della domanda, e determinano la base di partenza per l’eventuale transazione. Per quanto riguarda la misura in cui i crediti oggetto di transazione possono essere soddisfatti la norma non pone vincoli relativamente ai crediti chirografari, bensì prevede solo la condizione che il trattamento non sia differenziato rispetto a quello degli altri creditori chirografari. Rispetto invece ai creditori privilegiati l’unico vincolo posto dal legislatore è che la «per-centuale, i tempi di pagamento e le eventuali garanzie non possono essere inferiori a quelli offerti ai creditori che hanno un grado di privilegio inferiore o a quelli che hanno una posizione giuridica ed interessi economici omogenei a quelli delle agenzie fiscali» (art. 182-ter). La procedura di adesione prevede dunque: il rilascio da parte dell’Ufficio - entro il termine di trenta giorni - degli avvisi di irrego-

larità e della certificazione; la trasmissione di tali documenti al Commissario giudiziale, successiva al decreto di

ammissione al concordato preventivo (art. 163 L.F.); la convocazione dei creditori (art. 171 L.F.) e la elaborazione della relazione (art. 172

L.F.) nella quale vengono descritte le cause del dissesto, la condotta del debitore, le proposte di concordato e le garanzie offerte ai creditori. Entrambe le procedure so-no espletate dal Commissario giudiziale;

la partecipazione al voto, in sede di adunanza dei creditori, del Direttore dell’Ufficio e del Concessionario, previa acquisizione del parere della Direzione regionale.

La chiusura della procedura di concordato avviene tramite decreto di omologazione e determina la cessazione della materia del contendere nelle liti aventi ad oggetto i tributi per i quali si è perfezionata la transazione. In caso di accordo, l’Amministrazione finanziaria si pronuncerà a favore della chiusura della procedura. A tal proposito, l’art. 182-ter regola due distinte situazioni: in caso di tributi non iscritti a ruolo alla data di presentazione della domanda, o non

ancora consegnati al Concessionario del Servizio nazionale della riscossione, l’adesione alla proposta di concordato si perfeziona con atto del Direttore dell’Ufficio, su parere conforme della competente Direzione regionale, espresso mediante voto favorevole in sede di adunanza dei creditori;

in caso di tributi iscritti a ruolo alla data di presentazione della domanda e già con-segnati al Concessionario, quest’ultimo esprimerà il voto in sede di adunanza dei creditori, su indicazione del Direttore dell’Ufficio e previo conforme parere della competente Direzione regionale. È evidente come l’intervento del Concessionario risulti totalmente vincolato.

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Si sottolinea infine che, se con riferimento alla posizione del debitore le disposizioni re-lative alle procedure concorsuali sono applicabili alle conseguenti sopravvenienze attive – e quindi tali sopravvenienze non sono soggette a tassazione - per quanto riguarda invece il creditore, gli accordi di ristrutturazione non sono assimilabili alle procedure concorsuali e quindi non consentono la deducibilità delle perdite su crediti tout court (vedi anche nota Dir. reg. Emilia Romagna 7 febbraio 2008, n. 6579). 8.4 Effetti 8.4.1 Natura chirografaria o privilegiata del credito e crediti iscritti o non iscrit-ti a ruolo La proposta transattiva può avere a oggetto i tributi amministrati dalle agenzie fiscali e i relativi accessori «limitatamente alla quota di debito avente natura chirografaria anche se non iscritti a ruolo» (art. 182-ter , primo comma, L.F.). Alla transazione sono ammessi tanto i crediti tributari assistiti da privilegio, quanto quelli di natura chirografaria, sia pure con distinti limiti e modalità di pagamento; questa più precisa interpretazione della norma si deduce dalla lettura del terzo e quarto periodo del primo comma del suddetto articolo. Più precisamente è previsto che «se il credito tributario è assistito da privilegio, la per-centuale, i tempi di pagamento e le eventuali garanzie non possono essere inferiori a quelli offerti ai creditori che hanno un grado di privilegio inferiore o a quelli che hanno una posizione giuridica ed interessi economici omogenei a quelli delle agenzie fiscali», mentre «se il credito tributario ha natura chirografaria, il trattamento non può essere differenziato rispetto a quello degli altri creditori chirografari». Partendo dall’assunto che anche i crediti tributari privilegiati possono rientrare nell’ambito applicativo della transazione fiscale, è dato quindi ritenere che possono costituire oggetto di transazione anche i crediti privilegiati non iscritti a ruolo. Pertanto, si deve concludere che nell’ambito di applicazione della transazione fiscale rientrano sia i crediti tributari chirografari sia quelli assistiti da privilegio, indipendente-mente dalla circostanza che vi sia stata l’iscrizione a ruolo. In sede di conversione, è stata peraltro modificata la lett. a) del comma 5 dell’art. 32 del citato d.l. n. 185/2008. Per effetto di tale modifica é stato quindi sostituito l’ultimo periodo del primo comma dell’art. 182-ter L.F., il quale attualmente dispone che «se il credito tributario o contributivo ha natura chirografaria, il trattamento non può essere differenziato rispetto a quello degli altri creditori chirografari ovvero, nel caso di suddivi-sione in classi, dei creditori rispetto ai quali è previsto un trattamento più favorevole». In sede di valutazione della sussistenza dei requisiti formali e procedimentali, gli uffici dell’Agenzia delle entrate devono dunque riscontrare, nel caso in cui venga effettuata una suddivisione in classi dei creditori chirografari, che il trattamento del credito tributa-rio chirografario non sia diverso rispetto a quello previsto per i creditori chirografari ai quali sia riconosciuto il trattamento più favorevole.

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Trattandosi di modifica intervenuta in sede di conversione del decreto legge, questa trova applicazione a decorrere dal 29 gennaio 2009, data di entrata in vigore della leg-ge di conversione (art. 1, comma 2 della l. n. 2/ 2009). 8.4.2 Crediti tributari muniti di prelazione In ordine ai crediti tributari muniti di diritti di prelazione diversi dal privilegio, tra i quali rilevano in particolare le ipotesi di iscrizione di ipoteca da parte dell’agente della riscos-sione, occorre precisare che decorso inutilmente il termine di sessanta giorni dalla noti-fica della cartella di pagamento, il ruolo costituisce titolo per iscrivere ipoteca sugli im-mobili del debitore e dei coobbligati (art. 77 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602). Il credito tributario per il quale viene iscritta l’ipoteca risulta così, in sede di proposta di transazione fiscale, munito di un diritto di prelazione. L’art. 182-ter L.F., tuttavia, prevede al primo comma il solo «credito tributario … assi-stito da privilegio», accanto al credito tributario chirografario. La locuzione «crediti assistiti da privilegio» va quindi intesa in senso atecnico, come comprensiva di tutti i crediti tributari muniti di diritto di prelazione. Pertanto la disciplina dei crediti tributari assistiti da privilegio di cui all’art. 182-ter L.F., può essere estesa anche ai crediti tributari muniti di diritto di prelazione, per i quali è così possibile il pagamento in misura ridotta e/o dilazionata. In tale ipotesi, il trattamento in sede di transazione dei crediti tributari in esame non dovrà essere deteriore rispetto a quello offerto ai creditori aventi un grado di prelazione inferiore, ovvero una posizione giuridica e interessi economici omogenei a quelli delle agenzie fiscali. Si osserva infine che i crediti tributari in esame sono unicamente quelli iscritti al ruolo, dal momento che «il ruolo costituisce titolo per iscrivere ipoteca sugli immobili del debi-tore e dei coobbligati» (art. 77 del d.P.R. n. 602 del 1973). 8.4.3 Crediti tributari privilegiati Il privilegio è una causa legittima di prelazione (art. 2741 c.c.). Ai sensi dell’art. 2746 c.c., il privilegio può essere generale o speciale, a seconda che gravi su tutti i beni mobili del debitore, oppure su determinati beni mobili o immobili. Ciò premesso, i crediti tributari privilegiati sono, in sintesi, i seguenti: 1) Irpef, Ires, Irap:

limitatamente all’imposta o alla quota proporzionale di imposta imputabile ai redditi immobiliari, i crediti Irpef, Ires hanno privilegio speciale sugli immobili siti nel territorio del Comune in cui il tributo si riscuote e sopra i frutti, i fitti e le pigio-ni degli stessi immobili (art. 2771, primo comma, c.c.);

limitatamente all’imposta o alla quota proporzionale di imposta imputabile al reddito d’impresa, i crediti Irpef, Ires hanno privilegio speciale sopra i beni mobili che servono all’esercizio dell’impresa e sopra le merci (art. 2759, c.c.);

i restanti crediti Irpef, Ires, Irap godono di un privilegio generale sui beni mobili (art. 2752, c.c.).

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2) Iva (si ricorda che l’Iva è esclusa dalla transazione fiscale, mentre vi rientrano i relati-vi interessi e sanzioni): il credito Iva, incluse le sanzioni, gode di un privilegio generale sui beni mobili

(art. 2752, comma 3, c.c.), nonché, in caso di infruttuosa esecuzione, di collo-cazione sussidiaria con precedenza rispetto ai crediti chirografari, sul prezzo de-gli immobili (art. 2776, comma 3, c.c.);

infine, in caso di responsabilità solidale del cessionario, i crediti Iva dello Stato hanno privilegio sugli immobili che hanno formato oggetto della cessione, o ai quali si riferisce il servizio (art. 2772, comma secondo, c.c.).

3) Tributi indiretti: i crediti dello Stato per ogni tributo indiretto hanno privilegio speciale sui beni

mobili (art. 2758, c.c.) e sugli immobili (art. 2772, primo comma, c.c.) ai quali si riferiscono.

Infine, si precisa che la natura privilegiata dei crediti relativi alle sanzioni tributarie è stata stabilita per legge solo in materia di Iva (artt. 2752, comma 3, e 2776, comma 3, c.c.). Pertanto, si deve ritenere che le sanzioni, fatta eccezione per quelle relative all’Iva, dia-no origine a crediti di natura chirografaria. Le modifiche al trattamento privilegiato dei crediti erariali in base al d.l. n. 98/2011 Il d.l. n. 98/2011, con l’attribuzione del privilegio mobiliare anche agli accessori (sanzioni e interessi) del tributo e l’abbandono del limite temporale biennale dalla data del pigno-ramento (o della dichiarazione di fallimento) per godere della prelazione, ha comunque ulteriormente ampliato la tutela del credito erariale in situazioni di crisi del debitore. Con tale intervento normativo il legislatore ha dunque ridisegnato i confini dei privilegi assegnati ai crediti tributari nell’ambito della gradazione prevista dal codice civile. Ai sensi del nuovo comma 1 dell’art. 2752 del codice civile hanno privilegio generale sui mobili del debitore i crediti dello Stato per le imposte e le sanzioni dovute secondo le norme in materia di Irpef, Ires, Irap e imposte locali sui redditi. La nuova disposizione generalizza l’attribuzione del privilegio a tutte le imposte erariali, ne estende l’applicazione anche alle sanzioni tributarie (prima della modifica soltanto le sanzioni Iva godevano del privilegio) e, soprattutto, non richiede più che i debiti tributari “siano iscritti nei ruoli resi esecutivi nell’anno in cui il concessionario del servizio di ri-scossione procede o interviene nell’esecuzione e nell’anno precedente”. Quindi cambia l’estensione e il presupposto per l’attribuzione del privilegio fiscale. Nel sistema previgente, infatti, il privilegio veniva riconosciuto soltanto alle imposte i-scritte nei ruoli resi esecutivi nell’anno in cui il concessionario si insinuava al passivo, e nell’anno precedente, subordinando così il riconoscimento del privilegio alla “tempesti-vità” con cui il concessionario della riscossione si insinuava al passivo fallimentare. Ora, per effetto delle nuove regole, il concessionario in fase dell’insinuazione dovrà so-lamente provare che i crediti tributari (comprese le sanzioni) per i quali chiede l’ammissione al privilegio siano stati iscritti a ruolo e che la relativa cartella di pagamen-

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to sia stata (previamente) notificata al fallito o al curatore, indipendentemente dal mo-mento in cui il ruolo è stato reso esecutivo. Le nuove disposizioni si applicano del resto anche ai crediti tributari sorti prima del 6 luglio 2011. Viene inoltre previsto che i titolari di crediti privilegiati, intervenuti nell’esecuzione o ammessi al passivo fallimentare anteriormente al 6 luglio 2011, possono contestare i crediti (fiscali) che, per effetto delle nuove norme, sono stati anteposti ai loro crediti nel grado di privilegio, valendosi, in sede di distribuzione della somma ricavata, del rimedio di cui all’art. 512 del codice di procedura civile, oppure proponendo l’impugnazione dello stato passivo. 8.4.4 Facoltatività della transazione fiscale La giurisprudenza ha qualificato la transazione fiscale quale procedimento endocon-corsuale facoltativo a favore dell’imprenditore che propone ai propri creditori un con-cordato preventivo di cui all’art. 160 L.F. Con le sentenze del 4 novembre 2011, nn. 22931 e 22932, la Corte di Cassazione si è dunque pronunciata per la prima volta sulla obbligatorietà o meno del ricorso alla tran-sazione fiscale nell’ambito di una procedura di concordato preventivo, nel caso in cui l’imprenditore intenda proporre un pagamento non integrale dei crediti tributari. La Cassazione ha in particolare sposato la tesi della mera facoltatività della transazione fiscale. Il ricorso alla transazione fiscale configurerebbe quindi una mera facoltà accordata al debitore concordatario, il quale resterebbe comunque libero di riservare ai crediti tribu-tari (ed ora anche a quelli previdenziali/assistenziali) un trattamento conforme alle sole regole generali dettate dall’art. 160, senza necessità di attivare contestualmente il sub-procedimento di cui all’art. 182-ter. In particolare, del resto, il dato letterale del primo comma dell’art. 182-ter, secondo cui “con il piano di cui all’art. 160 il debitore può proporre il pagamento […]”, lascia chia-ramente trapelare la volontà del legislatore di prevedere una semplice facoltà e non un obbligo di ricorrere alla transazione fiscale. La Corte di Cassazione, comunque, afferma che non avrebbe pregio la lettera del comma 1 dell’art. 182-ter, in cui figura, come detto, il verbo “potere” in luogo di “dove-re”: la formulazione letterale di tale disposizione, in realtà, non farebbe altro che ricalca-re il testo dell’art. 160, secondo la quale “l’imprenditore che si trova in stato di crisi può proporre ai creditori un concordato preventivo”, e pertanto sarebbe insufficiente a legit-timare la pretesa alternatività della transazione fiscale rispetto ad altro rito. Viceversa, secondo i giudici di legittimità, la facoltatività della transazione fiscale sareb-be supportata da altre motivazioni. In particolare, l’attivazione del sub-procedimento di cui all’art. 182-ter sarebbe funzio-nale all’ottenimento del vantaggio ad esso peculiare, rappresentato dalla definitiva quantificazione del carico tributario, e quindi dalla maggiore trasparenza e leggibilità

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della proposta, cui conseguirebbe in tal modo una più elevata probabilità di ottenere, oltre all’assenso del Fisco, anche quello degli altri creditori. Inscindibilmente connesso ai citati benefici, tuttavia, vi è il “costo” che l’imprenditore proponente sarebbe tenuto a sostenere, dato dalla “necessità di accogliere tutte le pretese dell’Amministrazione, non essendo plausibile che la stessa, dopo aver indicato il proprio credito, accetti in questa sede di discuterlo e ridurlo”. La mancata attivazione della procedura, del resto, se comporta l’impossibilità di otte-nere il vantaggio della definitiva quantificazione delle pendenze fiscali, conserverebbe tuttavia in capo al proponente la facoltà di contestare la pretesa erariale nella speranza di ottenere un minor esborso. In sostanza, in ogni caso, proprio la consapevolezza dei rilevanti “costi” insiti nel ricorso alla soluzione transattiva, secondo le pronunce citate, dovrebbe far propendere per la facoltatività della medesima, posto che altrimenti il totale assoggettamento alle pretese impositive, insito nell’estinzione del contenzioso tributario pendente, pregiudicherebbe notevolmente le possibilità di accesso al concordato, in stridente contrasto con le in-tenzioni del legislatore. Infine, dato che il concordato è omologabile anche nell’ipotesi in cui il tentativo di rag-giungere un accordo transattivo con il Fisco sia andato fallito, a giudizio della Corte non vi sarebbe alcuna ragione di ritenere che tale tentativo sia obbligatorio: a fortiori, un sif-fatto obbligo non avrebbe senso nel caso in cui il debitore sin dall’inizio non intenda addivenire ad alcun “accomodamento” con la controparte pubblica, perché ad esem-pio ne conosce già le pretese ed intende contestarle, accettando consapevolmente il rischio di un voto contrario dell’ufficio. Ulteriori argomenti addotti dalla Corte a supporto della tesi della facoltatività del ricorso alla transazione fiscale sono: a) non sarebbe ravvisabile in capo all’Amministrazione un interesse concreto e degno

di tutela ad essere comunque interpellata e a svolgere le attività previste dall’art. 182-ter (l’ufficio, infatti, anche se non coinvolto con la speciale procedura ivi con-templata, conserverebbe comunque la facoltà di evidenziare compiutamente le proprie pretese, anche direttamente in sede di adunanza e ai fini del voto, perse-guendone dapprima l’accertamento e successivamente il soddisfacimento);

b) non potrebbe aver pregio un eventuale richiamo al principio di indisponibilità del credito erariale, dal momento che tale indisponibilità sussiste solo fino al momento in cui il legislatore non vi deroghi. La Cassazione, a tal fine, menziona diversi casi di rinuncia in via legislativa all’accertamento o all’integrale esazione della maggiore im-posta accertata in vista del perseguimento di finalità particolari (i cosiddetti “condoni tombali” ne sono un esempio).

L’opportunità di adire ad una transazione fiscale attiene dunque esclusivamente al campo della convenienza per il debitore concordatario, in particolare sotto il profilo de-gli effetti tipici prodotti dalla transazione fiscale e cioè, come visto, della possibilità di “consolidare” il debito tributario, nonché di definire, mediante cessata materia del con-

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tendere, con l’eventuale decreto di omologa ex art. 181 L.F., il contenzioso avente ad oggetto i tributi oggetto di transazione fiscale. In particolare, il consolidamento del debito tributario consente al debitore concordatario di avere certezza della pretesa erariale, poiché, come visto, ai sensi del comma 2 dell’art. 182-ter L.F., l’Agenzia e il concessionario della riscossione dovranno comunicare, entro 30 giorni dall’avvenuta presentazione della domanda, l’esatto ammontare del proprio credito, distinto fra privilegiato e chirografario; detta comunicazione, dopo il decreto di ammissione, dovrà essere effettuata nei confronti del Commissario Giudiziale. Appare, pertanto, evidente l’utilità di tale consolidamento, non previsto nel concordato preventivo senza transazione fiscale, che permette sia di verificare la correttezza della proposta concordataria, sia di individuare esattamente l’ammontare del credito dell’Agenzia ammesso al voto3. Il secondo effetto tipico della transazione fiscale è costituito invece, come detto, dalla cessazione della materia del contendere per i tributi oggetto di proposta di transazione fiscale, laddove la cessazione della materia del contendere è subordinata alla pronun-cia del decreto di omologa di cui all’art. 181 L.F.. Non essendo previsto né nell’art. 182-ter L.F., né nelle norme sul contenzioso tributario di cui al d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, una sospensione obbligatoria (art. 39) o una ipotesi di interruzione (art. 40), la richiesta di transazione fiscale dovrebbe essere co-munque opportunamente accompagnata da una richiesta di sospensione delle liti in corso proposta dal debitore concordatario già nell’atto introduttivo della stessa transa-zione fiscale. 8.5 Quesiti 8.5.1 Deposito della domanda di accordo sui crediti fiscali D: Il secondo comma dell’art. 182-ter della L.F., come di recente modificato dall’art. 32, comma 5, lett. b) del d.l. 29 novembre 2008, n. 185, stabilisce che «Ai fini della proposta di accordo sui crediti di natura fiscale, copia della domanda e della relativa documentazione, contestualmente al deposito presso il tribunale, deve essere presen-tata al competente concessionario del servizio nazionale della riscossione e all’ufficio competente sulla base dell’ultimo domicilio fiscale del debitore, unitamente alla copia

- - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - 3 Di contro, però, occorre osservare che permane il dubbio, ancora non risolto né dalle pronunce giuri-

sprudenziali, né dalla dottrina, in merito alla possibilità, per l’Agenzia, dopo aver comunicato l’entità del proprio credito ai fini della transazione fiscale, di procedere ad ulteriori accertamenti ex D.P.R. n. 600/1973 per periodi d’imposta pregressi ed oggetto di transazione fiscale, e quindi di considerare il credito comunicato soltanto come provvisorio, salvo ulteriore attività accertativa. Sul punto, peraltro, l’Agenzia delle Entrate ha comunque affermato che permane in capo all’Agenzia il potere accertativo sui periodi di imposta precedenti la transazione fiscale, e quindi la possibilità di emer-sione di ulteriori crediti da attività accertative.

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delle dichiarazioni fiscali per le quali non è pervenuto l’esito dei controlli automatici nonché delle dichiarazioni integrative relative al periodo sino alla data di presentazione della domanda, al fine di consentire il consolidamento del debito fiscale». Al riguardo, al punto 5.1 della circ. min. 18 aprile 2008, n. 40 si è chiarito che «Il debi-tore, pertanto, contestualmente al deposito presso il Tribunale, dovrà presentare copia della domanda di transazione all’Ufficio competente sulla base dell’ultimo domicilio fi-scale, nonché al competente agente della riscossione». Al medesimo punto 5.1 della circ. min. n. 40 del 2008, si è altresì ritenuto che «La pre-sentazione di copia della domanda debitamente documentata, sia al competente a-gente della riscossione sia al competente ufficio dell’Agenzia delle entrate, costituisce pertanto un onere il cui assolvimento rileva come requisito di ammissibilità della transa-zione fiscale». Cosa si intende, dunque, per presentazione “contestuale” della domanda? R: Si ritiene che la locuzione «contestualmente al deposito presso il tribunale», conte-nuta nel secondo comma dell’art. 182-ter della L.F., non implica necessariamente che la domanda di transazione debba essere presentata all’Ufficio e all’agente della riscos-sione nello stesso giorno in cui viene depositata presso il Tribunale la domanda di am-missione al concordato preventivo. La «contestualità» non deve essere intesa pertanto in senso stretto e assoluto.

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9. L’interpello Fabiola Bigiarini

9.1 Profili 9.1.1 La disciplina Tra i vari compiti dell’Amministrazione finanziaria vi è quello di «indirizzare» il contri-buente, anche grazie alle indicazioni date in circolari e risoluzioni e alle risposte date in sede di interpello. Lo Statuto del contribuente (l. n. 212/2000) regola, tra l’altro, il problema della tutela del le-gittimo affidamento, nel senso che un soggetto, che si sia affidato all’attività di indirizzo del-la stessa Amministrazione, possa confidare nel fatto che, grazie al suo conformarsi, non debba poi subire conseguenze negative in termini di maggiore imposizione. L’art. 10 della l. n. 212/2000, infatti, stabilisce espressamente che «non sono irrogate sanzioni né richiesti interessi moratori al contribuente, qualora egli si sia conformato a indicazioni contenute in atti dell’Amministrazione finanziaria, ancorché successivamen-te modificate dall’Amministrazione medesima [...] le sanzioni non sono comunque irro-gate quando la violazione dipende da obiettive condizioni di incertezza sulla portata e sull’ambito di applicazione della norma tributaria». In caso di obiettive condizioni di incertezza sulla corretta interpretazione di disposizioni tributarie, il contribuente ha inoltre a disposizione anche un altro strumento per non in-correre in conseguenze accertative; egli potrà infatti presentare alla stessa Amministra-zione finanziaria una specifica istanza di interpello (art. 11, comma 1, l. n. 212/2000). L’istituto dell’interpello «ordinario» è stato introdotto, del resto, proprio al fine di preve-nire eventuali contenziosi mediante un preliminare chiarimento del corretto comporta-mento tributario. In presenza di un interpello si rafforza infatti la suddetta tutela dell’affidamento del con-tribuente, il quale, se ha uniformato il proprio comportamento alla risposta fornita dall’Amministrazione, si pone automaticamente al riparo da ogni ulteriore contestazio-ne, dato che, «qualsiasi atto [di accertamento], anche a contenuto impositivo o sanzio-natorio, emanato in difformità della risposta, anche se desunta ai sensi del periodo precedente, è nullo». L’interpello deve essere comunque riferito ad atti, operazioni o iniziative riconducibili direttamente alla sfera di interessi del soggetto istante. In particolare, le istanze ammissibili: non possono riguardare fattispecie meramente ipotetiche; devono essere documentate; non possono riferirsi a ipotesi generali, normalmente disciplinate dalle circolari.

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L’istanza, inoltre, è ammissibile solo qualora riguardi questioni per le quali sussistano obiettive condizioni di incertezza; sarà pertanto dichiarata l’inammissibilità dell’istanza concernente una disposizione già oggetto di un intervento chiarificatore dell’Amministrazione. Oltre all’interpello cd. ordinario o generalizzato, il nostro ordinamento conosce altre ti-pologie di interpello; difatti, come chiarito dalla circ. n. 32/E del 14 giugno 2010, negli ultimi anni l’istituto dell’interpello ha avuto un notevole sviluppo; in particolare si è assi-stito ad un progressivo ampliamento delle fattispecie per le quali, a diversi fini, è possi-bile o necessario interloquire con l’Amministrazione finanziaria. A seconda delle finalità perseguite e, come vedremo, della procedura da seguire per la presentazione della relativa istanza, nel nostro ordinamento tributario possiamo indivi-duare le seguenti tipologie di interpello: l’interpello ordinario di cui all’art. 11, l. 212/2000; l’interpello antielusivo di cui all’art. 21, l. 413/1991; l’interpello disapplicativo di cui all’art. 37-bis, comma 8, DPR 600/1973; l’interpello specifico per le imprese che operano in ambito internazionale, il cd. Ru-

ling internazionale, di cui all’art. 8, d.l. 269/2003. La finalità comune a tutti i tipi di interpello – compresi quelli che, come l’interpello previ-sto per le CFC, per le “società di comodo” e l’interpello di cui all’art. 37-bis, comma 8, DPR 600/1973, devono essere obbligatoriamente presentati per poter accedere ad un regime derogatorio rispetto a quello legale normalmente applicabile – è quella di cono-scere il parere dell’Amministrazione riguardo all’interpretazione e applicazione di talune norme tributarie al caso concreto, specifico e personale del contribuente. Considerato, altresì, che presupposto comune a tutte le tipologie di interpello è l’esposizione chiara e completa della fattispecie concreta, “è onere del contribuente esporre in modo chiaro e documentare in maniera esaustiva tutti gli elementi conosciti-vi utili a ricostruire la fattispecie concreta in relazione alla quale l’Agenzia è chiamata ad esprimere il proprio parere” (circolare n. 32/2010). Altra caratteristica comune a tutti gli interpelli è la “preventività”; l’istanza, cioè, deve essere presentata prima di porre in essere il comportamento rilevante ai fini tributari; allo stesso modo è esclusa la possibilità di “interpellare” l’Amministrazione qualora sia già stata avviata l’attività di controllo o addirittura sia già stato notificato un avviso di accertamento. Tutte le tipologie di interpello sono infine accomunate dalle seguenti caratteristiche: la risposta all’interpello proposto dal contribuente per conoscere preventivamente la

posizione dell’Agenzia delle entrate rispetto all’applicazione di norme tributarie a un caso concreto e personale, vincola la stessa Agenzia limitatamente al singolo caso prospettato ed esclusivamente nei riguardi del contribuente istante;

gli effetti riconducibili alla risposta fornita dall’Agenzia sono subordinati alla condi-zione che la situazione di fatto (fattispecie concreta) rappresentata dal contribuente sia completa e veritiera;

la risposta non vincola il contribuente, il quale resta libero di non uniformarsi, ferma restando la potestà dell’Agenzia di esercitare l’azione di controllo e accertamento.

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9.2 Fonti

Normativa D.l. 13 agosto 2011, n. 138, art. 2 (convertito, con modificazioni, dalla l. 14 settembre 2011, n. 148) D.l. 1° luglio 2009, n. 78 (convertito, con modificazioni, dalla l. 3 agosto 2009, n. 102) D.l. 29 novembre 2008, n. 185 (convertito, con modificazioni, dalla l. 28 gennaio 2009, n. 2) D.m. 7 agosto 2006, n. 268 D.l. 4 luglio 2006, n. 223 (convertito, con modificazioni, dalla l. 4 agosto 2006, n. 248) D.l. 30 settembre 2003, n. 269 (convertito, con modificazioni, dalla l. 24 novembre 2003, n.

