Fulminati Dal Giove Gallico

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"Genoua. Buon giorno Algieri mio: di dove vieni con passo sì ritenuto, e grave? Vorrei bendarti un bacio d'amico, mà hò orrore di accostarmi al tuo volto, tanto lo trovo contrafatto, &

abbrustolito.

Algieri. Jo me ne ritorno da Parigi, dove sono andato a ringraziare l'Imperatore della Francia

del bene che mi hà fatto in havermi reso così deforme col fuoco delle sue bombe.Genoua. Hai tu havuto sentimenti così dissonorati, e bassi di render grazie alle ingiurie, & ad ingiurie, le più stupide, e le più crudeli, che un Padrone Tiranno possa fare al più umiliato de'  suoi Schiavi? Tu che sei il capo altiero dell'Africa, che fai tremare tutto il Mediterraneo colle  flotte comandate dai tuoi Rinnegati, come hai potuto con tanta ignominia piegare il collo allainsolenza francese?

Algieri. Abassa Abassa la tua superbia, Genoua mia; tu non parli con sentimenti sani, &amichevoli. Se bene i Magistrati che mi governano, non hanno mai studiato il tuo Machiavello,il mio infortunio mi hà così ben ammaestrato che io ti darei ancora qualche buon auvertimento, se lo domandassi; mà da che procede che tu hai così velato il volto, e tutto il tuo corpo?

Genoua. Non oso discoprirmi il mio per non ispaventarti. Tu che hai veduto altre volte la mia fronte così serena, e ridente, e tutte le mie membra più belle, e più ornate che i campi di flora, eche i giardini di Tempe, piangeresti ora certamente in veder la mia bianca e fiorita faccia assai più horrida, e nera che il tuo ceffo africano.

Algieri. E chi t'ha ridotta in si deplorabile stato, Genoua mia?

Genoua. Mi hanno si fieramente maltrattata quelli istessi, che t'hanno fatto tanto bene, conquesta differenza, che io ancora ti riconosco alle fattezze del volto, la dove i miei propri figlihanno grandissima difficoltà a riconoscere questa infelicissima Madre al sembiante, & anche al  parlare".

Così comincia il  Dialogo Fra Genoua et Algieri, Città fulminate dal Giove Gallico, stampatonel 1685 in italiano ad "Amsterdamo per Henrico Desbordes nel Kalver-straat vicino al Dam".

L'autore è quel Gian Paolo Marana (Genova 1642 - Parigi 1693) che il colto lettore certamenteconosce per merito di Gian Carlo Roscioni (Roma 1927). Oltre ai celeberrimi studi suCarlo Emilio Gadda (di cui ha ereditato archivio e biblioteca, donati poi - lui fortunato!- alla Biblioteca Trivulziana), e al saggio sulle "storie, sogni e fughe dei giovani gesuitiitaliani" attratti dal "  Desiderio delle Indie", Roscioni ne ha infatti dedicato a Maranauno non meno magistrale e avvincente.

Completando un'acribiosa ricerca giù iniziata da Lucio Villari, Sulle traccedell'"Esploratore turco" (Milano, Rizzoli, 1992) ricostruisce con splendida scrittura lagenesi politico-culturale e l'ordito psicologico e retorico dell'opera principale di Marana,uno dei più famosi romanzi epistolari del Seicento,   L'esploratore turco e le di luirelazioni segrete alla Porta ottomana scoperte in Parigi, pubblicato a Parigi sia initaliano che in francese (  L'espion du grand seigneur ) in due volumi, nel 1684 e nel1686, con dedica al re Sole, che autorizzò la stampa e ne fece conservare i manoscrittiautografi nella Bibliothèque Royale. Alle 102 lettere dell'edizione Barbin, ristampate adAmsterdam nel 1686 e 1688 e a Parigi nel 1689 e 1689, se ne aggiunsero in seguito, a

 partire dall'edizione inglese del 1687-94 ( Letters writ by a Turkish Spy Who Lived Fiveand Forty Years Undiscovered at Paris), altre 400, per la massima parte di altri autori,incluse 63 attribuite a Daniel Defoe (1660-1731). La versione inglese, in otto volumi, haavuto ventiquattro edizioni fino al 2010 (Bibliobazaar). Ascritte alla libellistica libertinadi denuncia degli arcana politici, e perciò finite all'Indice nel 1705, le lettere della

fittizia spia turca furono anche considerate come un modello ispiratore delle  Lettres

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  privati dei bottegai in combutta con gli spagnoli e perseguitando i buoni cittadiniammiratori della Francia.

