Felici e credenti?

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ANNO XXX NUMERO 2 FEBBRAIO 2015 Felici e credenti? GMG diocesana di R. Pinto In Cattedrale un ciclo di meditazioni sulla Via Crucis di M. Vitale Ricordo dell’umanista Gaspare Caliendo di L. Mucerino Il dialogo sulla felicità tra il monaco di Bose, Luciano Manicardi, e il filosofo Salvatore Natoli, promosso dal Istituto Superiore di Scienze Religiose diocesano, ha offerto lo spunto per un numero dedicato al rapporto tra fede e felicità: cos’è la felicità per un cristiano?

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Mensile della Chiesa di Nola

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5 Felici e credenti?

GMG diocesanadi R. Pinto

In Cattedrale un ciclo di meditazioni sulla Via Crucisdi M. Vitale

Ricordo dell’umanista Gaspare Caliendodi L. Mucerino

Il dialogo sulla felicità tra il monaco di Bose, Luciano Manicardi,

e il filosofo Salvatore Natoli,promosso dal Istituto Superiore di Scienze Religiose diocesano,

ha offerto lo spunto per un numero dedicato al rapporto tra fede e felicità:

cos’è la felicità per un cristiano?

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mensile della Chiesa di Nola

in Dialogo mensile della Chiesa di NolaRedazione: via San Felice n.29 - 80035 Nola (Na)Autorizzazione del tribunale di Napoli n. 3393 del 7 marzo 1985Direttore responsabile: Marco IasevoliCondirettore: Luigi MucerinoIn redazione:Alfonso Lanzieri [333 20 42 148 [email protected]], Mariangela Parisi [333 38 57 085 [email protected]], Mariano Messinese, Antonio Averaimo, Vincenzo FormisanoStampa: Giannini Presservice via San Felice, 27 - 80035 Nola (Na)Chiuso in redazione il 24 febbraio 2015

RISChIARe L’ALtRodi Marco Iaevoli

Felicità è sentirsi vivi. Sape-re ricevere dalla quotidianità

gli stimoli che aiutano ancora a sognare e progettare e andare avanti.

Certamente, esser felici giorno per giorno è saper ricavare dal-le relazioni il senso che dà senso al vissuto intero. Senza relazioni significative, non c’è traccia né prospettiva di autentica felicità.

Semplice a dire. Difficilissi-mo da realizzare. Una bellissima canzone di qualche anno fa am-metteva, tra l’ironico e il rasse-gnato, che “essere felici per una vita intera sarebbe quasi insop-portabile”.

In effetti è così: non siamo nati per “non soffrire”, né per scan-sare dolori e problemi. Il nostro “fine” su questa terra non è co-struirsi ostinatamente una vita simile a un piano liscio dove la pallina corre sempre alla stessa immutabile velocità.

Sarebbe uno sforzo inutile e illusorio. E in ogni caso, non è l’”assenza di mali e problemi” che realizza la felicità. Anzi, ci sono esistenze che si snodano senza particolari difficoltà mate-riali e che pure non portano in sé nemmeno un segno dell’autenti-ca felicità.

E allora, che rapporto hanno

felicità e ordinarietà? L’impegno per realizzare tutte le condizioni materiali funzionali al benessere socio-economico genera felicità? No, è un fatto: i vuoti interiori sbriciolano ogni ricchezza. L’im-pegno ad avere una vita interio-re ricca genera felicità se non accompagnata da un minimo di condizioni materiali funzionali al vivere dignitoso? No, è un fatto pure questo: anche le persone più “belle” e “positive” si inaridi-scono senza lavoro, pane e casa. Le relazioni - solo le relazioni - sono la chiave che uniscono, equilibrano, compensano, valo-rizzano le tre dimensioni fonda-mentali della felicità: il rapporto con se stessi, il rapporto con Dio e le cose ultime, il rapporto con il contesto che ci circonda.

Se ci lasciamo circondare di “bene”, e non di “beni”, la feli-cità diventa carne attraverso gli

sguardi, l’abbraccio, le lacrime dell’altro.

Se ci lasciamo amare, le feri-te possono diventare feritoie, e aprire il varco alla speranza.

Se, nonostante le difficoltà e gli affanni della vita di ogni giorno, riusciamo ancora a dare priorità all’altro e alle sue esigenze, veri-ficheremo – è esperienza di tanti – che la pienezza nasce sempre da un incontro e da un accumu-lo di cose utili unicamente a se stessi.

Ecco, “pienezza”. Forse è que-sta la parola giusta che può sosti-tuire, o almeno integrare, “feli-cità”.

Una parola, “pienezza”, che può essere anche più facilmen-te tradotta in progetto: che non ci sia notte in cui, poggiando la testa sul cuscino, io non abbia la sensazione di essermi aperto completamente alla vita.

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La Terza Pagina

allo stesso tempo rifiuto per ogni tipo di scelta che possa trasfor-mare un uomo in “aguzzino” del proprio prossimo?

La felicità è quindi senza dub-bio una scelta e per questo una conquista quotidiana. Ma proprio in quanto conquista non è rag-giungibile facilmente e soprattut-to non è detto che si sia in grado di custodirla sempre: decidersi per comportamenti che siano più facili da tenere è una tentazione all’ordine del giorno, o meglio, all’ordine della vita; vivere per la felicità non è vivere nell’illusio-ne di una primavera perenne ma nella consapevolezza di essere fatti per superare gli inverni, di essere fatti per fecondare di spe-ranza tutte le situazioni, anche le più incomprensibili. Ma questo costa sacrificio, costa perdere la propria vita, costa farsi da parte perché il nostro non sia solo vive-re ma sia un vivere con l’altro che mi si fa prossimo: per un cristiano tutto questo costa farsi discepo-lo del Signore, mettersi sulle sue orme, perdere la propria vita per amore suo.

