FRANCESCO FOLLIERI Dottorando in ricerca in Diritto...
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1
FRANCESCO FOLLIERI
Dottorando in ricerca in Diritto Amministrativo presso l’Università degli
Studi di Catania
IL PRINCIPIO DI NON CONTESTAZIONE NEL PROCESSO
AMMINISTRATIVO: UN “FALSO SINTOMO” DEL PROCESSO DI
PARTI, FRA DIFFICOLTA’ APPLICATIVE E TENSIONI
CONCETTUALI.*
Sommario: 1. Introduzione; 2. Le tesi dei processual- civilisti sul principio di non contestazione; 3.
La formulazione legislativa del principio di non contestazione: la non contestazione come tecnica
semplificatoria; 4. Il principio di non contestazione come mera regola istruttoria. I suoi effetti sulle
situazioni giuridiche processuali delle parti e del giudice. La centralità dell’onere di contestazione; 5. Il
contenuto dell’onere di contestazione. La dichiarazione di non conoscenza del fatto e l’estraneità dei fatti
non conosciuti all’onere di contestazione; 6. Il termine dell’onere di contestazione. Non contestazione e
poteri istruttori officiosi; 7. L’oggetto dell’onere di prendere posizione: i fatti da contestare; 8.
Conclusioni.
2
1. La non contestazione, secondo la dottrina processual- civilista
“classica”, trova il suo fondamento nel principio della domanda e, più in
particolare, in “quel coefficiente di dispositività che è ad esso sottostante”1.
La previsione del principio di non contestazione nel processo
amministrativo, allora, potrebbe essere un sintomo evidente della
disponibilità delle parti sui fatti e sulle prove2, quindi, della domanda e
dell’oggetto del processo. Pertanto, in quest’ottica, incide sul tema della
disponibilità della domanda.
Al principio di non contestazione, poi, si è soliti ricondurre uno
spostamento dei poteri (e degli oneri) istruttori a beneficio (e a danno) delle
parti, con erosione dei poteri officiosi del giudice.
In altre parole, il principio di non contestazione, seguendo questa
impostazione, atterrebbe all’ordinamento della prova dei fatti affermati
dalle parti.
Ad ogni modo, in un senso o nell’altro, la previsione del principio in
questione nel processo amministrativo influisce (o, come risulterà,
dovrebbe influire) sulla “distribuzione fra il giudice e le parti dei poteri di
‘governo del processo’”3, sotto il profilo della disponibilità della domanda
e della situazione giuridica soggettiva dedotta in giudizio o sotto il profilo
della distribuzione dei poteri, degli oneri e degli obblighi istruttori fra parti
e giudice e della loro concreta consistenza.
* Intervento alla X edizione delle Giornate di studio sulla giustizia amministrativa dedicate ad E. Cannada
Bartoli, La disponibilità della domanda nel processo amministrativo, Roma - Universitas Mercatorum, 10-
11 giugno 2011. 1 G. VERDE, Domanda (principio della). I) Diritto processuale civile, in Enc. giur., Roma, XII, 1989, p.9.
2 Infrangendo, forse, l’idea del giudice amministrativo come “signore della prova”, su cui l’omonimo
saggio di M. NIGRO, Il giudice amministrativo “signore della prova”, ora in ID., Scritti giuridici, Milano,
1996, I, pp. 687 e ss.. 3 L’espressione è di M. NIGRO, Giustizia amministrativa, Bologna, 1983, p. 330, ed è stata richiamata da F.
FRANCARIO, Presentazione delle giornate di studio al convegno La disponibilità della domanda nel
processo amministrativo, tenuto a Roma, presso l’Universitas mercatorum, il 10-11 giugno 2011.
3
La previsione del principio di non contestazione, cioè, può essere indice
dell’accentuazione del processo amministrativo come processo di parti ed
in tal senso è stata percepita4.
L’obiettivo di tale scritto è verificare l’attitudine di tale previsione a
fungere da “cartina di tornasole” della (ulteriore) evoluzione del processo
amministrativo in questo senso.
2. Una sintetica ricostruzione delle tesi avanzate dalla dottrina
processual- civilista appare opportuna, prima di analizzare lo “impatto” sul
processo amministrativo della non contestazione.
Le concezioni degli studiosi del processo civile si possono suddividere
in tre filoni.
In primo luogo, vi è chi ritiene che la non contestazione, attenendo
all’allegazione dei fatti e costituendo corollario del principio dispositivo,
comporti una ficta confessio (ossia una prova legale) o si sostanzi in una
fonte presuntiva5 e, perciò, sia una disposizione del rapporto giuridico
controverso, attraverso il processo6. Con la conseguenza che tale principio
non può essere applicato alle controversie in materia di situazioni
giuridiche indisponibili7: se una determinata situazione giuridica o un
determinato rapporto non possono essere oggetto di disposizione attraverso
4 F. G. SCOCA, Art. 64, in A. QUARANTA- V. LOPILATO (a cura di), Il processo amministrativo. Commentario al
d. lgs. 104/2010, Milano, 2011, p. 550. 5 Idonea, quindi, da sola a fondare la decisione del giudice. Cfr. G.A. MICHELI, L’onere della prova, Padova,
1966, p. 151; M. CAPPELLETTI, La testimonianza della parte nel sistema dell’oralità, I, Milano, 1962, p.86; E.
GRASSO, Dei poteri del giudice, in E. ALLORIO (diretto da), Commentario del codice di procedura civile,
Torino, 1973, vol. I**, p. 1319. 6 G. VERDE, op. loc. ult. cit., nonchè gli Autori citati da A. CARRATTA, Il principio della non contestazione nel
processo civile, Milano, 1995, p.232. 7 Nelle quali, perciò, il giudice dovrebbe rimanere indifferente rispetto alla non contestazione di un
fatto, secondo la ricostruzione operata da V. ANDRIOLI, Prova (diritto processuale civile), in Nss. Dig. It.,
Torino, XIV, 1967, p. 274, nonostante egli propugni l’idea della non contestazione come comportamento
processuale valutabile ai sensi dell’art. 116 c.p.c.. In questo senso, di recente, si è espresso il Tribunale di
Varese, ord. 27 novembre 2009, in Giur. it., 2011, p. 619, con nota di G. FRUS, Non contestazione e diritti
indisponibili: oscillazioni dottrinarie e incertezze giurisprudenziali.
4
un atto giuridico delle parti titolari, la non contestazione in giudizio non
può ottenere lo stesso effetto di disposizione, vincolando il giudice alla
verità del fatto non contestato, allegato dalla parte8.
All’estremo opposto vi è chi ritiene che la non contestazione, lungi
dall’integrare una prova legale, costituisca un comportamento processuale
della parte, valutabile dal giudice come argomento di prova ai sensi
dell’art. 116 c.p.c., con la conseguenza che non verrà mai meno l’onere di
provare il fatto da parte di chi lo allega9.