Il Dialogo fu scritto tra il primo e il secondo volume dell' Esploratore, e probabilmente  prima dell'umiliante missione a Parigi compiuta dal doge Francesco Maria ImperialeLercari (1629-1712), il quale, in deroga alle norme che vietavano al doge in carica diuscire dal territorio della Repubblica, dovette presentare personalmente le riparazioni

 pretese da Luigi XIV. Quest'atto, che segnò il definitivo passaggio di Genova dalla jointventure con la Spagna al protettorato francese, avvenne nella galleria degli specchi aVersailles il 15 maggio 1685 e fu immortalato in un arazzo commissionato nel 1710, dicui resta il carton dipinto da Claude Guy Hallé (1652-1736), considerato (a imperituroscorno italiano) il capolavoro di questo pittore. Il colore dominante della scena è ilrosso, che mette in risalto il gruppo dei due senatori in toga nera prosternati dietro ildoge: questi esegue la proschinesi avvolto in un gran mantello di velluto purpureo.Occorre aggiungere che proprio quest'abito era stato scelto intenzionalmente a scopo di

 promozione commerciale: e infatti la delegazione genovese approfittò dell'occasione per   piazzare enormi commesse di velluti da parte della nobiltà francese, che servirono afinanziare la ricostruzione della città distrutta dalla flotta francese; la qual dunquerisorse, come Petrolini fece poi dire a Nerone, "più bella e più superba che pria".

La proschinesi del doge chiuse in attivo un lungo conflitto, che secondo le Memorie delre Sole risaliva a vent'anni prima, quando la Repubblica, che appena cominciava ariprendersi dalla peste sterminatrice del 1656, aveva osato aprire una rappresentanzacommerciale a Costantinopoli per sottrarsi all'intermediazione francese "osservata finoad allora da tutta la Cristianità". Altrettanto decisivo fu però il disegno colbertiano disottrarre alla Spagna l'appoggio del Banco di San Giorgio, subentrato nel 1557 aiFugger come finanziatore dei Re Cattolici. Vari incidenti con le batterie costiere

genovesi verificatisi durante la guerra navale franco-olandese acuirono la tensione e nel1679 il rifiuto genovese di rendere gli onori alla squadra francese provocò per rappresaglia la distruzione a cannonate dei palazzi nobiliari di Sampierdarena usati per la villeggiatura. Fin dal 1681 la Francia preparò accuratamente i piani di un attaccorisolutivo, e tutte le fortificazioni genovesi furono accuratamente rilevate da decine diingegneri militari, travestiti da pittori, ambulanti e religiosi, coordinati dall'ambasciatorefrancese, François de Saint-Olon (1640-1720), che fu pure il principale referente e

 protettore di Marana.

Il pretesto per l'attacco, già deciso dal re nel maggio 1683 anche se poi l'esecuzioneslittò di un anno, fu l'asserita violazione della neutralità da parte di Genova, per aver 

fornito munizioni ad Algeri (bombardata dalla flotta francese nel 1681 e 1683 e poiancora nel 1688) e aver consentito il transito dei rinforzi spagnoli diretti in Fiandra.Spopolata dalla peste e dalle carestie, oppressa dall'oligarchia e scardinata e corrottadalla tirannide giudiziaria, la famigerata "città delle congiure", testimoniate dallecolonne infami erette ad ogni cantone, non poteva permettersi la superba risposta deldoge Lercari alle intimazioni francesi. Anche allora era meglio non "avere una banca"senza i mezzi per difenderla.

Reduce dal secondo bombardamento di Algeri e comandata dall'ammiraglio e armatoreugonotto Abraham Duquesne (1604/10-1688) e dal marchese di Segnelay (1651-90),figlio omonimo e successore di Jean Baptiste Colbert (1619-83), l'Armata dei Diritti

Umani & dei Fondi Sovrani si presentò di fronte a Genova il mattino del 17 maggio

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1684. Centosessanta navi da guerra e da trasporto schierate dalla Lanterna alla foce delBisagno: davanti 10 batterie galleggianti ("pallandre") armate coi devastanti mortaiTomahawk da 330 mm e protette da decine di scialuppe guarnite di moschettieri, piùindietro 20 galere e 16 vascelli, per complessive 756 bocche da fuoco, con 27 tartane e