“La felicità – mi scrive la dot-toressa Claudia Caracciolo, origi-naria di Quindici (AV), missiona-ria laica preso il Chikuni Mission Hospital della Diocesi di Monze,

Un cristiano è chiamato ad essere beato, a vivere optando quotidianamente per il Signore

LA FeLICItà SI SCeGLIedi Mariangela Parisi

in Zambia, da me contatta per ri-spondere a qualche domanda sul-la felicità - è una scelta di vita, di una vita vissuta da protagoni-sti, costruendo relazioni fondate sull’ amore con spirito di condivi-sione, di ricerca del bene comu-ne ed apprezzando tutto ciò che di bello c’e`nella quotidianità”. Parole che sembrano confermare l’intimo legame fra stupore e in-dignazione nell’esperienza della felicità: “in Africa – scrive anco-ra – non è tutto bello e facile. Mi-gliaia di orfani vivono in situazioni di abbandono in villaggi dove non c’e`acqua né elettricità; i nostri giovani pazienti terminali affetti da AIDS, sono sempre circondati da nonne e bambini malnutriti...tante volte mi sento impotente di fronte alla sofferenza, all’in-giustizia e vorrei gridare come nel salmo 42 “Dov’è il tuo Dio?” poi piano piano mi calmo smet-to di farmi domande, riscopro nel mio cuore quel seme di luce e di amore posto da Gesù: Gesù che ha vinto la morte, ha mostrato l’amore per l’uomo attraverso guarigioni, miracoli e mi ritorna-no alla mente le parole di Gio-vanni: Dio ama il mondo e vuole che ogni uomo sia salvo. E così, con questa consapevolezza, che la vita continua in terra di mis-sione con entusiasmo, con l’affi-damento a Dio, alla sua parola, mantenendo viva la speranza con gesti concreti di solidarietà”.

La non facile via della felicità indicata da Gesù, o meglio da lui incarnata, ci interroga nel quo-tidiano, ci sollecita a salvaguar-dare la nostra e l’altrui capacità di stupore, ci sollecita ad alzare la voce contro ogni situazioni che mortifichi l’umano, a sporcarci le mani nelle relazioni, a valorizzare il tesoro del nostro essere, a de-siderare la bellezza e la giustizia sempre, anche quando la realtà sembra dirci che non esistono.

Per essere felici è importante recuperare la capacità di stu-

pirsi, di meravigliarsi. L’ha sotto-lineato Luciano Manicardi, mo-naco di Bose al termine del suo intervento al dialogo sulla felici-tà organizzato dall’ Istituto dio-cesano di Scienze Religiose, che ci ha suggerito il tema per questo numero di inDialogo. Come non essere d’accordo? Se pensiamo infatti al manifesto della felicità “proclamato” da Gesù, il cosid-detto “discorso della montagna” (Mt 5, 1-11), non possiamo non evidenziare che le beatitudini proclamate sono strettamente legate alla capacità di spalanca-re gli occhi davanti a qualcosa di così prezioso ed essenziale da far superare anche il dolore.

Ma questa capacità di stupirsi da parte di coloro che Gesù chia-ma “beati”, non è allo stesso tem-po anche capacità di indignarsi, capacità di sentirsi profondamen-te feriti davanti a tutto ciò che comporta offesa della propria e altrui umanità? Scegliere di esse-re poveri in spirito, di vivere con serenità la sofferenza, di essere miti, di avere fame e sete di giu-stizia, di essere misericordiosi, di essere puri di cuore, di esse-re operatori di pace, di essere in prima linea per la giustizia, non è

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si ferma, i sensi si allargano». È la vita che vuole se stessa. I momenti più intensi della felicità sono caratterizzati dal pianto: il sorriso, il benessere non ne sono i punti più alti. Al culmine della gioia, cioè, c’è lo struggimento, come se si fosse arrivati ad una altezza alla quale non si può restare, per la quale noi esseri umani non siamo stati fatti e dunque la terra ci reclama, ci risucchia in basso. «Qual è – si è chiesto il relatore – la conseguenza di tutto questo discorso? Cose e ne è concluso nella storia della cultura che ci ha preceduto? Che la felicità è qualcosa che ci tocca ma non ci appartiene; di essa abbiamo solo assaggi. Si mostra a noi esseri mortali ma non ci è connaturale, non è una cosa di “quaggiù”». La separatezza tra felicità e condizione umana è stata poi oltremodo sottolineata, secondo Natoli, dalla cristianità (non dal cristianesimo) che ha deprezzato questo mondo in favore della dimensione ultraterrena, il regno della felicità che sta davanti a noi come premio per la nostra vita virtuosa, certamente non come realtà attuale.

A partire dalla distinzione tra eutychía e eudaimonía, tra l’accadimento favorevole e il

Nel tardo pomeriggio di venerdì 20 febbraio, presso

il Seminario Vescovile di Nola, si è tenuto un incontro pubblico dal titolo “Dialogo sulla felicità”. L’evento, organizzato dall’Istituto Superiore di Scienze Religiose “Duns Scoto” di Nola, ha visto il confronto sul tema della felicità tra il noto filosofo italiano Salvatore Natoli, attualmente docente di filosofia teoretica presso l’Università di Milano Bicocca, e Luciano Manicardi, monaco di Bose. La conversazione ha fornito al folto pubblico presente molti

interessanti spunti di riflessione e, alla fine, gli interventi dei due ospiti, pur nella diversità degli approcci, hanno finito per illuminarsi a vicenda.

Il primo a prendere la parola è stato il professor Natoli il quale ha sottolineato in primis quanto sia decisivo il tema “felicità” per la vita di ciascuno, se pensiamo che già nell’antica Grecia la felicità era concepita come il fine della vita umana. «Per un verso, ha esordito Natoli, la felicità è intesa come un sentimento e se fosse solo questo, come tutti i sentimenti, avrebbe i tratti della labilità». Il primo modo di intendere la felicità è un modo sentimentale, nel quale l’elemento della intensità e della labilità stanno insieme, infatti si è soliti dire che “la felicità è fatta di momenti”. Il filosofo siciliano, con puntuali richiami etimologici, ha fatto notare come prima ancora che nei discorsi correnti, nella stessa parola “felicità” sia radicata una concezione di “momentaneità” in base alla quale la felicità è qualcosa che “capita”, un rapimento passeggero. «Nelle situazioni di felicità, poi, ha proseguito Natoli, ci sentiamo espandere: attraversiamo momenti di pienezza, il tempo

Sulla felicità: dialogo tra Natoli e Manicardi

ALL’ALtezzA DeLL’AttIMo FUGGeNtedi Alfonso Lanzieri

Salvatore Natoli ha insegnato Logica alla facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Venezia e Filosofia della Politica alla facoltà di Scienze Politiche dell’Università di Milano. Attualmente è professore ordinario di filosofia teoretica presso la Facoltà di Scienze della Formazione dell’Università degli Studi di Milano Bicocca. Si è confrontato in numerose pubblicazioni e incontri pubblici sui temi della felicità e del dolore.

