Fiabe e Filastrocche italiane

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Lavoro eseguito dagli alunni della classe I sez.B 1

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Fiabe e Filastrocche italiane

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  • 1.Lavoro eseguito dagli alunni della classe I sez.B 1

2. Se amate fantasticare, se siete rimasti ancora un po' bambini, se nel vostro cuore c'e' ancora un po' di spazio per la fantasia e per la magia...., qui troverete fiabe di tutte le epoche e provenienti dallItalia. Potrete anche incontrare tanti amici, personaggi fantasticiche popolano il mondo della fantasia...... 2 3. La cavallina del NegromanteC'era una volta un pover'uomo rimasto vedovo,con un figlio chiamato Candido; egli possedevaper tutta fortuna un campicello e tre buoi.Candido, che era un bimbo sveglio eintelligente, giunti agli otto anni disse al padre:- Vorrei andare a scuola...- Non ho danaro sufficiente, figlio mio!- Vendete uno dei buoi.Il padre rest pensoso, poi si decise. Alla fieraseguente vendette uno dei buoi e col danaroricavato mand Candido alla scuola.Candido imparava rapidamente e i maestri erano sbigottiti della sua intelligenza. Quando seppe leggere e scrivere, decise di mettersi pel mondo alla ventura. Si vest d'un abito nero da un lato, bianco dall'altro e si mise in cammino. Per via incontr un signore a cavallo: - Dove vai, ragazzo mio? - A cercar lavoro. - Sai leggere? - Leggere e scrivere. - Allora non fai per me. -e il signore prosegu la via. Candido rest sbigottito, poi si tolse l'abito, lo vest a rovescio, corse attraverso i campi fino a trovarsi una seconda volta sulla strada dello sconosciuto; questi non lo riconobbe: - Dove vai, ragazzo mio? - A cercar lavoro. - Sai leggere? - N leggere n scrivere. - Sta bene. Sali in groppa, dietro di me. Candido sal sul cavallo dello sconosciuto e dopo molti giorni di cammino giunsero ad un castello circondato da mura altissime. Nessuno venne a riceverli; discesero nel cortile deserto e il signore condusse egli stesso il suo cavallo alla scuderia; poi disse a Candido: - Non vedrai qui dentro persona viva; ma non t'inquietare; avrai ogni cosa che ti talenta e un lauto stipendio. - Quali sono le mie incombenze, signoria? - Dovrai aver cura dei cavalli che ho nelle mie scuderie, non altro. Oggi devo partire per un viaggio lunghissimo, e non ritorner che fra un anno e un giorno: il mio castello nelle tue mani. Addio! Il barone part. 3 4. Candido, rimasto solo, curava diligentemente i cavalli. Quattro volte al giorno trovava la mensa imbandita nella vasta sala da pranzo, senza mai vedere anima viva n udir voce umana; mangiava, beveva, passeggiava per le sale e pel parco. Un giorno vide tra gli alberi trasparire una veste azzurra: era una fanciulla bellissima che fuggiva verso le scuderie. Candido la raggiunse e la principessa si rivolse a lui con volto supplichevole. - Sono uno dei cavalli che voi avete in custodia: un pomellato bianco, il terzo a destra di chi entra. Sono figlia del Re di Corelandia e il barone negromante m'ha cangiata in cavallo perch non lo volli per marito... Se il barone, al suo ritorno, sar contento dei vostri servigi, per ricompensarvi vi dir di scegliere uno dei cavalli; e voi scegliete me, non avrete a pentirvene. Candido promise e si diede a leggere i libri del barone e apprese i segreti della negromanzia. Dopo un anno il barone era di ritorno al castello. - Sono soddisfatto dei tuoi servigi, e poich l'anno passato, eccoti una borsa di monete d'oro. Vieni nelle scuderie, dove potrai sceglierti un cavallo pel tuo ritorno al paese. Scesero nelle scuderie e Candido, dopo aver finto qualche esitazione, indic il pomellato bianco. - Scelgo quello. - Come? Quella rozza? Non sei veramente buon intenditore; guarda i magnifici cavalli che le son vicini! - Mi piace quella e non ne voglio altri. - Sia pure disse il barone; e pens: Servo scaltro! Deve conoscere il mio segreto; ma lo sapr raggiungere a mezza via!. Candido prese la cavallina pomellata e part. Appena fuori del castello, essa riapparve nelle forme della principessa. - Grazie, amico mio. Ritorna presso tuo padre, ed io ritorno alla Corte di Corelandia, dove tu dovrai trovarti fra un anno e un giorno. E disparve. Candido si diresse al paese nato. Giunse dopo molti giorni alla capanna e si gett nelle braccia del padre, che stentava a riconoscerlo. - Siamo ricchi, padre mio, e bisogna goderci il nostro danaro! E gli present la borsa e incominciarono pei due giorni di felicit ed agiatezza. Ma, poich tutto ha una fine, anche il gruzzolo giunse all'ultimo scudo. - Figlio mio, siamo ritornati alla miseria di prima! Non inquietatevi! Domattina andremo alla fiera per vendere un magnifico cavallo. - Un cavallo? Dove lo posso prendere? - Poco importa: domattina l'avrete e ne riceverete trecento scudi; ma badate di non cedere la briglia al compratore. - La briglia si cede con la bestia - osserv il vecchio . - Non lasciate la briglia, vi ripeto, o mi esporrete ad un pericolo irreparabile. - Sta bene, la riporter a casa, bench non sia costume. 4 5. All'indomani il vecchio ud nitrire alla porta e vi trov un magnifico cavallo; ma cerc invano suo figlio perch l'accompagnasse: Mi avr forse gi preceduto al mercato. E si mise in cammino. Giunto in paese non trov suo figlio e fu circondato subito dai compratori. - Bello il vostro cavallo. Quanto volete? - Trecento scudi e la briglia per me. - Facciamo duecentocinquanta. - Non cedo d'un soldo! S'avanz un mercante sconosciuto dai capelli rossi e dagli occhi di brace (era il barone travestito) che fece l'offerta: - caro. Ma la bestia mi piace e non mercanteggio. Datemi la briglia ch'io lo possa condurre. - La briglia non la cedo a nessun patto. - Allora non ne facciamo nulla. E lo sconosciuto s'allontan minaccioso. Il cavallo fu venduto a un carrettiere che non pretese la briglia; condusse la bestia per la criniera e la chiuse con altri cavalli nella sua scuderia. Ma all'alba il cavallo non c'era pi. Era Candido che, grazie ai segreti appresi nei libri magici, s'era trasformato in cavallo, poi in uomo ancora, per ritornarsene dal padre. Padre e figlio godettero i trecento scudi e vissero lieti per molti giorni. Giunti all'ultima moneta, Candido disse: - Non c' pi danaro. L'altra volta mi trasformai in cavallo nero, domattina mi trasformer in cavallo bianco e mi porterete al mercato; ma badate bene di non cedere la briglia, o tutto finito per me. All'alba il vecchio sent nitrire nel cortile, e vide un cavallo bellissimo, candido come la neve. Lo prese per la briglia e si diresse al mercato. I compratori circondarono la bestia; s'avanz il mercante sconosciuto, dai capelli rossi e dagli occhi fiammeggianti. - Bella bestia, la vostra; quanto volete? - Cinquecento scudi. - Sono troppi. Ma ve li do. Lasciatemela prima provare. E lo sconosciuto sal in sella, cacci gli speroni nei fianchi della bestia che fugg di galoppo, lasciando il povero vecchio senza cavallo e senza briglia. Giunto dinanzi a un maniscalco lo sconosciuto scese di groppa, entr nella fucina: - Maniscalco, il mio cavallo non ferrato. Fategli all'istante quattro ferri di quattrocento libbre ciascuno. - Quattrocento libbre? Voi scherzate, signore! - Non scherzo, eseguite senza commenti e sarete ben pagato. Mentre il barone e l'uomo parlavano, il cavallo era stato legato ad un anello del muro. Alcuni bimbi gli furono intorno e presero a tormentarlo. - Staccatemi, bambini belli! - Un cavallo che parla! e i piccoli esultarono di gioia. - Che dice dunque? 5 6. - Dice di staccarlo. - S, staccatemi, bambini, e vi divertir con un bel giuoco. Il pi alto e il pi audace stacc il cavallo, che si convert subito in lepre e disparve nei campi. Il barone usc dalla fucina col maniscalco. - Dov' il mio cavallo? - S' mutato in lepre ed fuggito attraverso i campi. Il barone negromante si mut in cane e si precipit sulle sue tracce. Candido, incalzato da presso, si mut in airone e il negromante lo segu nell'aria sotto forma d'uno sparviero, e giunsero cos nella capitale della Corelandia; lo sparviero stava per ghermire l'airone quando questo si mut in un anello e infil il dito della principessa che sospirava alla finestra del castello. Il negromante riprese la sua forma umana e si present a palazzo per offrire le sue cure al Re, che era sofferente d'un morbo insanabile. - Prometto di guarirvi, Sire; ma ad un patto. - Domandate e qualsiasi pretesa vostra sar appagata. - Voglio l'anello d'oro che porta in dito vostra figlia. - Questo soltanto, volete? Io son disposto a ben altro! - Non domando altro, Maest. Intanto la principessa aveva chiuse le finestre e stava togliendosi gli anelli; quando si tolse quello d'oro le apparve Candido sorridente. - Oh Candido! Come siete qui? Candido narr i casi suoi: - Il negromante nel castello ed ha promesso a vostro padre di guarirlo a patto gli sia dato il vostro anello; voi acconsentite, ma nell'atto di passarlo al dito del negromante, lasciatelo cadere in terra e tutto andr per il meglio. La principessa promise. All'indomani il vecchio Re fece chiamare la figlia nella sala del trono e le present il negromante travestito da medico. - Figlia mia, questo medico famoso non domanda, per rendermi la salute, che il tuo anello d'oro. - Acconsento - disse la principessa, e fece atto di passare l'anello al dito del negromante, ma lo lasci cadere ad arte sul pavimento. L'anello si cangi in fava e il negromante in gallo, per inghiottirla, ma la fava si cangi in volpe e divor il gallo. Candido riprese la sua forma di prima, dinanzi a tutta la Corte sbigottita del prodigio. La principessa present al padre il suo liberatore e quel giorno stesso furono celebrate le nozze.di Guido Gozzano 6 7. Lacamiciadellatrisavola Un orfano detto Prataiolo, tardo e trasognato, era tenuto da tutti per un mentecatto. Prataiolo mendicava di porta in porta ed era accolto benevolmente dalle massaie e dalle fantesche, perch tagliava il legno, attingeva al pozzo; e quelle lo compensavano con una ciotola di minestra. Ma quando Prataiolo comp i diciott'anni, il vicinato cominci ad accoglierlo meno bene ed a rimproverargli il suo ozioso vagabondare. Tanto che egli decise di lasciare il paese e di mettersi pel mondo alla ventura. And a salutare la sua sorella di latte, Ciclamina, e questa gli disse: - Voglio darti una piccola cosa, per mio ricordo. Non sono ricca e non posso fare gran che. Aggiunger al tuo fardello una logora camicia della mia trisavola, che era negromante. Prataiolo non pot nascondere un sorriso di delusione. - Non sdegnare il mio dono, o Prataiolo. Ti sar pi utile che tu non pensi. Ti baster distendere la camicia per terra e comandare ci che vorrai: e ci che vorrai sar fatto. Prataiolo prese il dono, abbracci la sorella, e part. Verso sera sentiva appetito e trovandosi senza provviste e senza denaro, cominciava ad inquietarsi, perch aveva ben poca fiducia nella tela miracolosa. Volle provare, tuttavia; la distese in terra e mormor: - Camicia della trisavola, vorrei un pollo arrosto! Ed ecco disegnarsi a poco a poco l'ombra di un pollo, leggiera dapprima e trasparente, poi pi densa e concreta, solida e dorata come un pollo naturale. E un profumo delizioso si diffondeva intorno. Prataiolo non osava toccarlo, temendo un malefizio. Poi si chin, lo palp, ne strapp un'ala, la port alla bocca. Era un pollo autentico e squisito. Ordin allora una torta allo zibibbo, un piatto di pesche, una bottiglia di Cipro. E tutto si disegnava leggiero, si concretava a poco a poco sulla camicia miracolosa. Prataiolo mangiava tranquillo, seduto sull'erba, quando vide sulla strada maestra un mendicante che lo fissava muto e supplichevole. - Posso offrirti, compagno? 