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  • RIVISTA DI FILOSOFIA / vol. XCI, n. 1, aprile 2000

    CARLO AUGUSTO VIANO

    La filosofia a Torino

    1. La rottura di un clima

    Nel 1939, con il passaggio di Augusto Guzzo allacattedra di Filosofia teoretica e di Nicola Abbagnanoalla cattedra di Storia della filosofia della Facolt di Let-tere e Filosofia, si concludevano i movimenti, iniziaticon la chiamata del primo alla cattedra di Filosofia mo-rale della medesima Facolt nel 1934 e del secondo nel-la Facolt di Magistero nel 1936, che avrebbero segnatodefinitivamente linsegnamento della filosofia nellateneotorinese. Guzzo era venuto nel Magistero di Torino ginel 1924 e vi si era fermato fino al 1932, quando erapassato a Pisa. Nel Magistero dovette conservare unacerta influenza, che adoper per favorire la chiamata diAbbagnano il quale, per lopposizione degli ambientiidealistici, aveva incontrato non pochi ostacoli nella pro-pria carriera accademica. Erano gli ambienti dai qualiproveniva Guzzo, che era stato chiamato a Pisa conlappoggio di Giovanni Gentile e probabilmente anchedi Armando Carlini. Del resto proprio a Pisa tra Guzzoe Carlini sarebbe comunque nato un legame importante.

    Guzzo si era formato alla scuola dellidealismo, manon era stato crociano o gentiliano fin dal principio. Ilsuo maestro, Sebastiano Maturi, era un erede dellhege-lismo di destra di Augusto Vera. Poi Guzzo si era acco-stato al gentilianesimo, e il suo libro del 1925, Verit erealt. Apologia dellidealismo, fu considerato latto uffi-ciale della sua adesione allattualismo. Furono soprattut-to i temi religiosi a marcare la differenza tra Guzzo e

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    lidealismo: Guzzo continuava a rifiutare lidea, radicatanel crocianesimo come nellattualismo, che esistesse unareligiosit filosofica, superiore alle religioni positive, esosteneva che le religioni monoteistiche, in particolareil cristianesimo, rappresentano il culmine dellaspirazio-ne religiosa insita nellanimo umano. Interpretandolidealismo come unintroduzione al cristianesimo, Guz-zo partecipava alla conciliazione di idealismo e cattoli-cesimo che costituiva la base della sua intesa con Car-lini e che ben si inseriva nel clima segnato dai PattiLateranensi.

    difficile dire che cosa avesse spinto Guzzo ad ap-poggiare la chiamata di Abbagnano a Torino: una lonta-na solidariet tra allievi dellUniversit di Napoli, unaconoscenza non sappiamo quanto diretta e profonda? Oil desiderio di Guzzo di avere accanto a s un collegapi giovane, non fortunato nella propria carriera, che glidovesse gratitudine? A meno che Carlini e Guzzo ap-prezzassero i temi vitalistici e irrazionalistici presentinelle opere scritte da Abbagnano fino ad allora e guar-dati sempre con sospetto da chi aveva sensibilit per ilrazionalismo liberale comune allidealismo crociano e aquello gentiliano.

    Larrivo di Guzzo e Abbagnano a Torino costituivauna vera rottura rispetto alle tradizioni filosofiche del-lateneo torinese. Guzzo era succeduto prima a ErminioJuvalta, morto nel 1934, poi ad Annibale Pastore, men-tre Abbagnano sostituiva Adolfo Faggi. Faggi aveva stu-diato a Firenze con Alessandro Chiappelli, Juvalta a Pa-via con Carlo Cantoni, ed entrambi avevano avuto unaformazione genericamente neokantiana. Pastore aveva in-vece seguito a Torino linsegnamento di Pasquale dEr-cole, ma anche di Giuseppe Peano. Con Juvalta, Faggi ePastore la filosofia accademica torinese era stata del tut-to in linea con il clima filosofico prevalente prima chelidealismo diventasse il termine di riferimento dominan-te. Nonostante la modestia culturale di alcuni di loro,quei professori partecipavano alla discussione su kanti-smo e positivismo, che caratterizzava tanta parte della

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    cultura europea, e Pastore cercava di collegare, magaripasticciando, lhegelismo di dErcole con la logica diPeano e la fenomenologia di Husserl. I nuovi arrivati simuovevano invece entro un orizzonte prevalentementeitaliano e risentivano dellaffermazione del neoidealismo:anche Abbagnano che, formatosi alla scuola di Aliotta,aveva finito con il farne il proprio termine di riferimen-to negativo ma predominante. Prima di giungere a Tori-no, con gli studi sullidealismo angloamericano, su Gu-glielmo di Occam, sulla filosofia della scienza francese esulla nuova fisica, aveva s trattato temi estranei alla sen-sibilit idealistica, ma per costruire alternative alle posi-zioni idealistiche e senza mai cercare un collegamentoeffettivo con i movimenti filosofici che si andavano deli-neando in Europa e in America.

    A Torino Croce e Gentile erano considerati rappre-sentanti eminenti della cultura postrisorgimentale, criticidel regime parlamentare e trasformistico e propugnatoridi un rinnovamento morale del paese. Inoltre a Torino,dove lattualismo gentiliano era stato una componenteimportante dellesperienza gramsciana e gobettiana, lide-alismo aveva finito con il farsi sentire soprattutto nellacultura antifascista; e forse per questo linfluenza diCroce era diventata prevalente e aveva cancellato letracce di Gentile. Ma nelluniversit la filosofia crocianasembrava familiare pi a professori della Facolt di Giu-risprudenza, come Francesco Ruffini, Luigi Einaudi oGioele Solari, che ai filosofi della Facolt di Lettere,dove Croce era apprezzato come storico e soprattuttocome letterato. E anche lantifascismo si manifest so-prattutto nella Facolt di Giurisprudenza dove, quandonon si espresse nella forma drastica delle dimissioni, allequali ricorse Ruffini per non pronunciare il giuramentoimposto dal regime, si dissimul dietro mescolanze di-verse di accettazione e di rifiuto, scelte da personaggicome Einaudi e Solari.

    Come lidealismo, lantifascismo non era di casa tra ifilosofi della Facolt di Lettere, nella quale anzi il fasci-smo aveva sostenitori molto convinti. Tra i filosofi di

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    scuola torinese soltanto Piero Martinetti si dimise dal-luniversit. Ma Martinetti insegnava a Milano e nonaveva mantenuto legami con lateneo torinese, presso ilquale si era formato, anche se il suo kantismo rappre-sentava assai bene il tipo di cultura prevalente tra i pro-fessori torinesi di filosofia fino agli inizi degli anni tren-ta. Inoltre, ispirato da unidea austera della societ, sisentiva semmai vicino a Ruffini e Solari: la libert eraper lui una scelta morale, pi che lesercizio di diritti,un ideale tradito dallItalia cattolica e fascista, lItaliache non aveva vissuto la riforma protestante. Ma gli al-lievi di questi maestri schivi e un po criptici risentironodel clima di consenso che il fascismo era riuscito a co-struire intorno a s.

    Guzzo e Abbagnano non avevano fatto le complicateesperienze che costituivano il tessuto fine della culturacittadina. In Guzzo il gentilianesimo aveva smarrito icontenuti per i quali Gentile si considerava un liberale eun difensore del primato dello stato e della sua laicit.Abbagnano, che aveva pronunciato qualche discorsoapertamente fascista quando era insegnante di liceo aNapoli, non aveva precise connotazioni ideologiche, an-che perch aveva praticato temi filosofici distanti daquelli preferiti dagli idealisti. Chi lo ha conosciuto neglianni cinquanta e sessanta lo ha sentito parlare della pro-pria avversione per il fascismo delle origini, delle pro-prie simpatie giovanili per Giovanni Amendola e lo hasentito giustificare il nicodemismo politico degli anni delconsenso, quando era possibile rivendicare un propriospazio rendendo omaggi verbali a un regime consideratonon troppo opprimente.

    2. La scoperta dellesistenzialismo

    Tra il 1939 e il 1940 Guzzo lavor alla sintesi delproprio idealismo, che present in Sic vos non vobis.Partiva dalla considerazione della coscienza come atto,ma introduceva elementi estranei al gentilianesimo po-

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    nendo latto in relazione al valore, non inteso per comeoggetto. Un soggettivismo spinto il suo, comera nellostile degli attualisti; ma Guzzo civettava anche con ilpragmatismo e sosteneva un vitalismo, anchesso incon-sueto, che gli veniva da Sebastiano Maturi: cercava ciouna continuit tra luomo e la natura, il cui vigoreprefigura la piena affermazione del valore e del bene,che si realizza nelluomo. Si capisce perci che Bergsonfosse una presenza dominante nella sua opera; ma anchei riferimenti alla filosofia dei valori e allesistenzialismotedesco e francese erano estesi e rilevanti.

    Per Guzzo gi nel 1940 lidealismo era finito. Ma sebisognava scuotersi dallinsensibilit dellidealismo per lafilosofia dellesistenza, la novit filosofica nata in Ger-mania e in Francia, occorreva passare attraverso questeesperienza giusto per rammentare alcune verit prime,e poi ritornare alla filosofia nostrana, sostituendo il ni-chilismo tedesco, che conduceva Jaspers a parlare dinaufragio, con un approdo nelleterno, pi consonoalla nostra miglior tradizione1. Guzzo rifiutava qualsia-si forma di analisi fenomenologica fine a se stessa e as-segnava alla filosofia il compito di pensare la possibi-lit delle diverse forme di esperienza. Era un esplicitorichiamo al kantismo, ma a un kantismo che, riprenden-do Sic vos non vobis, accentuava lindipendenza delleforme dellesperienza dal loro contenuto e si facevastrumento per andare oltre i limiti dellesperienza. Sitrattava di un percorso collaudato, su cui si era messolo spiritualismo tra Ottocento e Novecento, sotto la gui-da di Lotze. In Italia lo avevano praticato Varisco eCarlini, e ora Guzzo riprendeva quei temi per acclima-tare lo spiritualismo nella filosofia dellesistenza.

    In Italia il discorso sullesistenzialismo era incomin-ciato da tempo. Nel 1928 la Rivista di filosofia, unperiodico di fatto diretto da Martinetti ed estraneo al-

    1 A. Guzzo, Dopo la filosofia dellesistenza. Oggetto e compito di unafilosofia prima, in Concetto e programma della filosofia doggi, Milano,Bocca, 1941, pp. 1-2.