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FeLici e credenTidemone favorevole, Natoli ha mostrato come, a differenza di ciò che semplicemente accade, si dia la possibilità che sia l’uomo stesso il creatore della propria felicità. C’è una connessione stretta – ha precisato il filosofo – tra questo concetto e quello di “virtù” greca, intesa come abilità, intelligenza, capacità di superare gli ostacoli, di affrontare l’esistenza. “Virtù” in greco, infatti, è “aretê”, parola nella quale risuona la stessa radice di “ars”, arte: la virtù è l’arte di vivere. Come si diventa artisti dell’esistenza? Scoprendo il proprio “demone”, il proprio talento e sviluppandolo, lasciando che venga fuori e cresca. Chi è virtuoso può rendere stabile la felicità (e non semplice “accadimento favorevole”) perché può replicare a piacimento la propria arte ed espanderla; ma questo significa esercizio costante del proprio talento, grande apertura all’incontro con l’altro, capacità di essere curiosi e di meravigliarsi per quanto ci circonda, per l’ordinario che diventa straordinario. Ricordando l’episodio - in bilico tra storia e leggenda - che avrebbe dato il là alla scoperta della legge di gravità, Natoli ha affermato che «di fronte alla mela caduta dall’albero Newton avrebbe potuto cedere alla tentazione di mangiarla; o magari di lanciarla altrove, preso da uno scatto d’ira e così via. Invece quell’episodio ordinario fu visto con un occhio diverso, con meraviglia, dando il via a una riflessione che ha portato Newton a teorizzare la legge di gravità, a partire da una semplice e banale domanda: perché la mela cade?». La felicità allora non sta nelle cose che ci circondano, non consiste in un accadere episodico e fortunoso che nel quale restiamo immischiati – quasi a motivo di una concessione bonaria degli dei – ma nel buon rapporto che stabiliamo con le cose del mondo.

D’impronta biblica è stato invece l’approccio di Luciano Manicardi, il quale ha esordito ricordando che il termine “felicità”, se si guarda alla sua radice indoeuropea, ha in sé l’idea di fecondità, dunque quella

di generare, dare frutti. Più che avere felicità – e

qui Manicardi cita il filosofo Adorno – nella felicità si è. «Ma chiediamoci – afferma il monaco di Bose – se Gesù fu un uomo felice, se ha avuto una vita felice. Perché questo è il punto: al di là di una quantità di singoli momenti felici, la sua è stata un’esistenza felice?». Un testo evangelico particolarmente utile per rispondere a questa domanda sembra essere l’inno di giubilo di Gesù che si rivolge al Padre e canta l’ineffabile relazione che lo unisce a Lui: «Ti rendo lode, Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai nascosto queste cose ai sapienti e ai dotti e le hai rivelate ai piccoli» (Mt, 11,25). Gesù riconosce nella relazione col Padre la sorgente della propria felicità; Gesù ha un momento di esultanza, di gioia incontenibile nel quale gli altri – i suoi discepoli – sono inglobati: «la felicità di Gesù – chiosa Manicardi - è inclusiva». E poi aggiunge: «non può esistere una mia felicità contro gli altri, una felicità escludente. Ecco perché il contrario dell’uomo felice è l’uomo invidioso. L’invidioso è colui che non sopporta il benessere dell’altro ed è l’infelice per eccellenza: se, infatti, gli altri vizi capitali causano almeno un momentaneo piacere come la

gola e la lussuria, l’invidia non è portatrice di alcun godimento».

Gesù ha vissuto la felicità, dunque, fecondando la vita di altri: perdonando, guarendo, ascoltando, parlando. La felicità come render fertile la vita degli altri. «In tutto ciò - si è chiesto il religioso – possiamo vedere una felicità vissuta proprio come virtù, come atto che ha una valenza etica, come dedizione, come pro-esistenza». Se il dono è l’atto col quale creiamo la nostra felicità creando quella degli altri, allora volere il bene dell’altro è condizione indispensabile per assaggiare la pienezza della felicità: di contro, fare del male è farsi del male. Inoltre, se la felicità è donarsi, e se nel donarsi è già incluso il rischio della perdita, allora anche quest’ultima può entrare nella dinamica della felicità.

Luciano Manicardi, dopo la laurea a Bologna, è entrato nella comunità monastica di Bose nel 1980, dove ha proseguito gli studi biblici. La sua riflessione si denota per un’attenzione particolare alla rilevanza antropologica ed esistenziale dei temi biblici.

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mensile della Chiesa di Nola

La felicità cristiana attraverso un’ opera di Bruegel il Vecchio

...e SARà UNA FeStA SeNzA FINe!di Anna Carotenuto

Il vangelo di Gesù si può riassumere in un unico e grande grido di Gioia:

Il Regno di Dio è vicino!In esso la morte sarà sconfitta

per sempre e l’uomo vivrà faccia a faccia con Dio per l’Eternità.

È questa la felicità cristiana! Essa, pur realizzandosi nella

metastoria, in un futuro assoluto, richiede di porre le radici nell’hic et nunc di ciascun credente. In altre parole, Dio ci chiede di essere felici ora, nella nostra quotidianità.

Per annunciare e spiegare tutto ciò Gesù usa una categoria esperienziale presente anche negli scritti veterotestamentari: il banchetto di nozze. [Per l’AT si può citare: Is 25, 6-10 o Ger 31,31-34; per il NT Mt 22, 1-14].