In una posizione “mediana” si attesta la concezione del principio di non
contestazione come tecnica semplificatoria, discendente dal principio di
economicità del processo (dotato di copertura costituzionale attraverso la
garanzia della “ragionevole durata” dello stesso da parte dell’art. 111,
comma 2, Cost.)10 e dell’auto-responsabilità delle parti, idonea ad escludere
dal thema probandum i fatti non contestati, i quali, quindi, non risultano
accertati come veri nel processo e possono essere valutati dal giudice nel
contesto probatorio, secondo il suo prudente apprezzamento11. La non
contestazione, cioè, comporterebbe una relevatio ab onere probandi in
capo a chi ha allegato il fatto non contestato12, ma non costituirebbe né una
prova legale o una fonte presuntiva, né un mero comportamento
processuale valutabile ai sensi dell’art. 116 c.p.c.13.
8 F. P. LUISO, Diritto processuale civile, Milano, 2009, II, p. 55.
9 V. ANDRIOLI, op. loc. ult. cit..
10 C. M. CEA, L’evoluzione del dibattito sulla non contestazione, in Foro it., 2011, V, c. 101, il quale avverte
che “l’uso di tale tecnica, però, non può essere spinto sino al punto di compromettere un altro dei valori
fondanti del giusto processo, cioè, quello delle parti di aver diritto ad una decisione giusta perché
fondata sull’accertamento veritiero dei fatti coinvolti nel processo”. Inoltre, già G. CHIOVENDA, Istituzioni
di diritto processuale civile, Napoli, 1933, pp. 326 e s., ricollegava il principio di non contestazione ad
esigenze di economia processuale. 11
A. CARRATTA, op. cit., p. 282. 12
A. CARRATTA, op. ult. cit., p. 267. 13
In tal senso, la dottrina più recente. Senza alcuna pretesa di completezza: M. BOVE, in M. BOVE- N.
SANTI, Il nuovo processo civile tra modifiche attuate e riforme in atto, Matelica, 2009, p.44; C. M. CEA, op.
loc. ult. cit.; ID., Trattazione e istruzione nel processo civile, Napoli, 2010, pp. 85 e ss.; F. DE VITA, Non
contestazione (principio di), in Dig. disc. priv., sez. civ., Torino, Aggiornamento V, 2010, pp. 832 e ss.,
5
3. Rimanendo in ambito generale, la previsione, con identica
formulazione linguistica, da parte dell’art. 115, c.1, c.p.c. e dell’art. 64, c.2,
c.p.a., del principio di non contestazione induce, in primo luogo, a ritenere
che si possa escludere la concezione per la quale la non contestazione
costituisca un comportamento processuale, valutabile come argomento di
prova ai sensi dell’art. 116, c. 2, c.p.c. e dell’art. 64, c.4, c.p.a..
Infatti, la disposizione, prevedendo che “salvi i casi previsti dalla legge,
il giudice deve porre a fondamento della decisione le prove proposte dalle
parti nonché i fatti non specificamente contestati dalle parti costituite”,
equipara i fatti non contestati alle “prove proposte dalle parti”, non agli
“argomenti di prova”: la non contestazione produce prove, non costituisce
argomento di prova.
Sempre per l’equiparazione dei fatti non contestati alle prove proposte
dalle parti, la formulazione della disposizione in questione sembrerebbe
escludere anche l’orientamento che riconduce la non contestazione al
principio dispositivo e che la considera come una prova legale (ficta
confessio) o come fonte presuntiva: equiparando i fatti non contestati alle
“prove proposte dalle parti”, sembra indicare lo stesso regime per entrambi
i termini di paragone, con la conseguente applicabilità dell’art. 116, c.1,
c.p.c. e dell’art. 64, c.4, prima parte, c.p.a. (anch’essi quasi identici), per i
quali “il giudice deve valutare le prove secondo il suo prudente
apprezzamento”. Dato che la disciplina delle prove legali si caratterizza per
la sua eccezionalità rispetto alla sottoposizione al “prudente
passim, particolarmente pp. 865 e s. (sebbene in maniera problematica); M. FABIANI, Il nuovo volto della
trattazione e dell’istruttoria, in Corr. giur., 2009, 1171; C. MANDRIOLI- A. CARRATTA, Come cambia il
processo civile, Torino, 2009, p. 33; M. MOCCI, Principio del contraddittorio e non contestazione, in Riv.
dir. proc., 2011,p. 330; C. PUNZI, Novità legislative e ulteriori proposte di riforma in materia di processo
civile, in RTDPC, 2008, 1198; G. F. RICCI, La riforma del processo civile, Torino, 2009, p. 39; B. SASSANI, A.D.
2009: ennesima riforma al salvataggio del rito civile. Quadro sommario delle novità riguardanti il
processo di cognizione, in www.judicium.it, par. 12.
6
apprezzamento” del giudice14, se il legislatore avesse inteso assimilare i
fatti non contestati alle prove legali avrebbe posto tali fatti come eccezione
alla regola di giudizio per la quale il giudice decide secondo il libero
apprezzamento (art. 116, primo comma, c.p.c. ed art. 64, c.4, c.p.a.) e non
sullo stesso piano delle prove, fornite dalle parti, prudentemente
apprezzabili (art. 115, primo comma, c.p.c. ed art. 64, comma 2, c.p.a.).
Questo argomento può essere corroborato da un’interpretazione
sistematica della disposizione relativa al processo amministrativo: a questo
sono considerate estranee le prove legali15, come confermato
dall’esclusione, anche nel codice del processo amministrativo,
dell’interrogatorio formale e del giuramento (art. 63, c. 5, c.p.a.)16. Perciò,
interpretare l’art. 64, c. 3, c.p.a. in modo da ricondurre la non contestazione
ad una prova legale o ad una fonte presuntiva, significherebbe introdurre,
surrettiziamente, una forma di questo genere di prove (non a caso
nell’ambito di questa concezione la non contestazione viene considerata
14
V. ANDRIOLI, Prova, cit., pp. 285 e s.; E. T. LIEBMAN, Manuale di diritto processuale civile. Principi (a cura
di V. COLESANTI- E. MERLIN- E. F. RICCI), Milano, 2002, p. 308; A. PROTO PISANI, Lezioni di diritto processuale
civile, Napoli, 2006, p. 419. 15
A. M. SANDULLI, Il giudizio davanti al Consiglio di Stato e ai giudici sottordinati, Napoli, 1963, p. 386, il
quale àncora questo assunto alla vigenza del principio dispositivo con metodo acquisitivo; A. TRAVI,
Lezioni di giustizia amministrativa, Torino, 2008, p. 267, il quale, però, fonda l’esclusione delle prove
legali sulla vigenza del libero convincimento del giudice, quale regola di giudizio; L. GIANI, La fase
istruttoria, in F. G. SCOCA (a cura di), Giustizia amministrativa, Torino, 2011, p. 373. 16
Secondo F. G. SCOCA, Art. 63, cit., p. 546, l’esclusione delle prove legali nel processo amministrativo
sarebbe irragionevole, dato che il codice del processo amministrativo avrebbe fondato l’abbandono del
metodo acquisitivo, a favore del principio dispositivo “in purezza”, e che vige non più la regola del libero
convincimento del giudice, ma del suo “prudente apprezzamento”, il quale “non contraddice affatto
all’ammissione delle prove legali”. Si potrebbe, però, obiettare che il sintagma “prudente
apprezzamento” tende, da un lato, alla restrizione della discrezionalità del giudice nella valutazione delle
prove, quantomeno dal punto di vista dell’affermazione di principio; dall’altro esso funge, come
asserito, da disciplina generale, cui dovrebbe contrapporsi una disciplina eccezionale che imponga la
particolare efficacia della prova legale. Il che, se accade nel processo civile, non è dato rilevare nel
processo amministrativo.
