Galileo e l'eresia di Giordano Brunodownload.kataweb.it/mediaweb/pdf/espresso/scienze/1987...tonici...

4
Galileo e l'eresia di Giordano Bruno Lo storico processo a Galileo dipese anche da una erronea identificazione degli obiettivi dello scienziato pisano con quelli di Giordano Bruno, il quale usò l'astronomia come tramite per idee politiche e teologiche di Lawrence S. Lerner ed Edward A. Gosselin N el 1633 Galileo fu convocato a Roma dinanzi all'Inquisizione e accusato di avere insegnato che la Terra si muove. Il successivo pro- cesso impegnò la piena autorità della Chiesa cattolica romana in una disputa scientifica e teologica con lo scienziato più importante del tempo. Com'è noto, Galileo fu costretto ad abiurare pubbli- camente le sue convinzioni scientifiche in seguito all'accusa di aver difeso la con- cezione copernicana dell'universo, una posizione condannata nel 1616 come «erronea in fede» e «contraria alle Sacre Scritture». Questo caso è oggi universal- mente riconosciuto come un evento cri- tico nella nascita della scienza moderna. All'epoca del processo a Galileo era ancora vivo il ricordo di Giordano Bru- no, anch'egli incorso, nel 1600, nei rigori dell'Inquisizione romana. Come Gali- leo , Bruno era stato un famoso coperni- cano, ma nel suo caso la pena applicata fu molto più severa: la morte sul rogo. Le vicende e le persecuzioni dei due pen- satori sono state unite in due miti, che tendono a confondere le figure in modi curiosamente opposti. Secondo il primo mito, entrambi sfidarono una Chiesa cattolica ignorante e oscurantista anima- ti da uno spirito moderno di libertà ed entrambi furono martirizzati per la loro causa. In questo contesto Bruno è con- siderato come una sorta di proto-Gali- leo, o forse un Galileo mancato: egli fu un proto-Galileo semplicemente perché abbracciò il sistema copernicano e subì una variante estrema della sorte di Ga- lileo. Fu un Galileo mancato in quanto, non avendo l'intelligenza scientifica e il genio di Galileo, sfociò in un misticismo speculativo. Come spesso accade, in questo mito c'è un nocciolo di verità, ma la documentazione storica ci offre un re- soconto molto più ricco e complesso. Il secondo mito è quasi l'opposto del primo: Galileo sarebbe stato una sorta di Bruno redivivo nel senso che, al pari di quello, fu visto come un rivoluziona- rio religioso e politico. Questo mito non va rifiutato con leggerezza come ostinata persistenza in un vecchio errore. Le no- stre ricerche ci hanno convinto che la comprensione del ruolo svolto da questo mito all'inizio del Seicento è essenziale per penetrare più a fondo il «clima» do- minante alla vigilia del processo di Gali- leo. Sosterremo che i guai di Galileo fu- rono in parte una conseguenza del frain- tendimento del suo nuovo modo di pen- sare da parte dei contemporanei, che lo calarono nelle categorie più tradizionali e più familiari già espresse da Bruno. 1- 1 primo mito, che ritrae Bruno come un Galileo fallito, ebbe vasta diffusio- ne nell'Ottocento e in parte del Nove- cento; la sua morale era congeniale alla visione del mondo del liberalismo otto- centesco. Questo mito alimentava la po- polare leggenda che Galileo, mentre abiurava pubblicamente la fede coperni- cana, avrebbe mormorato: «Eppur si muove». Non vi sono prove a sostegno di quest'episodio e al vero Galileo non è consono il ruolo eroico attribuitogli dalla tradizione. Egli non era certo adatto a svolgere la parte di un Guglielmo Tell o di un Nathan Hale, che, impiccato come spia dagli inglesi durante la guerra d'in- dipendenza americana, disse prima di morire: «Mi spiace di avere solo una vita da offrire al mio paese.» Che cosa si può dire di Giordano Bru- no? La sua figura si accorda con il primo mito, che vorrebbe farne un martire del- la scienza? Per semplicità limiteremo la nostra discussione alla sua prima e più importante opera sul sistema copernica- no, La cena de le ceneri; scritta in italia- no, venne pubblicata a Londra nel 1584. A quell'epoca Bruno era ospite, come «suo gentiluomo», dell'ambasciatore di Francia nella capitale inglese. Se si considera la Cena un'esposizione del sistema copernicano e di altri argo- menti scientifici, ci si chiede con imba- razzo quale possa essere la ragione della sua grande notorietà. Essa ci appare in- fatti un compendio di assurdità: uno sfoggio sconnesso di errori grossolani collegati fra loro da passaggi incompren- sibili. Bruno ha idee sbagliate sul model- lo copernicano del sistema solare. Di- mostra una totale ignoranza delle nozio- ni più elementari di geometria, per non parlare dell'ottica geometrica. Introdu- ce brandelli di ragionamenti pseudo- scientifici, per lo più travisati, e procede ad alate speculazioni che sembrano prive di qualsiasi connessione con i ragiona- menti che precedono o che seguono. I diagrammi stessi non sempre corrispon- Il pittore seicentesco Ottavio Leoni ha raffigurato, in questo ritratto, Galileo all'età di sessan- t'anni circa. Era un periodo di grande speranza intellettuale per lo scienziato fiorentino e per i suoi seguaci: poco tempo prima, nel 1623, era salito al soglio pontificio, con il nome di Urbano VIII, Maffeo Barberini, anch'egli fiorentino, uomo di cultura e amante delle arti. Un arazzo in Vaticano raffigura il Barberini che perora una tesi di laurea implicante l'accettazione dell'astro- nomia tolemaica, ma egli aveva seguito con Nilo interesse le ricerche galileiane sul modello copernicano del mondo. Nel maggio e nel giugno 1624 i due uomini ebbero una lunga serie di conversazioni. Nove anni dopo, la loro amicizia si era tramutata in ostilità e Urbano VIII costrinse Galileo ad abiurare le sue convinzioni scientifiche. Il processo a Galileo fu per il Papa un espediente politico, anche perché nella coscienza pubblica Galileo era stato assimilato a Giordano Bruno, pensatore rivoluzionario in campo teologico e politico che era stato fra i pri- mi sostenitori delle idee di Copernico, condannato per eresia e arso vivo sul rogo nel 1600. 88

Transcript of Galileo e l'eresia di Giordano Brunodownload.kataweb.it/mediaweb/pdf/espresso/scienze/1987...tonici...