72 barche per il rifornimento di munizioni.Il bombardamento durò ininterrottamente dieci giorni e dieci notti, dal 18 al 28 maggio.Gli incendi illuminavano le tenebre al punto che a bordo delle navi si poteva leggerePolibio e Racine. Il bunker dogale, trasformato in magazzino delle polveri, esplose, ecirca un terzo degli edifici fino a Oregina fu distrutto o gravemente danneggiato; ma lametà delle bombe rimase inesplosa e lo sbarco di 4.000 marines fu inchiodato sul

  bagnasciuga dall'incazzata milizia paesana della Val Polcévera, che scannò poiscrupolosamente tutti i malcapitati rimasti a terra. Diversamente dai bombardieriumanitari moderni, Duquesne e Segnelay   L'art de jetter les bombes di François LeCointe Blondel (1618-1686) se l'erano studiato e quindi sapevano che oltre alle

artiglierie da far sfilare in parata sui Campi Elisi ci volevano pure le munizioni: maneppure loro avevano il pozzo di San Patrizio e, una volta finite le bombe, dovetterodare alla vela e tornarsene a Hyères senza aver nulla concluso.

In realtà finì con un compromesso mediato dal papa e accettato dalla Francia per non far troppo godere il Terzo, che allora era soltanto la Porta. Genova cambiò il cliente unico,e più Superba che pria, si tenne la banca e il suo orrendo sistema politico. La vittoria

 borbonica nella guerra di successione spagnola (1700-1714) le recuperò poi pure le rottee i commerci iberici e atlantici e la Francia la difese durante l'assedio austro-sardo del1746-47 (quello di "Balilla"). La Francia continuò a bombardare Algeri fin quando nonse la prese nel 1830 per esserne cacciata nel 1962, con la vergogna e il disonore incisi

 per sempre nella memoria dell'umanità da uno dei capolavori del cinema italiano.

 Nella "favola senza senso, raccontata da un idiota" che culla la quotidiana tristezza delmondo, il bombardamento di Genova aggiunse un'altra scena alle danze del re Sole, non

 più solo Apollo ma pure Giove, raffigurato, sulla medaglia commemorativa, nella posadel Cristo della Cappella Sistina, cinto di nembi e assiso sul dorso di un'aquila, nell'attodi scagliar fulmini sulla Superba, già in fiamme sotto il fuoco delle navi. La legendarecita: "Vibrata in superbos fulmina. Genoa emendata, MDCLXXXIV".

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Genes Foudroyée par l'Armée Navale

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Il 15 maggio 1685 Luigi XIV riceve a Versailles le riparazioni prese4ntate dal doge di Genova FrancescoMaria Imperiale Lercari

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Bombardamento di Algeri (1682)

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Marana (Marrana), Gian Paolo

C. A. Girotto in Dizionario Biografico degli Italiani 

MARANA (Marrana), Gian Paolo. - Primo dei quattro figli di Giovanni Agostino, orafo, e di unaMaddalena di cui non si conosce il cognome, nacque, probabilmente a Genova, nel 1642.Scarse le notizie sulla giovinezza del M.: nel 1656 fu processato per detenzione di coltello e subì una breve carcerazione. Poco si sa anche sulla formazione: conosceva senz'altro il latino, ma probabilmente lasua cultura, più che l'esito di un regolare corso di studi, era frutto delle curiosità e delle letture di unautodidatta.Il 23 febbr. 1661 sposò Maria Vittoria Casareggio, morta verosimilmente prima del 1674, dalla qualeebbe almeno quattro figli. Nel 1664 il suo nome compare tra i promotori di un Monte vitalizio, volto a sovvenzionare la Repubblicadi Genova in caso di bisogno di liquidità, ma la proposta non incontrò il favore della Camera.