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    lidealismo dominante, aveva presentato Heidegger comeun filosofo che, formatosi alla scuola fenomenologica,tuttavia si staccava da Husserl. Anche Guido De Rug-giero avrebbe ripreso laccostamento di Heidegger aHusserl2, mentre Croce avrebbe contrapposto le sceltepolitiche di Heidegger a quelle di Barth3. Di esistenzia-lismo si era parlato nel XIII Congresso italiano di Filo-sofia, tenuto a Bologna nel 1938, e in quello successivo,di Firenze, del 1940. Ma allesistenzialismo si accostaro-no soprattutto gli idealisti che davano uninterpretazio-ne religiosa dellattualismo: avvicinavano Heidegger aKierkegaard e lo inserivano nella crisi dellidealismo clas-sico tedesco. Era unimpostazione suggerita dai cosiddettiesistenzialisti francesi, come Jean Wahl e Gabriel Marcel,e dagli studi storici di Karl Lwith4. Lwith aveva pro-posto queste idee nel 1935 sulla rivista di Gentile5. Nel1936 Carlini aveva tradotto alcuni scritti di Heidegger,il quale in quellanno fu invitato in Italia a tenere unaconferenza, tradotta lanno dopo da Carlo Antoni. Nel1935 e 1936 Franco Lombardi, amico di Lwith, avevadedicato due studi a Kierkegaard e a Feuerbach6.

    La vera novit fu per La struttura dellesistenza, cheAbbagnano pubblic nel 1931, suscitando interesse esorpresa. Abbagnano non teneva nessun conto dellesi-stenzialismo francese e non voleva offrire un commentoallesistenzialismo, ma pretendeva di porsi accanto aimaestri dellesistenzialismo, tentando unimpresa specula-tiva autonoma. Non era facile scoprire la chiave dellaStruttura dellesistenza. Equipotente alla Teoria generale

    2 G. De Ruggiero, Husserl e la fenomenologia, La Critica, XXIX,1931, pp. 100-109.

    3 In La Critica, XXXII, 1934, pp. 69-70.4 K. Lwith, Kierkegaard und Nietzsche, oder theologische und philo-

    sophische berwindung des Nihilismus, Frankfurt a. M., Klostermann, 1933.5 K. Lwith, La conclusione della filosofia classica con Hegel e la sua

    dissoluzione in Marx e Feuerbach, Giornale critico della filosofia italiana,XVI, 1935, pp. 343-71. Lwith avrebbe poi elaborato le proprie tesi storio-grafiche nel volume Von Hegel zu Nietzsche del 1941.

    6 F. Lombardi, Ludovico Feuerbach, Firenze, La Nuova Italia, 1935;Kierkegaard, Firenze, La Nuova Italia, 1936.

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    dello spirito come atto puro di Gentile (unopera chenessuno si era azzardato di sfidare), era scritta con unlinguaggio filosofico del tutto diverso da quello di Gen-tile. Ma, priva comera di ogni carattere profetico, nonrientrava neppure nella letteratura esistenzialistica cor-rente. N aveva un forte principio unificatore, comelatto gentiliano o come, sul versante opposto, lesistenzao lessere nel senso di Jaspers o di Heidegger. Era lamancanza di un principio del genere che poteva lasciareperplessi: a che cosa si richiamava Abbagnano per giu-stificare le proprie asserzioni? Le sue potevano sembrarelunghe catene definitorie; ma che cosa giustificava le de-finizioni che dava e le inferenze che ne traeva?

    Abbagnano presentava La struttura dellesistenzacome lapprodo di un cammino che aveva incominciatocon Le sorgenti irrazionali del pensiero e lungo il qualeaveva approfondito la distinzione tra filosofia e scienza,questa titolare della conoscenza, quella della saggezza.Abbagnano si era allontanato sempre di pi dalla teoriakantiana delle categorie, perch aveva studiato la descri-zione che della struttura della scienza avevano dato gliscienziati stessi, i matematici e i logici o i teorici dellarelativit e della fisica quantistica. Cos aveva finito conil riservare tutto il trascendentale alla filosofia; ma eraun trascendentale svuotato del riferimento ai concettiscientifici, perch la struttura del sapere scientifico sigiustificava da s, senza bisogno di protezioni filosofi-che. Perci lesistenzialismo di Abbagnano poteva confi-gurarsi come la sostituzione dellanalisi esistenziale allateoria kantiana delle categorie.

    Abbagnano avrebbe dichiarato di aver trovato nellafilosofia dellesistenza di Kierkegaard e Heidegger (nonmenzionava Jaspers) lo strumento per riferirsi alla co-stituzione delluomo come tale, senza ricadere sul pia-no delloggettivit o della soggettivit razionale7. Anco-ra molti anni dopo la pubblicazione di quellopera era

    7 Filosofi italiani contemporanei, a cura di M.F. Sciacca, Milano, Mar-zorati, 1944, 2a ed. 1946, p. 6.

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    solito dire che in essa aveva tentato di costruire unin-terpretazione globale delluomo senza ricorrere a terminicome io o coscienza, cos cari ai filosofi idealisti.Effettivamente Abbagnano identificava nella trascenden-za e nel rapporto tra uomini le strutture originarie del-lesistenza, mentre per la tradizione idealistica la trascen-denza era una parola vietata e la comunicazione tra per-sone un fatto derivato dalla coscienza, che ha un rap-porto privilegiato con loggetto in generale, non con glialtri. Ma Abbagnano respingeva anche le diagnosi ne-gative di Jaspers e Heidegger sul tempo presente e suldestino delluomo, votato al naufragio o alla morte. Pre-feriva parlare della fedelt delluomo alla propria scelta,e si serviva di questa idea per reintrodurre i valori, ver-so i quali lesistenzialismo sembrava poco ospitale. Ab-bagnano stesso avvertiva che il termine struttura nel si-gnificato fondamentale nel quale ricorre nella filosofiaesistenzialistica, stato probabilmente introdotto da Dil-they8.

    Abbagnano collegava la propria filosofia esistenziali-stica al momento vissuto dallItalia allinizio degli anniquaranta. Una filosofia che potesse esercitarsi nel giar-dino di Epicuro in cui vivere in disparte, al di fuoridelle vicende e dei colpi duri, noi dovremmo ritenerla,oggi, indegna di noi. Luomo si trova ancora una voltadavanti allalternativa cruciale, che si presenta ad ognu-no egualmente, quale che sia il popolo cui appartiene oquale che sia diretta o indiretta, lontana o vicina la suapartecipazione alla guerra: lalternativa fra lessere sestesso nella propria storia e il disperdersi in una vitasenza storia, tra il lavoro che espande nel mondo unacivilt aperta sullavvenire e una fatica oscura senza do-mani. unalternativa di fronte alla quale i popolistringono le fila, si purificano e si definiscono. Si defini-scono nella loro essenza, ritornando alla loro storia ge-nuina. Si purificano espellendo da s gli elementi di raz-

    8 N. Abbagnano, La struttura dellesistenza, in Scritti esistenzialisti, acura di B. Maiorca, Torino, Utet, 1988, p. 70, nota a.

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    za e di dottrina che sentono estranei e non assimilati. Sistringono nelle loro istituzioni tradizionali che gi cono-scono le prove difficili. E cercano nei loro regimi di ri-tornare alle origini e di ritrovarsi nel passato. La volontdi essere se stessi la stessa loro volont di vita e divittoria. Essi sanno che solo quella volont pu salvarlie conservarli alla loro storia. E sanno che senza di essaun popolo gi appartiene al passato, ha gi rinunziatoallavvenire. Ora a questa volont che costituisce il desti-no dei popoli, la filosofia deve essere essenzialmenteconnessa come atto concreto, immanente. Noi, uominidelloccidente, non ci siamo mai mossi nella storia perun impulso, per un istinto cieco, come unorda, comeuna forza oscura che si espande senza perch. Noi rap-presentiamo nel mondo la volont lucida dellaffermazio-ne di s e del dominio: rappresentiamo lordine, che unit, armonia e spirito. Noi, uomini delloccidentemuoviamo nella storia perch comprendiamo ci chesiamo e ci che vogliamo. La nostra natura in questocomprenderci, in questo intenderci, che atto concretodi riconoscimento di s e di affermazione di s e quindivolont di dominio e di vittoria9. Assumere un atteg-giamento guidato dalla filosofia significa assumersi la re-sponsabilit che deriva dalla propria scelta e la fedeltalla propria scelta. Di qui Abbagnano ricava una conse-guenza piuttosto forte: nulla accade veramente nellesi-stenza dellente senza la sua scelta10.

    La struttura dellesistenza non entr nella letteraturaesistenzialistica internazionale, ma linterpretazione cheAbbagnano dava del proprio esistenzialismo poteva di-ventare un ingrediente della revisione del fascismo per-seguita da Giuseppe Bottai, che aveva al proprio centroil confronto con la cultura tedesca e una nuova formu-lazione del nazionalismo. Primato, la rivista di Bottai,promosse una discussione sullesistenzialismo che ruot

    9 N. Abbagnano, Luomo e la filosofia, in Concetto e programma dellafilosofia doggi, Milano, Bocca, 1941, p. 211.

    10 N. Abbagnano, Luomo e la filosofia, cit., p. 221.

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    intorno allopera di Abbagnano. Cos Torino si trov alcentro della discussione sullesistenzialismo, ultima av-ventura della filosofia italiana prima della fine dellaguerra e del crollo del fascismo.

    Il dibattito promosso da Primato, con lestensionenazionale che ebbe, occult un po il fatto che a Torinoconvivevano i diversi modi con i quali la cultura italianacercava di fare i conti con lesistenzialismo. Fin dal 1938un allievo di Guzzo, Luigi Pareyson, aveva incominciatoa scrivere sullesistenzialismo, e in particolare su Jaspers,seguendo la linea interpretativa suggerita da Guzzo:lesistenzialismo portava in primo piano temi che eranogi comparsi nellidealismo italiano, e perci si potevaparlare di preesistenzialismo, additandone in Carlini ilprincipale rappresentante. Pareyson dava molta importan-za anche allesistenzialismo francese, nel quale includevapersonaggi che forse erano pi spiritualisti che esistenzia-listi. E, muovendo da Kierkegaard, faceva del rapportotra finito e infinito il problema centrale che lesistenziali-smo doveva affrontare. Gli esistenzialisti avevano intro-dotto uno sfaldamento, come diceva Pareyson, tra fini-to e infinito, cio li avevano considerati termini inconci-liabili, e lui cercava un rimedio a quella frattura ricorren-do al concetto di persona, soggetto adeguato del finitocome dellinfinito, lunica entit capace di ricevere en-trambe le qualificazioni. Il personalismo era lesito positi-vo dellesistenzialismo, un esito apparentemente affine aquello cui metteva capo Abbagnano che, anche lui, vole-va disincagliare la filosofia dellesistenza dagli approdi ne-gativi ai quali Jaspers e Heidegger lavevano spinta. MaAbbagnano sviluppava una filosofia del finito, mentrePareyson proponeva una conciliazione di finito e infinitonella persona.