  • Galileoe l'eresia di Giordano Bruno

    Lo storico processo a Galileo dipese anche da una erronea identificazionedegli obiettivi dello scienziato pisano con quelli di Giordano Bruno, ilquale usò l'astronomia come tramite per idee politiche e teologiche

    di Lawrence S. Lerner ed Edward A. Gosselin

    N

    el 1633 Galileo fu convocato aRoma dinanzi all'Inquisizionee accusato di avere insegnato

    che la Terra si muove. Il successivo pro-cesso impegnò la piena autorità dellaChiesa cattolica romana in una disputascientifica e teologica con lo scienziatopiù importante del tempo. Com'è noto,Galileo fu costretto ad abiurare pubbli-camente le sue convinzioni scientifichein seguito all'accusa di aver difeso la con-cezione copernicana dell'universo, unaposizione condannata nel 1616 come«erronea in fede» e «contraria alle SacreScritture». Questo caso è oggi universal-mente riconosciuto come un evento cri-tico nella nascita della scienza moderna.

    All'epoca del processo a Galileo eraancora vivo il ricordo di Giordano Bru-no, anch'egli incorso, nel 1600, nei rigoridell'Inquisizione romana. Come Gali-leo , Bruno era stato un famoso coperni-cano, ma nel suo caso la pena applicatafu molto più severa: la morte sul rogo.Le vicende e le persecuzioni dei due pen-satori sono state unite in due miti, chetendono a confondere le figure in modicuriosamente opposti. Secondo il primomito, entrambi sfidarono una Chiesacattolica ignorante e oscurantista anima-ti da uno spirito moderno di libertà edentrambi furono martirizzati per la lorocausa. In questo contesto Bruno è con-siderato come una sorta di proto-Gali-leo, o forse un Galileo mancato: egli fuun proto-Galileo semplicemente perchéabbracciò il sistema copernicano e subìuna variante estrema della sorte di Ga-lileo. Fu un Galileo mancato in quanto,non avendo l'intelligenza scientifica e ilgenio di Galileo, sfociò in un misticismospeculativo. Come spesso accade, inquesto mito c'è un nocciolo di verità, mala documentazione storica ci offre un re-soconto molto più ricco e complesso.

    Il secondo mito è quasi l'opposto delprimo: Galileo sarebbe stato una sorta

    di Bruno redivivo nel senso che, al paridi quello, fu visto come un rivoluziona-rio religioso e politico. Questo mito nonva rifiutato con leggerezza come ostinatapersistenza in un vecchio errore. Le no-stre ricerche ci hanno convinto che lacomprensione del ruolo svolto da questomito all'inizio del Seicento è essenzialeper penetrare più a fondo il «clima» do-minante alla vigilia del processo di Gali-leo. Sosterremo che i guai di Galileo fu-rono in parte una conseguenza del frain-tendimento del suo nuovo modo di pen-sare da parte dei contemporanei, che localarono nelle categorie più tradizionalie più familiari già espresse da Bruno.

    1-1 primo mito, che ritrae Bruno comeun Galileo fallito, ebbe vasta diffusio-

    ne nell'Ottocento e in parte del Nove-cento; la sua morale era congeniale allavisione del mondo del liberalismo otto-centesco. Questo mito alimentava la po-polare leggenda che Galileo, mentreabiurava pubblicamente la fede coperni-cana, avrebbe mormorato: «Eppur simuove». Non vi sono prove a sostegnodi quest'episodio e al vero Galileo non èconsono il ruolo eroico attribuitogli dallatradizione. Egli non era certo adatto asvolgere la parte di un Guglielmo Tell odi un Nathan Hale, che, impiccato comespia dagli inglesi durante la guerra d'in-

    dipendenza americana, disse prima dimorire: «Mi spiace di avere solo una vitada offrire al mio paese.»

    Che cosa si può dire di Giordano Bru-no? La sua figura si accorda con il primomito, che vorrebbe farne un martire del-la scienza? Per semplicità limiteremo lanostra discussione alla sua prima e piùimportante opera sul sistema copernica-no, La cena de le ceneri; scritta in italia-no, venne pubblicata a Londra nel 1584.A quell'epoca Bruno era ospite, come«suo gentiluomo», dell'ambasciatore diFrancia nella capitale inglese.

    Se si considera la Cena un'esposizionedel sistema copernicano e di altri argo-menti scientifici, ci si chiede con imba-razzo quale possa essere la ragione dellasua grande notorietà. Essa ci appare in-fatti un compendio di assurdità: unosfoggio sconnesso di errori grossolanicollegati fra loro da passaggi incompren-sibili. Bruno ha idee sbagliate sul model-lo copernicano del sistema solare. Di-mostra una totale ignoranza delle nozio-ni più elementari di geometria, per nonparlare dell'ottica geometrica. Introdu-ce brandelli di ragionamenti pseudo-scientifici, per lo più travisati, e procedead alate speculazioni che sembrano privedi qualsiasi connessione con i ragiona-menti che precedono o che seguono. Idiagrammi stessi non sempre corrispon-

    Il pittore seicentesco Ottavio Leoni ha raffigurato, in questo ritratto, Galileo all'età di sessan-t'anni circa. Era un periodo di grande speranza intellettuale per lo scienziato fiorentino e per isuoi seguaci: poco tempo prima, nel 1623, era salito al soglio pontificio, con il nome di UrbanoVIII, Maffeo Barberini, anch'egli fiorentino, uomo di cultura e amante delle arti. Un arazzo inVaticano raffigura il Barberini che perora una tesi di laurea implicante l'accettazione dell'astro-nomia tolemaica, ma egli aveva seguito con Nilo interesse le ricerche galileiane sul modellocopernicano del mondo. Nel maggio e nel giugno 1624 i due uomini ebbero una lunga serie diconversazioni. Nove anni dopo, la loro amicizia si era tramutata in ostilità e Urbano VIIIcostrinse Galileo ad abiurare le sue convinzioni scientifiche. Il processo a Galileo fu per il Papaun espediente politico, anche perché nella coscienza pubblica Galileo era stato assimilato aGiordano Bruno, pensatore rivoluzionario in campo teologico e politico che era stato fra i pri-mi sostenitori delle idee di Copernico, condannato per eresia e arso vivo sul rogo nel 1600.