326) - art. 8 D.m. 21 novembre 2001, n. 429 D.m. 26 aprile 2001, n. 209 L. 27 luglio 2000, n. 212 - art. 11 D.m. 19 giugno 1998, n. 259 D.m. 13 giugno 1997, nn. 194 e 195 L. 23 dicembre 1994, n. 724, art. 30 L. 30 dicembre 1991, n. 413 - art. 21, comma 9 D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 (Tuir) - artt. 167 e 168 D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 - art. 37-bis, comma 8 Prassi Provv. Agenzia delle Entrate 11 giugno 2012 Circ. min. 11 giugno 2012, n. 23 Circ. min. 6 ottobre 2010, n. 51 Circ. min. 14 giugno 2010, n. 32 Circ. min. 3 marzo 2009, n. 7 Circ. min. 24 febbraio 2009, n. 5 Circ. min. 14 febbraio 2008, n. 9 Ris. min. 27 luglio 2007, n. 190 Circ. min. 27 giugno 2007, n. 40 Circ. min. 15 marzo 2007, n. 14 Circ. min. 2 febbraio 2007, n. 5 Circ. min. 16 maggio 2005, n. 23 Provv. Agenzia delle Entrate 23 luglio 2004 Circ. min. 23 maggio 2003, n. 29 Circ. min. 12 febbraio 2002, n. 18 Circ. min. 31 maggio 2001, n. 50 Circ. min. 18 maggio 2000, n. 99 Circ. min. 28 maggio 1998, n. 135

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9.3. Applicazioni 9.3.1 I requisiti dell’istanza di interpello «ordinario» L’art. 11, l. 212/2000 consente al contribuente di rivolgersi all’amministrazione finanzia-ria per conoscere il parere di quest’ultima riguardo al suo caso concreto e personale – ovvero all’interpretazione delle norme che interessano il suo caso concreto e personale – sul quale sussistono obiettive condizioni di incertezza. Già dalla lettura della norma che lo disciplina, emergono due dei requisiti necessari per l’ammissibilità dell’istanza: la riferibilità dell’interpello a casi concreti e personali e le o-biettive condizioni di incertezza che riguardano la norma da applicare. Per quel che concerne il primo requisito, l’interpello deve riferirsi ad atti, operazioni o iniziative riconducibili direttamente alla sfera di interessi del soggetto istante. Anche per questo motivo, l’istanza di interpello viene generalmente presentata dal con-tribuente o comunque da un suo procuratore generale o speciale; può tuttavia essere presentata anche da soggetti portatori di interessi collettivi quali, ad esempio, le asso-ciazioni sindacali, di categoria e gli ordini professionali, ma sempre con riferimento all’interpretazione delle norme che interessano la loro posizione fiscale e non invece quella dei singoli associati. Quando invece, le associazioni di categoria o gli enti di rappresentanza di interessi dif-fusi si rivolgono all’Amministrazione per conoscere l’interpretazione di norme relative agli adempimenti propri degli associati o rappresentati, le loro richieste vengono soddi-sfatte nell’ambito della più generale attività di consulenza giuridica che si esplica se-condo le modalità stabilite dalla circ. n. 99/2000 e che non è riconducibile, negli effetti, all’interpello. Il requisito della concretezza ha una forte rilevanza e, nella pratica, è strettamente cor-relato alla documentabilità dell’istanza, requisito, questo, espressamente richiesto dal regolamento attuativo (d.m. n. 209/2001). Per quel che concerne le obiettive condizioni di incertezza sull’interpretazione/applica-zione della norma, va precisato che non sussiste detto requisito quando sulla questio-ne oggetto di interpello v’è un contrasto tra giurisprudenza e prassi, poiché quest’ultima è la prova di un esplicito pronunciamento dell’Agenzia già esistente. Di fronte ad un’istanza inammissibile per mancanza del requisito dell’incertezza, l’Amministrazione è comunque tenuta a rispondere al contribuente segnalando la pras-si di riferimento per risolvere il quesito proposto; è tuttavia evidente che in questo caso non si producono gli effetti tipici dell’interpello. V’è, infine, un terzo requisito di ammissibilità dell’interpello, previsto non dall’art. 11 del-lo Statuto ma dal regolamento attuativo: si tratta della cd. preventività, condizione che accomuna, come già visto nel precedente paragrafo, tutti i tipi di interpello. In pratica l’istanza deve essere presentata prima di porre in essere il comportamento rilevante a fini tributari (ad esempio prima di presentare la dichiarazione dei redditi; di assolvere l’imposta di registro connessa alla registrazione di un atto o di emettere la fattura Iva).

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La presentazione dell’istanza di interpello non ha tuttavia alcun effetto sulle scadenze previste dalle norme tributarie, né sulla decorrenza dei termini di decadenza; non com-porta nemmeno interruzione o sospensione dei termini di impugnazione, decadenza o prescrizione. L’istanza si presenta alla Direzione Regionale dell’Agenzia delle Entrate competente in ragione del domicilio fiscale del contribuente e, come prevede l’art. 3 del Regolamento di attuazione, deve contenere a pena d’inammissibilità: i dati identificativi del contribuente ed eventualmente del suo legale rappre-

sentante; la circostanziata e la specifica descrizione del caso concreto e personale da trat-

tare ai fini tributari sul quale sussistono concrete condizioni di incertezza, (si tenga presente che l’interpello ex art. 11, l. 212/2000 non può essere proposto con rife-rimento ad atti privi di contenuto normativo quali, ad esempio, circolari, note e riso-luzioni); la circolare n. 32/2010 ha chiarito quando il caso concreto debba intendersi sufficientemente “descritto”: a tal proposito è necessaria l’indicazione della tipologia di interpello in relazione al quale si chiede il parere dell’Agenzia e l’esposizione in maniera chiara, univoca e puntuale della fattispecie concreta.

il domicilio del contribuente e dell’eventuale domiciliatario presso il quale indirizza-re le comunicazioni dell’Amministrazione finanziaria;

la sottoscrizione del contribuente o del suo rappresentante legale. In caso di mancata sottoscrizione (soprattutto per il sempre più frequente inoltro delle istan-ze via e-mail), l’ufficio, anche tramite fax o posta elettronica, dovrà invitare il con-tribuente a provvedervi. L’interpello si considera regolarmente presentato alla da-ta della firma e da tale momento decorre il termine di 120 giorni entro il quale l’Agenzia è tenuta a rispondere.

Vanno altresì indicati, in maniera chiara e univoca, sia la soluzione interpretativa sia il comportamento a cui il contribuente intende uniformarsi. La mancanza di tali elementi non comporta però l’inammissibilità dell’istanza; infatti «ai fini di una migliore compren-sione dell’ordine dei problemi e della rilevanza pratica del quesito, è preferibile che il contribuente, a fronte della fattispecie esposta, metta in evidenza la soluzione ritenuta corretta» (circ. min. 18 maggio 2000, n. 99). Tuttavia, in caso di una simile omissione, risulta evidente come gli effetti dell’istanza possano risultare, in parte, compromessi: viene meno, in particolare, la possibilità della formazione del silenzio-assenso, il quale legittima la soluzione prospettata dal contribuente qualora l’Agenzia non fornisca una risposta entro il termine di 120 giorni. Il d.m. n. 209/2011 stabilisce, inoltre, che l’istanza di interpello deve contenere l’indicazione dei recapiti (telefax o e-mail) in grado di garantire all’Amministrazione la possibilità di comunicare in tempi rapidi con il contribuente. All’istanza d’interpello deve essere allegata copia della documentazione di cui l’Amministrazione non è in possesso; se la documentazione allegata non è sufficiente ad inquadrare correttamente la questione, l’Amministrazione può chiedere al contri-buente ulteriori integrazioni documentali (che saranno consegnate o spedite con le

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stesse modalità dell’interpello) ma una sola volta; tale limite è posto a salvaguardia del-la tempestività del procedimento, che deve concludersi entro 120 giorni dalla proposi-zione dell’istanza o dalla data di ricezione della documentazione integrativa richiesta. Eventuali ulteriori inviti da parte dell’ufficio a esibire documenti non producono alcun effetto sul decorso dei termini. L’istanza di interpello, redatta in carta libera e senza necessità di adottare formule so-lenni o altre particolari formalità, è presentata agli uffici mediante consegna a mano oppure a mezzo posta, tramite raccomandata con avviso di ricevimento, in plico non imbustato; l’istanza pervenuta all’ufficio via fax o via mail si considera regolarmente presentata nel momento in cui il contribuente, entro 30 giorni dall’invito dell’ufficio, vi appone la sua sottoscrizione. 9.3.2 Il termine L’Agenzia, come già detto, in caso di interpello «ordinario», ha 120 giorni di tempo per fornire una risposta all’istanza del contribuente (art. 11, comma 1, l. n. 212/2000). La decorrenza del termine è collegata: 1) alle diverse modalità di presentazione:

consegna diretta - si considera la data in cui l’istanza perviene all’Ufficio ed è protocollata;

spedizione a mezzo posta - vale la data in cui viene sottoscritto l’avviso di rice-vimento del plico raccomandato;

2) ad altre particolari situazioni: mancanza della sottoscrizione - fa fede la data di regolarizzazione dell’istanza; richiesta di documentazione integrativa - ci si riferisce alla data di ricezione della

documentazione richiesta; istanza presentata a un ufficio non competente - la decorrenza inizia dalla data

di ricezione da parte dell’ufficio competente. Può essere il caso di un’istanza presentata all’ufficio locale dell’Agenzia invece che alla Direzione regionale o centrale competente: l’ufficio locale trasmetterà l’istanza a quello competente e ne darà comunicazione al contribuente istante.

Entro 120 giorni dalla presentazione dell’istanza, la Direzione regionale deve dunque comunicare al contribuente una risposta scritta e motivata, che ha efficacia esclusiva-mente nei confronti del contribuente e limitatamente al caso concreto e personale sot-toposto all’Agenzia. La risposta non è tuttavia vincolante per il contribuente che può anche non adeguarsi al parere espresso; al contrario la risposta è vincolante per l’Amministrazione che non può emettere atti in contrasto con il parere reso. È comunque fatta salva la possibilità per l’Amministrazione di cambiare orientamento in un momento successivo alla risposta già data al contribuente; l’importante è che, in tal caso, l’ufficio comunichi al contribuente il nuovo orientamento interpretativo.

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Se l’istanza è presentata da un numero elevato di contribuenti e concerne questioni uguali o analoghe, l’Agenzia può formulare una risposta «collettiva», mediante circolare o risolu-zione pubblicata sul sito del Servizio di documentazione economica e tributaria; essa avrà valore di parere specifico per ogni singolo contribuente, al quale l’Amministrazione dovrà obbligatoriamente comunicare gli estremi della circolare o della risoluzione. In presenza di cause di inammissibilità, la mancata risposta dell’Agenzia nei 120 giorni non potrà peraltro considerarsi come implicita accettazione della soluzione proposta dal contribuente. Qualora la risposta della Direzione competente non venga notificata o comunicata al con-tribuente entro 120 giorni dalla presentazione dell’istanza e l’istanza contiene la soluzione interpretativa proposta dal contribuente, «si intende che l’amministrazione concordi con l’interpretazione o il comportamento prospettato dal richiedente» (art. 5, comma 2 del rego-lamento di attuazione) ovvero si forma il cd. silenzio assenso. Di conseguenza, sono da ri-tenersi nulli gli eventuali avvisi di accertamento emessi in difformità dalla soluzione prospet-tata dal contribuente e implicitamente accettata dall’Agenzia per effetto del silenzio-assenso. La presentazione di un interpello secondo la procedura stabilita per l’interpello ordina-rio, seppur con qualche differenza in merito ai soggetti interessati, all’oggetto, al con-tenuto dell’istanza e agli effetti della stessa, è inoltre prevista ai fini dell’applicazione o disapplicazione di specifiche disposizioni tributarie, anche di tipo agevolativo. Si fa specifico riferimento a: art. 124 del Tuir, che disciplina il consolidato nazionale; art. 132 del Tuir riguardante il consolidato mondiale; art. 113 del Tuir in tema di partecipazioni acquisite per il recupero dei crediti bancari; art. 1, comma 55 della l. 24 dicembre 2007, n. 244, relativo ai crediti di imposta per

le imprese impegnate in processi di ricerca e sviluppo. 9.3.3 Interpelli presentati dalle imprese di rilevanti dimensioni L’art. 27, comma 12, del d.l. n. 185 del 2008 ha introdotto novità in tema di gestione degli interpelli presentati dalle imprese definite di più rilevante dimensione. In quest’ultima categoria di soggetti vanno ricomprese, ai sensi del comma 10 dello stes-so art. 27, le imprese «che conseguono un volume d’affari o ricavi non inferiori a tre-cento milioni di euro. Tale importo è gradualmente diminuito fino a cento milioni di euro entro il 31 dicembre 2011 […]». In base alla nuova disciplina dettata dal citato comma 12 dell’art. 27, «le istanze di in-terpello di cui all’art. 11, comma 5, della legge 27 luglio 2000, n. 212, all’art. 21, della legge 30 dicembre 1991, n. 413, e all’art. 37-bis, comma 8, del decreto del Presidente della Repubblica del 29 settembre 1973, n.600, proposte dalle imprese indicate nel precedente comma 10 - cd. imprese di più rilevante dimensione - sono presentate se-condo le modalità di cui al regolamento di cui al decreto del ministro delle Finanze 13 giugno 1997, n. 195…».

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Il decreto legge ha peraltro introdotto alcune disposizioni per la verifica del rispetto del-la soluzione interpretativa indicata dall’Agenzia delle entrate. Tali norme si collocano nell’ambito di appositi piani di controllo sostanziale, da effettuare di norma entro l’anno successivo a quello della presentazione delle dichiarazioni in materia di imposte sui redditi e delle dichiarazioni IVA. Il decreto ha inoltre modificato la competenza alla trattazione delle diverse istanze di interpello - ordinario; antielusivo; disapplicativo; ecc. - presentate dalle imprese di più rilevante dimensione. Considerato che le istanze devono essere presentate in conformità al d.m. 13 giugno 1997, n. 195, tutte le diverse istanze sopra descritte presentate dalle imprese di più rilevante dimensione, a decorrere dal 29 novembre 2008 (data di entrata in vigore del citato decreto), devono essere infatti rivolte all’Agenzia delle entrate – Direzione centra-le normativa – e indirizzate alla Direzione regionale della stessa Agenzia, competente in relazione al domicilio fiscale del richiedente. La Direzione regionale compie dunque l’istruttoria di propria competenza e trasmette l’istanza, unitamente al proprio parere, entro il quindicesimo giorno dalla sua ricezione (art. 1, comma 7 del d.m. n. 195/1997) alla Direzione centrale normativa, la quale prov-vederà a fornire la successiva risposta al contribuente. La norma interviene quindi sulla competenza a trattare gli interpelli presentati dai con-tribuenti soggetti al «tutoraggio». In coerenza con quanto disposto dal d.m. n. 195/1997, le istanze erroneamente pre-sentate dai soggetti di grandi dimensioni direttamente alla Direzione centrale normativa o ad altro ufficio non competente, verranno da questi trasmesse alla Direzione regiona-le competente per territorio perché provveda all’istruttoria preliminare. In tal caso, i termini per la comunicazione della risposta decorreranno dalla data in cui la Direzione regionale competente riceverà l’istanza. Lo spostamento di competenza della trattazione delle istanze interessa peraltro quelle di disapplicazione delle norme antielusive, di cui all’art. 37-bis, comma 8, del d.P.R. n. 600 del 1973 e relative disposizioni di attuazione approvate con d.m. 19 giugno 1998, n. 259. Alla luce delle modifiche operate dal decreto con riferimento alle istanze presentate dal-le imprese di più rilevante dimensione, pertanto, così come avviene per le altre istanze di interpello, anche quelle dirette ad ottenere la disapplicazione delle norme antielusive vanno rivolte all’Agenzia delle entrate - Direzione centrale normativa – per il tramite del-la Direzione regionale competente.

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9.4. Effetti La natura dell’interpello come strumento antielusivo di trasparenza appare ancora più evidente nelle seguenti tipologie: interpello antielusivo, disciplinato dall’art. 21, comma 2, della l. n. 413/19911; interpello disapplicativo, la cui disciplina è invece contenuta nel comma 8 dell’art.

37-bis del d.P.R. n. 600/1973.

9.4.1 L’interpello antielusivo L’art. 21 della l. 413/1991 ha sancito per la prima volta nel nostro ordinamento giuridi-co il diritto all’interpello, anche se solo con i decreti ministeriali nn. 194 e 195 del 13 giugno 1997 è avvenuta l’emanazione delle relative disposizioni attuative. L’interpello antielusivo ha un raggio di azione molto più limitato rispetto a quello «ordi-nario» poiché riguarda l’applicazione solo di quelle particolari disposizioni individuate direttamente dall’art. 21; più in particolare l’interpello antielusivo consente al contri-buente di conoscere preventivamente il parere dell’Agenzia delle Entrate in relazione all’applicazione al caso concreto sottopostole delle disposizioni antielusive indicate al comma 2 dell’art. 21, l. 413/1991. Anche tale richiesta di parere deve essere pertanto formulata, a pena di inammissibilità, prima di porre in essere una determinata operazione o di tenere un certo comporta-mento e, comunque, prima dell’avvio dell’attività di verifica e/o accertamento. Come già detto, la richiesta può riguardare, solo l’applicazione ai casi concreti indicati dal contribuente delle seguenti norme: 1) operazioni considerate potenzialmente elusive dall’art. 37-bis del d.P.R. n.

600/1973: fusioni e scissioni, liquidazioni volontarie, distribuzione ai soci di somme, prele-

vate dal patrimonio netto, diverse da quelle formate da utili; conferimenti, anche di semplici beni, in società; negozi aventi a oggetto il trasfe-

rimento o il godimento di aziende o di complessi aziendali, quindi cessioni, con-ferimenti, permute, ma anche donazioni da un lato, affitti e usufrutti di aziende dall’altro;

cessioni di crediti e di eccedenze di imposta; operazioni di ristrutturazione aziendale transfrontaliere di cui al d.lgs. n. 544/1992, cioè

intracomunitarie; operazioni finanziarie e valutazioni da chiunque effettuate, cioè sia da società e

imprese commerciali sia da «privati»;

- - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - 1 La disciplina concernente l’interpello antielusivo è completata dai regolamenti approvati con i decreti del

ministro delle Finanze 13 giugno 1997, nn. 194 e 195, e da quanto previsto alle circ. min. 28 maggio 1998, n. 135; 18 maggio 2000, n. 99; 24 febbraio 2009, n. 5 e 14 giugno 2010, n. 32.

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2) ipotesi di interposizione (fittizia) di persona di cui l’art. 37, comma 3, del d.P.R. n. 600/1973;

3) qualificazione di determinate spese, sostenute dal contribuente, tra cui quelle di pubblicità, di propaganda o di rappresentanza, ai fini dell’applicazione dell’art. 74, comma 2, del Tuir (oggi art. 108), che prevede limitazioni - diversificate, nel tempo e nell’entità - della deducibilità dei costi e nella determinazione del reddito imponibile di impresa.

Il legislatore ha voluto offrire, con l’interpello antielusivo, un ulteriore strumento finalizzato a favorire i rapporti tra contribuente e Fisco. In quest’ottica deve leggersi l’art. 21, comma 9, l. n. 413/1991, come modificato dall’art. 16, comma 1, lett. a), d.l. n. 185/2008, che dispo-ne: «Il contribuente, anche prima della conclusione di un contratto, di una convenzione o di un atto che possa dar luogo all’applicazione delle disposizioni richiamate nel comma 2, può richiedere il preventivo parere alla competente Direzione generale del ministero delle Finan-ze fornendole tutti gli elementi conoscitivi utili ai fini della corretta qualificazione tributaria del-la fattispecie prospettata […]». Inoltre, in virtù del combinato disposto dell’art. 76, commi 7-bis e 7-ter del TUIR (oggi art. 110) con l’art. 11, comma 13 della l. 413/1991, il diritto di interpello può essere e-sercitato anche prima di porre in essere determinate operazioni internazionali, allo sco-po di esimersi dal provare, a posteriori, che le società domiciliate in Paesi aventi regime fiscale privilegiato, con le quali sussistono direttamente o indirettamente rapporti di controllo e con le quali sono state altresì poste in essere operazioni commerciali gene-rative di costi, svolgono prevalentemente un’attività commerciale effettiva, ovvero che le operazioni con esse concluse rispondono a un effettivo interesse economico e che hanno avuto concreta attuazione. In sintesi, l’ambito di applicazione di questa particolare tipologia di interpello è limitato ad alcune fattispecie di carattere antielusivo. Quanto alle modalità per utilizzare l’interpello antielusivo, si consideri che l’istanza, in carta semplice, deve essere rivolta all’Agenzia delle Entrate, Direzione Centrale Norma-tiva, ma deve essere indirizzata alla Direzione Regionale dell’Agenzia delle Entrate terri-torialmente competente in base al domicilio fiscale del contribuente. La richiesta deve contenere, come prevede il regolamento di attuazione, a pena di i-nammissibilità (d.m. 195/1997 e circ. n. 32/2010): a) i dati identificativi del contribuente o del suo legale rappresentante e delle altre parti

interessate; b) l’indicazione dell’eventuale domiciliatario presso il quale devono essere effettuate le

comunicazioni; c) la sottoscrizione del contribuente o del suo legale rappresentante che, in ipotesi,

può essere il professionista (a ciò incaricato con procura, che è opportuno risulti dall’atto);

d) la descrizione dettagliata del caso concreto, sul quale il contribuente richiama l’attenzione dell’Amministrazione finanziaria, in considerazione del fatto che il regime fiscale si presenta incerto o quanto meno discutibile;

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e) la soluzione prospettata dal contribuente stesso al caso in esame, dato che il ri-chiedente è obbligato a indicare quella che ritiene essere la giusta soluzione del problema;

f) copia della documentazione, con relativo elenco, necessaria per individuare e quali-ficare la fattispecie e, quindi, facilitare la manifestazione del parere.

La richiesta, con gli allegati, deve essere consegnata direttamente, o spedita per posta in plico raccomandato, con avviso di ricevimento. La Direzione regionale trasmetterà quindi, entro il termine ordinatorio di 15 giorni, l’istanza alla Direzione centrale normativa dell’Agenzia delle entrate. L’interpello antielusivo, almeno in un primo momento, era dunque gestito: in prima istanza, dalla Direzione centrale normativa dell’Agenzia delle entrate, in seconda istanza, dal Comitato consultivo per l’applicazione delle norme antielusive. In particolare, se la Direzione centrale normativa (che, come detto, riceveva il quesito dalla Direzione regionale dell’Agenzia delle entrate), trascorsi 60 giorni dal ricevimento, forniva una soluzione interpretativa che coincideva con quella del contribuente, il pro-cedimento si esauriva ai sensi dell’art. 1, comma 6, d.m. n. 195/1997. Se, invece, la Direzione centrale non dava risposta, o questa non era conforme con l’interpretazione prospettata dal contribuente, questi, dopo una formale diffida, poteva attivare il diritto di interpello nei confronti del Comitato consultivo, nel qual caso la ri-chiesta doveva essere rivolta al ministero dell’Economia e delle finanze - Segretariato generale - Segreteria del Comitato consultivo per l’applicazione delle norme antielusive presso l’ufficio per l’informazione del contribuente. Il Comitato consultivo per l’applicazione delle norme antielusive è stato però soppresso dal d.l. n. 223/2006 (convertito in l. n. 248/2006). Con la sua soppressione devono ritenersi implicitamente abrogate anche le disposizioni di cui all’art. 21 della l. n. 413/1991 che disciplina(va)no l’attività dell’organo e l’efficacia dei relativi pareri; allo stesso modo, detta abrogazione comporta il venir meno delle relative di-sposizioni attuative recate dal d.m. n. 194/1997. L’art. 16, comma 1, lett. a) del d.l. n. 185/ 2008 ha inoltre introdotto, nel comma 9 dell’art. 21 della l. n. 413/1991, il seguente periodo: «la mancata comunicazione del parere da parte dell’Agenzia delle entrate entro 120 giorni e dopo ulteriori 60 giorni dal-la diffida ad adempiere da parte del contribuente equivale a silenzio-assenso». Pertanto, per effetto delle nuove disposizioni, l’Agenzia delle entrate, tramite la Direzio-ne centrale normativa, deve comunicare il proprio parere al contribuente entro cento-venti giorni dalla richiesta - cioè dalla data di presentazione dell’istanza alla Direzione regionale competente - mediante plico postale raccomandato con avviso di ricevimen-to; in caso di mancata risposta entro tale termine il contribuente potrà diffidare la stes-sa Amministrazione ad adempiere entro i successivi 60 giorni. La diffida deve essere presentata alla «competente struttura centrale dell’Agenzia delle entrate», ovvero alla Direzione centrale normativa, mediante spedizione a mezzo del servizio postale in plico raccomandato con avviso di ricevimento.

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Resta inteso che, qualora presentata a ufficio incompetente, quest’ultimo è tenuto a inviare la diffida alla competente Direzione centrale normativa. In tal caso il termine di sessanta giorni decorre dalla data in cui la competente Direzione centrale viene in pos-sesso della diffida. La mancata risposta da parte della Direzione centrale entro sessanta giorni dalla data di ricevimento della formale diffida ad adempiere del contribuente equivale a silenzio-assenso sulla soluzione prospettata nell’istanza. Le nuove disposizioni introdotte dal citato art. 16 del decreto, che dettano i termini per la risposta da parte dell’Agenzia nonché le modalità di formazione del silenzio-assenso, si applicano alle istanze di interpello presentate a decorrere dal 29 novembre 2008 - data di entrata in vigore del d.l. n. 185/ 2008 - nonché alle istanze presentate prima del 29 novembre 2008, relativamente alle quali, in tale data, non era ancora scaduto il ter-mine di sessanta giorni per la risposta da parte dell’Agenzia delle entrate. Le diffide pervenute con riguardo a istanze presentate prima del 30 settembre 2008, pertanto, non producono effetti. Così come per gli altri interpelli, la risposta dall’Amministrazione vincola solamente quest’ultima – che non potrà emettere provvedimenti impositivi nei confronti del contri-buente che si sia adeguato al suo parere – ma non è affatto vincolante per il contri-buente, che è libero di non adeguarsi al parere ottenuto pena, tuttavia, l’onere di dimo-strare la correttezza degli adempimenti posti in essere. 9.4.2 L’interpello disapplicativo La disciplina L’interpello disapplicativo consiste nella possibilità per il contribuente di chiedere all’Amministrazione la disapplicazione di una determinata norma antielusiva che, altri-menti, troverebbe applicazione nella fattispecie concreta. A tal proposito, il comma 8 dell’art. 37-bis, D.P.R. n. 600/1973, dispone che: «Le nor-me tributarie che, allo scopo di contrastare comportamenti elusivi, limitano deduzioni, detrazioni, crediti d’imposta o altre posizioni soggettive altrimenti ammesse dall’ordinamento tributario, possono essere disapplicate qualora il contribuente dimo-stri che nella particolare fattispecie tali effetti elusivi non potevano verificarsi». Il contribuente deve presentare istanza al Direttore regionale delle entrate competente per territorio, descrivendo compiutamente l’operazione e indicando le disposizioni normative di cui chiede la disapplicazione. Poiché, dunque, il contribuente ha la facoltà di richiedere la disapplicazione di norme antielusive specifiche, all’istituto è stata attribuita la denominazione di «interpello disap-plicativo». Già dalla lettura della norma che lo disciplina, appare evidente che con tale tipologia di interpello non si chiede all’Amministrazione un parere in ordine ad una questione inter-pretativa bensì un provvedimento che consenta di non applicare determinate norme e, conseguentemente, impedisca sul punto l’attività accertativa.

