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SCULTURE DI CERAMICA E NEON

foto diGiampietro Agostini

MARIA CHRISTINA HAMEL

La collezione Fiori di Luce è prodotta da Superego Editions

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Quando Christina mi parlò per la prima volta dell’intenzione di realizzare fiori di luce mi sentii molto sollevato. Da diverso tempo, infatti, pur non avendo mai smessso di disegnare, Christina aveva di fatto molto rallentato l’attività artistica. Negli anni, appena trascorsi, abbiamo dovuto affrontare tante situazioni molto impegnative, con al primo posto la malattia di nostro figlio Cosimo, che ci hanno portato a combattere una vera guerra fatta di tante battaglie. Ovviamente tutto ciò ha richiesto una concentrazione massima, con un dispendio di energie eccezionale che ha lasciato ben poco spazio al gesto artistico. Sicuramente una parte importante di questa ritrovata creatività di Maria Christina l’ha avuto il trasferimento, seppur provvisorio e da me fortemente sostenuto, al Tonfano, trasferimento che le ha consentito di ritrovare appieno il giusto equilibrio creativo; mentre poche, carissime, persone, l’hanno aiutata a ritrovare la giusta tensione emotiva che ha dato luogo a questa collezione.Secondo me Christina rimane un talento ancora ampiamente da esplorare con una freschezza creativa intatta; ovviamente il mio è un giudizio di parte, ma so che altri condividono questa mia opinione.La profondità del suo agire trae origine da quel coacervo di esperienze che è la sua vita. Christina non ha mai smesso di essere curiosa, così come non ha mai smesso di cercare negl’altri quei valori che in tanta parte oggi appaiono, a torto, desueti, mantenendo sempre quel tratto umile e delicato che la contraddistingue. Sono sicuro che con questa collezione ricomincia un ciclo virtuoso che suggellato anche dalla pienezza della maturità, porterà Christina a concepire e realizzare tanti nuovi, entusiasmanti progetti.

Cesare Castelli

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Gradually the magic of the island settled over us as gently and clingingly as pollen. Each day had a tranquillity, a timelessness,

about it, so that you wished it would never end. But then the dark skin of night would peel off and there would be a fresh day waiting for us, glossy and colourful as a child’s transfer and with

the same tinge of unreality.

Gerald Durell, My family and other animals

a Cesare e Cosimo

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Madre Accesa Rosa Indaco Arabesco

Ceramica Hertz Ritmo Incanto Sorriso Tono Intensità Neon Accipicchia !

Hip Hip Urrah Alata Materia Eden Luce

Acrostico di Cinzia Ruggeri

MARIA

CHRISTI

NA

HAMEL

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INDICE

2 Introduzione

7 Fiori di Luce

24 L'Origine di Tutto

34 Il Sentimento del Colore

42 Colloquio intorno a un tavolo

53 Note Biografiche

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Mi piace proprio questa mostra di “Fiori di luce”, con otto

sculture, due grandi colonne, quattro quadri: un gruppo di

oggetti evocativi, di genere pop, meticolosamente artigianali,

neon e ceramica, amore e sentimento.

M. Christina Hamel è stata la mia più importante collaboratrice

nell'epoca prima del computer. Ma dicendo così non voglio

legare Christina a uno strumento, ma piuttosto a un'anima:

l'anima del disegno. Conservo ancora dei disegni a china su

carta da lucido, bellissimi, precisissimi fatti per me da Christina

con una comprensione, con una dedizione, con un impegno

con un legame intellettuale e figurativo che sono stati per me

un grande dono, una grande esperienza progettuale e umana.

La sua figura diafana e solare, quasi opalescente, imprendibile,

enigmatica, riflette ora le sue nuove opere gentili, eleganti,

surreali. Sono quello che lei chiama “paradiso terrestre”, un

mondo sognato fatto da oggetti sognati, da zebre a pois ed ora

anche da fiori di neon destinati a non appassire. Il segno, la

ricerca e la teoria di Christina sono sempre stati collocati alla

convergenza di tre fattori: l'interesse e lo studio delle più

lontane e interessanti tradizioni artigianali, specialmente della

ceramica; la sua sensibilià e la formazione del tutto

internazionale, partita dall'India e arrivata in Italia attraverso

Vienna, cioè la sua principale area di riferimento; infine la lunga

esperienza milanese, con la sua forte stilematica radicalizzante.

All'interno di questo ampio e complesso spettro M. Christina

Hamel ha cercato, trovato ed elaborato la grammatica e i

contenuti del suo mondo bi e tridimensionale, il cui obbiettivo

mi appare totalmente poetico, privo di grida, prezioso, raccolto

e riservato. Aggettivi rari in questo nostro ambiente di clamori.

Alessandro Mendini

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Fiori di Luce

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disegno, diam.20 x 32 x h 90 cm

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"Stella", Ceramica e neon

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disegno, diam.18 x h 90 cm

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"Foglia", Ceramica e neon

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disegno, diam.13,5 x 18,5 x h 70 cm

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"Cascata", Ceramica e neon

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disegno, diam.43 x h 90 cm

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"Geiser", Ceramica e neon

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disegno, diam.33 x 52 x h 87 cm

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"Vaso", Ceramica e neon

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disegno, diam.24 x 28 x h 80 cm

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"Vaso Doppio", Ceramica e neon

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disegno, diam.30 x h 75 cm

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"Mondi", Ceramica e neon

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disegno, diam.36 x h 58 cm

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"Fiore", Ceramica e neon

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… et fiat Lux … La Luce fu la prima opera creata anche se il Verbo, la

Parola fu sin dall’inizio. Il richiamo a Genesi, cap.I, versetto 3, può apparire

nel giardino di Maria Christina Hamel persino un po’ irriguardoso. Ma viene

spontaneo riferirvisi, come a voler aspirare al sublime, e magari

inconsciamente questo avviene: e poi, non è quella del Paradiso Terrestre

una luce di transizione, mediana? Ma è Christina stessa a suggerire che la

sua luce non è poi quella eterna, quella assoluta ma quell’altra, quella più

suffusa, più colorata, più da meriggio del Paradiso Terrestre. Le sue piante, i

suoi vasi, i filamenti luminosi che vi sorgono e si espandono fanno della luce

una realtà più naturale, non cosmica propriamente, ma fiabesca, un po’

misteriosa e immaginifica come quella di Alice nel giardino delle meraviglie.

I colori piatti delle sue raffigurazioni non amano le rifrazioni ma nemmeno il

chiarore dello spirito, l’ebbrezza dell’infinito. Sono colori pastello che sulla

ceramica hanno una realtà mat, a dire un effetto di opacità. Mi ricordano

tanto il Pontormo, che dire?, o i colori piatti di certa pop art… Il Paradiso

Terrestre per Hamel rimane tale, non dimentica quel che vi è successo di

irreparabile, anche se ha nostalgia del perduto e torna a immergervisi con la

fantasia. Peraltro tutta il design della Hamel ha questa caratteristica, perchè

è un mondo essenzialmente per l’infanzia, e le vibrazioni della luce, delle

luci colorate hanno la razionalità del sentimento, del gioco, del sorriso. E’

una infanzia del nostro substrato arcaico. Soltanto secondariamente è

derivazione post-moderna. E’ un mondo di piccoli ma osservato e

desiderato, e sognato, dagli adulti. Quando vedo i suoi oggetti, i suoi

ambienti, io non mi sento, non sono sopraffatto come dagli oggetti dei

grandi magazzini (“Les choses” di Georges Perec… celeberrimo, qualcuno

ricorda? Il romanzo sul consumismo del 1965 edito da Julliard a Parigi, da

noi nel 1986 da Rizzoli), non vengo preso dal panico dell’acquisto, ma sono

attrato a indagare, a cercare, alla ricerca del tesoro… mi spinge a giocare

per quanto ormai sia grandino… C’era a Firenze, sulle colline verso Monte

L'Origine di Tutto

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Oliveto, un grande magazzino a conduzione famigliare che era per noi, mia

moglie ed io, un paradiso terrestre dove ogni tanto s’andava a guardare

tante minuzie, tante forme colorate, tante tentazioni… Ecco, tentazioni da

Paradiso Terrestre. Non era poi così importante possederle, quelle cose,

importante era stimolarsi, incuriosirsi. Queste luci immesse dalla Hamel nel

processo delle sue ideazioni ultime in ceramica realizzata a Nove di

Bassano hanno un illustre ascendenza, non dico tanto “ab antiquo”, che

sarebbe troppo lungo a dire, ma nella contemporanea ricerca di rompere

con la schematicità del razionalismo. Perchè se si vuole, è straordinario il

mondo delle vetrate così colorate del Medioevo romanico e gotico

soprattutto… c’è tutto un mondo persino teologico per coglierne il vero

significato… Che micro-macrocosmi, che universi! Dal razionalismo è come

far salti all’indietro di secoli. Hamel li ha fatti quei salti, per natura e non

soltanto per cultura. Ma poi la luce, e Luce era stata chiamata una figlia del

futurista Balla, luce come energia, come movimento, come velocità… che

cosa è più veloce della luce? Lo aveva ricercato anche Lucio Fontana nei

primi anni Cinquanta con un filamento di neon guizzante, che nel guizzo

s’attorcigliava e dava l’impressione di sfuggire come una schiocca di

cavallo… Bello quel che scrive Andrea Branzi, quando sintetizza:”La luce

dello Spirito. Una luce che crea ombre e penombre; sorprende e vibra” e

spiega che: “Il design italiano…(è) vicino alla grande tradizione della pittura

e della spiritualità italiana…Raramente infatti i prodotti del light design

italiano sono lussuosi, ma molto più spesso sono presenze amiche che

giocano dentro l’ambiente il ruolo di folletti domestici che illuminano la

nostra notte.” (in:”Che cos’è il Design Italiano? Le sette ossessioni del

Design Italiano”, a cura di Silvana Annicharico e Andrea Branzi, Triennale

Electa, Milano 2008, p.196 e passim). Ecco mi pare che qualcosa attenga di

questo a Maria Christina Hamel, e porti ad individuare la sua specificità

nell’assunzione della luce quale si sprigiona dai suoi vasi non con la

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distruttività dei Vaso di

Pandora: ma con i ghiribizzi di

vari folletti che animano la

scena, e fanno di tutto

attivando come un

meraviglioso movimento di

palcoscenico, di fumetto

animato, di balletto frenetico

col cuore in gola. Perchè

anche in questo c’è spirito,

c’è anima, c’è nostalgia di un

mondo perduto che si ricrea,

si rincorre, ci si perde, che si

cerca di recuperare in qualche

aspetto… Che si gioisce.

Qualcosa di importante che si

proietta oltre.

Fano, 20/21 Ottobre 2008,

Gian Carlo Boiani

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Mi capita di frequentare, per lavoro, architetti di diversa formazione e di

lavorarci assieme.

Mi stupisce verificare come siano – con estrazioni così diverse – affetti da

malattie” culturali identiche a diverse latitudini. Ad esempio tutti disegnano

le piante di un edificio e poi i prospetti. Questo in nome di una presunta

“funzionalità” e a scapito di una “secondaria” bellezza. L’infezione è

profonda e duratura. Al fondo della formazione del cosidetto “movimento

moderno” stava “la forma segue la funzione” stava l’architettura razionalista

ecc. Ecc. Apparentemente tutto questo si fondava sulla avanguardia degli

anni ‘20 e ’30 che razionalizzavano l’architettura (le città, le forme…)

Eliminando il superfluo. Su questo si potrebbe disquisire a lungo – non c’è

lo spazio (e forse non è il luogo) su queste righe. Apparentemente si

riteneva questo movimento erede della positività ottocentesca e si riteneva

che le sorti magnifiche e progressive della razionalità portassero

automaticamente ad un mondo migliore, a una città migliore, a forme

migliori. Non è affatto così, le forme sono importanti – molto importanti – a

prescindere. Chi opera nell’ambito delle forme sa che queste sono il

deposito e la sintesi di storie, culture, e simboli, fondamentali per il singolo

e per la collettività e che poco o nulla hanno a che fare con la razionalitò. E’

difficile penso comprendere questo in una società (globale) senza qualità.