    88

  • DESCRITTA INC INQVE DIA LOGI,PER.quattro interlocutori, Con tre con-

    fiderationi,C irca doifumetti

    31/...»t noAlt' unico refugio de le Mu re. l' !non Iii. Miebd •di Calle] nono. Sig. di Maunifficr, Conerelralto,ctdi lonuilla,Caualler del ordinedel Re Chnanift.ctConfcgher ncl tuo ptioato conteglo. Capitano di

    so. Uomini d'artne,Governator ct Capitano daS. Deliderio. ct A tri bafciatot alla &re-

    nift. Regina ci In-ghilterra.

    C4l .ailéiebc,14)." ,2>"/"'

    L' vniuerCal e interi tione e' decha.'.€34t'rata nel proemio.

    1584.

    rr,'TW .TTTTI TTTIT

    Il più antico ritratto di Giordano Bruno che si conosca è questa incisione anonima eseguita all'i-nizio del Seicento, un paio di decenni dopo la morte di Bruno per mano dell'Inquisizione romana.Poiché non è nota alcuna fonte che risalga agli anni in cui Bruno era in vita, la somiglianza èdubbia. Bruno è qui ritratto nell'abito dell'ordine domenicano, al quale apparteneva, ma versoil quale si sentì legato in grado diverso in differenti periodi della sua vita. Bruno è indicato conil nome latino da lui scelto quando entrò nell'Ordine. (Il suo nome al secolo era Filippo.)L'aggettivo «nolanus» si riferisce al suo luogo d'origine, Nola, cittadina nei pressi di Napoli.

    dono ai ragionamenti che si riferisconoa essi nel testo.

    Ma doveva esservi dell'altro: un signi-ficato più profondo, ma ben evidenteagli occhi dei contemporanei di Bruno.Se egli fosse stato semplicemente un fol-le, sarebbe potuto essere oggetto discherno, ma non si sarebbe imbattuto in

    un'ostilità così violenta e in una rispostaufficiale così energica. L'Inquisizionenon si sarebbe sicuramente data tanto dafare per ridurlo al silenzio e reprimerlo:egli fu tenuto in carcere per otto anni esottoposto a innumerevoli udienze e in-terrogatori prima di essere giustiziato sulrogo.

    Bruno chiarisce ripetutamente che laCena non riguarda in realtà il sistemacopernicano: essa è solo marginalmenteun lavoro scientifico e non dev'essere af-fatto presa alla lettera. Come dice il ti-tolo stesso, l'argomento centrale è la na-tura dell'eucarestia: la cerimonia cristia-na della comunione. Bruno elogia dacompetente Copernico, come l'«aurora,che doveva precedere l'uscita di questosole» di un nuovo giorno. Egli additaperò al disprezzo del lettore l'autoreanonimo della prefazione al De revolu-tionibus orbium coelestium di Coperni-co, riconoscendo che essa è spuria: l'a-nonimo prefatore, in un eccesso di pru-denza, aveva suggerito che l'astronomiacopernicana doveva essere intesa sem-plicemente come un'ipotesi utile ai finidel computo astronomico e non comeuna spiegazione della realtà fisica. (Oggisi sa che la prefazione fu scritta da An-dreas Osiander, un teologo luterano chefu allievo di Copernico.)

    Per Bruno il valore del sistema coper-nicano non risiede nei suoi particolariastronomici tecnici, ma nella sua capaci-tà di fungere da veicolo poetico e meta-forico per una speculazione filosofica diportata molto più ampia. La sostituzionecopernicana del Sole alla Terra comecentro del sistema solare è per Brunouna restaurazione simbolica di quellache chiama «antiqua vera filosofia»; è aquesta filosofia che ci si deve volgere percapire il vero significato dell'eucarestia.

    :antiqua vera filosofia era per Bruno il marchio dell'ermetismo, una con-cezione mistica fondata su scritti neopla-tonici del II e III secolo d.C. Al tempodi Bruno era diffusa la credenza che au-tore di tali scritti fosse il semidivino Er-mete Trismegisto, ritenuto un contem-poraneo di Mosè. La filosofia ermeticasarebbe stata tramandata attraverso Or-feo, Zoroastro, Pitagora, Platone e i tar-di filosofi greci e, per altra via, attraver-so la tradizione giudeo-cristiana. Nelcorso di questi passaggi, però, essa erastata svilita e corrotta e a ciò si doveva,secondo Bruno, lo stato lamentevoledella condizione umana al suo tempo.

    Secondo la concezione ermetica bru-niana, l'uomo è partecipe della divinitàed è perciò, almeno potenzialmente, incostante comunione con Dio. Il princi-pio divino universale si estende poi, oltreall'uomo, anche alle entità che compon-gono l'universo macrocosmico: tanto lestelle quanto i pianeti (Bruno non distin-gue fra le due categorie di corpi celesti)sono vivi e dotati di un'anima ed è pos-sibile agire su di essi per mezzo dellamagia allo scopo di provocare mutamen-ti sociali e politici. Riscoperta e rifinitada Bruno, l'antiqua vera filosofia avreb-be liberato dai ceppi l'essenza divina im-prigionata dentro tutti gli uomini. La suavirtù avrebbe potuto sanare ferite reli-giose e politiche e dare origine a unanuova età dell'oro.

    È importante capire che l'adozione

    della scienza da parte di Bruno per pro-muovere obiettivi più ampi di naturateologica, etica, sociale e politica costi-tuiva un tratto caratteristico della visio-ne del mondo rinascimentale. Per gli uo-mini del Rinascimento la scienza era let-teralmente una branca della filosofia, al-la quale si faceva spesso ricorso per illu-strare problemi non scientifici. Le per-sone intelligenti e colte vedevano spessoparalleli espliciti e altamente antropo-centrici fra conoscenza scientifica e altriaspetti della vita. Quando salta a conclu-sioni sui rapporti fra esseri umani e Diofondandole su teorie relative al modo difunzionamento del macrocosmo, e vice-versa, Bruno ha un comportamento rap-presentativo di quello degli ermetici delsuo tempo.

    Agli occhi di Bruno, una conseguenzainevitabile di un ritorno alla «vera filo-sofia» sarebbe stato il riconoscimentodell'essenziale unità fra i settori piùaperti dei protestanti d'Inghilterra e deicattolici di Francia. Il tema dell'unità rie-cheggia in tutta la Cena. Per esempio, ilsistema tolemaico poneva una distinzio-ne di fondo fra la Terra, che era consi-derata immobile, e le stelle e i pianeti,che si riteneva si muovessero su sfereconcentriche attorno alla Terra; d'altrocanto, una volta accettata la concezionecopernicana, la Terra, mobile, veniva acondividere una stessa condizione congli astri. Bruno popolò in effetti un uni-verso infinito di un numero infinito distelle, tutte in movimento e tutte centraliin modo equivalente rispetto a ciò chestava loro intorno. Analogamente, nellesue opere raffigurò una situazione in cuile opinioni sull'eucarestia dei protestantie dei cattolici meno intransigenti potes-sero essere essenzialmente equivalenti.