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Tale procedimento deve essere avviato su iniziativa del contribuente, sul quale grava pe-raltro l’onere della prova; in particolare, come si legge nel testo dell’art. 37-bis, comma 8, sarà cura dell’istante dimostrare che nella fattispecie che lo interessa gli effetti elusivi pre-visti dalla norma (di cui si chiede la disapplicazione) non possono verificarsi. L’istanza deve essere rivolta al Direttore regionale dell’Agenzia delle entrate competen-te per territorio, ma spedita valendosi del servizio postale, in plico raccomandato con avviso di ricevimento, all’ufficio locale dell’Agenzia delle entrate territorialmente compe-tente per l’accertamento; deve indicare i dati identificativi del contribuente, del suo le-gale rappresentante e dell’eventuale domiciliatario. L’istanza deve inoltre contenere: la descrizione completa della fattispecie; l’indicazione delle disposizioni di legge di cui viene richiesta la disapplicazione; l’enunciazione dei motivi e l’indicazione degli elementi sulla base dei quali il contribuente

intende dimostrare che, nella fattispecie concreta, gli effetti elusivi non si verificano; l’elenco di tutti i documenti e atti allegati al fine di qualificare la fattispecie prospettata. La procedura dell’interpello disapplicativo, da esaurirsi complessivamente in 90 giorni, pre-vede due fasi: la prima della durata di 30 giorni di competenza dell’ufficio locale e la secon-da, della durata di 60 giorni, di competenza della Direzione Regionale. Più precisamente, entro 30 giorni dal ricevimento dell’istanza, l’Ufficio deve trasmetterla, unitamente al proprio parere, al Direttore regionale che, a sua volta, nei 60 giorni successivi e comunque entro il 90° giorno dalla data iniziale di presentazione dell’istanza, è tenuto a comunicare al contri-buente le determinazioni assunte, con un provvedimento avente carattere definitivo. Il contribuente potrà replicare o potrà, nonostante il parere negativo, disapplicare la norma ritenuta per lui inconferente; in questo caso, nell’eventualità di controllo e conte-stazione, l’Amministrazione finanziaria richiederà non solo il pagamento degli oneri tri-butari, ma anche le relative sanzioni. Il contribuente a questo punto potrà comunque impugnare l’atto impositivo dell’Amministrazione, mediante motivato ricorso alle Commissioni tributarie. Il provvedimento con cui il Direttore regionale riconosce o meno la possibilità di disap-plicazione della norma antielusiva non rappresenta, infatti, un atto che incide sulla sfera patrimoniale del contribuente, né è un atto impositivo. Il tipo di provvedimento in esa-me, del resto, non è vincolante e neppure immediatamente lesivo per il contribuente. È chiaro allora che la lesione, fino a che non viene emesso avviso di accertamento, è solo potenziale e non immediata per il contribuente. Come infatti anche chiarito dalla circ. min. 3 marzo 2009, n. 7/E, le risposte agli inter-pelli non sono atti impositivi, non vincolano il contribuente e non possono quindi incide-re sulla sfera giuridica del destinatario, di conseguenza non sono impugnabili in sede giurisdizionale. La circolare richiama anche i precedenti interventi della giurisprudenza, ricordando che secondo la Corte costituzionale la risposta «deve considerarsi un mero parere, che non integra alcun esercizio di potestà impositiva nei confronti del richiedente» (sent. 14 giu-gno 2007, n. 191).

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Per quanto riguarda dunque in particolare gli interpelli disapplicativi, la circ. min. n. 7/E del 2009 chiarisce che questi non sono assimilabili al diniego o alla revoca di agevola-zioni, atti che hanno sostanzialmente natura di atti impositivi. La risposta all’interpello ha infatti il solo scopo di consentire al contribuente di conosce-re in tempi certi e brevi la posizione dell’Amministrazione finanziaria sulla futura applica-zione di norme tributarie in relazione a circostanze concrete. Al contrario di quanto accade per l’Agenzia, del resto, la risposta fornita non vincola il contribuente, il quale può sempre scegliere di non uniformarsi all’interpretazione resa dall’Amministrazione. In tale ipotesi la questione interpretativa verrà definitivamente ri-solta soltanto nell’ambito del successivo, eventuale, giudizio tributario instaurato dal contribuente mediante l’impugnazione dell’atto impositivo e dell’atto di irrogazione del-le sanzioni notificati dall’Agenzia. L’interpello disapplicativo in materia di società di comodo Fra le istanze di interpello presentate ai sensi dell’art. 37-bis, comma 8 del DPR 600/1973 rivestono un ruolo fondamentale quelle relative alla disapplicazione della di-sciplina delle società non operative (cd. società di comodo) di cui all’art. 30, comma 4-bis, l. 724/1994. La disciplina delle società di comodo, contenuta dell’appena menzionato art. 30, ha l’obiettivo di contrastare l’utilizzo improprio delle forme societarie al solo fine di eludere le obbligazioni tributarie. Una società è considerata di comodo, o non operativa, quando non supera il cd. test di operatività previsto dal comma 1 dell’art. 30, l. n. 724/1994, che tra l’altro deve risul-tare da un apposito prospetto contenuto nella dichiarazione dei redditi (nel quadro RF per le società di capitali e RS per le società di persone); più precisamente la società è “di comodo” se i componenti positivi effettivi di reddito (ricavi, incrementi delle rima-nenze e proventi, esclusi quelli straordinari) sono inferiori a quelli determinati applicando le percentuali – anche dette “coefficienti di redditività – previste dalla norma (cd. ricavi presunti). Detto confronto va effettuato su un triennio, che comprende l’esercizio in corso oggetto di verifica e i due precedenti. Nel caso in cui la società non superasse il test di operatività e risultasse, quindi, di co-modo, si hanno i seguenti effetti: 1) ai fini delle imposte sul reddito (art. 30, comma 3): presunzione, e conseguentemente obbligo di dichiarare, un reddito minimo come

determinato ai sensi del comma 3 del medesimo art. 30; limitazioni nell’utilizzo delle perdite pregresse, che possono essere compensate so-

lo con la parte di reddito eccedente quello minimo presunto; 2) ai fini Irap (art. 30, comma 3-bis) presunzione, e conseguentemente obbligo di di-

chiarare, un valore minimo della produzione netta come determinato ai sensi del comma 3-bis del medesimo art. 30;

3) i fini Iva (art. 30, comma 4), limitazioni all’utilizzo del credito relativo all’annualità in cui non è stato superato il test di operatività; detto credito, infatti:

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non può essere chiesto a rimborso; non può essere utilizzato in compensazione; non può essere ceduto. Vi possono tuttavia essere situazioni oggettive che hanno reso impossibile il consegui-mento minimo dei ricavi, degli incrementi delle rimanenze, dei proventi nonché del red-dito minimo presunto; in questi casi la società può disapplicare le disposizioni antielusi-ve di cui al citato art. 30. Più precisamente la disapplicazione è automatica, come disposto dall’art. 30, comma 4-ter, l. 724/1994, quando ricorrono le situazioni oggettive elencate nel provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle Entrate n. 23681 del 14 febbraio 2008 (tra le situazioni oggettive v’è, ad esempio, lo stato di liquidazione della società che si impegna a ri-chiedere la cancellazione dal registro delle imprese entro il termine di presentazione della dichiarazione successiva oppure l’accoglimento dell’istanza di disapplicazione in relazione ad un precedente periodo di imposta sulla base di circostanza oggettive pun-tualmente indicate e rimaste immutate). Quando non ricorrono le condizioni di cui al provvedimento del Direttore, la società può comunque richiedere all’Amministrazione la disapplicazione della disciplina delle socie-tà di comodo di cui all’art. 30, l. 724/1994 presentando un’apposita istanza di interpel-lo. Il comma 4-bis dell’art. 30 prevede, infatti, che “in presenza di oggettive situazioni che hanno reso impossibile il conseguimento dei ricavi, degli incrementi di rimanenze e dei proventi nonché del reddito determinati ai sensi del presente articolo… la società interessata può chiedere la disapplicazione delle relative disposizioni antielusive ai sensi dell’art. 37-bis, comma 8 del DPR 600/1973”. Attraverso la presentazione di un interpello disapplicativo – da effettuarsi, come da re-gola generale, in via preventiva – la società può quindi dimostrare la sussistenza di condizioni oggettive che le hanno impedito di essere operativa secondo i parametri stabiliti dall’art. 30, l. 724/1994 e che, pertanto, giustificano la disapplicazione della normativa antielusiva di riferimento. Tra l’altro, essendo venuta meno la possibilità di far valere la “prova contraria” in sede di accertamento (per effetto delle modifiche introdotte dalla l. n. 296/2006 che ha sop-presso l’inciso “salvo prova contraria” dal comma 1 dell’art. 30), la presentazione pre-ventiva dell’interpello disapplicativo è rimasta l’unico rimedio per dimostrare le oggetti-ve situazioni che hanno impedito alla società il raggiungimento dei risultati minimi previ-sti dall’art. 30 e dunque per sottrarsi all’applicazione della normativa sulle società non operative. Nella circ. n. 5 del 2 febbraio 2007 l’Amministrazione ha individuato, seppur a titolo esemplificativo e non esaustivo, alcune “situazioni oggettive” che possono indurre la società alla presentazione dell’interpello disapplicativo e l’Amministrazione all’accoglimento del predetto. Si fa, ad esempio, riferimento al “periodo di non normale svolgimento dell’attività”, che originariamente rappresentava una delle cause di esclusione della normativa sulle società di comodo elencate nel comma 1 dell’art. 30, l. 724/1994 e poi, per effetto delle modifiche apportate dal D.L. n.

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223/2006, è stata eliminata dal novero delle cause di esclusione rimanendo, così, una circostanza che può eventualmente rilevare come una delle “situazioni oggetti-ve” di cui al comma 4-bis del citato art. 30. Nella circ. n. 5 si fa riferimento anche alla “liquidazione volontaria” come potenziale ed eventuale situazione oggettiva da sottoporre all’analisi dell’Amministrazione per mezzo dell’interpello disapplicativo. Sempre nella circ. n. 5 si prendono, infine, in considerazione una serie di “situazioni oggettive” che possono interessare le holding e le società immobiliari, con l’avvertenza che dette situazioni possono comunque essere fatte valere, ai fini della disapplicazione della disciplina sulle società di comodo, anche da altri tipi di società. Per quel che concerne gli aspetti procedurali dell’interpello presentato dalle società di comodo, occorre fare riferimento alle regole generali stabile dall’art. 37-bis e soprattut-to dal regolamento attuativo (d.m. n. 259/1998), unitamente ai chiarimenti forniti con i provvedimenti di prassi dell’Agenzia intervenuti sul punto (in particolare le circolari nn. 5/2007; 14/2007 e 9/2008). Sulla base di questi provvedimenti, la presentazione dell’istanza di interpello disapplica-tivo da parte di una società non operativa deve essere: redatta in carta libera; indirizzata al Direttore Regionale dell’Agenzia delle Entrate competente per territorio; inviata all’ufficio dell’Agenzia delle Entrate (Direzione Provinciale) competente in ra-

gione del domicilio del contribuente che, dopo aver assolto alle sue incombenze, trasmetterà l’istanza alla Direzione Regionale;

spedita a mezzo posta in plico raccomandato con avviso di ricevimento o conse-gnata a mano presso il competente ufficio dell’Agenzia delle Entrate (come previsto al par. 2 della circ. n. 14/2007).

La procedura di interpello, che deve concludersi in 90 giorni, prevede due fasi: 1) la fase di istruttoria dell’istanza, condotta dalla Direzione Provinciale che redige un

proprio parere da trasmettere poi al Direttore Regionale entro 30 giorni dalla data di ricezione dell’istanza (art. 1, comma 1 del d.m. 259/1998);

2) la fase di istruttoria e decisione presso la Direzione Regionale, che termina con un provvedimento del Direttore Regionale da emanarsi entro 90 giorni dalla data di presentazione dell’istanza.

Per quanto riguarda gli aspetti formali, l’istanza deve contenere, a pena di inammissibi-lità (art. 1, comma 2, lett. c) del d.m. 259/1998): i dati identificativi del contribuente e del suo legale rappresentante; l’indicazione dell’eventuale domiciliatario presso il quale effettuare le comunicazioni; la sottoscrizione del contribuente o del suo legale rappresentante. Sotto il profilo contenutistico, l’istanza deve contenere la descrizione esauriente e completa della fattispecie concreta (le istanze di interpello non sufficientemente circo-stanziate nella descrizione della fattispecie concreta sono considerate inammissibili come chiarito dalla circ. n. 32/2010) e l’esposizione, oltre all’allegazione di tutti gli ele-menti utili a dimostrarne l’esistenza, delle oggettive situazioni che hanno di fatto impe-

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dito di superare il test di operatività e quindi di conseguire un reddito almeno pari a quello minimo presunto di cui al comma 3 dell’art. 30. Anche l’istanza di interpello disapplicativo proposta ai sensi dell’art. 30, comma 4-bis della l. 724/1994 deve rispettare, come previsto in generale per tutte le tipologie di in-terpello, il requisito della preventività; l’istanza, pertanto, va presentata alla Direzione Provinciale in tempo utile – considerati i 90 giorni entro cui dovrà concludersi la proce-dura di interpello – per ottenere una risposta prima della scadenza del termine di pre-sentazione della dichiarazione. Il Direttore Regionale emetterà, come già detto entro il termine ultimo di 90 giorni dalla presentazione dell’istanza, o un provvedimento di accoglimento – i cui effetti devono ritenersi sottoposti alla condizione che i dati e gli elementi rappresentati trovino concre-to riscontro nella realtà e nel successivo comportamento della società – o un provve-dimento di rigetto. Il provvedimento del Direttore Regionale è comunicato alla società mediante servizio postale, in plico raccomandato con avviso di ricevimento, oppure, data la nuova for-mulazione del comma 4-quater dell’art. 30 ad opera della Finanziaria 2008, anche a mezzo fax o posta elettronica. L’interpello disapplicativo previsto dall’art. 30, comma 4-bis della l. 724/1994 opera anche con riferimento alle cd. società in perdita sistematica, introdotte e disciplinate dall’art. 2, commi da 36-decies a 36-duodecies del d.l. n. 138/2011, convertito nella l. n. 148/2011. Ai sensi del citato comma 36-decies, sono considerate in perdita sistematica le società che risultano in perdita per tre periodi di imposta consecutivi ovvero presentino due di-chiarazioni dei redditi in perdita e la terza con un reddito imponibile inferiore a quello minimo presunto di cui all’art. 30, l. n. 724/1994. Sempre il comma 36-decies stabilisce che anche per le società in perdita sistematica “restano ferme le cause di non applicazione della disciplina in materia di società non ope-rative di cui all’art. 30 della legge n. 724/1994”. Con tale espressione, come chiarito an-che dalla circ. n. 23 dell’11 giugno 2012, il legislatore ha voluto rendere applicabili alle società in perdita sistematica sia le disposizioni dell’art. 30 che individuano le cd. cause di esclusione della disciplina sulle società di comodo (comma 1, da n. 1 a 6-sexies), sia quelle che consentono alle società di presentare l’istanza di disapplicazione della discipli-na in esame qualora ricorrano determinate situazioni oggettive (comma 4-bis), sia infine quelle che attribuiscono al Direttore dell’Agenzia delle Entrate la possibilità di individuare, con apposito provvedimento, ulteriori situazioni oggettive che consentano alla società di disapplicare automaticamente la disciplina delle società di comodo (comma 4-ter). Di conseguenza: le stesse fattispecie previste nell’art. 30, comma 1, l. 724/1994 escludono

l’applicazione della disciplina delle società in perdita sistematica; il Direttore dell’Agenzia delle Entrate, con il provvedimento prot. n. 87956 dell’11

giugno 2012, ha individuato le cause oggettive che, se sussistenti, consentono la disapplicazione automatica della disciplina delle società in perdita sistematica;

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le società in perdita sistematica nei cui confronti non sussista nessuna delle cause di esclusione indicate nell’art. 30, l. 724/1994 ovvero di disapplicazione automatica indicate nel provvedimento del Direttore, può chiedere la disapplicazione della rela-tiva disciplina presentando apposita istanza ai sensi dell’art. 30, comma 4-bis della l. 724/1994.

Per quel che concerne le modalità e i termini di presentazione delle istanze di di-sapplicazione, gli aspetti formali ed il contenuto, si deve fare necessariamente rife-rimento a quanto già previsto per l’interpello presentato dalle società non operative con la precisazione che le società in perdita sistematica, dato il triennio che viene preso in considerazione ai fini della loro successiva qualifica come società non operative, devono indicare nell’istanza anche il periodo di imposta per il quale si chiede la disapplicazione della normativa e il periodo di imposta a cui si riferiscono le situazioni oggettive. 9.4.3 L’interpello CFC Premessa Gli artt. 167, comma 1 e 168, comma 1 del Tuir dettano una speciale disciplina in ma-teria di imprese estere partecipate (controlled foreign companies), prevedendo che al soggetto residente in Italia, che detiene una partecipazione di controllo o di collega-mento in una società o ente residente in un Paese a regime fiscale privilegiato, sono imputati i redditi conseguiti dal soggetto estero in proporzione alla partecipazione de-tenuta, a prescindere dall’effettiva distribuzione degli utili. L’art. 13 del d.l. n. 78/2009, convertito con modificazioni nella l. n. 102/2009, ha intro-dotto importanti modifiche alla disciplina delle CFC; il nuovo regime, entrato in vigore il 1° gennaio 2010, si caratterizza da un lato per aver allargato l’ambito di applicazione della normativa e, dall’altro lato, per aver ristretto le possibilità di disapplicazione della stessa. Sotto il primo profilo, si consideri che il nuovo comma 8-bis dell’art. 167 – introdotto dal d.l. n. 78/2009 – ha previsto l’applicazione della disciplina delle CFC a tutte le con-trollate estere (ma non alle collegate di cui all’art. 168), ovunque localizzate (non solo quindi nei paradisi fiscali), qualora siano soggette ad un limitato livello di tassazione e svolgano determinate attività. Sotto il secondo profilo, si consideri innanzitutto che il d.l. 78/2009 ha riscritto e circo-scritto l’esimente di cui alla lett. a) del comma 5, sostituendo il riferimento allo “stato o territorio nel quale la società ha sede” con il “mercato dello stato o territorio di insedia-mento” per cui, ai fini disapplicativi, è ora necessario dimostrare l’effettivo radicamento della CFC nel territorio di localizzazione ovvero il legame economico, sociale e politico della CFC con il mercato del Paese estero in cui svolge l’attività principale. In secondo luogo, sempre nell’ottica della restrizione delle possibilità di disapplicazione della normativa, si consideri che il nuovo comma 5-bis dell’art. 167 – anch’esso intro-dotto dal d.l. n. 78/2009 – ha escluso l’applicabilità della prima esimente di cui alla lett.

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a) del precedente comma 5 qualora i proventi della società estera partecipata (sia con-trollata che collegata) siano costituiti per oltre il 50% da passive income e derivino dalla prestazione di servizi infragruppo. La disciplina La disciplina delle CFC che emerge a seguito delle modifiche apportate dal d.l. 78/2009 può così sintetizzarsi: 1) disciplina delle CFC ordinaria, applicabile ai soggetti residenti in Italia che detengo-

no una partecipazione di controllo o collegamento con imprese estere residenti in uno Stato black list. Tale disciplina è prevista dall’art. 167, comma 1 Tuir – secondo cui «se un soggetto residente in Italia detiene, direttamente o indirettamente….il controllo di un’impresa, di una società o di altro ente, residente o localizzato in Stati o territori diversi da quelli di cui al decreto del Ministro dell'economia e delle finanze emanato ai sensi dell'articolo 168-bis i redditi conseguiti dal soggetto estero parte-cipato sono imputati…ai soggetti residenti in proporzione alle partecipazioni da essi detenute» e dall’art. 168, comma 1 Tuir che, mediante un rinvio al precedente arti-colo, estende la normativa ivi prevista anche ai casi di partecipazione di collega-mento all’impresa estera;

2) disciplina delle CFC da passive income prevista dall’art. 167, comma 5-bis del Tuir sempre con riferimento ai soggetti residenti in Italia che detengono una partecipa-zione di controllo o collegamento con imprese estere residenti in uno Stato black list. Tale disciplina si differenzia da quella “ordinaria” di cui al comma 1 per la limita-zione che stabilisce in tema di disapplicazione della normativa; difatti, qualora i pro-venti della partecipata provengano per più del 50% da attività che generano passive income, non è applicabile la prima esimente di cui alla lett. a) del comma 5;

3) disciplina delle CFC da white list, applicabile ai soggetti residenti in Italia che deten-gono una partecipazione di controllo (non di collegamento) in imprese estere resi-denti in qualunque Stato o territorio non incluso nella black list. L’articolo di riferi-mento è il 167, comma 8-bis del Tuir e prevede l’estensione della disciplina delle CFC “ordinaria” qualora ricorrano due condizioni ovvero che la controllata estera benefici di una tassazione particolarmente privilegiata (inferiore di oltre la metà ri-spetto a quella cui sarebbe stata soggetta se residente in Italia) e che abbia conse-guito in prevalenza passive income o proventi derivanti dalla prestazione di servizi infragruppo.

Per ognuna delle tipologie di CFC sopra indicate, è prevista la possibilità di disapplicare la relativa disciplina dimostrando, mediante la procedura di interpello di cui all’art. 11 della l. 212/2000, la sussistenza di taluna delle condizioni indicate a tal fine dalla legge. In pratica, per poter disapplicare le disposizioni antielusive di cui agli artt. 167 e 168, il soggetto residente può adire preventivamente l’Amministrazione finanziaria, indicando nell’istanza le cd. esimenti che giustificano la disapplicazione.

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Più in particolare, ai fini dell’inapplicabilità della disciplina CFC ordinaria (comma 1 degli artt. 167 e 168), il soggetto residente deve dimostrare, alternativamente, la sussistenza delle esimenti indicate nel comma 5 dell’art. 167 Tuir ovvero deve dimostrare che: a) la società o altro ente non residente svolga un’effettiva attività industriale o com-

merciale, come sua principale attività, nel mercato dello Stato o territorio di inse-diamento;

b) dalle partecipazioni non consegue l’effetto di localizzare i redditi in Stati o territori diversi da quelli di cui al decreto del Ministro dell’economia e delle finanze emanato ai sensi dell’art. 168-bis .

Ai fini, invece, dell’inapplicabilità della disciplina CFC da passive income, il soggetto re-sidente deve dimostrare unicamente la sussistenza dell’esimente di cui alla lett. b) ov-vero che “dalle partecipazioni non consegue l’effetto di localizzare i redditi in Stati o ter-ritori diversi da quelli di cui al decreto del Ministro dell’economia e delle finanze emana-to ai sensi dell’art. 168-bis”. Per disapplicare, infine, la disciplina CFC da white list contenuta nel comma 8-bis, si deve fare riferimento ad un’altra esimente appositamente prevista nel successivo comma 8-ter. In tali casi il soggetto residente deve infatti dimostrare “che l’insediamento all’estero non rappresenta una costruzione artificiosa volta a conseguire un indebito vantaggio fiscale”. Ad eccezione della disciplina CFC da white list appena menzionata, negli altri due casi sopra trattati si fa sempre riferimento alle imprese, società o altro ente residente o loca-lizzato in territori aventi regime fiscale privilegiato. La black list degli Stati aventi regime fiscale privilegiato è individuata dal d.m. 21 no-vembre 2001, n. 429. Tuttavia, con la legge Finanziaria per il 2008, è stato completa-mente modificato l’approccio a questi temi: il concetto di black list è stato sostituito da quello di white list . A livello operativo, oltre alla previsione di una riformulazione delle disposizioni antielusi-ve eliminando il riferimento agli stati aventi un regime fiscale privilegiato ed utilizzando, invece, un sistema incentrato sull’individuazione degli stati con un regime fiscale im-prontato ai principi di legalità e trasparenza, è stato inserito un nuovo articolo nel Tuir, il 168-bis, rubricato «Paesi e territori che consentono un adeguato scambio di informa-zioni». In esso si stabilisce che un decreto del Ministero dell’Economia e delle Finanze dà corpo a una white list nella quale sono inseriti gli Stati e i territori che consentono un adeguato scambio di informazioni (comma 1); il decreto provvede inoltre alla compila-zione di un’ulteriore white list, in cui sono inclusi gli Stati e i territori che non solo con-sentono un adeguato scambio di informazioni, ma che sono anche caratterizzati da un livello di tassazione non sensibilmente inferiore a quello applicato in Italia (comma 2). È proprio questa seconda white list, come testualmente previsto dall’art. 168-bis, com-ma 2, quella che interesserà l’applicazione degli artt. 167 e 168 Tuir. La riforma introdotta dalla Finanziaria 2008 potrà, però, operare solo successivamente alla pubblicazione del decreto attuativo. Il comma 89 dell’art. 1 della Finanziaria 2008 prevede, infatti, che la nuova disposizione del TUIR, e con essa la vigenza delle nuove

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white list, si applica solo a partire dal periodo di imposta successivo a quello di pubbli-cazione del decreto previsto. Quindi, fino al periodo di imposta in corso all’emanazione di tale decreto attuativo, si continuerà a fare riferimento al d.m. 4 maggio 1999 per in-dividuare gli Stati e territori considerati paradisi fiscali. Come già detto, e come del resto emerge direttamente dal dato normativo, le istanze di interpello CFC sono presentate secondo la procedura prevista per l’interpello ordina-rio dall’art. 11, l. 212/2000. Difatti le modalità per presentare l’istanza di interpello sono stabilite dall’art. 5 del decreto del ministro dell’Economia e delle Finanze 21 novembre 2001, n. 429 che però rinvia espressamente, per quanto non diversamente previsto, al d.m. n. 209/2001 in cui si disciplina, appunto, l’interpello ordinario; alla procedura in esame risultano pertanto applicabili, ove compatibili, le disposizioni relative all’interpello ordinario, fatte comunque salve le peculiarità stabilite nel d.m. n. 429/2001. Si tenga tuttavia presente che, nonostante il richiamo espresso all’interpello ordinario, l’interpello CFC rappresenta non un diritto, quanto un vero e proprio onere per il con-tribuente; inoltre, diversamente da quanto accade per l’interpello ordinario che tende a risolvere questioni interpretative su fattispecie caratterizzate da obiettive condizioni di incertezza, l’interpello CFC è diretto a dirimere questioni in buona parte di fatto. La risposta con cui l’Agenzia delle entrate accoglie l’istanza di interpello, o la mancata risposta nel termine di centoventi giorni dalla presentazione dell’istanza, producono l’effetto di rendere inapplicabili le disposizioni antielusive di cui all’art. 167 Tuir, limita-tamente alla partecipata estera identificata nell’istanza di interpello. La presentazione dell’interpello secondo le modalità stabilite dal comma 5, lett. b), dell’art. 167 Tuir è infine prevista anche da altre disposizioni tributarie in relazione ad altre fattispecie concernenti: gli utili da partecipazione (art. 47, comma 4, Tuir); le plusvalenze da partecipazioni (art. 68, comma 4, Tuir); la c.d. participation exemption (art. 87 Tuir); la detassazione dei dividendi (art. 89 Tuir). La procedura Per la disapplicazione della normativa CFC, il contribuente deve dunque interpellare preventivamente l’Amministrazione finanziaria. L’interpello CFC si caratterizza, come chiarito anche dalla circ. n. 32/2010, per la sua obbligatorietà ai fini dell’ottenimento del parere favorevole da parte dell’Amministrazione all’accesso al regime derogatorio ri-spetto a quello legale di cui agli artt. 167 e 168 Tuir, normalmente applicabile. L’istanza di interpello deve essere circostanziata ovvero fornire una rappresentazione completa e chiara della fattispecie concreta; a tal fine l’istanza deve essere corredata della documentazione necessaria e idonea a dimostrare il ricorrere di una delle circo-stanze esimenti. E proprio con riferimento all’onere documentale, l’Amministrazione aveva già fornito, con le circolari nn. 18/2002 e 29/2003, indicazioni sulla documentazione che sarebbe stato utile allegare alle istanze di interpello CFC per dimostrare le esimenti previste

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dall’art. 167 TUIR; con la circ. n. 51 del 6 ottobre 2010 l’Amministrazione è nuovamen-te intervenuta sul tema indicando – con un elencazione esemplificativa e non esaustiva di talché, da un lato, il contribuente è libero di presentare anche ulteriori documenti di diversa natura e, dall’altro lato, l’Amministrazione è libera di richiedere un’integrazione documentale – taluni documenti che l’istante deve esibire in sede di interpello con rife-rimento alle citate esimenti. L’istanza deve essere rivolta alla Direzione centrale normativa, per il tramite della Dire-zione regionale competente in base al domicilio fiscale del contribuente (art. 5, comma 1, d.m. n. 429/2001) che riceve l’istanza consegnata a mano o spedita in plico racco-mandato con avviso di ricevimento. Le Direzioni regionali trasmetteranno alla Direzione centrale normativa l’istanza del con-tribuente, il proprio parere motivato e la documentazione prodotta dall’istante. Il rispetto del requisito della preventività, comune a tutte le tipologie di interpello, com-porta che l’istanza debba essere presentata, a pena di inammissibilità, in tempo utile per ottenere la risposta prima della scadenza del termine ordinario di presentazione della dichiarazione. A tal proposito si consideri che l’Agenzia deve rispondere entro 120 giorni dalla pre-sentazione dell’istanza; anche in questo caso si applica l’istituto del silenzio-assenso, che comporta la disapplicazione della normativa CFC nell’ipotesi di mancato parere dell’Amministrazione entro il termine suddetto. La risposta dell’Agenzia vale comunque solo per il periodo d’imposta per il quale si chiede la disapplicazione della norma e limitatamente alla controllata estera indicata nell’istanza d’interpello. In caso di risposta positiva da parte dell’Agenzia, tuttavia, il contribuente, in base al principio del legittimo affidamento, se non vi sono stati mutamenti nelle circostanze e condizioni poste a base del parere positivo, potrà comunque continuare a disapplicare la normativa CFC anche per i periodi di imposta successivi a quello della risposta. In caso contrario, il soggetto residente dovrà ripresentare l’istanza anche per i periodi di imposta successivi. Le cause esimenti Le esimenti previste dall’art. 167 Tuir per la disapplicazione della disciplina CFC sono tre; due, come visto sopra, riguardano le imprese estere partecipate residenti in Paesi a regime fiscale agevolato e una riguarda, invece, le imprese estere controllate residenti in Paesi non inclusi nella black list. Riassumendo, il contribuente che chiede la disapplicazione della normativa CFC deve dimostrare che: (art. 167, comma 5, Tuir): nel mercato dello Stato o territorio di insediamento, la società o ente non residente

svolge un’effettiva attività industriale o commerciale (ai sensi dell’art. 2195 c.c.) co-me sua principale attività, avvalendosi di una struttura organizzativa autonoma;

dalle partecipazioni non consegue l’effetto di localizzare i redditi in Stati o territori con regimi fiscali privilegiati.