L’unico parametro dimensionale è la quantità (del denaro, dei metri quadri,

delle percentuali, dei numeri, dei carati, ecc, Ecc.) Diversi momenti

successivi hanno tentato di fondarsi su basi qualitative diverse: la storia,

anzitutto. Il Postmodern statunitense, quasi privo di storia architettonica ha

percepito per primo la necessità di mantenere una vivida traccia nelle forme

della propria architettura. Attraversato da tempi analoghi a quelli della moda

(abbigliamento) e quasi scomparso lasciando flebili tracce di sè

ampiamente dileggiate dal mondo accademico europeo. Questo mondo

accademico era composto da persone che da venti trent’anni dicevano e

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ripetevano l’esatto contrario di quello che il postmodern rappresentava.

Desiderio / necessità di forma, professionalità della forma (da cui l’intima

conoscenza della medesima e della sua trasformazione in atto).Trasferitosi

tale intento dagli Stati Uniti all’Italia, cambiava di segno. Se ne

facevanofautori in particolare paolo portoghesi (“post-modern”) e Aldo

Rossi (“l’architettura della città”). Non credo sia un caso che costoro –

assieme a molti altri siano stati protagonisti non solo di architettura ma,

ancor di più di oggetti domestici (dai candelabri di Portoghesi ispirati alla

Moschea di Roma, alla Caffettiera “conica” di Alessi. Per converso alcune

architetture (es.:”il teatro del mondo”) apparivano come suppellettili

domestiche a significare, ancora una volta l’unicità storico-sociale della

forma. Nei primi anni ’80 alcuni associavano queste forme a Nietsche e al

“pensiero negativo”, sapendo di filosofia quanto ne so io. Il tutto teso

ancora una volta a non sconfessare quanto detto e scritto sino ad un attimo

prima. La gente vive troppo a lungo. Le generazioni che seguono non hanno

difficoltà alcuna a comprendere e sottolineare gli errori di chi le ha

precedute, ma quando si tratta delle stesse persone… Le forme che sono

nate da queste esperienze sono al contrario positive. Ho un ricordo

vivissimo di come percorsi alla biennale architettura del 1980. La “Strada

Novissima” disegnata da Portoghesi. In quella sede fu disegnarta una

strada (già questo è un accadimento straordinario, chi nei miliardi di metri

cubi disegnati da architetti di ogni ordine e grado in tutto il mondo non

ricorda una strada??!!). Questa strada era costituita da facciate (idem); le

facciate disegnavano la strada. Nel disegno di questa strada sono

intervenuti gli architetti più disparati, resta la strada, la forma della strada, la

forma espressione della civiltà in quel momento. Qualcuno ricorda le forme

di Calatrava? Sono ossa di balena, pilastri, travi, solai, momenti flettenti; ha

fatto un ponte a Venezia e non è riuscito a vedere che il ponte non serve per

vedere l’acqua che vi scorre sotto, ma per commerciare, incontrare la

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gente, fermarsi, non è stato capace di copiare Rialto……..Nemmeno

tecnicamente. Questa è la storia, o la sua essenza. La storia è luogo, è

passione, è amore, è emozione. La storia è disegno/progetto come

istituzione umana, ossia prodotto dall’uomo per l’uomo; esattamente come

accade per tutte le forme di cui parliamo. Oggi si parla di bio-architettura?!!.

Probabilmente si pianterà un pino marittimo al centro degli assi di Piazza

Campidoglio, si potranno mettere alcune querce sui prospetti attigui a

piazza di Trevi e alcuni gigli d’acqua nelle vasche. Il disegno/progetto è un

fattore di coesione (o divisione) sociale. L’oggetto è un prodotto sociale,

ossia deriva dalla memoria (lenta) sedimentata dell’uomo quale espressione

delle sue civiltà. Maria Christina Hamel segna col suo lavoro i momenti

migliori di queste riflessioni. Le sue collaborazioni storiche con Alessandro

Mendini, con Alchimia, con Ettore Sottsass, rappresentano una storia di

sistematica resistenza alla razionalità vuota, stupida, priva di senso, fine a

se stessa. Mi torna in mente una lapide cimiteriale “Ho corso tutta la vita

per arrivare sin qui”. Le sue forme apparentemente ingenue,

apparentemente infantili, apparentemente cartoonesche in realtà

appartengono ad un filone ferocemente corrosivo dell’uomo quantità.

Anche in questa occasione i suoi oggetti nuovi adottano uno strumento

atavico della storia dell’uomo: la ceramica che per millenni ha segnato –

contrasegnato questa storia. Alcune civiltà sono identificate dalla ceramica

che hanno prodotto. La ceramica è lo strumento che esprime allo stesso

tempo la fragilità della materia, l’eternità della forma e allo stesso tempo

rappresenta la forma indistruttibile, la forma che resiste al tempo, che

resiste alle intemperie ed ai cataclismi, la forma che segna e disegna la

storia……….Della civiltà. La Hamel disegna una traccia diversa di questa

civiltà. La ceramica è materia che resiste alla geometria del tecnigrafo e

dalla geometria dei computer, è una forma che nasce dal gesto dell’uomo.

La ceramica della Hamel è una ceramica che trasuda goia di vivere,

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felicità della forma, piacere di guardare, piacere di toccare, piacere di vivere

per vivere……..Come si vive seduti sulla scalinata di Trinità dei Monti, senza

far nulla, per il solo piacere di vivere. I suoi vasi “Cascata” o “Mondi” sono

vasi, sono lampade, sono sculture, sono giochi per il puro piacere della

vista. Rimandano a quanto la fantasia di ciascuno di noi riesce ad

immaginare, d’acchito. Voremmo giocare con questi oggetti, possederli,

toccarli, guardarli lubricamente. “Stella” si può trasformare in una lampada

votiva che nega l’assolutezza della morte per farne un momento di

passaggio tra una vita e l’altra. “Foglie” assume le sembianze di un

“tokonoma” di un sacro angolo iconico nello spazio domestico. Le

ceramiche di Maria Christina sono inserite nell’ambito delle ceramiche della

Grecia classica e della sua discorsività, si apparentano all’iconografia

esuberante e sintomatica delle ceramiche precolombiane, assumendone un

analogo valore scultoreo.

Gli oggetti, i disegni, i colori, i motivi che presenta in questa occasione

potrebbero essere accostati a numerose espressioni artistiche (Jean Arp,

Yakoj Kusama, Dan Lavin) a numerose espressioni del design (neo liberty,

bolidismo) a numerose espressioni architettoniche (si pensi all’architettura

di Phillippe Starck realizzata in Giappone) in realtà rappresenta solo sè

stessa e la sua opera. All’interno di un grande alveo che raccoglie l’opera di

numerosi altri autori … Per ora sconfitti o relegati alla storia

……..Razionale,………Seria,……..suicida.

Tiziano Dalpozzo

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“Fiori di luce”: una metafora per abbracciare in un’unica immagine le

sculture create da Maria Christina Hamel, sculture in cui colore e luce

modulano e definiscono forme, percezioni, sensazioni.

Dalla tridimensionalità al bidimensionale, dalle sculture ai quadri, in un

percorso unico e unitario si condensa tutta l’esperienza e la passione

creativa dell’artista che tocca direttamente il cuore dei nostri sensi, nella

combinazione delle forme, dei colori, della luce. Densità di esperienza e di

creazione, nel suo lavoro, rendono evidenti i molteplici riferimenti culturali

che ne hanno segnato la formazione, tra cui basti citare la tradizione

artigianale della ceramica, la pop art, i neon di Fontana … Un’esplosione di

colori e di luce dove sogno e realtà si fondono, perchè l’una non può

esistere senza l’altro. La realtà è sognata e il sogno è reale, in una

dimensione creativa dove razionalità progettuale e tensione immaginativa

trovano la loro sintesi nella realtà materica, e la forma pur sempre chiusa,

non può non tentare diramazioni, estensioni nello spazio intorno a sè, per

illuminarlo, contaminarlo, vivificarlo. Dalla esperienza antica della ceramica

alla tensione sperimentale e creativa dell’arte e del design contemporaneo,

il lavoro discreto, quotidiano e tenace di Maria Christina esprime l’accordo e

l’equilibrio trovato tra universo emotivo e lucidità progettuale, tra sensualità

e razioncinio, tra passione e ragione.

Giampietro Agostini, fotografo, ha tradotto in immagini le sculture e i quadri

di Maria Christina. Con diverse esperienze, soprattutto nell’ambito della

fotografia d’architettura, Agostini da sempre opera con perizia e

straordinaria sensibilità, coltivando la passione antica per la “scrittura con la

luce”, la foto-grafia. Dalla ripresa alla stampa, ancora e spesso in camera

oscura, le fotografie di Agostini nascono senza fretta, nella ricerca di

sintonia ed equilibrio tra la realtà e la propria capacità di percezione e di

sguardo. Per Maria Christina realizza immagini nel colore e nella luce.

Una foto – grafia per creazioni di luce.

Da luce a luce.

Silvia Paoli, Ottobre 2008

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"Foglie e fiori con universo",disegno

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Il sorriso del design

Il lavoro di Maria Christina Hamel pone, fra le altre, una questione divenuta /

ritornata di estrema attualità: la relazione fra cultura la progettuale

contemporanea e i modi produttivi. Dai tempi di Alchimia in poi, la Hamel si

è mossa lungo un territorio di frontiera che l’ha spinta (non diversamente in

verità da quanto è accaduto, ad esempio, ad Alessandro Mendini) da una

parte a guardare verso un mondo interiore di espressione poetica, dall’ altra

a preoccuparsi della collocazione e del significato dei propri oggetti nel

panorama degli artefatti estetici.

La conciliazione delle due istanze è di frequente passata attraverso la scelta

di linguaggi, materiali e modalità produttive tali da salvaguardare la piccola

serie, la cura del modo e della qualità del fare. Che non ha mai impedito una

visione più ampia di come intendere e praticare la presenza degli oggetti, in

particolare nel contesto domestico, ben esemplificata dalle numerose

collaborazioni sia con le aziende di produzione che con le grandi catene

della distribuzione commerciale.

Quest’ultima competenza ha permesso di sostenere il confronto con

l’industria con alcuni esiti assieme pacati e riuciti. Come, per fare un unico

esempio nelle borse plastiche per Koziol (con Alessandro Mendini) che

quest’anno compiono un decennio di vita. Ma la dimensione più congeniale

alla progettista sembra essere quella della ricerca di dialogo fra il linguaggio

del design, le necessità della piccola serie e i modi produttivi artigianali. E’

infatti possibile rintracciare un filo conduttore unitario dentro i suoi lavori

dagli esordi ad oggi, sia nelle scelte linguistiche e formali che nei materiali

adottati per la realizzazione dei propri artefatti. La predilezione cade

naturalmente sulle tecniche manuali e sui materiali naturali, come la

ceramica o il vetro. Altrettanto ostante è un altro inconfondibile segno della

designer, il colore vivace che comunica un senso sereno e felice delle cose

e della vita.

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"Due vasi con foresta",disegno

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Tutte queste cifre ritornano nell’ultima collezione di ceramiche, realizzate dai

maestri vicentini di Nove. Una collaborazione che fornisce, fra l’altro, un

fattivo contributo alla salvaguardia e valorizzazione delle tradizioni del

“saper fare” – in questo caso legati alla produzione artigianale della

ceramica – presente nel nostro paese, di freguente sottovalutate o

autolimitantesi.