È una simbologia molto efficace perché l’esperienza che l’uomo fa di Dio fonda le sue radici negli stessi anfratti esistenziali in cui radica anche l’amore: essa è sconvolgente come un innamoramento, irruente come il desiderio di donarsi e di vivere insieme. Andiamo con la mente alla più bella festa a cui abbiamo partecipato, dove stare insieme ci rendeva felici, dove nessuna persona a noi cara mancava, dove apparenza e formalità erano messe in un angolo per far posto solo alla spontaneità, alla gradevolezza dello stare insieme che si faceva

tangibile in una cordiale e festosa convivialità. Ebbene da questo ricordo possiamo prendere spunto per comprendere cosa è, come sarà, se lo vogliamo, la nostra vita Ultima: una festa senza fine a cui già oggi siamo invitati.

Il pittore fiammingo, Pieter Bruegel il Vecchio, nel 1568, creò una magnifica opera dal titolo Banchetto di nozze, oggi custodita Kunsthistorisches Museum di Vienna, che, benché lontana da discorsi religiosi, ben si adopera alla nostra riflessione.

Osservandola con attenzione sembra proprio di sentire la gioiosa confusione che si libra nell’aria al suono della musica. La scena si svolge dentro un grande edificio che, oltre alle dimensioni non ha più nulla di maestoso: è probabilmente un granaio o un pagliaio. Non serve il luogo elegante o sfarzoso a rendere importante ciò che sta avvenendo. Non le apparenze ma la sostanza è importante.

Ed ecco i commensali. Anzitutto il Re. È il Padre Eterno, Dio della gioia senza fine che invita l’umanità alle nozze di suo Figlio. Nel dipinto è ben evidente perché seduto su una sedia dallo schienale alto diversa dalle altre sedute. C’è poi il festeggiato, lo Sposo. È l’Unigenito, l’Amato che, nonostante la figliolanza divina, si

è incarnato nella storia per servire l’uomo. Anche nell’opera non siede per essere servito, ma lo scorgiamo oltre il grande tavolo, all’estrema sinistra a servire la birra in una brocca.

La sposa, individuabile nella donna che siede davanti al telo verde, è la Chiesa di Cristo; attraverso di Lei gli uomini sono generati a vita nuova.

Ci sono poi i servitori. Un ruolo che ogni credente dovrebbe far suo: essere strumento affinché ad ogni uomo possa giungere l’invito di Dio. Bruegel li pone in primo piano, con un fatiscente carrello portavivande, a servire il pranzo.

Infine gli invitati: grandi e piccoli senza distinzione. Sono gioiosi e vestiti a festa. Il cristianesimo ci sollecita e ci dà gli strumenti giusti per diventare uomini e donne felici che hanno nel loro cuore la gioia del signore risorto.

Infine mi piace soffermarmi sulla piccola ospite posta in primo piano: gusta, leccandosi le dita, il pane addolcito dal burro e ha in testa un grande cappello con una piuma di pavone. Quest’ultimo animale, nella simbologia cristiana, indica la risurrezione. La gioia cristiana è una tristezza superata, è la speranza che ogni peccato si può mutare in grazia, ogni sofferenza in vita, ogni morte in risurrezione.

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07febbraio 2015

La Chiesa italiana in questo tempoGiornata di formazione permanente del clero

Chiamati ad essere testimoni di Luce Incontro di spiritualità e condivisione per giovani

Il coraggio di essere feliciIl 28 Marzo a Marigliano la XXX Giornata diocesana della gioventù

Pescatori di uominiIncontro di spiritualità per i responsabili di Azione Cattolica

Uomini e donne in adorazioneLa scuola di preghiera per i volontari della Caritas diocesana

In Diocesi

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mensile della Chiesa di Nola

Giornata di formazione permanente del clero

LA ChIeSA ItALIANA IN qUeSto teMPodi Rolando Liguori

dei laici e religiosi nell’evange-lizzazione. In quel periodo, sullo spirito del Concilio, nascevano le comunità di base e la riscoperta di tanti carismi nelle Chiesa Cat-tolica, quindi si apprezzava la ricchezza di tale pluralismo ma senza tralasciare la coerenza del messaggio evangelico. Il conte-sto storico degli anni ’70 influen-zò molto il Convegno ecclesiale e si discusse largamente di temi come il lavoro, l’impegno sociale e politico dei cattolici.

Nel III Convegno Ecclesiale, te-nutosi a Palermo nel 1995, in un contesto politico-sociale molto delicato (stragi di Mafia, crollo della Democrazia Cristiana), l’I-talia si lasciava alle spalle l’epo-ca del terrorismo, delle divisioni politiche violente, della guerra fredda, ma pure era ormai una società nella quale certe carat-teristiche – e distorsioni - tipiche delle società capitalistiche oc-cidentali erano ormai divenute strutturali. C’era l’esigenza di ricostruire la società basi nuove, rilanciando il messaggio evan-gelico. L’Italia diventava terra

“In Gesù Cristo il nuovo uma-nesimo: uscire, annunciare,

educare e trasfigurare”, questa è la traccia per il V Convegno Ec-clesiale Nazionale che si terrà il prossimo novembre a Firenze, e su questo il clero nolano ha vo-luto riflettere, facendosi aiutare dal sociologo Franco Garelli. L’in-contro – che fa parte del percorso annuale di aggiornamento cultu-rale del presbiterio – si è tenuto lo scorso 10 febbraio presso il Se-minario di Nola. A fungere da mo-deratore è stato mons. Pasquale D’Onofrio.

Il professor Garelli ha invitato a pensare le domande e le sfide che le trasformazioni socio-culturali pongono alla Chiesa: in che modo la questa si presenta oggi? Qual è la situazione dei laici, credenti e atei in Italia? Come reagire ai cambiamenti?

Questa sono solo alcune delle domande che Garelli ha presen-tato. Ma andiamo con ordine.