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Detta esimente, in particolare, è stata introdotta al fine di escludere la disciplina CFC quando sia possibile dimostrare che il reddito prodotto nello Stato o territorio a regime fiscale privilegiato è soggetto a tassazione ordinaria in uno Stato terzo non rientrante nella black list. A tal fine, rileva il fatto che il soggetto non residente con-segua il suo reddito in misura non inferiore al 75% in altri Stati o territori diversi da quelli a fiscalità privilegiata.

l’insediamento all’estero non rappresenta una costruzione artificiosa volta a conse-guire un indebito vantaggio fiscale.

In particolare, secondo la Corte di Giustizia, una costruzione societaria non è da consi-derare meramente artificiosa ove “da elementi oggettivi e verificabili da parte di terzi ri-sulti che, pur in presenza di motivazioni di natura fiscale, la controllata è realmente im-piantata nello Stato di stabilimento e ivi esercita attività economiche effettive” (cfr. sen-tenza Cadbury-Schweppes, punto 75). 9.4.4 Il ruling internazionale Il ruling internazionale introduce nel nostro ordinamento tributario la possibilità per i contribuenti di concludere accordi preventivi con l’Amministrazione finanziaria in merito alla qualificazione giuridica di determinate fattispecie tributarie; la relativa disciplina è contenuta nell’art. 8, d.l. 30 settembre 2003, n. 269. Si tratta di una procedura d’interpello, detta anche «procedura di ruling», aggiuntiva ri-spetto a quelle fin qui analizzate. Essa si conclude con la stipula di un accordo tra im-prese con attività internazionale e il competente ufficio dell’Agenzia delle entrate e ri-guarda, in particolare, il regime di: prezzi di trasferimento; interessi; dividendi; royalties. L’accordo vincola le parti per il periodo d’imposta nel corso del quale è stipulato e per i due periodi di imposta successivi «salvo che intervengano mutamenti nelle circostanze di fatto o di diritto [...] risultanti dall’accordo sottoscritto dai contribuenti» (art. 8, com-ma 2, d.l. n. 269/2003). Per «competente ufficio dell’Agenzia delle entrate» deve intendersi l’«Ufficio ruling inter-nazionale della Direzione centrale accertamento» a cui va indirizzata l’istanza di inter-pello presentata a mezzo posta, in plico raccomandato con avviso di ricevimento. Gli elementi dell’istanza, previsti a pena di inammissibilità, sono: 1) i dati identificativi dell’impresa: denominazione, sede legale o domicilio fiscale, codi-

ce fiscale o partita Iva, eventualmente l’indicazione del domiciliatario nazionale per la procedura, presso il quale si richiede di inoltrare le comunicazioni. In caso di i-stanza presentata da impresa non residente, dovranno altresì essere indicati l’indirizzo della stabile organizzazione nel territorio dello Stato, le generalità e l’indirizzo in Italia del rappresentante per i rapporti tributari di cui all’art. 4, comma 2,

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d.P.R. n. 600/1973, che salvo diversa indicazione, sarà identificato quale domicilia-tario nazionale per la procedura;

2) la documentazione idonea a comprovare il possesso dei requisiti di una «impresa con attività internazionale»;

3) l’indicazione dell’oggetto del ruling; 4) la sottoscrizione del legale rappresentante o di altra persona munita dei poteri di

rappresentanza. Entro 30 giorni dal ricevimento dell’istanza, l’Ufficio competente può trovarsi nella con-dizione di dover comunicare al contribuente: l’inammissibilità dell’istanza, qualora ravvisi la mancanza di uno dei quattro elementi

sopra esposti; oppure la necessità di porre in essere un’ulteriore attività istruttoria, quando sia ne-

cessario desumere la sussistenza dei requisiti di «impresa con attività internaziona-le», verificare la completezza delle informazioni fornite o anche richiedere ulteriore documentazione. A tale scopo, i funzionari dell’Agenzia possono anche eseguire accessi presso la sede dell’impresa. Il termine dei 30 giorni è sospeso fino al com-pletamento dell’istruttoria.

Nel caso in cui non si ravvisi da parte dell’Agenzia la necessità di questi adempimenti, oppure successivamente al completamento dell’ulteriore attività istruttoria, si notifica l’invito a comparire, al fine di istaurare il contraddittorio. In ogni caso, la procedura va conclusa entro 180 giorni dalla presentazione dell’istanza. L’accordo conclusivo, con cui si perfeziona il procedimento di interpello, vincola le parti per tre periodi di imposta, vale a dire quello durante il quale è sottoscritto l’accordo e i due periodi successivi, «salvo che intervengano mutamenti nelle circostanze di fatto o di diritto rilevanti al fine delle predette metodologie e risultanti dall’accordo sottoscritto dai contribuenti». È tuttavia possibile il rinnovo dell’accordo, con richiesta da parte dell’impresa da effet-tuarsi almeno 90 giorni prima della scadenza; dal canto suo l’ufficio dell’Agenzia delle Entrate, almeno 15 giorni prima della scadenza dell’accordo, dovrà comunicare il pro-prio assenso oppure rigettare la richiesta di rinnovo con provvedimento motivato. 9.5 Quesiti D: Quali sono le differenze tra l’interpello ordinario e gli altri tipi di interpello? R: L’interpello ordinario rappresenta lo strumento principale, valido per la generalità dei contribuenti, attraverso il quale l’Agenzia esplica l’attività interpretativa e di consulenza applicata a singoli casi concreti e relativa a tutti i tributi di sua competenza. L’interpello antielusivo può riguardare invece solo alcune specifiche operazioni che potrebbe-ro essere considerate elusive; esso ha come effetto tipico l’inversione dell’onere della prova a carico del contribuente che non si è conformato al parere reso dall’Amministrazione.

Capitolo 9 – L’interpello

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Infine, l’interpello disapplicativo, previsto dall’articolo 37-bis, comma 8, D.P.R. n.600/73, laddove il contribuente dimostri che, nella fattispecie prospettata, gli ef-fetti elusivi non possono verificarsi, attribuisce al Direttore regionale il potere di di-sapplicare disposizioni di carattere tributario che limitano deduzioni, detrazioni e crediti di imposta a scopo antielusivo. D: L’interpello ha rilevanza sul piano penale? R: L’interpello ordinario ha rilevanza penale. Ai sensi del d.lgs. n. 74/2000, che discipli-na i reati in materia di imposte dirette e di imposta sul valore aggiunto, non sono infatti punibili i soggetti che, avvalendosi della procedura di interpello, si sono uniformati al parere dell’Amministrazione. D: Quando le istanze di interpello sono assolutamente inammissibili? R: Come stabilito dalla circ. min. 16 maggio 2005, n. 23 e ribadito dalla circ. min. 14 giu-gno 2010 n. 32, sono considerate cause di inammissibilità assoluta: la reiterazione delle domande di interpello alle quali l’Amministrazione ha già fornito

risposte in precedenza; la mancanza di procura per le istanze presentate da un professionista; le questioni generali e astratte, le istanze non preventive che seguono a rilievi già

formalizzati dagli organi di controllo.

Capitolo 10 – Il reclamo e la mediazione

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10. Il reclamo e la mediazione Giovambattista Palumbo

10.1 Profili 10.1.1 La disciplina Per le controversie di valore non superiore a ventimila euro, relative ad atti dell’Agenzia delle Entrate, notificati a decorrere dal 1° aprile 2012, è stato recentemente introdotto un rimedio da esperire in via preliminare ogni qualvolta si intenda presentare un ricorso, pena l’inammissibilità dello stesso. Si tratta di uno strumento deflativo del contenzioso, con il quale si prevede la presenta-zione obbligatoria di un’istanza che anticipa il contenuto del ricorso. È facoltà del contribuente inserire nell’istanza anche una proposta di mediazione. Il nuovo istituto, denominato mediazione tributaria, non determina, dunque, un più gra-voso esercizio dell’azione in giudizio per il contribuente, dal momento che, in caso di mancata conclusione positiva della fase amministrativa, la norma considera l’azione giudiziaria già esercitata, richiedendo al contribuente, per l’attivazione del contenzioso, esclusivamente l’ordinario onere della costituzione in giudizio innanzi alla Commissione tributaria provinciale. La procedura di mediazione deve ritenersi sostanzialmente finalizzata a evitare il “rinvio” ai giudici tributari delle contestazioni che possono essere risolte in sede amministrativa, attraverso un esame volto ad anticipare l’esito ragionevolmente atteso del giudizio, te-nuto conto della situazione di fatto e di diritto sottesa alla singola fattispecie. A differenza dell’accertamento con adesione (e della conciliazione), peraltro, la media-zione non è limitata agli avvisi di accertamento, ma attiene a tutti gli atti impugnabili provenienti dall’attività dell’Agenzia delle Entrate, compresi quindi i dinieghi di rimborso e le iscrizioni a ruolo. Inoltre, nel procedimento di mediazione, le valutazioni dell’Ufficio in merito all’istanza proposta dal contribuente devono fondarsi, per espressa disposizione del comma 8 dell’art. 17-bis del d.lgs. n. 546 del 1992, su tre criteri specifici, consistenti nella “even-tuale incertezza delle questioni controverse”, nel “grado di sostenibilità della pretesa” e nel “principio di economicità dell’azione amministrativa”. Il procedimento di mediazione avvia dunque una nuova fase amministrativa, i cui esiti e i cui riflessi attengono anche al trattamento sanzionatorio, dato che, a seguito dell’accordo di mediazione, compete al contribuente il beneficio della riduzione delle sanzioni al quaranta per cento. Per le controversie di valore non superiore a ventimila euro, il nuovo istituto è comun-que alternativo alla conciliazione giudiziale prevista dall’art. 48 del d.lgs. n. 546 del 1992.

Capitolo 10 – Il reclamo e la mediazione

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Pertanto, la mediazione, sebbene riferita alla fase amministrativa, sostituisce la conci-liazione, assorbendone la funzione. La tipologia di atto impugnato Il comma 1 dell’art. 17-bis del d.lgs. n. 546 del 1992 dispone l’applicazione del nuovo istituto alle controversie aventi ad oggetto gli “atti emessi dall’Agenzia delle Entrate”. Il successivo comma 6 stabilisce che “Per il procedimento si applicano le disposizioni di cui agli artt. 12, 18, 19, 20, 21 e al comma 4 dell’art. 22, in quanto compatibili”. Dal combinato disposto delle norme sopra citate emerge dunque che il contribuente deve esperire la fase amministrativa ogni qual volta intenda impugnare uno degli atti individuati dall’art. 19 del d.lgs. n. 546 del 1992, emesso dall’Agenzia delle Entrate, e il valore della controversia non sia superiore a ventimila euro. Ne deriva che sono oggetto di mediazione le controversie relative a: avviso di accertamento; avviso di liquidazione; provvedimento che irroga le sanzioni; ruolo; rifiuto espresso o tacito della restituzione di tributi, sanzioni pecuniarie e interessi o

altri accessori non dovuti; diniego o revoca di agevolazioni o rigetto di domande di definizione agevolata di

rapporti tributari; ogni altro atto emanato dall’Agenzia delle entrate, per il quale la legge preveda

l’autonoma impugnabilità innanzi alle Commissioni tributarie. È oggetto di mediazione anche il rifiuto tacito della restituzione di tributi, sanzioni pecu-niarie e interessi o altri accessori non dovuti. Si ritiene, infine, che trovi applicazione al procedimento di mediazione anche il disposto dell’art. 19, comma 3 del d.lgs. n. 546 del 1992, in base al quale “La mancata notifica-zione di atti autonomamente impugnabili, adottati precedentemente all’atto notificato, ne consente l’impugnazione unitamente a quest’ultimo”. Ciò comporta che il contribuente, qualora intenda impugnare, con il ricorso, anche un atto presupposto adottato dall’Agenzia delle Entrate, del quale affermi la mancata prece-dente notificazione, è tenuto ad osservare preliminarmente la disciplina introdotta dall’art. 17-bis del d.lgs. n. 546 del 1992 e, quindi, a presentare l’istanza di mediazione. Gli atti non riconducibili all’attività dell’Agenzia delle Entrate Non sono, invece, oggetto di mediazione le controversie concernenti gli altri atti elen-cati dall’art. 19 del d.lgs. n. 546 del 1992, i quali, pur essendo impugnabili innanzi alle Commissioni tributarie, non sono emessi dall’Agenzia delle Entrate e, di norma, non sono riconducibili all’attività della stessa.

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Si tratta, più precisamente, dei seguenti atti: cartella di pagamento; avviso di mora di cui alla lett. e) dell’art. 19, comma 1 del d.lgs. n. 546 del 1992;

peraltro, tale atto è stato soppresso e sostituito dall’avviso di intimazione di cui all’art. 50, comma 2, del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 602;

iscrizione di ipoteca sugli immobili di cui all’art. 77 del d.P.R. n. 602 del 1973, previ-sta dalla lett. e-bis) del medesimo art. 19, comma 1, del d.lgs. n. 546 del 1992;

fermo di beni mobili registrati, di cui all’art. 86 del d.P.R. n. 602 del 1973, elencato sub lett. e-ter) dell’art. 19, comma 1;

atti relativi alle operazioni catastali, indicate nell’art. 2, comma 3, del d.lgs. n. 546 del 1992.

Il comma 4 dell’art. 17-bis del d.lgs. n. 546 del 1992 statuisce poi che “Il presente arti-colo non si applica alle controversie di cui all’art. 47-bis”. Il legislatore ha quindi escluso espressamente dalla mediazione le controversie concer-nenti il recupero di aiuti di Stato dichiarati incompatibili, in esecuzione di una decisione adottata dalla Commissione europea, ai sensi dell’art. 14 del regolamento (CE) n. 659/1999 del Consiglio del 22 marzo 1999. Pertanto, sono escluse dalla mediazione tutte le controversie aventi ad oggetto il recu-pero degli aiuti di Stato illegittimi, indipendentemente dalla tipologia di atto inerente al caso di specie (ad esempio, atto di recupero, avviso di accertamento, cartella di pa-gamento), nonché i relativi interessi e sanzioni. L’Agenzia delle Entrate quale parte del giudizio Il comma 1 dell’art. 17-bis del d.lgs. n. 546 del 1992, come detto, trova applicazione limitatamente alle controversie concernenti atti emessi dall’Agenzia delle Entrate. Di conseguenza, tra i requisiti posti dalla norma in commento vi è la legittimazione pro-cessuale passiva dell’Agenzia delle Entrate nell’eventuale, successivo, processo. Il problema si pone con particolare riguardo alle controversie relative agli atti emessi dall’Agente della riscossione, quale, ad esempio, la cartella di pagamento, che, di nor-ma, non rientra tra gli atti per i quali l’art. 17-bis prevede la fase di mediazione. In particolare: a) se il contribuente solleva contestazioni attinenti esclusivamente a vizi propri della

cartella di pagamento, quali, ad esempio, le eccezioni relative alla ritualità della noti-fica, la controversia non può essere oggetto di mediazione;

b) nel caso in cui impugni la cartella di pagamento sollevando vizi riconducibili solo all’attività dell’Agenzia delle Entrate e la relativa controversia sia di valore non supe-riore a ventimila euro, il contribuente deve preventivamente esperire il procedimento di mediazione;

c) qualora il contribuente, in sede di impugnazione della cartella di pagamento, formuli eccezioni relative sia all’attività svolta dall’Agenzia sia a quella dell’Agente della ri-scossione, si possono verificare le seguenti ipotesi:

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c.1) Il contribuente notifica il ricorso solo all’Agente della riscossione In questo caso, l’Agente della riscossione ha l’onere di chiamare in causa l’Agenzia delle Entrate. Intervenendo in giudizio, l’Agenzia delle Entrate eccepirà peraltro, limitatamente alle contestazioni sollevate in relazione alla sua attività, l’inammissibilità del ricor-so ai sensi dell’art. 17-bis, comma 2, del d.lgs. n. 546 del 1992, in base al quale “La presentazione del reclamo (i.e. istanza di mediazione) è condizione di am-missibilità del ricorso”. L’Agente della riscossione svolgerà invece la propria dife-sa per quanto concerne i vizi propri della cartella di pagamento, riconducibili quindi alla propria attività, non operando rispetto a questi la previsione di inam-missibilità di cui all’art. 17-bis, comma 2 del d.lgs. n. 546 del 1992;

c.2) Il contribuente avvia la fase di mediazione nei confronti dell’Agenzia, senza no-tificare il ricorso all’Agente della riscossione In tale ipotesi, in caso di mancata conclusione favorevole della mediazione, il contribuente potrà valutare l’eventuale prosecuzione del contenzioso;

c.3) Il contribuente notifica il ricorso all’Agente della riscossione e contestualmente avvia la fase di mediazione con l’Agenzia delle Entrate Anche in tal caso trova applicazione il procedimento di cui all’art. 17-bis del d.lgs. n. 546 del 1992.

Il valore della controversia Il nuovo istituto, come detto, trova applicazione con riferimento alle controversie di va-lore non superiore a ventimila euro. Ai sensi del comma 3 dell’art. 17-bis del d.lgs. n. 546 del 1992, il valore della contro-versia “è determinato secondo le disposizioni di cui al comma 5 dell’art. 12”. Nella specie, il secondo periodo del predetto art. 12, comma 5, del d.lgs. n. 546 del 1992 dispone che “Per valore della lite si intende l'importo del tributo al netto degli in-teressi e delle eventuali sanzioni irrogate con l’atto impugnato; in caso di controversie relative esclusivamente alle irrogazioni di sanzioni, il valore è costituito dalla somma di queste”. Dato che il processo tributario è strutturato secondo le regole proprie del processo im-pugnatorio il valore della controversia va comunque determinato con riferimento a cia-scun atto impugnato ed è dato dall’importo del tributo concretamente contestato dal contribuente con il ricorso, al netto degli interessi e delle eventuali sanzioni irrogate. In caso di atto di irrogazione delle sanzioni, ovvero di impugnazione delle sole sanzioni, il valore della controversia è invece costituito dalla somma delle sanzioni contestate. Da ciò deriva che: qualora un atto si riferisca a più tributi (per esempio, Irpef e Irap ovvero imposta di

registro, ipotecaria e catastale) il valore deve essere calcolato con riferimento al to-tale delle imposte che hanno formato oggetto di contestazione da parte del contri-buente;

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in presenza di impugnazione cumulativa avverso una pluralità di atti, la necessità di uno specifico e concreto nesso tra l’atto impositivo oggetto dell’istanza di media-zione e le contestazioni formulate dal contribuente, richiesto dall’art. 19 del d.lgs. n. 546 del 1992, impone di individuare il valore della lite con riferimento a ciascun atto impugnato con il ricorso cumulativo.

Relativamente alle controversie aventi ad oggetto il rifiuto espresso o tacito alla restitu-zione di tributi, il valore della controversia va invece determinato tenendo conto dell’importo del tributo richiesto a rimborso, al netto degli accessori. Nel caso in cui l’istanza di rimborso riguardi più periodi d’imposta, occorre fare riferi-mento al singolo rapporto tributario sottostante al singolo periodo d’imposta. Pertanto, in tali ipotesi il valore della lite è dato dall’importo del tributo richiesto a rimborso per singolo periodo di imposta. Ad esempio, se con una determinata istanza si richiede il rimborso di tributi afferenti a più periodi d’imposta e per uno solo di essi l’importo richiesto a rimborso non supera i ventimila euro, per quest’ultimo il contribuente deve presentare istanza di mediazione prima della eventuale instaurazione del giudizio. La rettifica delle perdite In ipotesi di avviso di accertamento che si limiti a ridurre o ad azzerare la perdita dichia-rata (senza accertamento di un reddito), il valore è invece determinato sulla base della sola imposta “virtuale”, che si ottiene applicando le aliquote vigenti per il periodo d’imposta oggetto di accertamento all’importo risultante dalla differenza tra la perdita dichiarata, utilizzata e/o riportabile e quella accertata. Qualora, a seguito della rettifica della perdita, l’avviso di accertamento rechi anche un imponibile, o, comunque, un’imposta dovuta, il valore è, invece, dato dall’importo risul-tante dalla somma dell’imposta “virtuale”, come prima calcolata, e dell’imposta com-misurata al reddito accertato. In caso di accertamento che rettifica in aumento l’imposta dovuta da persona fisica che aveva utilizzato una perdita d’impresa per ridurre altri redditi, il valore della lite è dato dalla maggiore imposta accertata e dalla imposta “virtuale” relativa alla eventuale parte di perdita riportabile. Per una più puntuale comprensione delle modalità di calcolo del valore della lite in caso di rettifica di perdite, si riportano i seguenti esempi: A) Avviso di accertamento con riduzione della perdita dichiarata nel 2008 da una socie-tà di capitali: Perdita dichiarata Perdita accertata Differenza Valore della lite - 50.000 - 10.000 40.000 11.000

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B) Avviso di accertamento con recupero della perdita dichiarata nel 2008 da una socie-tà di capitali ed individuazione di reddito imponibile: Perdita Reddito imponibile Imposta Valore della lite Dichiarato - 50.000 0 0 Accertato 0 10.000 2.750 16.500

C) Avviso di accertamento con recupero della perdita dichiarata nel 2010 da una per-sona fisica con altri redditi compensabili (“orizzontalmente”) ed individuazione di reddito imponibile: Perdita Altri redditi

compensabili Reddito complessivo

Reddito imponibile

Imposta Valore della lite

Dichiarato - 10.000 20.000 10.000 10.000 2.300 Accertato 0 20.000 20.000 20.000 4.800 2.500

D) Avviso di accertamento con recupero della perdita non riportabile dichiarata nel 2010 da una persona fisica con altri redditi compensabili (“orizzontalmente”) ed indivi-duazione di reddito imponibile: Perdita Altri redditi Reddito complessivo Reddito imponibile Impo-

sta Valore della lite

Dichiarato - 30.000 10.000 - 20.000 0 0 Accertato 0 10.000 10.000 10.000 2.300 2.300

E) Avviso di accertamento con recupero della perdita riportabile dichiarata nel 2010 da una persona fisica con altri redditi compensabili ed individuazione di reddito imponibile: Perdita Altri redditi Reddito complessi-

vo Reddito imponibile Impo-

sta Valore della lite

Dichiarato - 30.000 10.000 0 0 0 Accertato 0 10.000 10.000 10.000 2.300 7.720

Le controversie di valore indeterminabile Poiché l’art. 17-bis richiede che la controversia sia contraddistinta da un valore espressamente individuato, restano escluse dalla fase di mediazione le fattispecie di valore indeterminabile, quali, ad esempio, quelle relative ai provvedimenti di diniego di iscrizione e di cancellazione dall’Anagrafe unica delle Onlus oppure quelle concernenti esclusivamente la spettanza di un’agevolazione.

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I contributi previdenziali e assistenziali La mediazione produce effetti anche sui contributi previdenziali e assistenziali, in quan-to la loro base imponibile è riconducibile a quella delle imposte sui redditi. Si tratta, in particolare, dei casi in cui la mediazione riguardi avvisi di accertamento o iscrizioni a ruolo conseguenti a liquidazione o controllo formale delle dichiarazioni. In tal caso, il valore della lite va determinato al netto dei contributi accertati. L’atto di mediazione deve quindi indicare anche i contributi ricalcolati sulla base del reddito imponibile determinato nell’atto stesso. L’entrata in vigore Ai sensi del comma 11 dell’art. 39 del DL n. 98 del 2011, il nuovo istituto trova applica-zione con riferimento “agli atti suscettibili di reclamo notificati a decorrere dal 1° aprile 2012”. Per atti notificati dal 1° aprile 2012 si intendono gli atti ricevuti dal contribuente a de-correre da tale data. In merito alle controversie aventi ad oggetto il rifiuto tacito alla restituzione di tributi, sanzioni pecuniarie e interessi o altri accessori non dovuti occorre precisare quanto segue. Ai sensi del comma 2 dell’art. 21 del d.lgs. n. 546 del 1992, “Il ricorso avverso il rifiuto tacito della restituzione di cui all’art. 19, comma 1, lettera g), può essere proposto dopo il novantesimo giorno dalla domanda di restituzione presentata entro i termini previsti da ciascuna legge d’imposta e fino a quando il diritto alla restituzione non è prescritto”. In altri termini, nelle ipotesi di rifiuto tacito, il ricorso giurisdizionale non può essere pro-posto prima del decorso di novanta giorni dalla data di presentazione della domanda di restituzione. In osservanza del disposto normativo sopra richiamato, la nuova procedura di media-zione trova applicazione con riferimento alle fattispecie di rifiuto tacito per le quali, alla data del 1° aprile 2012, non siano decorsi novanta giorni dalla data di presentazione dell’istanza di rimborso. Per converso, l’art. 17-bis del d.lgs. n. 546 del 1992 non si applica alle controversie riguardanti i rifiuti taciti per i quali, alla data del 31 marzo 2012, sia già decorso il termi-ne di novanta giorni dalla presentazione della relativa istanza. In sostanza la procedura di mediazione sarà esperibile per le domande di rimborso presentate dopo il primo gennaio 2012. 10.1.2 L’istanza di mediazione Con l’istanza proposta ai sensi dell’art. 17-bis, il contribuente, oltre a sottoporre in via preventiva alla competente struttura dell’Agenzia delle Entrate i motivi per i quali inten-de chiedere al Giudice tributario l’annullamento, totale o parziale, dell’atto, può anche formulare una motivata proposta di mediazione, completa della rideterminazione dell’ammontare della pretesa (art. 17-bis, commi 1 e 7 del d.lgs. n. 546 del 1992).

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Visto lo stretto nesso tra l’istanza di mediazione e il ricorso giurisdizionale, vi è perfetta coincidenza tra la legittimazione processuale attiva nel giudizio tributario e la legittima-zione a presentare l’istanza di cui all’art. 17-bis. Ciò comporta che l’istanza può essere alternativamente presentata: dal contribuente che ha la capacità di stare in giudizio, sia direttamente sia a mezzo

di procuratore generale o speciale; la procura va conferita con atto pubblico o per scrittura privata autenticata;

dal rappresentante legale del contribuente che non ha la capacità di stare in giudizio. dal difensore, nelle controversie di valore pari o superiore a 2.582,28 euro. Sono mediabili inoltre anche le liti concernenti controlli ai fini delle imposte sui redditi di società di persone e dei soci, con riferimento alle quali, in giudizio, si configura un’ipotesi di litisconsorzio necessario. Nella fase di mediazione i rapporti vanno considerati autonomi e indipendenti (a con-ferma della soluzione già prospettata nell’ipotesi di conciliazione). Ciò significa che la società può concludere la mediazione autonomamente rispetto ai soci. A loro volta i soci: possono concludere la mediazione tenendo conto di quella conclusa dalla società; possono concludere autonomamente la mediazione in relazione al proprio rapporto

anche se la società non ha mediato in ordine al proprio; possono costituirsi in giudizio dopo aver infruttuosamente esperito la fase ammini-

strativa della mediazione relativa al proprio reddito; possono presentare direttamente ricorso al Giudice tributario se il valore della lite

relativa ai loro redditi è superiore a ventimila euro. Anche le liti nelle quali sono coinvolti più soggetti legati ex lege da un vincolo di solida-rietà sono mediabili. In questo caso, naturalmente, la mediazione perfezionata con uno o più dei coobbligati estingue l’obbligazione tributaria per tutti gli altri. Il contenuto dell’istanza Come detto, a seguito dell’infruttuoso decorso della fase di mediazione, l’istanza pro-duce gli effetti del ricorso giurisdizionale. Ciò comporta, peraltro, che: i motivi esposti nell’istanza devono coincidere integralmente con quelli del ricorso, a

pena di inammissibilità; né è consentito integrare (successivamente all’introduzione del giudizio) i motivi del ricorso;

il ricorso depositato nella segreteria della Commissione tributaria provinciale deve essere conforme a quello consegnato o spedito alla Direzione con l’istanza di me-diazione, a pena di inammissibilità dello stesso.