    3. Tra esistenzialismo e marxismo

    Che lesistenzialismo fosse la testimonianza di unacrisi e che perci da esso si dovesse uscire era convin-

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    zione diffusa nel resto dellItalia come a Torino, dovesoltanto Abbagnano intendeva sviluppare una vera epropria filosofia esistenzialistica. Uninterpretazione dra-stica di questa prospettiva fu offerta nel 1944 da Norber-to Bobbio con La filosofia del decadentismo. SecondoBobbio la filosofia dellesistenza la filosofia della crisi,e la crisi, ci faccia o non ci faccia piacere il ricono-scerlo, il modo dessere della nostra situazione spiritua-le, caratterizzata dalla apatia di fronte ai valori11. Nel-laccettazione della crisi come un fardello12 e destinoconsiste quello che gli stessi propugnatori [] hannobattezzato e poi riconosciuto [] col nome di decadenti-smo, un movimento che, nato in letteratura giunto daultimo [] a portare il suo contagio nella vita stessa del-la filosofia ufficiale13. Lesistenzialismo tedesco il pro-dotto tardivo, il frutto postumo del decadentismo nel re-gno del pensiero riflesso14. Una delle conseguenze deldecadentismo lattivismo, laltra lamoralismo: di quiBobbio ricavava la apoliticit dellesistenzialismo, che con-siste non soltanto nella assenza [] di una discussionesul problema dello stato15, ma nel fatto che nellesisten-zialismo perdura, o addirittura viene accentuata, quelladissociazione tra esigenza intimistica ed esigenza sociale16rappresentate rispettivamente da Kant e da Hegel.

    Per uscire dallesistenzialismo bisognava imboccarela via che conduce alla persona, un modo per unire lamoralit con la politicit, per risolvere il problemamorale nel problema della giustizia, quando sintenda lapersona nel suo significato laico, vale a dire nella dire-zione di una fondazione non pi trascendente ma auto-noma della personalit, e quando si intenda la giustizianon pi come norma oggettiva, ma come limite soggetti-

    11 N. Bobbio, La filosofia del decadentismo, Torino, Chiantore, 1944,p. 9.

    12 N. Bobbio, La filosofia del decadentismo, cit., p. 19.13 N. Bobbio, La filosofia del decadentismo, cit., p. 20.14 N. Bobbio, La filosofia del decadentismo, cit., p. 21.15 N. Bobbio, La filosofia del decadentismo, cit., p. 99.16 N. Bobbio, La filosofia del decadentismo, cit., pp. 99-100.

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    vo17. Per Bobbio lincontro dellesigenza laica del per-sonalismo con lesigenza soggettivistica della giustizia av-viene nella morale kantiana18, alla quale egli si richia-mava contro il tentativo hegeliano e storicistico di dis-solvere la morale nella societ e nello sviluppo storico.Sia il personalismo sia la dottrina della coesistenza edella comunicazione elaborati dallesistenzialismo, checostituivano le chiavi nelle quali Pareyson e Abbagnanolo avevano interpretato, erano pure finzioni.

    Nella critica allesistenzialismo affioravano temi cheBobbio aveva incontrato nella Facolt di Giurispruden-za, alla quale si era iscritto nel 1927, seguendo maestricome Francesco Ruffini, Luigi Einaudi e Gioele Sola-ri19. Soprattutto doveva aver agito su di lui linsegna-mento di Solari, con il quale si era laureato nel 1931,nove anni dopo Gobetti. Solari impartiva un insegna-mento ispirato alla funzione civile della filosofia del di-ritto20 e si proponeva di tener desta lattenzione deigiovani sui problemi generali dello Stato e del diritto,che erano assai pi complessi e profondi di quel che lapubblica ortodossia lasciasse intendere, di elevare ilproblema politico a problema filosofico, e quindi in de-finitiva a problema di coscienza, di rendere insommaaltamente drammatico quello che nella condotta dei piera diventato un esercizio di comodo conformismo21.Quellinsegnamento aveva i propri termini di riferimen-to in Kant e in Hegel: dal primo riprendeva lindivi-dualismo fondato su una rigorosa concezione della mo-rale, dal secondo la teoria della societ civile, anche sevedeva in essa il germe della dissoluzione delleticakantiana, una dissoluzione che avrebbe condotto allostoricismo, al relativismo e infine al decadentismo.

    17 N. Bobbio, La filosofia del decadentismo, cit., p. 109.18 N. Bobbio, La filosofia del decadentismo, cit., p. 110.19 N. Bobbio, Autobiografia, a cura di A. Papuzzi, Roma-Bari, Laterza,

    1997, p. 16.20 N. Bobbio, Autobiografia, cit., p. 17.21 Linsegnamento di Gioele Solari, in N. Bobbio, Italia civile. Ritratti e

    testimonianze, Firenze, Passigli, 1986.

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    Una lezione di austero kantismo Bobbio apprese an-che da Martinetti, che conobbe attraverso Solari. Lin-contro avvenne quando Bobbio present a Solari un ar-ticolo sulla fenomenologia, che doveva comparire nellaRivista di filosofia. Bobbio aveva studiato la fenome-nologia con Pastore, con il quale si era laureato in filo-sofia nel 1933. Forse Pastore non era estraneo allinter-pretazione che Bobbio dava dellesistenzialismo: lo con-siderava infatti non soltanto come una forma di antira-zionalismo, quale era stata la reazione kierkergaardianaal razionalismo illuministico e hegeliano, ma un vero eproprio irrazionalismo22. E Bobbio dichiarava una voltaper sempre che i rapporti tra fenomenologia ed esi-stenzialismo non ci sono, o, almeno non ci sono nellamisura che generalmente si crede o si lascia credere. Ladottrina di Husserl e quella di Heidegger sono inseritein due tradizioni storiche assolutamente indipendentiluna dallaltra: la fenomenologia una continuazionedella filosofia scientifica di positivistica derivazione [];lesistenzialismo una riesumazione di Kierkegaard23.

    Con la formula del preesistenzialismo Pareyson cerca-va un collegamento tra filosofia dellesistenza e culturafilosofica nazionale; la stessa cosa faceva Bobbio con laformula dellesistenzialismo come testimonianza di unacrisi. Era uno slogan abbastanza comune in Italia, cheaveva trovato larga eco nellinchiesta promossa da Pri-mato. Lavevano utilizzato Antonio Banfi24 come UgoSpirito25, mentre Galvano Della Volpe interpretava quel-

    22 A. Pastore, Lequivoco teoretico della ragione nei fondatori della filo-sofia dellesistenza, Archivio della cultura italiana, II, 1941, p. 29, nota 2.

    23 N. Bobbio in La ricerca filosofica. Discussioni dirette e raccolte da A.Guzzo, Roma, Tipografia Agostiniana, 1941, pp. VII, VIII, e in Archiviodi filosofia 1939, p. 300.

    24 A. Banfi, Il problema dellesistenza, Studi filosofici, II, 1941, pp.170-92; Lesistenzialismo in Italia, Primato, 1943; Lesistenzialismo, Studifilosofici, IV, 1943, pp. 247-51.

    25 U. Spirito, Lesistenzialismo in Italia, Primato, 1943; Razionalismoe irrazionalismo, in La crisi dei valori (quaderno dellArchivio di filoso-fia), 1945, pp. 160-73; Il problematicismo al Congresso di filosofia, Fieraletteraria, 1946, n. 36.

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    la crisi come crisi della civilt borghese e lesistenziali-smo come esasperazione del narcisismo spirituale in cuisi risolve letica della civilt borghese26. A conclusioninon dissimili sarebbe giunto Arturo Massolo, che consi-derava lesistenzialismo come la filosofia dellindividuoalienato dalla comunit e vedeva nella filosofia di Ja-spers la forma estrema del pensiero borghese27. E ancheCesare Luporini, intervenendo su Primato, faceva del-lesistenzialismo una filosofia della crisi, nata nella matri-ce dellhegelismo, ma capace di testimoniarne la dissolu-zione, gi annunciata da Kierkegaard e Marx. Nellinter-pretazione che Bobbio dava dellesistenzialismo il marxi-smo non era importante, e Pareyson si limitava a men-zionarlo perch lo trovava nelle simmetrie storiograficheintrodotte da Lwith. Ma dopo la guerra la discussionesu esistenzialismo e marxismo dilag nel paese, e anchea Torino suscit interesse, ma fuori delluniversit. vero che sul tema il pi importante degli allievi di Bob-bio pubblic un volume28, ma fu Augusto Del Noce cheaddit nel marxismo la sfida con la quale si dovevanofare i conti.

    Del Noce, come Bobbio, aveva studiato al liceoDAzeglio, alla scuola di Umberto Cosmo; poi aveva fre-quentato la Facolt di Lettere e seguito linsegnamentodi Pastore. Si era laureato con Faggi, dal quale avevaforse ricavato una certa sensibilit per il pessimismo,che a Faggi derivava dalla simpatia per Eduard vonHartmann; ma poi aveva subito lattrazione di due per-sonaggi torinesi molto diversi tra loro, come Piero Mar-tinetti e Carlo Mazzantini. Al primo lo richiamava ilprogetto di ricostruire una filosofia religiosa e il rifiuto

    26 G. Della Volpe, Crisi critica dellestetica romantica, Messina, DAn-na, 1941; Discorso sullineguaglianza, con due saggi sulletica del-lesistenzialismo, Roma, Ciuni, 1943; Lesistenzialismo in Italia, Primato,1943; La libert comunista, Messina, Ferrara, 1946.

    27 A. Massolo, Esistenzialismo e borghesismo, Societ, I, 1945/3, pp.115-18.

    28 U. Scarpelli, Esistenzialismo e marxismo: saggio sulla giustizia, Tori-no, Taylor, 1949.

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    della dissacrazione prodotta dalla cultura moderna. Alsecondo lo legava lambizione di costruire una filosofiacristiana diversa dallo spiritualismo idealistico e fondatasul ricupero della scolastica. Ma su questa strada moltopi importante doveva essere lincontro con le opere diJacques Maritain, dalle quali Del Noce imparava a con-siderare il ritorno al cattolicesimo scolastico non comeun semplice ricupero, ma come un oltrepassamento del-la modernit e come un disvelamento dellateismo pro-prio della modernit, o almeno della modernit trionfan-te, alla quale opponeva il pensiero cattolico da Male-branche a Vico. Era questa la Riforma cattolica, inde-bitamente considerata controriforma, semplice rispo-sta, priva di originalit, alla Riforma protestante.

    Del Noce, come Bobbio e Pareyson, vedeva nellesi-stenzialismo una manifestazione della crisi, prodotta dal-la dissoluzione dellhegelismo, culmine della modernitatea. Ma dava un senso diverso al parallelismo tra esi-stenzialismo e marxismo introdotto da Lwith: perch, adifferenza dellesistenzialismo, il marxismo era non tantolaccettazione della crisi, quanto una sfida e una minac-cia, una sfida che le filosofie non cattoliche e nonmarxiste avevano perduto. E lesistenzialismo era il se-gno di quella sconfitta, della quale storicismo e attuali-smo non si erano resi conto29 . Infatti Del Noce consi-derava lidealismo italiano una risposta al marxismo,anzi il modello di ogni forma di filosofia postmarxistache non si iscrivesse nella Riforma cattolica: Gobetti eGramsci avevano ben poco di originale, perch eranoderivati entrambi da Gentile. E tutti, fascisti e antifasci-sti, avevano messo capo allattivismo, cio alla negazionepi totale della filosofia.