Anche M. LIPARI, I principi generali dell’istruttoria nel processo amministrativo dopo la l. n. 205 del 2000.
Le trasformazioni del giudizio e gli indirizzi della giurisprudenza, in Dir. proc. amm., 2003, p. 139, solleva
dei dubbi in ordine alla “concreta ragionevolezza della assoluta limitazione concernente l’interrogatorio
formale e il giuramento”, ritenendola giustificata, però, “in relazione alle domande che toccano
l’esercizio del potere o manifestazioni autoritative dell’amministrazione”.
7
una ficta confessio). E ciò striderebbe con l’impianto sistematico
dell’istruttoria nel processo amministrativo, anche per come accolto dal d.
lgs. n. 104/2010.
Che nel codice del processo amministrativo permanga l’idea
dell’incompatibilità delle prove legali con il processo amministrativo, si
può desumere anche da un confronto “inter-sistemico” o (se si vuole)
“inter-processuale”. Nell’art. 64, c.4, c.p.a., sono “condensati” i due commi
che compongono l’art. 116 c.p.c.: “il giudice deve valutare le prove
secondo il suo prudente apprezzamento e può desumere argomenti di prova
dal comportamento tenuto dalle parti nel corso del processo” (art. 64, c.4,
c.p.a.). La disposizione del processo amministrativo diverge, per quanto
attiene alla regola di giudizio, per un’omissione, a mio avviso,
rilevantissima: non vi è l’inciso che chiude il primo comma dell’art. 116
c.p.c.: “salvo che la legge disponga altrimenti”.
Questa chiosa, nel processo civile, indica i casi in cui il prudente
apprezzamento del giudice non trova spazio, ossia le prove legali (che
costituiscono eccezioni rispetto ad esso). Ebbene, l’assenza di tale inciso
significa che il codice ha accolto l’impostazione tradizionale per la quale
nel processo amministrativo la regola di giudizio del “prudente
apprezzamento” non ammette eccezioni (id est: le prove legali)17.
L’accantonamento di questa idea della non contestazione implica,
inoltre, che si eviti un problema “scivoloso” e, probabilmente, extra-
processuale, quale è quello della disponibilità delle situazioni giuridiche
soggettive su cui inciderebbe questa omissione di attività processuale,
intesa come ficta confessio, in quanto, se prova legale, essa sarebbe
ammissibile solo in relazione a situazioni giuridiche soggettive disponibili. 17
Come affermava anche la dottrina precedente in relazione al “libero convincimento”, ritenendo che
tale principio “comporta essenzialmente l’assenza di regole legali inerenti l’efficacia della prova” (R.
VILLATA, Considerazioni in tema di istruttoria, processo e procedimento, in Dir. proc. amm., 1995, p. 201).
8
Generalmente, infatti, si ammette la disponibilità dell’interesse legittimo o
del diritto soggettivo vantato dalle parti “private” del processo (ricorrente o
controinteressato)18, ma la si esclude per il potere amministrativo, sebbene
possa essere ritenuto negoziabile19, comportando dubbi in ordine
all’applicabilità della non contestazione all’amministrazione.
Sembra, perciò, che il legislatore del processo civile ed amministrativo
abbia accolto il nucleo fondamentale della dottrina più recente che si è
misurata sul tema, recependo la non contestazione come tecnica
semplificatoria che espunge i fatti non contestati dal thema probandum, ma
non li carica dell’efficacia di prova legale20.
4. Le precedenti considerazioni consentono alcune precisazioni, ancora
valevoli tanto per il processo civile, quanto per quello amministrativo.
L’accoglimento della tesi “mediana” e più recente (per la quale la non
contestazione limita il thema probandum) permette di affermare che il
principio di non contestazione è solo regola istruttoria e non regola di
giudizio: si stabilisce che i fatti non contestati abbiano lo stesso valore delle
prove fornite dalle parti e sulla base di entrambe queste categorie di
elementi del fatto il giudice deciderà, apprezzandoli “prudentemente”21.
La differenza, cioè, fra i fatti non contestati e le prove introdotte dalle
parti (o dal giudice nell’esercizio dei suoi poteri officiosi) risiede non nella
18
F. G. SCOCA, op. loc. ult. cit.. V. CERULLI IRELLI, La disponibilità delle situazioni di interesse legittimo,
relazione tenuta al convegno La disponibilità della domanda nel processo amministrativo, cit., rileva,
però, che, qualora una figura soggettiva pubblica sia titolare di un interesse legittimo, poiché il
“rapporto amministrativo” intercorre tra due (o più) pubbliche amministrazioni o soggetti ad esse
equiparati, la funzionalizzazione dell’attività di questo soggetto, ossia la cura di interessi di cui esso non
è titolare, implica, quantomeno, un coefficiente di disponibilità di tale situazione giuridica soggettiva
minore, rispetto a quello che la caratterizza solitamente. 19
F. G. SCOCA, ibidem. 20
In tal senso, la dottrina citata alla nota 11, nonché F. G. SCOCA, op. cit., p. 550. 21
Del resto, anche nella precedente concezione, secondo la quale il g.a. decideva secondo la regola di
giudizio del libero convincimento, c’è stato chi (R. VILLATA, Considerazioni, cit., p. 224, nota 94) ha
affermato che tale regola di giudizio si riferisse alla sola valutazione delle prove.
9
loro efficacia, ma nell’assenza dell’esperimento del mezzo di prova
richiesto per il loro accertamento.
In secondo luogo, il principio di non contestazione (o, rectius, le
disposizioni che lo prevedono) produce (producono) effetti sulle situazioni
giuridiche processuali delle parti e del giudice: da un lato, condiziona(no)
l’onere della piena prova dei fatti posti a fondamento della domanda o
dell’eccezione (propria) alla specifica contestazione ex adverso di tali fatti,
permettendo, in caso di non contestazione, la mera allegazione di essi;
condiziona(no) ulteriormente22, altresì, l’obbligo del giudice di disporre i
mezzi di prova richiesti dalle parti, corrispondente al c.d. diritto alla prova23
presente in capo a ciascuna delle parti medesime, allo stesso evento cui è
condizionato l’onere di fornire la piena prova (la contestazione); costituisce
(costituiscono), in capo alla parte non contumace contro la quale i fatti sono
stati allegati, un onere di specifica contestazione24 dei medesimi.