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Nell’istanza devono essere comunque indicati: 1) la Direzione nei cui confronti è avviato il procedimento amministrativo in esame, cui

spetta la legittimazione in giudizio ai sensi dell’art. 10 del d.lgs. n. 546 del 1992, ossia alla struttura “che ha emanato l’atto impugnato o non ha emanato l’atto richiesto”;

2) il contribuente e il suo legale rappresentante, la relativa residenza o sede legale o il domicilio eventualmente eletto nel territorio dello Stato, nonché il codice fiscale e l’eventuale indirizzo di posta elettronica certificata (PEC);

3) l’atto impugnato e l’oggetto dell’istanza; 4) i motivi. Nell’istanza può essere formulata una motivata proposta di mediazione, completa della rideterminazione dell’ammontare della pretesa. Nell’istanza va indicato anche il domicilio presso il quale il contribuente intende ricevere le comunicazioni relative al procedimento, quali, ad esempio, l’accoglimento dell’istanza o il diniego. In assenza di elezione di domicilio, le comunicazioni sono effet-tuate presso la residenza o la sede legale del contribuente. Si reputa ammissibile la redazione di un’unica istanza allo scopo di avviare il procedi-mento di mediazione con riguardo a più atti impugnabili, in modo speculare alla reda-zione di un ricorso cumulativo. In tal caso, tuttavia, si instaurano, per ciascuno degli atti impugnati, separati procedi-menti, non trovando applicazione l’art. 29 del d.lgs. n. 546 del 1992, che disciplina la riunione dei giudizi. In calce all’istanza potrà infine essere richiesta la sospensione della riscossione. La procedura di mediazione è sostanzialmente finalizzata a valutare le concrete possi-bilità di evitare il contenzioso. Sussiste quindi l’esigenza, per l’Ufficio, di effettuare un preliminare esame dei motivi di impugnazione dell’atto nonché dei documenti che l’istante intende produrre in giudizio perché ritenuti idonei a dimostrare la fondatezza del ricorso. All’istanza predisposta nei termini illustrati, il contribuente dovrà dunque allegare: copia dell’atto impugnato; copia di tutti i documenti che, in caso di esito negativo del procedimento di media-

zione e di eventuale costituzione in giudizio, il contribuente intenderebbe allegare al ricorso e depositare presso la segreteria della Commissione tributaria provinciale, con il proprio fascicolo di causa, per provare in giudizio la fondatezza delle eccezio-ni sollevate avverso l’atto impugnato.

La mancata allegazione di atti o documenti già in possesso dell’Ufficio non costituisce motivo di rigetto dell’istanza. La mancata allegazione di atti o documenti non in possesso dell’Ufficio potrebbe però rendere l’istanza incompleta (e non conforme quindi al ricorso, completo di allegati, e-ventualmente depositato in Commissione al termine del procedimento), allorché tali atti o documenti siano dimostrativi di fatti rilevanti ai fini della compiuta e corretta disamina delle ragioni addotte dal contribuente.

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La notifica La notifica dell’istanza nei confronti dell’Ufficio che ha emanato l’atto deve essere effet-tuata secondo una delle seguenti modalità: a mezzo di ufficiale giudiziario, con le modalità previste dall’art. 137 e seguenti del

codice di procedura civile; mediante consegna diretta all’Ufficio dell’Agenzia delle entrate, che ne rilascia rice-

vuta; direttamente a mezzo del servizio postale, mediante spedizione dell’istanza in plico

senza busta raccomandato con avviso di ricevimento, sul quale non sono apposti segni o indicazioni dai quali possa desumersi il contenuto dell’atto.

Si ricorda infine che, nelle ipotesi di spedizione a mezzo del servizio postale, la notifica-zione dell’istanza, al pari della notificazione del ricorso, si considera effettuata – ai fini del computo del termine di sessanta giorni utile per l’impugnazione dell’atto - alla data di spedizione tramite servizio postale della medesima istanza e non a quella di ricezione da parte della Direzione (cfr. art. 16, comma 5, del d.lgs. n. 546 del 1992). L’istanza di mediazione va presentata alla Direzione che ha emanato l’atto impugnato o non ha emanato l’atto richiesto. In relazione agli atti emanati dal Centro operativo di Pescara occorre individuare la struttura territoriale dell’Agenzia cui spettano le attribuzioni sul rapporto tributario con-troverso. In sostanza: per il contenzioso relativo agli atti emessi dal Centro operativo di Pescara nello

svolgimento delle attività di controllo e di accertamento di cui all’art. 28 del DL n. 78 del 2010, è parte nel processo innanzi alle Commissioni tributarie (e quindi compe-tente a ricevere l’istanza di mediazione) la Direzione alla quale spettano le attribu-zioni sul tributo controverso;

di contro, per il contenzioso che deriva dallo svolgimento di tutte le altre attività at-tribuite al Centro operativo di Pescara, è esso parte nel processo innanzi alle Com-missioni tributarie.

I termini di presentazione L’istanza va notificata: a pena di inammissibilità, entro sessanta giorni dalla data di notificazione dell’atto

che il contribuente intende impugnare; nel caso di rifiuto tacito opposto a una domanda di rimborso, l’istanza può essere

proposta dopo il novantesimo giorno dalla domanda di rimborso presentata entro i termini previsti da ciascuna legge d’imposta e fino a quando il diritto alla restituzione non è prescritto (cfr. art. 21, comma 2 del d.lgs. n. 546 del 1992).

Ai sensi del comma 3 dell’art. 6 del decreto legislativo 19 giugno 1997, n. 218, in caso di presentazione di istanza di accertamento con adesione il termine per la proposizione dell’eventuale, successiva istanza di mediazione è sospeso per un periodo di novanta

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giorni dalla data di presentazione da parte del contribuente dell’istanza di accertamen-to con adesione. Al termine di proposizione dell’istanza di mediazione si applicano inoltre le disposizioni sulla sospensione dei termini processuali nel periodo feriale, di cui alla legge 7 ottobre 1969, n. 742, stante lo stretto nesso tra la presentazione dell’istanza e la proposizione del ricorso giurisdizionale, nonché il richiamo espresso all’applicabilità dell’art. 21 del d.lgs. n. 546 del 1992. La sospensione di diritto dal 1° agosto al 15 settembre non trova, invece, applicazione nel corso della procedura di mediazione vera e propria, di cui ai commi 7 e seguenti del citato art. 17-bis, che deve pertanto concludersi comunque nel termine di novanta giorni, trattandosi di una fase amministrativa e non processuale. Litisconsorzio e solidarietà In caso di accertamenti a carico di società di persone e soci: In sede processuale litisconsorzio necessario Nel procedimento di mediazione le posizioni della società e dei soci sono invece

autonome e indipendenti La società può quindi concludere la mediazione autonomamente rispetto ai soci. Se la società conclude la mediazione, i soci possono: concludere la mediazione tenendo conto di quella conclusa dalla società; concludere la mediazione autonomamente anche se la società non ha mediato; costituirsi in giudizio dopo aver infruttuosamente esperito la fase amministrativa del-

la mediazione che li riguarda presentare direttamente ricorso al Giudice tributario qualora l’accertamento esprima

un valore superiore a € 20.000 L’eventuale caducazione o riduzione, per annullamento parziale o mediazione, della pretesa riguardante la società produce comunque effetti sull’accertamento dei soci an-che se non mediano o non rientrano nell’ambito di applicazione della mediazione. A tal fine l’Ufficio competente per società e soci, gestisce e conclude i procedimenti in modo coordinato nei confronti di tutti gli istanti. Se l’Ufficio competente nei confronti della società non è competente nei confronti di uno o più soci, ciascun Ufficio gestisce la mediazione per gli atti di propria competen-za, ma coordina l’Ufficio competente per la società. In caso di obbligazioni solidali, l’Ufficio legale invita al contraddittorio, se lo ritiene op-portuno, tutti i soggetti obbligati solidalmente. La mediazione può essere comunque conclusa anche da uno solo di essi. La mediazione conclusa con uno dei soggetti coobbligati estingue l’obbligazione tribu-taria per tutti i condebitori.

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10.2 Fonti Normativa Art. 17-bis del d.lgs. n. 546/1992 Articolo 39, comma 9, del decreto legge 6 luglio 2011, n. 989 Prassi Circolare n. 9 del 19 marzo 2012

10.3 Effetti 10.3.1 Gli effetti della presentazione dell’istanza La notifica dell’istanza di mediazione alla Direzione produce innanzitutto l’effetto di in-terrompere il decorso del termine di decadenza per l’impugnazione dell’atto. Il comma 9 dell’art. 17-bis del d.lgs. n. 546 del 1992 stabilisce poi che “Decorsi novan-ta giorni senza che sia stato notificato l’accoglimento del reclamo o senza che sia stata conclusa la mediazione, il reclamo produce gli effetti del ricorso. I termini di cui agli artt. 22 e 23 decorrono dalla predetta data. Se l’Agenzia delle entrate respinge il reclamo in data antecedente, i predetti termini decorrono dal ricevimento del diniego. In caso di accoglimento parziale del reclamo, i predetti termini decorrono dalla notificazione dell’atto di accoglimento parziale”. Per espresso disposto normativo, quindi, l’istanza proposta ai sensi dell’art. 17-bis produce gli effetti del ricorso, con la conseguenza che la notificazione dell’istanza equi-vale alla notificazione del ricorso e che il termine di trenta giorni, stabilito dall’art. 22 del d.lgs. n. 546 del 1992 per instaurare la controversia innanzi alla Commissione tributaria provinciale mediante il deposito del ricorso va calcolato a partire dal giorno successivo: a quello di compimento dei novanta giorni dal ricevimento dell’istanza da parte della

Direzione, senza che sia stato notificato il provvedimento di accoglimento della stessa ovvero senza che sia stato formalizzato l’accordo di mediazione;

a quello di comunicazione del provvedimento con il quale l’Ufficio respinge l’istanza prima del decorso dei predetti novanta giorni;

a quello di comunicazione del provvedimento con il quale l’Ufficio, prima del decor-so di novanta giorni, accoglie parzialmente l’istanza.

Nel caso in cui il contribuente riceva comunicazione del provvedimento dopo la sca-denza del novantesimo giorno, il termine di trenta giorni per la costituzione in giudizio decorre comunque dal giorno successivo a quello di compimento dei novanta giorni.

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La sospensione della riscossione La presentazione dell’istanza, così come la proposizione del ricorso giurisdizionale, non comporta la sospensione automatica dell’esecuzione dell’atto impugnato. Del resto la sospensione giudiziale dell’esecuzione ai sensi dell’art. 47 del d.lgs. n. 546 del 1992 può essere richiesta alla Commissione tributaria provinciale solo in pendenza di controversia giurisdizionale e quindi l’istanza di sospensione giudiziale non può esse-re proposta prima della conclusione della fase di mediazione. In ogni caso, ai sensi dell’art. 2-quater, comma 1-bis del decreto-legge 30 settembre 1994, n. 564, convertito con modificazioni dalla legge 30 novembre 1994, n. 656, “Nel potere di annullamento o di revoca di cui al comma 1 deve intendersi compreso anche il potere di disporre la sospensione degli effetti dell’atto che appaia illegittimo o infondato”. Secondo quanto indicato dall’Agenzia nella Circolare, in ogni caso, “stante la funzione cui è preordinato il procedimento di mediazione, si ritiene possibile e opportuno, al fine di garantire un’adeguata tutela del contribuente, estendere l’applicabilità del citato art. 2-quater, comma 1-bis del DL n. 564 del 1994 alle fattispecie in esame”. In altri termini, anche nell’ambito del procedimento amministrativo disciplinato dall’art. 17-bis del d.lgs. n. 546 del 1992, per sua natura funzionale al riesame ed eventuale rideterminazione della pretesa, il contribuente può chiedere la sospensione degli effetti dell’atto e quando le eccezioni sollevate nell’istanza non appaiono infondate, la Dire-zione Provinciale può dunque concedere, su istanza formulata contestualmente all’atto introduttivo del procedimento di mediazione, ovvero separatamente, la formale so-spensione, in tutto o in parte, dell’esecuzione dell’atto in presenza del richiamato pre-supposto. Il periodo di sospensione degli effetti dell’atto non può comunque protrarsi oltre il tem-po necessario alla conclusione della fase di mediazione e all’eventuale esito negativo del procedimento di mediazione conseguirà ovviamente l’iscrizione a ruolo o l’affidamento del carico all’Agente della riscossione e l’immediata revoca della sospen-sione precedentemente concessa. La trattazione dell’istanza Successivamente alla presentazione dell’istanza, l’Ufficio: 1) in primo luogo esaminerà se sussistono i presupposti e i requisiti fissati dall’art. 17-

bis del d.lgs. n. 546 del 1992 per la presentazione dell’istanza; 2) verificherà quindi la fondatezza dei motivi in base ai quali l’istante contesta l’atto

impugnato, chiedendone l’annullamento totale o parziale ovvero chiedendo la ride-terminazione della pretesa;

3) se non sussistono i presupposti per un annullamento dell’atto impugnato, valuterà la proposta di mediazione eventualmente formulata dal contribuente;

4) in assenza di proposta formulata dal contribuente, l’Ufficio valuterà comunque la possibilità di pervenire a un accordo di mediazione; a tal fine, se del caso dopo aver invitato il contribuente al contraddittorio, potrà formulare – se ne ravvisa i presuppo-

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sti - una motivata proposta di mediazione, completa della rideterminazione della pretesa, ai sensi del comma 8 dell’art. 17-bis;

5) qualora non ravvisi i presupposti per la conclusione di una mediazione previa ride-terminazione della pretesa, l’Ufficio formulerà comunque una proposta di mediazio-ne che consenta al contribuente di accettare l’intero importo del tributo, accertato con l’atto impugnato, al solo fine di beneficiare della conseguente riduzione delle sanzioni irrogate;

6) in tutti gli altri casi, l’Ufficio provvederà al diniego. È comunque di ostacolo alla trattazione dell’istanza, in aggiunta alla tardiva presenta-zione della stessa, solo la carenza di quei requisiti, che impediscono di attribuire l’istanza al contribuente (esempio, mancanza di sottoscrizione), ovvero che non con-sentono di individuarne l’oggetto. Nei predetti casi l’Ufficio rigetterà l’istanza per assoluta inammissibilità. Ciò determinerà anche l’inammissibilità del ricorso eventualmente proposto. Anche nei casi di palese inammissibilità l’istanza può comunque essere trattata come una richiesta di autotutela. Nel caso in cui l’istanza sia improponibile in quanto la controversia non rientra nell’ambito di applicazione dell’art. 17-bis del d.lgs. n. 546 del 1992, i termini di costi-tuzione in giudizio si computano del resto nei modi ordinari previsti dall’art. 22 del me-desimo decreto. L’istanza è improponibile, ad esempio, in caso di impugnazioni: di valore superiore a ventimila euro; di valore indeterminabile; riguardanti attività dell’Agente della riscossione; riguardanti atti non impugnabili; di atti in cui non è legittimata passivamente l’Agenzia delle Entrate; di atti notificati prima del 1° aprile 2012; di rifiuti taciti di rimborso con riferimento ai quali alla data del 1° aprile 2012 siano

già decorsi novanta giorni dalla presentazione della domanda di rimborso; riguardanti recupero di aiuti di Stato; di provvedimenti emessi ai sensi dell’art. 21 (“Sanzioni accessorie”) del decreto legi-

slativo 18 dicembre 1997, n. 472; riguardanti istanze di cui all’art. 22 (“Ipoteca e sequestro conservativo”) del d.lgs. n.

472 del 1997, > del diniego della chiusura delle liti fiscali “minori” pendenti prevista dall’art. 39, comma 12 del DL n. 98 del 2011.

L’accoglimento dell’istanza Se le motivazioni dell’istanza giustificano l’annullamento dell’atto in via di autotutela, l’Ufficio porta a conoscenza del contribuente il provvedimento di accoglimento dell’istanza. Allo stesso modo l’Ufficio accoglie l’istanza del contribuente quando ritiene che i pre-supposti del rimborso richiesto siano sussistenti.

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L’accoglimento dell’istanza volta all’ottenimento del rimborso conseguente all’annullamento dell’atto o al riconoscimento del diritto al rimborso determina senz’altro il venir meno dell’interesse ad agire in giudizio e rende, pertanto, inammissi-bile l’eventuale ricorso giurisdizionale. Ciò è confermato dal comma 9 dell’art. 17-bis del d.lgs. n. 546 del 1992, secondo cui la produzione degli effetti del ricorso si verifica nel solo caso in cui la mediazione non si sia conclusa positivamente. Eventuali controversie successivamente instaurate, nonostante l’accoglimento dell’istanza avente ad oggetto una richiesta di rimborso, rientrano quindi nella giurisdi-zione del giudice ordinario. La valutazione della mediazione Accertata l’ammissibilità dell’istanza e verificata l’impossibilità di procedere a un annul-lamento dell’atto impugnato, l’Ufficio valuterà, anche in assenza di proposta formulata dal contribuente, la sussistenza dei presupposti per la mediazione, individuati dal comma 8 dell’art. 17-bis; e cioè: 1) incertezza delle questioni controverse; 2) grado di sostenibilità della pretesa; 3) principio di economicità dell’azione amministrativa. Tale valutazione preventiva deve essere condotta in particolare con l’intento di addive-nire alla mediazione ogniqualvolta, in previsione di una sentenza di primo grado sfavo-revole o parzialmente sfavorevole, non siano ravvisabili i presupposti per la prosecuzio-ne in appello del contenzioso. Considerato dunque che a seguito delle modifiche introdotte dall’art. 47, comma 1, let-tera a) della legge 18 giugno 2009, n. 69, l’art. 360-bis, primo comma, n. 1), c.p.c. at-tualmente dispone che “Il ricorso è inammissibile “quando il provvedimento impugnato ha deciso le questioni di diritto in modo conforme alla giurisprudenza della Corte e l’esame dei motivi non offre elementi per confermare o mutare l’orientamento della stessa”, e che pertanto il legislatore ha previsto l’inammissibilità del ricorso per cassa-zione quando la questione giuridica con esso sollevata sia difforme dalla giurispruden-za della Suprema Corte e i motivi di impugnazione proposti dall’istante non prospetta-no sufficienti elementi per ritenere possibile un mutamento di posizione interpretativa da parte della Cassazione, ne consegue che, attualmente, è possibile ritenere che an-che in relazione a questioni di diritto sia individuabile una “certezza”, rappresentata dal-la presenza di un orientamento consolidato della Corte di Cassazione, tale da indurre a ritenere che un eventuale ricorso per cassazione potrebbe effettivamente essere di-chiarato inammissibile dalla Suprema Corte. Nell’eventualità quindi che la posizione assunta nell’atto impugnato contrasti con siffat-to orientamento giurisprudenziale si renderà senz’altro opportuno, per l’Ufficio, favorire un accordo di mediazione. In assenza invece di prassi amministrativa e di pronunce della Suprema Corte, la pro-posta di mediazione sulla questione giuridica può essere motivata sulla base della pre-

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senza di un orientamento delle Commissioni tributarie di merito, favorevole alle posizio-ni espresse dal contribuente, se del caso tenuto conto altresì degli altri due criteri della sostenibilità della pretesa in giudizio e dell’economicità dell’azione amministrativa. Per quanto concerne invece il grado di sostenibilità della pretesa, le valutazioni di op-portunità, già prima evidenziate sotto il profilo delle questioni di diritto risolte dalla Cas-sazione, vanno estese alla giurisprudenza di merito relativamente alle questioni di fatto sollevate nell’istanza di mediazione. La proponibilità dell’accordo di mediazione è dunque direttamente correlata, soprattut-to per le questioni di fatto, al prevedibile esito sfavorevole del giudizio di merito. Va ulteriormente precisato che la giurisprudenza da prendere in considerazione è essen-zialmente quella della Commissione tributaria provinciale e della Commissione tributaria regionale nelle cui circoscrizioni ha sede la Direzione, a condizione che sia condivisa o che comunque non possa essere utilmente contrastata con ricorso per cassazione. Infine quanto al principio di economicità dell’azione amministrativa, questo va inteso non solo come necessità di ottimizzazione economica delle risorse, ma altresì come ottimizzazione dei procedimenti, vale a dire come impegno a non gravare il procedi-mento amministrativo di oneri inutili e dispendiosi, cercando di realizzare una rapida ed efficiente conclusione della propria attività amministrativa, nel rispetto degli altri principi di legalità, efficacia, imparzialità, pubblicità e trasparenza. Si tratta quindi di un criterio che sostanzialmente accompagna i precedenti. In tale valutazione va considerato anche il rischio di soccombenza nelle spese di lite. 10.4 Applicazioni 10.4.1 L’accordo di mediazione Qualora l’Ufficio ritenga sussistenti i presupposti per la mediazione, procede sulla base delle seguenti modalità: 1) se l’istanza presentata dal contribuente contiene una motivata proposta di mediazio-

ne completa della rideterminazione dell’ammontare della pretesa, che presenti i pre-supposti per l’accoglimento integrale, lo stesso Ufficio può invitare il contribuente a sottoscrivere il relativo accordo di mediazione, senza bisogno di particolari formalità;

2) in mancanza di proposta formulata nell’istanza, l’Ufficio può comunicare una pro-pria proposta motivata di mediazione, completa della rideterminazione della pretesa tributaria;

3) Nel caso in cui ritenga possibile esperire la mediazione, ma non reputi possibile e/o opportuno formulare immediatamente una motivata proposta di rideterminazione della pretesa, l’Ufficio potrà comunque invitare il contribuente al contraddittorio.

Non sono richieste forme particolari per l’invito, che può essere comunicato al contri-buente anche tramite posta elettronica ordinaria. L’esito del contraddittorio – che si svolge possibilmente nell’ambito di un solo incontro – viene descritto in un apposito verbale.

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Al contraddittorio il contribuente può partecipare personalmente, oppure conferire pro-cura al proprio difensore, fatti salvi i casi in cui il contribuente intenda parteciparvi per-sonalmente. Nel caso di adesione alla proposta di una delle parti, il termine di venti giorni per l’effettuazione del versamento delle somme dovute decorre: dalla spedizione dell’atto di adesione da parte del contribuente che l’ha sottoscritto,

quando la proposta sia stata formulata dall’Ufficio; dal ricevimento dell’atto di adesione dell’Ufficio, se la proposta era contenuta

nell’istanza di mediazione presentata dal contribuente. Una volta conclusa con la sottoscrizione, la mediazione si perfeziona con il pagamento delle somme dovute. La procedura di mediazione si perfeziona con il versamento dell’intero importo dovuto, ovvero della prima rata in caso di pagamento rateale, effettuato entro venti giorni dalla conclusione dell’accordo di mediazione. Per effetto del rinvio disposto dal comma 8 dell’art. 17-bis, devono, infatti, ritenersi ap-plicabili alla mediazione le disposizioni dell’art. 48 del d.lgs. n. 546 del 1992, discipli-nanti il perfezionamento della conciliazione giudiziale. In particolare, l’accordo di mediazione costituisce titolo per la riscossione delle somme dovute mediante versamento diretto ovvero - in caso di omesso versamento alle sca-denze – per l’iscrizione a ruolo, in applicazione del comma 3 dell’art. 48 del d.lgs. n. 546 del 1992. Il pagamento va effettuato, anche tramite compensazione ai sensi dell’art. 17 del de-creto legislativo 9 luglio 1997, n. 241, mediante modello F24, utilizzando appositi codici tributo, istituiti con distinta risoluzione. Il pagamento delle somme dovute può essere effettuato anche mediante scomputo di quanto eventualmente già versato dal contribuente in esecuzione dell’atto impugnato. Nell’atto di mediazione, dalle somme dovute vanno scomputate quelle eventualmente già pagate in esecuzione dell’atto impugnato. Nel caso di accordo avente ad oggetto il rifiuto espresso o tacito di un rimborso, la mediazione si perfeziona con la conclusione del relativo accordo. In applicazione dell’art. 48, comma 3, del d.lgs. n. 546 del 1992, il versamento delle somme dovute a seguito dell’accordo di mediazione può avvenire “in un massimo di otto rate trimestrali di pari importo ovvero in un massimo di dodici rate trimestrali, se le somme dovute superano i 50.000 euro”. Di fatto, trattandosi di potenziali controversie di valore non superiore a ventimila euro, non sono ammesse più di otto rate. A seguito del mancato pagamento anche di una sola delle rate successive alla prima, è applicabile quanto previsto dal comma 3-bis dell’art. 48 del d.lgs. n. 546 del 1992, se-condo cui “In caso di mancato pagamento anche di una sola delle rate diverse dalla prima entro il termine di pagamento della rata successiva, il competente ufficio dell'A-genzia delle entrate provvede all'iscrizione a ruolo delle residue somme dovute e della

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sanzione di cui all'art. 13 del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 471, applicata in misura doppia, sul residuo importo dovuto a titolo di tributo”. Pertanto, il mancato pagamento determina la decadenza dal beneficio della rateazione, con iscrizione a ruolo dell’intero importo residuo e di una sanzione pari al sessanta per cento delle somme ancora dovute. Anche in caso di avviso di accertamento c.d. “esecutivo”, adottato ai sensi dell’art. 29 del DL n. 78 del 2010, le rate successive alla prima, dovute e non versate, sono ri-scosse mediante iscrizione a ruolo. Qualora le somme versate siano lievemente inferiori a quelle dovute per un errore del contribuente che, anche oltre il termine di legge, abbia successivamente sanato l’errore, l’Ufficio valuta l’opportunità di ritenere valido il pagamento, tenendo conto dell’intento deflativo dell’istituto e dei principi di economicità, nonché di conservazione dell’atto amministrativo. Le stesse valutazioni possono essere effettuate nel caso di lieve ritardo nel versamento da parte del contribuente o di altre minime irregolarità. 10.4.2 La riduzione delle sanzioni in caso di mediazione Ai sensi del comma 8, ultimo periodo dell’art. 17-bis del d.lgs. n. 546 del 1992, alla fa-se di mediazione “Si applicano le disposizioni dell’art. 48, in quanto compatibili”. Ciò comporta, tra l’altro, che, in conformità a quanto previsto dal comma 6 del citato art. 48, in caso di avvenuta mediazione, le sanzioni amministrative si applicano nella misura del quaranta per cento delle somme irrogabili in rapporto dell’ammontare del tributo risultante dalla mediazione. In ogni caso la misura delle sanzioni non potrà essere inferiore al quaranta per cento dei minimi edittali previsti per le violazioni più gravi relative a ciascun tributo. In modo speculare a quanto previsto per la conciliazione giudiziale nella circolare del 18 dicembre 1996, n. 291/E, qualora non vi siano margini per la riduzione della prete-sa, l’Ufficio potrà comunque concludere un accordo di mediazione che confermi inte-gralmente il tributo contestato con l’atto impugnato, con conseguente beneficio della mera riduzione delle sanzioni irrogate. 10.4.3 Il perfezionamento della mediazione Con il versamento di tutte le somme dovute, la pretesa tributaria risulta integralmente soddisfatta. Nelle ipotesi di versamento rateale, l’atto originariamente impugnato perde efficacia a seguito del pagamento della prima rata. A fronte del mancato pagamento di una delle rate successive, l’Ufficio procede alla ri-scossione delle somme dovute, sulla base del titolo esecutivo rappresentato dall’accordo di mediazione.