    Con queste considerazioni Del Noce respingeva alcu-ni dei punti fondamentali presenti nella cultura cittadinadi lite, nella quale si mescolavano le eredit del libera-

    29 A. Del Noce, Attualit della filosofia di Marx?, Costume, 1946; Ildualismo di Benda, Rivista di filosofia, XXXVII, 1946, pp. 153-74.

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    lismo crociano, dellattualismo gentiliano, della rivoluzio-ne liberale di Gobetti, del marxismo di Gramsci, ingre-dienti di un antifascismo che considerava il fascismocome una deviazione dal cammino dellItalia verso lamodernit. Messo da parte lantifascismo, declassatolesistenzialismo a semplice testimonianza di un fallimen-to, Del Noce contrapponeva direttamente marxismo ecattolicesimo. Dalle simmetrie storiografiche in vogaEmmanuel Mounier aveva ricavato il parallelismo traMarx e Kierkegaard e aveva additato una possibile con-vergenza tra marxismo e cristianesimo. Il marxismocome critica della modernit poteva essere ripreso e icattolici avrebbero potuto tagliar fuori la tradizione laicae liberale. Non era proprio la linea del gramscismo chenellimmediato dopoguerra si avviava a diventare lideo-logia ufficiale dei comunisti italiani, ma lincontro con icattolici fondato sullesclusione del liberalismo laico eraun progetto ben presente anche allinterno del Partitocomunista. A Torino quel progetto aveva echi non tra-scurabili: Felice Balbo, conosciuto da Bobbio e DelNoce sui banchi di liceo, pubblicava presso leditore Ei-naudi uno dei testi principali del progetto di conciliazio-ne di marxismo e cattolicesimo30. Del Noce discutevacon Balbo sulla Rivista di filosofia, nella quale Bobbiostava diventando un personaggio di spicco, erede diMartinetti e Solari. Del resto Bobbio era il termine diriferimento ideale della critica di Del Noce al laicismo eallantifascismo. E a Torino, senza legami organici congli insegnamenti universitari di filosofia, stava emergen-do anche Ludovico Geymonat, pure lui allievo di Pasto-re, collaboratore della Rivista di filosofia e della casaeditrice Einaudi, legato da amicizia e consuetudine intel-lettuale con Bobbio e Del Noce. Geymonat si preparavaa presentare uninterpretazione del marxismo differenteda quella gramsciana e tuttavia del tutto diversa daquella dei marxisti cattolici.

    30 F. Balbo, Il laboratorio delluomo, Torino, Einaudi, 1946.

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    Con la fine della guerra la discussione sullesistenzia-lismo andava esaurendosi. La sensazione che Abbagnanodava, anche nelle risposte su Primato, di essere alcentro dellattenzione nazionale, non aveva pi ragionedi essere. Il suo tentativo di costruire un esistenzialismoitaliano, positivo, tornava a chiudersi allinterno del-lateneo torinese, con scarsi contatti con la citt. I colle-gamenti della cultura filosofica torinese con la culturanazionale passavano attraverso le vie di fuga dallesisten-zialismo. Gli itinerari possibili sembravano soltanto due:ricostruire lo spiritualismo cattolico, senza complessi diinferiorit nei confronti dellidealismo, oppure riconosce-re la presenza dominante della cultura borghese, dellaquale lesistenzialismo esprimeva la crisi, e andare oltrequella cultura seguendo i canoni del marxismo o accet-tandone la sfida. Il marxismo comunque si poneva alcentro dellattenzione, o come strumento per uscire dal-la crisi o come minaccia da fronteggiare.

    4. Una filosofia indipendente

    Abbagnano non riconobbe esplicitamente la fine del-lavventura esistenzialistica; della fine dellesistenzialismoparler pi tardi, collegandone la morte alla trasfigura-zione. Ma allindomani della guerra cambi gioco. In unintervento del 194631 dichiarava la scienza strumentoprincipale di accesso allesteriorit. Non era una novit,ma ora Abbagnano era pi risoluto nel sostenere chealla scienza spetta tutta la conoscenza e che il riferimen-to alla scienza essenziale per cogliere la dimensioneanche filosofica dellesteriorit. In quel saggio, pur asse-gnando alla filosofia la trattazione di temi come limpe-gno, la singolarit, la personalit e cos via, sui qualilesistenzialismo aveva richiamato lattenzione, sostenevache i concetti scientifici sono modi per imporre allespe-

    31 N. Abbagnano, Luomo e la scienza, in Lesistenzialismo, Archiviodi filosofia, 1946.

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    rienza un ordine spazio-temporale di carattere matemati-co: una specie di bergsonismo depurato degli esiti spiri-tualistici.

    Lanno dopo, pubblicando Filosofia religione scienza eincominciando a collaborare con il Centro di studi me-todologici32, Abbagnano ribadiva che alla scienza spettatutta la conoscenza, ma abbandonava il bergsonismoepistemologico, usando la categoria della possibilit perdare uninterpretazione convenzionalistica della matema-tica e probabilistica della fisica: la prima provvederebbealla costruzione di oggetti possibili, la seconda alla pre-visione di eventi probabili. E tra scienza e filosofia in-tercorrerebbe una differenza di atteggiamento.

    Tre anni dopo Abbagnano avrebbe parlato della pos-sibilit di estendere luso [dei] procedimenti [scientifi-ci] ad altri campi di indagine33. Dopo il tramonto dellascienza ottocentesca, con la riduzione della matematicaalla logica e della fisica ai metodi di osservazione e dimisura, si trattava non di derivare le conoscenze scienti-fiche da una ragione che sia superiore a esse, ma di ri-conoscere chiaramente lorizzonte categoriale, a cui ap-partiene la scienza34, un orizzonte [] costituito dapossibilit, incerte sempre e problematiche nella lororiuscita, e problematicamente connesse luna con lal-tra. Per Abbagnano la filosofia doveva riconoscere sestessa in quello stesso orizzonte della possibilit in cui simuove la scienza, e cos rivedere le sue strutture esottrarle alle direttive e alle suggestioni della tradizionerecente []. Una filosofia cos fatta non nutrir lillu-sione di acquistare rigore e validit proclamandosi luni-co sapere vero e assoluto o scimmiottando nellordinedelle sue formulazioni verbali la geometria euclidea oqualche altra geometria, ma porr la sua validit nella

    32 N. Abbagnano, Il problema filosofico della scienza, in Fondamenti lo-gici della scienza, Torino, De Silva, 1947, pp. 137-61.

    33 N. Abbagnano, La metodologia delle scienze nella filosofia contempo-ranea, in Saggi di critica delle scienze, Torino, De Silva, 1950, p. 3.

    34 N. Abbagnano, La metodologia delle scienze, cit., pp. 16-17.

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    capacit di comprendere e garantire la possibilit di tut-ti gli atteggiamenti umani35.

    Abbagnano utilizzava uno schema apparentemente po-sitivistico, modellando in qualche modo la filosofia sullascienza e abbandonando la netta separazione tra luna elaltra che aveva caratterizzato tutta la sua produzionefino ad allora. Dopo aver costantemente indebolito lecapacit della scienza, per rivendicare uno spazio alla fi-losofia come non-conoscenza, ora manteneva lindeboli-mento della scienza e la difesa di temi indeterministici,contro quelle che considerava ambizioni indebite dellascienza ottocentesca, ma faceva di tutto ci una baseper indebolire la stessa filosofia. Daltra parte la scienza,discorso chiuso in se stesso, non prestava aiuto alla filo-sofia presentando dati da elaborare. Era semmai la strut-tura della scienza, le sue categorie generali che potevanoessere adottate dalla filosofia. Di fatto poi queste si ridu-cevano alle categorie modali o forse a una sola di esse.Questa soluzione implicava uninterpretazione molto ge-nerica della scienza. Abbagnano respingeva la pretesa,che attribuiva al neopositivismo, di ridurre tutti i lin-guaggi accettabili al linguaggio scientifico e faceva pro-pria la riduzione logicistica della matematica alla logica.Ma poi interpretava questa tesi come esclusione di unalogica che non fosse matematica e la associava a uninter-pretazione operazionistica della fisica. Queste assunzioni,di per s assai azzardate, non erano per la premessaper un lavoro di analisi della matematica, della fisica odella scienza in generale, bens presupposti per creareanalogie tra il discorso scientifico e il discorso filosofico.

    Anche per Bobbio il Centro di studi metodologicirappresent un punto di riferimento importante: avreb-be raccontato che la partecipazione alla sua attivit gliaveva consentito di avvicinarsi al neopositivismo, e allafilosofia analitica anglosassone36. Infatti in una confe-

    35 N. Abbagnano, La metodologia delle scienze, cit., p. 17.36 N. Bobbio, Autobiografia, cit., p. 134.

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    renza del Centro del marzo 194937 sostenne che il posi-tivismo logico aveva proposto una nuova concezionedella scienza, non pi dominata dal razionalismo o dalpositivismo, nella quale alla verit si sostituiva il rigore.Questo modello di scientificit, nel quale un linguaggiosi dice rigoroso quando sono perfettamente date le re-gole di formazione delle proposizioni iniziali e le regoledi trasformazione onde si passa dalle proposizioni inizialia quelle successive38, poteva adattarsi perfettamente allagiurisprudenza intesa come analisi del linguaggio, piprecisamente di quel particolare linguaggio in cui attra-verso le proposizioni normative si esprime il legislato-re39. In sguito Bobbio avrebbe riconosciuto che il pro-gramma allora tracciato si fondava su una tesi [] ori-ginale ma tuttaltro che fondata; tuttavia per un po con-tinu a lavorarci, fino a quando, nella seconda met deglianni cinquanta, imbocc la strada della logica delle pro-posizioni normative, detta pi tardi logica deontica40.

    Nonostante pentimenti e revisioni gli interessi diBobbio per la logica giuridica avevano origini lontane:infatti nel 1938 aveva vinto il concorso universitario conLanalogia nella logica del diritto. E su questa base si in-seriva con naturalezza linteresse per il positivismo giuri-dico, soprattutto nella versione di Hans Kelsen. Il primoscritto di Bobbio su Kelsen del 1954, ma due anniprima Sergio Cotta, assistente di Bobbio, ne aveva tra-dotto la Teoria generale del diritto e dello Stato e fin dal1932 Renato Treves, amico di Bobbio, lo aveva incon-trato in Germania41. Succedendo a Solari nel 1948, Bob-bio aveva qualche problema di continuit con linsegna-mento del maestro. Solari era soprattutto uno storicodella filosofia, anzi della filosofia del diritto42. Forse

    37 N. Bobbio, Scienza del diritto e analisi del linguaggio, in Saggi di cri-tica delle scienze, Torino, De Silva, 1950.

    38 N. Bobbio, Scienza del diritto e analisi del linguaggio, cit., p. 38.39 N. Bobbio, Scienza del diritto e analisi del linguaggio, cit., pp. 44-45.40 N. Bobbio, Autobiografia, cit., p. 135.41 N. Bobbio, Autobiografia, cit., pp. 141-43.42 N. Bobbio, Autobiografia, cit., p. 139.