È evidente, poi, che il principio di non contestazione ed il suo
funzionamento ruotino attorno all’onere di contestazione, poiché l’esercizio
dell’attività ad esso sottesa (la contestazione) è l’evento cui si ricollega la
condizione25 apposta all’onere della prova ed all’obbligo di disporre i
mezzi di prova. Con la conseguenza che gli effetti su queste ultime due
situazioni giuridiche processuali sono meri riflessi dell’assolvimento
dell’onere di prendere posizione, vero nucleo del principio in parola. 22
Visto che esso è già condizionato dalla rilevanza e dall’ammissibilità del mezzo di prova. 23
Su cui E. F. RICCI, Il principio dispositivo come problema di diritto vigente, in Riv. dir. proc., 1974, pp.
382 e ss.; M. TARUFFO, Il diritto alla prova nel processo civile, ivi, 1984, p. 77 e L.P. COMOGLIO, La garanzia
costituzionale dell’azione ed il processo civile, Padova, 1970, pp. 148 e ss.. In particolare, questi due
ultimi autori trovano la radice del diritto alla prova nell’art. 24 Cost., arricchendolo di contenuto.
Contrario alla configurazione di tale situazione giuridica, B. CAVALLONE, Il giudice e la prova nel processo
civile, Padova, 1991, pp. 301 e ss.. 24
Su cui A. CARRATTA, op. cit., pp. 284 e ss.; G. FRUS, Note sull’onere del convenuto di “prendere posizione”
nel processo del lavoro, in RTDPC, 1991, pp. 63 e ss.; V. BATTAGLIA, Sull’onere del convenuto di “prendere
posizione” in ordine ai fatti posti a fondamento della domanda (riflessioni sull’onere della prova), Riv. dir.
proc., 2009, p. 1512. L’esistenza di tale onere è affermata anche da chi ritiene che la non contestazione
attenga al principio dispositivo: cfr. G. VERDE, op. cit., p. 9. 25
Della cui natura si discuterà infra al par. 6.
10
In particolare, la costituzione dell’onere di specifica contestazione o di
“prendere posizione” solleva una serie di questioni, valevoli per il processo
civile e per quello amministrativo: quale sia l’attività processuale che
questo onere richiede per il suo assolvimento, su quali fatti essa debba
ricadere (se solo sui fatti primari o anche su quelli secondari) e quale sia il
termine per l’esercizio di tale attività. Le risposte concrete a tali domande,
però, vanno rintracciate nella disciplina dei singoli processi.
Ciononostante, dal punto di vista astratto, si può dare una risposta di
massima, affermando che l’onere di contestazione non può avere un
contenuto diverso da quello dell’onere della prova, per esigenze di
proporzionalità26 o di omogeneità27 fra questi due oneri. In primo luogo, per
il principio del contraddittorio in condizioni di parità (art. 111, comma 2,
Cost.), alle parti non possono essere addossati oneri di portata differente, in
ordine al medesimo fatto (allegato e da contestare). Da un punto di vista
più concreto, poi, la contestazione di un fatto renderà necessaria la contro-
prova, e, quindi, non potrebbe ragionevolmente essere oggetto dell’onere di
contestazione un fatto che esula dall’onere della prova: o si amplia,
attraverso l’onere di contestazione, l’onere della prova della parte
contestante; o si svincola la contestazione dalla contro-prova. Entrambe
queste alternative, comunque, non appaiono accettabili, sempre con
riferimento alla necessaria salvaguardia della “parità delle armi”: la prima
perché altera l’equilibrio a sfavore della parte che deve contestare; la
seconda perché, viceversa, si rivolge ad esclusivo favore della stessa.
L’onere di contestazione, perciò, si misura e si modella
necessariamente sull’onere della prova, mutuandone le caratteristiche. Ma
non le conseguenze: il mancato assolvimento dell’onere della prova, ossia 26
G. BALENA, La nuova pseudo- riforma della giustizia civile, in www.judicium.it, par. 12. 27
C. M. CEA, L’evoluzione del dibattito, cit., c. 103. Cfr. anche G. VERDE, op. loc. ult. cit., nonché F. DE VITA,
Non contestazione (principio di), in Dig. disc. priv., sez. civ., Torino, Aggiornamento V, 2010, p.862.
11
di allegazione dei fatti, nei limiti degli elementi disponibili alla parte (art.
64, c. 1, c.p.a.), conduce al rigetto della domanda o dell’eccezione28 e
produce una regola di giudizio- actore non probante reus absolvitur; il
mancato assolvimento dell’onere di contestazione, invece, comporta
l’equiparazione del fatto non contestato ai fatti provati, espungendoli dal
thema probandum, senza, però, munirli dell’efficacia di prova legale e,
quindi, senza produrre alcuna regola di giudizio.
5. Partendo da questa indicazione generale ed attraverso la delineazione
dell’onere di contestazione, bisogna verificare come il principio di non
contestazione si colori nel processo amministrativo.
A tal proposito, si può anticipare una considerazione: il principio di non
contestazione trova serie difficoltà di “adattamento” nel processo
amministrativo.
Innanzitutto, dell’onere di contestazione, nucleo centrale del principio
in questione, bisogna chiarire il contenuto.
Ebbene, se l’omissione di qualsiasi attività assertiva (silenzio),
l’ammissione esplicita e quella implicita (derivante dal fatto che la parte
sostenga una linea argomentativa incompatibile con la contestazione) del
fatto allegato ex adverso non possono certamente integrare la “specifica
contestazione” richiesta dalla norma29, qualche dubbio sembra esserci in
ordine alla dichiarazione di non conoscenza del fatto.
Nonostante tale comportamento non sembri rientrare nell’ambito delle
contestazioni specifiche, il confronto fra il contenuto dell’onere della prova
e dell’onere di contestazione, potrebbe indurre a rimeditare in radice il 28
F. G. SCOCA, Art. 63, cit., p. 543. 29
In cui, parimenti, non dovrebbero rientrare le contestazioni di mero stile o che si dirigono alla
situazione giuridica dedotta in giudizio nella sua interezza o, comunque, ad un complesso indistinto di
fatti. Cfr. B. ZUFFI, Art. 115, in C. CONSOLO (diretto da), Codice di procedura civile commentato, Milano,
2010, tomo I, p. 1374.
12
problema, ritenendolo attinente all’oggetto dell’onere e non al suo
contenuto.
Le parti nel processo amministrativo, infatti, sono onerate a “fornire gli
elementi di prova che siano nella loro disponibilità riguardanti i fatti posti a
fondamento delle domande e delle eccezioni” (art. 64, c.1, c.p.a.).