Il progetto, ripresentato dal M. il 5 ag. 1672, fu attuato il 23 genn. 1675, con l'istituzione di un bancoriservato a soli sottoscrittori genovesi, con capitale di 200.000 scudi d'argento al 4%: ma non è noto se ilM. abbia avuto parte nella gestione. Nell'agosto 1670, a seguito di una denuncia anonima, il M., insieme con il fratello Giovan Battista, fudiffidato per aver minacciato un garzone della bottega del padre. Poco dopo fu coinvolto in una vicendadai contorni romanzeschi. Il 24 ottobre si presentò alle autorità con alcuni documenti cifrati affermando diaverli recuperati in un fosso nei pressi di Granarolo, poco fuori la città: decifrati, avrebbero rivelato un piano di invasione della città da parte di truppe francesi. Il racconto non convinse il Senato, che ordinò la perquisizione della casa del M. e lo affidò agli inquisitori di Stato: sottoposto a tortura, il M. confessò chei documenti erano falsi da lui creati per avvertire sui rischi di un'invasione francese e mettere in luce ladisaffezione dei cittadini verso la patria. Accusato di mendacio, calunnia e falsità, il 15 apr. 1671 il M. fucondannato a 5 anni di prigione.La carcerazione ebbe termine il 29 nov. 1674 e il 30 dicembre, pressato dalle difficoltà economiche, il M.

rivolse una supplica al Senato (Arch. di Stato di Genova, Arch. segreto, 2494). La sua situazione sembròmigliorare quando, all'inizio del 1675, ricevette da Giovanni Prato, già maestro di campo nelle forzegenovesi nel 1671-73, l'incarico di compilare una storia della recente guerra tra Genova e il Ducato diSavoia, con l'obiettivo di fornire una versione di parte genovese degli avvenimenti.  Nota con il titolo di Successi della guerra del 1672, l'opera del M. richiese almeno un paio d'anni dilavoro (si conoscono due manoscritti: uno, "probabilmente autografo" [Roscioni, 1992, p. 62], nell'Arch.di Stato di Torino,   Biblioteca antica, T.V. 26; un secondo, ottocentesco, Torino, Biblioteca Reale,Saluzzo, 243). Ampiamente basato sulla cronaca di F.M. Viceti, lo scritto del M. accusava la Repubblica,resa debole dalle disuguaglianze interne, di imprevidenza e di scarsa capacità di mobilitazione controminacce esterne.Sebbene il Senato ne avesse espressamente vietato la divulgazione, il M. fece imprudentemente circolarealcune parti dello scritto. Il 21 ott. 1679 il governo della Repubblica ordinò l'arresto del Marana. Ilmanoscritto dei Successi della guerra del 1672 fu esaminato dagli inquisitori, che, pur non trovandovi

nulla di apertamente compromettente, non lo restituirono al Marana.Scontato un mese di prigionia, il M. fu rimesso in libertà dietro pagamento di una cauzione di 500 scudidi argento. Per timore di nuovi soprusi e per difficoltà economiche, egli fuggì da Genova, con parte dei  preziosi custoditi nella bottega del padre, morto il 20 ag. 1679, e si portò a Monaco, che era sotto il  protettorato francese, dove rimase per più di un anno. Qui maturò l'idea di rivedere i Successi per la  pubblicazione. Gli inquisitori di Genova, interpellati, si pronunciarono il 22 ag. 1681, proibendo lastampa dell'opera. Allora il M., trasferitosi a Lione, vi pubblicò nel dicembre (ma con la data 1682)  Lacongiura di Raffaello Della Torre, con le mosse della Savoia contra la Repubblica di Genova.Il cambiamento del titolo è significativo del modello storiografico che il M. aveva presente: la Congiuradel conte Gio. Luigi Fieschi di Agostino Mascardi. Gli episodi genovesi relativi alla congiura ottengono più articolato sviluppo: sono messe in rilievo le divisioni interne di Genova e l'eccessiva morbidezza dellaRepubblica; fortemente letterario è il ritratto di Della Torre, secondo una linea della storiografiadrammatica che aveva i suoi riferimenti in Sallustio e in Mascardi. Indice dell'acquisito passaggio alla

fazione filofrancese è l'elogio finale di Luigi XIV e del suo intervento pacificatore.

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edizioni Amsterdam 1688 e Parigi 1689 e 1690. All'indomani di queste edizioni, le vicende testualidell'  Esploratore turco si fanno particolarmente complesse (il regesto fornito da J.P. Gaudier e J.J.Heirweg, pp. 48-52, raccoglie un totale di circa trenta edizioni, in inglese, francese e olandese). Snodofondamentale è un'edizione londinese, tra 1691 e 1694, in otto parti, con il titolo  Letters writ by a Turkish

 spy, contenente 630 lettere. Dall'edizione inglese dipende, con qualche modifica nell'ordine delle lettere e