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    gli scrupoli di Bobbio erano eccessivi, perch nonostantei suoi interessi logici e le sue conversioni allo stile analiti-co, lattenzione per la dimensione storica era rimasta co-stante. Del resto fin dal 1944-45 si era messo a studiareCattaneo lavorando su unedizione delle opere che Solarigli aveva donato come regalo di nozze43. In quel momen-to Bobbio, che aveva da sempre frequentato amici antifa-scisti, pur senza essere egli stesso antifascista, si era giaccostato a movimenti politici come il liberalsocialismodi Guido Calogero ed era entrato nella resistenza ade-rendo al Partito dazione. Erano queste le esperienzeche avevano indotto Bobbio a rifiutare limpoliticit del-la cultura decadentistica e della filosofia esistenzialistica.

    Anche nello studio di Kelsen Bobbio cercava di col-legare temi teorici e storico-politici: egli stesso avrebbecollocato linteresse per Kelsen accanto a quello perHobbes, considerato come il primo teorico dello statomoderno, uninterpretazione perfettamente compatibilecon lidea di stato presupposta dalle teorie kelseniane.Daltra parte Bobbio cercava in Kelsen non soltanto ilteorico del diritto, ma anche lo studioso delle formecontemporanee di democrazia44. Perch, fallito il proget-to politico del Partito dazione, Bobbio abbandon lapolitica attiva, ma non linteresse per la politica e inco-minci a scrivere i saggi che nel 1955 sarebbero statiraccolti in Politica e cultura. La tesi fondamentale erache la cultura in quanto tale poteva orientare scelte po-litiche e il suo obiettivo polemico era la politica cultura-le dei partiti e dei regimi comunisti, per i quali limpe-gno politico degli uomini di cultura consisteva in unasubordinazione totale alle direttive del partito o dellostato. La scelta politica che la cultura poteva suggeriredoveva essere ispirata alla tutela della libert della cultu-ra stessa: su questa base Bobbio delineava una terzavia tra il disinteresse per la politica e la subordinazionedella cultura alla politica. In quei saggi Bobbio respinge-

    43 N. Bobbio, Autobiografia, cit., pp. 86-87.44 N. Bobbio, Autobiografia, cit., pp. 141-45.

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    va le soluzioni politiche del comunismo modellate sul-lUnione Sovietica e delineava uninterpretazione dellademocrazia lontana dal liberalismo crociano del quale ri-fiutava limpostazione ottocentesca e romantica, ricolle-gandosi direttamente agli ideali illuministici, gi compar-si nella Filosofia del decadentismo. Bobbio entrava cosnel vivo del dibattito politico, assicurando alla culturatorinese una risonanza nazionale. Dopo lintensa stagio-ne esistenzialistica, quando sembrava che a Torino si de-lineasse, con Guzzo e Pareyson, una forma di postideali-smo o, con Abbagnano, una via di uscita dallidealismofascista ufficiale, dopo linteresse per confluenze e oppo-sizioni tra marxismo e cultura cattolica, Bobbio parevariprendere lispirazione politica gobettiana.

    5. Il neoilluminismo

    Mentre la cultura filosofica torinese entrava nel cir-cuito nazionale, Abbagnano e Bobbio, incontrandosi alCentro di studi metodologici, scoprivano che, pur aven-do percorso itinerari diversi e pur essendo separati dalleposizioni assunte nei confronti dellesistenzialismo, ave-vano in comune linterpretazione del sapere scientifico eil progetto di riformare la filosofia sul modello dellascienza. Nellesporre questo programma si erano trovaticoncordi nel respingere le concezioni ottocentesche epositivistiche della conoscenza scientifica e nel manife-stare una netta preferenza per il Settecento e lillumini-smo. Abbagnano diede forma a questi motivi in un sag-gio su Dewey, pubblicato nel 1948 nella Rivista di filo-sofia e intitolato Verso il nuovo illuminismo, e li ripre-se con una trattazione pi sistematica quattro anni dopoin Lappello alla ragione e le tecniche della ragione. Que-sto articolo inaugurava una nuova fase della Rivista difilosofia, della quale Abbagnano diventava condirettoreinsieme con Bobbio.

    Con il saggio del 52 Abbagnano chiudeva la stagioneesistenzialistica ma soprattutto metteva fine allirraziona-

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    lismo che aveva sempre un po coltivato. Pur conservan-do qualcosa del linguaggio esistenzialistico, dal qualemutuava il termine atteggiamento, per indicare gliaspetti della razionalit non riducibili alle tecniche di in-dagine, Abbagnano poteva trovare consonanze non sol-tanto con Bobbio, ma anche con Geymonat e con altriesponenti del Centro di studi metodologici. Si potevaavere cos limpressione che riemergesse un filone citta-dino che risaliva fino a Peano e che aveva avuto unatraduzione filosofica sobria con Vailati. Invece passavanoin secondo piano altri aspetti della cultura torinese,come il progetto di dare una successione cattolica al-lidealismo o la discussione sui rapporti tra cattolicesimoe marxismo. Del Noce non scriver pi sulla Rivista difilosofia, nella quale da allora il dibattito sul marxismonon avr quasi eco.

    Il neoilluminismo sembr manifestare una buona ca-pacit di diffusione. Nel 1953 Abbagnano organizz unconvegno al quale invit gli studiosi italiani di filosofiache si sforzano di orientare le loro ricerche fuori delletradizionali pregiudiziali di un necessitarismo metafisicoo con rinnovate cautele rispetto a ogni forma di dogma-tismo. Il convegno avrebbe dovuto discutere di critericomuni per uninterpretazione non metafisica della ricer-ca filosofica e della loro applicazione [] particolar-mente ai rapporti fra indagine filosofica e ricerche scien-tifiche, come a quelli fra indagine filosofica e vita politi-ca45. Anche se era firmata da Abbagnano, non tuttonella lettera era semplicemente il riflesso del suo pensie-ro: egli non aveva avversione per la metafisica n parti-colare attenzione per la vita politica. In compenso eratutto suo il rifiuto del necessitarismo.

    Il convegno si concluse con la constatazione che iconvenuti avevano discusso circa la possibilit e i me-todi di un lavoro efficace in rapporto alla odierna situa-zione del pensiero filosofico e scientifico e con una se-

    45 Il neoilluminismo italiano. Cronache di filosofia (1953-1962), a curadi M. Pasini e D. Rolando, Milano, Il Saggiatore, 1991, p. 9.

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    rie di moniti o impegni: bisognava assicurare la massimaapertura verso [] tutti i problemi della cultura mo-derna, rifiutare atteggiamenti che alla ricerca filosoficaimpediscono luso delle ricerche e delle tecniche speci-fiche elaborate nei vari campi del sapere, porre conti-nuamente in problema i propri risultati e i propri meto-di in vista di una critica spregiudicata e radicale, stabi-lire tra filosofia e scienze una connessione articolatache risulti capace di sgombrare la filosofia da problemie concezioni derivanti da fasi arretrate della ricercascientifica e che sia capace di dare un contributo po-sitivo alla critica e al rinnovamento delle strutture difondo delle scienze, riconoscere la responsabilit poli-tica inerente allimpostazione aperta del lavoro filosofi-co ed essere disponibili ad assumere limpegno di di-fendere e promuovere le condizioni di libert che ren-dono possibile tale lavoro46. Tra i filosofi non torinesiche firmarono le conclusioni figuravano tra gli altriRemo Cantoni, Mario Dal Pra, Ludovico Geymonat, Ni-cola Matteucci, Enzo Paci, Giulio Preti, Ferruccio RossiLandi, Paolo Rossi, Antonio Santucci, Uberto Scarpelli,Renato Treves, Andrea Vasa, Aldo Visalberghi, Giovan-ni M. Bertin, Lamberto Borghi, Guido Calogero, Euge-nio Garin, Franco Lombardi, Alberto Pasquinelli. Ilconvegno si concluse anche con limpegno a prenderetempestivamente accordi diretti per dare concreta at-tuazione al programma approvato47. Di fatto quelle inte-se non ci furono e i partecipanti continuarono i proprilavori in modo indipendente. Anche i convegni, che sitennero fino al 1962, non realizzarono affatto un pro-gramma che avesse qualcosa di illuministico.

    Tenne unito il neoilluminismo una filosofia del fini-to che, pi o meno condivisa da tutti, affondava leproprie radici nellopposizione allidealismo. A Torinopoteva presentarsi come il prodotto tanto dellesistenzia-lismo di Abbagnano quanto del liberalismo kantiano di

    46 Il neoilluminismo italiano, cit., p. 11.47 Il neoilluminismo italiano, cit., pp. 11-12.

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    Bobbio, a Milano del razionalismo e della filosofia del-luomo copernicano di Banfi. E quella filosofia era ac-cettabile anche a chi, come Garin, assai meno estraneoalla cultura idealistica, si era tenuto lontano dalla meta-fisica totalizzante dellidealismo, come si diceva allora.Ma allinizio il neoilluminismo sembr dominato dalprogramma che Abbagnano e Bobbio avevano tracciatonegli interventi presso il Centro di studi metodologici.Lattenzione si rivolgeva al rapporto tra filosofia e scien-za, non per contribuire allo sviluppo della conoscenzascientifica (cosa che nessuno dei filosofi era in grado difare), ma per elaborare uninterpretazione aggiornatadelle scienze, che consentisse alla filosofia di stabilirebuoni rapporti con esse. Di fatto si criticava lidea discienza che si era formata nellet moderna classica, dalSeicento allOttocento, e che il positivismo aveva trasfor-mato in una dottrina filosofica.

    Il neoilluminismo divent anche uno dei luoghi neiquali la filosofia italiana speriment la svolta linguisti-ca che aveva caratterizzato la cultura filosofica anglo-sassone. Lincontro con gli indirizzi ai quali quellespres-sione di solito si riferisce era gi incominciato nel Cen-tro di studi metodologici; ma ora si cercava di avviarelesplorazione di linguaggi diversi da quello delle scienzefisico-matematiche, cio dei linguaggi dei sistemi norma-tivi, della sociologia e della storiografia. Su questo terre-no apparvero le prime divergenze allinterno del grupponeoilluministico. Bobbio, Scarpelli o Preti erano propen-si ad accettare la distinzione tra linguaggio descrittivo elinguaggio normativo, corrente tra i filosofi analitici,mentre gran parte degli altri componenti del gruppo ri-tenevano insufficiente lanalisi delle norme in termini dilinguaggio. Contro limpostazione analitica si invocava lanecessit di prestare attenzione alla particolarit delle si-tuazioni storiche, che il riferimento predominante al lin-guaggio rischiava di offuscare. Ma anche nellinterpreta-zione di questa istanza le posizioni non erano uniformi.Paci metteva in guardia contro ogni forma di filosofiache ritenesse impossibile andare al di l del linguaggio,

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    Dal Pra temeva che laffidarsi al linguaggio facesse rie-mergere illusorie certezze metafisiche, mentre per Garinil richiamo alle condizioni storiche doveva escludereogni pretesa di costruire un sapere universalizzante.

