GALDI RIVELATO

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Tommaso Dore

Galdi rivelatoL’eclettismo di Vincenzo Galdi,

fotografo e mercante d’arte

Italus Edizioni




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Pubblicazione a cura dell’Associazione Italus - Romawww.italus.info

Progetto grafico e impaginazione: Francesco Voce

Ringraziamenti: a Giancarlo Galdi per avermi concesso la pubblicazione delle fotografie del suo archivio privato e per tutte le preziose informazioni che mi ha dato;a Nicole Canet per la riproduzione di alcune fotografie già pubblicate in Galdi Secret, Galerie Au Bonheur du Jour, Paris 2011;a Raimondo Biffi per avermi spinto di nuovo ad affrontare questa ricerca e per la sua grande disponibilità.

Per contattare l’autore: [email protected]

Immagine di copertina: autoritratto di Vincenzo Galdi (da Galdi Secret, Ga-lerie Au Bonheur du Jour, Paris 2011, p. 23, n. 2165, Collection Thomas Deschamps, Paris).

© Copyright 2012 Tommaso DoreOgni riproduzione, anche parziale, della presente opera è vietata salvo autorizzazione scritta dell’autore.Tutti i diritti di traduzione, riproduzione e adattamento sono riservati.




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INDICE

Prefazione.............................................................................. 5

L’eclettismo di Vincenzo Galdi, fotografo e mercante d’arte

IL PERIODO NAPOLETANO (1871-1890)

Le origini e la famiglia............................................................................... 9Studi e prime esperienze lavorative a Napoli.............................................. 11

IL PERIODO ROMANO (1890-1961)

Attività in proprio e collaborazione con Plüschow.................................... 17Lo scandalo Plüschow............................................................................. 27Lo scandalo della fontana delle Najadi..................................................... 31Primo mercante d’arte moderna a Roma.................................................. 35

Note..................................................................................... 43

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PREFAZIONEdi Giancarlo Galdi

Di solito non scrivo prefazioni. Sanno troppo spesso di elogi immeritati. Ma sono rimasto colpito oltre che dalla intelligenza di Tommaso Dore, dalla sua straordinaria capacità di indagine degna di un cane da refola. Gli è che non si accontenta di quello che gli racconti – spesso i ricordi sono memoria integrata, nella migliore delle ipotesi, quando non nascondano fatti scomodi – ed ha cercato e trovato riscontri alle notizie che gli ho fornito. Notizie, le mie, spesso carpite dalle confidenze che Vincenzo dava all’uni-co nipote. Sono rimasto tale fino al 1943 e Marco, l’ultimo, il non-no non l’ha mai visto. Ernesto mio padre lo accompagnava nelle scorribande a caccia di quadri e di artisti. Una volta a Venezia – c’era la Biennale – i pittori gli negarono i quadri. Vincenzo non amava il chiassoso sciamare dei turisti e i due si rifugiarono alla Giudecca in una bettola degna degli abitanti, al meglio operai del grande mulino o ex ospiti del Santa Maria Maggiore, la proiezione moderna dei ‘Piombi’, oppure confinati ex art. 1. Vincenzo, occhio di pellicano, vide un ritratto di giovane donna, inchiodata la tela alla parete annerita dai fumi. Lo acquistò per poche lire. Era un Favretto, capofila della moderna pittura veneziana. L’incredibile scoperta gli fece aprire le porte degli studi, prima preclusi. E se ne tornò ricco di Fragiacomo, Milesi, Ciardi, ecc.: la sua galleria in quel periodo sembrò l’anticamera della Biennale.

Come cacciatore di capolavori me ne viene un’altra. Ai confini nord del Lazio trovò in una casa gentilizia una grande cassapan-ca del ’300, rinverdita di biacca a smalto. Pesava ed era scomoda da trasportare. I portatori sudavano e sbuffavano per il peso ed il gran caldo. Tolto lo smalto emerse la pittura originale: tempe-ra grassa all’uovo. Si trattava di una cassapanca da corredo, istoriata, un privilegio della gente danarosa di Firenze, opera del fratello di Masaccio detto “Lo Scheggia”. Finì in Russia. Credo sia esposta all’Hermitage di San Pietroburgo o al Puskin di Mosca; anche il Velasquez che compare in una sua fotografia emigrò su-bito all’estero.

Vincenzo era di una modestia incredibile, di una riservatezza

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particolare, entrare nella sua confidenza, impossibile. Bonomia partenopea solo apparente, era piacevole ascoltarlo, specie per le battute del tipo “U padreterne ha decretato che in chistu mese, nun aggio a fa ’na lira”. Un invito al Grande Architetto a rivedere il suo atteggiamento. Oppure quando dopo un anno dalla dipar-tita della sua Virginia, si decise a portare fiori alla tomba, restai commosso a vederlo spargere lacrime silenziose. Sulla strada del ritorno si mise a leggere le lapidi: Qui riposa Mario Piscitelli. “Ap-posta non lo vedevo chiù è muorto!” E più avanti: Qui giace Adolfo Spiga, ottimo salumiere. “E’ chiste sapeva far bene ’e sasicce”, commenti che ci fecero scoppiare a ridere. Un fuori luogo, stante il posto e la circostanza.