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In considerazione della definitività del rapporto tributario, intervenuta per effetto del perfezionamento della mediazione, la cartella di pagamento, emessa in caso di mancato versamento di una delle rate successive alla prima, può essere impugnata solo per vizi propri. A seguito del perfezionamento, la mediazione non è impugnabile in quanto viene meno l’interesse ad agire in giudizio: l’eventuale ricorso sarebbe inammissibile. In assenza del versamento integrale delle somme dovute, ovvero della prima rata in caso di pagamento rateale, invece, la mediazione non si perfeziona e l’atto originario, avverso il quale il contribuente ha proposto l’istanza, continua a produrre effetti. 10.4.4 Il diniego all’istanza Nel termine di novanta giorni dal ricevimento dell’istanza, l’Ufficio porta il provvedimen-to di diniego a conoscenza del contribuente. Nel diniego vanno esposte in modo completo e dettagliato le ragioni, di fatto e di dirit-to, poste a fondamento della pretesa tributaria, avendo presente che il contenuto del provvedimento di diniego, in caso di successiva costituzione in giudizio da parte del contribuente, varrà come atto di controdeduzioni. Vanno altresì descritte le attività svolte nel corso del procedimento di mediazione, sia al fine di chiedere la condanna del contribuente al pagamento delle somme di cui al com-ma 10 dell’art. 17-bis, sia allo scopo di illustrare al giudice i motivi in base ai quali si è ri-tenuto di disattendere l’eventuale proposta di mediazione formulata dal contribuente. Anche il diniego non è impugnabile, essendo tutelato il contribuente dalla facoltà di co-stituirsi in giudizio mediante il deposito del ricorso. Nel giudizio eventualmente instaurato dal contribuente, avente ad oggetto l’atto rien-trante nell’ambito di applicazione dell’art. 17-bis del d.lgs. n. 546 del 1992, verrà altresì esaminato il corretto espletamento del procedimento di mediazione, anche ai fini della liquidazione delle spese ai sensi del comma 10 dello stesso art. 17-bis. Gli atti emessi in esito al procedimento amministrativo di mediazione, possono essere portati a conoscenza del contribuente nella forma della notificazione prevista per gli atti tributari di cui all’art. 60 del d.P.R. n. 600 del 1973 oppure utilizzando la posta elettro-nica certificata (PEC). Invero, la notifica tramite PEC degli atti amministrativi è prevista in via generale dal de-creto legislativo 7 marzo 2005, n. 82 (c.d. Codice dell’Amministrazione digitale). 10.4.5 L’instaurazione del giudizio La costituzione in giudizio del contribuente Il comma 9 dell’art. 17-bis del d.lgs. n. 546 del 1992 stabilisce che “Decorsi novanta giorni senza che sia stato notificato l'accoglimento del reclamo o senza che sia stata conclusa la mediazione, il reclamo produce gli effetti del ricorso. I termini di cui agli artt. 22 e 23 decorrono dalla predetta data. Se l'Agenzia delle entrate respinge il reclamo in

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data antecedente, i predetti termini decorrono dal ricevimento del diniego. In caso di accoglimento parziale del reclamo, i predetti termini decorrono dalla notificazione del-l'atto di accoglimento parziale”. Il termine dei novanta giorni utili per la trattazione dell’istanza (cui, si ripete, non è appli-cabile la sospensione feriale dal 1° agosto al 15 settembre) decorre dalla data di rice-vimento dell’istanza stessa da parte dell’Ufficio. Il deposito del ricorso presso la Segreteria della Commissione tributaria provinciale, a sua volta, deve avvenire entro il termine perentorio di trenta giorni stabilito dall’art. 22, comma 1, del d.lgs. n. 546 del 1992, cui si applica la richiamata sospensione feriale trattandosi di termine relativo a un atto processuale, qual è l’atto di costituzione in giudizio. A titolo di esempio, si pensi a un’istanza di mediazione spedita dal contribuente con raccomandata a/r del 5 giugno 2012 e ricevuta dall’Ufficio in data 7 giugno 2012. In tal caso, il termine di novanta giorni per la trattazione dell’istanza decorre dal 7 giu-gno 2012 e, stante l’inapplicabilità della sospensione feriale, viene a scadenza il 5 set-tembre 2012. Di contro, il termine di trenta giorni per la costituzione in giudizio del contribuen-te/ricorrente decorre dal 16 settembre 2012, proprio in virtù della operatività della sospensione feriale con riferimento ai termini che regolano gli adempimenti di natura processuale. Come già indicato, il ricorso depositato presso la Segreteria della Commissione tributa-ria provinciale deve essere conforme a quello consegnato o spedito con l’istanza di mediazione. Se l’atto depositato presso la segreteria del Giudice non è conforme a quello conse-gnato o spedito all’Ufficio con l’istanza di mediazione, il ricorso è inammissibile. La costituzione in giudizio del contribuente realizza il presupposto per il versamento del contributo unificato. La costituzione in giudizio dell’Ufficio Verificata la costituzione in giudizio del contribuente, l’Ufficio procede a sua volta a co-stituirsi in giudizio, richiamando il contenuto dell’atto di diniego. Il termine di sessanta giorni previsto dall’art. 23 del d.lgs. n. 546 del 1992 per la costi-tuzione in giudizio del resistente decorre, a seconda dei casi, dal giorno successivo alla scadenza di novanta giorni dal ricevimento dell’istanza oppure dal giorno successivo alla data di notificazione del provvedimento di diniego o di accoglimento parziale dell’istanza prima del decorso dei novanta giorni. Trattandosi di adempimento processuale, anche il termine per la costituzione in giudi-zio del resistente è soggetto alla sospensione feriale contemplata dalla legge n. 742 del 1969.

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Lo svolgimento successivo della controversia e la disciplina delle spese di giudizio Successivamente alla costituzione in giudizio delle parti, la Commissione tributaria pro-vinciale procede all’esame della controversia secondo le disposizioni del decreto legi-slativo n. 546 del 1992. Nelle controversie in esame “è esclusa la conciliazione giudiziale di cui all’art. 48” (art. 17-bis, comma 1). Sussiste infine una speciale disciplina della condanna della parte soccombente alle spese del giudizio e della mediazione, ex comma 10 dell’art. 17-bis del d.lgs. n. 546 del 1992, che prevede che “la parte soccombente è condannata a rimborsare, in ag-giunta alle spese di giudizio, una somma pari al 50 per cento delle spese di giudizio a titolo di rimborso delle spese del procedimento disciplinato dal presente articolo. Nelle medesime controversie, fuori dei casi di soccombenza reciproca, la commissione tribu-taria, può compensare parzialmente o per intero le spese tra le parti solo se ricorrono giusti motivi, esplicitamente indicati nella motivazione, che hanno indotto la parte soc-combente a disattendere la proposta di mediazione”. Ne consegue che, in sede di pronuncia della sentenza conclusiva del giudizio, la Commissione tributaria provinciale: condanna la parte soccombente a versare all’altra parte una somma a titolo di rim-

borso delle spese del procedimento di mediazione, normativamente fissata nel cin-quanta per cento delle spese di giudizio; dal momento che il comma 10 dell’art. 17-bis precisa che tale somma è “in aggiunta alle spese di giudizio”, la condanna al rimborso non trova applicazione nei casi di compensazione delle spese di lite;

fuori dei casi di soccombenza reciproca, i Giudici possono compensare, parzial-mente o per intero, le spese di lite solo se ricorrono giusti motivi, da indicare esplici-tamente nella motivazione della sentenza; i “giusti motivi” vanno peraltro individuati nelle ragioni che hanno indotto l’Ufficio a rigettare l’istanza di mediazione del contri-buente.

10.4.6 Indicazioni operative Si evidenziano di seguito alcune indicazioni di tipo operativo per la gestione dei proce-dimenti di mediazione. 1) Controllare sempre il valore della causa (ricordarsi che il contribuente può anche

fare acquiescenza su di una parte, scendere sotto i 20.000 e rendere così mediabi-le la causa), o gli altri casi di improponibilità dell’istanza;

2) Controllare sempre, in particolare nel caso delle cartelle, se si tratta di atti ricon-ducibili all’Agenzia (mediabili) o all’agente della riscossione (non mediabili) – ricor-darsi che in caso di legittimazione di entrambi (eccezioni relative sia all’uno che all’altro) avremo due RGR (doppio termine per il ricorso, dato che per la parte del concessionario non vi sarà sospensione per mediazione) su cui andrà poi chiesta la riunione;

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3) Ricordarsi che in caso di inammissibilità assoluta dell’istanza (se è tardiva, se non è sottoscritta, o se manca del tutto l’oggetto) l’istanza può essere trattata comunque come istanza di autotutela e in caso di inammissibilità relativa (vizi minori) l’Ufficio può valutare comunque di considerarla valida;

4) L’Ufficio che ha competenza per il socio deve coordinarsi con chi ha competenza per la società (il socio comunque, se la società non fa mediazione, può anche con-cludere autonomamente la mediazione)

5) Il contribuente può chiedere nell’istanza (o anche separatamente) anche la sospen-sione amministrativa;

6) La mediazione si perfeziona con il pagamento della prima rata (pagamento median-te F24 con possibilità di compensazione) – se non si paga la prima rata l’atto origi-nario continua a produrre i suoi effetti e il contribuente potrà costituirsi in giudizio nei termini di legge;

7) Una volta conclusa la mediazione, in caso di omesso versamento, questa è titolo per iscrizione a ruolo ex comma 3 art. 48 del Dlgs 546/92 e con sanzione di cui all’art. 13 del Dlgs 471/97;

8) Il diniego deve essere ben motivato e vanno descritte tutte le attività svolte. Deve essere notificato al contribuente ai sensi dell’art. 60 del d.P.R. 600/73 o tramite PEC (la originaria possibilità prevista in Circolare di notificarlo per fax o posta elet-tronica ordinaria è stata poi limitata dalla successiva Direttiva solo ai casi di “insupe-rabili difficoltà” e sempre che sia assicurato il tempestivo ricevimento da parte del contribuente);

10.4.7 Conclusioni Il reclamo e mediazione a confronto con gli altri istituti deflativi del contenzioso tributario V’è la diffusa opinione che reclamo e mediazione siano il duplicato di altri istituti tributari già esistenti. In realtà, reclamo e mediazione sono istituti molto differenti da quelli già esistenti. Partiamo dal reclamo volto all’annullamento in via amministrativa dell’atto. In primo luogo, esso non è assimilabile ad un semplice ricorso gerarchico, dato che instaura una fase amministrativa, che, almeno in prospettiva, si identifica già con la po-tenziale lite processuale. Il reclamo possiede inoltre elementi di differenziazione anche rispetto al procedimento di autotutela tributaria. Se è vero infatti che il reclamo condivide con l’autotutela i presupposti (vizi d’illegittimità o ragioni d’infondatezza) e l’oggetto (la richiesta di annullamento totale o parziale dell’atto), tuttavia, a differenza dell’autotutela tributaria, che si inquadra tra le attività amministrative di secondo grado a contenuto discrezionale, il riesame in sede di re-clamo, pur essendo sempre in una dimensione amministrativa, ha comunque una proiezione propriamente processuale (tanto è vero che viene disciplinato nel Dlgs 546/92 sul contenzioso tributario).

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Mentre poi il riesame dell’atto in autotutela è facoltativo, laddove l’art. 2, comma 1, del D.M. n. 37/1997 afferma che l’Amministrazione “può procedere”, la doverosità del rie-same caratterizza invece il reclamo. Se infatti la legge prevede l’onere per il contribuente di chiedere l’annullamento dell’atto per illegittimità o infondatezza della pretesa, pena l’inammissibilità dell’eventuale successiva impugnativa dell’atto davanti al giudice tributario, l’Ufficio de-stinatario del reclamo, dal canto suo, è obbligato a riesaminare l’atto. Rilevante è poi l’aspetto della competenza a riesaminare l’atto ed eventualmente an-nullarlo. In base all’art. 1 del D.M. n. 37/1997, il potere di annullamento in autotutela “spetta all’ufficio che ha emanato l’atto”, salva l’ipotesi di grave inerzia di quest’ultimo e nel qual caso provvede la Direzione regionale. L’istruttoria è dunque curata dalla medesi-ma struttura che ha emanato l’atto. Diversamente, in sede di reclamo l’istruttoria è curata da una struttura diversa ed auto-noma dell’Agenzia, rispetto a quella che ha emanato l’atto, individuata negli Uffici legali delle Direzioni provinciali e regionali. Secondo alcuni commenti la mediazione sarebbe comunque un inutile doppione dell’accertamento con adesione. Anche questi due istituti tuttavia presentano aspetti differenti.. In primo luogo, il campo d’applicazione non è sovrapponibile: l’adesione riguarda infatti soltanto l’accertamento, mentre la mediazione riguarda tutte le possibili controversie radicabili davanti al giudice tributario rispetto all’attività dell’Agenzia, ivi comprese le liti di rimborso. L’accertamento con adesione si caratterizza poi come strumento di determinazione concordataria dell’obbligazione tributaria, un procedimento amministrativo volto a de-terminare il presupposto d’imposta con il consenso del contribuente. La mediazione, invece, interviene sempre rispetto ad un atto già emesso e si proietta sul contenzioso; vale a costituire un filtro pre-processuale allo scopo di prevenire liti evitabili. L’adesione ha quindi una funzione schiettamente impositiva; la mediazione ha invece una funzione latu sensu giustiziale. Reclamo e mediazione non sono dunque inutili doppioni di istituti già collaudati del di-ritto tributario vigente. 10.5 Quesiti e formulario D: Di che si tratta? R: È un procedimento che deve essere obbligatoriamente attivato prima di portare (e-ventualmente) all’esame del giudice una controversia.

Capitolo 10 – Il reclamo e la mediazione

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D: A cosa serve? R: È uno strumento deflattivo del contenzioso volto a prevenire ed evitare le controver-sie che possono essere risolte senza necessità di ricorrere al giudice. D: Quali sono i vantaggi? R: Ottenere dall’Agenzia delle entrate una risposta scritta e motivata in merito ad even-tuali vizi dei propri atti, con possibilità di chiudere il rapporto e ottenere una riduzione delle sanzioni al 40% delle somme irrogabili. D: A quali controversie è applicabile? R: A tutte le potenziali controversie di valore non superiore a 20.000 euro, relative ad atti suscettibili di impugnazione avanti le Commissioni tributarie provinciali, emessi dall’Agenzia delle entrate e notificati dal 2 aprile 2012. Il valore della controversia potenziale va determinato con riferimento a ciascun atto im-pugnato ed è dato dall’importo del tributo contestato dal contribuente, al netto degli interessi, delle eventuali sanzioni e di ogni altro eventuale accessorio. In caso di impu-gnazione esclusivamente di atti di irrogazione delle sanzioni, il valore è costituito dalla somma di queste. D: Quali sono gli atti che possono essere oggetto di mediazione? R: Sono: avviso di accertamento avviso di liquidazione provvedimento che irroga le sanzioni ruolo rifiuto espresso o tacito alla restituzione di tributi, sanzioni pecuniarie e interessi o

altri accessori non dovuti diniego o revoca di agevolazioni o rigetto di domande di definizione agevolata di

rapporti tributari ogni altro atto emanato dall’Agenzia delle entrate, per il quale la legge preveda

l’autonoma impugnabilità innanzi alle Commissioni tributarie. D: Quando la mediazione non è possibile? R: La mediazione è improponibile in caso di impugnazioni: di valore superiore a 20 mila euro di valore indeterminabile riguardanti attività dell’Agente della riscossione riguardanti atti non impugnabili di atti in cui non è legittimata passivamente l’Agenzia delle entrate di atti notificati prima del 1° aprile 2012 di rifiuti taciti di rimborso con riferimento ai quali alla data del 1° aprile 2012 siano

già decorsi 90 giorni dalla presentazione della domanda di rimborso

Capitolo 10 – Il reclamo e la mediazione

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riguardanti recupero di aiuti di Stato di provvedimenti emessi ai sensi dell’art. 21 (“Sanzioni accessorie”) del decreto legi-

slativo 18 dicembre 1997, n. 472 riguardanti istanze di cui all’art. 22 (“Ipoteca e sequestro conservativo”) del d.lgs. n.

472 del 1997 del diniego della chiusura delle liti fiscali “minori” pendenti prevista dall’art. 39,

comma 12 del DL n. 98 dell 2011. D: Come e quando si propone? R: Il procedimento di mediazione si propone notificando apposita istanza alla Direzione (provinciale o regionale) che ha emanato l’atto nel termine previsto per il ricorso. All’istanza, nella quale va riportato il contenuto integrale dell’eventuale ricorso, deve essere altresì allegata copia dei documenti che il contribuente intende depositare in giudizio. L’istanza è fondata sugli stessi motivi dell’eventuale ricorso e può contenere una moti-vata e documentata proposta di mediazione, completa della rideterminazione dell’ammontare della pretesa. Non è soggetta all’imposta di bollo. Il contributo unificato è dovuto soltanto nel momento in cui il contribuente dovesse eventualmente deposita-re il ricorso presso la segreteria della Commissione tributaria provinciale, in caso di esi-to negativo del procedimento di mediazione. La mancata presentazione dell’istanza è causa di inammissibilità del ricorso alla Com-missione tributaria. L’istanza di mediazione va presentata anche qualora sia stata precedentemente pre-sentata istanza di accertamento con adesione. La mediazione è gestita dagli Uffici Legali, che operano come strutture diverse e auto-nome da quelle che curano l’istruttoria degli atti impugnabili. Gli Uffici Legali sono isti-tuiti presso ciascuna Direzione regionale o provinciale e presso il Centro Operativo di Pescara dell’Agenzia delle entrate. L’ufficio Legale, all’esito dell’istruttoria, può accogliere o rigettare l’istanza ovvero può formulare una proposta di mediazione. L’istanza di mediazione viene valutata, se del caso, in contraddittorio con il contribuente, in base all’incertezza delle questioni con-troverse, al grado di sostenibilità della pretesa e al principio di economicità dell’azione amministrativa. La mediazione comporta il beneficio per il contribuente della riduzione delle sanzioni amministrative al 40%. Tale beneficio può essere riconosciuto anche se si conviene che il contribuente debba pagare interamente l’imposta. L’accordo di mediazione si perfeziona con il versamento entro 20 giorni, dalla sotto-scrizione, dell’intero importo dovuto ovvero della prima rata, in caso di pagamento ra-teale in un massimo di 8 rate trimestrali di pari importo. Il pagamento deve essere effet-tuato, anche tramite compensazione, con il modello F 24.

Capitolo 10 – Il reclamo e la mediazione

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In caso di mancato versamento delle rate successive alla prima, l’atto di mediazione costituisce titolo per la riscossione coattiva. R: Ricorso alla Commissione tributaria In caso di esito negativo della mediazione, il contribuente può costituirsi in giudizio nei 30 giorni successivi alla data in cui riceve il provvedimento di risposta dell’Ufficio o, comunque, decorsi 90 giorni dalla data di ricevimento dell’istanza di mediazione da parte dell’Ufficio. La costituzione avviene con il deposito presso la Commissione tributaria provinciale, del “ricorso con istanza”. Se il procedimento di mediazione si conclude con esito negativo, nell’eventuale suc-cessivo giudizio tributario la parte soccombente è condannata, altresì, a pagare una somma pari al 50% delle spese di giudizio, a titolo di rimborso delle spese del proce-dimento di mediazione. La Commissione tributaria può compensare parzialmente o per intero le spese tra le parti solo se ricorrono giusti motivi, esplicitamente indicati nella motivazione, che hanno indotto la parte soccombente a rifiutare la proposta di mediazione. Alla mediazione tributaria non si applica l’istituto della conciliazione giudiziale.

Capitolo 10 – Il reclamo e la mediazione

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Allegato alla circolare del 19 marzo 2012, n. 9/E

COMMISSIONE TRIBUTARIA PROVINCIALE DI …

RICORSO CON ISTANZA ai sensi dell’art. 17-bis del d.lgs. n. 546/92

proposto dal Sig. ____________________________________________ (riportare dati identificativi, domicilio fiscale, C.F., PEC, difensore eventualmente nominato con relativi C.F. e PEC, domicilio eletto, ecc.)

contro Agenzia delle Entrate – Direzione Provinciale/Regionale di _______, con sede in __________________, in persona del Direttore pro tempore,

in relazione a … (avviso di accertamento, iscrizione a ruolo, diniego di rim-borso, ecc.) n. ___________ notificato in data __/__/___, emesso dall’Agenzia delle Entrate – Direzione Provincia-le/Regionale di __________ per far valere i fatti, i motivi e le richieste di seguito riportati

FATTO ______________________________________________________________________________________________

MOTIVI ______________________________________________________________________________________________ Per tutti questi motivi,

CHIEDE a codesta Commissione tributaria provinciale, di voler ___________________ Si dichiara che il valore della presente lite, ai fini del contributo unificato di cui al d.P.R. n. 115/02, è di _______ euro. Luogo e data _____________ Firma _____________________

Procura speciale (eventuale) Delego a rappresentarmi e difendermi nel presente procedimento, in ogni sua fase, stato e grado, _____________, con ogni facoltà di legge, incluse quelle di proporre reclamo e di mediare ai sensi dell’art. 17-bis del d.lgs. n. 546/92, trattare, comporre, conciliare, transigere, rinunciare agli atti e accettare rinunzie, farsi sostituire. Eleggo domicilio, anche per le notificazioni relative al procedimento di reclamo e mediazione, presso __________. Luogo e data È autentica

Capitolo 10 – Il reclamo e la mediazione

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**** ISTANZA

ai sensi dell’art. 17-bis del d.lgs. n. 546/92 Il contribuente, Sig. _______, come prima rappresentato, sulla base dei fatti e dei motivi sopra evidenziati

CHIEDE che l’Agenzia delle Entrate – Direzione Provinciale/Regionale di __________, in alternativa al deposito del ricorso che precede presso la Commissione tributaria provinciale, accolga in via amministrativa le richieste nel medesimo ricorso formulate. Valore ai fini dell’art. 17-bis del d.lgs. n. 546/92: ______ euro. [segue parte eventuale] Formula altresì proposta di mediazione fondata sui seguenti

MOTIVI 1)_____________________________________________ 2)_____________________________________________ Per quanto motivato, la pretesa verrebbe ad essere così ride-terminata: Imposta: euro ______________; Interessi: euro ______________; Sanzioni: euro ______________; Comunica in ogni caso la sua disponibilità a valutare in con-traddittorio la mediazione della controversia. Per l’invito al contraddittorio, le comunicazioni e le notificazioni relative al presente procedimento, si indicano uno o più dei se-guenti recapiti: - via ______________, città____________, - PEC:______________________________, - telefono ___________________________, - fax _______________________________, - posta elettronica ordinaria: _____________. Si allegano i seguenti documenti, richiamati nel ricorso: 1) __________ 2) __________ 3) __________ Luogo e data______________ Firma _____________________________

Capitolo 11 – La definizione delle liti pendenti

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11. La definizione delle liti pendenti Fabiola Brigiarini

11.1 Profili 11.1.1 La disciplina Il d.l. 6 luglio 2011 n. 98 (cd. “manovra correttiva” o “manovra di luglio”) – entrato in vi-gore il 6 luglio 2011 – convertito, con modificazioni, dalla l. 15 luglio 2011, n. 111 – en-trata in vigore il 17 luglio 2011 – e poi nuovamente modificato dal d.l. n. 216/2011 pre-vede, tra le altre cose, un condono avente ad oggetto i processi tributari pendenti. Detto condono viene introdotto dall’art. 39 dell’appena citato decreto legge che, oc-cupandosi del “riordino della giustizia tributaria”, al comma 12 disciplina la definizione delle liti fiscali “minori” e prevede che «Al fine di ridurre il numero delle pendenze giudi-ziarie e quindi concentrare gli impegni amministrativi e le risorse sulla proficua e spedita gestione del procedimento di cui al comma 9 le liti fiscali di valore non superiore a 20.000 euro in cui è parte l’Agenzia delle entrate, pendenti alla data del 1° maggio 2011 dinanzi alle commissioni tributarie o al giudice ordinario in ogni grado del giudizio e anche a seguito di rinvio, possono essere definite, a domanda del soggetto che ha proposto l’atto introduttivo del giudizio, con il pagamento delle somme determinate ai sensi dell’articolo 16 della legge 27 dicembre 2002, n. 289». Va subito detto che la definizione delle liti pendenti introdotta dal comma 12 ricalca so-stanzialmente, fatte salve talune particolarità che tra poco indicheremo, l’analogo istitu-to previsto dal “vecchio” art. 16 della l. n. 289/2002. Del resto è lo stesso legislatore che, nel corpo del comma 12, fa espresso rinvio all’art. 16 della precedente legge sul condono laddove stabilisce, dopo aver indicato i presupposti per accedere alla disci-plina di favore, che «a tal fine si applicano le disposizioni di cui al citato articolo 16, con le seguenti specificazioni: a) le somme dovute ai sensi del presente comma sono versate entro il 30 novembre

2011 in unica soluzione; b) la domanda di definizione è presentata entro il 31 marzo 2012; c) le liti fiscali che possono essere definite ai sensi del presente comma sono sospese

fino al 30 giugno 2012. Per le stesse sono altresì sospesi, sino al 30 giugno 2012 i termini per la proposizione di ricorsi, appelli, controdeduzioni, ricorsi per cassazio-ne, controricorsi e ricorsi in riassunzione, compresi i termini per la costituzione in giudizio;

d) gli uffici competenti trasmettono alle commissioni tributarie, ai tribunali e alle corti di appello nonché alla Corte di cassazione, entro il 15 luglio 2012, un elenco delle liti pendenti per le quali è stata presentata domanda di definizione. Tali liti sono sospe-se fino al 30 settembre 2012. La comunicazione degli uffici attestante la regolarità della domanda di definizione ed il pagamento integrale di quanto dovuto deve esse-

Capitolo 11 – La definizione delle liti pendenti

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re depositata entro il 30 settembre 2012. Entro la stessa data deve essere comuni-cato e notificato l'eventuale diniego della definizione;

e) restano comunque dovute per intero le somme relative al recupero di aiuti di Stato illegittimi;

f) con uno o più provvedimenti del direttore dell'agenzia delle entrate sono stabilite le modalità di versamento, di presentazione della domanda di definizione ed ogni altra disposizione applicativa del presente comma».

Come già anticipato poco sopra, l’art. 39, comma 12 ha subìto modifiche per effetto dell’art. 29, comma 16-bis del d.l. 29 dicembre 2011 n. 216 (cd. “decreto mille proro-ghe”) convertito, con modificazioni, dalla l. 24 febbraio 2012 n. 14 che ha, in parte, ri-disegnato l’ambito applicativo dell’istituto definitorio intervenendo sia sulla data che ri-leva ai fini della pendenza della lite sia sui termini di pagamento e presentazione della domanda di condono ampliando, in tal modo, il novero delle liti definibili. Per effetto del d.l. n. 216, infatti, è stata modificata la data del 1° maggio entro cui do-veva originariamente risultare pendente la lite da definire – e dunque sono condonabili le liti fiscali pendenti al 31 dicembre 2011 – ed è stato prorogato il termine del 30 no-vembre entro cui dovevano originariamente essere versate le somme dovute – e dun-que è consentito versare gli importi per la definizione, ma anche presentare la relativa domanda di condono, entro il 31 marzo 2012 (rectius 2 aprile 2012 dato che la data indicata dal legislatore coincide con il sabato). Con specifico riferimento a quanto previsto dalla lettera f) del comma 12, poi, due sono i provvedimenti che meritano attenzione: 1) la risoluzione n. 82/E del 5 agosto 2011, che ha stabilito le modalità di versamento

delle somme dovute per la definizione delle liti, da effettuarsi mediante compilazione dell’apposito modello “F24 - Versamenti con elementi identificativi”; ha istituito il co-dice tributo “8082” denominato “Liti fiscali pendenti – Definizione ai sensi dell’articolo 39, comma 12, del decreto legge 6 luglio 2011, n. 98” ed il “codice i-dentificativo “71” denominato “soggetto che ha proposto l’atto introduttivo del giu-dizio”, da indicare nella sezione “CONTRIBUENTE” dell’F24 nel caso in cui il versa-mento venga effettuato da un soggetto diverso da quello che ha proposto l’atto in-troduttivo del giudizio; la risoluzione ha, infine, fornito le indicazioni specifiche per la compilazione del modello F24 in tutti i suoi campi;

2) il Provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle Entrate del 13 settembre 2011 (protocollo 2011/119854) con cui viene approvato il modello di domanda per la de-finizione delle liti fiscali pendenti e vengono indicate le modalità di presentazione.

Dalla disciplina sopra esposta, dunque, emerge un condono delle liti fiscali pendenti i cui tratti caratteristici – che verranno approfonditi nei paragrafi che seguono e che differenziano, in parte, la definizione delle liti di cui al d.l. n. 98/2011 (come modifica-to dal d.l. n. 216/2011) dalla precedente definizione prevista dalla l. n. 289/2002 – sono i seguenti:

Capitolo 11 – La definizione delle liti pendenti

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pendenza della lite al 31 dicembre 2011; valore della lite inferiore o uguale a 20.000 euro (differentemente dalla precedente

definizione di cui all’art. 16 della l. 289 che non prevedeva, invece, limiti di valore per definire le controversie);

la lite deve avere come parte l’Agenzia delle Entrate (differentemente dalla prece-dente definizione di cui all’art. 16 della l. 289 che, invece, operava con riferimento a tutte le liti in materia tributaria in cui fosse parte l’Amministrazione finanziaria dello Stato);

pagamento delle somme dovute entro il 2 aprile 2012; pagamento delle somme dovute in un’unica soluzione (differentemente dalla prece-

dente definizione di cui all’art. 16 della l. 289 che, invece, consentiva anche il pa-gamento rateale);

presentazione della domanda di definizione entro il 2 aprile 2012; sospensione automatica di tutti i processi astrattamente definibili fino al 30 giugno

2012; sospensione fino al 30 settembre 2012 delle liti per le quali il contribuente ha con-

cretamente presentato la domanda di definizione; notifica dell’eventuale diniego di condono entro il 30 settembre 2012; comunicazione, da parte degli uffici, alle Commissioni Tributarie o al giudice ordina-

rio della regolarità del procedimento di definizione, e dunque dell’avvenuto condono della lite, entro il 30 settembre 2012 con conseguente dichiarazione di estinzione del giudizio da parte dell’organo giurisdizionale.