Le otto sculture “Fiori di luce” fondono un materiale tradizionale, come la

ceramica, con uno contemporaneo come il neon, a costruire oggetti

luminosi assieme fisici e leggeri. La coppia di colonne di grandi dimensioni,

“Paradiso terrestre” e “Amore e Sentimento”, rileggono invece

allegoricamente questioni esistenziali della vita di ognuno di noi:

cromatismi, forme arrotondate e naturali, rimandi floreali e zoomorfi ne

forniscono un’ interpretazione gioiosa e giocosa. A noi pare sempre buona

cosa quando il design ha a che fare con il sorriso.

Alberto Bassi

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"Mondi e prospettive",disegno

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Ecco l’Autunno! La vita nel corpo della vita,come un bimbo nella pancia della madre.

Non più ideazione nè creazione, ma gestazione.L’Età Matura.

“Nel mezzo del cammin di nostra vita … “Dopo l’infanzia e la giovinezza, nella maturità si apre

la possibilità di unire all’intelletto un po’ di esperienza,

all’esperienza un po’ d’intelligenza,all’intelligenza l’intimità della saggezza interiore,

riconoscibile e riconosciuta.E la vita diventa viva, un ‘innamorato verso l’Amore.

Ambrogio Beretta

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"Cascate, onde e geiser",disegno

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Racconto intorno al Tavolo

Da un colloquio con Patrizia Scarzella, Milano 15 Ottobre 2008

La mia infanzia

Sono nata in India, a New Delhi, mia mamma, Rosanna, originaria della

Versilia è cresciuta in India, dove mio nonno lavorava come marmista, lì ha

conosciuto mio padre Jury, giovane diplomatico della Repubblica Federale

d’Austria, nato in Indonesia da padre austriaco che era fuggito dalla

disgregazione dell’Impero Austroungarico e da madre russa, fuggita, lei

russa bianca, agli orrori della Rivoluzione d’Ottobre.

I miei si sono sposati nella cattedrale di New Delhi, dove tutti i lavori in

marmo, compreso il Fonte Battesimale dove io sono stata battezzata, erano

stati eseguiti dal nonno materno Cosimo. Non si può tralasciare il fatto che

io sia nata in India, anche se ci ho vissuto solo i primi due anni e quindi, pur

non riportandone dei ricordi nitidi, grazie anche all’amore che avevano i miei

per quel Paese, mi piace pensare di avere assimilato qualche tratto di quella

meravigliosa cultura. Tanto è vero che, quando capita, gli stessi indiani

dicono: “ allora sei una di noi!”. Dopo l’India ci trasferimmo per due anni a Vienna e

quindi per tre anni in Tailandia.

I miei primi ricordi nitidi risalgono proprio a quegl’anni: la

scuola, io che porgo i fiori alla Regina Sirikit, le gite in

luoghi all’epoca incontaminati e solitari come ad

esempio Pucket, una Bankok profumata, piena di verde

e di canali, con le case, compresa la nostra, costruite in

legno in stile coloniale, la servitù gentilissima, così come

tutta la popolazione, le mie amichette di tutte le razze, io

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che vado a lezioni di danza tradizionale Tai, insomma un’universo fantastico

ma al tempo stesso vero, tangibile che, sinceramente, mi è poi sempre

mancato e che mi piace pensare abbia segnato grandemente il mio modo di

essere.

Con i genitori molto presi dagli impegni legati alla rappresentanza

diplomatica, per noi bambini c’era la possibilità di prendersi delle libertà

inimmagginabili e tutto era bellissimo; eravamo, veramente, molto liberi.

In Tailandia ho iniziato le elementari presso la suola svizzera e lì, in un paese

dove c’è un clima tropicale costante, ci venivano raccontate le storie della

montagna, di un ragazzino che scendeva a valle quando la neve si

scioglieva e io trovavo queste storie così surreali, fuori contesto e quindi

molto affascinanti!

In quel periodo cominciai a fare i miei primi disegni, mi piaceva molto

pasticciare con i colori e uno dei primi soggetti fu lo zoo con i suoi forzati

ospiti.

Un’altro ricordo bello che ho è stato quando una volta capitò l’occasione di

accompagnare mia madre a comprare dei tessuti nel nord della Tailandia.

In quel luogo pieno di centinaia di tessuti c’erano a terra moltissimi fili di

tutti i colori che si raggruppavano tra loro, io ne raccolsi alcuni e li usai per

un ricamo, il risultato fu un cesto dai fiori colorati: direi abbastanza

straordinario per una bambina di soli sei anni!

Dopo la Tailandia tornammo in Austria, di quel periodo conservo un ricordo

piuttosto grigio, era il 1965, io avevo sette anni e nonostante l’occupazione

sovietica, iniziata con la fine della seconda guerra mondiale, fosse finita da

dieci anni, non si vedevano segnali di particolare gaiezza. Si respirava

un’aria pesante, soprattutto se confrontata con la spensieratezza che avevo

provato in Tailandia e ai suoi colori….fu un tremendo choc !

La salvezza per sfuggire a quel clima cupo, autoritario, con una scuola

nozionistica incapace di trasmettere stimoli, arrivò grazie ad un’amica di

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famiglia che m’insegnava il francese e trasmettendomi il suo amore per

l’arte m’influenzò positivamente.

Cominciai a cercare e a leggere libri d’arte rimanendo colpita

particolarmente dal movimento del realismo fantastico viennese, a parte

Klimt chi mi impressionò maggiormente di quel periodo storico, fu senz’altro

Kokoska, avevo 15 anni e l’anno dopo ci trasferimmo in Italia.

L’Italia e il design.

Dalla aria cupa di Vienna al clima mediterraneo di Milano!

In Italia ho frequentato, fino al conseguimento della maturità, la Scuola

Tedesca, durante gli anni 70 c’erano molte famiglie tedesche a Milano e,

come sempre capita in tutte le città dove

vivono temporeanamente comunità di

stranieri, questo contribuiva a rendere

l’ambiente particolare e un po’ speciale.

In quel periodo non disegnavo moltissimo,

vista anche l’età, c’erano altre motivazioni

e situazioni per me più interessanti.

Ricordo che l’anno della maturità, il 1977,

comunicai a mio padre l’intenzione di studiare design; raggiungemmo l’accordo che avrei potuto frequentare i

corsi, così non me ne sarei andata di casa, come invece stavano facendo

quasi tutti miei compagni della Scuola Tedesca.

Alla Scuola Politecnica di Design cominciai a studiare disegno tecnico con

lo stesso metodo utilizzato negli istituti tecnici a me sconosciuto, proiezioni,

prospettiva, tutto del disegno mi entusiasmava moltissimo.

Anche gli studi pittorici sul colore tenuti dal professor Silvestrini, mi

riempivano d’entusiasmo.

Foto di Occhiomagico "Christina d'argento"

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Il direttore della scuola, Nino di Salvatore era un profondo conoscitore della

Gelstalt, che è quella teoria filosofica sulla percezione fenomenologica .

Mi piaceva l’impostazione della scuola, dove i corsi di design, di arte e di

grafica erano strettamente legati fra loro, molta attenzione veniva riposta

nello studio della percezione dello spazio, devo dire che quel metodo

d’insegnamento mi ha dato tantissimo.

Il fatto poi che ci fossero come docenti veri intelettuali con percorsi

formativi differenti e che di questi molti gravitassero attorno al mondo

dell’arte, è stato di fondamentale aiuto per la mia formazione.

Anche il corso di progettazione coordinato da Attilio Marcolli era molto bello

e ho avuto anche, come insegnante, Norbert Linke formatosi alla scuola di

Maldonado presso l’università di Ulm.

Il suo merito, per me, è stato quello di avere introdotto nel design e nella

progettazione quell’atteggiamento di apertura verso i problemi sociali.

Come progettazione spaziavamo da lavori estremamente legati al mondo

della produzione industriale, ad esempio ricordo il progetto di un tornio

industriale, fino agli studi sul colore in cui c’insegnavano a mescolare il

colore matericamente, operazione molto lunga che richiedeva una grande

concentrazione ma che permetteva di assaporare il piacere del fare.

Il mio percorso professionale

Terminata la scuola, la mia prima esperienza lavorativa fu con Ugo La

Pietra, con una speciale capacità nel disegnare che lo portava a realizzare

anche i disegni di architettura su lucido a matita.

Questo mi permetteva di mettere in pratica tutte le teorie apprese alla

scuola di design, ad esempio come impugnare e come appuntire il lapis.

In seguito dopo una seconda esperienza lavorativa con Ambrogio Rossari,

apprezzatissimo professionista, incontrai Alessandro Mendini.

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Gli anni mendiniani, dieci, non sono facili da riassumere in poche righe,

oltretutto per un certo periodo si sono intrecciati con l’avventura di Alchimia

di cui Sandro è stato uno dei principali promotori ed io una adepta di quel

cenacolo di utopisti del design.

Mendini è una persona carismatica di grande sensibilità umana, dotata di

un metodo di lavoro molto rigoroso che tende a razionalizzare il più

possibile le idee senza però privarle di una loro inconfondibile carica

poetica.

Normalmente per ogni progetto si creava un gruppo di lavoro che, ricevuto

l’input iniziale, si confrontava con le diverse esperienze culturali,

razionalizzandole, e, dopo essere passati attraverso la rigorosa vagliatura di

Mendini, si approdava al risultato definitivo.

Il mio mondo figurativo

Non disconosco la mia matrice mendiniana perchè è propria di chi ha

partecipato al gruppo che ha elaborato questo linguaggio espressivo e

visivo.

Durante quel periodo ho elaborato un certo tipo di sensibilità cromatica, una

creatività in Tecnicolor!

Quando ho iniziato a collaborare con Mendini, lui diceva di essere prima di

tutto un architetto e dal momento che io mostravo maggiore interesse per

gli oggetti, lui mi faceva lavorare alla loro creazione, mi dedicavo, cioè, a

quella parte di attività dello studio che si occupava più specificatamente di

design.

Gli oggetti non erano architetture miniaturizzate, costituivano un mondo

diverso, di utilità e di quotidianità.

La scuola di Mendini prevede di avere una posizione intelettuale di rottura

rispetto all’estetica esistente per creare nella progettazione nuovi elementi

espressivi, introducendo degli elementi stilistici che non sono

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necessariamente delle forme tridimensionali, ma che anche applicate

bidimensionalmente trasformano un’oggetto, spostando l’espressione e lo

stato dell’oggetto su un piano diverso e nuovo.

Questo concetto trasposto su un prodotto di utilità, per esempio una

lampada, fa sì che l’oggetto magari rimane lampada nella sua forma più

essenziale, con la giunta di tante applicazioni.

Il discorso può portare alla decorazione oppure alla ripresa di forme rilette

nella loro storia.

Porta anche al fatto di includere in questa ricerca delle prefernze per gli stili

storici, come ad esempio il neoclassicismo, oppure a vedere come lo stesso neoclassicismo usa varie

espressioni stilistiche per definire il

proprio stile unitario.

Il neoclassicismo è espressione di

un’epoca che a me piace moltissimo,

sia per l’architettura che per gli

oggetti e i mobili, sia per come

interagiscono tra loro che per le loro

proporzioni; questo si vede anche nella decorazione di quel periodo,

particolarmente coordinata e florida. Personalmente sono più portata alle

armonie e alle simmetrie classiche, che non alle assimmetrie. Un’altra

epoca che mi è sempre piaciuta e che mi ha sempre influenzato è quella

della classicità greca.

A volte possono essere per me fonte di ispirazione anche degli aspetti del

tutto irrazionali che vengono dai sincretismi di alcune epoche e culture che

si incrociano, come il primo romanico, il medioevo…, o semplicemente il

guardare ad altre culture, come è successo all’inizio del 900 con l’Art

Nouveau nei confronti del Giappone, fonte inesauribile d’ispirazione.