7 8. Il vecchio non si fece pregare e divise il banchetto con lui. Ma quando vide la comparsa meravigliosa delle portate, preg il ragazzo di donargli la tela magica. - Ti dar questo mio bastone in compenso. - E che vuoi che ne faccia? - Se tu sapessi la virt di questo mio bastone, accetteresti con gioia. Contiene mille piccole celle ed ogni cella racchiude un cavaliere armato e un cavallo bardato di tutto punto. Ogni volta che avrai bisogno d'aiuto ti baster comandare: Fuori l'armata!. Prataiolo aveva sempre sognato d'essere generale e non pot resistere a quella tentazione: accett il cambio e si mise in cammino. Ma dopo poche ore era gi pentito. - Ho fame e non ho pi la mia camicia! A che pu giovarmi un 'armata quando lo stomaco vuoto? L'appetito cresceva e per distrarsi egli punt in terra il bastone e comand: - Fuori l'armata! Ed ecco un frusco dal di dentro, poi aprirsi nel legno tante piccole finestre e da ogni finestra uscir fuori un cosino minuscolo come un'ape; poi crescere in pochi secondi, crescere, formare all'intorno una muraglia di cavalli scalpitanti e di cavalieri armati. Prataiolo guardava trasognato. - Che cosa comandate, signor generale? Egli ebbe un'idea. - Che mi sia riportata la camicia della trisavola! L'armata part di gran galoppo, sparve all'orizzonte, e poco dopo era di ritorno con la tela miracolosa. - L'armata rientri in caserma! ... Prataiolo punt il bastone in terra. Cavalli e cavalieri presero a rimpicciolire, in pochi secondi ritornarono minuscoli come api, rientrarono nelle cellette che si rinchiusero sul legno senza lasciar traccia. Prataiolo era felice. Riprese la via e giunse ad un mulino. Il mugnaio era sulla soglia e suonava il flauto: la moglie e i suoi nove figli danzavano intorno. Prataiolo sent che avvicinandosi gli cresceva una voglia irresistibile di muover le gambe; poi fu costretto da una forza ignorata a ballare con gli altri ballerini. Sentiva intanto la moglie del mugnaio che danzando gridava furibonda al marito: - Basta! Basta! Uomo senza cuore! Dacci del pane invece che costringerci a ballare! Poi rivolgendosi a Prataiolo che ballava con loro: - Vedete? Questo mascalzone di marito, quando lo si prega di sfamarci, prende il suo flauto dannato e ci costringe a ballare! Il mugnaio, quando gli piacque, smise di suonare e la moglie, i figli, Prataiolo caddero sfiniti dalla ridda vertiginosa. Prataiolo, riprese le forze, distese la camicia della trisavola e comand un pranzo magnifico. Invit il mugnaio e la sua famiglia sbigottita a dividere il pasto. Quelli non si fecero pregare, e giunti alle frutta il mugnaio disse: 8 9. - Cedimi la camicia ed io ti do il mio flauto. Prataiolo accett il cambio, gi sicuro di ci che doveva fare poco dopo. Giunto, infatti, a dieci miglia dal paese, sped i mille cavalieri che gli riportarono la tela. - Ed eccomi ora possessore della camicia, del bastone, del flauto magico... Non posso desiderare di pi. Arriv verso sera in una citt e vide grandi annunci a vivi colori. Si accordava la mano della figlia del Re a chi sapeva guarirla della sua insanabile malinconia. Prataiolo si present subito alla Reggia. Il Re dava quella sera un banchetto di gala agli ambasciatori del Gran Sultano, ma, udita la profferta dello sconosciuto, lo fece passare all'istante. Prataiolo entr nella sala immensa, e fu abbagliato dallo sfolgorio degli ori e delle gemme. Sedevano a mensa pi di cinquecento persone, con a capo il Re, la Regina e la Principessa, bella ed assorta, pallida come un giglio. Prataiolo fece legare da un servo le gambe della Principessa, senza che i commensali se n'avvedessero, poi si rifugi in un angolo e cominci le prime note. Ed ecco un agitarsi improvviso fra i commensali, un fremere di gambe e di ginocchia... Poi tutti s'alzano d'improvviso, scostano le sedie, cominciano a ballare guardandosi l'un l'altro, spaventati. Principi, baroni, ambasciatori panciuti, baronesse pingui e venerabili, servi e coppieri, e financo i veltri, i pavoni, i fagiani farciti nei piatti d'oro, tutti si animarono, cominciarono a ballare la danza irresistibile. - Basta! Basta! Per piet! - gridavano i pi vecchi e i pi pingui. - Avanti! Avanti ancora! - dicevano i pi giovani, tenendosi per mano. La Principessa, legata alla sua sedia, tentava anch'essa d'alzarsi e guardava gli altri, e rideva giubilante. Quando piacque a Prataiolo, il suono cess e i cinquecento ballerini caddero sfiniti sulle sedie e sui tappeti, le dame senza scarpette e senza parrucca. La Principessa rise per un'ora e quando pot parlare disse al Re: - Padre mio, costui mi ha risanata ed io sono la sua sposa. Il Re acconsent, ma Prataiolo esitava. - Ho lasciata al paese la mia sorella di latte, bella come il sole e alla quale devo la mia fortuna; vorrei farvela conoscere. - Partite, dunque, e portatela fra noi - dissero i commensali. I mille cavalieri comparvero, occupando la sala immensa, fra lo stupore generale. - Mi sia portata Ciclamina, la mia piccola sorella . E l'armata attravers la Reggia, le sale, gli scaloni, con gran fragore. Poco dopo era di ritorno con la sorella Ciclamina. La fanciulla fu trovata cos bella, che un ambasciatore se ne innamor all'istante. E in uno stesso giorno furono celebrate le doppie nozze9 10. di Guido GozzanoLa danza degli gnomiQuando l'alba si levava,si levava in sulla sera,quando il passero parlavac'era, allora, c'era... c'era...... una vedova maritata ad un vedovo. E ilvedovo aveva una figlia della sua primamoglie e la vedova aveva una figlia del suoprimo marito. La figlia del vedovo si chiamavaSerena, la figlia della vedova si chiamavaGordiana.la matrigna odiava Serena ch'era bella ebuona e concedeva ogni cosa a Gordiana,brutta e perversa.La famiglia abitava un castello principesco, atre miglia dal villaggio, e la stradaattraversava un crocevia, tra i faggi millenaridi un bosco; nelle notti di plenilunio i piccoli gnomi vi danzavano in tondo e facevano beffe terribili ai viaggiatori notturni. La matrigna che sapeva questo, una domenica sera, dopo cena, disse alla figlia: - Serena, ho dimenticato il mio libro di preghiere nella chiesa del villaggio: vammelo a cercare. - Mamma, perdonate... notte. - C' la luna pi chiara del sole! - Mamma, ho paura! Andr domattina all'alba... - Ti ripeto d'andare! - replic la matrigna. - Mamma, lasciate venire Gordiana con me... - Gordiana resta qui a tenermi compagnia. E tu va'! Serena tacque rassegnata e si pose in cammino. Giunse nel bosco e rallent il passo, premendosi lo scapolare sul petto, con le due mani. Ed ecco apparire fra gli alberi il crocevia spazioso, illuminato dalla luna piena. E gli gnomi danzavano in mezzo alla strada. Serena li osserv fra i tronchi, trattenendo il respiro. Erano gobbi e sciancati come vecchietti, piccoli come fanciulli, avevano barbe lunghe e rossigne, giubbini buffi, rossi e verdi, e cappucci fantastici. Danzavano in tondo, con una cantilena stridula accompagnata dal grido degli uccelli notturni. Serena allibiva al pensiero di passare fra loro; eppure non c'era altra via e non poteva ritornare indietro senza il libro della matrigna. Fece violenza al tremito che la scuoteva, e s'avanz con passo tranquillo. 10 11. Appena la videro, gli gnomi verdi si separarono da quelli rossi e fecero ala ai lati della strada, come per darle il passo. E quando la bimba si trov fra loro la chiusero in cerchio, danzando. E uno gnomo le porse un fungo e una felce. - Bella bimba, danza con noi! - Volentieri, se questo pu farvi piacere... E Serena danz al chiaro della luna, con tanta grazia soave che gli gnomi si fermarono in cerchio, estatici ad ammirarla. - Oh! Che bella graziosa bambina! - disse uno gnomo. Un secondo disse: - Ch'ella divenga della met pi bella e pi graziosa ancora. Disse un terzo: - Oh! Che bimba soave e buona! Un quarto disse: - Ch'ella divenga della met pi ancora bella e soave! Disse un quinto: - E che una perla le cada dall'orecchio sinistro ad ogni parola della sua bocca. Un sesto disse: - E che si converta in oro ogni cosa ch'ella vorr. - Cos sia! Cos sia! Cos sia!... - gridarono tutti con voce lieta e crepitante. Ripresero la danza vertiginosa, tenendosi per mano, poi spezzarono il cerchio e disparvero. Serena prosegu il cammino, giunse al villaggio e fece alzare il sacrestano perch la chiesa era chiusa. Ed ecco che ad ogni parola una perla le usciva dall'orecchio sinistro, le rimbalzava sulla spalla e cadeva per terra. Il sagrestano si mise a raccoglierle nella palma della mano. Serena ebbe il libro e ritorn al castello paterno. La matrigna la guard stupita. Serena splendeva di una bellezza mai veduta: - Non t' occorso nessun guaio, per via? - Nessuno, mamma. - E raccont esattamente ogni cosa. E ad ogni parola una perla le cadeva dall'orecchio sinistro. La matrigna si rodeva d'invidia. - E il mio libro di preghiere? - Eccolo, mamma. La logora rilegatura di cuoio e di rame s'era convertita in oro tempestato di brillanti. La matrigna trasecolava. Poi decise di tentare la stessa sorte per la figlia Gordiana. La domenica dopo, alla stessa ora, disse alla figlia di recarsi a prendere il libro nella chiesa del villaggio. - Cos sola? Di notte? Mamma, siete pazza? E Gordiana scroll le spalle. - Devi ubbidire, cara, e sar un gran bene per te, te lo prometto. - Andateci voi! Gordiana, non avvezza ad ubbidire, smani furibonda e la madre fu costretta a cacciarla con le busse, per deciderla a partire. Quando giunse al crocevia, inargentato dalla luna, i piccoli gnomi che 11 12. danzavano in tondo si divisero in due schiere ai lati dellastrada, poi la chiusero in cerchio; e uno si avanz porgendole ilfungo e la felce e invitandola garbatamente a danzare.