con interventi nelle parti ritenute poco ortodosse, la stampa di Cologne (probabile nome fittizio per Parigio Rouen) nel 1696-99, alla quale, per quanto risulta, fanno capo tutte le successive.La paternità delle circa 500 lettere testimoniate a partire dall'edizione londinese è controversa: se èsembrato verosimile che si tratti di rimaneggiamenti di materiali originali del M. ora perduti, sono statealtrimenti considerate degli apocrifi, aggiunti da mestieranti legati al mondo della stampa. Per i francesi èstato avanzato - con scarsa verosimiglianza - anche il nome di P. Bayle; le ultime sette parti della primaedizione inglese sono state ricondotte alla figura di J. Bradshaw, scrittore e libellista, autore tra l'altro diuna requisitoria antigesuitica. Una nona parte dal titolo Continuation of Letters written by a Turkish spy (Londra 1718), contenente 63 lettere, va quasi sicuramente assegnata a D. Defoe.L'  Esploratore turco presenta una contorta architettura, congeniale alla mentalità del suo autore: il M.avrebbe ritrovato un fascio di scritture in lingua araba che, una volta tradotto, si sarebbe rivelato il lungocarteggio di una spia turca, Mahmut, inviata in Europa dalla Porta di Costantinopoli per fornire precisiragguagli sul mondo occidentale. Visto l'indubbio interesse di queste lettere, che coprono un lasso di

tempo compreso tra 1637 e 1682, il M. si sarebbe limitato a tradurle e pubblicarle. Vergate con uno stilefranto e laconico, talora sciatto e frettoloso, si soffermano di volta in volta sulle convenzioni sociali deiFrancesi, sui gesuiti, sulle pratiche religiose dei cristiani, esprimendo a più riprese stupore o critiche.L'espediente di far parlare uno straniero su questioni a lui estranee ma ben familiari ai lettori non cela,tuttavia, la componente encomiastica volta all'esaltazione della monarchia francese, in particolare difigure chiave come Enrico IV o il cardinale Richelieu.Matrice per futuri esperimenti analoghi, fu considerato alla stregua di uno scritto libertino che rivelerebbei segreti del potere politico; ebbe perfino sporadiche letture a chiave (Parigi, Bibliothèque de l'Arsenal,Mss., 7067). Anche se non accettato da tutti gli studiosi, si è sostenuto che esso abbia fornito spunti aMontesquieu per le Lettres persanes. A causa di questa tangenza con questioni affrontate nella libellisticalibertina, l' Esploratore turco finì all' Indice nel 1705.All'indomani della formale pacificazione del 1684 tra la Francia e Genova, il nuovo ambasciatorefrancese presso la Repubblica, Nicolas de Sève d'Aubeville si fece carico della sorte degli esiliati politici

genovesi, ma il governo genovese, a proposito del M., respinse la richiesta di reintegro, in quantodichiarato delinquente comune per il furto dei gioielli dalla bottega paterna.Il M. cercò di attirare ancora una volta l'attenzione di Luigi XIV con una serie di scritti encomiasticirimasti allo stato di abbozzo, nei quali, tuttavia, non trascurò di rivolgere parole interessate a Genova: IlTrionfo di Parigi e le più nobili azioni della vita del re contenute in tre lettere che l'autore scrive alla sua

 patria (Parigi, Bibliothèque nationale, Fonds Italien, 862, autografo, databile all'aprile-maggio 1687);  Le più nobili azioni della vita e regno di Luigi il Grande, di cui si conoscono due diverse fasi redazionaliriconducibili ai mesi successivi: la prima contiene 13 lettere (ibid ., 2208); la seconda 37 (ibid ., 867-868).La progettata opera in lode di Luigi XIV sembrò trovare una forma definitiva nel panegirico   Per lememorabili imprese et heroiche azioni fatte in pace et in guerra da Luiggi il Grande (l'originale ibid .,990), risalente ai primi mesi del 1688. Tradotto in francese da Saint-Olon con il titolo di  Les evénemensles plus considérables du RÈgne de Louis le Gran (Ibid.,   Fonds Français, 5857), il lavoro fu poi pubblicato a Parigi nel 1690, ma, a dispetto della sua laboriosa redazione, non ebbe alcun successo.