Al di là delle possibili considerazioni in ordine alla disponibilità30,
questa formulazione introduce il dubbio relativo alla dichiarazione di non
conoscenza del fatto allegato dall’altra parte: la non conoscenza del fatto
può essere considerata equivalente alla indisponibilità del fatto stesso.
Anzi, è un’indisponibilità cui l’ordinamento non può fornire rimedi: è
un’indisponibilità gnoseologica.
Pertanto, se la parte non è onerata a fornire gli elementi di prova dei
fatti posti a fondamento della propria domanda o eccezione, qualora essi
non rientrino nella sua disponibilità, l’altra parte non può ritenersi onerata a
30
Se, cioè, essa consista in una disponibilità in atto o in potenza: nel primo caso, la parte sarà esonerata
dalla ricerca degli elementi di prova che sono nella disponibilità dell’altra (si pensi, ovviamente, al
privato che non dispone della “base documentale” dell’amministrazione); nel secondo, invece, se esiste
uno strumento giuridico, di cui è titolare la parte interessata, idoneo alla ricerca degli elementi di prova
presenti nella sfera giuridica altrui, l’onere probatorio implicherà necessariamente l’esperimento di tale
strumento (si pensi all’accesso agli atti ed all’eventuale impugnazione del diniego di accesso, anche nel
corso del giudizio in cui sono necessari i documenti richiesti all’amministrazione o al soggetto ad essa
equiparato). A mio avviso, il problema andrebbe posto in questi termini: l’attuale diritto positivo valuta
l’indisponibilità degli elementi di prova in termini di colpevolezza della parte? Ritiene, cioè, il soggetto
onerato a fornire anche gli elementi di prova che, secondo il canone della diligenza, potevano/dovevano
essere acquisiti alla disponibilità della parte? In altri termini, c’è l’onere di acquisire la disponibilità degli
elementi e, cioè, di utilizzare lo strumento giuridico predisposto dall’ordinamento per ottenerli? Da un
punto di vista di esegesi letterale, la disposizione non offre soluzioni. La risposta affermativa a queste
domande sembra in linea con la recente giurisprudenza in materia di concorso nella causazione del
danno, per omessa impugnazione del provvedimento lesivo o per omessa istanza cautelare (Cons. Stato,
Ad. plen. n. 3/2011, in www.giustizia-amministrativa.it). Quella negativa, però, appare, secondo me, da
preferire. Non può, infatti, interpretarsi estensivamente l’onere probatorio, teso, invece, a sollevare la
parte dalla ricerca di elementi di prova di difficile acquisizione in ambito extra-processuale (sembra
questa la ratio dell’art. 64, c.1, c.p.a.). Né, poi, si può mutare il contenuto di una situazione giuridica
soggettiva, come quella dell’accesso agli atti che, incerta nella qualificazione (diritto soggettivo-
interesse legittimo) è costituita da un potere, facendo diventare tale potere un onere per la tutela delle
situazioni giuridiche lese dal provvedimento che su quei documenti si basa. Tale impostazione implica, si
fa notare, un atteggiamento paternalistico nei confronti dell’amministrazione, incompatibile con i mezzi
e con la funzione ad essa attribuiti. Infine, una tale interpretazione “estensiva” dell’onere probatorio
mal si concilia con la “tradizione” dell’istruttoria del processo amministrativo.
13
contestare un fatto che non è per lei disponibile (per assenza di percezione
psico- fisica)31.
Quindi, più che ritenere che la dichiarazione di non conoscenza integri
contestazione32 (il che appare, se non altro, poco condivisibile dal punto di
vista logico), la dichiarazione di un tale stato implica che i fatti non
conosciuti, esulando dalla disponibilità, esulino dall’oggetto dell’onere di
contestazione. L’assenza dell’onere di contestazione in relazione ai fatti
non conosciuti, quindi, esclude a priori l’applicazione della non
contestazione ad essi.
Una peculiare conseguenza della dichiarazione della non conoscenza di
un fatto può ipotizzarsi allorquando tale contegno sia tenuto
dall’amministrazione resistente in un’azione di annullamento di un
provvedimento: se si tratta di un fatto rilevante per l’adozione del
provvedimento, l’amministrazione ammetterebbe un difetto d’istruttoria
procedimentale.
Tale dichiarazione non implica non contestazione, per quanto affermato
in precedenza, visto che l’ordinamento non valuta la colpevolezza
dell’indisponibilità del fatto, al fine di farlo rientrare nell’onere della
prova33, e che una conclusione in senso contrario creerebbe una lesione del
principio delle “parità delle armi”. Ciò comporta che il fatto andrà
comunque provato, da parte dell’allegante, attraverso il mezzo di prova
richiesto al giudice.
31
G. BALENA, op. cit., par. 12, afferma che, per evitare ingiustificate compressioni del diritto di difesa,
sarebbe opportuno che la tecnica di semplificazione della non contestazione, operasse con riguardo ai
soli fatti caduti sotto la diretta percezione della parte onerata a contestare “o almeno ad essa
sicuramente noti”. 32
In questo senso, C. M. CEA, op. cit., c. 103 e F. DE VITA, op. cit., pp. 862 e s.. 33
Cfr. supra la nota 30.
14
Se, però, il ricorrente ha dedotto il vizio di difetto di istruttoria, la
dichiarazione di non conoscenza del fatto costituisce, mi si consenta il
gioco di parole, un sintomo della figura sintomatica.
L’amministrazione, cioè, dichiarando in giudizio di non conoscere un
fatto allegato dal ricorrente, dal controinteressato o da un’altra parte privata
(ad es. un interveniente) - ovviamente laddove esso sia rilevante per la
questione in cui è intervenuto il provvedimento impugnato (e, quindi,
rilevante per il giudizio)- ammette, in sostanza, di non aver assolto
adeguatamente il suo onere istruttorio procedimentale.
Di conseguenza, nel contesto descritto, la dichiarazione di non
conoscenza del fatto potrebbe costituire un argomento di prova, da valutare
ai sensi dell’art. 64, ult. comma, c.p.a., al fine di esercitare il sindacato di
legittimità sul provvedimento, in relazione alla insufficiente o difettosa
istruttoria.
Anche in questo caso, comunque, la dichiarazione di non conoscenza
del fatto esula dal principio di non contestazione.
6. Un altro problema riguarda il termine entro cui la parte debba
assolvere l’onere di contestazione: a differenza del processo civile, manca
qualsiasi termine entro cui la parte debba prendere posizione sulle
asserzioni altrui.
Da un lato, nell’atto di costituzione, le parti intimate non hanno alcun
onere di prendere posizione, a pena di decadenza, sui fatti indicati dal
ricorrente (cfr. art. 46 c.p.a.), anche ammesso che il termine ivi previsto
(sessanta giorni dalla ricezione della notifica) possa essere ritenuto
perentorio, a differenza di quanto da sempre stabilito dalla
15
giurisprudenza34: la disposizione, infatti, prevede una serie di “attività”35,
nella quale non figura quella di contestazione.