- Io danzo con principi e con baroni: non danzo con brutti rospicome voi. E gett la felce e il fungo e tent di aprire la catena dei piccoli ballerini con pugni e con calci. - Che bimba brutta e deforme! - disse uno gnomo. Un secondo disse: - Ch'ella diventi della met pi ancora cattiva e villana. - E che sia gobba! - E che sia zoppa! - E che uno scorpione le esca dall'orecchio sinistro ad ogni parola della sua bocca. - E che si copra di bava ogni cosa ch'ella toccher. - Cos sia! Cos sia! Cos sia!... - gridarono tutti con voce irosa e crepitante. Ripresero la danza prendendosi per mano, poi spezzarono la catena e disparvero. Gordiana scroll le spalle, giunse alla chiesa, prese il libro e ritorn al castello. Quando la madre la vide di un urlo: - Gordiana, figlia mia! Chi t'ha conciata cos? - Voi, madre snaturata, che mi esponete alla mala ventura. E ad ogni parola, uno scorpione dalla coda forcuta le scendeva lungo la persona. Trasse il libro di tasca e lo diede alla madre; ma questa lo lasci cadere con un grido d'orrore. - Che schifezza! tutto lordo di bava! La madre era disperata di quella figlia zoppa e gobba, pi brutta e pi perversa di prima. E la condusse nelle sue stanze, affidandola alle cure di medici che s'adoprarono inutilmente per risanarla. Si era intanto sparsa pel mondo la fama della bellezza sfolgorante e della bont di Serena, e da tutte le parti giungevano richieste di principi e di baroni; ma la matrigna perversa si opponeva ad ogni partito. Il Re di Persegonia non si fid degli ambasciatori, e volle recarsi in persona al castello della bellezza famosa. Fu cos rapito dal fascino soave di Serena che fece all'istante richiesta della sua mano. La matrigna soffocava dalla bile; ma si mostr ossequiosa al re e lieta di quella fortuna. E gi macchinava in mente di sostituire a Serena la figlia Gordiana. Furono fissate le nozze per la settimana seguente. Il giorno dopo il Re mand alla fidanzata orecchini, smaniglie, monili di valore inestimabile. Giunse il corteo reale per prendere la fidanzata. La matrigna copr dei gioielli la figlia Gordiana e rinchiuse Serena in un cofano di cedro. Il Re scese dalla carrozza dorata e apr lo sportello per farvi salire la fidanzata. Gordiana aveva il volto coperto d'un velo fitto e restava muta alle dolci parole dello sposo. - Signora mia suocera, perch la sposa non mi risponde? - timida, Maest.12 13. - Eppure l'altro giorno fu cos garbata con me... - La solennit di questo giorno la rende muta... Il Re guardava con affetto la sposa. - Serena, scopritevi il volto, ch'io vi veda un solo istante! - Non possibile, Maest - interruppe la matrigna - il fresco della carrozza la sciuperebbe! Dopo le nozze si scoprir. il Re cominciava ad inquietarsi. Proseguirono verso la chiesa e gi la madre si rallegrava di veder giungere a compimento la sua frode perversa. Ma passando vicino ad un ruscello, Gordiana, smemorata ed impaziente, si protese dicendo: - Mamma, ho sete! Non aveva detto tre parole che tre scorpioni neri scesero correndo sulla veste di seta candida. Il Re e il suocero balzarono in piedi, inorriditi, e strapparono il velo alla sposa. Apparve il volto orribile e feroce di Gordiana. - Maest, queste due perfide volevano ingannarci. Il suocero e il Re fecero arrestare il corteo a mezza strada. Il Re sal a cavallo e volle ritornare, solo, di gran galoppo, al castello della fidanzata. Sal le scale e prese ad aggirarsi per le sale chiamando ad alta voce. - Serena! Serena! Dove siete? - Qui, Maest! - Dove? - Nel cofano di cedro! Il Re forz il cofano con la punta della spada e sollev il coperchio. Serena balz in piedi, pallida e bella. Il re la sollev fra le braccia, la pose sul suo cavallo e ritorn dove il corteo l'aspettava. Serena prese posto nella berlina reale, tra il padre e il fidanzato. Furono celebrate le nozze regali. Della matrigna e della figlia perversa, fuggite attraverso i boschi, non si ebbe pi alcuna novella.di Guido Gozzano 13 14. La fiaccoladeidesideriQuando in quella che fuggsettimana veritierasi cont tre Giovedc'era, allora, c'era... c'era...... un vecchio contadino che viveva in una povera capanna. Questo contadino aveva un figliuolo malaticcio, gobbo, distorto; e per colmo d'ironia questo figliuolo si chiamava Fortunato. Sui diciott'anni Fortunato decise di lasciare la capanna paterna e di mettersi alla ventura. Salut il padre, che lo bened piangendo; si fabbric un paio nuovissimo di grucce scolpite e prese la via di levante, attravers monti e pianure, pat la fame e la sete, in attesa sempre della fortuna. E la fortuna non veniva. Un giorno, sul crepuscolo, s'attard per un sentiero sconosciuto, in una foresta d'abeti. Camminava in fretta, per giungere prima di notte a qualche capanna dove riparare, e sentiva il cuore balzargli dal terrore alle prime grida degli uccelli notturni, al primo ululato dei lupi. Ad un tratto, tra la ramaglia e i tronchi diritti, gli parve di scorgere un chiarore tremulo: affrett il passo sulle stampelle, giunse ad una capanna di legno, picchi freddoloso. La porta si apr: una vecchietta minuscola, curva, canuta, grinzosa, apparve nel vano, al chiarore del focolare. - Buona donna, mi sono perduto; accoglietemi per carit. - Vieni avanti, figliuolo mio. Fortunato entr nel tepore della capanna. - Ti far parte della mia cena; ti accontenterai di quel poco. - Anche troppo, madre mia. Si sedettero al desco. La vecchia pose in mezzo un piattello ed una ciotola minuscola, con una briciola e due chicchi di riso. Fortunato la guardava stupito. Non aveva torto pensava tra s a dirmi che mi accontentassi del poco. Ma la vecchietta fece un segno imperioso con la mano destra: ed ecco la briciola crescere, crescere, prendere la forma d'un passero, d'un colombo, d'un pollo, d'un tacchino arrostito, dagli appetitosi riflessi d'oro. Ed ecco la ciotola crescere, convertirsi in una zuppiera elegante, dove fumigava una minestra dal soave profumo. Fortunato credeva di sognare. Mangi con appetito, meravigliato di sentire sotto i denti quei cibi creati dall'arte magica. E guardava di sott'occhi l'ospite misteriosa. 14 15. Dopo cena la vecchietta fece sedere Fortunato presso gli alari, sotto la cappa del camino, e gli si accoccol di contro. - Figliuolo, raccontami la tua storia. Fortunato le disse delle sue vicende e del suo vano pellegrinare in cerca di fortuna. - Aiutatemi voi, che dovete essere una fata potente. - Io non sono una fata potente e i miei incantesimi sono pochi... Ti giover confidandoti un segreto che tutti ignorano. Ti indicher la via che conduce al castello dei desider...All'alba del domani la vecchietta accompagn Fortunato attraverso iboschi, si ferm ad un crocevia, e gli indic la strada da scegliere.- Cammina tre giorni e tre notti senza voltarti indietro, qualunque cosatu senta. Da secoli nessuno osa affrontare il mistero di quelle mura.Picchierai con questa pietra alla gran porta, che s'aprir per incanto. Attraverserai cortili e stanze, androni e corridoi. Nell'ultima stanza troverai un vecchio addormentato in piedi, con il braccio teso, recante fra le dita un cero verde; quello il talismano che tu devi carpire e che esaudir ogni tuo desiderio. Bada che il castello pieno di frodi magiche e di orrori diabolici. Ma il negromante, i draghi, gli spiriti si addormenteranno dal mezzogiorno al tocco. Se tu ti fermassi scoccato il tocco, saresti perduto... Fortunato prese la pietra, ringrazi la vecchia e prosegu la strada sulle sue stampelle. Verso sera si sent chiamare alle spalle: - Fortunato! Fortunato! Fortunato! Non ricord l'avvertimento della vecchia e si volt. Ed eccolo ricondotto d'improvviso al punto donde era partito. - Pazienza, ricomincer. - Mi ammazzano! Aiuto! Giovine, per carit! Si volt impietosito, ed eccolo ricondotto al punto di partenza. Ebbe un moto d'ira, poi riprese pazientemente il cammino sulle sue stampelle. Cammin due giorni: al tramonto del secondo giorno sent un fragore d'armi, uno scalpito di cavalli; si volt impaurito ed eccolo ricondotto al crocevia di partenza. - Sono inganni che mi tende il negromante; ma sapr come fare. E si tur le orecchie con batuffoli di stoppa e prosegu tranquillo la strada, sordo ai richiami. Dopo tre giorni giunse al castello disabitato. Attese lo scoccare delle dodici e picchi con la pietra. La porta immensa, scolpita a disegni favolosi, s'apr per incanto. Fortunato indietreggi, inorridito. Aveva innanzi un cortile pieno di salamandre gigantesche, di rospi, di vipere, di scorpioni colossali. Ma tutti dormivano e Fortunato si fece animo, pass con le stampelle tra i dorsi viscidi, le code, le corazze, i tentacoli inerti. Attravers cortili, androni, corridoi, giunse ad una sala tutta coperta di monete d'argento: si chin e se ne emp le tasche. Giunse ad una seconda sala piena di monete d'oro: si chin, gett le monete15 16. d'argento e raccolse le monete d'oro. Giunse ad una terza sala, ingombra di alte piramidi di gemme: vuot le tasche dell'oro e le emp di brillanti. Attravers altri cortili, altri corridoi, giunse in un'ultima sala immensa ed oscura. Il negromante decrepito, dalla barba lunga e candida, dormiva in piedi, recando nella mano protesa il cero verde. Fortunato lo guardava stupito, guardava stupito le mille cose del laboratorio diabolico. Poi si sovvenne del tempo che passava, tolse il cero di mano al negromante, ritorn indietro di corsa, si smarr pei corridoi... Il tocco doveva essere imminente e s'egli non usciva prima, era perduto... Ritrov finalmente le sale dei diamanti, dell'oro, dell'argento, attravers il cortile delle belve addormentate, pass colle sue stampelle tra i dorsi e le code viscide, raggiunse la porta immensa. I battenti si rinchiusero alle sue spalle, con fragore sordo. Il tocco suon nell'istante. Un clamore spaventoso s'alz dietro le mura del castello: gracidii, urla roche e furenti; erano i mostri guardiani che s'accorgevano del furto. Ma Fortunato era salvo. Subito accese il cero e comand: - Mi sparisca la gobba, mi si raddrizzino le gambe! E la gobba disparve e le gambe si raddrizzarono. Fortunato gett via le grucce, spense il cero, perch consumava rapidamente, e si diresse alla citt. Giunse in citt a notte fatta, scelse un'altura spaziosa e vi comand un palazzo pi bello di quello reale. All'alba i cittadini guardarono trasecolati l'edificio meraviglioso, le sue torri, le logge, le scalee, i terrazzi, gli orti pensili fioriti in una sola notte. Fortunato stava ad un balcone, vestito da gran signore. Il Re, ch'era un tiranno malvagio, arse di sdegno e d'invidia per l'ignoto forestiero e gli mand un valletto intimandogli di recarsi a Corte. - Direte al Re che non m'inchino a nessuno. Se crede bene venga lui da me. Il Re fece decapitare il valletto che ritorn con tale risposta, e giur odio eterno al forestiero misterioso. Fortunato viveva la vita del gran signore, eclissando con lo sfoggio delle vesti, delle cavalcature, dei levrieri la magnificenza della Corte Reale. Gli bastava accendere pochi secondi il cero verde e subito ogni suo desiderio era appagato. Ma intanto il cero s'accorciava sempre pi e Fortunato cominciava ad inquietarsi e a diradare i comandi. E non era felice. Sentiva che una cosa gli mancava e non sapeva quale. Un giorno, cavalcando per la citt, vide ad una loggia della reggia la figlia unica del Re. La principessa sembrava sorridergli benevola, ma era circondata dalle dame e guardata a vista dai paggi e dai cavalieri. Il giorno dopo Fortunato pass ancora sotto la loggia e rivide la principessa fra 16 17. le sue donne accennargli un sorrisocompiacente.Fortunato s'innamor perdutamente di lei.Una sera di plenilunio egli stava sul pi altodei suoi giardini pensili, appoggiato aibalaustri che dominavano la citt.