In gita sul Po in compagnia di V.Sacchetti, L.Villani,D. Gavina e T.Guerra.

gita sul Po

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La ceramica, materiale d’elezione

Durante il periodo di collaborazione con Mendini come reazione a quei

metodi di collettivo rigore, sentii fortissima la necessità di esplorare forme

espressive autonome che trovai nel meraviglioso mondo della ceramica.

La ceramica, per sua stessa natura, è un’ eccellente strumento di libertà

espressiva, anche se richiede un’ottima preparzione di base e un’accurata

scelta dei siti di produzione, ognuno dei quali è caratterizzato da una

propria specificità.Il mio lavoro di ricerca mi ha portato a realizzare opere in

molti dei principali siti tradizionalmente vocati a questa materia, in Italia e

all’estero: in Italia ho lavorato a Deruta, Albissola, Castellamonte, Milano,

Faenza; all’estero a Limoges, Modra e in India a Ahmedabad, mentre per

quest’ultima collezione la scelta è caduta su Nove nel vicentino.

Io non posso vivere di codifiche stereotipate ma cerco, con il mio lavoro, di

dare una mia classificazione al bello.

Concluso il periodo fondamentale con Mendini ho intrapreso un percorso

autonomo e nel 1992, con la collezione “Una Zebra a Pois”, ho trovato il

mio stargate; nel senso che, in quel momento preciso, ho iniziato

un’esplorazione delle mie potenzialità con occhi nuovi, senza la mediazione

di alcuno, attingendo dal mio patrimonio esperenziale

e oggi, con “Fiori di Luce”, sento di essere approdata finalmente a una

stazione intermedia, dalla quale ripartire per la scoperta di orizzonti

assolutamente sconosciuti.

Questi sedici anni trascorsi, non sono stati affatto semplici e

richiederebbero un approfondimento che sicuramente farò, ma che non è

qui il caso di affrontare.Per mia fortuna lungo questa strada ho trovato due

complici che, sostenendomi totalmente, mi aiutano a trovare continuamente

nuovi spunti: mio marito Cesare e nostro figlio Cosimo.

Durante tutto questo periodo ho dovuto prima chiarire a me stessa se era

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meglio seguire il classico percorso dell’ Industrial designer, o se dedicarmi,

come in effetti ho fatto, all’approfondimento del concetto del design

artistico, laddove per design artistico intendo quell’ espressività emotiva

che dona all’oggetto disegnato, non solo una carica funzionale, ma anche

un’universo di sensazioni che lo portano ad essere unico. In pratica mi

sento molto più attratta dal mondo dell’artigianato delle arti applicate, come

si diceva all’inizio del novecento, piuttosto che al mondo della produzione

seriale che toglie capacità discernitiva e che tende a rendere tutto

omogeneo e triste.

Ritratto di Eugenio Bersani

ritratto capelli corti

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Note biografiche

Giampietro Agostini

Nato a Borgo Valsugana nel 1960. Le tematiche dei suoi lavori fotografici d'autore intrecciano storia, cambiamento sociale e trasformazione del paesaggio in Italia e in Europa. Ha esposto in numerose mostre personali e collettive e ha pubblicato i suoi lavori su cataloghi di mostre e libri tra cui: “Tracce”, Baldini & Castoldi; “Nottetempo. Milano 1994/2004”, Meridiana Editrice; “Il campo e la cascina”, Diabasis Editoriale; “Ex Fabrica. Identità e mutamenti ai confini della metropoli”, Silvana Editoriale; “Frontiere della memoria”, Litodelta.I suoi lavori fotografici sono stati acquisiti da musei e da alcune tra le piu' importanti collezioni pubbliche e private sia in Italia che in Europa.Collabora con enti e istituzioni pubbliche e private. Con studi di architettura, con l'editoria, l'industria e il design e con alcune delle piu' importanti aziende italiane ed estere.Vive e lavora tra Milano e il Trentino. www.giampietroagostini.it

Alberto Bassi

Alberto Bassi (Milano, 1958) si occupa di storia e critica del disegno industriale. Insegna Storia del design alla facoltà di Design e arti dell’Università IUAV di Venezia, dove svolge inoltre la funzione di vice-direttore del corso di laurea specialistica in Disegno industriale del prodotto. Fa parte della redazione di “Casabella”, collabora con riviste di settore, come “Auto & Design”, e con l’inserto domenicale del quotidiano “Il Sole 24 ore”. Fra i volumi pubblicati, Giuseppe Pagano designer (con L. Castagno, 1994), Le macchine volanti di Corradino D’Ascanio (con M. Mulazzani, 1999), La luce italiana. Il design delle lampade 1945-2000 (2003), Antonio Citterio industrial design (2004), Design anonimo in Italia. Oggetti comuni e progetto incognito (2007). [email protected]

Ambrogio Beretta

Nato a Capriano, nel 1946, è stato dall’infanzia, scolaro, studente, impiegato di 5a categoria C, bancario, rappresentatnte di abbigliamento, fotografo, scultore, pittore. Attualmente, studente studiante in armonia. [email protected]

Gian Carlo Boiani

Dopo studi formativi e specialistici nelle università di Roma, Firenze, Poitiers (Francia) e Louvain (Belgio), e tirocinio nel Museo Nazionale del Bargello in Firenze e al Kunsthistorisches Institut in Florenz, dal 1974 al 2001 è stato prima conservatore alle collezioni retrospettive e poi direttore del Museo Internazionale delle ceramichein Faenza. Dall’ottobre del 2001 al settembre del 2006 è stato direttore scientifico

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del Museo Civico di Pesaro. Docente per un quindicennio, fino all anno accademico 2005-2006, di storia della ceramica all’Università degli Studi di Urbino, è stato chiamato a tenere un corso ufficiale triennale di storia della ceramica all’Università degli Studi di Ferrara dall’anno accademico 2008-2009. Attuale presidente dell’Istituzione (BACT) per i Beni, le Attività Culturali e il Turismo di Urbania (l’antica Casteldurante), si è occupato dei progetti di ristrutturazione dei Musei ceramici di Faenza, Deruta, Gualdo Tadino e Pesaro. Presidente di Giurie di Concorsi per la ceramica d’arte in varie località italiane e straniere, ha organizzato varie mostre in tutto il mondo specie in collaborazione con il Ministero degli Affari Esteri. Nel 2008, per l’anno del Rinascimento è stato chiamato a collaborare con il Museo delle Arti Applicate di Budapest per la mostra: “La dote di Beatrice d’Aragona: la maiolica rinascimentale italiana alla corte di Re Mattia Corvino”. Fra volumi, monografie, cataloghi, articoli, presentazioni, la sua bibliografia conta ormai più di cinquecento titoli, documentabili nelle biblioteche specializzate dei Musei di Faenza e di Pesaro. [email protected]

Tiziano Dalpozzo

E’ nato e vive a Faenza. Sogna di fare l’architetto da grande. Ama il disegno di qualità, la ceramica e le culture esotiche che li consentono di riflettere sulla sua romangnolità. Nella sua vita precedente cantava come un uccello lira. [email protected]

Alessandro Mendini

Architetto, è nato a Milano. Ha diretto le riviste "Casabella", "Modo" e "Domus". Sul suo lavoro e su quello compiuto con lo studio Alchimia sono uscite monografie in varie lingue.Realizza oggetti, mobili, ambienti, pitture, installazioni, architetture. Collabora con compagnie internazionali come Alessi, Philips, Cartier, Bisazza, Swatch, Hermès, Venini ed è consulente di varie industrie, anche nell'Estremo Oriente, per l'impostazione dei loro problemi di immagine e di design. E' membro onorario della Bezalel Academy of Arts and Design di Gerusalemme. Nel 1979 e nel 1981 gli è stato attribuito il Compasso d'oro per il design, è "Chevalier des Arts et des Lettres" in Francia, ha ricevuto l'onorificenza dell'Architectural League di New York e la Laurea Honoris Causa al Politecnico di Milano. E’ stato professore di design alla Hochschule für Angewandte Kunst a Vienna ed è professore onorario alla Accademic Council of Guangzhou Academy of fine Arts in Cina. Suoi lavori si trovano in vari musei e collezioni private. Nel 1989 ha aperto assieme al fratello, architetto Francesco, l'Atelier Mendini a Milano, progettando le Fabbriche Alessi a Omegna, la nuova piscina olimpionica a Trieste, alcune stazioni di metropolitana e il restauro della Villa Comunale a Napoli, il Byblos Art Hotel-Villa Amistà a Verona, i nuovi uffici di Trend Group a

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Vicenza in Italia; una torre ad Hiroshima in Giappone; il Museo di Groningen in Olanda; un quartiere a Lugano in Svizzera; il palazzo per gli uffici Madsack ad Hannover, un palazzo Commerciale a Lörrach in Germania e altri edifici in Europa, in U.S.A. Ha svolto lavori in varie nazioni ed è consulente per l' urbanistica in alcune città della Corea. Il suo lavoro, teorico e scritto, oltre che progettuale, si sviluppa all'incrocio fra arte, design e architettura. [email protected]

Silvia Paoli

Nata a Viareggio, nel1960, è Conservatore al Civico Archivio Fotografico di Milano. Si occupa di storia della fotografia italiana tra Otto e Novecento. Tra le sue pubblicazioni: L’Annuario di Domus del 1943 (in “Quaderni della Scuola Normale Superiore di Pisa”,1999), Lamberto Vitali e la fotografia. Collezionismo, studi e ricerche (Silvana Editoriale, 2004), Moltiplicare l’istante. Beltrami, Comerio e Pacchioni tra fotografia e cinema,(curato insieme a E.Degrada, E.Mosconi, Quaderni Fondazione Cineteca Italiana, Milano, Il Castoro, 2007). Ha collaborato all’Encyclopedia of Nineteenth Century Photography (Taylor & Francis, NewYork, 2007), per la quale ha curato diverse voci, tra cui la voce Italia. Ha curato mostre, come Ex Fabrica. Identità e mutamenti ai confini della metropoli. Giampietro Agostini, Tancredi Mangano, Francesco Giusti (Castello Sforzesco, Milano, 2006, catalogo Silvana Editoriale). E’ co-vicepresidente della Società Italiana per lo Studio della Fotografia (SISF) e membro del suo Consiglio Direttivo. Ha insegnato in diversi Master universitari e fa parte della giuria del Premio Paolo Costantini per la saggistica sulla fotografia (edizione 2007 e prossima edizione 2009, Museo di Fotografia Contemporanea, Cinisello Balsamo, Milano)[email protected]

Cinzia Ruggeri

Nata a Milano, vive, pratica la poliandria e abita in una Wunderkammer e cucina. Simultaneamente sposata al naturale e all’artificiale, al crudo e al cotto, tesse senza fissa dimora, un multilinguaggio di moda, design, antropologia, geologia, ecologia, emozioni. I suoi discendenti sono totem contemporanei.Tratto da Artforum. [email protected]

Patrizia Scarzella

Architetto e giornalista, si occupa di immagine e comunicazione ed è consulente di aziende italiane e internazionali del settore design. Autore di importanti progetti di ricerca come “Ispirazione Italiana, copie e contraffazioni dei prodotti industriali” e “Dentro le case degli Italiani” (con Lucia Bocchi), curatore di mostre di design e autore di libri tra cui Il Bel Metallo(1985), Dormire (1993), In difesa del Design (1991), Il Giurì del Design (2005), Comunicazione visiva del prodotto d’arredo (2007). Scrive di design e architettura su diverse riviste internazionali di settore. Ha insegnato al Corso di Laurea in Disegno Industriale dell’Università La Sapienza di Roma. Attualmente è docente a contratto all’Università di Genova. www.scarzella.it

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Maria Christina Hamel

www.myspace.com/[email protected]