    QQuali erano le implicazioni di questaconcezione sul quadro politico con-

    temporaneo? Nell'intento di conservaregli equilibri di potere, l'Inghilterra eratradizionalmente solita allearsi con laFrancia o con la Spagna, a seconda diquale fosse la nazione più debole. Versola fine del Cinquecento la Spagna eraforte e sosteneva con la massima decisio-ne l'ortodossia religiosa. La Francia erainvece travagliata al suo interno da unalunga e cruenta guerra di religione, nellaquale la Spagna appoggiava il partito or-todosso dei Guisa contro i protestanti. Ilre di Francia, il moderato Enrico III, e isuoi fautori rimasero intrappolati fra ledue posizioni estreme. L'alleanza fra imoderati francesi e l'Inghilterra, chesembrava auspicabile a entrambe le par-ti, fu nondimeno bloccata dall'impegnoufficiale della Francia a favore del catto-licesimo. Un ponte che avesse permessodi valicare le differenze di religioneavrebbe avuto perciò un grande valorenel promuovere l'alleanza.

    Bruno era convinto che un monarcaispirato e illuminato dall'ermetismo a-vrebbe potuto condurre il mondo a un'e-tà dell'oro sotto la guida della «vera fi-

    losofia». I suoi candidati a ricoprire que-sto ruolo furono via via Enrico III diFrancia, Elisabetta I d'Inghilterra e, in-fine , Enrico IV di Francia. Due anni do-po la pubblicazione della Cena, egli con-fidò in effetti a Guillaume Cotin, il bi-bliotecario dell'abazia di Saint-Victor aParigi, di essere stato dal 1582 al 1585una sorta di ambasciatore intellettualedei cattolici meno intransigenti vicini aEnrico III presso la corte protestante diElisabetta I. L'entusiasmo di Bruno perle aspettative fatte nascere dall'ascesa altrono di Enrico IV fu tale che nel 1591egli interruppe imprudentemente i suoivagabondaggi attraverso l'Europa pertornare in Italia. Pare che l'obiettivo ul-timo del suo ritorno fosse quello di con-vertire il pontefice stesso all'ermetismobruniano.

    Questo comportamento sconsideratolo condusse quasi subito al disastro. Eglivenne arrestato e poi incarcerato sullabase di accuse pretestuose da parte del-l'Inquisizione veneziana. Trasferito aRoma un anno dopo, vi rimase in carce-re per altri sette, fino alla morte. In car-cere Bruno non costituiva più una mi-naccia reale per il papato, non avendoné seguito, né denaro, né influenza. Inuna situazione normale, avrebbe potutorimanere semplicemente in carcere peril resto della sua vita o finché non fossestato dimenticato. Pare che la sua esecu-zione sia stata oggetto di uno scambiopolitico marginale fra la Santa Sede e gliAsburgo di Spagna.

    Eliminando Bruno, sia il papato sia laSpagna annunciavano a tutti gli interes-sati di non essere disposti a tollerare sfi-de né all'ortodossia religiosa né allo statuquo a cui l'ortodossia era strettamenteconnessa, come vedremo più avanti.L'eredità filosofica di Bruno sopravvissenondimeno all'inizio del Seicento in unacostellazione piuttosto vaga di credenzerappresentate da un gruppo non orga-nizzato di intellettuali noti come Rosa-croce. Gli intenti e le speranze dei Ro-sacroce per un ritorno del pitagorismofurono alimentati nel 1613 dalle nozzedel Grande elettore del Palatinato rena-no , Federico V, con Elisabetta Stuart,figlia di Giacomo I d'Inghilterra. Il ma-trimonio, che venne enfaticamente chia-mato «le nozze mistiche del Tamigi e delReno», parve preannunciare il ritornoall'età aurea di Elisabetta I.

    Nel 1618 Federico ed Elisabetta furo-no eletti re e regina di Boemia, un paeseche di tanto in tanto fu un centro di li-bertà e di tolleranza in campo religioso.La loro deposizione, avvenuta poco do-po, da parte dell'imperatore del Sacroromano impero asburgico, fu il pretestoiniziale della guerra dei Trent'anni, cherinnovò le contese politiche e religiosedel tardo Cinquecento. Negli anni im-mediatamente successivi si diffuse l'al-larme per un presunto pericolo rappre-sentato dai Rosacroce: un timore forte eirrazionale di una sovversione rosacro-ciana nelle roccaforti del cattolicesimo.

    LACE NA DEle Ceneri.

    Giordano Bruno espose la sua versione dellaconcezione copernicana dell'universo in La ce-na de le ceneri, di cui è riprodotto il frontespi-zio. L'opera fu scritta in italiano e pubblicataa Londra nel 1584. Essa si propone, nella for-ma, come una discussione incentrata sul siste-ma copernicano; ma il vero obiettivo di Brunoera di estendere allegoricamente le idee di Co-pernico a speculazioni teologiche e politiche.Il sottotitolo conduce inesorabilmente al temadell'unità sottolineato in tutta l'opera: «De-scritta in cinque dialogi, per quattro interlo-cutori, con tre considerationi, circa doi sug-getti, [dedicata] all'unico refugio de le Muse».

    Fra questo il clima politico e religioso

    i dominante quando, nel 1632, fupubblicato il Dialogo sopra i due massi-mi sistemi del mondo, in cui Galileo for-niva un'esposizione popolare delle sueconcezioni copernicane. Questa pubbli-cazione acquistò un significato profondoper coloro che avevano ancora vivo enitido il ricordo dei conflitti di religionedella fine del Cinquecento. In un'atmo-sfera politica e religiosa che assomigliavamolto a quella dell'ultimo decennio delsecolo precedente era fin troppo facileconfondere gli obiettivi di Galileo conquelli di Bruno. È in questo contesto chenasce il secondo mito: per l'opinionepubblica del 1633 con Galileo tornò invita, anche se contro la sua volontà, quelsimbolo che era stato tre decenni primaBruno.