Dall’altro, anche il ricorrente, nell’eventuale memoria, manca di
qualsiasi indicazione legislativa di contenuto necessario per l’atto. Stesso
discorso si può ripetere per le repliche36.
Ne deriva che la contestazione può avvenire anche nell’udienza di
merito, con due conseguenze: a) la non contestazione può ritenersi
realizzata solo dopo l’udienza pubblica di discussione, nel momento in cui
la causa viene trattenuta in decisione; b) in quel momento l’istruttoria
potrebbe essere già stata espletata, con evidente irrilevanza della non
contestazione, dato che chi afferma il fatto deve comunque indicare il
mezzo probatorio ed il giudice, non essendosi verificato l’evento dedotto in
condizione rispetto al suo obbligo di assumere le prove ammissibili e
rilevanti, deve procedere all’esperimento del mezzo indicato; o comunque,
qualora il giudice non abbia disposto il mezzo di prova richiesto dalla parte
allegante, la contestazione avvenuta in una fase successiva impone il
“regresso” del processo alla fase istruttoria.
L’alternativa appena descritta discende dalla qualificazione della
condizione apposta all’obbligo di disporre i mezzi di prova richiesti (ed
all’onere di fornire la piena prova dei fatti allegati).
Infatti, se si ritiene che si tratti di una condizione sospensiva
dell’obbligo, per la quale l’evento condizionante è costituito dalla
contestazione, il giudice non è obbligato a disporre il mezzo di prova, 34
Ritiene ancora ordinatorio il termine di costituzione del resistente, pur essendo del tutto contrario a
tale favor, F. G. SCOCA, I principi del giusto processo, in ID. (a cura di), Giustizia amministrativa, cit., p. 171.
In tal senso anche L. DONATO, Art. 46, in F. CARINGELLA- M. PROTTO (a cura di), Codice del nuovo processo
amministrativo, Trento, 2010, p. 490; nonché G. PELLEGRINO, Art. 46, in A. QUARANTA- V. LOPILATO, Il
processo, cit., p. 458. 35
Si utilizza, appositamente, una vox media per indicare che, se il termine viene ritenuto ordinatorio, si
tratta di poteri processuali o, addirittura, di facoltà; se, invece, si ritiene che sia perentorio, si tratta di
oneri. 36
L’art 73, c.1, c.p.a. prevede, infatti, solo il termine di deposito delle memorie e delle repliche.
16
fintanto che il fatto non è contestato. E, quindi, nel momento in cui
interviene la contestazione, il mezzo di prova deve essere disposto, con
ritorno del processo alla fase istruttoria, ove l’evento condizionante (la
contestazione) si realizzi successivamente ad essa.
Qualora, invece, si ritenga che la condizione abbia carattere risolutivo,
con evento condizionante costituito dalla non contestazione, il giudice sarà
obbligato ad esperire il mezzo di prova a meno che il fatto non rimanga
incontestato. Ma si è visto che l’evento della non contestazione, nel
processo amministrativo, può dirsi realizzato solo nel momento in cui la
causa viene trattenuta per la decisione.
In entrambi i casi, evidentemente, l’intento semplificatorio, sotteso alla
previsione del principio di non contestazione, risulta vanificato.
Si può, perciò, affermare che la contestazione nel processo
amministrativo è un onere “leggero”: è fortemente probabile che gli unici
fatti che rimarranno incontestati saranno quelli incontestabili, salvi errori
dell’avvocato o della parte o collusioni fraudolente fra le parti, volte ad
ottenere il crisma dell’effetto conformativo dell’annullamento, idoneo a
vincolare l’amministrazione anche ad adottare un provvedimento
illegittimo, dato che, notoriamente, res iudicata facit de albo nigrum37.
In ogni caso, l’eventualità che tali situazioni di errore o di collusione
comportino un’effettiva distorsione del giudizio è molto remota, in primo
luogo per l’efficacia dei fatti incontestati che, come si è visto, è equiparata,
dal legislatore, a quella delle altre prove, prudentemente apprezzate dal
giudice.
37
Collusioni rimediabili, in presenza di un controinteressato non costituito in giudizio, attraverso
l’impugnazione, da parte di questo soggetto, della sentenza frutto di collusione fra le parti o, ancor
prima, attraverso l’esercizio dei poteri officiosi del giudice, come si vedrà infra.
17
In secondo luogo, per la pervasività dei poteri istruttori officiosi del
giudice amministrativo, altro punctum dolens dell’inserimento del principio
di non contestazione nel processo di cui si parla.
Irrilevante, a tal proposito, sembra essere l’art. 63, c.1, c.p.a., il quale
dispone che il giudice possa “chiedere alle parti anche d’ufficio chiarimenti
o documenti”, fermo, però, restando l’onere della prova. Tale norma, per
evitare di scoprire la contraddizione che la caratterizza, infatti, deve essere
interpretata in modo da restringere tale potere agli elementi di prova che
esulano dall’onere della prova e, quindi, da limitare l’esercizio di tale
iniziativa officiosa agli elementi che esulano dalla disponibilità della parte
che ha allegato il fatto. Elementi che, si è visto, esulano anche dall’onere di
contestazione. La norma, perciò, si colloca fuori dall’ambito utile
all’indagine che si conduce, non incidendo sui fatti da contestare.
L’art. 64, c. 3, invece, prevedendo che il giudice possa “disporre, anche
d’ufficio, l’acquisizione di informazioni e documenti utili ai fini del
decidere che siano nella disponibilità della pubblica amministrazione”,
risulta di notevole importanza ai nostri limitati fini. Questa previsione,
infatti, sembra essere il passepartout per l’eliminazione di qualsiasi dubbio
in ordine alla possibilità che la non contestazione possa creare “pericoli”
alla cura dell’interesse pubblico, attraverso le collusioni fra le parti: il
giudice, subodorando la collusione, può disporre l’acquisizione di
informazioni e documenti, ritenuti utili ai fini del decidere38, con l’evidente
introduzione di una spiccata discrezionalità del giudice nell’individuazione
degli elementi da acquisire.
Tale comma, però, implica anche che l’integrazione della non
contestazione, già un miraggio per l’assenza dei termini per prendere
posizione, diventi una chimera, qualora debba provenire 38
A questa disposizione sembra riferirsi anche F. G. SCOCA, Art. 64, cit., p. 550
18
dall’amministrazione, rimettendo al giudice, sostanzialmente, il pallino
dell’onere di contestare i fatti desumibili dalle informazioni e documenti
detenuti dall’amministrazione.
Vi sono, infine, poteri istruttori officiosi che non soffrono il limite della
disponibilità degli elementi di prova: si tratta di quelli di ordinare a terzi
l’esibizione in giudizio di documenti o quant’altro sia necessario, secondo
il giudice; di disporre l’ispezione (art. 63, c.2, c.p.a.) e, forse, di ordinare
l’esecuzione di verificazioni o consulenze tecniche, anche percipienti (63,
c.3, c.p.a.), e gli altri mezzi di prova, esclusi interrogatorio formale e
giuramento (art. 63, c. 5)39.