- Forse il cero potrebbe appagarmi anche inquesto... E medit a lungo come esprimere il suo desiderio. - Cero, bel cero, voglio che la principessa sia fatta invisibile e venga trasportata all'istante nel mio giardino. Fortunato attese col cuore che gli palpitava forte... Ed ecco apparire la figlia del Re, vestita di una tunica bianca e con le chiome scomposte. - Aiuto! Aiuto! Dove sono? Chi siete voi? La principessa tremava, folle di terrore. Si era sentita sollevare dal suo letto, trasportare a volo attraverso lo spazio. Fortunato s'inginocchi, baciandole il lembo della tunica. - Sono il cavaliere che passa ogni giorno sotto i vostri balconi, principessa, e se vi feci trasportare qui, non con fine malvagio, ma per potervi umilmente parlare -. E Fortunato le dichiar il suo amore e le disse che voleva presentarsi al Re per chiederla in isposa. - Non fate questo! Mio padre vi odia perch siete pi potente di lui. Se vi presentate vi farebbe uccidere all'istante. Dopo quella sera Fortunato faceva convenire sovente sui suoi terrazzi la principessa Nazzarena. Essa appariva al richiamo dello sposo, non pi pallida e tremante, ma sorridendo, improvvisa come un'apparizione celeste. Passeggiavano sotto i palmizi, fra le rose e i gelsomini, e guardavano la citt addormentata. All'alba Fortunato comandava al cero verde di trasportare la principessa nelle sue stanze e questa si ritrovava, pochi attimi dopo, nel suo letto d'alabastro. ma un'ancella malevola si era accorta di queste assenze notturne e rifer la cosa al Re. - Se non vero ti faccio appiccare - aveva detto il Sovrano minaccioso. - Sacra Corona, potete accertarvene con gli occhi vostri. La sera dopo il Re si nascose dietro i cortinaggi, spiando la figlia addormentata. Ed ecco, verso la mezzanotte, una voce remotissima che dice: - Cero, bel cero, portami Nazzarena! Ed ecco la figlia farsi invisibile e la finestra aprirsi per incantesimo. Il Re era furente. E quando all'alba Nazzarena riapparve dormendo nel suo letto, il padre l'afferr per le trecce d'oro: - Dove sei stata, disgraziata? - Nel mio letto. Ho dormito tutta notte, padre mio. Il Re si calm. - Allora si tratta di un malefizio che tu stessa ignori e che sapr bene scoprire. Si consigli con un negromante. Questi consult invano la sua scienza profonda.17 18. - Non c' che un solo espediente, Sacra Corona. Appendete alle vesti della principessa Nazzarena una borsa forata piena di farina: all'alba scopriremo la traccia del suo cammino. Con l'aiuto della fantesca fu appesa alla tunica notturna della principessa la borsa forata piena di farina. All'alba il Re arm tutto il suo esercito e con la spada in pugno segu la sottile traccia candida... E la traccia lo condusse al palazzo del forestiero misterioso. Irruppe nelle stanze di Fortunato che dormiva. Prima che questi potesse ricorrere al cero salvatore, lo fece legare, trasportare al palazzo reale, rinchiudere nei sotterranei, per decretarne la pena. Fu condannato a morte e il giorno del supplizio tutto il popolo s'accalcava sulla gran piazza. Ai balconi del palazzo reale stava tutta la Corte, col Re, la Regina, la principessa pallida e disperata. Fortunato sal tranquillo il palco del supplizio. Il carnefice gli disse: - Com' usanza nel regno, potete esprimere a Sua Maest un ultimo desiderio. - Chiedo soltanto mi sia recato un piccolo cero verde, che ho dimenticato a palazzo, in un cofano d'avorio. un caro ricordo e vorrei baciarlo prima di morire. - Gli sia concesso - disse il Re. Un valletto ritorn col cofano d'avorio e, fra l'attenzione di tutto il popolo, Fortunato trasse il cero verde, lo accese mormorando: - Cero, bel cero, che tutti i qui presenti, che tutti i sudditi del regno, eccezion fatta della principessa, sprofondino in terra fino al mento. Ed ecco la folla, la Corte, il Re, la regina, inabissarsi d'improvviso. La piazza e le vie della citt apparivano coperte di teste che stralunavano gli occhi e invocavano aiuto. Fortunato distinse fra le innumerevoli teste brune, bionde, calve, canute, la testa coronata del Re che rotava gli occhi a destra e a sinistra e ordinava imperiosamente d'essere dissepolto. Ma in tutto il regno non era rimasto in piedi un suddito solo! Fortunato prese Nazzarena al braccio e s'appress alla testa regale. - Maest, ho l'onore di chiedervi la mano della principessa Nazzarena. Il Re guard Fortunato con occhi irosi e non fece motto. - Se tacete, partir oggi stesso con lei e lascer voi e i vostri sudditi sepolti fino al mento. Il Re guard Fortunato, lo vide giovine e bello, pens che era pi potente di lui, e che sarebbe stato un buon successore. - Maest, vi chiedo la mano di Nazzarena. - Vi sia concessa - sospir il re. - Parola di Re? - parola di Re. Fortunato comand al cero il disseppellimento di tutti e tutti risorsero per incanto... E nel giorno stesso, invece della condanna feroce, furono celebrate le nozze. di Guido Gozzano 18 19. (Italo Calvino)IL CONTADINO ASTROLOGO C'era una volta un re che aveva perduto un anello prezioso. Cerca qua, cerca l, non si trova. Mise fuori un bando che se un astrologo gli sa dire dov', lo fa ricco per tutta la vita.C'era un contadino senza un soldo, che non sapeva n leggeren scrivere, e si chiamava Gmbara. "Sar tanto difficilefare l'astrologo? -si disse- Mi ci voglio provare". E and dalRe. Il Re lo prese in parola, e lo chiuse a studiare in una stanza. Nella stanza c'era solo un letto e un tavolo con un gran libraccio d'astrologia, e penna carta e calamaio. Gambara si sedette al tavolo e cominci a scartabellare il libro senza capirci niente e a farci dei segni con la penna. Siccome non sapeva scrivere, venivano fuori dei segni ben strani, e i servi che entravano due volte al giorno a portargl da mangiare, si fecero l'idea che fosse un astrologo molto sapiente. Questi servi erano stati loro a rubare l'anello, e con la coscienza sporca che avevano, quelle occhiatacce che loro rivolgeva Gambara ogni volta che entravano, per darsi aria d'uomo d'autorit, parevano loro occhiate di sospetto. Cominciarono ad aver paura d'essere scoperti e, non la finivano pi con le riverenze, le attenzioni: "Si, signor astrologo! Comandi, signor astrologo!" Gambara, che astrologo non era, ma contadino, e perci malizioso, subito aveva pensato che i servi dovessero saperne qualcosa dell'anello. E pens di farli cascare in un inganno. Un giorno, all'ora in cui gli portavano il pranzo, si nascose sotto il letto. Entr il primo dei servi e non vide nessuno. Di sotto il letto Gambara disse forte: - E uno!- il servo lasci il piatto e si ritir spaventato. Entr il secondo servo, e sent quella voce che pareva venisse di sotto terra: - E due! - e scapp via anche lui. Entr il terzo, - E tre! - I servi si consultarono: - Ormai siamo scoperti, se l'astrologo ci accusa al Re, siamo spacciati. Cosi decisero d'andare dall'astrologo e confessargli il furto. - Noi siamo povera gente, - gli fecero, - e se dite al Re quello che avete scoperto, siamo perduti. Eccovi questa borsa d'oro: vi preghiamo di non19 20. tradirci. Gambara prese la borsa e disse: - lo non vi tradir, per voi fate quel che vi dico. Prendete l'anello e fatelo inghiottire a quel tacchino che c' laggi in cortile. Poi lasciate fare a me. Il giorno dopo Gambara si present al Re e gli disse che dopo lunghi studi era riuscito a sapere dov'era l'anello. - E dov'? - L'ha inghiottito un tacchino. - Fu sventrato il tacchino e si trov l'anello. Il Re colm di ricchezze l'astrologo e diede un pranzo in suo onore, con tutti i Conti, i Marchesi, i Baroni e Grandi del Regno. Fra le tante pietanze fu portato in tavola un piatto di gamberi. Bisogna sapere che in quel paese non si conoscevano i gamberi e quella era la prima volta che se ne vedevano, regalo di un re d'altro paese. - Tu che sei astrologo, - disse il Re al contadino, - dovresti sapermi dire come si chiamano questi che sono qui nel piatto. Il poveretto di bestie cos non ne aveva maiviste n sentite nominare. E disse tra s, a mezza voce: - Ah, Gambara, Gambara sei finito male! Bravo! - disse il Re che non sapeva il vero nome del contadino. - Hai indovinato: quello il nome: gamberi! Sei il pi grande astrologo dei mondo. -(Italo Calvino) IL RE IN ASCOLTO Lo scettro va tenuto con la destra, diritto, guai se lo metti gi, e del resto non avresti dove posarlo, accanto al trono non ci sono tavolini o mensole o trespoli dove tenere, che so, un bicchiere, un posacenere un telefono; il trono isolato, alto su gradini stretti e ripidi, tutto quello che fai cascare rotola e non si trova pi.Guai se lo scettro ti sfugge di mano, dovresti alzarti, scendere dal trono per raccoglierlo, nessuno lo pu toccare tranne il re ; e non bello che un re si allunghi al suolo, per raggiungere lo scettro finito sotto un mobile, o la corona, che facile ti rotoli via dalla testa, se ti chini. 20 21. L'avambraccio puoi tenerlo appoggiato al bracciolo, cos non si stanca: parlo sempre della destra che impugna lo scettro; quanto alla sinistra resta libera; puoi grattarti se vuoi; alle volte il manto di ermellino trasmette un prurito al collo che si propaga gi per la schiena, per tutto il corpo.Anche il velluto del cuscino, scaldandosi, provoca una sensazione irritante alle natiche, alle cosce. Non farti scrupolo di cacciare le dita dove ti prude, di slacciare il cinturone con la fibbia dorata, di scostare il collare, le medaglie, le spalline con le frange. Sei Re, nessuno pu trovarci da ridire, ci mancherebbe anche questa.La testa devi tenerla immobile, non dimenticarti che la corona sta in bilico sul tuo cocuzzolo, non la puoi calzare sugli orecchi come un berretto in un giorno di vento; la corona culmina in una cupola pi voluminosa della base che la regge, il che vuol dire che ha un equilibrio instabile: se ti capita d'appisolarti, di adagiare il mento sul petto, finir per ruzzolare gi e andare in pezzi, perch fragile, specie nelle parti di filigrana d'oro incastonate di brillanti.Quando senti che sta per scivolare devi avere l'accortezza di correggere la sua posizione con piccole scosse del capo, ma devi stare attento a non tirarti su troppo vivamente per non farla urtare contro il baldacchino, che la sfiora coi suoi drappeggi.Insomma, devi mantenere quella compostezza regale che si suppone connaturata alla tua persona. Del resto, che bisogno avresti di darti tanto da fare? Sei re, tutto quello che desideri gi tuo. Basta che alzi un dito e ti portano da mangiare, da bere, gomma da masticare, stuzzicadenti, sigarette di ogni marca, tutto su un vassoio d'argento; quando ti prende il sonno il trono comodo, imbottito, ti basta socchiudere gli occhi e abbandonarti contro la spalliera, mantenendo in apparenza la posizione di sempre: che tu sia sveglio o addormentato non cambia nulla, nessuno se ne accorge...Insomma tutto stato predisposto per evitarti qualsiasi spostamento. non 21 22. avresti nulla da guadagnare, a muoverti, e tutto da perdere. Se t'alzi, set'allontani anche di pochi passi, se perdi di vista il trono anche per unattimo, chi ti garantisce che quando torni non ci trovi qualcun altro sedutosopra? Magari uno che ti somiglia, uguale identico. Va poi a dimostrare cheil re sei tu e non lui! Un re si distingue dal fatto che siede sul trono, cheporta la corona e lo scettro.Ora che questi attributi sono tuoi, meglio che non te ne stacchi nemmenoper un istante. C' il problema di sgranchirti le gambe, d'evitare il formicolio, l'irrigidirsidelle giunture: certo un grave inconveniente. Ma puoi sempre scalciare,sollevare i ginocchi, rannicchiarti sul trono, sederti alla turca,naturalmente per brevi periodi, quando le questioni di Stato lopermettono. Ogni sera vengono gli incaricati della lavatura dei piedi e ti tolgono glistivali per un quarto d'ora; alla mattina quelli del servizio deodorante tistrofinano le ascelle con batuffoli di cotone profumato. Insomma, il trono, una volta che sei stato incoronato, ti conviene starciseduto sopra senza muoverti, giorno e notte. Tutta la tua vita di prima non stata altro che l'attesa di diventare re; ora lo sei;non ti resta che