    Oggi sappiamo che il pensiero di Ga-lileo segnò un distacco radicale dalleconcezioni rinascimentali. In effetti, èstato spesso sostenuto che il massimocontributo di Galileo consistette nel suomodo di guardare all'universo fisico.Purtroppo, questo fatto non fu per nullachiaro alla grande maggioranza dei con-temporanei di Galileo, spesso incapacidi capirne non solamente i metodi e leconclusioni, ma anche gli obiettivi e leintenzioni.'

    9091

  • Tommaso Campanella, raffigurato in un'incisione seicentesca di Nicolas de Larmessin il Vecchio,fu imprigionato nel 1599 per aver guidato una rivolta contro il dominio asburgico nell'Italiameridionale. Torturato e lasciato quasi morire di fame e di freddo in carcere, vi scrisse nondi-meno molte opere sulle idee ermetiche e sugli aspetti filosofici del copernicanesimo. Nel 1616scrisse l'Apologia pro Galilaeo, in cui sostenne che le concezioni astronomiche di Galileo eranoin accordo con la teologia cattolica romana ortodossa. Campanella godette poi per un certo tempodel favore del Papa, ma cadde di nuovo in disgrazia. La sua figura ebbe grande rilievo nell'in-treccio di eventi che condusse Galileo dinanzi all'Inquisizione. Il motto «Propter Sion non tacebo»ricorda l'impegno di Campanella: «Per amor di Sion [ossia della Città celeste] non tacerò».

    A11111~111~\ UN1

    tr-sxH. RM. NEPOS.

    Il cardinale Roberto Bellarmino, che ebbe una parte importante nel decidere la sorte di Bruno,ammonì Galileo, nel 1616, a non sostenere o difendere la dottrina copernicana del moto dellaTerra. Dal colloquio Galileo ricavò però la convinzione che Bellarmino non escludesse lo studiodella concezione copernicana come ipotesi scientifica. La morte di Bellarmino prima del processoa Galileo del 1633 lasciò un'ambiguità sull'esatta posizione della Chiesa esposta a Galileo. Ilritratto di Bellarmino e i suoi resti mortali si trovano nella chiesa romana di Sant'Ignazio.

    Alla mancanza di comprensione delsuo pensiero si aggiunge il fatto che illettore del tardo Rinascimento era pre-parato ad affrontare scritti deliberata-mente oscuri persino quando non esiste-vano precisi motivi che giustificasserouna simile oscurità, la quale si spiega inparte con l'amore per l'ornato e per l'e-leganza elaborata dell'espressione; erainoltre diffusa l'intima convinzione chela conoscenza fosse riservata agli iniziatie che una comprensione che valesse lapena di essere conseguita doveva costarepareccbia fatica. Gli scritti del tempo diGalileo pullulano spesso di significatimolteplici, consentendo così al lettoresagace di spostarsi da un piano di signi-ficati all'altro. Si riteneva che una tale

    ricercatezza rispecchiasse nel modo piùadeguato il mondo naturale, che rivelasegreti progressivamente più profondisolo alle persone diligenti e dotate. Nonoccorre dire che Bruno usò a piene maniquesta impostazione.

    Galileo si distaccò decisamente da talemodo di scrivere, ma è molto più facilerendersene conto oggi di quanto non lofosse nella prima metà del Seicento. Aquel tempo molti erano inclini a pensareche anche i suoi scritti celassero livelli disignificato multipli; in particolare, ilDialogo sopra i due massimi sistemi delmondo poteva essere visto facilmentecome un seguito della Cena de le ceneri.

    Su quali ragioni si fondava quest'opi-nione? Innanzitutto si possono conside-

    rare quelle che potremmo chiamare ra-gioni letterarie esteriori. In precedenzaGalileo aveva scritto il Sidereus nuncius,titolo che fu da molti interpretato come«ambasciatore sidereo» (interpretazionesconfessata da Galileo, che spiegò il ti-tolo come «Ambasciata o Avviso Side-reo, e non Ambasciatore» n. d. t.), laddo-ve Bruno nella Cena aveva chiamato lestelle «que' ambasciatori, che annunzia-no l'eccellenza de la gloria, et maestà deDio». Inoltre, tanto la Cena di Brunoquanto la Lettera a Madama Cristina diLorena, Granduchessa di Toscana scrit-ta da Galileo esprimevano atteggiamentisimili verso la Sacra Scrittura. Entrambele opere affermavano che la Bibbia parlaspesso secondo la comune comprensio-ne del volgo, cosicché può accadere chedica sulla natura cose che non devonoessere intese alla lettera. Quest'opinioneera sufficientemente insolita da giustifi-care una stretta associazione di Galileocon Bruno. Vale infine la pena di ricor-dare che tanto Galileo quanto Brunousarono per la teoria copernicana l'ag-gettivo «pitagorica», una qualificazionespesso adoperata come sinonimo del ter-mine «ermetico», che aveva connotazio-ni politiche spiacevoli.

    Jn secondo luogo, la Cena di Bruno e i Massimi sistemi di Galileo hanno una

    forma notevolmente simile. Per esem-pio, entrambi i dialoghi contrappongonocome interlocutori gentiluomini compitie aristotelici dogmatici. In entrambi idialoghi viene discusso estesamente unesperimento mentale di meccanica: se silascia cadere una pietra dalla cima di unalbero di una nave in movimento, dovecadrà la pietra sulla coperta della nave?Entrambe le opere danno la stessa rispo-sta corretta: la pietra cadrà alla base del-l'albero. Non importa che le osservazio-ni fatte in proposito nelle due opere sia-no del tutto diverse, oche i ragionamentidi Bruno vengano snaturati se li si con-sidera in un contesto puramente fisico.Una mente sospettosa e non incline alragionamento scientifico potrebbe con-fondere facilmente le intenzioni di Gali-leo con quelle di Bruno. Inoltre, entram-bi i dialoghi non erano scritti in latino,bensì in volgare. Sappiamo che le ragioniche indussero i due autori a mettere daparte la consuetudine accademica deltempo erano del tutto diverse, ma dinuovo un lettore sospettoso potrebbepensare che in entrambi i casi l'uso delvolgare fosse inteso a suscitare una di-scussione e un dissenso intellettuale i piùvasti possibile.