Come esperto d’arte era unico. Accarezzava i dipinti ad occhi chiusi seguendo l’ordito della pennellata. Qualche volta dinnanzi ad un falso indicava l’autore della mistificazione. Anche nel caso di un presunto Mancini, fatto da un pittore che sedeva molto in alto. “Dite a P. che ho visto questo suo quadro e che è molto bello”. Il malcapitato furibondo al telefono: “Vincenzo mi hai rovinato” – “E’ colpa della tua riconoscibile personalità”, la lapidaria rispo-sta. Comunque in un angolo della galleria da quel giorno campeg-giò un cartellino a caratteri dorati: «Non si danno giudizi e non si inviano quadri in visione».

Da ultimo nella clinica Zappalà il suo letto era attorniato da cinguettanti infermiere. Mi chiamò in disparte e mi chiese di com-prare costosi profumi francesi. A piazza delle Cinque Lune c’era un grossista, mio amico, invece delle boccettine, mi rifilò grossi flaconi da 14 once, 250 cc. Vincenzo era contento. Ma si premurò: “Ninni, quanto hai speso?” – “Nonno sono bastati i soldi che mi hai dato e questo è il resto; ma dimmi, perché i profumi sono tutti diversi?” – “Question de peau. I profumi producono effetti a secon-da della pelle, variano da donna a donna, da persona a persona. Il profumo, come le predilezioni sessuali, riguardano l’intimità, la sfera dell’essere”. L’ultima sua lezione. Tre giorni più tardi, s’ad-dormentò succhiando una caramella: partì per il grande viaggio col dolce in bocca e nelle orecchie l’eco delle voci melodiose delle infermiere della clinica, sorprese e felici di un dono “munifico”, personalizzato ed inatteso.

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L’ECLETTISMO DI VINCENZO GALDI,FOTOGRAFO E MERCANTE D’ARTE

IL PERIODO NAPOLETANO (1871-1890)

Le origini e la famigliaVincenzo Galdi1 nacque a Napoli l’11 ottobre 18712, ultimo ram-pollo di un antico casato, discendente da uno dei cavalieri nor-manni che liberarono Salerno dai Saraceni, un ramo del quale alla metà del XVIII secolo si era stabilito a Marigliano, comune dell’interland partenopeo dove ancora oggi si erge l’antica dimo-ra baronale di questa famiglia3.Suo padre Vincenzo, per eredità del titolo castellano d’Ischia e Procida, nonché signore di Corleone in Sicilia, era banchie-re e proprietario di una fabbrica di cappelli. Sua madre, Rosa D’Amore, era invece la sorella del sindaco di Marigliano.Il barone Vincenzo, come poi anche suo figlio, aveva idee liberali e repubblicane e non volle mai accettare Casa Savoia. Con la fine del regno borbonico i Galdi, alla stregua di molti altri nobili napoletani, risentirono infatti del declassamento di Napoli da capitale di due regni a capoluogo di provincia e della conseguen-te recessione economica del meridione d’Italia.

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Lo scandalo della fontana delle NajadiL’incarico di rinnovare secondo la moda liberty la preesistente fontana di piazza dell’Esedra15, venne affidato a seguito del ban-do di un concorso pubblico allo scultore palermitano Mario Ru-telli, bisnonno dell’ex sindaco di Roma Francesco Rutelli. Questa è la versione ufficiale dei fatti ma il progetto poi effettivamente eseguito fu un altro, che vide il nome di Rutelli legato a quello di Galdi nell’ideazione delle famose, nonché discusse, sculture delle Najadi. Ricordiamo che Galdi si era diplomato all’Istituto di Belle Arti di Napoli, conseguendo il titolo di professore di dise-gno architettonico, e pertanto possedeva i requisiti necessari a quell’epoca per poter assumere l’incarico di progettare la nuova veste architettonica e decorativa della fontana. Tutto ebbe origine da una singolare scommessa fra i due du-rante un’assemblea di una delle logge massoniche del Gran-de Oriente d’Italia, a cui sia Galdi che Rutelli appartenevano16. Galdi era appena tornato da Parigi, dove si era svolta un’impor-tante mostra su Rodin, e stava decantando la grande arte dello scultore francese, quando Rutelli sbottò: “Vincenzo, voglio nuove modelle, ti farò vedere io che Rodin ha concepito le sue statue in un buio museo. Io sono siciliano e porrò le mie in un bagno di luce tanto che sembreranno vive”. E concluse lanciando la sfida in un dialetto colorito: “Vince’ dammi u travajo e te lo fazzo videre io uno meggiu di Ruden!”Galdi procurò le modelle e le fotografò, trovando nuove inqua-drature adatte alle sue idee e a quelle dello scultore. Si racconta ancora in Casa Galdi che in realtà la modella fosse una sola, una famosa chanteuse che mandava in delirio le folle dei café chantant, nonché amante di Vincenzo, alla quale il fotografo ri-toccò il viso affinché non fosse riconosciuta (senza tenere conto che una modella in posa per ore e ore avrebbe comportato un costo aggiuntivo a carico dello scultore).Da queste fotografie di nudo, per le quali Galdi del resto era già famoso e apprezzato, scaturirono le Najadi, ninfe paganamente adagiate in pose voluttuose che suscitarono immediatamente un immane putiferio fra i benpensanti. Seguì un’interrogazione al sindaco Colonna e una seduta straordinaria del consiglio co-

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In alto, una delle fotografie di Galdi sulla base delle quali lo scultore Rutelli realizzò i bozzetti preparatori per le sculture in bronzo delle Najadi e la Ninfa delle Acque sotterranee sopra una mostruosa lucertola (1901).

In basso, la Fontana delle Najadi in piazza dell’Esedra (cartolina dei primi del ’900).

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