Nel Convegno di Roma del 1976 si rifletteva sui primi frutti del Concilio e sulla necessità della presenza attiva delle persone,

di missione, la Chiesa prendeva atto che i cattolici erano in mi-noranza e sceglieva di non schie-rarsi politicamente, invitando i cattolici impegnati in politica a creare luoghi di confronto al fine di esercitare quello che venne chiamato “discernimento comu-nitario” per il bene della società.

Oggi la Chiesa – ha sottolineato Garelli - deve interrogarsi sulle sfide che l’attendono, come ri-mediare all’emergenza educati-va, la difficoltà nel trasmettere la fede ai giovani, formare una nuova leadership cattolica che si impegni in politica.

Bisogna riformulare il model-lo educativo della Chiesa: circa l’80% della pastorale si concen-tra sui bambini e gli adolescen-ti, come se l’80% dei medici fossero pediatri. Il 17-18% della popolazione italiana si dichiara agnostica o atea, il restante 80% cristiana o presunta tale. Sen-za scendere nei dettagli, si può vedere una grande maggioranza di italiani che si dichiarano cri-stiani, ma tra questi c’è una mi-noranza che partecipa alla vita parrocchiale. Il dato interessante – ha ancora sottolineato Garelli - è che tra gli atei c’è una buona fetta di persone che sono attratti dalla vita di fede, dalle liturgie, dai momenti comunitari e di fe-sta delle parrocchie.

Anche i giovani a cui non è stata trasmessa la fede o si sono allontanati da essa, si sentono in qualche modo affascinati e attratti dall’esperienza di fede, basta scalfire un po’ la superficie e vediamo che sotto ad ogni gio-vane o adulto c’è una domanda e una ricerca di Dio. Si registra una interruzione nella traditio della fede: così come i genitori d’oggi hanno ricevuto la fede dai nonni e non dai genitori, e a loro volta non la trasmettono ai figli.

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09febbraio 2015

Non tutto ciò che brucia si consuma. É infatti il fuoco

vivo dello Spirito di Dio, che arde senza esaurirsi mai, il simbolo della bella serata di condivisione vissuta lo scorso 13 febbraio, in piazza Cardinale a Mugnano. Un incontro voluto e organizzato dai giovani e i sacerdoti della consulta di Pastorale Giovanile del II decanato, in programma già da tempo. Dopo la grande “Festa dei Giovani” dello scorso dicembre, infatti, avevamo lasciato tutti i nostri ragazzi con la promessa di un prossimo appuntamento altrettanto speciale e non si poteva certo deluderne le aspettative.

Davvero tanti gli amici che hanno scelto di non mancare all’occasione di ritrovarsi ancora, insieme, nel nome di Gesù. Lui c’era, era lì, al centro, in quel fuoco inatteso, era nell’aria gioiosa e fraterna, in quel clima di intensità, di emozioni vere e senso pieno che nessun altro può donare. Dopo i saluti iniziali di don Umberto Guerriero presente insieme a Don Filippo Centrella come rappresentanti della Consulta, è seguita l’introduzione di don Giuseppe Autorino che ha curato insieme all’Azione Cattolica di Mugnano

l’organizzazione della serata. Si entra presto nel vivo dell’evento e sono proprio i giovani presenti a dare voce alle tante riflessioni e preghiere pensate per l’occasione, accompagnati di volta in volta da canti sacri e non, intonati dal coro della comunità parrocchiale locale. In questo intenso “faccia a faccia” con quel fuoco vivo e vero, ognuno ha trovato in sé la forza e il tempo per guardarsi dentro, per affrontare le proprio debolezze, i proprio limiti, le catene e i vizi che appesantiscono la propria vita e rendono affannosa la strada che porta alla salvezza. Perché tutto fosse meno astratto e più concreto, l’Azione Cattolica di Mugnano del Cardinale ha consegnato a ciascuno stampe di banconote e di catene, simbolo dei sette vizi capitali, perché potessero bruciare in quel fuoco, non solo, si spera, simbolicamente. Fuoco e luce. Luce che ognuno può e deve testimoniare. Ogni cristiano, giovane o meno giovane che sia, è chiamato ad accendere la “Luce” dentro se stesso e a farla risplendere nell’altro, nella vita di ogni giorno, nei contesti quotidiani, nel mondo. Toccante è stata anche la testimonianza di Gioacchino Acierno, seminarista

Incontro di spiritualità e condivisione per giovani

ChIAMAtI AD eSSeRe teStIMoNI DI LUCe di Michela Ilenia Ambrosino

originario di Mugnano che ha scelto di spalancare le porte del proprio cuore e della propria vita a quella stessa luce, la Luce di Cristo, e seguirlo. Con lui, non sono mancati a questa occasione di incontro e preghiera, anche gli altri giovani che seguono lo stesso percorso presso il Seminario di Nola, accompagnati dal rettore don Gennaro Romano. Era presente anche don Angelo Schettino insieme ad un gruppo di ragazzi della parrocchia del Collegio di Nola. Al termine della serata non poteva mancare un momento di musica e divertimento e si è potuto gustare insieme un piccolo buffet di rustici, dolci e vin brûlé. Insomma, un susseguirsi di momenti preziosi ha scandito il tempo trascorso insieme, animati e illuminati da quel fuoco che sempre riscalderà gli inverni del nostro cuore, quel fuoco che ci ricorda la vita del Risorto, il dono del suo Spirito, il fuoco del roveto nel quale Dio parlò a Mosè. Oggi, invece, lasciamo che il Signore parli al cuore di ciascuno di noi e ci liberi da tutto ciò che ci è di ostacolo per arrivare pienamente a Lui, ciò che ci fa paura, ciò che ci raffredda. Lasciamo che quello Spirito illumini la nostra vita, la trasformi, la infiammi.