Nasce a New Delhi nel 1958, trascorre la sua infanzia seguendo il padre diplomatico, oltre che in India, anche in Thailandia e in Austria.Nel 1973 si trasferisce con tutta la famiglia a Milano dove completa gli studi nel 1979 alla Scuola Politecnica di Design.A Milano dopo alcune significative esperienze di lavoro con Ugo la Pietra e successivamente con Ambrogio Rossari, nel 1981 inizia a collaborare con Alessandro Mendini, che, nell’arco di dieci anni, la porta a partecipare attivamente ad Alchimia e a parecchi progetti per Alessi;in questo periodo svolge anche il ruolo di assistente di Alessandro Mendini presso la Hochschule fuer Angewandte Kunst a Vienna e sempre a Vienna sotto la sua supervisione effettua un’ importante e approffondita ricerca sulle influenze della Seccesione sulla cultura della tavola per conto di Alessi. Ha insegnato al National Institute of Design di Ahmedabad in India (università che ebbe tra i fondatori Charles Eames), al Craft ENAD di Limoges (Francia),all’ISIA di Faenza e all’Università del Progetto di Reggio Emilia.Più recentemente presso la NABA (Nuova Accademia di Belle Arti) ha tenuto un ciclo di lezioni aventi come tema il”Mobile dipinto”.All’attività di designer da sempre affianca la ricerca di nuove espressioni nel campo della ceramica con esperienze significative presso alcuni dei migliori laboratori nei vari siti storicamente vocati a questa materia : Deruta, Albisola, Castellamonte, Sesto Fiorentino, Modra (Slovacchia), Milano e ultimamente a Nove.E' stata relatrice ad un congresso internazionale sulla ceramica presso il Museo Internazionale della Ceramica di Faenza e alcuni suoi lavori sono stati pubblicati sulla rivista dello stesso museo. Ha partecipato con una propria personale ad Arte Fiera a Bologna nello spazio del Comune di Sassuolo (MO) con opere in ceramica e neon e arazzi in mosaico di vetro realizzati da Bisazza.Altre sue personali si sono tenute a Milano e Verona.Numerosissime sono le sue partecipazioni a collettive in tutto il mondo, una selezione di suoi lavori è stata inserita nel Design Year Book del 1997.Nel 1994 ha fondato con Cesare Castelli, una società per lo sviluppo e la diffusione del Design .Dal 2000 al 2003 assieme a Cesare Castelli ha curato la ricerca di nuovi prodotti e il loro lay-out per il Reparto Casa del Dept. Store Fiorucci di Milano e Verona. Ha progettato e curato la realizzazione di numerosi punti vendita, corners, shop and

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shop e allestimenti fieristici per numerose aziende nel settore dell’oggettistica in Italia e all’estero, recentemente ha progettato il lay-out e gl’arredi per il negozio Angélique Devil dedicato all’erotismo femminile in via Cerva a Milano .Ha collaborato con numerose aziende in tutti i settori dell’arredamento,dell’oggettistica e degli allestimenti fieristici.Assieme a Cesare Castelli è stata consulente per la ricerca e lo sviluppo di prodotti per la casa per il gruppo Iper.Ha sviluppato un progetto per la vendita on-line, www.mikrodesign.eu, dedicato all’oggettistica.Principali aziende con cui ha collaborato:Alessi, Acme, Arzberg, Ariston, Anthologie Quartett, Bisazza, Bardelli, Edra, FGB, Richard Ginori, Iper, Koziol,Leonardo, Marioni, Carlo Moretti, Moto Guzzi, Play Line, Post Design-Memphis Milano, Ritzenhoff, Salviati, Segno, Sica, Tissot, United Pets.Selezionata con Alessandro Mendini al Compasso d’Oro per l'Alessofono di Alessi e al Bundes Preis fur Design per la Tasche di Koziol.

Principale bibliografia: 1, Dictionnaire du Design Italie, C. Neumann, editor Seuil, p.3742, Italienisches Design von den Anfangen bis zur Gegenwart, E. Karcher, M. Von Perfall, Verlag Heyne, p. 247, 268, 270, 282f., 2953, Design im Wandel, Ubersee-Museum Bremen, p.30, 129, 1374, Faenza, Bollettino del Museo Internazionale delle Ceramiche in Faenza, p. 79, 80, tavola XXVIII, XXIX5, Atelier Mendini, una Utopia Visiva, R. Poletti, Fabbri editori, p. 50, 59, 62, 143, 135,152, 159, 171, 176, 184, 193, 194, 199 6, Il Design in Italia dell’arredamento domestico, G. Gramigna, P. Biondi, editore Umberto Allemandi & C, p. 2447, Dizionario del design a cura di Anty Pansera8. The Design Encyclopedia, MOMA NY, Mel Byars,Laurence King Publisher London9. International Design Year Book 1997.10. D come Design 2008 a cura di Anty Pansera.

Mostre Personali :

1992 “Una Zebra a Pois” Milano, Galleria Colombari (Mostra personale)

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1993 “Mille Bolle Blu” Verona, Galleria Crispi (Mostra personale)1997 “La camera ideale” Installazione che analizza la possibilità di felicità nella vita domestica Milano, Studio di Via Tadino 152000 “Luce Nuova” Sculture in ceramica e neon, arazzi in mosaico. Bologna, Arte Fiera presso lo spazio del Comune di Sassuolo

Principali collaborazioni progettuali con Atelier Mendini :

1988 “Not in production, Next to production “– Show-room Alessi Milano, Alessandro Mendini ( A.M.) con Maria Christina Hamel ( M.C.H.)

1989 “Effetto Acciaio” – Galleria Paola e Rossella Colombari, A.M. con M.C.H.1989 “Pentolele Falstaff” – show-room Alessi Milano, A. e Francesco ( F ) M.

con M.C.H. 1990 “Existenz Maximum”- Istituto Innocenti Firenze A. e F. M. con M.C.H.,

Beatice Felis, P.G., C.M.1990 “Built in Appliances “A. e F. M. con M.C.H. e P.G. 1991 “Monumentino Swatch “- Biennale di Venezia A. e F. M. con M.C.H. 1991 “Casa Privata in via S. Andrea “ - A. e F. M. con M.C.H. e P.G., C.M.

Partecipazione a mostre collettive : 1986 “La Mossa del Cavallo”,Mobili e oggetti oltre il deign Frankfurt, Galleria O.M.Ungers Madrid, MOPU1986 “Per un’immagine imprudente”, Rassegna del giovane design europeo Milan, Polenghi Arte Reggio Emilia, Casa Ruini1987 “Per un’immagine imprudente” Mantova, Museo d’Arte Moderna1988 “Oggetti in Tentazione”, Dodici oggetti ideali Bari, EXPO Arte1987 “EX”, Orizzonti di ricerca ambientale Bari, Chiesa S.Teresa dei Maschi1988 “Sopramobile” Milano, Studio Oxido1988 “Next” Milano, Showroom Officina Alessi

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1988 “Figure e Forme dell’Imaginario Femminile” Reggio Emilia, Sala delle Carozze1989 “Saturnus” Toulouse, Bibliotheque Universitaire du Mirail Saragosse, Palais de la Lonja1990 “Abitare con Arte” Milano, Chiesa S.Carpofaro1991 “Il Design delle Donne” Ravenna, Museo dell’Arredo Contemporaneo1991 “Reggisecolo” Milano, Showroom Loveable1993 “Una Zebra a Pois” Milano, Galleria Colombari (Mostra personale)1992 “Nuovo Bel Design”, 200 Oggetti per la casa Milano, Fiera di Milano1992 “Straordinario” Firenze, Fortezza da Basso1992 “Hommage an Kolumbus” Muenchen, Wunderhaus1993 “La Fabbrica Estetica”, l’ ultima generazione di designers italiani Paris, Grand Palais1994 “XXXIII Mostra della Ceramica” Castellamonte, Rotonda Antonelliana1993 “Mille Bolle Blu” Verona, Galleria Crispi (Mostra personale)1994 “Fantasmi al Castello” Arezzo, Castello di Cennina i Val D’Ambra Bucine1995 “Primordi” Milan, Triennale1995 “Goto” Milano, Galleria Internos1995 “Sanvalentinoro” Terni, Rassegna Internazionale di Arte Orafa Contemporanea1995 “Materiazioni, Nuovi Materiali” Anni 90 Arte a Milano Associazione Interessi Metropolitani, Artisti e Artisti Designer nella Città Installazione Gruppo Olis Milano, Palazzo delle Stelline1995 “Mutamenti, Design e Scultura”, Anni 90 Arte a Milano AIM, Artisti e Artisti Designer nella città Milano, Spazio Vigentina

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1995 “Un cuore per amico” Exhibition and auction organized by Anlaids Milan, Triennale1996 “Design and Identity, La Fabbrica dell’Arte” Humlebaek, Lousiana Museum of Modern Art1996 “Design im Wandel” International Design Yearbook Exhibition 1996 Bremen, Ubersee Museum Bremen

1997 “Oggetti risorti” The second life of used objects Milan, Spazio Vigentina1996 “Koinè” International Show of liturgical items and furniture. Roma, Ente Fiera 1996 “New Design in Glass” Duesseldorf, Fair Glastec and in the Kunstmuseum Duesseldorf im Ehrenhof1996 “Ecomoda” Milano, Triennale 1997 “Flowers, un fiore per la vita” 200 works ispired by flowers created by artists, fotografers, stylists and designers.Exhibition and auction organized by Anlaids. Roma, Sala Lancisi1997 “Mostra di occhiali” durante l’edizione1997 di “Mercante in Fiera” Parma, Fiera.1997 “Il Goto d’ Autore” Barovier e Toso Mostra dedicata ai goti e asta, il cui ricavato è stato devoluto per la Ricostruzione del Teatro La Fenice. Milano, Castello Sforzesco 1997 “Oggetti discreti” Un viaggio nel mondo degli oggetti senza autore. Milano, Galleria Mudima 1997 “La camera ideale” Installazione che analizza la possibilità di felicità nella vita domestica Milano, Studio Via Tadino 1996 “Tipologia della Gola o vestire il Piatto” manifestazione durante l’edizione 1998 di “Mercante in Fiera” Parma, Fiera

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1998 “Lucerna Illumina Lucilla” Installazione luminosa Milano, Studio Via Tadino 1998 “Oggetti onesti” Milano, Spazio Quintet 1998 “Tecno Caliente” Forma, colore e tecnologia nel design latino. Milano,Marcatti & Associati 1998 “Telefono una Tigre addomesticata al guinzaglio” Bologna, Futurshow 1998 1998 Oggetti Risorti Tokio, Ozone 1999 Installazione per una mostra fotografica curata da Photo per “la Perla” a Bologna.2000 Installazione presso Fiera Bologna in ricordo degli studi bolognesi di Gioachino Rossini Bologna, Arte Fiera2002 Installazione nell’ambito della mostra “Personaggi tra sperimentazione e

realtà presso il Cersaie a Bologna2004 “Life’s Commodities 2004” Collezione di Tappeti Milano, Post Design2004 “Normali Meraviglie” Mostra di Design Genova, Porto Antico, Magazzini del Cotone2007 Styling MOTO GUZZI GMG 2007 Mandello del Lario2008 “D come Design” Torino, Museo di Storia Naturale, a cura di Anty Pansera. 2008 “Sempre Verde “Verbania, a cura di Gumdesign.