regnare. E cos' regnare se non quest'altra lunga attesa?L'attesa del momento in cui sarai deposto, in cui dovrai lasciare il trono, lo scettro,la corona, la testa. (Italo Calvino) Il principe che spos una rana22 23. C'era una volta un Re che aveva tre figli in et da prendermoglie.Perch non sorgessero rivalit sulla scelta delle tre spose,disse:- Tirate con la fionda pi lontano che potete: dove cadr lapietra l prenderete moglie.I tre figli presero le fionde e tirarono.Il pi grande tir e la pietra arrivo sul tetto di un Forno edegli ebbe la fornaia.Il secondo tir e la pietra arriv alla casa di una tessitrice. Al pi piccino la pietra casc in un fosso. Appena tirato ognuno correva a portare l'anello alla fidanzata. Il pi grande trov una giovinotta bella soffice come una focaccia, il mezzano una pallidina, fina come un filo, e il pi piccino, guarda guarda in quel fosso, non ci trov che una rana. Tornarono dal Re a dire delle loro fidanzate. "Ora - disse il Re - chi ha la sposa migliore erediter il regno.Facciamo le prove"- e diede a ognuno della canapa perch gliela riportassero di l a tre giorni filata dalle fidanzate, per vedere chi filava meglio. I figli andarono delle fidanzate e si raccomandarono che filassero a puntino; e il pi piccolo tutto mortificato, con quella canapa in mano, se ne and sul ciglio del fosso e si mise a chiamare: - Rana, rana! - Chi mi chiama? -L'amor tuo che poco t'ama. - Se non m'ama , m'amer quando bella mi vedr. E la rana salto fuori dall'acqua su una foglia. Il figlio del Re le diede la canapa e disse che sarebbe ripassato a prenderla filata dopo tre giorni. Dopo tre giorni i fratelli maggiori corsero tutti ansiosi dalla fornaia e dalla tessitrice a ritirare la canapa. La fornaia aveva fatto un bel lavoro, ma la tessitrice - era il suo mestiere - l'aveva filata che pareva seta. E il pi piccino? And al fosso: - Rana, rana! - Chi mi chiama? - L'amor tuo che poco t'ama. - Se non m'ama , m'amer quando bella mi vedr. Salt su una foglia e aveva in bocca una noce. Lui si vergognava un po' di andare dal padre con una noce mentre i fratelli avevano portato la canapa filata; ma si fecero coraggio e and. Il Re che aveva gi guardato per dritto e per traverso il lavoro della fornaia e della tessitrice, aperse la noce del pi piccino, e intanto i fratelli sghignazzavano. Aperta la noce ne venne fuori una tela cos fina che pareva tela di ragno e tira tira, spiega spiega, non finiva mai , e tutta la sala del trono23 24. ne era invasa. "Ma questa tela non finisce mai!" disse il Re, E appena dette queste parole la tela fin. Il padre, a quest'idea che una rana diventasse regina, non voleva rassegnarsi. Erano nati tre cuccioli alla sua cagna da caccia preferita, e li diede ai tre figli: "Portateli alle vostre fidanzate e tornerete a prenderli tra un mese: chi l'avr allevato meglio sar regina". Dopo un mese si vide che il cane della fornaia era diventato un molosso grande e grosso, perch il pane non gli era mancato; quella della tessitrice, tenuto pi a stecchetto, era venuto un famelico mastino. Il pi piccino arriv con una cassettina, il Re aperse la cassettina e ne usc un barboncino infiocchettato, pettinato, profumato, che stava ritto sulle zampe di dietro e sapeva fare gli esercizi militari e far di conto. E il Re disse: "Non c' dubbio; sar re mio figlio minore e la rana sar regina". Furono stabilite le nozze, tutti e tre i fratelli lo stesso giorno. I fratelli maggiori andarono a prendere le spose con carrozze infiorate tirate da quattro cavalli, e le spose salirono tutte cariche di piume e di gioielli. Il pi piccino and al fosso, e la rana l'aspettava in una carrozza fatta d'una foglia di fico tirata da quattro lumache. Pres ero ad andare: lui andava avanti, e le lumache lo seguivano tirando la foglia con la rana. Ogni tanto si fermava ad aspettare, e una volta si addorment. Quando si svegli, gli s'era fermata davanti una carrozza d'oro, imbottita di velluto, con due cavalli bianchi e dentro c'era una ragazza bella come il sole con un abito verde smeraldo. "Chi siete?" disse il figlio minore. "Sono la rana", e siccome lui non ci voleva credere, la ragazza aperse uno scrigno dove c'era la foglia di fico, la pelle della rana e quattro gusci di lumaca."Ero una Principessa trasformata in rana, solo se un figlio di Re acconsentiva a sposarmi senza sapere che ero bella avrei ripreso la forma umana." Il Re fu tutto contento e ai figli maggiori che si rodevano d'invidia disse che chi non era neanche capace di scegliere la moglie non meritava la Corona. Re e regina diventarono il pi piccino e la sua sposa. di Italo Calvino24 25. Quando (il tempo non ricordo!)cani, gatti, topi a schieraben si misero d'accordoc'era, allora, c'era... c'era...u ... n orfano detto Prataiolo, tardo e trasognato, tenuto da tutti per un mentecatto. Prataiolo mendicava di porta in porta ed era accolto benevolmente dalle massaie e dalle fantesche, perch tagliava il legno, attingeva al pozzo; e quelle lo compensavano con una ciotola di minestra. Ma quando Prataiolo comp i diciott'anni, il vicinato cominci ad accoglierlo meno bene ed a rimproverargli il suo ozioso vagabondare. Tanto che egli decise di lasciare il paese e di mettersi pel mondo alla ventura. And a salutare la sua sorella di latte, Ciclamina, e questa gli disse: - Voglio darti una piccola cosa, per mio ricordo. Non sono ricca e non posso fare gran che. Aggiunger al tuo fardello una logora camicia della mia trisavola, che era negromante. Prataiolo non pot nascondere un sorriso di delusione. - Non sdegnare il mio dono, o Prataiolo. Ti sar pi utile che tu non pensi. Ti baster distendere la camicia per terra e comandare ci che vorrai: e ci che vorrai sar fatto. Prataiolo prese il dono, abbracci la sorella, e part Verso sera sentiva appetito e trovandosi senza provviste e senza denaro, cominciava ad inquietarsi, perch aveva ben poca fiducia nella tela miracolosa. Volle provare, tuttavia; la distese in terra e mormor: - Camicia della trisavola, vorrei un pollo arrosto! Ed ecco disegnarsi a poco a poco l'ombra di un pollo, leggiera dapprima e trasparente, poi pi densa e concreta, solida e dorata come un pollo naturale. E un profumo delizioso si diffondeva intorno. Prataiolo non osava toccarlo, temendo un malefizio. Poi si chin, lo palp, ne strapp un'ala, la port alla bocca. Era un pollo autentico e squisito. Ordin allora una torta allo zibibbo, un piatto di pesche, una bottiglia di Cipro. E tutto si disegnava leggiero, si concretava a poco a poco sulla camicia miracolosa. Prataiolo mangiava tranquillo, seduto sull'erba, quando vide sulla strada maestra un mendicante che lo fissava muto e supplichevole. - Posso offrirti, compagno? Il vecchio non si fece pregare e divise il banchetto con lui. Ma quando vide la comparsa meravigliosa delle portate, preg il ragazzo di donargli la tela magica. - Ti dar questo mio bastone in compenso. - E che vuoi che ne faccia? 25 26. - Se tu sapessi la virt di questo mio bastone, accetteresti con gioia. Contiene mille piccole celle ed ogni cella racchiude un cavaliere armato e un cavallo bardato di tutto punto. Ogni volta che avrai bisogno d'aiuto ti baster comandare: Fuori l'armata! Prataiolo aveva sempre sognato d'essere generale e non pot resistere a quella tentazione: accett il cambio e si mise in cammino. Ma dopo poche ore era gi pentito. - Ho fame e non ho pi la mia camicia! A che pu giovarmi un 'armata quando lo stomaco vuoto? L'appetito cresceva e per distrarsi egli punt in terra il bastone e comand: - Fuori l'armata! Ed ecco un fruscio dal di dentro, poi aprirsi nel legno tante piccole finestre e da ogni finestra uscir fuori un cosino minuscolo come un'ape; poi crescere in pochi secondi, crescere, formare all'intorno una muraglia di cavalli scalpitanti e di cavalieri armati. Prataiolo guardava trasognato. - Che cosa comandate, signor generale? Egli ebbe un'idea. - Che mi sia riportata la camicia della trisavola! L'armata part di gran galoppo, sparve all'orizzonte, e poco dopo era di ritorno con la tela miracolosa. - L'armata rientri in caserma! ... Prataiolo punt il bastone in terra. Cavalli e cavalieri presero a rimpicciolire, in pochi secondi ritornarono minuscoli come api, rientrarono nelle cellette che si rinchiusero sul legno senza lasciar traccia. Prataiolo era felice. Riprese la via e giunse ad un mulino. Il mugnaio era sulla soglia e suonava il flauto: la moglie e i suoi nove figli danzavano intorno. Prataiolo sent che avvicinandosi gli cresceva una voglia irresistibile di muover le gambe; poi fu costretto da una forza ignorata a ballare con gli altri ballerini. Sentiva intanto la moglie del mugnaio che danzando gridava furibonda al marito: - Basta! Basta! Uomo senza cuore! Dacci del pane invece che costringerci a ballare! Poi rivolgendosi a Prataiolo che ballava con loro: - Vedete? Questo mascalzone di marito, quando lo si prega di sfamarci, prende il suo flauto dannato e ci costringe a ballare! Il mugnaio, quando gli piacque, smise di suonare e la moglie, i figli, Prataiolo caddero sfiniti dalla ridda vertiginosa. Prataiolo, riprese le forze, distese la camicia della trisavola e comand un pranzo magnifico. Invit il mugnaio e la sua famiglia sbigottita a dividere il pasto. Quelli non si fecero pregare, e giunti alle frutta il mugnaio disse: - Cedimi la camicia ed io ti do il mio flauto. Prataiolo accett il cambio, gi sicuro di ci che doveva fare poco dopo. Giunto, infatti, a dieci miglia dal paese, sped i mille cavalieri che gli riportarono la tela. - Ed eccomi ora possessore della camicia, del bastone, del flauto magico... Non posso desiderare di pi. Arriv verso sera in una citt e vide grandi annunci a vivi colori. Si accordava la mano della figlia del Re a chi sapeva guarirla della sua insanabile malinconia. Prataiolo si present subito alla Reggia. Il Re dava quella sera un banchetto di gala agli ambasciatori del Gran Sultano, ma, udita la profferta dello sconosciuto, lo fece passare all'istante. Prataiolo entr nella sala immensa, e fu abbagliato dallo sfolgorio degli ori e delle gemme. Sedevano a mensa pi di cinquecento persone, con a capo il Re, la Regina e la Principessa, bella ed assorta, pallida come un giglio. Prataiolo fece legare da un servo le gambe della Principessa, senza che i commensali se n'avvedessero, poi si rifugi in un angolo e cominci le prime note. Ed ecco un agitarsi improvviso fra i commensali, un fremere di gambe e di ginocchia... Poi tutti s'alzano d'improvviso, scostano le26 27. sedie, cominciano a ballare guardandosi l'un l'altro, spaventati. Principi, baroni, ambasciatori panciuti, baronesse pingui e venerabili, servi e coppieri, e financo i veltri, i pavoni, i fagiani farciti nei piatti d'oro, tutti si animarono, cominciarono a ballare la danza irresistibile. - Basta! Basta! Per piet! - gridavano i pi vecchi e i pi pingui. - Avanti! Avanti ancora! - dicevano i pi giovani, tenendosi per mano. La Principessa, legata alla sua sedia, tentava anch'essa d'alzarsi e guardava gli altri, e rideva giubilante. Quando piacque a Prataiolo, il suono cess e i cinquecento ballerini caddero sfiniti sulle sedie e sui tappeti, le dame senza scarpette e senza parrucca. La Principessa rise per un'ora e quando pot parlare disse al Re: - Padre mio, costui mi ha risanata ed io