L’acquisizione delle prove, attraverso l’esperimento di poteri officiosi,
d’altronde, sembra essere espressamente riconosciuta dal codice del
processo amministrativo, laddove reca, al comma 2 dell’art. 64 che, “salvi i
casi previsti dalla legge”, il giudice pone a fondamento della propria
decisione le prove fornite dalle parti ed i fatti non contestati: i casi previsti
dalla legge, seppure non indicati, devono essere ricondotti alle prove
acquisite officiosamente dal giudice40 le quali, pur non essendo prove
proposte dalle parti o fatti non contestati, possono costituire il sostrato
fattuale della decisione ed essere, parimenti, prudentemente valutate dal
giudice stesso, ai sensi del successivo quarto comma.
39
Secondo F. G. SCOCA, Art. 63, cit., p. 544, laddove non è prevista espressamente la possibilità di
esperire i mezzi di prova d’ufficio, bisogna ritenere che essi siano acquisibili solo su istanza di parte,
considerato il principio dispositivo. Sembra orientato in senso contrario C. LAMBERTI, Art. 63, in F.
CARINGELLA- M. PROTTO (a cura di), Codice del nuovo processo amministrativo, cit., pp. 620 e s., il quale,
però, si muove in un’ottica di fondo differente, per la quale anche dopo il d. lgs. n. 104/2010 l’istruttoria
nel processo amministrativo si informa al principio dispositivo con metodo acquisitivo (ID., Art. 64, ivi, p.
642). Ancora più estrema, poi, sembra la tesi dello stesso A.,espressa in Disponibilità ed onere della
prova, relazione tenuta al convegno La disponibilità della domanda nel processo amministrativo, cit.. In
tale occasione, lo studioso è apparso propendere per una tesi che radicalizza il metodo acquisitivo nel
processo amministrativo: con l’entrata in vigore del codice del processo amministrativo, sarebbero stati
introdotti poteri istruttori officiosi di tale portata (con particolare riferimento all’art. 64, c.3, c.p.a.), da
poter ritenere presenti elementi di inquisitorietà in tale processo. 40
Pacifica, sul punto, la dottrina processual- civilistica, in relazione all’identico art. 115, c.1, c.p.c.. Per
tutti, C. MANDRIOLI, Diritto processuale civile, Torino, 2006, tomo I, p. 109.
19
7. Per quanto riguarda, infine, i fatti che devono essere contestati,
analizzato il profilo dell’assenza di onere di contestazione in ordine ai fatti
non conosciuti, rimane da affrontare la questione sul se devono essere
oggetto di contestazione solo i fatti primari o anche i fatti secondari41.
Per l’indicazione generale di partenza, per la quale l’onere di
contestazione si misura sull’onere della prova, la risposta non può che
essere “di rinvio”: se nell’onere della prova rientrano solo i fatti primari, lo
stesso dovrà dirsi per l’onere di contestazione; allo stesso modo, se
ricadono nell’oggetto dell’onere probatorio anche i fatti secondari42.
Ancora più a monte, si pone il problema del se l’onere della prova (e,
correlativamente, l’onere di contestazione) riguardi ancora il solo principio
di prova43 o meno.
41
Va, però, precisato che i fatti oggetto dell’onere di contestazione sono tanto quelli rilevanti ai fini della
decisione nel merito, quanto quelli riferibili a questioni meramente processuali (si pensi, ad esempio, al
momento della notifica del ricorso). Una simile distinzione, infatti, non trova corrispondenza
nell’oggetto dell’onere della prova, laddove, per fare riferimento all’esempio precedente, il legislatore
pone a carico del ricorrente l’onere di dimostrare l’avvenuto perfezionamento della notifica del ricorso
(art. 45, c. 3, c.p.a., ove si prevede che, qualora il ricorrente abbia depositato il ricorso prima del
perfezionamento delle notifiche nei confronti dei destinatari, egli è tenuto a “depositare la
documentazione comprovante la data in cui la notificazione si è perfezionata anche per il destinatario. In
assenza di tale prova le domande introdotte con l’atto non possono essere esaminate”). E, comunque,
una differenziazione fra queste due categorie di fatti non si rintraccia nel codice del processo
amministrativo. Nel senso che una distinzione di tal fatta non abbia cittadinanza nel processo civile, F. DE
VITA, Non contestazione (principio di), cit. , p. 857. 42
Per L. MIGLIORINI, L’istruzione nel processo amministrativo di legittimità, Padova, 1977, p. 83, il giudice
può conoscere i fatti secondari ex officio, “senza che venga meno il potere monopolistico delle parti”. Di
diverso avviso, R. VILLATA, Considerazioni,cit., p. 215.
Si potrebbe, peraltro, affermare che la non contestazione, integrata sui soli fatti secondari, potrebbe
essere irrilevante: dato che il fatto primario, che si dà in ipotesi per contestato, deve essere provato,
mediante l’esperimento dei mezzi istruttori richiesti dalla parte che lo ha allegato, il ruolo dei fatti
secondari (fatti da cui si inferisce il fatto primario) risulta fortemente ridotto, poiché il fatto primario
sarà stato oggetto di istruttoria e, quindi, accertato o escluso senza necessità di ricorrere al fatto
secondario. Ciò, ovviamente, laddove il risultato dell’istruttoria risulti univoco. Diversamente, il risultato
dell’istruttoria (che non sia riuscita ad accertare pienamente l’esistenza del fatto primario) può essere
valutata dal giudice, secondo prudente apprezzamento, insieme al fatto secondario non contestato.
Oppure, se si tratta di un fatto primario ricadente nella disponibilità della parte che lo ha allegato e,
quindi, nel suo onere probatorio, la domanda o l’eccezione che su di esso si fonda dovrà essere
disattesa. 43
La tesi si trova già in F. CAMMEO, Sulle prove nel procedimento dinanzi alle giurisdizioni di giustizia
amministrativa, in Giust. it., 1916, III, c. 110. La dottrina non ha raggiunto una posizione condivisa sulla
consistenza di questo onere. Sebbene la maggioranza degli Autori convergono sull’idea che l’onere di
fornire il principio di prova collimi con l’onere di allegazione (distinto dal modo in cui i fatti si riversano
20
La risposta a tali interrogativi, però, esula dal limitato fine di questo
scritto. Ciononostante, essa risulta utile al fine di “trarre le fila” della
previsione del principio di non contestazione nel processo amministrativo.
8. In conclusione, va rilevato che la non contestazione, regola istruttoria
e meccanismo di semplificazione processuale, volto al perseguimento
dell’economia del processo, in assenza di un termine per l’assolvimento del
relativo onere, risulta inefficace44: la contestazione può avvenire anche
all’udienza di merito, ove il giudice potrebbe avere già esperito il mezzo di
prova richiesto da chi ha allegato il fatto, rendendo, in concreto, irrilevante
la non contestazione.