    La maggior parte dei neoilluministi prese le distanzedalla tesi dei filosofi analitici, che consideravano il lin-guaggio ordinario dotato di strutture logiche e ne face-vano loggetto primario delle indagini filosofiche: untema sul quale Rossi Landi inutilmente tentava di richia-mare lattenzione. Daltra parte si delineava una resisten-za anche alla proposta di Preti di dare il massimo rilie-vo ai linguaggi speciali delle singole discipline e di riser-vare a una filosofia, che non volesse usare un linguaggiosemplicemente metaforico, il compito di costruire leontologie regionali ricavabili di quelle discipline. Neiconvegni neoilluministici si afferm, tra queste istanzecontrastanti, la tendenza a costruire concetti con proce-dure essenzialmente lessicali e definitorie, con le quali siriteneva che la filosofia potesse aiutare le discipline an-cora poco agguerrite dal punto di vista metodologico adarsi le regole per organizzare il proprio linguaggio spe-cifico. Sullo sfondo agiva la convinzione che si potesseroprodurre conoscenze per via metodologica e che la me-todologia si riducesse a schemi logico-linguistici generali,quando il neopositivismo da un lato e lanalisi del lin-guaggio dallaltro avevano ormai elaborato strumentimolto fini di chiarificazione delle strutture logiche deilinguaggi formalizzati o del linguaggio ordinario.

    Nel 1958 il convegno neoilluministico fu dedicato aLavvenire della dialettica, e uno dei documenti suiquali si svolse la relazione fu la voce Dialettica, scrittada Abbagnano per il Dizionario di filosofia, al quale sta-va lavorando. Questopera, che costitu il suo impegnoprincipale nel corso degli anni cinquanta, rappresentavaanche lapplicazione pi vasta e sistematica del modo diintendere il lavoro filosofico emerso negli interventipresso il Centro di studi metodologici e nei convegnineoilluministici. Anche se lincontro con la filosofia lin-guistica andava esaurendosi, da quella esperienza emer-

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    geva la proposta di una chiusura rigorosa verso ognitentativo di ricupero della dialettica, proprio nel mo-mento in cui in Italia essa stava diventando uno deitemi di moda. Tutti i partecipanti al convegno condivi-devano pi o meno lidea che la dialettica hegeliana nonpotesse essere ripresa integralmente, ma molti credevanoancora nella possibilit di riformare la dialettica, perusare una formula che era stata cara agli idealisti, e diutilizzarla come strumento di comprensione del mondostorico nella sua peculiarit, contro le interpretazioni ri-duttive della storicit, che sapevano di neopositivismo.La filosofia di Marx, soprattutto del giovane Marx, sem-brava offrire qualche possibilit in questo senso. Cosarrivavano fin dentro i convegni neoilluministici gli echidelle discussioni sulla dialettica e sul marxismo che per-correvano la cultura italiana e che stavano segnando an-che la crisi del gramscismo allinterno dellideologia delcomunismo italiano. Nel convegno sulla dialettica si sen-t Luporini citare tra le autorit filosofiche, oltre a Marxe Engels, anche Lenin e Stalin, e sembr che la cosa ac-cadesse per la prima volta fuori delle riunioni di partito.

    Il costruttivismo linguistico alla buona emerso traTorino e Milano sembr offrire per un certo tempo unavia media tra coloro che erano interessati alle strutturelogiche complesse, alle quali si riferivano neopositivisti efilosofi analitici, e coloro che diffidavano di qualsiasiforma di filosofia linguistica. Ma alla fine degli anni cin-quanta il marxismo aveva acquistato in Italia una posi-zione dominante, e non aveva pi bisogno di presentarsicome successore dellidealismo attraverso la mediazio-ne di Gramsci. Quando al convegno neoilluministico sidiscuteva di dialettica era in pieno svolgimento il ritor-no a Marx non pi mediato dal marxismo nostrano: daun lato tornava al centro dellattenzione il rapporto traMarx e Hegel, dallaltro si ripresentava la connessionetra marxismo ed esistenzialismo, gi popolare nella cul-tura italiana, ma questa volta ritrovata nellopera di Sar-tre. Questa era la via battuta da Paci, che era stato le-gato ad Abbagnano da profonda amicizia, nata anche

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    dalle comuni esperienze esistenzialistiche, ma che avevasempre diffidato del suo apprezzamento del sapere posi-tivo e del suo metodologismo.

    Paci non si sarebbe fermato a Sartre: nella sua risco-perta dellesistenzialismo sarebbe risalito allultimo Hei-degger e allultimo Husserl, nel tentativo di costruireuna filosofia centrata sul rifiuto del sapere positivo qua-le si era venuto configurando nella societ industrialeoccidentale. Gi nellultimo dei convegni neoilluministi-ci, del 1962, Giulio Preti aveva proposto un programmafilosofico ricco di temi husserliani, che gli erano dasempre familiari e che ora ripresentava in chiave diversada quella nella quale la filosofia di Husserl veniva risco-perta. Quello di Preti era un Husserl diverso dal risenti-to nemico della scienza galileiana, amato dai suoi risco-pritori; ma la stagione del neoilluminismo era comunqueormai chiusa. A Torino anche Pietro Chiodi rispondevaal ritorno di Husserl e di Heidegger. Era stato allievo diAbbagnano prima ancora del suo trasferimento alla Fa-colt di Lettere e aveva studiato nellatmosfera dellascoperta dellesistenzialismo degli anni quaranta, ma siera tenuto lontano dalle discussioni metodologiche e dalneoilluminismo. Intervenendo nella discussione su Sartree sullultimo Heidegger riprendeva i temi dellesistenzia-lismo positivo originario e cercava di riproporre gli stru-menti analitici elaborati da quella filosofia mettendoli alriparo dalluso profetico o ideologico che se ne stava fa-cendo.

    A fare i conti con il marxismo, soprattutto con ilmarxismo che, rifacendosi a Lukcs, alla scuola di Fran-coforte o presentandosi come teoria della rivoluzione,pretendeva di offrire un sapere globale nuovo, si miseroanche filosofi che erano passati per il neoilluminismo ene stavano uscendo, per i quali una qualche continuitcon leredit neoilluministica era forse rappresentata dal-lavversione per le forme profetiche dellideologia marxi-sta. Geymonat riscopriva la dialettica, ma cercava di ri-cavarne strumenti per interpretare lo sviluppo storicodella scienza. Preti pensava di trovare negli scritti giova-

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    nili di Marx le basi per conciliare il marxismo con lem-pirismo neopositivistico e con il pragmatismo deweyano.Bobbio non faceva concessioni al marxismo, ma conti-nuava ad atteggiarsi a interlocutore critico del comuni-smo e della sua ideologia. Semmai linfluenza del marxi-smo si avvertiva nel fatto che, fedele al binomio giusti-zia e libert, cui aveva ispirato il suo impegno politico,Bobbio tuttavia accentuava lattenzione per la giustizia eapprofondiva gli aspetti teorici della democrazia. Ma nelpanorama italiano egli continuava ad apparire come unodegli eredi pi significativi della tradizione azionista,nella quale il riferimento a regole morali e lapprezza-mento per lordine giuridico prevalevano su ideologieche incorporavano discutibili filosofie della storia. AncheGarin, che pure aveva partecipato molto marginalmentealla vicenda neoilluministica, rifiutava linterpretazionedel marxismo come una visione del mondo, e anzi fincon il diventare un rappresentante prestigioso di ci cheera rimasto del gramscismo, depurato dei contenuti dot-trinali pi impegnativi, originari o inseriti dalla scolasticacomunista. Anche lui, come Bobbio, ricuperava una tra-dizione italiana, che era per non quella dellazionismo,ma piuttosto quella idealistica.

    Tuttavia fuori della citt fu Bobbio a essere conside-rato un rappresentante tipico della cultura torinese ma-turata tra la fine della guerra e i primi anni sessanta.Quando ormai il neoilluminismo era finito venne chia-mato nelluniversit di Torino Franco Venturi, che aTorino condusse il grosso delle sue ricerche sullillumi-nismo e fond una fiorente scuola storiografica. Tra ilneoilluminismo e linterpretazione venturiana dellillu-minismo non cera nulla in comune, n il movimentoneoilluministico influenz Venturi. I suoi rapporti conAbbagnano erano quasi inesistenti e le loro mentalit di-versissime. Invece la militanza nel Partito dazione avevaunito Venturi a Bobbio: essi avevano in comune unin-terpretazione etica dellimpegno politico e lavversioneper la filosofia speculativa, nella quale pure Abbagnanosi era cimentato. Quando la stagione dellilluminismo

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    come programma filosofico militante sar giunta allafine e Torino sar diventata una sede importante di sto-riografia sullilluminismo classico, sembrer che la cul-tura cittadina si fosse isolata dal resto del paese e fos-se rimasta fedele ai modelli aristocratici degli intellet-tuali illuministi, nella nostalgia di riforme e risorgimen-ti mai del tutto compiuti, prigioniera di un clich auste-ro di intransigenza, mentre il resto del paese era perva-so da culture pi chiassose e corrive, insieme profetichee popolari.

    A distanza di molti anni, scrivendo le proprie memo-rie, Abbagnano canceller quasi completamente lespe-rienza compiuta tra la fine degli anni quaranta e liniziodegli anni sessanta: si limiter a ricordare quel tempocome un periodo molto operoso, mentre far dellesi-stenzialismo il tema costante del proprio pensiero. Ep-pure frutto di quellintenso lavoro furono la Storia dellafilosofia e il Dizionario di filosofia, le due opere che,dopo gli scritti esistenzialistici, costituirono il suo mag-gior successo editoriale e lo fecero apprezzare anche dachi non condivideva i suoi orientamenti speculativi. Esseinoltre, pi che quelle esistenzialistiche, ispirarono unaparte cospicua della filosofia torinese, che si espresse so-prattutto attraverso il lavoro storiografico. Ma tra i pro-pri scolari Abbagnano ricorder con particolare caloreChiodi, che aveva condiviso la sua esperienza esistenzia-listica e che era intervenuto sui temi esistenzialistici tor-nati di moda, riuscendo a interloquire anche con la cul-tura marxista. Del resto nei primi anni sessanta Abba-gnano incominci a collaborare intensamente ai quoti-diani, e anche questo fatto segn la fine del suo interes-se per il neoilluminismo e il ritorno a una pratica disaggezza legata alla vita quotidiana, lontana dalle ambi-ziose formulazioni teoriche che avevano costituito il con-tenuto di una parte significativa della sua attivit. Del-lantico sodalizio costituitosi tra Torino, Milano e Firen-ze sopravvivr il legame con Remo Cantoni che alla fi-losofia della quotidianit si era sempre richiamato, an-che in polemica con il neoilluminismo.