    Fra le due opere vi è poi un'ulterioresomiglianza, più generale, che potrebbecondurre facilmente a una conclusioneerronea circa le opinioni di Galileo. Inentrambe le opere il sistema copernica-no è difeso in un modo non matematicoe non tecnico, ignorando del tutto i par-ticolari che ne fanno uno strumento in-teressante e utile per l'astronomo di pro-fessione. Abbiamo già visto che Bruno

    si serve della visione copernicana comedi una rappresentazione simbolica per isuoi obiettivi religiosi e riunionistici. Ildialogo di Galileo è un'opera puramentefilosofica e scientifica, ma anch'esso nondifende il sistema copernicano nella for-ma corrente allora. Galileo amplia in-vece la discussione per arrivare a formu-lare un giudizio fra la sua filosofia dellanatura e quella aristotelica. I Massimisistemi sono così esposti al sospetto cheil loro intento principale si celasse sottola superficie, proprio come nel caso dellaCena bruniana.

    La stretta connessione fra politica ereligione che abbiamo sopra ricordato èalla base di un terzo importante motivodi confusione fra Galileo e Bruno. Il co-pernicanesimo era associato da molti alpensiero politico e religioso rivoluziona-rio. Nel 1599 Tommaso Campanella,frate domenicano già incorso nei rigoridel tribunale dell'Ordine, guidò una ri-volta contro il dominio asburgico spa-gnolo in Calabria. Campanella intende-va richiamare in vita la famosa anticacittà pitagorica di Crotone, ma la suarivolta fu prontamente schiacciata e ilfilosofo, catturato, dovette trascorrere isuccessivi ventisei anni in carcere, du-rante i quali fu però tutt'altro che ozioso.Nel 1600 scrisse La Città del Sole, operadi chiara ispirazione ermetica e coperni-cana (anche se non in senso astronomi-co). Dopo alcuni anni di detenzione, isuoi carcerieri gli consentirono di scrive-re in relativa tranquillità, cosa della qua-le approfittò abbondantemente.

    Nel 1616 Campanella apprese che ilgesuita Roberto Bellarmino intendevaammonire Galileo riguardo a pericoloseimplicazioni teologiche dei suoi insegna-menti scientifici. Si affrettò allora a scri-vere un'Apologia pro Galilaeo in cui ten-tava di dimostrare che le concezioni diGalileo erano in accordo con la teologiaaccettata più di quanto non lo fosse ilsistema tolemaico. Le argomentazioniteologiche presentate su questo puntoda Campanella sono molto simili a quel-le di Bruno e di Galileo. A (forse) ulte-riore danno per la causa di Galileo, l'A-pologia è l'unica opera di Campanella incui sia menzionato Bruno.

    Campanella scrisse anche varie letterea Galileo dal carcere. Le lettere chiari-scono che egli considerava Galileo inmodo molto simile a quello in cui Brunoaveva considerato Copernico: un genioche annunciava l'aurora della nuova ve-rità, senza capire il significato filosoficodelle sue scoperte. Tale atteggiamentoera quasi certamente condiviso da altriche avevano verso Galileo un atteggia-mento mOlto meno amichevole di quellodi Campanella.

    Dal canto nostro abbiamo il forte so-spetto che la stretta associazione di

    Galileo con Campanella, anche se certa-mente non voluta dallo scienziato tosca-no, sia stata un elemento importantenelle vicende che condussero all'abiura

    di Galileo. Quando Campanella fu infi-ne liberato dal carcere, entrò nelle graziedel Papa. Verso la fine degli anni ventigli spagnoli, sempre più irritati per la po-litica filofrancese, in parte segreta mapiuttosto maldestra, di Urbano VIII, siimpegnarono in una guerra psicologicache sfruttava la credenza di Urbano VIIInell'astrologia: alcuni astrologi predisse-ro la morte del Papa in concomitanzacon l'eclisse di Sole prevista per il giugno1626 e, successivamente, per quella deldicembre 1630. Poiché Campanella eranoto come mago, Urbano VIII si assicu-rò il suo aiuto per compiere una magiaantieclisse. La magia, a quanto pare, eb-

    be successo, poiché Urbano VIII nonmorì.

    Per qualche anno Campanella, graziea questo suo fortunato intervento, fuammesso nella cerchia di coloro che go-devano della fiducia del Papa. Era perònecessario che le operazioni magichefossero coperte dal più stretto segreto.Nel 1600 il padre gesuita Martin AntonioDel Rio, influente teologo, aveva con-dannato in nome della Chiesa molte for-me di magia. Non si doveva dunque as-solutamente lasciar trapelare in pubblicoche il Papa era coinvolto in un'attivitàche si poteva ritenere eretica.

    Campanella mise a frutto il successo

    9293

  • DIALOGODI

    GALILEO GALILEI LINCE()MATEMATICO SOPRAORDINARIO

    DELLO STVDIO DI PISA.

    E Filofofo, e Matematico primario del

    SERENISSIMO

    GRADVCA DI TOSCANA.Doue ne i congreflì di quattro giornate fi difeorre

    fopra i due

    MASSIMI SISTEMI DEL MONDOTOLEMAICO, E COPERNICANO;

    Proponendo indeterminatamente le ragioni Filofofiche, e Naturalitanto per Nota , quanto per l'altra parte .

    IN FIORENZA, Per Gio:Batifia Landini MDCXXXII.

    CON LICENZA -.DE' SVFEIV

    Il frontespizio del dialogo di Galileo sui Massimi sistemi è decorato con un'impresa, o emblema,dello stampatore, raffigurante tre pesci che si inseguono in cerchio. Il simbolismo involontariodell'emblema suscitò irritazione nella Curia romana. I pesci, senza alcuna giustificazione ainostri occhi, furono interpretati come delfini e i delfini furono intesi senza indugio come una rap-presentazione delle idee ermetiche e bruniane già condannate dalla Chiesa. Nel contesto dellaGuerra dei Trent'anni che allora infuriala, l'emblema fu interpretato anche come indicazionedi un sostegno filosofico e teologico alla Francia. Il motto «Grandior ut proles» (Troppo grandeper essere un discendente) fu interpretato nel senso che Galileo intendesse estendere l'opera diBruno risalendo a un predecessore più illustre, forse Apollo, o Pitagora o Ermete Trismegisto.Queste figure erano associate alla filosofia ermetica, che era allora ufficialmente screditata.