in diocesi

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febbraio 201510

mensile della Chiesa di Nola

Il 28 Marzo a Marigliano la XXX Giornata diocesana della gioventù

IL CoRAGGIo DI eSSeRe FeLICIdi Rosalba Pinto

“Beati i puri di cuore perché vedranno Dio”. Queste le

parole tratte dal vangelo di Matteo scelte dal Papa come spunto di riflessione e tema per intraprendere il nostro pellegrinaggio verso Cracovia, dove nel luglio 2016 si terrà la XXX Giornata mondiale della gioventù. Un lungo cammino attraverso le beatitudini per poter accogliere le parole con cui il Santo Padre conclude il messaggio scritto per l’incontro in Polonia: “abbiate il coraggio di essere felici!”. Noi ce l’abbiamo questo coraggio? Questa é una delle tante domande che alcuni giovani della nostra zona si stanno ponendo in questi mesi, interessati a toccare con mano ogni singola realtà cristiana presente sul territorio: questa é la consulta pastorale giovanile. Ogni anno a settembre questo gruppo variegato di giovani attivi sul territorio si incontra e confronta su tante tematiche ed in particolare su alcuni quesiti fondamentali: chi è il giovane

cristiano? Cosa desidera il suo cuore? Come può il giovane d’oggi essere un testimone d’amore? Domande difficili ma che ci spingono ad interrogarci sui bisogni delle nuove generazioni, sulle difficoltà e su tutto ciò che ci impedisce di riconoscere Gesù nelle piccole quotidianità della vita. Arduo compito: tendere l’orecchio e aguzzare la vista, comincia il nostro cammino!

Quanto è dura essere (giovani) cristiani oggi! Non è facile ma ci ricorda sempre di più quanto è bello e impegnativo esserlo con il cuore! Nel nostro pellegrinaggio verso Cracovia 2016 incontriamo una tappa piuttosto vicina: la giornata diocesana della gioventù. Ebbene sì, ogni anno viviamo questo momento di incontro in preparazione della GMG, e quest’anno la nostra meta sarà Marigliano, zona Pontecitra, il 28 Marzo.

Invitiamo tutti i giovani della diocesi di Nola a partecipare, a dire il proprio sì con coraggio

e forza. Viviamo un periodo in cui lo sconforto spesso prende il sopravvento ma il nostro dolcissimo Papa sta qui a ricordarci di non avere paura, “beati i puri di cuore, perché vedranno Dio”. Questo ci sta chiedendo Gesù, un cuore pronto all’ascolto e soprattutto pronto ad affidarsi in un momento storico in cui invece la soluzione più facile sarebbe cedere alla paura e alla disperazione. Non è facile essere cristiani, è prima di tutto una responsabilità e noi della consulta pastorale giovanile cerchiamo di tener fede, seppure con fatica, al nostro impegno: essere missionari nel mondo.

Forza giovani, come dice il nostro Papa: abbiate il coraggio di essere felici! Non demordete di fronte alle difficoltà, non siamo soli e siamo stati chiamati ciascuno per nome. Vi aspettiamo il 28 marzo a Pontecitra! Cosa faremo? Ovviamente è una sorpresa... Per restare in tema : “Venite e vedrete!”

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11febbraio 2015

in diocesi

L’impegno educativo è un impegno missionario. Questo

è stato il motivo fondamentale dell’incontro diocesano di spiritualità per i responsabili di Azione Cattolica che si è svolto la scorsa domenica 8 febbraio presso il Seminario Vescovile di Nola.

Circa cinquecento i partecipanti all’appuntamento che è iniziato nel primo pomeriggio con un momento del tutto speciale: a quanti erano presenti, infatti, sono giunti via telefono i saluti del vescovo di Nola, mons. Beniamino Depalma, ancora convalescente dopo i problemi di salute.

Lo svolgimento del pomeriggio è stato semplice: dopo la lectio su un brano evangelico, i partecipanti hanno potuto vivere un momento di preghiera personale sulla parola, poi i laboratori di condivisione e infine i vespri recitati comunitariamente.

È bene riportare alcuni passaggi chiave della lectio tenuta da don Alessandro Valentino, assistente diocesano.

Il brano biblico scelto per la meditazione è stato quello della vocazione di Pietro, Giacomo e Giovanni, avvenuta lungo le rive del “mare” di Galilea secondo il vangelo di Marco. Don Alessandro ha anzitutto sottolineato quanto la Galilea fosse “lontana” dalla Giudea, cioè dalla regione nella quale si trovava e si trova Gerusalemme, la città del Tempio: la lontananza da considerare, naturalmente, non di ordine geografico ma, per così dire, “teologico”: la Galilea era una regione “mista”, luogo di contaminazione tra la fede di Israele e il culto dei pagani. Un terra complessa, promiscua. «La missione dell’educatore –

ha affermato don Alessandro - necessariamente deve toccare questa terra che è in chiaroscuro, che è confusa; deve confrontarsi con una realtà che è governata dall’istinto di dominio, di potere. L’educatore incontra persone che vivono la sorte di persone comuni: figli, genitori, lavoratori, vite segnate dalla sofferenza.

C’è una Galilea che aspetta la missione dell’educatore. Questi non deve fuggire dall’assunzione del rischio, dal giocarsi personalmente nella complessità della storia e delle relazioni». Un altro elemento preso in considerazione è stata poi l’immagine del “mare”, che è sullo sfondo della scena evangelica di riferimento. «Il mare è una realtà informe, che non sta in piedi, che non si regge, che sfugge, che è violenta. Quando i padri della chiesa sentivano il termine ‘mare’ – ha spiegato l’assistente diocesano - lo accostavano immediatamente al mare di questo mondo o alla storia: attraversare il mare e attraversare la storia sono la stessa cosa.

Viviamo in un mondo in cui si è allergici ad ogni definizione, a tutto ciò che dà forma alla vita. La missione dell’educatore oggi è difficile perché nessuno vuole assumere i limiti che le scelte comportano. Pertanto avere una forma o dare una forma alla propria vita significa essere delimitati.