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    La parte restante della filosofia torinese stimolata daAbbagnano rimase sostanzialmente isolata dalla culturacittadina come dalla cultura nazionale prevalente. Essainfatti non fece propri gli schemi storiografici che con-sentivano alla filosofia di dialogare con lideologia, so-prattutto con lideologia marxista, e anzi cerc sempredi dirigere lattenzione verso temi solitamente trascuratio di proporre interpretazioni impopolari degli autori ca-nonici. Ma ci che dava un senso di estraneit a quelche rimaneva delleredit di Abbagnano era dovuto alpermanere delle idee espresse da Abbagnano dopo ilfallimento dellesistenzialismo: che tutta la conoscenzafosse riservata alla scienza, che la scienza non avesse bi-sogno di legittimazioni filosofiche e che anzi la filosofianon disponesse di strumenti adeguati per dare unanalisisoddisfacente della conoscenza scientifica. E questo pro-prio nel momento in cui la filosofia italiana cercava difronteggiare e contestare il primato della cultura scienti-fica, inserendo la storia della scienza in una pi generalestoria della cultura o andando in cerca di una razionali-t superiore a quella scientifica.

    6. Tra filosofia cattolica e marxismo

    Lunico dei filosofi torinesi che sbito dopo la guer-ra si form una vera e propria scuola fu Guzzo. Egliaveva ormai imboccato la strada del sistema filosofico,che avrebbe esposto in pi volumi. Nel primo, Lio ela ragione, riprendeva quello che era stato il suo pro-getto originario: eliminare gli elementi razionalisticipresenti nella filosofia idealistica. E per realizzarlo so-steneva il primato del soggetto sulla ragione della qua-le il soggetto fa uso. Il suo era un kantismo spirituali-stico, nel quale le categorie diventavano forme di atti-vit o forme formanti, come diceva da tempo. Sotto-mettere la ragione allio significava non assegnare unvalore oggettivo ultimo alla conoscenza scientifica: nelvolume La scienza del 1955 avrebbe sostenuto che ordi-

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    ne matematico ed esperienza sono prodotti dellattivitspirituale delluomo.

    Gli scolari di Guzzo svilupparono le sue idee. Vitto-rio Mathieu perfezion linterpretazione spiritualisticadel kantismo, che mescol con la filosofia di Bergson econ la teoria goethiana delle forme. Francesco Baronecontrappose al neopositivismo uninterpretazione dellascienza fondata sul primato della logica trascendentalesulla logica formale. Anche Pareyson, lo scolaro pi im-portante di Guzzo, dedic molto tempo a sviluppare lateoria delle forme, adattandola prima allinterpretazionedella persona poi allestetica. In Italia erano stati gli idea-listi, soprattutto Croce, a coltivare lestetica. Ma mentreCroce e Gentile avevano genuini interessi e competenzeletterarie, lestetica era poi diventata una specialit fi-losofica, e in questo modo la coltiv Pareyson, badandopi alla filosofia che alle opere darte. Del resto neppu-re la sua teoria della persona muoveva da interessi poli-tici o sociali, ma era un modo per affermare il caratterespirituale della realt: nelle sue mani persona o operadarte diventavano modi attraverso i quali si rivela lospirito. La loro caratteristica consisteva nella capacit diricevere contemporaneamente predicati contrari: la per-sona era per lui passivit e attivit, definitezza e infinit,plasticit e programmazione, dedizione e obbligazione,libert e necessit, universalit e singolarit, totalit e in-sufficienza e cos via48. E un procedimento analogo Pa-reyson adoperava in estetica. Questa singolare trovata gliserviva per scoprire una dimensione diversa da quelledelle cose, che appunto ricevono soltanto predicati com-patibili tra loro. Era un metodo filosofico del tutto op-posto a quello che aveva ispirato i programmi del Cen-tro di Studi metodologici e che si era realizzato nel Di-zionario di filosofia al quale lavorava Abbagnano. Ed erain qualche modo il ricupero di una dialettica non hege-

    48 L. Pareyson, Esistenza e persona, Torino, Taylor, 1950, parte II,cap. 6.

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    liana, che Pareyson andava scoprendo negli studi sul-lestetica di Kant e su Fichte.

    Il ricupero di una certa tradizione filosofica tedescaera la via attraverso la quale Pareyson si proponeva dicostruire una filosofia cattolica. Uscendo dallesistenziali-smo e dallidealismo, con Esistenza e persona del 1950,aveva ripreso il tema della conciliazione di cristianesimoe idealismo da sempre caro a Guzzo. Egli aveva consi-derato lhegelismo una sfida al cristianesimo; e lesitodella sfida, che aveva messo capo alle filosofie di Feuer-bach, Marx, Kierkegaard e Nietzsche, aveva chiaritolimpossibilit del cristianesimo nella filosofia modernadominata da Hegel. In questa direzione Pareyson potevarichiamarsi a una figura di spicco della cultura torinesecome Martinetti, che aveva dato uninterpretazione nonottimistica del rapporto tra cristianesimo ed et moder-na e tra cristianesimo e idealismo. Ma mentre Martinettiaveva cercato nella filosofia tedesca da Schopenhauer alneokantismo teologico lalternativa allidealismo, Parey-son cercava un idealismo alternativo a quello hegeliano,mettendo insieme Schiller e Goethe, Fichte e lultimoSchelling. E se Martinetti, come Ruffini, aveva cercatodi proporre una religiosit liberale e austera, di tipoprotestante, e aveva ricondotto al fallimento di ogni ri-forma religiosa nel nostro paese molti dei limiti culturaliche lo affliggevano, Pareyson si candidava a diventareun esponente della filosofia cattolica ufficiale sviluppata-si allinterno dellidealismo gentiliano, in cui il suo mae-stro lo aveva allevato. Realizzando questo progetto Pa-reyson acquistava un peso sempre maggiore non solonella filosofia cattolica, ma anche nel sistema di poterecattolico, esercitando una funzione importante nel con-trollo della politica universitaria.

    A Torino Pareyson non era lunico rappresentantedella filosofia cattolica. A unimpresa analoga alla sua la-voravano Mazzantini, che per era una figura minore,anche se non privo di sguito in citt, soprattutto neicircoli cattolici, e Del Noce che, come Pareyson, pren-deva lo spunto dalla crisi dellhegelismo per proporre

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    una forma di personalismo cristiano. Ma al personalismodi Pareyson, costruito con strumenti ricavati dallideali-smo italiano e dallidealismo tedesco non hegeliano, DelNoce contrapponeva un personalismo costruito nei modidel tradizionalismo francese. A Torino le sue idee nonebbero molta fortuna, ed egli si trasfer a Roma ancheper opera di Sergio Cotta. Neppure Cotta a Torino ave-va avuto sguito, mentre a Roma, divenuto esponente diun cattolicesimo battagliero, nettamente antimoderno, sidistinse nellopposizione alle leggi che avevano introdot-to in Italia il divorzio e laborto.

    Se dagli ambienti torinesi interessati al confronto tracattolicesimo e marxismo doveva nascere lidea di una fi-losofia alternativa al marxismo, nella scuola di Pareysonprendeva invece forma una filosofia che avrebbe aspiratoa sostituire il marxismo come ideologia dominante. Agliinizi degli anni sessanta la crisi del gramscismo si manife-st anche nella cultura letteraria. La fondazione delGruppo 63 metteva in crisi lideologia del neorealismo,che aveva ampiamente dominato la vita artistica nazionalee che aveva legami con il gramscismo. Del Gruppo 63 fa-ceva parte Umberto Eco, che aveva studiato a Torino equi si era laureato con Pareyson. Eco ne aveva ereditatogli interessi estetici e come lui aveva utilizzato lesteticasoprattutto per costruire una filosofia. Si trattava di unafilosofia al centro della quale stava lopera darte intesacome opera aperta, cio come oggetto di infinite in-terpretazioni possibili e di interpretazioni di interpreta-zioni. Erano cose che avevano detto Pareyson e primadi lui Guzzo per rivendicare il primato di forme di esi-stenza spirituali e di forme di conoscenza diverse daquella empirica. Eco riprese queste idee: occupandosiprima di teoria dellinformazione e poi di semiologia,sostenne che anche le cose sono soltanto termini finalidi processi semiologici e cerc di ricondurre allinterpre-tazione le diverse forme di conoscenza e di esperienza.

    Comera abitudine in quel periodo Eco, dopo averdato un taglio liberale alle proprie idee, civett nonpoco con il marxismo popolare che si stava diffondendo

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    nella cultura italiana. Ma i temi che aveva ripreso dallefilosofie di Guzzo e di Pareyson furono riproposti inchiave diversa dopo lassimilazione di Verit e metodo,che Hans-Georg Gadamer aveva pubblicato nel 1960.Ricorrendo a Gadamer diventava possibile liberare ilconcetto di interpretazione dallapparato semiologico efare della tradizione loggetto privilegiato della cono-scenza. Ci permetteva di ricuperare la filosofia delles-sere heideggeriana, aprendo, attraverso linterpretazione,una via verso lessere, che Heidegger aveva finito con ilrendere inaccessibile. La scuola di Pareyson fu uno deiprimi luoghi nei quali lermeneutica gadameriana fu ac-colta in Italia, tanto che nel 1971 lo stesso Pareyson nedar una propria versione in Verit e interpretazione.

    Linterpretazione gadameriana di Heidegger permette-va di tagliare i ponti con la versione esistenzialistica del-la sua filosofia e di ricuperare la filosofia dellessere, maanche di uscire dalle discussioni centrate intorno a Sar-tre e al rapporto tra Heidegger e Husserl. Nelle filosofiedi questo tipo continuava ad agire la preoccupazione direndere possibile limpegno politico e di formulare pro-getti di modificazione globale della societ, in sintoniacon le ideologie marxiane totalizzanti che si erano diffu-se dopo la crisi del gramscismo. Ma Pareyson prendevaduramente posizione anche contro la cultura dellimpe-gno politico moderato teorizzato da Bobbio e ripresonel neoilluminismo. Erano tutte forme di quello che Pa-reyson chiamava pampoliticismo, manifestazione estre-ma della filosofia espressiva, che dipende dalle situa-zioni nelle quali nasce e ne soltanto un sintomo.Quella che Pareyson costruiva pretendeva di essere unafilosofia rivelativa perch si configurava come inter-pretazione dellessere.