    94

    CON PRI

    della magia antieclisse per promuoverele sue concezioni ermetiche, e non senzafortuna, tanto che Urbano autorizzò ad-dirittura Campanella a fondare un colle-gio di missionari - che prese nome dallafamiglia del Papa, Barberini -, per con-vertire il mondo a un cattolicesimo «ri-formato», «naturale». (Questi aggettivierano parole d'ordine ermetiche.) Urba-no trovò congeniale a sé l'ermetismo diCampanella e ne fu incoraggiato nellasua linea politica filofrancese, tanto da

    entrare in un'alleanza con la Francia.Nel frattempo, però, i francesi avevanoaccordato il loro sostegno al re prote-stante svedese Gustavo Adolfo. Nel1632 i successi militari conseguiti da Gu-stavo Adolfo erano stati tali da prospet-tare una grave minaccia sia per la vitalitàpolitica del Sacro romano impero sia perla vitalità religiosa della Chiesa di Romain gran parte della Germania.

    La politica filofrancese risultò dunque«troppo fortunata» e non fu più possibile

    al Papa ignorare la crescente ostilità daparte degli Asburgo. In un simile climapolitico non sorprende che Urbano VIIIabbia cominciato a considerare Campa-nella un falso profeta e i suoi insegna-menti pericolosi. Poiché Campanella,Bruno, l'ermetismo e il copernicanesi-mo erano tutti strettamente associati,non c'era che un passo perché, nellamente di Urbano VIII. l'associazione siestendesse a un altro eminente coperni-cano, Galileo. In una siffatta atmosferadi timore e di sospetto, questa e altreassociazioni potevano predisporre il Pa-pa e le autorità di Roma a considerareerroneamente Galileo un antipapista,un religioso poco ortodosso e forse unermetista.

    Vi è una quarta ragione che spiega la

    confusione seicentesca fra la posi-zione di Galileo e quella di Bruno, unaragione che al nostro modo di vederemoderno sembra alquanto bizzarra. Sulfrontespizio dei Massimi sistemi il tipo-grafo, Giovan Battista Landini, avevastampato un emblema raffigurante tredelfini che si inseguivano nuotando incerchio. L'emblema poteva essere inter-pretato - e lo fu - in un modo estrema-mente dannoso. In una lettera a un ami-co del suo maestro, Filippo Magalotti,discepolo romano di Galileo, narra uncolloquio da lui avuto con Niccolò Ric-cardi, un fiorentino che era assurto a unaposizione di grande importanza nella bu-rocrazia pontificia, tanto da diventareMaestro del Sacro Palazzo, ossia teologodel Papa. Magalotti scrive fra l'altro:

    «Lunedì mattina ... venne a posta acercarmi ... il Padre Maestro sopradetto..., il quale ... con molta segretezza, misignificò che era stata fatta molta refles-sione sopra l'impresa, che io credo chesia nel frontespizio del libro ... e sono,s'io non m'inganno, quei tre delfini, chel'uno tiene in bocca la coda dell'altro,con non so che motto. A questo non po-tetti tenermi dal ridere ... credevo di po-ter assicurare che il S.` Galileo non pen-sava a queste bassezze e minuzie, con lequali volesse coprir gran misteri, avendodetto le cose assai chiare; e credevo ri-solutamente poter affermare che fossedello stampatore. A questo dimostrògrandissimo contento, e mi aggiunse chese io l'assicurava di tal cosa ... , potevaresultarne benefizio grandissimo all'au-tore». Il delfino era un elemento alquan-to comune negli emblemi del Rinasci-mento, ma quello usato nei Massimi si-stemi non era un eliche standard. La ri-cerca del suo «vero» significato fu unodei primi fattori che suscitarono a Romaun clima di sospetto attorno al dialogo.Riccardi nutriva simpatia per Galileo ela sua agitazione, assieme al suggerimen-to che l'intera causa contro Galileo di-pendesse dall'impresa sul frontespizio,dimostra quanta importanza si attribuis-se a questa vicenda. Non era cosa inso-lita trasmettere messaggi segreti sfrut-tando simboli. Le autorità di Roma fu-

    rono indotte a sospettare che Galileo eil tipografo Landini avessero escogitatoassieme l'impresa per occultarvi un mes-saggio, o forse per fornire una chiave oun compendio dell'opera.

    Non c'era limite alle interpretazionicapziose che si potevano dare dell'em-blema, a tutto danno di Galileo. I delfinifurono associati innanzitutto al tempiodel dio Apollo a Delfi. Nella mitologiagreca Apollo era il padre di Asclepio,una fra le figure principali dei miti erme-tici. Inoltre, nell'Iliade di Omero Apolloera stato il principale sostenitore divinodei troiani e una leggenda voleva cheuno fra i troiani sopravvissuti fosse statoil leggendario fondatore della dinastiareale francese. A rafforzare questa spe-culazione, la parola «delfino», oltre cheil cetaceo, designava anche l'erede altrono di Francia. Nel contesto dellaGuerra dei Trent'anni una tale connes-sione fra la Francia e Troia era suscetti-bile di una grave interpretazione: quelladel passaggio del manto di Apollo - o, intermini cristiani, dello Spirito Santo checonferisce autorità al Papa - da Roma aun ramo collaterale discendente dai tro-iani in Francia.

    In seguito tutte queste speculazioni sisciolsero come neve al sole. Dopo unimbarazzante ritardo, Magalotti poté in-fine consegnare a Niccolò Riccardi unaltro libro di Landini, pubblicato in pre-cedenza, su cui figurava la medesima im-presa. Ma nel frattempo era stata buttataaltra benzina sul fuoco: Riccardi si mo-strò interessatissimo alle argomentazio-ni teologiche esposte da Galileo nellaLettera a Madama Cristina di Lorena,alla cui esistenza sotto forma di mano-scritto Magalotti aveva alquanto inop-portunamente fatto cenno. Abbiamo giàmenzionato alcune frate difficoltà susci-tate dalla lettera; da quel momento inpoi gli avversari di Galileo ebbero que-stioni più consistenti cui appigliarsi.

    possiamo ora descrivere in che modol'associazione spuria fra Galileo e la

    tradizione ermetica si sia intrecciata allarealtà politica contemporanea conferen-do una forte spinta iniziale alla macchinagiudiziaria che travolse infine Galileo.Urbano VIII preferiva evitare gli estre-mi dell'ortodossia religiosa e dell'entu-siasmo controriformistico. Le sue incli-nazioni politiche e personali lo portaro-no a distaccarsi dalla Spagna e ad avvi-cinarsi alla Francia, cosa che però, comeabbiamo già accennato, suscitò una cre-scente irritazione negli spagnoli.