sono la sua sposa. Il Re acconsent, ma Prataiolo esitava. - Ho lasciata al paese la mia sorella di latte, bella come il sole e alla quale devo la mia fortuna; vorrei farvela conoscere. - Partite, dunque, e portatela fra noi - dissero i commensali. I mille cavalieri comparvero, occupando la sala immensa, fra lo stupore generale. - Mi sia portata Ciclamina, la mia piccola sorella -. E l'armata attravers la Reggia, le sale, gli scaloni, con gran fragore. Poco dopo era di ritorno con la sorella Ciclamina. La fanciulla fu trovata cos bella, che un ambasciatore se ne innamor all'istante. E in uno stesso giorno furono celebrate le doppie nozze.La camicia dell'uomo contentoUn Re aveva un figlio unico e gli voleva bene come alla luce dei suoi occhi. Ma questo Principe erasempre scontento. Passava giornate intere affacciato al balcone, a guardare lontano. Ma cosa timanca? - gli chiedeva il Re. - Che cos'hai? Non lo so, padre mio, non lo so neanch'io. Sei innamorato? Se vuoi una qualche ragazza dimmelo, e te la far sposare, fosse la figlia del Re pi potente della terra o la pi povera contadina! No, padre, non sono innamorato.E il Re a riprovare tuttii modi per distrarlo! Teatri, balli, musiche, canti; ma nulla serviva, e dal viso del Principe di giorno ingiorno scompariva il color di rosa.Il Re mise fuori un editto, e da tutte le parti del mondo venne la gente pi istruita: filosofi, dottori e professori. Gli mostr il Principe e domand consiglio. Quelli siritirarono a pensare, poi tornarono dal Re. Maest, abbiamo pensato, abbiamo letto le stelle; ecco cosa dovete fare. Cercate un uomo che sia contento, ma contento in tutto e per tutto, e cambiate la camicia di vostro figlio con la sua.Quel giorno stesso, il Re mand gli ambasciatori per tutto il mondo a cercare l'uomo contento.Gli fu condotto un prete: - Sei contento? - gli domand il Re.- Io si,Maest!- Bene. Ci avresti piacere a diventare il mio vescovo?- Oh, magari, Maest! Va' via! Fuori diqua! Cerco un uomo felice e contento del suo stato; non uno che voglia star meglio di com'. E il Represe ad aspettare un altro. C'era un altro Re suo vicino, gli dissero, che era proprio felice e contento: aveva una moglie bella e buona, un mucchio di figli, aveva vinto tutti i nemici in guerra, e ilpaese stava in pace. Subito, il Re pieno di speranza mand gli ambasciatori a chiedergli la camicia.IlRe vicino ricevette gli ambasciatori, e: - Si, si, non mi manca nulla, peccato per che quando sihanno tante cose, poi si debba morire e lasciare tutto! Con questo pensiero, soffro tanto che non dormo alla notte!- E gli ambasciatori pensarono bene di tornarsene indietro.Per sfogare la sua disperazione, il Re and a caccia. Tir a una lepre e credeva d'averla presa, ma la lepre, zoppicando,scapp via. Il Re le tenne dietro, e s'allontan dal seguito. In mezzo ai campi, sent una voce d'uomo che cantava la falulella . Il Re si ferm: " Chi canta cosi non pu che essere contento! " e seguendo il canto s'infil in una vigna, e tra i filari vide un giovane che cantava potando le viti. - Buon di, Maest, - disse quel giovane. - Cos di buon'ora gi in campagna? - Benedetto te, vuoi che ti porti con me alla capitale? Sarai mio amico. - Ahi, ahi, Maest, no, non ci penso nemmeno, grazie. Non mi cambierei neanche col Papa.- Ma perch, tu, un cosi bel giovane... - Ma no, vi dico. Sono contento cos e basta. 27 28. " Finalmente un uomo felice! ", pens il Re. - Giovane, senti: devi farmi un piacere. - Se posso, con tutto il cuore, Maest. - Aspetta un momento, - e il Re, che non stava pi nella pelle dalla contentezza, corse a cercare il suo seguito: - Venite! Venite! Mio figlio salvo! Mio figlio salvo -. E li porta daquel giovane. - Benedetto giovane, - dice, - ti dar tutto quel che vuoi! Ma dammi, dammi... - Checosa, Maest? - Mio figlio sta per morire! Solo tu lo puoi salvare. Vieni qua, aspetta! - e lo afferra, comincia a sbottonargli la giacca. Tutt'a un tratto si ferma, gli cascano le braccia.L'uomo contentonon aveva camicia. La fiaba dei gatti- fiaba della Puglia - Una donna aveva una figlia e una figliastra, e questa figliastra la teneva come un ciuco da fatica, e un giorno la mand a cogliere cicorie. La ragazza va e va, e invece di cicoria trova un cavolfiore: un bel cavolfiore grosso grosso. Tira il cavolfiore, tira, tira, e quando lo sradic, in terra s'aperse come un pozzo. C'era una scaletta e lei discese. Trov una casa piena di gatti, tutti affaccendati. C'era un gatto che faceva il bucato, un gatto che tirava acqua da un pozzo, uno che cuciva, un gatto che rigovernava, un gatto che faceva il pane. La ragazza si fece dare la scopa da un gatto e l'aiut a spazzare, a un altro prese in mano i panni sporchi e l'aiut a lavare, all'altro ancora tir la corda del pozzo, e a uno inforn le pagnotte. A mezzogiorno venne fuori una gran gatta, che era la mamma di tutti i gatti, e suon la campanella: - Dalin, dalon! Dalin, dalon! Chi ha lavorato venga a mangiare, chi non ha lavorato venga a guardare! Dissero i gatti: - Mamma, abbiamo lavorato tutti, ma questa ragazza ha lavorato pi di noi. -Brava, - disse la gatta, - vieni e mangia con noi -. Si misero a tavola, la ragazza in mezzo ai gatti e Mamma Gatta le diede carne, maccheroni e un galletto arrosto; ai suoi figli invece diede solo fagioli. Ma alla ragazza dispiaceva di mangiare da sola e vedendo che i gatti avevano fame, spart con loro tutto quello che Mamma Gatta le dava. Quando si alzarono, la ragazza sparecchi tavola, sciacqu i piatti dei gatti, scop la stanza e mise in ordine. Poi disse alla Mamma Gatta: - Gatta mia, ora bisogna che me ne vada, se no mia mamma mi sgrida. Disse la gatta: - Aspetta, figlia mia, che voglio darti una cosa -. L sotto c'era un grande ripostiglio, da una parte era pieno di roba di seta, dalle vesti agli scarpini, dall'altra pieno di roba fatta in casa, gonnelle, giubbetti, grembiuli, fazzoletti di bambace, scarpe di vacchetta. Disse la gatta: - Scegli quel che vuoi. La povera ragazza che andava scalza e stracciata, disse: - Datemi un vestito fatto in casa, un paio di scarpe di vacchetta e un fazzoletto da mettere al collo. -No, - disse la gatta, - sei stata buona coi miei gattini e io ti voglio fare un bel regalo -. Prese il pi bell'abito di seta, un bel fazzoletto grande, un paio di scarpini di raso, la vesti e disse: - Ora che esci, nel muro ci sono certi pertugi; tu ficcaci le dita, e poi alza la testa in aria.28 29. La ragazza, quand usc, ficc le dita dentro quei buchi e tir fuori la mano tutta inanellata, un anello pi bello dell'altro in ogni dito. Alz il capo, e le cadde una stella in fronte. Torn a casa ornata come una sposa. Disse la matrigna: - E chi te le ha date tutte queste bellezze? - Mamma mia, ho trovato certi gattini, li ho aiutati a lavorare e m'hanno fatto dei regali, - e le raccont com'era andata. La madre, l'indomani, non vedeva l'ora di mandarci quella mangiapane di sua figlia. Le disse: - Va' figlia mia, cos avrai anche tu tutto come tua sorella. - Io non ne ho voglia, - diceva lei, da quella malallevata che era, - non ho voglia di camminare, fa freddo, voglio stare vicino al camino. Ma la madre la fece uscire a suon di bastonate. Quella ciondolona cammina cammina, trova il cavolfiore, lo tira, e scese dai gatti. Al primo che vide gli tir la coda, al secondo le orecchie, al terzo strapp i batti, a quello che cuciva sfil l'ago, a quello che tirava l'acqua butt il secchio nel pozzo: insomma non fece altro che dispetti per tutta la mattina, e loro miagolavano, miagolavano. A mezzogiorno, venne Mamma Gatta con la campanella: - Dalin, dalon! Dalin, dalon! Chi ha lavorato venga a mangiare, chi non ha lavorato venga a guardare! -Mamma, - dissero i gatti, - noi volevatno lavorare, ma questa ragazza ci ha tirato la coda, ci ha fatto un sacco di dispetti e non ci ha lasciato far niente! -Bene, - disse Matnma Gatta, - andiatno a tavola -. Alla ragazza diede una galletta d'orzo bagnata nell'aceto, e ai suoi gattini maccheroni e carne. Ma la ragazza non faceva altro che rubare il mangiare dei gatti. Quando s'alzarono da tavola, senza badare a sparecchiare n niente, disse a Mamma Gatta: - Be', adesso dammi la roba che hai dato a mia sorella. Mamma Gatta allora la fece entrare nel ripostiglio e le chiese cosa voleva. - Quella veste l che la pi bella! Quegli scarpini, che hanno i tacchi p alti! Allora, - disse la gatta, - spogliati e mettit questa roba di lana unta e bisunta e queste scarpe chiodate di vacchetta tutte scalcagnate -. Le annod un cencio di fazzoletto al collo e la conged dicendo: - Adesso vattene, e mentre esci, ficca le dita nei buchi e poi alza la testa in aria. La ragazza usc, ficc le dita nei buchi e le si attorcigliarono tanti lombrichi, e pi faceva per staccarseli, pi s'attorcigliavano. Alz il capo in aria e le cadde un sanguinaccio che le pendeva in bocca e lei doveva dargli sempre un morso perch s'accorciasse. Quando arriv a casa cos conciata, pi brutta di una scoppiettata, la mamma ne ebbe tanta rabbia che mor. E la ragazza a furia di mangiar sanguinaccio, mor lei pure. Mentre la sorellastra buona e laboriosa, se la spos un bel giovane. Cos stettero belli e contenti, drizza le orecchie che ancora li senti.La principessa bugiardaC'erano una volta un re e sua figlia. La ragazza era talmente bugiarda che non se ne trovava un'altracome lei in tutto il regno. Il padre decise che se avesse trovato un ragazzo in grado di farle dire la verit, egli avrebbe avuto la principessa in moglie e met del regno da governare. Il re volle che il suo messaggio arrivasse a tutti i ragazzidell'et di sua figlia. Mand in tutto il regno e anche fuori, dei soldati a cavallo chedovevano diffondere il bando. Da qual giorno in poi, furono centinaia i ragazzi che chiedevano udienza dal re per incontrare la principessa. Molti tentavano di cambiareil carattere della ragazza, ma nessuno ci riusciva. Un giorno arrivarono al regno trefratelli, con l'intento di conquistare la pricipessa e il regno. I due pi grandiprovarono a parlare con la ragazza, ma senza successo. Il pi giovane, che aspettavafuori dal castello, incontro' la principessa vicino alle stalle, mentre stava riportando la sua cavalla dopo una passeggiata. " Buongiorno" disse lui. " Buongiorno" rispose lei."Hai fatto un giro nella stalla? Hai visto che grandi tori abbiamo? Sai, ogni giorno mungiamo ettolitri di latte" disse lei. Allora lui le rispose: "Non sai che cosa mi 29 30. capitato qualche giorno fa. Mi sono arrampicato fin sulle nuvole, poi mi sono lasciato portare dal vento del Nord che mi ha fatto atterrare nella tana di una volpe. Ho raccontato all'animale che sarei venuto a trovarvi e lei mi ha raccontato che la tua mamma ha dato una botta in testa a tuo padre. Cos gli ha fatto cadere tutti i fichi chegli crescevano in testa". La principessa scosse la testa ed esclam: "Non e' vero! Mio padre non ha fichi in testa!". In questo modo, la ragazza disse la verita', in giovane vinse la scommessa, sposo' la principessa ed eredito' il regno. LE ARANCE D'OROCera una volta un re che possedeva un giardino con moltissimi alberi.Erano tutti belli, ma il piu pregiato era quello dalle arance d'oro. Il re controllava spesso che nessuno rubasse le arance, ma cera uncardellino che faceva addormentare chiunque facesse la guardia,anche