Giocando s'impara Furono i cuccioli di Homo ludens a ...

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Tecnologia Le ricerche archeologiche confermano l'ipotesi dello storico Huizinga. Piccoli modellini utilizzati dai bimbi hanno consentito di sviluppare importanti innovazioni Giocando s'impara Furono i cuccioli di Homo ludens a inventare la ruota di MASSIMIANO BUCCHI Lo storico olandese Johan Huizinga aveva dunque ragione. L'Homo sapiens è sempre stato Homo lu- dens. Il gioco, e in particolare i giocattoli, non sono solo uno dei modi principali per apprendere abilità complesse nell'età dello sviluppo, ma pos- sono rappresentare la chiave per compren- dere l'origine dia] cune delle più grandi in- novazioni della storia umana. E questa l'originale tesi sostenuta da un gruppo in- ternazionale di archeologi in una recente pubblicazione sulla rivista «Evolutionary Anthropology». Prendiamo l'esempio classico dell'in- venzione della ruota. «Costruirne un pro- totipo in scala reale richiede una grande quantità di risorse, di tempo, di abilità» spiega il professor Felix Riede del Diparti- mento di Archeologia dell'Università di Aarhus, Danimarca. «Procedere per conti- nue prove ed errori, imparare da sé, è estremamente impegnativo e a rischio di fallimento». Troppo impegnativo per un'epoca in cui la stretta sopravvivenza di sé e della propria discendenza occupava gran parte del tempo e delle risorse degli adulti. Ma ecco l'ipotesi di Riede: il gioco, e in particolare il gioco con piccoli modelli che richiamano una tecnologia o le sue parti, avrebbe permesso ai piccoli Homo sapiens di sperimentare in modo elemen- tare e controllato i funzionamenti e le combinazioni possibili di oggetti e forme, incoraggiando e ponendo le basi per le più grandi innovazioni future. Un elemento ti- pico del gioco, potenzialmente fertile per l'innovazione, spiega un altro membro del gruppo di ricerca, la canadese April Nowell, è infatti anche l'abilità di immagi- nare scenari controfattuali: «Che cosa ac- cadrebbe se...». Queste osservazioni trovano riscontro in un'ormai ampia letteratura sul rapporto tra gioco e creatività. «Il gioco è un generatore di novità» secondo il biologo Patrick Bate- son. Quando si gioca c'è spontaneità, di- vertimento, assenza delle pressioni e dello stress che normalmente si associano alle attività di routine (come quelle lavorative). In un esperimento in cui si chiedeva ai par- tecipanti di immaginare i possibili diversi utilizzi di un vasetto di marmellata o di una ,• „s „ ,,. „„.,Y..._

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Tecnologia Le ricerche archeologiche confermano l'ipotesidello storico Huizinga. Piccoli modellini utilizzati dai bimbihanno consentito di sviluppare importanti innovazioni

Giocando s'imparaFurono i cucciolidi Homo ludensa inventare la ruotadi MASSIMIANO BUCCHI

Lo storico olandese Johan Huizingaaveva dunque ragione. L'Homosapiens è sempre stato Homo lu-dens. Il gioco, e in particolare igiocattoli, non sono solo uno dei

modi principali per apprendere abilitàcomplesse nell'età dello sviluppo, ma pos-sono rappresentare la chiave per compren-dere l'origine dia] cune delle più grandi in-novazioni della storia umana. E questal'originale tesi sostenuta da un gruppo in-ternazionale di archeologi in una recentepubblicazione sulla rivista «EvolutionaryAnthropology».

Prendiamo l'esempio classico dell'in-venzione della ruota. «Costruirne un pro-totipo in scala reale richiede una grandequantità di risorse, di tempo, di abilità»spiega il professor Felix Riede del Diparti-mento di Archeologia dell'Università diAarhus, Danimarca. «Procedere per conti-nue prove ed errori, imparare da sé, èestremamente impegnativo e a rischio difallimento». Troppo impegnativo perun'epoca in cui la stretta sopravvivenza disé e della propria discendenza occupavagran parte del tempo e delle risorse degliadulti. Ma ecco l'ipotesi di Riede: il gioco, e

in particolare il gioco con piccoli modelliche richiamano una tecnologia o le sueparti, avrebbe permesso ai piccoli Homosapiens di sperimentare in modo elemen-tare e controllato i funzionamenti e lecombinazioni possibili di oggetti e forme,incoraggiando e ponendo le basi per le piùgrandi innovazioni future. Un elemento ti-pico del gioco, potenzialmente fertile perl'innovazione, spiega un altro membro delgruppo di ricerca, la canadese AprilNowell, è infatti anche l'abilità di immagi-nare scenari controfattuali: «Che cosa ac-cadrebbe se...».