11.2 Fonti Normativa D.l. 29 dicembre 2011, n. 216 (convertito, con modificazioni, dalla l. 24 febbraio 2012, n. 14) D.l. 6 luglio 2011, n. 98 (convertito, con modificazioni, dalla l. 15 luglio 2011, n. 111) L. 27 dicembre 2002, n. 289, art. 16 Prassi Ris. min. 23 novembre 2011, n. 107 Circ. min. 24 ottobre 2011, n. 48 Ris. min. del 05 agosto 2011, n. 82 Circ. min. 15 marzo 2012, n. 7 Provvedimento Agenzia delle Entrate del 13 settembre 2011 Circ. min 21 febbraio 2003, n. 12

Capitolo 11 – La definizione delle liti pendenti

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11.3 Applicazioni 11.3.1 La lite definibile Affinché una lite sia definibile, deve soddisfare contemporaneamente determinati requi-siti enunciati dallo stesso legislatore nel comma 12 laddove consente l’accesso all’istituto agevolativo alle «liti fiscali di valore non superiore a 20.000 euro in cui è parte l’Agenzia delle entrate, pendenti alla data del 1° maggio 2011 (rectius 31 dicembre, per opera delle modifiche apportate dal d.l. 216/2011) dinanzi alle commissioni tributarie o al giudice ordinario in ogni grado del giudizio e anche a seguito di rinvio» Dal dettato normativo emerge innanzitutto che deve trattarsi di una “lite fiscale”. Per lite fiscale, come chiarito dalla circolare n. 48/2011, si intende quella rientrante nel-la giurisdizione tributaria come definita dall’art. 2 del d.lgs. n. 546/1992 ovvero una controversia che abbia ad oggetto rapporti di natura tributaria più precisamente, data l’espressa indicazione del legislatore nel testo dell’art. 39, comma 12 d.l. n. 98/2011, tributi amministrati dall’Agenzia delle Entrate. Considerato che il legislatore consente di definire tutte le controversie riguardanti rap-porti tributari di competenza dell’Agenzia delle Entrate, la circostanza che la lite attenga a tributi erariali o meno è del tutto irrilevante; sono pertanto definibili anche le contro-versie, di competenza dell’Agenzia delle Entrate, in materia di Irap e addizionali regio-nali e comunali all’Irpef. In secondo luogo rileva il valore della lite, che non deve essere superiore a 20.000 euro. Stante la generale previsione di rinvio all’art. 16 della l. n. 289/2002, il concetto di “va-lore della lite” come precisato nel comma 3, lett. c) del citato articolo rileva anche per la definizione delle liti fiscali minori introdotta con il d.l. n. 98/2011; sono pertanto condo-nabili le liti di valore non superiore a 20.000 euro considerato «l’importo dell’imposta che ha formato oggetto di contestazione in primo grado, al netto degli interessi, delle indennità di mora e delle eventuali sanzioni collegate al tributo, anche se irrogate con separato provvedimento; in caso di liti relative alla irrogazione di sanzioni non collegate al tributo, delle stesse si tiene conto ai fini del valore della lite; il valore della lite è de-terminato con riferimento a ciascun atto introduttivo del giudizio, indipendentemente dal numero di soggetti interessati e dai tributi in esso indicati». Il valore della lite, che oltre a determinare l’accesso o meno della controversia alla chiu-sura agevolata, rappresenta anche la base di calcolo delle somme da versare, è per-tanto dato: dall’ammontare dell’imposta che viene contestata nell’atto introduttivo del giudizio

di primo grado, con esclusione di interessi, altri accessori ed eventuali sanzioni seppur irrogate con separato provvedimento;

dall’importo della sanzione, nel caso in cui la controversia abbia ad oggetto esclusi-vamente le sanzioni collegate al tributo accertato ma non contestato;

dall’importo della sanzione nel caso in cui la lite riguardi provvedimenti sanzionatori non collegati al tributo.

Capitolo 11 – La definizione delle liti pendenti

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Il riferimento contenuto nell’art. 16 della l. n. 289 all’ “atto introduttivo del giudizio” con-sente di affermare che è questo l’unico parametro rilavante per il calcolo del valore del-la lite, a prescindere dagli ulteriori sviluppi della controversia. Pertanto, indipendente-mente dall’esito del giudizio di primo grado, anche per la definizione delle liti pendenti davanti alla Commissione Tributaria Regionale rileva l’ammontare del tributo (o della sanzione) originariamente contestato dal contribuente nell’atto introduttivo del giudizio di primo grado. Sempre in applicazione del citato art. 16, comma 3, lett. c), il valore della lite va deter-minato con riferimento a ciascuno degli atti oggetto di contestazione nell’atto introdut-tivo del giudizio, indipendentemente dal numero di tributi in esso indicati; ne consegue, pertanto, che se un atto definibile si riferisce a più tributi, il valore della lite è dato dalla somma di tutte le imposte indicate nell’atto o, in caso di impugnazione parziale, dalle imposte che hanno formato oggetto di contestazione in giudizio (tenendo altresì pre-sente che non è ammessa la chiusura parziale della lite; pertanto la definizione, e con-seguentemente il valore della lite, va calcolato con riferimento a tutte le imposte in con-testazione). In terzo luogo la lite deve essere “pendente” alla data del 31 dicembre 2011 (come già detto, la data del 1° maggio inizialmente stabilita nel comma 12 dell’art. 39 del d.l. n. 98/2011 è stata modificata in tal senso ad opera del decreto mille proroghe n. 216/2011). Anche con riguardo alla nozione di “lite pendente” si fa riferimento all’art. 16, comma 3 della l. n. 289/2002 con la sola differenza che la data di riferimento per la pendenza è il 31 dicembre 2011 e che la parte processuale avversa al contribuente è costituita dalla sola Agenzia delle Entrate e non, invece, dall’Amministrazione finanziaria dello Stato nel suo complesso (che comprende, come ben noto, anche le altre Agenzie fiscali). Tenendo presenti detti “adattamenti”, quindi, per lite pendente si intende «quella in cui è parte l’Agenzia delle Entrate, avente ad oggetto avvisi di accertamento, provvedi-menti di irrogazione delle sanzioni e ogni altro atto di imposizione, per i quali al 31 di-cembre 2011 è stato proposto l’atto introduttivo del giudizio, nonché quella per la qua-le l’atto introduttivo sia stato dichiarato inammissibile con pronuncia non passata in giudicato». Si considerano, pertanto, pendenti le liti per le quali alla data del 31 dicembre 2011: sia stato proposto – ovvero notificato all’Agenzia delle Entrate – l’atto introduttivo

del giudizio; sia intervenuta una pronuncia giurisdizionale, anche di inammissibilità, ma non siano

ancora decorsi i termini per impugnarla (la formazione di un giudicato parziale non preclude comunque la possibilità di definire la parte residua della lite ancora pen-dente);

vi sia una pendenza a seguito di rinvio. Ultimo requisito da tenere presente per la definizione di cui all’art. 39, comma 12 d.l. n. 98/2011, sempre mutuato dall’art. 16 della precedente l. 289/2002, è quello della cd. “autonomia” della lite, che assume particolare rilievo nel caso di ricorso cumulativo.

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Posto, infatti, che ai sensi dell’art. 16, comma 3 lett. b) della l. n. 289/2002 per lite au-tonoma si intende quella “relativa a ciascuno degli atti indicati nella lettera a)”, ne con-segue che quando con il medesimo ricorso vengano impugnati, ad esempio, più avvisi di accertamento, si hanno tante liti autonome quanti sono gli atti impugnati; ne conse-gue, ancora, che per ognuna delle “lite autonome” così definita occorre valutare la sus-sistenza dei requisiti di cui all’art. 39 d.l. n. 98/2011 per procedere alla chiusura agevo-lata e che pertanto, se anche una o più delle liti autonome risulti non definibile, ciò non toglie che le altre possano invece accedere al trattamento di favore. Allo stesso modo, come precisato anche nella circolare n. 48/E del 2011, neppure la riunione dei ricorsi effettuata in sede processuale fa venir meno l’autonomia delle liti che ne formano oggetto. 11.3.2 Le fattispecie comprese e le fattispecie escluse dalla nozione di lite de-finibile Come già detto, il legislatore del 2011, per mezzo del rinvio all’art. 16 della l. n. 289/2002, consente la definizione delle liti aventi ad oggetto gli avvisi di accertamento, i provvedimenti di irrogazione delle sanzioni e ogni altro atto di imposizione. Se i primi due atti non necessitano di ulteriori precisazioni, la categoria che comprende “ogni altro atto di imposizione” richiede invece taluni chiarimenti, già stati forniti con la circolare più volte menzionata n. 48/E del 2011 che, dato il rinvio effettuato dal legisla-tore alla definizione delle liti disposta con la l. n. 289/2002, richiama a sua volta le istru-zioni fornite con la circolare n. 12/E del 2003. Stante il chiaro disposto legislativo, v’è innanzitutto una categoria di liti escluse dalla definizione perché riguardano atti non aventi natura di “atto impositivo”. Non sono, co-sì, definibili le liti avverso il diniego di autotutela e le controversie concernenti il rifiuto espresso (diniego di rimborso) o tacito (silenzio-rifiuto) alla restituzione di tributi. Troviamo, poi, una vasta categoria di liti che, in linea teorica, non è definibile ma lo di-venta se v’è, da parte dell’ufficio, una più specifica attività di controllo a cui segue la richiesta di un tributo o di un maggior tributo. È il caso delle liti aventi ad oggetto gli omessi versamenti (ovvero le iscrizioni a ruolo delle imposte non versate rilevate a se-guito del controllo ex art. 36-bis DPR n. 600/1973 e 54-bis DPR n. 633/1972) e delle liti avverso gli avvisi di liquidazione: la loro esclusione dal novero delle fattispecie defini-bili è data dalla natura non impositiva dell’atto impugnato poiché, nel primo caso, trat-tasi di un atto di mera riscossione ricognitivo di quanto dichiarato dallo stesso contri-buente e nel secondo caso di un atto finalizzato alla mera liquidazione e riscossione del tributo sempre secondo i dati dichiarati dal contribuente. Tuttavia è consentito l’accesso di entrambe le fattispecie alla definizione agevolata qualora i predetti atti manifestino, nei confronti del contribuente, una pretesa fiscale nuova o maggiore di quella già determinata da lui stesso ed assolvano, quindi, anche la funzione di provvedimento impositivo. Tali sono le iscrizioni a ruolo ex artt. 36-bis DPR n. 600/1973 e 54-bis DPR n. 633/1972 delle maggiori imposte dovute che con-

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seguono non al mero controllo dei versamenti ma alla rettifica di alcuni dati indicati in dichiarazione dal contribuente (ad esempio disconoscimento di detrazioni o deduzioni); tali sono anche gli avvisi di liquidazione che, invece di trarre le necessarie conseguenze dai dati dichiarati dal contribuente, li rettifica esprimendo così una pretesa fiscale mag-giore di quella applicata al momento della registrazione. In conclusione, tutti gli atti che, come quelli appena trattati, indipendentemente dal loro nomen iuris e dalla funzione che tipicamente assolvono, rappresentino anche manife-stazione di una pretesa impositiva – si pensi ancora agli avvisi di liquidazione dell’imposta di successione, nel caso in cui l’ufficio rettifichi la dichiarazione, al diniego o revoca di agevolazioni, nel caso in cui l’ufficio non si sia limitato a tale atto ricognitivo ma abbia contestualmente accertato e richiesto anche il tributo o maggior tributo do-vuto, e alle cartelle di pagamento che non siano state precedute dagli atti impositivi veri e propri e che quindi portino per la prima volta il contribuente a conoscenza della pre-tesa tributaria – possono accedere alla chiusura agevolata di cui all’art. 39, comma 12 del d.l. n. 98/2011. Sono poi escluse dalla disciplina agevolativa, per espressa previsione contenuta nel comma 12, lett. e) dell’art. 39 d.l. n. 98/2011, le controversie aventi ad oggetto il recu-pero di aiuti di Stato illegittimi. Non sono infine definibili, come chiarito dalla circolare n. 48/2011 che ha ripreso sul pun-to le considerazioni già esposte nella precedente circolare n. 12/2003, le liti che hanno già usufruito di una precedente definizione agevolata ovvero quelle connesse alla corretta applicazione dell’istituto definitorio, ad esempio le liti relative al diniego di condono e le liti concernenti l’esatta determinazione delle somme dovute per la chiusura. 11.4 Effetti 11.4.1 Procedura e perfezionamento della definizione Per effetto delle modifiche apportate all’art. 39, comma 12 del d.l. n. 98/2011 ad opera del d.l. n. 216/2011, la chiusura delle liti pendenti richiede, e si perfeziona, con il pa-gamento della somma dovuta entro il 31 marzo, rectius 2 aprile 2012 (prima della mo-difica normativa, il termine era il 30 novembre 2011). Come già detto, per la definizione delle liti introdotta dal d.l. n. 98/2011, differentemen-te dal precedente condono di cui alla l. n. 289/2002, non è consentito il versamento in forma rateale; pertanto gli importi dovuti per la definizione devono essere integralmente versati entro il 2 aprile 2012, pena l’inefficacia della sanatoria. Al pagamento della somma dovuta fa seguito la presentazione della domanda di defini-zione, da parte del soggetto che ha proposto l’atto introduttivo del giudizio, da effet-tuarsi sempre entro il 31 marzo, rectius 2 aprile, 2012. Quest’ultima va presentata e-sclusivamente in via telematica – tramite il servizio Internet, gli intermediari autorizzati o uno qualsiasi degli Uffici territoriali dell’Agenzia delle Entrate che ne cureranno poi la

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trasmissione telematica – utilizzando l’apposito modello conforme a quello approvato con provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle Entrate del 13 settembre 2011. Se quelli appena descritti sono gli adempimenti a carico del contribuente, l’Ufficio deve a sua volta controllare la regolarità della procedura di definizione; nel caso in cui rilevi talune irregolarità oppure l’omesso o insufficiente pagamento, entro il termine previsto, di quanto dovuto, deve notificare al contribuente (entro il 30 settembre 2012 e con le modalità previste dall’art. 60, DPR n. 600/1973) e contestualmente depositare presso l’organo giurisdizionale competente, il provvedimento di diniego della definizione della lite fiscale pendente. Come disposto dall’art. 39, comma 12, lett. c) del d.l. n. 98/2011, le liti fiscali suscetti-bili in astratto di definizione, ovvero quelle che soddisfano i requisiti stabiliti dalla norma, sono sospese ex lege fino al 30 giugno 2012; quelle per le quali è stata, poi, presenta-ta in concreto domanda di definizione restano sospese fino al 30 settembre 2012. Entro la predetta data del 30 settembre gli Uffici, dopo aver verificato la regolarità della procedura e dunque il perfezionamento della definizione, devono comunicare agli or-gani giurisdizionali presso cui pendono le liti l’accoglimento della domanda di condono con richiesta di dichiarare l’estinzione del giudizio per cessata materia del contendere ai sensi dell’art. 46, d.lgs. 546/1992 (si ricordi che l’estinzione del giudizio è subordina-ta alla comunicazione di regolarità del condono da parte dell’Ufficio, quindi non può in nessun caso essere dichiarata dal Giudice in assenza di siffatta comunicazione); del resto, entro il 15 luglio gli Uffici dovevano già aver trasmesso ai competenti organi giu-risdizionali un elenco completo delle controversie per le quali era stata presentata do-manda di definizione. Oltre alla sospensione del giudizio, il comma 12 dell’art. 39 prevede anche la sospen-sione, sempre fino al 30 giugno 2012, dei termini per la «proposizione di ricorsi, appelli, controdeduzioni, ricorsi per cassazione, controricorsi e ricorsi in riassunzione, compresi i termini per la costituzione in giudizio». Con la circolare n. 48/E del 2011 è stato chiarito che la sospensione dei termini opera anche con riferimento all’impugnazione di provvedimenti giurisdizionali aventi una de-nominazione diversa da quella espressamente indicata dal legislatore; in tal senso, so-no sospesi fino al 30 giugno i termini per proporre reclamo contro i provvedimenti pre-sidenziali di cui all’art. 28 d.lgs. n. 546/1992; peraltro deve ritenersi che la norma, nella parte in cui prevede la sospensione dei termini per la “proposizione di ricorsi”, intenda riferirsi proprio al reclamo considerato che invece la sospensione non opera con riferi-mento al termine per proporre il ricorso in primo grado. Nel caso in cui il contribuente non si avvalga dell’istituto definitorio (ovvero non ponga in essere nessuno degli adempimenti – pagamento dell’importo dovuto e presentazio-ne della domanda – previsti per il perfezionamento del condono), il 1° luglio 2012, ces-sata la sospensione prevista ex lege dal comma 12 dell’art. 39, riprenderanno a decor-rere nuovamente i termini processuali.

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11.4.2 Il “costo” della definizione Come già detto sopra, il soggetto che ha proposto l’atto introduttivo del giudizio e che intende definire la lite pendente deve innanzitutto versare, in un’unica soluzione entro il 2 aprile 2012, una somma che, dato il rinvio all’art. 16 della l. n. 289/2002, si differen-zia a seconda del valore della lite e della soccombenza e risulta così determinata: se il valore della lite non è superiore a 2.000 euro, l’importo da versare è di 150,00 euro; se il valore della lite è superiore a 2.000 euro, l’importo da versare è così determinato:

il 30% del valore della lite, se non v’è ancora stata una pronuncia sul merito o sull’ammissibilità dell’atto introduttivo del giudizio;

il 10% del valore della lite se, in base all’ultima o unica pronuncia sul merito o sull’ammissibilità dell’atto introduttivo, sia risultata soccombente l’Agenzia delle En-trate;

il 50% del valore della lite se, al contrario, sia risultato soccombente il contri-buente (anche la pronuncia di inammissibilità e le altre ad essa equiparabili, quali ad esempio l’improponibilità come ricorda la circolare n. 48/E, determina la soc-combenza del soggetto che ha proposto l’atto di impugnazione dichiarato i-nammissibile).

Da precisare che, in caso di soccombenza parziale, ai fini del calcolo della somma da versare per la definizione si farà applicazione sia della percentuale del 10 che quella del 50 per cento sulla parte del valore della lite per la quale è risultata soccombente rispet-tivamente l’Agenzia delle Entrate ed il contribuente. Il pagamento del dovuto va effettuato con il modello “F24 versamenti con elementi i-dentificativi” indicando il codice tributo “8082” istituito, come già detto in premessa, con la risoluzione n. 82/E del 5 agosto 2011 e senza possibilità di effettuare compen-sazioni con altri crediti di imposta. Ai fini del calcolo dell’importo da versare per la definizione, rileva la situazione alla data di presentazione della relativa domanda. Può così accadere che, tra la data in cui il contribuente ha versato le somme per chiudere la lite e quella di presentazione della domanda, intervenga una pronuncia giurisdizionale sul merito o sull’ammissibilità dell’atto introduttivo per effetto della quale risultino modificate le somme dovute. In tali casi, secondo le istruzioni fornite con la circolare n. 48/E: a) se le somme già versate sono inferiori a quelle dovute per effetto dell’intervenuta

pronuncia, il contribuente deve versare la differenza entro la data di presentazione della domanda;

b) se le somme già versate sono superiori a quelle dovute per effetto dell’intervenuta pronuncia, il contribuente ha diritto alla restituzione dell’eccedenza ma solo nel ca-so previsto dall’art. 16, comma 5 della l. n. 289/2002 ovvero nel caso in cui l’Agenzia delle Entrate sia risultata soccombente sulla base dell’unica o ultima pro-nuncia non definitiva e il valore della controversia sia superiore a 2.000 euro.

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La previsioni dell’art. 16, comma 5 valgono, del resto, in tutti i casi in cui vi sia un “ec-cedenza” e dunque anche nel caso in cui le somme versate provvisoriamente dal con-tribuente in pendenza di giudizio siano superiori a quelle dovute per la definizione della lite; anche in tal caso, a parte il fatto che il contribuente non dovrà effettuare nessun versamento e la definizione si perfezionerà con la sola presentazione della domanda, il rimborso dell’eccedenza sarà disposto solo se l’Agenzia delle Entrate sia risultata soc-combente sulla base dell’unica o ultima pronuncia non definitiva e il valore della contro-versia sia superiore a 2.000 euro Dalle somme dovute per la definizione, vanno scomputate quelle già versate in via provvisoria in applicazione delle norme che disciplinano la riscossione in pendenza di giudizio. Come già detto, l’omesso o insufficiente versamento delle somme dovute entro il ter-mine previsto del 2 aprile 2012 determina l’inefficacia della sanatoria con conseguente notifica, da parte dell’Ufficio, del provvedimento di diniego. Fa eccezione alla regola appena descritta l’ipotesi dell’errore scusabile, enunciato dall’art. 16, comma 9 della l. n. 289/2002 e di cui gli Uffici dovranno fare corretta appli-cazione anche con riferimento alla definizione delle liti introdotta con il d.l. n. 98/2011. In caso di pagamento inferiore al dovuto, infatti, qualora sia riconosciuta la scusabilità dell’errore –laddove il contribuente abbia cioè osservato una normale diligenza nella determinazione del valore della lite e degli importi dovuti in tutti quei casi di obiettiva incertezza o particolare complessità del calcolo – v’è la possibilità per il contribuente di regolarizzare il pagamento entro trenta giorni dal ricevimento della comunicazione dell’Ufficio con cui lo si invita, appunto, ad effettuare il pagamento integrativo del mag-gior tributo liquidato dallo stesso ufficio; qualora il contribuente non provveda all’integrazione entro tale termine, la definizione non avrà efficacia e sarà oggetto di un provvedimento di diniego da parte dell’ufficio. 11.5 Quesiti D: Considerato che sono definibili anche le liti instaurate con ricorso inammissibile, l’impugnazione tardiva di un avviso di accertamento dà sempre luogo ad una “lite pen-dente” ammessa alla definizione ex art. 39 d.l. 98/2011? R: L’impugnazione tardiva non consente sempre l’accesso della lite alla definizione age-volata ma bisogna considerare le finalità sottese all’impugnazione dell’atto impositivo. A tal proposito la Suprema Corte ha indicato i presupposti necessari affinché una lite possa considerarsi pendente, primo fra tutti quello della “realtà” nel senso che «la lite deve essere provvista di un margine di incertezza tanto che permanga l’interesse, non solo del contribuente ma anche dell’Amministrazione, a definirla» (vedi Cass. n. 19693/2011 e prima Cass. n. 15158/2006). Alla luce dei principi enunciati dalla Corte si può concludere che in tema di condono vige il principio generale secondo cui «l’impugnazione tardiva a fini meramente stru-

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mentali (e cioè per creare artificiosamente un contenzioso che permetta il pagamento di una minore imposta rispetto a quanto accertato) non può sortire l’effetto voluto». Ecco perché la circolare n. 7/2012, occupatasi della questione, ha chiarito che l’affermazione contenuta nella precedente circolare n. 48/2011 secondo cui «sono am-messe alla definizione anche le liti instaurate mediante ricorsi – in sé inammissibili – pro-posti oltre i termini prescritti dalla legge» va letta e intesa alla luce del principio enunciato dalla Suprema Corte e dunque è necessario, ai fini della definibilità della controversia, che questa sia stata instaurata per tutelare un interesse vero e reale del contribuente e non, invece per mettersi nelle condizioni di godere della definizione agevolata. In pratica se, sulla base di elementi oggettivi riferiti alla vicenda giudiziaria e amministra-tiva, si può fondatamente ritenere che l’impugnazione tardiva dell’atto impositivo sia stata utilizzata dal contribuente come strumento per creare una lite al solo ed unico fine di beneficiare della definizione, detta lite non sarà ammessa al trattamento agevolato. D: Nelle fattispecie in cui vi sono più coobbligati, la definizione della lite effettuata da uno di essi esplica effetti anche a favore degli altri? R: Le fattispecie che coinvolgono più soggetti come obbligati in solido possono dar luogo, se diventano oggetto di un contenzioso, a tre differenti situazioni e dunque a tre diversi effetti della definizione della lite effettuata da uno dei coobbligati: Pendenza di una sola lite in cui sono presenti tutti i coobbligati; in tal caso, data

l’unicità della lite, la definizione effettuata da uno qualsiasi di loro determina l’estinzione della lite con efficacia nei confronti di tutti gli altri obbligati;

Pendenza di tante liti quanti sono i soggetti coobbligati, ognuno dei quali ha impu-gnato autonomamente e separatamente lo stesso atto impositivo; in tal caso, pur essendoci più liti pendenti, la definizione effettuata da uno dei coobbligati ha effetto anche nei confronti degli altri e determina l’estinzione di tutte le liti aventi il medesi-mo oggetto;

Presentazione del ricorso solo da parte di alcuni dei soggetti obbligati in solido; in tal caso si avrà una o più liti pendenti con riferimento ad una parte dei coobbligati e la definitività della pretesa impositiva con riferimento all’altra parte dei coobbligati.

Come stabilito nella circolare n. 48/2011, la definizione della lite effettuata da uno dei ricorrenti impedisce comunque all’Amministrazione di esercitare ulteriori azioni nei confronti degli altri coobbligati, fermo restando che non verranno tuttavia rim-borsate le somme da questi già versate.

D: In caso di accertamento notificato ad una società di persone (per Iva ed Irap) e ai singoli soci, (per Irpef), se alla data del 30 novembre 2011 risultano pendenti solo alcu-ne delle liti che riguardano i soci, è possibile estendere la definizione anche alle liti che riguardano gli altri soci, sebbene instaurate successivamente al 30 novembre, sulla ba-se dell’unitarietà dell’accertamento? R: La circolare n. 48/2011 sul punto è molto chiara nell’escludere tale possibilità alla luce del principio di “autonomia” delle liti.

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La circolare, infatti, al paragrafo 4.15 così dispone: «Sebbene l’atto di accertamento impugnato dalla società contenga l’indicazione dell’ammontare del reddito o del mag-gior reddito da imputare per trasparenza ai soci (ed eventualmente dell’Irap accertata in capo alla società), lo stesso non reca alcuna quantificazione né delle imposte né del-le sanzioni dovute dai soci. Di conseguenza, l’eventuale definizione della lite da parte della società, limitatamente alle sole imposte accertate nell’atto e di competenza della medesima (come, ad esempio, l’Irap), non esplica efficacia nei confronti dei soci, con riguardo ai redditi di partecipazione accertati in capo a questi ultimi. Le controversie instaurate dai diversi soci di società di persone in materia di imposte sui redditi di par-tecipazione, ai soli fini della definizione agevolata, sono da considerarsi come liti auto-nome. Pur avendo una matrice comune, esse sono, sul piano processuale, distinte e autonome sia tra loro sia rispetto alla lite instaurata dalla società, con riguardo ad altre imposte accertate in capo alla stessa». Si deve pertanto ritenere che l’autonomia delle liti promosse anteriormente alla data prevista dalla legge (ovvero entro il 30 novembre 2011) rispetto a quelle promosse successivamente a tale data fa sì che queste ultime non siano definibili per difetto del requisito della “pendenza” al 30 novembre 2011.

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12. La composizione delle controversie fiscali internazionali

Giovambattista Palumbo

12.1 Profili 12.1.1 Premessa Lo scorso triennio ha registrato un aumento progressivo del contenzioso internazionale connesso con le procedure amichevoli (Mutual Agreement Procedure, di seguito MAP) instaurate per rimediare a fenomeni di doppia imposizione. Il referente istituzionale per la gestione politico-negoziale delle procedure amichevoli è il Dipartimento delle Finanze. Le fonti giuridiche di attivazione di tali procedure sono rinvenibili sia nelle Convenzioni per evitare le doppie imposizioni in vigore tra l’Italia e gli Stati partner dei trattati, sia, in sede europea, nella Convenzione 90/436/CEE del 23 luglio 1990 relativa all’eliminazio-ne delle doppie imposizioni in caso di rettifica degli utili delle imprese associate (detta “Convenzione arbitrale”)1. 12.1.2 Le fonti giuridiche “internazionali” Le Convenzioni bilaterali, oltre a contenere specifiche disposizioni al fine di rimuovere o mitigare i fenomeni di doppia imposizione internazionale, prevedono uno specifico strumento di risoluzione delle controversie che possono eventualmente insorgere tra gli Stati: la procedura amichevole disciplinata dall'art. 25 del Modello OCSE di convenzio-ne per evitare le doppie imposizioni sul reddito e sul patrimonio (“Modello OCSE”) e dal relativo Commentario. La procedura amichevole è istituto di consultazione diretta tra le Amministrazioni fiscali degli Stati contraenti, le quali dialogano attraverso le rispettive “autorità competenti”, nelle forme ritenute più idonee, con il fine di pervenire a un accordo sull'oggetto della procedura. In tal senso la MAP costituisce lo strumento per la risoluzione delle controversie inter-nazionali, nelle situazioni in cui un soggetto residente di uno dei due Stati contraenti ritiene che le misure adottate da una o entrambe le Amministrazioni finanziarie compor-tano o comporteranno nei suoi confronti un'imposizione non conforme alle disposizioni della Convenzione.

- - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - 1 Le ipotesi di doppia imposizione emergenti dalla rettifica degli utili di imprese associate, in applicazione del-

la normativa in materia di prezzi di trasferimento, costituiscono una delle fattispecie più ricorrenti tra quelle oggetto di procedura amichevole.