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When Christina spoke to me for the fi rst time about creating her ‘Flowers of Light’, I felt very relieved. For some time, in fact, Christina had greatly reduced her artistic activities, though she had never ceased designing. In the last few years we have had to face many very diffi cult situations, in particular the illness of our son Cosimo. We found ourselves fi ghting a seemingly endless battle, in a war that fortunately was won, with Cosimo returning to health. Obviously all this required a great deal of concentration and energy, leaving very little time for art. I am sure that a major factor in Maria Christina’s renewed creativity was her temporary relocation to Tonfano, a seaside village on the northern coast of Tuscany, a move that I strongly supported. It allowed her to fully recuperate a creative balance in her life, while a few very dear people helped her to rediscover the necessary emotional tension that resulted in this collection.In my opinion Christina has talent that is still largely untapped, her creative freshness intact. I am obviously biased, but I know that many others share my opinion.The depth of her work lies in the accumulation of experiences that is her life. Christina has never stopped being curious, nor has she ever stopped seeking in others those values that many wrongly believe to be obsolete, while always maintaining her characteristically humble and delicate approach to life. I am sure that this collection is the beginning of a virtuous cycle, marked by the fullness of maturity, that will lead Christina to create many more new and exciting projects.Cesare Castelli

November 2008M. CHRISTINA HAMELI really love this exhibition “Fiori di luce” (Flowers of Light), with eight sculptures, two big columns, four paintings: a group of meticulously handcrafted evocative pop-art objects, neon and ceramic, love and feeling.M. Christina Hamel has been my best collaborator in the times before the computer age. However, by saying this, I don’t want to connect Christina with an implement, but with a soul, the soul of design. I still keep some India ink drawings on tracing paper, beautiful and extremely accurate drawings, made for me with such devotion, dedication and an intellectual and fi gurative link that they were and still are a great gift and a matchless human experience. Her fi gure, both delicate and radiant, almost opalescent, elusive, enigmatic refl ects now her new graceful works, both elegant and surreal. They are what she calls “Earthly Paradise”, a dream world, made of dream objects, polka-dot zebras and now never withering neon fl owers. Christina’s sign, search and theory have always been placed at the meeting point of three factors: the study of the most remote and interesting craft traditions, in particular ceramic; her artistic feeling and international training, which originated in India and arrived in Italy through Vienna, her main area of reference; her long experience in Milan. Inside this wide and complex range, M. Christina Hamel has searched, found and developed the grammar and the contents of her bi- and tri-dimensional world, whose objective looks so poetic, tactful, precious, sober, quiet: uncommon adjectives in this world of sensation.Alessandro Mendini, October 2008

…et fi at Lux… Light was the fi rst creation, although the Word was there since the beginning. The reference to Genesis, 1,3 may sound somewhat disrespectful in Maria Christina Hamel’s garden. Yet, it comes naturally to refer to it, as if one wanted to seek sublime, which might happen, even though unconsciously: doesn’t the garden of Eden possess a transition light after all? It is Christina herself to suggest that her light is not the eternal and absolute one, but a softer one, more coloured, like the twilight in the garden of Eden. Her plants, her vases, the shining fi laments that spread there make light a more natural reality, not exactly cosmic, but a fairy-tale one, somewhat mysterious and highly imaginative like Alice in Wonderland. The fl at colours of her representations don’t love either refractions, or the glow of the soul, or the thrill of infi nite. Hers are pastel shades that have a matt fi nish on ceramic. They are reminiscent of Pontormo, or the dull shades of certain pop art…Hamel’s Earthly Paradise stays as it is, without forgetting how irreparable was what happened there, although the artist is nostalgic about what was lost and tries to sink into it with her fantasy. Hamel’s design has this characteristic, as it is basically a world for childhood, and the vibrations of light have the rationality of feeling, of playing and of the smile. It is a childhood belonging to our archaic essence and its post-modern derivation is just a secondary aspect. It is a world of children, but it is observed, desired and dreamed of by adults. When I look at her objects and settings, I don’t feel overwhelmed as if I were looking at the goods in a department store (“Les choses” by Georges Perec…the renowned novel – does anybody remember? - dealing with consumerism, published by Julliard in Paris in 1965 and by Rizzoli in Italy in 1986), I don’t get into a panic for purchasing, but I feel like investigating and searching, like a treasure hunt… I feel like playing although I am a grown-up by now…I remember a family-owned store in Florence, on the hills around Monte Oliveto, which my wife and I considered as a Garden of Eden where we used to spend time browsing and enjoying so many trifl es, multicoloured shapes, temptations…Yes, Garden of Eden temptations. It was not so fundamental to own those objects, but to rouse our curiosity.These lights used by Hamel in her latest creations in ceramic (made at Nove di Bassano) have a distinguished origin, I don’t say “ab antiquo”, since it would be too long to say, but in the contemporary search to break with the rationalistic schematism. Sure enough the world of medieval stained-glass windows, Romanesque and above all Gothic, is extraordinary…There’s a whole world, even a theological one, to grasp its meaning. What micro-macrocosms, what universe! Starting from rationalism, it’s like jumping back in the centuries. Hamel did take those jumps, for nature and not just for culture. And what about light? That light had been called a daughter by futurist Balla, light seen as energy, movement, speed…What is faster than light? Even Lucio Fontana, in the early 50’s, had searched for it with a fl ickering neon fi lament, which twisted itself and gave the impression of slipping out as a horse cracking….What Andrea Branzi writes is so beautiful: ”The light of the soul that creates shadows and half-lights surprises and vibrates” and adds: “Italian design is close to the great tradition of Italian painting and spirituality…The creations of light Italian design are seldom luxurious, but they are much more often friendly presences that play the role of domestic elves lighting up our nights”. (“Che cos’è il Design Italiano? Le sette ossessioni del Design Italiano” by Silvana Annichiarico and Andrea Branzi, Triennale Electa, Milano 2008, page 196 and passim). It seems to me that some of this is relevant to Maria Christina Hamel, and brings to fi nd out her specifi city in the assumption of the light emanating from her vases, not with the destructivity of Pandora’s box, but with the whims of various elves that liven up the stage with wonderful movements as if they were in an animated comic strip, or panting in a frenzied dance. There’s spirit, there’s soul, there’s nostalgia for a lost world that recreates and runs after itself…One gets lost and tries to recover in some way…then they rejoice. Something important that is projected farther.Gian Carlo Boiani, Fano, October 20-21, 2008

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In my line of work, I often meet and work with architects from different backgrounds.I never cease to be amazed how, despite having such different origins, they suffer from the exact same cultural diseases, in any geography. For example, all of them draw a building’s fl oor plans and then the elevations. This is in the name of a supposed “functionality” and to the detriment of “secondary” beauty. The infection goes deep and lasts long. At the roots of the so-called “Modern Movement” was the dictate that “form follows function”; there was rationalist architecture and so on. And so forth. It seems that all this was based on the avant-garde movement of the twenties and thirties that rationalized architecture (cities, forms and so on). Cutting away the excess. We could discourse on this at length. But there is not enough space in these pages (and it may not be the place for it anyhow). This movement, it seems, was considered heir to 19th-century positivism, and it was thought that rationalism’s grand, progressive destiny would automatically bring about a better world, a better city, better forms. This is not how it went at all. Forms are important, very important, regardless. Those who work with forms are well aware that they are the holders and synthesis of stories, cultures and symbols that are essential for individuals and society, and have little or nothing to do with rationality. It seems to be that this is hard to understand in a (global) society lacking quality. The only parameter that counts is quantity (money, square meters, percentages, numbers, karats, and so on. (And so forth.) One movement after the other has tried to found itself on the bases of different qualities: fi rst and foremost, history. Postmodernism in the United States, almost completely without an architectural history, was the fi rst to perceive the need to maintain a vivid trail of the forms of its architecture. Gone through at paces similar to those of (clothing) fashion, it has almost disappeared, leaving behind faint traces, widely mocked by the European academic world. This world was made up of people who had been saying again and again for twenty or thirty years, the exact opposite of what postmodernism was saying. Desire / the necessity of form, professionalism of form (and so intimate knowledge of form and its transformation as it happens). In transplanting this intention from the United States to Italy, it changed its features. Its greatest champions were Paolo Portoghesi (“post-modern”) and Aldo Rossi (“architecture of the city”). I think it is signifi cant that these two, and many others, were signifi cant players both in architecture and in household objects (such as Portoghesi’s candleholders inspired by Rome’s Mosque, Alessi’s “conical” coffee maker. Inversely, some architectural works (such as “the theatre of the world”) looked like household furnishings, signifying once again the historic and social uniqueness of the form. In the early eighties, some associated these forms with Nietzsche and “negative thinking”, knowing about as much about philosophy as I do. All this to avoid having to renounce what they’d been saying and writing until the second before. People live too long. Later generations fi nd it perfectly easy to see and point out the mistakes that came before. But when it’s the same individuals… yet, the forms that came out of these experiences are positive. I have a vivid memory of how I went through the architectural biennial in 1980. The “Strada Novissima” designed by Portoghesi. A street was designed in this context (already an extraordinary event in itself, with billions of cubic meters designed by architects of every rank throughout the world, who remembers one street??!!) This street was made up of façades (likewise!); the façades designed the street. In this street’s design, all kinds of different architects were involved, leaving behind the street, the form of the street, the form expressing civilization at that time. Does anyone remember Calatrava’s forms? They are whale bones, columns, beams, ceiling slabs, bendings; he made a bridge in Venice and couldn’t see that the bridge wasn’t meant for looking at the water that fl ows under it, but for doing business, meeting people, stopping. He couldn’t manage to copy the Rialto Bridge…Not even technically. This is history. Or the essence of it. History is long. It is passion. It is love. It is emotions. History is design/planning as a human institution. Made by people for people, precisely as happens for all the forms we talk about. Now we’re talking about green architecture?!!They’ll probably plant a maritime pine tree in the centre of boards in Piazza Campidoglio, or maybe a few oak trees along the facades on the square in Trevi or a few water lilies in pools. Design/planning is a factor of social cohesion (or division). The object is a social product. It comes from the (slow) sedimentary memory of humanity as an expression of its civilizations. Maria Christina Hamel’s work marks the best of these expressions. Her past collaborations with Alessandro Mendini, Memphis, Ettore Sottsass, and Andrea Branzi tell a story of a systematic resistance to rationality, that rationality which is empty, stupid, meaningless, an ends unto itself. It makes me think of a gravestone, “I spent my whole life getting here”. Her forms are seemingly ingenuous, seemingly childish, seemingly cartoonish, but are actually part of a fi ercely corrosive attack against the person as quantity. Here as well, her new pieces use an atavistic tool from human history, For millennia, ceramics has marked and distinguished this history. Certain civilizations are identifi ed by the ceramics they created. As a tool, ceramics is an expression of the material’s fragility, the form’s timelessness, and it is indestructible form, form that stands the test of time, against storms and cataclysms, form that defi nes and marks history, the history of civilization. Hamel forges her own path in this civilization. Ceramics is a material that goes against the geometry of the universal drafting machine and that of the computer. Its form is one born from the movement of human hands. Hamel’s ceramics emanates a joy of life, the aptness of form, the pleasure of looking, the pleasure of touching, the pleasure of living for the sake of living…Like you can sit on the steps of Trinità dei Monti, doing nothing, living for the sole pleasure of living. Her “Cascata” or “Mondi” are vases, and they are lamps; they are sculptures; they are toys for the pure pleasure of seeing. They evoke what each of our imaginations can imagine, at a fi rst glance. We want to play with these objects. Own them, touch them, look at them lasciviously. “Stella” can turn into a votive lamp that denies the absoluteness of death, rendering it a moment of transition between one life and the next. “Foglie” takes on the features of a Japanese “tokonoma”, a sacred corner in the home space. Maria Christina’s ceramic pieces fi t with those of classic Greece and their discursive quality, and they are part of the lush iconography of pre-Columbian ceramics, taking on a comparable sculptural value.The pieces, drawings, colours and motifs presented here could be put alongside the works of many artists (such as Jean Arp, Yakoj Kusama and Dan Lavin) and many design trends (neo-Liberty, Bolidism), many architectural works (Phillippe Starck in Japan). Yet, in reality, they only represent her and her work. Within a great fl oodplain that gathers the work of many other artists…Now defeated or relegated to history…Rational…Serious…Suicidal.