Ma per avere una forma è necessario compiere un discernimento, un confronto attento per scoprire chi si è e chi si vuole essere. Perciò, la missione educativa oggi ha un compito grande: dare forma, fare il possibile perché la vita delle persone abbia una forma». Aiutare gli altri a scoprire e

Incontro di spiritualità per i responsabili di Azione Cattolica

PeSCAtoRI DI UoMINIdi ALfonso Lanzieri

vivere la propria forma dunque. Attraverso poi il racconto di altri snodi principali del brano, la lectio giunge al suo punto essenziale: «La missione consiste in una grande novità di vita. Si tratta di essere per la vita e non più per la morte. Si tratta di diventare persone che sanno ‘generare’ alla vita donando la propria.

Questo è il centro della missione educativa.

Gesù ci chiama ad essere ‘generativi’, a crescere come figli nella capacità di diventare padri. Perciò, si può generare perché si è stati generati». Educare è essere pescatori di uomini e generare alla vita.

Per compiere quest’opera, quattro sono i verbi fondamentali, da non scordare mai: desiderare, cioè essere attratti da ciò che è grande, dal “di più”; partorire, mettere al mondo persone, anziché imprigionarle, legarle a noi; prendersi cura, perché i “figli” vanno seguiti nel tempo con costanza; e infine, lasciare andare, cioè accettare di far vivere autonomamente chi abbiamo generato: «Diversamente, come educatori, saremo sempre tentati di mettere il marchio del possesso su chi è stato oggetto del nostro impegno educativo.

Ciò aiuta l’educatore a demolire quelle aspettative che spesso nutrono il suo stato depressivo-fallimentare nei riguardi del proprio impegno. E lo aiuta anche a non cadere nel tranello dell’onnipotenza, nella convinzione che tutto è dipeso da lui e niente dalla capacità libera e creativa di chi si educa. Il distacco, dunque, è condizione necessaria per la pienezza dell’essere dell’altro. È un passare il testimone».

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mensile della Chiesa di Nola

La scuola di preghiera per i volontari della Caritas diocesana

UoMINI e DoNNe IN ADoRAzIoNedi Nicola De Sena

perché si è volontari, ma si è vo-lontari perché uomini e donne di preghiera!”

Questo è il senso del nostro incontrarci: imparare a pregare! Partendo innanzitutto dal com-prendere a fondo cosa sia la pre-ghiera e quali sono gli atteggia-menti che aiutano o distraggono dall’incontro personale o comu-nitario con il Signore. Per questo motivo, l’icona di fondo che ci accompagnerà in questo percorso è la scena del Cenacolo, in attesa della Pentecoste!

La nostra Chiesa diocesana si mette in discussione alla luce del-la prima comunità descritta dagli Atti; anche noi vogliamo carpire da quella cellula di cristianità il “segreto” della preghiera. “Tutti questi erano perseveranti e con-cordi!” (At 1,14): perseveranti nella scelta del servizio ai pove-ri, concordi nell’operare questa scelta, lavorando con uno stile sinodale, per cui ciascuno è par-te dell’altro e insieme ci si met-te a servizio del Signore nella sua Chiesa.

Il percorso è iniziato a Pomiglia-

“Occorre che, anche quando sia-mo occupati in altre faccende,

sia nella cura verso i poveri, sia nelle altre attività, impreziosite magari dalla generosità verso il prossimo, abbiamo il desiderio e il ricordo di Dio, perché, insaporito dall’amore divino, come da sale, tutto diventi cibo gustosissimo al Signore dell’universo.” (Omelia 6 sulla preghiera).

Inizio con le parole di san Gio-vanni Crisostomo, che ben in-terpretano il senso della Scuola di preghiera per i volontari della Caritas diocesana, che, da diaco-no, ho l’opportunità di curare. Il dilemma è sempre quello, inesora-bile, dell’affaccendarsi troppo di Marta rispetto all’ascolto attento e appassionato di Maria. Chi è più brava? Chi ha vinto il premio per il miglior atteggiamento di fronte al Maestro? Noi seguiamo la logica di Gesù! Scegliamo la parte “miglio-re”, che non denigra l’operosità, ma la riveste di un nuovo senso! In ascolto e in dialogo col Signore possiamo essere uomini e donne di carità! Dicevo ai volontari nel no-stro primo incontro: “Non si prega

no al centro “San Paolino” e, tra qualche tempo, partirà al centro “don Tonino Bello” di San Giusep-pe Vesuviano.

La modalità rispecchia quello che vuole essere il nostro stare in-sieme: imparare a pregare! Gli in-contri si articolano in due momen-ti: il primo, in cui ci confrontiamo insieme sui temi che riguardano la vita di preghiera; il secondo, in cui ci mettiamo insieme davanti al SS.mo Sacramento per un tempo di adorazione, per porre al centro decisamente il Signore Gesù.

Le sfide della Caritas sono sem-pre più incalzanti, soprattutto in tempi difficili per la nostra gente e per coloro che sono venuti in Italia in cerca di fortuna, ma non han-no condizioni necessarie per una vita dignitosa. In queste difficoltà, i volontari devono essere sempre più uomini e donne che compiono una scelta decisiva: vivere la vita da credenti, per cui tutto sia ri-centrato nel Signore, Lui il solo che dà senso alle nostre scelte e che, nel segreto del dialogo con noi, si mostra ancora una volta vi-cino e solidale con gli uomini.

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13febbraio 2015

Segno d’AmoreCattedrale di Nola: catechesi settimanali sulle stazioni della Via Crucis

trascinami con te!La benedizione degli innamorati presso la parrocchia Maria SS. della Stella di Nola

In Parrocchia

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mensile della Chiesa di Nola

Prossimi incontri:Giovedì 05 marzo: Stazioni VIII, X e XI, don Fernando RussoGiovedì 12 marzo: Stazioni XII, XIII e XIV, don Gennaro RomanoVenerdì 29 marzo: Via Crucis presso l’Oasi Regina Pacis, in via Amilca-re Boccio, ore 19:30

Cattedrale di Nola: catechesi settimanali sulle stazioni della Via Crucis

SeGNo D’AMoRedi Mariella Vitale

Il cammino catechetico per la Quaresima in 4 tappe promosso

dall’Azione Cattolica della parrocchia del Duomo prende il titolo dalle parole del mandato di Giovanni Paolo II ai giovani partecipanti alla I GMG del 1984 ed è rivolto a tutti i fedeli, per i primi quattro giovedì di Quaresima, alle ore 19.30, nella Cripta della Cattedrale. Quattro appuntamenti che propongono un approfondimento sulla preghiera della Via Crucis, un gesto della tradizione della Chiesa che ci fa contemplare il volto di Gesù lungo la via dolorosa. Un itinerario di preghiera e di conversione, ponendo al centro la Croce di Cristo.