il re in persona. Allora il re fece annunciare che avrebbe datouna ricompensa a chi gli avrebbe portato vivo o morto quel cardellino dispettoso. Un giorno, al castello, si presento un contadino, che volevala mano della principessa in cambio del cardellino . Il re non eradaccordo, ma accetto lo stesso. Quando il giovane torno col cardellino, il re pero'non mantenne la parola data , perche non volevaper genero uno zoticone. Il re comincio a fare i dispetti al cardellino,per farsi dire doverano nascoste le arance. "Sono nella grotta delle sette porte, custodite dal mercante col berretto rosso e bisogna sapere il motto, conosciuto solo dal mercante e dal contadino". Il re, allora,mando a chiamare il contadino e gli disse che in cambio del motto gliavrebbe dato in sposa sua figlia, la principessa. Il giovane che nonaspettava altro gli rivelo la frase: "Secca risecca! Apriti, Cecca". Il Re ando alla grotta e ci trovo molti diamanti grossi e bellissimi ed anchele arance d'oro. Ma uscito dalla grotta, dove il contadino lo stavaaspettando, di nuovo non mantenne la sua parola. Quando arrivo a palazzo al posto delle arance doro trovo arance marce e i diamanti erano diventati dei gusci di lumaca. Il re allora riprese a far dispetti al cardellino, che gli disse: "Per riavere le arance, devi conoscere un altromotto, e lo sanno due sole persone : il mercante e il contadino". Il re mando a chiamare il giovane contadino e gli propose un altro patto. Il contadino era molto innamorato della principessa e cosi accetto. Il refece molti viaggi alla grotta e torno piu volte coi sacchi colmi di arance d'oro, ma nemmeno questa volta mantenne la parola che aveva dato al giovane. Un giorno la principessa disse al re che avrebbe voluto tenere il cardellino nella sua stanza e fu accontentata, ma il cardellino smise di cantare. Spiego alla principessa che non cantava perche ilsuo padrone era sempre triste e piangeva pensando a lei. E aggiunseche il contadino era molto piu generoso e signore dello stesso Re . La principessa disse "Se e vero, va a chiamarlo che lo voglio sposare ".30 31. Ma una volta libero, il cardellino non ritorno' pi . Arrivo' invece unambasciatore del Re di Francia che la chiedeva in moglie, ma laprincipessa disse decisa che non voleva sposarsi e non cambio idea nemmeno quando il Re di Francia giunse al palazzo . Il re era moltoimbarazzato e il pretendente disse "Portate questo regalo alla principessa". Era una scatolina tutto d'oro e di brillanti, ma la principessa che piangeva sempre lo poso sul comodino senza neppureaprirlo. "Cardellino traditore, tu e il tuo padrone" si lamentava. "Nonsiamo traditori, ne io, ne il mio padrone", rispose il cardellino dallascatolina . Quando il re seppe chi era in realta il contadino, diede in dote alla figlia l'albero dalle arance d'oro. Il giorno dopo si celebraronole nozze e la principessa e il re di Francia vissero felici e contenti.31 32. Le Fate C'era una volta una vedova che aveva due figliuole. La maggiore somigliava tutta alla mamma, di lineamenti e di carattere, e chi vedeva lei, vedeva sua madre, tale e quale. Tutte e due erano tanto antipatiche e cos gonfie di superbia, che nessuno le voleva avvicinare. Viverci insieme poi, era impossibile addirittura. La pi giovane invece, per la dolcezza dei modi e per la bont del cuore, era tutta il ritratto del suo babbo... e tanto bella poi, tanto bella, che non si sarebbe trovata l'eguale. E naturalmente, poich ogni simile ama il suo simile, quella madre andava pazza per la figliuola maggiore; e sentiva per quell'altra un'avversione, una ripugnanza spaventevole. La faceva mangiare in cucina, e tutte le fatiche e i servizi di casa toccavano a lei. Fra le altre cose, bisognava che quella povera ragazza andasse due volte al giorno ad attingere acqua a una fontana distante pi d'un miglio e mezzo, e ne riportasse una brocca piena. Un giorno, mentre stava appunto l alla fonte, le apparve accanto una povera vecchia che la preg in carit di darle da bere."Ma volentieri, nonnina mia..." rispose la bella fanciulla "aspettate; vi sciacquola brocca..."E subito dette alla mezzina una bella risciacquata, la riemp di acqua fresca, egliela present sostenendola in alto con le sue proprie mani, affinch la vecchiarella bevesse con tutto il suo comodo. Quand'ebbe bevuto, disse la nonnina: "Tu sei tanto bella, quanto buona e quanto per benino, figliuola mia, che non posso fare a meno di lasciarti un dono". Quella era una Fata, che aveva preso la forma di una povera vecchia di campagna per vedere fin dove arrivava la bont della giovinetta. E continu: "Ti do per dono che ad ogni parola che pronunzierai ti esca di bocca o un fiore o una pietra preziosa"."Mamma, abbi pazienza, ti domando scusa...", disse la figliuola tutta umile, e intanto che parlava le uscirono di bocca due rose, due perle e due brillanti grossi. "Ma che roba questa!...", esclam la madre stupefatta, "sbaglio o tu sputi perle e brillanti!... O come mai, figlia mia?..." Era la prima volta in tutta la sua vita che la chiamava cos, e in tono affettuoso. La fanciulla raccont ingenuamente quel che le era accaduto alla fontana; e durante il racconto, figuratevi i rubini e i topazi che le caddero gi32 33. dalla bocca!"Oh, che fortuna...", disse lamadre, "bisogna che ci mandisubito anche quest'altra. Senti,Cecchina, guarda che cosa escedalla bocca della tua sorellaquando parla. Ti piacerebbeavere anche per te lo stessodono?... Basta che tu vada allafonte; e se una vecchia tichiede da bere, daglielo conbuona maniera.""E non ci mancherebbe altro!...", rispose quella sbadata. "Andare alla fontana ora!" "Ti dico che tu ci vada... e subito", grid la mamma. Brontol, brontol; ma brontolando prese la strada portando con s la pi bella fiasca d'argento che fosse in casa. La superbia, capite, e l'infingardaggine!... Appena arrivata alla fonte, eccoti apparire una gran signora vestita magnificamente, che le chiede un sorso d'acqua. Era la medesima Fata apparsa poco prima a quell'altra sorella; ma aveva preso l'aspetto e il vestiario di una principessa, per vedere fino a quale punto giungeva la malcreanza di quella pettegola. "O sta' a vedere...", rispose la superba, "che son venuta qui per dar da bere a voi!... Sicuro!... per abbeverare vostra Signora, non per altro!... Guardate, se avete sete, la fonte eccola l." "Avete poca educazione, ragazza...", rispose la Fata senza adirarsi punto, "e giacch siete cos sgarbata, vi do per dono che ad ogni parola pronunziata da voi vi esca di bocca un rospo o una serpe." Appena la mammina la vide tornare da lontano, le grid a piena gola: "Dunque, Cecchina, com' andata?". "Non mi seccate, mamma!...", replic la monella; e sput due vipere e due rospacci. "O Dio!... che vedo!...", esclam la madre. "La colpa deve essere tutta di tua sorella, ma me la pagher..." E si mosse per picchiarla. Quella povera figliuola fugg via di rincorsa e and a rifugiarsi nella foresta vicina. Il figliuolo del Re che ritornava da caccia la incontr per un viottolo, e vedendola cos bella, le domand che cosa faceva in quel luogo sola sola, e perch piangeva tanto. "La mamma...", disse lei, "m'ha mandato via di casa e mi voleva picchiare..." Il figliuolo del Re, che vide uscire da quella bocchina cinque o sei perle e altrettanti brillanti, la preg di raccontare come mai era possibile una cosa tanto meravigliosa. E la ragazza raccont per filo e per segno tutto quello che le era accaduto. Il Principe reale se ne innamor subito e considerando che il dono della Fata valeva pi di qualunque grossa dote che potesse avere un'altra donna, la condusse senz'altro al palazzo del Re suo padre e se la spos. Quell'altra sorella frattanto si fece talmente odiare da tutti, che sua madre 33 34. stessa la cacci via di casa; e la disgraziata dopo aver corso invano cercando chi acconsentisse a riceverla and a morire sul confine del bosco. MORALEGli smeraldi, le perle, ed i diamanti Abbaglian gli occhi col vivo splendore; Ma le dolci parole e i dolci pianti Hanno spesso pi forza e pi valore.ALTRA MORALELa cortesia che le bell'alme accende, Costa talora acerbi affanni e pene; Ma presto o tardi la virt risplende, E quando men ci pensa il premio ottiene. di Carlo Collodi La lepre d'argento34 35. Quando il filtro e la sortiera preparavano gl'incanti (ascoltate tutti quanti!) c'era, allora, c'era... c'era...... un principe chiamato Aquilino, che avevavent'anni e voleva condurre in moglie la pi bellaprincipessa del mondo. Pubblic un bando di nozzee giunsero centinaia di ritratti, ch'egli fece esporrenelle gallerie del castello; e l meditava sulle bellesorridenti dalle grandi cornici dorate.La scelta cadde su Nazzarena, principessa diBikara, e per mezzo ad ambasciatori furonoconcertate le nozze.Nel castello di Aquilino si fecero grandi preparativiper la cerimonia e all'alba del giorno sospirato il principe era gi sulla torre pi alta, alle vedette. Il corteo doveva giungere tra poco; tra poco avrebbe visto per la prima volta quella bellezza famosa. Ma il corteo non giungeva. Si vide apparire una sola carrozza e ne scese un vecchietto gobbuto e barbuto. - Io sono il Re di Bikara. E questa la mia figliuola Nazzarena che chiedete per moglie. La principessa era nana, pallida, vizza, per nulla rassomigliante al ritratto della scelta. Il vecchietto se n'avvide. - La stanchezza del viaggio e l'emozione l'hanno sfinita. Si rimetter e la ritroverete bella. Aquilino voleva disdire le nozze, ma la parola era data e bisognava mantenerla. Chiese che la cerimonia fosse rimandata di due giorni e ospit il vecchio e la figlia nel castello. Al mattino seguente, per distrarsi dallo sconcerto e dalla delusione, usc a caccia, solo, con una bella spingarda d'oro, costellata di gemme. Cammin per campi e prati, giunse in una foresta millenaria. Attraverso un sentiero gli apparve una lepre d'argento che brucava l'erba e lo guardava fisso, per nulla spaurita di lui. Il principe punt l'arma e fece fuoco. Ma il fumo del fuoco si dissip e la lepre riapparve al medesimo posto, incolume e tranquilla. Il principe s'avanz. La lepre fugg, si arrest dopo un tratto, fissandolo coi suoi calmi occhi umani. Aquilino spar ancora. Il fumo si dilegu e la lepre riapparve ancora calma ed intatta, seduta sulle sue zampe, un orecchio su e l'altro gi, con gli occhi supplichevoli, col muso palpitante, proteso verso di lui. Ma come il principe gett l'arme e s'avanz, essa di un balzo e disparve fra i tronchi degli abeti. Aquilino rest perplesso.35 36. Si trattava di un malefizio. S'appoggi al tronco d'un albero gigantesco, ripensando lo sguardo dolce della vittima invulnerabile. E gli parve di sentire dietro di s, dall'interno del tronco, una eco lontana di musiche e di voci; si volse, fece il giro dell'albero: nessuno. Si riappoggi al tronco. E riud il suono e le voci. Picchi la corteccia col pugno impaziente. La corteccia cigol, s'apr a due battenti, e al principe sbigottito apparve una scala abbagliante. Egli sal i primi scalini, trasognato, ud il colpo della porta che si chiudeva. Il palazzo era immenso. Le scale, gli atrii, i corridoi, le logge, le sale si succedevano senza fine, ricche di marmi, di porfido, di diaspro, di gemme. Aquilino s'avanzava trasognato. Si faceva notte e nessuno appariva nel palazzo incantato. Solo due