Gli ultimi anni della vita del M. furono condizionati dalla progressiva diffidenza di Luigi XIV neiconfronti degli esuli genovesi e dallo scarso interesse di altri illustri personaggi affannosamente contattati.La notizia accennata da Dreux du Radier e data per buona da alcuni biografi successivi, secondo la qualeil M. nel 1689 sarebbe tornato a Genova per poi morirvi, non trova riscontro documentario.Secondo la notizia fornita dal residente di Genova a Parigi F. Gastaldi, il M. morì a Parigi, "carrico dimolti debiti" (Arch. di Stato di Genova, Arch. segreto, 2207), il 26 ott. 1693.Vanno ricondotti a quest'ultimo periodo gli   Entrétiens d'un philosophe avec un solitaire sur plusieursmatières de morale et d'erudition, editi a Parigi nel 1696 da M. Jouvenel, e la Traduction d'une lettreitalienne, écrite par un sicilien à un de ses amis, contenant une critique agréable de Paris , datata 20 ag.1692 e pubblicata nella raccolta Saint-Evremoniana, ou dialogues des nouveaux dieux con erroneaassegnazione a Ch. de Saint-Evremond (Parigi 1700, pp. 374-425). Ripubblicata nel 1702 e nel 1710 innuove edizioni della silloge, la Traduction d'une lettre ebbe poi divulgazione autonoma (ibid. 1714 e1720). L'attribuzione al M. fu avanzata da V. Dufour nell'edizione da lui curata (Parigi 1883); pur con

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qualche riserva essa è condivisa da G. Almansi (curatore dell'edizione italiana, Palermo 1984), da Rotta eRoscioni.

Edizione di riferimento dell'  Esploratore turco è quella curata da G. Almansi e D. Warren, in Studi secenteschi, IX (1968), pp. 159-257; X (1969), pp. 243-288; XI (1970), pp. 75-165; XII (1971), pp. 325-

365; XIII (1972), pp. 275-291; XIV (1973), pp. 253-283.

Fonti e Bibl.: P.F. Charpentier, Carpentariana, ou remarques d'histoire, de morale…, Paris 1724, pp. 29-31; J.-Fr. Dreux du Radier, Mémoire sur la vie et les oeuvres de G.P. M.…, in Suite de la clef, ou Journal historique sur les matières des tems, septembre 1754, pp. 190-202; octobre 1754, pp. 271-282; P. Toldo,

 Dell'"Espion" di G.P. M. e delle sue attinenze con le "Lettres persanes" del Montesquieu, in Giornale  stor. della letteratura italiana, XXIX (1897), pp. 46-79; G.L. Van Roosbroeck,   Persian letters beforeMontesquieu, New York 1932,  passim; A. Ciasca, Genova nelle relazioni di un inviato francese allavigilia del bombardamento del 1684, in Atti della Società di scienze e lettere di Genova, II (1937), 2, pp.79-121; W.H. McBurney, The authorship of "The Turkish spy" , in  Publications of the Modern Language

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(1966), pp. 35-65; S. Bono, Un dialogo secentesco fra Algeri e Genova (1685), in Africa, XXI (1966), pp.278-288; F. Venturi, Utopia e riforma nell'Illuminismo, Torino 1970, pp. 39-44; D. Warren,   Il ritrattodell'"Esploratore turco" di F.H. van Hove, in Studi secenteschi, XI (1970), pp. 59-72; N. Melani,  Di G.P.M. e del suo "Esploratore turco" (o della cristallizzazione di una "fonte"), in   Annali dell'Istitutouniversitario orientale. Sez. romanza, XIV (1972), pp. 287-319; M. Capucci, Introduzione, in Romanzieridel Seicento, a cura di M. Capucci, Torino 1974, pp. 61 s., 769-802 (a pp. 769-802 branidell' Esploratore); G. Almansi - D. Warren,  Roman épistolaire et analyse historique: l'"Espion turc"  deG.P. M., in Dix-septième siècle, CX-CXI (1976), pp. 57-73; J. Lavicka, "L'Espion turc", le mond slave et le hussitisme, ibid ., pp. 75-92; G. Almansi - D. Warren, Bibliografia dell'"Esploratore turco" di G.P. M.,in Studi secenteschi, XVIII (1977), pp. 245-261; Y. Bellenger,  La description de Paris dans la "Lettred'un sicilien" datée de 1692, in La découverte de la France au XVII e siècle, Paris 1980, pp. 121-137; S.F.Shimi, Portrait d'un espion du dix-septième siècle. Jean Paul M.…, Lathrup Village 1980; J.-P. Gaudier -J.-J. Heirwegh,   Jean-Paul M., "L'Espion du Grand-Seigneur" et l'histoire des idées, in   Études sur le

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