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L’Italia ha concluso un numero elevato di Convenzioni bilaterali, aventi come obiettivo l’eliminazione della doppia imposizione giuridica ed economica e ciascuna di esse in-clude una disposizione equivalente all’art. 25 del Modello OCSE, avente ad oggetto le procedure amichevoli. A tal fine il Manuale OCSE “Manual on Effective Mutual Agreement Procedures”, forni-sce alle Amministrazioni fiscali e ai contribuenti le informazioni di base sul funzionamen-to delle MAP, identificando alcune best practices cui le Amministrazioni fiscali degli Stati membri dovrebbero conformarsi. Anche le Linee guida OCSE sulla determinazione dei prezzi di trasferimento, all’interno del Capitolo IV relativo agli strumenti amministrativi per evitare e risolvere le controver-sie generate da rettifiche di transfer pricing, dedicano peraltro un apposito paragrafo all’impiego delle MAP. Accanto alle Convenzioni bilaterali, come detto, vige poi la menzionata Convenzione arbitrale, attivabile in ipotesi di doppia imposizione economica generata da rettifiche dei prezzi di trasferimento praticati fra imprese associate residenti nell'Unione europea. Ai fini dell'applicazione della Convenzione arbitrale occorre, altresì, fare riferimento alle raccomandazioni contenute nel “Codice di condotta per l’effettiva attuazione della Convenzione relativa all’eliminazione delle doppie imposizioni in caso di rettifica degli utili di imprese associate”, adottato dal Consiglio dell’Unione europea in data 22 di-cembre 2009. 12.1.3 Fonti giuridiche “interne” Per quanto riguarda il quadro normativo interno, la base giuridica per l'instaurazione di una procedura amichevole va in particolare rinvenuta nelle leggi di ratifica delle singole Convenzioni bilaterali stipulate dall’Italia e nella legge di ratifica della stessa Convenzio-ne arbitrale2. Inoltre, nell’ordinamento tributario italiano un riferimento espresso alle procedure ami-chevoli è rinvenibile nel comma 7, secondo periodo, dell’art. 110 del Testo Unico delle Imposte sui Redditi 22 dicembre 1986, n. 917, laddove si afferma che le regole di de-terminazione a valore normale si applicano «anche se ne deriva una diminuzione del reddito, ma soltanto in esecuzione degli accordi conclusi con le autorità competenti degli Stati esteri a seguito delle speciali “procedure amichevoli” previste dalle conven-zioni internazionali contro le doppie imposizioni sui redditi». - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - 2 Ratificata con l. 22 marzo 1993, n.99.

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12.2 Fonti Normativa Convenzione 90/436/CEE del 23 luglio 1990 Art. 25 del Modello OCSE Comma 7, secondo periodo, dell’art. 110 del Tuir

12.3 Applicazioni 12.3.1 L’art. 25 del modello OCSE Come detto, tutte le Convenzioni bilaterali stipulate dall’Italia prevedono una clausola, corrispondente all’art. 25 del Modello OCSE, istitutiva della procedura amichevole. L’istituto si configura anzitutto, ai sensi dei paragrafi 1 e 2 dell’art. 25, come rimedio esperibile da parte del contribuente che ritenga di essere o di poter essere leso da un’imposizione fiscale non conforme alla Convenzione. Ai sensi del paragrafo 3 dell’art. 25 inoltre, è possibile che una procedura amichevole sia iniziata direttamente dalle autorità competenti degli Stati contraenti. Procedura amichevole su iniziativa delle autorità competenti Il paragrafo 3 dell'art. 25 del Modello OCSE prevede, al primo periodo, che la procedu-ra amichevole possa anche essere iniziata dalle autorità competenti degli Stati contra-enti per risolvere in via di amichevole composizione le difficoltà o i dubbi inerenti all’interpretazione o all’applicazione della Convenzione. Si tratta sostanzialmente di difficoltà di carattere generale, che riguardano determinate categorie piuttosto che singoli contribuenti, ancorché tali difficoltà possano essersi evi-denziate anche in relazione a casi individuali. Inoltre, ai sensi del secondo periodo del paragrafo 3, le due Amministrazioni possono aprire consultazioni allo scopo di eliminare fenomeni di doppia imposizione connessi con casi non previsti dalla Convenzione3. L'accordo raggiunto dalle autorità competenti nell'ambito di una procedura amichevole aperta ai sensi dell'art. 25, paragrafo 3, del Modello OCSE, interessa un numero ampio di contribuenti e, pertanto, va assoggettato ad adeguate forme di pubblicità.

- - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - 3 Rientra, ad esempio, in quest'ultima ipotesi il caso di un’impresa residente di uno Stato terzo avente stabili

organizzazioni in entrambi gli Stati contraenti

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Procedura amichevole aperta d'iniziativa del contribuente L’art. 25, paragrafo 1, del Modello OCSE statuisce che se una “persona” reputa che si sia realizzata, o si possa realizzare, nei suoi confronti una imposizione non conforme alla Convenzione, essa può presentare il caso all’autorità competente del proprio Stato di residenza o, nell’ipotesi di cui all’art. 24 (Non discriminazione), paragrafo 1, dello stesso Modello OCSE, all'autorità competente dello Stato di cui possiede la nazionalità4. Con riferimento al termine “persona”, esso ricomprende le persone fisiche, le persone giuridiche, le società e ogni altra associazione o ente che siano dotati di soggettività tributaria e siano residenti, ai fini fiscali, nel territorio di uno dei due Stati partner della Convenzione. Inoltre, non necessariamente la doppia imposizione deve essersi già verificata, essendo sufficiente, ai fini del reclamo da parte dell’interessato, che questi ritenga che le misure fiscali adottate nei suoi confronti comporteranno tale effetto. Nella previsione di cui all'art. 25, paragrafi 1 e 2 del Modello OCSE rientrano dunque tutte quelle fattispecie generatrici di doppia imposizione giuridica o economica che ri-guardano tanto le persone fisiche quanto le persone giuridiche e le altre entità cui si applica la Convenzione. Per quanto riguarda le persone fisiche, può trattarsi, ad esempio, di ipotesi di doppia residenza fiscale, di non corretta applicazione di ritenute su dividendi, interessi e royal-ties, di controversa qualificazione del reddito di lavoro percepito dal contribuente etc. Con riferimento ai soggetti diversi dalle persone fisiche, possono formare oggetto della procedura questioni relative all'esistenza di una stabile organizzazione, alla corretta at-tribuzione degli utili alle imprese associate di un gruppo multinazionale, alla qualifica-zione di redditi come utili d'impresa ovvero come diversa categoria disciplinata da spe-cifiche disposizioni convenzionali etc. La presentazione dell'istanza Per la corretta individuazione dei termini entro i quali il contribuente può produrre istan-za di apertura di una procedura amichevole, deve farsi riferimento a quanto previsto nella singola Convenzione bilaterale applicabile al caso di specie. Infatti, anche se il Modello OCSE individua come termine finale per la presentazione dell’istanza il terzo anno dalla prima notifica della misura che comporta un'imposizione non conforme alle disposizioni della Convenzione, la maggior parte delle Convenzioni bilaterali stipulate dall’Italia individuano termini più brevi (generalmente due anni). Il contribuente ha comunque facoltà di presentare l’istanza anche anteriormente alla notifica di un formale avviso di accertamento: è possibile, ad esempio, chiedere l'aper-

- - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - 4 Non tutte le Convenzioni bilaterali stipulate dall’Italia contengono, accanto alla residenza, il riferimento alla

nazionalità. Ne consegue che, nel caso concreto, qualora il contribuente intenda avvalersi del principio di non discriminazione, deve fare riferimento diretto alle singole Convenzioni bilaterali stipulate dall’Italia con lo Stato estero di volta in volta interessato, al fine di verificare se possa o meno essere soggetto legittimato all’attivazione della procedura amichevole.

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tura di una procedura amichevole a seguito della notifica di un processo verbale di constatazione. In linea di principio, l’istanza di apertura della procedura amichevole deve essere pre-sentata direttamente dal contribuente nel proprio Stato di residenza. Per quanto riguarda, tuttavia, le rettifiche dei prezzi di trasferimento, l’istanza di apertu-ra della procedura amichevole viene, di regola, presentata nello Stato che ha emesso l’atto da cui origina la doppia imposizione, a cura dell'impresa residente destinataria dell'accertamento. Ciò posto, in ordine a tali fattispecie la procedura amichevole può essere comunque validamente instaurata dall'impresa estera associata, in capo alla quale è già stata as-soggettata a imposizione la materia imponibile oggetto di rettifica nel primo Stato. In tal caso, l'impresa associata si rivolge all'autorità competente del proprio Stato di residen-za per lamentare la doppia imposizione generatasi in seno al gruppo multinazionale. Nel caso di MAP attivata da un soggetto residente in Italia, l’istanza va redatta in carta libera e spedita per raccomandata con avviso di ricevimento al Ministero dell’Economia e delle Finanze, Dipartimento delle Finanze – Direzione Relazioni Internazionali, ovvero consegnata a mano alla medesima Direzione con contestuale rilascio di copia della prima pagina dell’istanza con timbro della segreteria e data di ricezione. La presentazione dell’istanza di apertura della procedura amichevole non è soggetta ad alcun tipo di contribuzione. Allo scopo di accelerare il processo di valutazione e la conseguente attivazione dei contatti con l’autorità competente estera, l'istanza deve preferibilmente contenere i se-guenti elementi informativi: 1) l’identificazione del contribuente (nome, indirizzo e codice fiscale); 2) l'indicazione del domicilio del contribuente o dell'eventuale domiciliatario presso il

quale devono essere effettuate le comunicazioni dell'Amministrazione finanziaria; 3) l'illustrazione dei fatti e delle circostanze del caso con l’indicazione dei periodi

d’imposta nei quali si è verificata o potrebbe verificarsi la doppia imposizione; 4) la descrizione delle eventuali azioni amministrative e giurisdizionali intraprese in Ita-

lia, come presentazione di istanza di accertamento con adesione o presentazione di ricorso giurisdizionale;

5) i rimedi eventualmente azionati nell’altro Stato contraente per eliminare la doppia imposizione;

6) copia degli atti fiscali che hanno determinato o potrebbero determinare un’imposizione non conforme alle disposizioni della Convenzione bilaterale (in parti-colare, ove del caso, copia del provvedimento espresso di diniego di rimborso o, in caso di diniego tacito, copia dell'istanza di rimborso); nonché

7) ogni ulteriore documentazione di supporto atta a favorire l’attività istruttoria delle autorità competenti interessate alla procedura amichevole.

L'istanza deve infine contenere l’impegno del contribuente a rispondere in modo esau-riente e tempestivo alle richieste pervenute dall’autorità competente nel corso della

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procedura amichevole nonché a rendere disponibile la documentazione integrativa che possa rendersi necessaria ai fini dell’attività istruttoria. Svolgimento della procedura L'art. 25, paragrafo 2, del Modello OCSE stabilisce che, qualora l’autorità competente ritenga giustificato il reclamo del proprio contribuente, ma non sia in grado autonoma-mente di giungere a una soddisfacente soluzione, essa deve adoperarsi per regolare il caso in via di amichevole composizione con l’autorità competente dell’altro Stato. È, pertanto, possibile distinguere due fasi nello svolgimento della procedura amichevole. In una prima fase, l’autorità competente che ha ricevuto il reclamo deve pronunciarsi sulla sua ammissibilità. A tal fine, essa deve valutare la sussistenza dei requisiti sogget-tivi e oggettivi previsti per l'apertura della procedura amichevole e deve accertare, in particolare, se l’istante correttamente ritenga che le azioni di uno o di entrambi gli Stati comportano o comporteranno un’imposizione non conforme alla Convenzione. Nel caso in cui la procedura amichevole abbia ad oggetto il rimborso di imposte prele-vate in difformità dalle previsioni convenzionali, la verifica di ammissibilità dell'istanza viene effettuata unitamente all’Agenzia delle Entrate. Ove l’istanza risulti ammissibile e fondata, l’autorità competente deve vagliare la possi-bilità di rimediare essa sola all’imposizione non conforme alla Convenzione attraverso l’adozione di misure unilaterali. In caso contrario, il reclamo del contribuente viene noti-ficato all’autorità competente dell’altro Stato per un confronto a più alto livello. Nel caso in cui la doppia imposizione sia generata da un atto emesso dall'Agenzia delle Entrate, quest'ultima valuta se siano ravvisabili elementi che inducano a una elimina-zione della doppia imposizione con atto unilaterale, ossia in via di autotutela. Parimenti, se la doppia imposizione scaturisce da un atto emesso dall'Amministrazione estera, l'Agenzia delle Entrate valuta la possibilità di riconoscere un rimborso o uno sgravio al contribuente residente, in considerazione della manifesta conformità dell'atto estero alla relativa norma convenzionale. Ove, invece, non si consideri esperibile una eliminazione unilaterale della doppia impo-sizione, l'autorità competente italiana, come detto, informa l'autorità dell’altro Stato cir-ca la decisione di avviare la MAP. I rapporti tra le autorità competenti finalizzati alla risoluzione del caso di doppia imposi-zione normalmente si svolgono attraverso lo scambio di posizioni in forma scritta e, ove necessario, la fissazione di incontri negoziali. Di regola, l'autorità competente che per prima invia il proprio documento di posizione è quella dello Stato che ha adottato la misura suscettibile di produrre doppia imposizione. In generale, nella redazione dei do-cumenti di posizione è utilizzata la lingua inglese. È riconosciuto al contribuente un diritto di informazione. In particolare, nel MEMAP (Se-zione 3.3.3 e relativa best practice n. 14) si raccomanda che il contribuente venga in-formato dall'autorità competente sullo stato della procedura e possa, altresì, chiedere di essere ascoltato in merito alla controversia.

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Ove si tratti di procedura amichevole conseguente a una rettifica di transfer pricing, il Commentario all’art. 25 del Modello OCSE contiene l’ulteriore raccomandazione (para-grafo 40, lettera c) che sia riconosciuta al contribuente ogni ragionevole possibilità di rappresentare all'autorità competente, oralmente o per iscritto, fatti e argomenti relativi al caso. Infine, in caso di accordo tra le autorità competenti, generalmente l’autorità competen-te che ha ricevuto l’istanza di MAP comunica i contenuti dell'accordo al contribuente, mentre l'Agenzia delle Entrate ne dispone l'esecuzione, provvedendo - ove del caso - al rimborso o allo sgravio dell’imposta non dovuta e relative sanzioni e interessi. Ove si tratti di procedura amichevole conseguente a una rettifica di transfer pricing, l’autorità competente italiana generalmente comunica il contenuto dell’accordo al con-tribuente residente, anche qualora l’istanza di MAP sia stata presentata all’autorità competente estera dal contribuente non residente. Qualora l'accordo amichevole sia intervenuto in pendenza di procedimento giurisdizio-nale, il contribuente può accettare la definizione raggiunta in ambito negoziale oppure rifiutarla, proseguendo il giudizio. In ogni caso il contribuente deve informare per iscritto l'autorità competente e, contestualmente, l'Agenzia delle Entrate, Direzione Centrale Accertamento, circa la scelta operata. 12.3.2 La Convenzione arbitrale La necessità di pervenire, quanto meno in ambito comunitario, a una soluzione certa delle procedure amichevoli, che garantisca entro ragionevoli limiti di tempo l’eliminazione dei fenomeni di doppia imposizione economica riconducibili a rettifiche di transfer pricing, ha portato all’adozione della Convenzione arbitrale, sottoscritta dagli Stati membri il 23 luglio 1990. Le relative disposizioni, ancorché siano in parte mutuate dal testo del Modello OCSE, rivestono valore autonomo, senza necessità alcuna di integrazione o rinvio alle disposi-zioni contenute nelle Convenzioni bilaterali in vigore tra gli Stati membri. Ai sensi del combinato disposto degli artt. 1 e 4, la Convenzione si applica quando, in conformità al principio di libera concorrenza, uno Stato contraente attrae a tassazione in capo a una propria impresa gli utili afferenti a un’impresa di un altro Stato contraen-te. In tale evenienza, se le due imprese e l’altro Stato contraente non accettano la retti-fica, l’art. 5 prevede che una procedura amichevole possa essere aperta ai sensi del-l'art. 6. Inoltre, ai sensi dell’art. 7, paragrafo 1, se le autorità competenti interessate non rag-giungono, in seno alla procedura amichevole, un accordo che elimini la doppia imposi-zione entro due anni dalla data in cui il caso è stato sottoposto per la prima volta, esse devono istituire una commissione consultiva cui conferiscono l’incarico di esprimere un parere sul modo di eliminare la doppia imposizione.

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Il successivo art. 12 sancisce l’obbligo, per le autorità competenti, di conformarsi al pa-rere espresso dalla commissione consultiva oppure di prendere, di comune accordo, una decisione alternativa, ma comunque idonea a eliminare la doppia imposizione. Si profila, in tal modo, un obbligo di pervenire comunque a una definizione del caso proposto5. I soggetti I soggetti legittimati a presentare istanza di procedura amichevole all'autorità compe-tente italiana sono: a) le imprese residenti, con riferimento ai rapporti di partecipazione sussistenti tra le

medesime e imprese stabilite in altro Stato membro dell’Unione europea; b) le stabili organizzazioni in Italia di imprese residenti in altro Stato membro. Tali soggetti possono proporre l'apertura di una MAP allorché l'Amministrazione finan-ziaria italiana o quella dell'altro Stato membro intendano operare o abbiano operato una rettifica degli utili delle imprese associate residenti nel proprio territorio o delle sta-bili organizzazioni ivi stabilite. Ambito oggettivo L’art. 4 della Convenzione arbitrale enuncia il principio di libera concorrenza (arm’s length principle). L'art. 1 delimita il campo di applicazione della Convenzione, la quale «si applica quando, ai fini dell’imposizione, gli utili inclusi negli utili di un’impresa di uno Stato contra-ente sono o saranno probabilmente inclusi anche negli utili di un’impresa di un altro Stato contraente, non essendo osservati i principi enunciati all’art. 4 e applicati direttamente o in disposizioni corrispondenti della normativa dello Stato interessato». Da ciò consegue che, in ipotesi di rettifica in aumento degli utili di un’impresa associata effettuata dall’Agenzia delle Entrate, la sola normativa domestica di riferimento che le-gittima l’accesso alla MAP da Convenzione arbitrale è quella in materia di prezzi di tra-sferimento di cui al combinato disposto degli artt. 110, comma 7, e 9, comma 3, del TUIR. In altre parole, risulta precluso l’accesso alla MAP da Convenzione arbitrale per i con-tribuenti le cui istanze di apertura di procedura amichevole risultano fondate su conte-stazioni di altra natura (inclusi i rilievi connessi all’inerenza di costi sostenuti in transa-zioni fra imprese associate ai sensi dell’art. 109, comma 5 del TUIR). Esclusione dalla procedura L’art. 8, comma 1, della Convenzione arbitrale prevede che «L’autorità competente di uno Stato contraente non è obbligata ad avviare la procedura amichevole o costituire la commissione consultiva di cui all’art. 7, quando, con procedimento giudiziario o

- - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - 5 Si tratta, pertanto, non più dell’obbligo di diligenza descritto nel Commentario all'art. 25 del Modello OCSE,

ma di un vero e proprio obbligo di risultato.

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amministrativo, è stato definitivamente constatato che una delle imprese interessate, mediante atti che diano luogo a rettifica degli utili ai sensi dell’art. 4, è passibile di san-zioni gravi.». Inoltre il comma 2 dello stesso art. 8 prevede che «Quando un procedimento giudizia-rio o amministrativo, inteso a constatare che una delle imprese interessate, mediante atti che diano luogo a rettifica degli utili ai sensi dell’art. 4, è passibile di sanzioni gravi, è pendente contemporaneamente ad uno dei procedimenti previsti agli artt. 6 e 7, le autorità competenti possono sospendere lo svolgimento di questi ultimi fino alla con-clusione del procedimento giudiziario o amministrativo in questione.». L’Italia al riguardo ha espresso a suo tempo la dichiarazione unilaterale (allegata alla Convenzione), secondo cui “Per sanzioni gravi” si intendono le sanzioni previste per illeciti configurabili, ai sensi della legge nazionale, come ipotesi di reato fiscale. Al riguardo, occorre precisare che il riferimento fatto alle sanzioni penali tributarie nella predetta dichiarazione unilaterale è stato inteso nella prassi applicativa considerando unicamente le ipotesi eccezionali di condotta fraudolenta. I casi di preclusione eccezionale consistono principalmente nelle fattispecie di cui agli artt. 2 (Dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per opera-zioni inesistenti), 3 (Dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici) del d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74. Contenuto e modalità di presentazione dell’istanza Nel caso di MAP arbitrale attivata da un soggetto residente in Italia, l’istanza di apertura della procedura amichevole deve essere redatta in carta libera e spedita per racco-mandata con avviso di ricevimento al Ministero dell’Economia e delle Finanze, Diparti-mento delle Finanze - Direzione Relazioni Internazionali, ovvero consegnata a mano alla medesima Direzione con contestuale rilascio di copia della prima pagina dell’istanza con timbro della segreteria e data di ricezione. La presentazione dell’istanza per attivare la procedura amichevole non è soggetta ad alcun tipo di contribuzione, in conformità alla raccomandazione contenuta nel paragra-fo 6.1, lettera e), del Codice di condotta. Ai sensi del paragrafo 5, lettera a), del Codice di condotta, l’istanza deve contenere le seguenti informazioni minime: identificazione (nome, indirizzo e codice fiscale) del soggetto istante e delle altre

parti interessate alle operazioni in esame; illustrazione particolareggiata dei fatti e delle circostanze correlati all’oggetto

dell’istanza, compresi i dettagli relativi alle relazioni economico-commerciali tra l’impresa istante e le altre parti interessate alle operazioni in questione;

indicazione dei periodi d'imposta interessati; copie degli atti (avviso d'accertamento, processo verbale di constatazione) che

hanno comportato o possono comportare la doppia imposizione; informazioni particolareggiate su eventuali procedure amministrative e contenziose

attivate dall’impresa verificata o dalle altre parti coinvolte (società consolidanti, im-prese associate), con i relativi esiti;

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memorie che illustrano i motivi per cui l'impresa ritiene che i principi definiti all'art. 4 della Convenzione arbitrale non siano stati rispettati (in particolare: descrizione delle operazioni infragruppo oggetto di rettifica e del metodo utilizzato dall'impresa per la relativa determinazione dei prezzi di trasferimento, ivi incluse le ragioni per cui l'im-presa considera che i risultati derivanti dall'applicazione del metodo siano conformi al principio di libera concorrenza);

impegno dell’istante a rispondere tempestivamente e in modo esaustivo a ogni ra-gionevole e appropriata richiesta formulata dall’autorità competente e a mettere a sua disposizione la documentazione necessaria;

a fornire le informazioni supplementari richieste dall'autorità competente nei due mesi successivi al ricevimento dell'istanza di apertura della MAP;

indicazione che le operazioni oggetto di procedura amichevole sono coperte da idonea documentazione ai sensi dell’art. 26 del d.l. 31 maggio 2010, n. 78, conver-tito, con modificazioni, dalla l. 30 luglio 2010 n. 122, o equivalente documentazione imposta nell’altro Stato membro dalla normativa ivi vigente.

Sospensione della riscossione Ai sensi dell'art. 3, comma 2, della l. n. 99 del 1993 di ratifica della Convenzione arbi-trale, nelle more dello svolgimento della procedura amichevole e dell'eventuale succes-siva fase arbitrale l'Agenzia delle Entrate può autorizzare la sospensione della riscos-sione o degli atti esecutivi afferenti alle maggiori imposte accertate ai sensi dell’art. 110, comma 7, del TUIR e relativi interessi e sanzioni. Il procedimento amministrativo di sospensione è strettamente correlato all’ammissibilità dell’istanza di apertura della procedura amichevole ai sensi della Convenzione arbitrale. L'istanza di sospensione va indirizzata all’Agenzia delle Entrate, Direzione Centrale Ac-certamento per il tramite dell’Ufficio che ha emanato l'atto d'accertamento, mettendo in conoscenza anche il Ministero dell’Economia e delle Finanze, Dipartimento delle Fi-nanze – Direzione Relazioni Internazionali. L’istanza deve contenere i seguenti elementi: identificazione (denominazione, indirizzo e codice fiscale) del soggetto istante; puntuali riferimenti in merito all'avvenuta presentazione di istanza di apertura di una

procedura amichevole e all'accoglimento della stessa da parte del Ministero dell’E-conomia e delle Finanze, Dipartimento delle Finanze;

informazioni particolareggiate su eventuali procedure contenziose attivate dall’impresa verificata o da parti correlate, quali la società consolidante.

Inoltre l'istanza deve preferibilmente recare in allegato: copia dell’istanza di apertura della procedura amichevole; copia della nota con la quale il Ministero dell’Economia e delle Finanze comunica la

valida apertura della MAP; copia degli eventuali atti esecutivi.

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Il provvedimento autorizzatorio di sospensione della riscossione o degli atti esecutivi viene emanato a firma del Direttore dell’Agenzia delle Entrate e trasmesso alla compe-tente Direzione Regionale o Provinciale per l'emissione dell'atto di sospensione. Alla Direzione Regionale o Provinciale è rimessa, in tale sede, la valutazione circa l’eventuale richiesta di idonea garanzia a copertura del credito erariale. Per quanto concerne il termine di decadenza dell’efficacia del provvedimento di so-spensione, lo stesso viene di prassi individuato nella data di conclusione della procedu-ra di cui alla Convenzione arbitrale. Si precisa che qualora il contribuente contestualmente coltivi un contenzioso avverso i medesimi rilievi oggetto di procedura amichevole, l’autorizzazione alla sospensione del-la riscossione o degli atti esecutivi viene accordata a condizione di rinuncia al giudizio. Svolgimento della procedura Il Ministero dell’Economia e delle Finanze, Dipartimento delle Finanze - Direzione Rela-zioni Internazionali, entro un mese dalla ricezione dell'istanza di apertura della procedu-ra amichevole accusa ricevuta della medesima al contribuente e procede alla valuta-zione dei requisiti soggettivi e oggettivi di ammissibilità, eventualmente interessando l’Agenzia delle Entrate al fine di ottenere un parere su questioni controverse. In conformità alle raccomandazioni contenute nel Codice di condotta, entro due mesi dalla ricezione della richiesta di apertura della MAP l’autorità competente italiana infor-ma l’istante in merito alla sua ricevibilità ovvero in merito alla necessità di ottenere in-formazioni integrative. Qualora l’autorità competente abbia ritenuto ricevibile e fondata l’istanza, ma non sia in grado di risolvere in via unilaterale la lamentata doppia imposizione, sentita l’Agenzia delle Entrate, informa l’altro Stato della decisione di avviare la MAP. L’Agenzia delle Entrate, informata dell’avvenuta apertura della MAP, provvede all’eventuale emanazione dei provvedimenti di competenza (in primis, il provvedimento autorizzatorio della sospensione della riscossione o degli atti esecutivi). Nei due anni successivi alla valida apertura della procedura amichevole, ovvero suc-cessivi alla rinuncia al ricorso da parte del contribuente, le autorità competenti dei due Stati devono adoperarsi per raggiungere un accordo che elimini la doppia imposizione. Se entro tale termine esse non sono state in grado di comporre la controversia, deve essere istituita una commissione consultiva per l'avvio della fase arbitrale. I rapporti tra le autorità competenti, finalizzati alla risoluzione del caso di doppia impo-sizione, si svolgono attraverso lo scambio di posizioni in forma scritta e, ove necessa-rio, l’organizzazione di incontri. Di regola, l'autorità competente che per prima invia il proprio documento di posizione è quella dello Stato che ha emesso l'atto di accerta-mento da cui origina la doppia imposizione. Nella redazione dei documenti relativi allo scambio di posizioni tra le autorità compe-tenti viene, di prassi, utilizzata la lingua inglese. La procedura amichevole si conclude con:

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l’accordo fra le autorità competenti entro due anni dall’attivazione della procedura amichevole, ovvero entro un termine più ampio concordato tra autorità competenti e contribuenti; oppure

l’accordo raggiunto dalle autorità competenti entro i sei mesi successivi all’emissione del parere della commissione consultiva, tanto in conformità dello stesso quanto in deroga ai sensi dell'art. 12, paragrafo 1, della Convenzione arbitrale.

L'accordo viene notificato al contribuente a cura dell’autorità competente, con conte-stuale comunicazione all’Agenzia delle Entrate, che eventualmente fornisce le informa-zioni relative alla presentazione di istanza di rimborso o sgravio dell’imposta e relative sanzioni e interessi. Ai sensi dell'art. 3, paragrafo 1, della l. n. 99 del 1993 il Direttore dell'Agenzia, con pro-prio provvedimento, su richiesta del contribuente, autorizza il rimborso o lo sgravio del-l'imposta non dovuta a seguito dell'esito della procedura amichevole o arbitrale.

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