“Flowers of Light”: a metaphor that uses a single image to capture the essence of the sculptures created by Maria Christina Hamel, sculptures in which colour and light shape and defi ne forms, perceptions and sensations.From three-dimensionality to two dimensions, from sculptures to digital print compositions, in a single, unifi ed itinerary that condenses all of the experience and creative passion of the artist, directly touching the core of our senses with its combination of forms, colours and light. The density of experience and creation that characterises her work clearly reveals the numerous cultural references that have marked her artistic development, among which traditional ceramics, pop art and the neon lighting of Fontana. The result is an explosion of colours and light in which dreams and reality blend together, each unable to exist without the other. Reality is a dream and the dream is real, in a creative dimension where design rationality and imaginative tension fi nd synthesis in the reality of matter, and where the form, despite its closed nature, cannot help but attempt to branch out, expanding into the space around it, illuminating it, contaminating it, animating it. From the ancient art of ceramics to the experimental and creative tension of contemporary art and design, the discrete, everyday, tenacious work of Maria Christina expresses harmony and balance between a universe of emotions and clearheaded design,

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between sensuality and rationality, between passion and reason.The photographer Giampietro Agostini has transposed the sculptures and paintings of Maria Christina into images. With experience photographing a wide variety of subjects, in particular architecture, Agostini has always worked with extraordinary care and sensitivity, cultivating a life-long passion for “writing with light”, i.e. photo-graphy. From shooting to printing, a process he often carries out in the darkroom even in today’s digital era, Agostini’s photographs are created without hurry, in a search for harmony and balance between reality and his powers of perception. For Maria Christina he has created images that are bathed in colour and light.Photo–graphy for creations of light.From light, to light.Silvia Paoli, October 2008

The smile of designAlberto BassiThe work of Maria Cristina Hamel raises several questions, one of which has become (again) extremely topical: the relationship between the contemporary design culture and production methods. Starting with her experience with Alchimia, Hamel has explored a frontier territory that has encouraged her (effectively paralleling the experience of Alessandro Mendini, among others) to ponder an interior world of poetic expression, on the one hand, and on the other to investigate the position and meaning of her objects in the panorama of aesthetic artefacts.The reconciliation of these two aspects has often emerged through the choice of languages, materials and production methods that uphold the concept of limited series and pay attention to how – and how well – things are done. Nevertheless, this has never hampered a broader vision of how to understand and experience the presence of objects, particularly in the home, an approach that is eloquently illustrated by her many efforts with manufacturers as well as major retail chains.The latter ability has allowed her to relate with industry, with results that are at once relaxed and successful. This is the case – simply by way of example – with the plastic handbags designed for Koziol (with Alessandro Mendini) ten years ago.But it seems that the area most suited to this designer involves the search for dialogue linking the language of design, the need for limited series and artisanal production. Indeed, we can fi nd a common thread linking her works – from the earliest to the most recent – not only in the choice of language and form, but also in the materials she has used to create them. Unsurprisingly, she favours manual techniques and natural materials such as ceramics and glass. Bold colours, conveying the serenity and happiness of things and of life itself, represent yet another hallmark, a constant in all of her works. All of these characteristics are present in her latest collection of ceramics, produced by the master potters from Nove, near Vicenza. This collaboration also represents a positive contribution to safeguarding and valorizing Italy’s tradition of expertise – in this case tied to artisanal pottery – that is often undervalued or tends to underestimate itself. The eight “Flowers of Light” sculptures merge a traditional medium – ceramic – with a contemporary element – neon lighting – to create luminous objects that are both tactile and lightweight. The pair of large columns titled Earthly Paradise and Love and Sentiment are instead allegorical expressions of the existential questions that all of us face: an emphasis on colour, rounded and natural forms, and allusions to fl ora and fauna thus weave a joyous and light-hearted interpretation. We are always delighted when smiling becomes part of design.

FROM ACROSS THE TABLE From a conversation with Patrizia Scarzella, Milan, 15 October 2008 My childhood I was born in India, in New Delhi. My mother Rosanna, whose family was from Versilia, on the northern coast of Tuscany, grew up in India, where my grandfather worked as a marble contractor. There she met my father Iury, a young diplomat of the Federal Republic of Austria. He was born in Indonesia, where his Austrian father had fl ed to escape the disintegration of the Austro-Hungarian Empire, and where his Russian mother had fl ed to escape the horrors of the October Revolution. My parents were married in the New Delhi Cathedral, where all of the works in marble, including the baptismal font where I was baptized, had been installed by my maternal grandfather Cosimo. I can’t discount the fact that I was born in India, even though I only lived there for the fi rst two years of my life. I have no clear memories of that time, but I like to think that I absorbed traces of that wonderful culture, thanks also to my parents love for the country. In fact, when I happened to mention where I was born, the Indians themselves say: “Well then, you’re one of us!”. After India, we lived for two years in Vienna and then for three years in Thailand.My fi rst sharp memories go back to those years: the school, my bringing fl owers to Queen Sirikit, trips to places that at that time were solitary and uncontaminated, for example Pucket, the fragrant air of Bangkok, which was very green and crossed by canals, with houses, including our own, built in wood in colonial style, the very kind servants, like all of the population, my friends of every colour, going to lessons to learn Thai dance, the traditional dramatic art form of Thailand; in other words, a fantastical yet very real, very tangible universe that I have always missed and which I like to think had a strong affect on my personality.With parents who were very busy with diplomatic activities, we children had an unimaginable amount of freedom, and it was wonderful. We were truly very free. In Thailand I began elementary school at the Swiss school and there, in a country with a year-round tropical climate, we were told stories of the Alps, about a boy who descended into the valley when the snow melted. I found the stories so surreal and out of context, and thus extremely fascinating!During that time I began my fi rst drawings. I loved to colour, and one of my fi rst subjects was the zoo, with its involuntary guests.Another pleasant memory I have is when I got the chance to accompany my mother to buy fabric in the north of Thailand.Surrounded by hundreds of bolts of cloth, I discovered threads amassed in bunches all over the ground in a myriad of colours. I gathered some up and later used them to embroider a basket of colourful fl owers. I would say that was a rather extraordinary undertaking for a six-year-old girl!After Thailand we returned to Austria. My memory of that period is dreary. It was 1965, I was seven years old and despite the fact that the Soviet occupation, which had begun at the end of the Second World War, had been over for ten years, there were few signs of gaiety. The air seemed very heavy, especially compared to the carefree life that I had led in Thailand and to its bright colours….it was a terrible shock for me!One person who helped me to escape the gloomy, authoritarian climate, with a school based on rote memory, incapable of providing any

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stimulation, was a family friend who taught me French. She was a very positive infl uence on my life, also transmitting her love for art.I began seeking out and reading art books, and was particularly struck by the Vienna School of Fantastic Realism. Besides Klimt, the artist from that historic period who impressed me the most was Kokoschka. I was 15 years old, and the year after that we moved to Italy.

Italy and design.After the gloomy atmosphere of Vienna, the Mediterranean climate of Milan!In Italy I fi nished my secondary studies at the German high school. In the 1970s there were many German families in Milan, and as always happens in cities with temporary communities of foreigners, it made for an unusual and rather special environment.During that period I didn’t draw very often. Given my age, I was mostly interested in other things. I remember the year I fi nished high school, in 1977, when I told my father I wanted to study design. We agreed that I could continue to live at home, unlike most of my classmates at the German school, who were all headed for other places.At the Scuola Politecnica di Design in Milan I began studying technical drawing, using the same method taught at the technical high schools but which I hadn’t yet learned. I very much enjoyed learning projections, perspective, everything to do with drafting.I was also very enthusiastic about Professor Silvestrini’s lessons on colour.The director of the school, Nino di Salvatore, was deeply knowledgeable about Gestalt, the philosophical theory on the perception of phenomenology.I liked the way the school was organized, with the design, art and graphics courses all closely related. Much attention was paid to spatial perception and I must say that I owe much to that teaching method. The fact that the teachers were true intellectuals from a variety of backgrounds, many of whom gravitated around the art world, was extremely helpful for my development.The design course directed by Attilio Marcolli was also wonderful, and I was also taught by Norbert Linke, who was a student of Maldonado at the famed ULM School of Design in Germany. I particularly value his having introduced to me the idea of design being concerned with social problems. Our design projects ranged from works that were very closely tied to the world of industrial production, for example I remember a project for an industrial lathe, to colour studies in which they taught us how to mix the colours ourselves. This was a lengthy operation that took great concentration but it provided us with the pleasure of accomplishment.

My professional development Once I fi nished school, my fi rst work experience was with Ugo La Pietra, whose drafting skills led him to carry out his architectural drawings in pencil rather than pen.I had to put into practice all of the theories I had learned in design school, for instance how to hold and sharpen a pencil!Later, after a second work experience with Ambrogio Rossari, whom I very much admired, I met Alessandro Mendini.It is not easy to summarize in just a few short lines the ten years that I worked with Mendini. That period of time is interwoven with my work with Alchimia, of which Sandro was one of the main promoters, and I an acolyte of those high priests of design.Mendini is a charismatic person with great humanity. He has a very rigorous work method that attempts to rationalize ideas as much as possible without depriving them of their inherent poetic charge.Normally, a work group was created for each project. Once the group had received the initial input, its members would bring to the project their various cultural experiences, putting them through a process of rationalization. After it had passed the rigorous muster of Mendini, the fi nal project was developed.

My fi gurative worldI fully recognize the role that my years with Mendini played in the development of my expressive and visual language.During that period I developed a certain type of chromatic sensitivity, a creativity in Technicolor! When I began working with Mendini, he said he was mostly an architect and since I was mainly interested in objects, he had me work on them. Thus I devoted my time specifi cally to the design portion of the studio’s work.The objects were not miniaturized architectures, they were of a different world, one of everyday utility.Mendini’s approach consists in maintaining a position of intellectual distance with respect to existing aesthetics, in order to design new expressive elements by introducing stylistic elements that are not necessarily three-dimensional forms, but which even when applied in two dimensions transform an object, thus moving the expression and the state of the object to a new and different plane.This concept, when applied to a utilitarian product, for example a lamp, allows it to remain a lamp in its most essential form, with the addition of numerous applications.It can result in decoration or in the recovery of forms that have been reinterpreted through history.It has also led to a preference for historical styles, for example neoclassicism, as well as studies of how neoclassicism makes use of various stylistic expressions to defi ne its own unifi ed style.Neoclassicism is the expression of a period than I like very much, both for its architecture and for its objects and furniture, and both for how all these interact and for their proportions. These characteristics are also apparent in the decorations of that period, which were particularly well-coordinated and fl orid. Personally, I am more interested in classical harmonies and symmetries than in asymmetries. Another period that I have always liked and that has always infl uenced me is Classical Greece.Sometimes I fi nd sources of inspiration in completely irrational aspects that result from the blending of overlapping periods and cultures, like the Early Romanesque, the Middle Ages…, or simply from one culture looking at another, as happened at the beginning of the 20th century with Art Nouveau looking to Japan as an endless source of inspiration.

Ceramics, a favourite materialDuring the time I worked with Mendini, as a reaction to his methods of collective rigour, I felt a very strong need to explore autonomous expressive forms. I found I could easily do this in the marvellous world of ceramics.By its very nature, working with ceramics provides an excellent means for freedom of expression, even though it requires good basic training and a thorough knowledge of production sites, because each clay has very specifi c qualities.My ceramics investigations led me to create works in many of the principal sites traditionally associated with this material, both in Italy and abroad: in Italy I have worked at Deruta, Albissola, Castellamonte, Milan and Faenza; abroad at Limoges, Modra and Ahmedabad, India, while for this latest collection, the choice fell on Nove, near Vicenza. I cannot work with stereotyped aesthetic canons, and instead attempt to create my own classifi cation of beauty.