mani lo precedevano: l'una recando una lucerna, l'altra facendogli segno di seguirla. Giunsero cos in una sala vastissima da pranzo; Aquilino si sedette a tavola. E le due mani cominciarono a recar cibi e vini prelibati. Egli guardava quelle due mani isolate, volanti, cercava di afferrarle quando le aveva vicine, ma quelle deponevano i piatti e guizzavano via come farfalle. Mangi, poi si sent prendere dal sonno, s'alz per andare a dormire. Le due mani lo precedettero in una camera di damasco vermiglio, gli fecero un gesto d'addio e d'augurio, disparvero. Egli si cacci fra le lenzuola fini, e si addorment. Sognava di riveder la principessa Nazzarena, non quella condotta dal gobbo barbuto, ma quale gli era apparsa nel quadro, bellissima e bionda. Quand'ecco uno schiamazzo lo svegli. Socchiuse gli occhi. La stanza era illuminata e molte paia di mani, eguali a quelle della sera prima, guizzavano, s'intrecciavano, accennando verso di lui. - A che giuoco si gioca? - Alla palla. - Giochiamo alla palla con quel tale che dorme? - Chi dorme? - L, nel letto, non lo vedete? E attraverso le ciglia socchiuse, il principe vide le mani avvicinarsi. Afferrarono le lenzuola e, tenendole tese agli orli, cominciarono a farlo sbalzare con risa rauche e sibili acuti. Egli teneva le ciglia chiuse, fingendo di dormire. - Non vuole svegliarsi! - Lo sveglieremo! Lo sveglieremo! E raddoppiarono la foga del gioco crudele. Al primo canto del gallo le mani lo sbalzarono nel letto e disparvero. Aquilino si palpava le ossa indolenzite, quando ud un fruscio e si vide accanto la lepre d'argento. Invece delle quattro zampe aveva due piedi e due mani bianchissime di donna. - Principe Aquilino, io sono la principessa Nazzarena, quella che il vostro cuore scelse per compagna. Quando giunsi col mio corteo nel bosco, un mago mi trasform, imprigionandomi con la mia gente in questo castello. Sar salva se36 37. passerete qui dentro tre notti simili a questa. Il mago quegli stesso che si present al vostro cospetto tentando di farvi sposare la sua nanerottola. La lepre disparve. Aquilino attese ansioso la seconda sera. Mangi, servito dalle due mani volanti, and a letto, s'addorment. Si svegli allo schiamazzo: molte mani lo ripresero dal letto, sollevarono le lenzuola, cominciarono il gioco, pi furenti della sera innanzi. - Non vuole svegliarsi! - Se non si sveglia siamo perduti!... Allora le mani lo sbalzarono un'ultima volta, appiccandolo a un chiodo delle travi. E disparvero sibilando. Aquilino apr gli occhi, vide la lepre d'argento. Aveva ormai tutto il corpo di donna; solo la testa restava di lepre e lo guardava con dolci occhi umani. - Povero principe! Soffrite per amor mio ancora una notte e saremo salvi. Giunse la terza notte. Riapparvero le mani pi furiose che mai. - Si gioca? - Giochiamo! - Ma questa notte dobbiamo finirlo! - Dobbiamo finirlo! E cominci il rimbalzello crudele. Aquilino giungeva al soffitto, picchiava, restava aderente come una tartina di pasta, ricadeva nel lenzuolo teso, rimbalzava ancora tra le risa infernali. E non apriva gli occhi per amor di Nazzarena. - Non si sveglia! Siamo perduti! - Siamo perduti! - l'alba! Siamo perduti! Le mani furibonde s'appressarono alla finestra, tesero le lenzuola, sbalzarono Aquilino ad un'altezza vertiginosa. Egli sal, sal, cadde per dieci minuti, picchi sull'erba, si tast le ossa peste, apr gli occhi, ancora vivo. Si trovava ai piedi dell'albero incantato. Presso di lui stava la sua vera fidanzata Nazzarena, bella di una bellezza mai pi vista. E aveva il suo seguito di carrozze, di dame, di cavalieri liberati con lei dal malefizio del mago. Il principe li condusse al suo castello, adun tutta la Corte nella sala del Gran Consiglio, fece condurre il gobbo barbuto e la figliuola laida, e rivoltosi ai ministri disse: - Avevo ordinato un cofano d'oro e di gemme; un malandrino me lo tolse strada facendo e lo sostitu con un altro di legno tarlato. Fortuna vuole che io ritrovi il primo. A quale dar la preferenza? - Al primo! - sentenzi la Corte. - E del ladro e del cofano tarlato che dovr farne? - Bruciarli sulla stessa catasta! Cos fu fatto. E la sentenza e le nozze ebbero luogo fra gli applausi di tutto il popolo.di Guido Gozzano37 38. Nevina e Fiordaprile Quando il sughero pesava e la pietra era leggera come il ricciolo dell'ava c'era, allora, c'era... c'era...... una principessa chiamata Nevina che viveva sola col padre Gennaio. Lass, nel candore perpetuo, abbagliante, inaccessibile agli uomini, il Re Gennaio preparava la neve con una chimica nota a lui solo; Nevina la modellava su piccole forme tolte dagli astri e dagli edelweiss, poi, quando la cornucopia era piena, la vuotava secondo il comando del padre ai quattro punti dell'orizzonte. E la neve si diffondeva sul mondo. Nevina era pallida e diafana, bella come le dee che non sono pi: le sue chiome erano appena bionde, d'un biondo imitato dalla Stella Polare, il suo volto, le sue mani avevano il candore della neve non ancora caduta, l'occhio era cerulo come l'azzurro dei ghiacciai. Nevina era triste. Nelle ore di tregua, quando la notte era serena e stellata e il padre Gennaio sospendeva l'opera per dormire nell'immensa barba fluente, Nevina s'appoggiava ai balaustri di ghiaccio, chiudeva il mento tra le mani e fissava l'orizzonte lontano, sognando. Una rondine ferita che valicava le montagne, per recarsi nelle terre del sole, era caduta nelle sue mani, che avevano tentato invano di confortarla; nei brividi dell'agonia la rondine aveva delirato, sospirando il mare, i fiori, i palmizi, la primavera senza fine. E Nevina da quel giorno sognava le terre non viste. Una notte decise di partire. Pass cauta sulla barba fluente di Gennaio, lasci il ghiaccio e la neve eterna, prese la via della valle, si trov fra gli abeti. Gli gnomi 38 39. che la vedevano passare diafana, fosforescente nelle tenebre della foresta, interrompevano le danze, sostavano cavalcioni sui rami, fissandola con occhi curiosi e ridarelli. - Nevina! - Nevina! Dove vai? - Nevina, danza con noi! - Nevina, non ci lasciare! E gli Spiritelli benigni le facevano ressa intorno, tentavano di arrestarle il passo abbracciandole con tutta forza la caviglia, cercavano di imprigionarle i piedi leggeri entro rami d'edera e di felce morta.Nevina sorrideva, sorda ai richiami affettuosi, toglievadalla cornucopia d'argento una falda di neve, ladiffondeva intorno, liberandosi dei piccoli compagni digioco. E proseguiva il cammino diafana, silenziosa, leggera come le dee che non sono pi. Giunse a valle, fu sulla grande strada. L' a r i a s i m i t i g a va . U n s e n s o d ' a f f a n n o o p p r i m e va i l c u o r e di Nevina; per respirare toglieva dalla cornucopia una falda di neve, la diffondeva intorno, ritrovava le forze e il respiro nell'aria fatta gelida subitamente. Prosegu rapida, percorse gran tratto di strada. Ad un crocevia sost in estasi, con gli occhi abbagliati. Le si apriva dinnanzi uno spazio ignoto, una distesa azzurra e senza fine, come un altro cielo tolto alla volta celeste, disteso in terra, trattenuto, agitato ai lembi da mani invisibili. Nevina prosegu sbigottita. La terra intorno mutava. Anemoni, garofani, mimose, violette, reseda, narcisi, giacinti, giunchiglie, gelsomini, tuberose, fin dove l'occhio giungeva, dal colle al mare, mal frenati dai muri e dalle siepi dei giardini, i fiori straripavano come un fiume di petali dove emergevano le case e gli alberi. Gli ulivi distendevano il loro velo d'argento, i palmizi svettavano diritti, eccelsi come dardi scagliati nell'azzurro. Nevina volgeva gli occhi estasiati sulle cose mai viste, dimenticava di diffondere la neve; poi l'affanno la riprendeva, toglieva una falda, si formava intorno una zona di fiocchi candidi e d'aria gelida che le ridava il respiro. E i fiori, gli ulivi, le palme guardavano pur essi con meraviglia la giovinetta diafana che trasvolava in un turbine niveo e rabbrividivano al suo passaggio. Un giovane bellissimo, dal giustacuore verde e violetto, apparve innanzi a Nevina, fissandola con occhi inquieti, vietandole il passo: - Chi sei?39 40. - Nevina sono. Figlia di Gennaio. - Ma non sai, dunque, che questo non il regno di tuo padre? Io sono Fiordaprile, e non t' lecito avanzare sulle mie terre. Ritorna al tuo ghiacciaio, pel bene tuo e pel mio! Nevina fissava il principe con occhi tanto supplici e dolci che Fiordaprile si sent commosso. - F i o r d a p r i l e , l as c i a m i ava n z a r e ! M i f e r m e r po c o. Vo g l i o toccare quella neve azzurra, verde, rossa, violetta che chiamate fiori, voglio immergere le mie dita in quel cielo capovolto che il mare! Fiordaprile la guard sorridendo; assent col capo: - Andiamo, dunque. Ti far vedere tutto il mio regno. Proseguirono insieme, tenendosi per mano, fissandosi negli occhi, estasiati e felici. Ma via via che Nevina avanzava, una zona bigia offuscava l'azzurro del cielo, un turbine di fiocchi candidi copriva i giardini meravigliosi. Passarono in un villaggio festante; contadini e contadine danzavano sotto i mandorli in fiore. Nevina volle che Fiordaprile la facesse danzare: entrarono in ballo; ma la brigata si disperse con un brivido, i suoni cessarono, l'aria si fece di gelo; e dal cielo fatto bigio cominciarono a scendere, con la neve odorosa dei mandorli, i petali gelidi della neve, la vera neve che Nevina diffondeva al suo passaggio. I due dovettero fuggire tra le querele irose della brigata.Giunti poco lungi, volsero il capo e videro il paese di nuovo festante sotto il cielo rifatto sereno... - Nevina, ti voglio sposare! - I tuoi sudditi non vorranno una regina che diffonde il gelo. - Non importa. La mia volont sar fatta. Avanzarono ancora, tenendosi per mano, fissandosi negli occhi, immemori e felici... Ma ad un tratto Nevina s 'arrest coprendosi di un pallore pi diafano. - Fiordaprile! Fiordaprile! ... Non ho pi neve! E tentava con le dita - invano - il fondo della cornucopia. - Fiordaprile! ... Mi sento morire! .. . Portami al confine... Fiordaprile!... Non reggo pi!... Nevina si piegava, veniva meno. Fiordaprile tent di sorreggerla, la prese fra le braccia, la port di peso, correndo verso la valle. - Nevina! Nevina! Nevina non rispondeva. Si faceva diafana pi ancora. Il suo volto prendeva la trasparenza iridata della bolla che sta per dileguare. - Nevina!40 41. Rispondi! Fiordaprile la copr col mantello di seta per difenderla dal sole ardente, prosegu correndo, arriv nella valle, per affidarla al vento di tramontana. Ma quando sollev il mantello Nevina non c'era pi. Fiordaprile si guard intorno smarrito, pallido, tremante. D o v ' e ra ? L' a v e va p e r d u t a p e r v i a ? A l z l e m a n i a l v o l t o, in atto disperato; poi il suo sguardo s'illumin. Vide Nevina dall'altra parte della valle che salutava con la mano protesa in un addio sorridente. Un suo vecchio precettore, il vento di tramontana, la sospingeva pei sentieri nevosi, verso il ghiaccio eterno, verso il regno inaccessibile del padre Gennaio.41 42. Ilpaesedove non simuore mai C'era una volta un giovane che, salutati i genitori e gli amici, part per cercare il paese dove non si muore mai. A tutti quelli che incontrava chiedeva: "Sapete dove si trova il paese in cui non si muore mai?". Ma nessuno sapeva rispondergli. Un giorn