    Nel 1631 il cardinale Gaspare Borgia,ambasciatore spagnolo presso la Santasede, esercitò crescenti pressioni per in-durre il Papa a un esplicito sostegno afavore della causa spagnola. Questi rico-nobbe il pericolo a cui una crescente osti-lità degli spagnoli poteva esporlo e si di-chiarò disponibile a cercare di dissuade-re la Francia da un'alleanza con la Sve-zia. Nonostante questa mossa, nel mar-zo del 1632 il Borgia attaccò apertamen-

    te il Papa in Concistoro, l'assemblea deicardinali. Urbano VIII era furioso, masi controllò per timore di un'aperta rot-tura con Filippo IV di Spagna.

    Per rabbonire la Spagna, Urbano VIIIavrebbe potuto adottare un atteggia-mento antifrancese, ma ciò avrebbe po-tuto condurre a una rottura con la Chie-sa francese. L'unica via che restava aper-ta era quella di compiere un gesto discarsa consistenza pratica ma dal fortevalore simbolico, come quello di sacrifi-care pubblicamente una persona la cuiimmagine fosse associata alla politica fi-lofrancese a alla filosofia ermetica, dacui il Papa aveva un fortissimo bisognodi dissociarsi. Campanella era la sceltaovvia, essendo chiaramente legato nonsolo alla politica filofrancese, ma anchealla filosofia che ne era alla base; inoltre,lo si poteva sacrificare senza eccessivirimpianti.

    Ma Campanella sapeva troppo. Sefosse stata intrapresa contro di lui unaforte azione diretta, sarebbe certamentevenuta a galla la storia poco edificante diun Papa che era dedito alla magia ereti-ca. Dopo Campanella la scelta miglioreera Galileo. Che agli occhi del pubblicoi suoi legami con Campanella fosserostretti è testimoniato dal fatto che l'e-stensore della relazione preliminare delcomitato incaricato di investigare suiMassimi sistemi al posto del nome di Ga-lileo aveva in un primo tempo scrittoquello di Campanella, che aveva poi do-vuto cancellare.

    Ma persino in una situazione così de-licata, si può pensare che Urbano VIII,prima di optare per Galileo, abbia fattotutto il possibile per trovare un altro ca-pro espiatorio, dato che per molto tem-po aveva tenuto Galileo in grande con-siderazione. Purtroppo, con singolareintempestività lo scienziato fiorentinoera riuscito a ferire i sentimenti del Papa.Urbano VIII aveva detto che Dio, nellasua onnipotenza, avrebbe potuto realiz-zare i suoi scopi in un'infinità di modidiversi; come aveva detto a Galileo: nonsi devono imporre condizioni a Dio. Co-noscendo le opinioni copernicane di Ga-lileo , Urbano VIII gli aveva intimato dinon fare una scelta definitiva fra i sistemitolemaico e copernicano. Galileo seguìle istruzioni alla lettera: il Dialogo soprai due massimi sistemi del mondo terminacon un passo in cui si rinuncia espressa-mente a scegliere fra le due posizioni.'Questa rinuncia è peraltro chiaramentefalsa e, per di più, le opinioni del Papasono messe in bocca al dogmatico e ot-tuso Simplicio. Di conseguenza, UrbanoVIII, quando si impose la necessità di unsacrificio, non esitò affatto a scegliereGalileo.

    Vediamo dunque convergere qui trecircostanze: la situazione politica, che ri-chiedeva un sacrificio; gli scritti di Gali-leo , che interpretati da uomini intelli-genti ma all'oscuro dei suoi veri intendi-menti facevano di lui una scelta proba-bile; l'accusa di essersi voluto far beffe

    del Papa. Questi tre fattori privaronoGalileo del sostegno di Urbano VIII inun momento cruciale. L'interpretazioneerronea in chiave ermetica dei suoi scrittiaveva messo in moto una catena di even-ti che sarebbero stati sostenuti in seguitoda altre forze.

    pra le spiegazioni tradizionali che sonostate date delle sfortune di Galileo

    una fra le meno convincenti è quella cheil suo processo sia stato sostenuto dall'a-nimosità personale del Papa. Ma i senti-menti del solo Urbano VIII non sareb-bero bastati a indurlo a mettere in motocontro di lui l'immensa macchina del-l'Inquisizione. L'enorme disparità fra laposizione sociale e politica del Papa equella di Galileo avrebbe reso del tuttoinappropriata una tale risposta a un af-fronto personale. Ampliando la spiega-zione generalmente accettata del proces-so per prendere in considerazione ancheil contesto politico e culturale, risulta as-sai meglio comprensibile la forte reazio-ne di Urbano VIII. Se si considerano leesigenze di Stato e il fatto che Galileosembrava soddisfare un bisogno politi-co, il momentaneo concorso di tale biso-gno e del risentimento personale di Ur-bano creò una situazione decisamentesfavorevole a Galileo.

    Date queste premesse si possono ca-pire meglio anche le ambiguità del suc-cessivo trattamento riservato a Galileo.Questi era vecchio e in condizioni di sa-lute precarie quando fu convocato a Ro-ma e Urbano VIII si rifiutò di mitigarele condizioni di arresto domiciliare an-che quando l'anziano scienziato fu ridot-to alla cecità. Eppure il Papa non tentòmai di interferire con il persistente in-censamento di Galileo persino da partedi principi della Chiesa, né fece alcuntentativo per impedire con decisione aGalileo di pubblicare i suoi scritti, comeavrebbe senza dubbio fatto se lo avesseritenuto pericoloso al di fuori del conte-sto della politica spagnola. Una volta cheGalileo ebbe assolto la funzione di vitti-ma simbolica, le ulteriori azioni di Ur-bano VIII parvero derivare da semplicestizza personale e non da un'inimiciziaufficiale.

    Galileo divenne così una vittima sim-bolica, esattamente com'era accaduto aBruno prima di lui, in un'epoca che at-tribuiva un grande valore ai simboli. Eglifu vittima di una fama paneuropea e delfatto di essere un personaggio molto invista; la sua punizione esemplare vollerinnovare la lezione del 1600: che gli at-teggiamenti politici antiasburgici, filo-francesi e volti a una conciliazione reli-giosa erano eretici o almeno molto vicinia esserlo. I nemici di Galileo e le circo-stanze del momento contribuirono a ri-durre l'uomo reale a lineamenti carica-turali, cosicché fu un Giordano Brunoredivivo quello che nel 1633 si presentòdinanzi all'Inquisizione per fornire unmito attorno a cui si potesse riformulareuna morale aggiornata.

    Page 1Page 2Page 3Page 4