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At the end of this important period of working with Mendini, I launched out on my own and in 1992, with the collection “Una Zebra a Pois”, I found my Stargate; in the sense that, in that precise moment, I began an exploration of my potentialities with new eyes, without anyone else’s mediation, drawing from my own heritage of experience. Today, with “Flowers of Light”, I feel that I have fi nally arrived at a midway station, from which to depart in discovery of entirely unknown horizons.These sixteen years that have passed have not been at all simple, and would require a re-examination that I will surely carry out one day, but this is not the time nor the place.Fortunately for me, I have found two allies along my travels whose complete support has helped me to constantly discover new points of departure: my husband Cesare and our son Cosimo.During this entire period I have needed to fi rst clarify with myself whether it would be better to follow the classic itinerary of the industrial designer, or to devote myself, as I have in fact done, to an investigation of the concept of artistic design, where for artistic design I mean the kind of emotional expressiveness that gives a designed object not only a functional role, but also an entire universe of sensations that render it unique. I feel much more attracted to the handcrafted world of the applied arts, as they were called at the beginning of the 20th century, then to the world of series production, which diminishes our abilities of discernment and which tends to make everything homogenous and gloomy.

Giampietro AgostiniAgostini was born in 1960 in Borgo Valsugana, Italy. His photographic art weaves together history, social change and landscape transformation in Italy and throughout Europe. He has had many solo and group exhibitions and published his work in exhibition catalogues and books, including Tracce, Baldini & Castoldi; Nottetempo. Milano 1994/2004”, Meridiana Editrice; Il campo e la cascina, Diabasis Editoriale; Ex Fabrica. Identità e mutamenti ai confi ni della metropoli, Silvana Editoriale; and Frontiere della memoria, Litodelta.His photographs have been purchased by museums and leading private and public collections in Italy and throughout Europe.He works with diverse public and private institutions, organizations, architecture studios, publishers, manufacturers, design studios and leading Italian and foreign companies.He works and lives in Milan and Trentino. www.giampietroagostini.it

Alberto BassiAlberto Bassi (Milano, 1958) focuses on the history and criticism of industrial design. He teaches History of Industrial Design at the Faculty of Design and Arts of IUAV of Venice, where he is also assistant director of the advanced degree course of Industrial Product Design. He is an editor of “Casabella”, is a contributor to various sector magazines, such as “Auto & Design”, and to the Sunday supplement of the newspaper “Il Sole 24 ore”. Some of his publications are Giuseppe Pagano designer (with L. Castagno, 1994), Le macchine volanti di Corradino D’Ascanio (with M. Mulazzani, 1999), La luce italiana. Il design delle lampade 1945-2000 (2003), Antonio Citterio industrial design (2004), Design anonimo in Italia. Oggetti comuni e progetto incognito (2007).

Ambrogio BerettaBeretta was born in 1946 in Capriano, Italy. Since childhood, he has been a schoolboy, a student, a functionary, a bank clerk, a clothing salesman, a photographer, a sculptor and a painter. At the moment, he is a student studying harmony. Casadiambrogio@

Gian Carlo BoianiAfter studying and specializing at the universities of Rome, Florence, Poitiers (France) and Louvain (Belgium) and traineeships at the Bargello Museum in Florence and the Kunsthistorisches Institut in Florence, from 1974 to 2001, Boiani was fi rst curator of the retrospective collections and then director at the International Museum of Ceramics in Faenza. From October 2001 to September 2006, he was scientifi c director at the Civic Museum in Pesaro. He taught the history of ceramics for fi fteen years at the University of Urbino, until the academic year 2005-2006. He was hired to lead an offi cial three-year program in the history of ceramics at the University of Ferrara for the academic year 2008-2009. He is currently president of the institution for cultural assets, activities and tourism of Urbania (formerly Casteldurante). Boiani has been involved in remodelling projects for ceramics museums in Faenza, Deruta, Gualdo Tadino and Pesaro. He is president of competition juries for ceramic art in a variety of Italian and foreign locations, and has organized many exhibitions around the world, primarily in collaboration with the Ministry of Foreign Affairs. For the Year of the Renaissance in 2008, he was invited to work with the Museum of Applied Arts in Budapest for the exhibition: “The Dowry of Beatrice of Aragon Italian Renaissance majolica at the court of King Matthias Corvinus”. His bibliography includes books, monographs, catalogues, articles and presentations for a total of over 500 titles, which can be consulted in the specialized libraries of the ceramic museums of Faenza and Pesaro.

Tiziano DalpozzoDalpozzo lives and works in Faenza, Italy. He wants to be an architect when he grows up. He loves high quality drawings, ceramics and exotic cultures that let him refl ect on his Romagnola-ness. In his past life, he sang like a lyrebird. [email protected]

Alessandro MendiniMendini is a Milan-born architect. He has edited the magazines Casabella, Modo and Domus. Monographs in many languages have been published about his work and the work he has done with Alchimia Studio.He makes objects, furniture, spaces, paintings, installations and buildings. He has worked with many international companies, including Alessi, Philips, Cartier, Bisazza, Swatch, and Venini. He works as a consultant for industrial businesses, including in eastern Asia, on issues of image and design. He is an honorary member of Bezalel Academy of Arts and Design in Jerusalem. In 1979 and 1981, he was awarded the “Compasso d’Oro” award for design, and the “Chevalier des Arts et des Lettres” in France, and received an honour award from the Architectural League of New York and an honorary degree from the Polytechnic of Milan. He has taught design at the Hochschule für Angewandte Kunst in Vienna and is honorary professor at the Academic Council of Guangzhou Academy of fi ne Arts in China. His works are in numerous museums and private collections. In 1989, he and his brother, architect Francesco Mendini, opened the Atelier Mendini in Milan. Their designs include Alessi factories

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in Omegna, the new Olympic swimming pool in Trieste, several underground stations, the restoration of Villa Comunale in Naples, the Byblos Art Hotel-Villa Amistà in Verona, the new offi ces of Trend Group in Vicenza, Italy, a tower in Hiroshima, Japan, the Museum of Groningen in Holland, a neighbourhood in Lugano, Switzerland; the Madsack offi ce building in Hannover, Germany, a commercial gallery in Lörrach, Germany and other buildings in Europe and the United States. He has worked in many different countries; he is an urban planning consultant for several cities in Korea. His theoretical and written work as well as his design work, investigates the point of intersection between art, design and architecture.

Silvia PaoliPaoli was born in Viareggio, Italy, in 1960. She is curator of the Civic Photographic Archive in Milan. She focuses on the history of Italian photography in the 19th and 20th centuries. Her publications include: L’Annuario di Domus del 1943 (in “Quaderni della Scuola Normale Superiore di Pisa”, 1999), Lamberto Vitali e la fotografi a. Collezionismo, studi e ricerche (Silvana Editoriale, 2004), Moltiplicare l’istante. Beltrami, Comerio e Pacchioni tra fotografi a e cinema, (edited with E. Degrada, E. Mosconi, Quaderni Fondazione Cineteca Italiana, Milan, Il Castoro, 2007). She has contributed to the Encyclopedia of Nineteenth Century Photography (Taylor & Francis, New York, 2007), for which she wrote several entries, including the one on Italy. She has curated exhibitions, including “Ex Fabrica. Identità e mutamenti ai confi ni della metropolis”. Giampietro Agostini, Tancredi Mangano, Francesco Giusti (Castello Sforzesco, Milan, 2006, catalogue by Silvana Editoriale). She is co-deputy president of the Società Italiana per lo Studio della Fotografi a (SISF) [Italian Society for the Study of Photography] and a member of its Board of Directors. She has taught in several university Masters programs and is part of the jury for the Paolo Costantini prize for essays about photography (2007 prize and next prize in 2009, Cinisello Museum of Contemporary Photography, Balsamo Milan). [email protected]

Cinzia RuggeriRuggeri was born in Milan, Italy, where she lives, practices polyandry and inhabits a Wunderkammer and a kitchen. She is simultaneously married to nature and artifi ce, the raw and the cooked, she homelessly weaves a multi-language of fashion, design, anthropology, geology, ecology and emotions. Her heirs are contemporary totems. (From Artforum).

Patrizia ScarzellaScarzella is an architect and journalist who focuses on image and communication. She is a consultant for international and Italian design companies. She has written signifi cant studies, including “Ispirazione Italiana, copie e contraffazioni dei prodotti industriali” and “Dentro le case degli Italiani” (with Lucia Bocchi). She has curated design exhibitions and written books including: Il Bel Metallo (1985), Dormire (1993), In difesa del Design (1991), Il Giurì del Design (2005) and Comunicazione visiva del prodotto d’arredo (2007). She writes about design and architecture for numerous specialized international magazines. She has taught in the Degree Program in Industrial Design at the La Sapienza University in Rome. She is currently an instructor at the University of Genoa. www.scarzella.it

Maria Christina HamelMaria Christina Hamel was born in New Delhi in 1958 and as a child she lived in India, Thailand and Austria, as her father was a career diplomat.In 1973 her family moved to Milan and in 1979 she graduated from the Scuola Politecnica di Design.After gaining signifi cant work experience in Milan with Ugo La Pietra and then with Ambrogio Rossari, in 1981 she started to work with Alessandro Mendini, who – over the next decade – brought her in as an active part of Alchimia and also involved her in numerous projects for Alessi. During this period she also worked as Mendini’s assistant at the University of Applied Arts in Vienna, where – under his guidance – for Alessi she conducted important in-depth research into the infl uence of the Sezession movement on tableware.She taught at the National Institute of Design in Ahmedabad (Charles Eames was one of the founders of the university), Craft ENAD in Limoges, ISIA in Faenza and the Università del Progetto in Reggio Emilia.More recently, at the NABA (New Academy of Fine Arts) she held a series of lessons on the topic of painted furniture.Her activity as a designer has always been paralleled by research into new expressions in the fi eld of ceramics, with signifi cant experiences at some of the leading workshops in areas that boast a long history in this art: Deruta, Albisola, Castellamonte, Sesto Fiorentino, Modra (Slovakia), Milan, Pietrasanta and, most recently, Nove.Hamel also gave a speech at the international conference on ceramics at Faenza’s International Museum of Ceramics and some of her articles have been published in the museum journal. She had a solo show at Arte Fiera in Bologna, in the area set up by the Municipality of Sassuolo (Modena), with works in ceramics and neon lights, and glass-mosaic tapestries produced by Bisazza.She has also staged other solo shows in Milan and Verona.Hamel has also shown her works in countless group exhibitions around the world, and a selection of works was included in the 1997 Design Yearbook.In 1994 she and Cesare Castelli established a company to develop and circulate design concepts.From 2000 to 2003 she and Castelli oversaw research into new products for the Home Department of the Fiorucci department stores in Milan and Verona, also designing furniture to display the products.She has designed and overseen the creation of numerous stores, corners, shops in shops and exhibition space design for many companies working in the fi eld of home accessories and giftware in Italy and around the world. She recently designed the layout and furnishings for the Angelique Devil shop devoted to female eroticism, located in Milan’s Via Cerva.She works regularly with many companies in all areas of furnishing, giftware, home accessories and exhibition space design.With Castelli, she served as a consultant for the research and development of housewares for a leading retailer.She is currently developing www.mikrodesign.eu, a project for online sales integrated with small shops for home accessories and giftware, with a fl agship store at Via Lazzaretto 16 in Milan.Hamel has worked with a number of important companies, such as:Alessi, Acme, Arzberg, Ariston, Anthologie Quartett, Bisazza, Bardelli, Edra, FGB, Richard Ginori, Koziol, Leonardo, Marioni, Carlo Moretti, Moto Guzzi, Play Line, Post Design–Memphis Milano, Ritzenhoff, Salviati, Segno, Sica, Tissot and United Pets.Her works have been nominated for the Compasso d’Oro and Bundespreis für Design awards.

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