    Lestetica di Pareyson non ebbe continuatori n lasua ermeneutica dai toni cupi e minacciosi ebbe moltosuccesso, ma nella sua scuola si prepar la filosofia chedoveva succedere alle ideologie totalizzanti. Quando sirivel impraticabile la costruzione di un sapere nuovo,capace di sostituire il sapere tecnico-scientifico, si prefe-

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    r costruire una critica della civilt tecnologica. Alla finedegli anni sessanta Torino divent uno dei primi luoghinei quali si manifest la protesta giovanile che avrebbescosso non solo lItalia e che avrebbe segnato severa-mente il marxismo, facendo saltare lidea che la rivolu-zione fosse la figlia naturale dello sviluppo. Del restoproprio a Torino prima il gruppo raccolto intorno aiQuaderni rossi, al quale non erano estranei giovaniusciti dalla scuola filosofica accademica, aveva propostouninterpretazione dura del marxismo, poi il movimentodi Lotta continua avrebbe avuto un sguito largo. Manei movimenti giovanili ogni richiamo ai limiti reali par-ve arbitrario e il bisogno di irrealt fu molto forte. Lascuola di Pareyson fu, in Italia, uno dei luoghi nei qualisi prepar una risposta a quel bisogno. Il primato con-ferito allarte e, in filosofia, allestetica lasciava intrevve-dere unontologia nella quale le cose erano sostituite daopere, cio da oggetti non di conoscenza, ma di inter-pretazione. Dando una riformulazione semiotica del-lestetica, Eco aveva ricuperato esperienze francesi eamericane e aveva condotto unefficace propaganda delprimato dellarte. Ma sulla scorta dellermeneutica e del-la filosofia dellessere quelle posizioni furono generaliz-zate, e Gianni Vattimo deline uninterpretazione del-lessere come qualcosa di leggero, discontinuo e, in fon-do, benigno. Lesistenza reale, quella delle cose, venivaprivata di ogni consistenza e avvicinata al nulla. Il nichi-lismo esistenzialistico, che la tradizione italiana avevasempre evitato, si ripresent come rifiuto o trasfigurazio-ne della modernit. Il grande annuncio che percorsetutte le culture occidentali fu che let moderna era fini-ta, e con essa tutte le sue durezze, che la repressione ad-dizionale per dirla con Marcuse era finita.

    7. Leggende e immagini

    Dopo la guerra la filosofia torinese era rimasta quasidel tutto estranea al dibattito sul marxismo che stava

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    coinvolgendo gran parte della cultura filosofica italiana.Il marxismo non ebbe rappresentanti torinesi di grandestatura e fu elaborato pi a Milano, Firenze, Pisa, Romao Bari che a Torino, nonostante che qui operasse uneditore come Einaudi, legato alla politica culturale dellasinistra. Idealismo cattolico ed esistenzialismo positivorifiutavano il primato dellideologia e della militanza po-litica; perfino chi, come Bobbio, giustificava limpegnopolitico degli intellettuali sembrava riprendere il proget-to fallito del Partito dazione, e comunque impersonavauna cultura piemontese sdegnosa e un po appartata,chiusa in un orgoglioso moralismo. Ma soprattutto ladiffidenza nei confronti delle ideologie e lattenzione perla conoscenza scientifica creavano intorno alla cultura fi-losofica torinese un senso di estraneit; e non mancchi favoleggiava sulla convergenza tra neoilluminismo ecultura industriale della Fiat.

    Quando gramscismo e materialismo dialettico preseroa declinare, luscita dal capitalismo risult illusoria e lesinistre apparvero incapaci di amministrarne leredit, sicerc di innestare sui resti del marxismo una mescolan-za di liberalismo e socialismo importata prevalentementedagli Stati Uniti; ma nonostante il fatto che Bobbio fos-se stato da sempre un rappresentante di prestigio dellatradizione liberal-socialista, questa impresa tocc Torinosoltanto di riflesso. Chi conduceva quellimpresa miravainfatti a eliminare i temi antimodernistici e antindustrialiche costituivano una parte importante del patrimoniodel marxismo, mentre proprio quei temi furono ripresi aTorino da filosofie che avevano radici nello spiritualismoe nellidealismo cattolico. Queste filosofie utilizzavanounimmagine della modernit non cos imbarazzantecome quella che aveva al proprio centro la rivoluzionescientifica e il capitalismo, e dalla quale si poteva uscireper entrare nellet postmoderna. Ci che lideologiaaveva promesso come frutto di rivoluzioni e violenze eraora a portata di mano, in fondo gi presente nella real-t, perch era stata let moderna classica a occultare lepossibilit utopiche, con le sue durezze, dovute allaffer-

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    marsi della razionalit tecnico-scientifica in un momentoche era ancora di scarsezza. Ma nellet del trionfo dellatecnica quelle restrizioni non erano pi necessarie. Perfi-no una certa eredit del neoilluminismo fu ricuperata:linterpretazione metodologica della scienza pot esserefacilmente conciliata con la riduzione della stessa cono-scenza scientifica a fatto essenzialmente letterario, af-frontabile con i canoni dellermeneutica. Ermeneutica efilosofia dellessere facevano dileguare il nucleo durodella cultura moderna, in nome di una visione del mon-do in cui tutto letteratura o quasi e in cui le cose per-dono solidit di fronte a un essere che si sottrae a ognitentativo di conoscenza.

    Il progetto di alleanza di cattolici e comunisti che eranato anche a Torino e che era stato perseguito da uo-mini politici importanti dei due schieramenti, si realiz-zato, favorito anche dalla crisi del partito cattolico uffi-ciale e del Partito comunista. E a Torino una cultura fi-losofica morbida e di buoni sentimenti, ampiamentepermeata dalle idee emerse con il sessantotto, diventa-ta un elemento comune degli eredi della filosofia cattoli-ca e della cultura di sinistra, dalla quale la filosofia ac-cademica si era sempre tenuta distante. Le antiche con-trapposizioni si sono dissolte. La casa editrice Einaudi,dopo una profonda crisi finanziaria, ha perduto del tut-to la propria funzione di luogo di elaborazione di idee.Da simbolo di un illuminismo severo nella critica deipregiudizi Bobbio diventato il rappresentante di unamoralit talvolta arcigna, ma largamente riconosciutanella societ cittadina: fattosi difensore delle idee di de-mocrazia e di sinistra politica, la sua adesione alla difesadella laicit, che era stato uno dei punti forti del pro-gramma del neoilluminismo, passata in secondo piano.

    Leredit del Centro di studi metodologici non haavuto sguito nella cultura cittadina, nella quale non si sviluppato un interesse significativo per la filosofia dellascienza, nonostante che Torino fosse stata la citt diPeano e nonostante vi avessero lavorato Pastore e Gey-monat. N la presenza di scienziati di prestigio nellUni-

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    versit e nel Politecnico ha stimolato una collaborazioneeffettiva tra loro e i filosofi. Semmai nella scuola di Pa-reyson si sono prese in considerazione le logiche non at-tinenti al linguaggio scientifico, dando una veste attualea quello che ai tempi di Guzzo si chiamava il primatodella logica trascendentale; e su questa base si impian-tata limportazione della filosofia analitica, acclimatatanello spiritualismo esistenzialistico locale attraverso il pa-rallelo tra Wittgenstein e Heidegger.

    Leredit del neoilluminismo e della filosofia di Ab-bagnano e Bobbio ha prodotto negli anni cinquanta esessanta imprese importanti in due direzioni: lestensionedei metodi rigorosi di analisi al linguaggio della storio-grafia e delle scienze sociali e lintroduzione nella cultu-ra italiana e nelle universit italiane delle scienze sociali.Si trattava di proposte che andavano in controtendenzarispetto alla cultura marxista e a quella cattolica e cheerano componenti fondamentali della filosofia laica,che allora aveva nella universit torinese uno dei mag-giori punti di forza. Questo tipo di cultura ha fortemen-te risentito della crisi vissuta dal paese con il sessantottoe in parte stata privata della sua possibilit di penetra-zione. Di fronte alla crescita della domanda di culturadiffusa essa si appartata e ha coltivato la propria spe-cializzazione professionale. La sua vocazione illuministicaa contribuire alledificazione di una societ laica si per allargata, inducendola a farsi strumento per la cri-tica e la demistificazione delle stesse credenze filosofi-che, via via che queste venivano utilizzate nella formepopolari di cultura e nella restaurazione di ideologie po-litiche in crisi. Questo stato anche lo sfondo sul qualesi collocata la produzione storiografica fiorita allascuola di Abbagnano. Abbagnano non era uno storicodi mestiere, ma aveva, anche per la costante avversioneallidealismo e allesistenzialismo spiritualistico, propostoun tipo di storiografia non convenzionale, soprattutto ri-spetto alla tradizione culturale italiana. Lo sviluppo sto-rico complessivo della filosofia non risultava pi domi-nato da figure come quelle di Aristotele o di Hegel, che

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    erano invece i personaggi di riferimento prima delle filo-sofie cattoliche o marxiste, poi dei filosofi dellessere edegli ermeneuti. N nella sua ricostruzione storiograficaaveva un posto centrale il Rinascimento, che la storio-grafia idealistica aveva continuato a considerare come lavera origine del mondo moderno. Il gusto per la rico-struzione delle strutture concettuali delle dottrine filoso-fiche e la tendenza a non condividere le scelte storiogra-fiche correnti ha dato vita a Torino a una cultura filoso-fica nella quale la storiografia utilizzata non comestrumento per la produzione di teorie filosofiche, maper far emergere ci che le dottrine filosofiche, soprat-tutto quelle pi popolari, tendono a nascondere. Cuna leggenda che circonda la citt, una leggenda attra-verso la quale spesso il resto del paese guarda a essa, edella quale sovente la stessa citt si compiace: una leg-genda che ne fa una citt isolata, corretta e glaciale,poco italiana, resistente agli entusiasmi. Forse sullosfondo si possono scorgere leredit dellantico stato mi-litare sabaudo, un Risorgimento diventato unaltra cosarispetto ai progetti originari, la perdita dello statuto dicapitale, una certa resistenza alla retorica del fascismo edei partiti di massa suoi eredi. Certamente c stata an-che la Torino dei movimenti operai, dei buoni senti-menti cristiani e socialisti, del leninismo di Gramsci edel moralismo di Gobetti. Una parte di queste cose passata nella Torino postmoderna e postideologica, so-cialista e cristiana. Ma una parte di distaccato orgogliointellettuale presente in alcune di quelle esperienze ri-tornato, o ha dato limpressione di essere ritornato, nelchiuso dellAccademia, tra gli scolari di un professore diformazione napoletana, quasi sempre isolato. Di forma-zione napoletana come il suo collega pi anziano che loaveva aiutato a venire su, come si diceva, e destinatientrambi a rompere un clima filosofico quieto, a restitu-ire alla citt due piccoli e opposti frammenti del suovolto.

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    Summary. The relation between academic philosophy and thewidespread town culture are inquired. Existentialism came out inTurin in the last thirties, and on the one hand it entered idealisticphilosophy, whereas on the other hand it helped to construct aphilosophical alternative to idealism. From the first perspective aform of catholic philosophy was born in Turin, which contributedto reconciliation between catholicism and Marxism. From the se-cond perspective existentialism, in a particular positive outlook,produced neoilluminismo, a philosophy quite outside the main Ita-lian philosophical culture.