Anche la previsione di un’udienza istruttoria, nella quale, di fatto, si
tramuta l’udienza di merito in cui si dispongono i mezzi di prova,
risulterebbe inutile, in relazione all’effettività della tecnica semplificatoria
della non contestazione, in assenza di un termine di decadenza per
l’assolvimento dell’onere di prendere posizione.
nel processo, caratterizzato da esigenze tecniche particolari, ma non attinente al principio dispositivo) –
L. MIGLIORINI, op. cit., p. 104; R. VILLATA, op. ult. cit., p. 222-, essi divergono sull’indicazione dei fatti che
devono essere allegati (cfr. nota precedente). Si riscontrano, poi, posizioni diverse, come quella di E.
CANNADA BARTOLI, Processo amministrativo (considerazioni introduttive), in Nss. Dig. It., Torino, XIII, 1968,
p. 1085, secondo il quale l’onere del principio di prova si sostanzia nell’onere di fornire al giudice, “in
base ai fatti allegati, uno schema attendibile di ricostruzione storica (e valutazione giuridica) degli
avvenimenti”. Nel senso che l’art. 64, c.1, c.p.a., riferendosi agli “elementi di prova”, richiami l’idea per
la quale le parti siano onerate a fornire solo il principio di prova dei fatti a loro disponibili, C. LAMBERTI,
Disponibilità ed onere della prova, relazione al convegno La disponibilità della domanda nel processo
amministrativo, cit.. 44
Non a caso la prima affermazione del principio di non contestazione da parte della Cassazione è
intervenuta, con un obiter dictum (Cass., S.U., 23 gennaio 2002, n. 761, in Foro it., 2002, I, c. 2019), in
una controversia trattata con il rito del lavoro, laddove il sistema di preclusioni per le contestazioni sulle
asserzioni altrui (onere di prendere specificamente posizione- art.416 c.p.c.) è più rigoroso, rispetto a
quello previsto nel rito ordinario (onere di contestazione non specificato dal codice- art. 167 c.p.c., come
risultante dalla novella del 1990). Si noti, inoltre, che il dibattito attorno alla non contestazione si è
riacceso, oltre che in occasione della sentenza delle S.U. cit. e del recepimento legislativo del principio,
anche in concomitanza con la modifica che ha previsto i provvedimenti anticipatori di condanna per le
somme non contestate (artt. 423 e 186 bis c.p.c.). Sul punto, cfr. B. ZUFFI, op. cit., p. 115.
21
Un’udienza istruttoria sfornita, cioè, della “barriera” della irreversibilità
della non contestazione comporterebbe il “reflusso” del processo alla fase
istruttoria45, qualora si contestasse successivamente il fatto per cui non
fosse stato disposto il mezzo probatorio richiesto. O, comunque,
renderebbe necessario l’esperimento di tutti i mezzi di prova richiesti,
vanificando l’intento di economia processuale, sotteso al principio di non
contestazione.
Il che pone in evidenza l’essenzialità dell’elemento del termine per
l’onere di contestazione46, in assenza del quale, quindi, si potrebbe
giungere a ritenere inesistente tale situazione giuridica soggettiva o,
comunque, a ritenerla priva del suo scopo.
La non contestazione, inoltre, è attanagliata dai dubbi inerenti alla sua
concreta dimensione, come rilevato negli interrogativi che hanno chiuso il
precedente paragrafo.
Dagli stessi interrogativi, però, si desume la fondatezza dell’indicazione
di partenza: i dubbi in ordine all’oggetto dell’onere di prendere posizione
(o, perlomeno, i più rilevanti fra essi) sono gli stessi che aleggiano
sull’onere probatorio nel processo amministrativo, perché questi due oneri
condividono tale elemento.
E, vista la centralità di questi due oneri rispetto ai relativi principi, si
può affermare che il principio di non contestazione si misura sul principio
dell’onere della prova e, più in generale, sul principio dispositivo.
Anzi, è l’effettiva vigenza del principio dispositivo che si riverbera sul
principio di non contestazione il quale, evidentemente, risente delle
incertezze, ancora non completamente fugate, che aleggiano sul primo.
45
Nella dottrina processual- civilista si è affermato che la reversibilità della non contestazione rende il
processo un “colabrodo”: cfr. M. FABIANI, op. cit., p. 1172. 46
Che G. CHIOVENDA, op. loc. cit., sembra rilevare.
22
Ciò induce a riformulare le considerazioni introduttive: la previsione
del principio di non contestazione non può essere considerata, ex se, né un
indice della disponibilità della domanda o dell’oggetto del processo, né
dell’accentuazione della caratterizzazione del processo amministrativo
come processo di parti.
Solo se si chiarirà la portata del principio dispositivo nell’istruttoria del
processo amministrativo, si potrà affermare che il principio di non
contestazione è qualcosa di più che un’affermazione, per l’appunto, di
principio.
Viene, quindi, logicamente prima il pieno dispiegamento, anche dal
punto di vista applicativo, oltre che concettuale, del principio dispositivo e
lo “assestamento” del processo amministrativo come processo di parti.
Ma ciò non basta: è necessario anche che il processo amministrativo
diventi non solo un processo di parti, ma di parti responsabili dei propri
comportamenti processuali omissivi o commissivi. Tale tendenza,
affiorante in qualche indirizzo giurisprudenziale, quale quello sulla
perentorietà del termine del deposito delle memorie e delle repliche47,
necessita, però, di essere corroborato in ogni aspetto del processo
amministrativo, a partire dal termine di costituzione in giudizio delle parti
convenute.
La non contestazione è, infatti, solo una conseguenza dell’inveramento
effettivo di queste evoluzioni, almeno in relazione ai poteri istruttori delle
47
Già presente nella giurisprudenza anteriore al codice del processo amministrativo (Cons. Stato, sez. V,
7 settembre 2009 n. 5245, in Foro amm. CDS, 2009, p. 2014; Cons. Stato, sez. VI, 30 settembre 2008, n.
4699, ivi, 2008, p. 2516- solo massima; Cons. Stato, sez. V, 14 aprile 1997 n. 357, in Foro amm., 1997, p.
1092) e rinvigorito dalla disposizione di cui all’art. 73, c.1, c.p.a. (Cons. Stato, sez. V, 31 maggio 2011 n.
3252, in www.giustizia-amministrativa.it; Cons. Stato, sez. V, 1 aprile 2011 n. 2032, ivi; Cons. Stato, sez.
V, 29 marzo 2011 n. 1910, ivi; Cons. Stato, sez. VI, 16 febbraio 2011 n. 984, ibidem; Cons. Stato, sez. IV,
14 gennaio 2011 n. 629, in Giorn. dir. amm., 2011, p. 287; T.A.R. Sicilia, Catania, sez. I, 14 gennaio 2011
n. 57, ivi, 2011, p. 430; T.A.R. Piemonte, sez. II, 22 gennaio 2011 n. 80, ivi, p. 287).