Queste osservazioni trovano riscontro inun'ormai ampia letteratura sul rapporto tragioco e creatività. «Il gioco è un generatoredi novità» secondo il biologo Patrick Bate-son. Quando si gioca c'è spontaneità, di-vertimento, assenza delle pressioni e dellostress che normalmente si associano alleattività di routine (come quelle lavorative).In un esperimento in cui si chiedeva ai par-tecipanti di immaginare i possibili diversiutilizzi di un vasetto di marmellata o di una

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graffetta, Bateson notò che chi si descrive-va come «incline al gioco» tendeva ad of-frire una maggiore varietà di opzioni. Nu-merosi gli esempi storici di grandi creativiche amavano associare al gioco le proprieattività: da Mozart al fisico Richard Feyn-man, allo scopritore della penicillinaAlexander Fleming, che di sé diceva: «Iogioco con i microbi».

L'ipotesi di Riede e dei suoi colleghi paresuffragata anche da una serie di dati ar-cheologici. Gli studiosi hanno messo adesempio a confronto ben documentateculture materiali della storia della Groen-landia. Nonostante il comune contestoeconomico e ambientale, le differenze so-no profonde. Nessun oggetto assimilabilea un giocattolo è stato infatti trovato per iSaqqaq, una cultura paleoeschimese dellaGroenlandia meridionale sviluppatasi apartire dal25oo a.C. e scarsamente innova-tiva. Bambole e kayak in miniatura e armi«giocattolo» erano invece comuni tra lebambine e i bambini dei neoeschimesiThule (antenati dei moderni Inuit), unacultura dinamica e innovativa presentenella Groenlandia nel XIII secolo; non solo,ma la presenza di questi specifici oggetti indeterminate zone coincide proprio con learee di maggiore sviluppo tecnologico deiThule.

Tornando ancora più indietro nel tem-po, nel sito archeologico di Laugerie-Bassein Francia sono state trovate delle «rondel-le»ricavate da ossa che risalgono a un'epo-ca tra gli u mila e i 18 mila anni fa. Questerondelle portano su ciascun lato un'imma-gine di daino raffigurato nell'atto della cor-sa. Le rondelle sono forate al centro per farpassare una corda. Muovendo la corda, sifaceva girare l'immagine simulando il mo-vimento come si fa oggi con i cosiddettiflip books per bambini. Gli studiosi ipotiz-zano che il far girare queste rondelle abbiacontribuito a sviluppare idee e spunti perpossibili altri utilizzi del movimento rota-torio, tra cui la filatura di tessuti.

Soprattutto in alcuni casi, naturalmente,la datazione non è così precisa da permet-tere di stabilire se siano arrivati prima imodellini giocattolo o le tecnologie in sca-la reale: è altamente possibile, secondoRiede e i suoi colleghi, che i due processi sisiano rinforzati reciprocamente.

E la ruota? Risalgono a due secoli primadella sua effettiva comparsa (abitualmente

datata attorno al 3500 a.C.) modellini a for-ma di animale, ritrovati nell'attuale Ucrai-na, con un buco in corrispondenza dellezampe per farli muovere su piccoli dischidi ceramica a forma di ruota.

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Aver giocato con questi modellini dapiccoli, esplorando i differenti modi di far-li muovere, può aver contribuito, una voltaadulti, a immaginarne possibili sviluppi eapplicazioni. A meno che, ovviamente,non siano stati proprio gli inventori adultia usarli come prototipi. «Uno avrebbe po-tuto costruire un centinaio di questi mo-dellini e giocandoci capire quale funziona-va meglio» spiega Riede. Oppure capireche quel tipo di innovazione non era adat-ta al contesto, come potrebbe essere acca-duto nell'America centrale. Qui figurine inargilla su ruote sono documentate fin dalXV secolo a.C, ma il trasporto su ruote, co-m'è noto, arrivò solo con lo sbarco deglispagnoli, tremila anni dopo. Una possibilespiegazione è che, pur essendo conosciutocome principio meccanico, il trasporto suruota non fosse considerato dalle civiltà lo-

cali adatto al territorio e agli animali dispo-nibili.

Nel suo classico Homo ludens (traduzio-ne di Corinna van Schendel, Einaudi,1946), Huizinga non parla dell'invenzionedella ruota in relazione al gioco. Osservaperò che tra i tanti significati di «gioco», invarie lingue (tra cui l'inglese, il giapponesee anche l'italiano) ce n'è uno meccanico:nel senso di piccola differenza tra duecomponenti che ne consente il moto, pro-prio come nel caso di due ruote dentate.

Sulla copertina della prima edizioneolandese del libro (1938) campeggiavainoltre una ruota a tre gambe, la cosiddettaTriscele. Un'immagine dalla complessasimbologia (oggi tra l'altro rappresentatasulla bandiera della Regione Sicilia) che,secondo alcuni studiosi, Huizinga scelsecome «simbolo di gioco e combattimento,ma anche espressione di progresso uma-no». Gioco, rotelline e progresso: propriola ricetta che pare sia stata vincente per ilnostro antenato, Homo sapiens e al tempostesso ludens. O forse addirittura sapiensproprio in quanto ludens.

@MassiBucchiO RIPRODUZIONE RISERVATA