Proprio dalla centralità di Cristo e della Croce parte la prima meditazione, proposta da mons. Francesco Iannone (in sostituzione di don Gennaro, malato, cui era stata affidata in un primo momento), che tocca le prime tre stazioni ma finiscono per riassumere il significato più profondo della Croce stessa e della salita al Calvario. Conoscere la Croce è conoscere Gesù, entrare nel Suo mistero. Gesù accetta la Croce perché si fida del Padre, entra consapevolmente nella Passione che umanamente avrebbe volentieri evitato. “Pur essendo Figlio, imparò l’obbedienza da ciò che patì” (Eb 5, 8). Per tutta la vita Gesù impara a declinare l’amore anche nel dolore perché come Dio sa tutto ma come uomo deve imparare a superare la logica umana per accettare di soffrire.

L’umanità è segnata dal peccato e dal desiderio di possedere. Adamo illudendosi di fare il proprio interesse rovina il rapporto con Dio, con Eva e con se stesso. Questa è la dinamica

da cui partiamo tutti noi, ogni giorno e faticosamente ce ne affranchiamo solo con la grazia che viene da Dio, seguendo il percorso tracciato da Gesù. La vita non viene dall’avere, bensì dal donare, dal fidarsi, anzi dall’affidarsi a Dio. È la logica del chicco di grano che deve morire per portare frutto, altrimenti rimane da solo. La Croce prima che essere dolore è amore, è dare la vita per averla. Il dolore è il prezzo che l’amore si dichiara disposto a pagare per rimanere se stesso, per continuare a brillare. Si vive di dono e di amore, non di potere e questa

è l’unica vera vittoria della storia, per questo Giovanni che guarda la croce alla luce dello spirito dirà che Dio è amore, un’affermazione rivoluzionaria rispetto alle asserzioni dei filosofi che parlavano di amore come potenza. Levinas diceva che noi occidentali abbiamo due padri e sono due grandi viaggiatori: Ulisse e Abramo. Mentre Ulisse va per mare assetato di conoscenza, ma poi vuole tornare a Itaca, a casa, compiendo un viaggio che parte da sé e torna a sé, Abramo è uno che fa un biglietto di sola andata verso una terra sconosciuta. Questo è l’amore.

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15febbraio 2015

in Parrocchia

L’amore è un mistero. Il cri-stiano sperimenta, giorno per

giorno, che l’amore ha la sua sorgente in Dio. Per questo, don Mariano Amato, pastore della parrocchia Maria SS. della Stella, ha invitato tutti gli innamorati a ricevere una speciale benedizio-ne alla vigilia della festa di san Valentino. Mi affascinava l’idea di vivere un momento di vita fra-terna assieme a tutti quelli che si amano: sono spesso riluttante a testimoniare di essere il custode di un amore più grande che mi è stato donato quando ho ricevuto il sacramento del matrimonio. Ri-flettendo sull’invito, pensavo che saremmo stati il solito sparuto gruppetto di temerari a parteci-pare, invece arrivo in chiesa in anticipo e vedo forte partecipa-zione. Bene! C’è chi, come me, percepisce che in giro c’è tanto bisogno di parlar d’amore. Nei giorni scorsi mi ero documentato su San Valentino, nella tradizione si narra che il santo donava ai gio-vani innamorati, che passavano a fargli visita, un fiore del suo giar-dino, dopo averli benedetti. Le

visite crescevano giorno per gior-no e allora san Valentino decise di scegliere un giorno dell’anno per poter fare un’unica benedi-zione. Nel corso dei secoli quel giorno diventa il 14 febbraio, il giorno dedicato agli innamorati. Inizia la cerimonia religiosa, dopo l’introduzione e le letture, c’è la testimonianza di Pino e Pina, sull’innamoramento e sull’amo-re. La riflessione prende spunto dalla descrizione che dentro la vicenda umana dell’innamora-mento, cogliamo l’esistenza e la spinta di un Amore infinito. Nella nascita dell’amore, perché que-sto è l’innamoramento, Cristo è fondamento e grazia, egli ci convoca per donarci il privilegio, cioè la grazia della sua presenza, nel nostro nascente rapporto e ci chiede di andare insieme nella stessa direzione. A questo punto la ricerca non è più personale, non è più un io e un tu, ma di-venta un noi, perché attingiamo ai vertici dell’amore di Dio, “…Trascinami con te, corriamo!..”, è scritto nel Cantico dei cantici. È un amore incarnato, conosce

la voce dello spirito e quella del corpo fuse insieme, non è pas-sione, non è istinto, è dono di sé all’altro, per un progetto di vita che genera una comunità d’amo-re: la chiesa. Allora penso al no-stro vivere l’amore nella coppia sponsale: se davvero vivessimo pienamente questa dimensione, scopriremmo che nel nostro ma-trimonio, possiamo far crescere di più noi stessi. Diventeremmo, ogni giorno, di più marito o mo-glie, perché assaporeremmo la presenza di Cristo, ricevuta nel-la grazia del Sacramento, che è garante del nostro amore. L’in-contro di preghiera è proseguito con l’imposizione delle mani sul capo dei presenti e l’unzione del-la fronte con il profumatissimo olio di nardo, simbolo di un amo-re immenso e senza paragoni. La piacevole serata si è chiusa, nel salone parrocchiale, con un va-riegato momento di dolce/salata agape fraterna, accompagnata dall’ormai mitico brindisi, ha fat-to da cornice un simpatico e il più delle volte esilarante sottofondo musicale

La benedizione degli innamorati presso la parrocchia Maria SS. della Stella di Nola

tRASCINAMI CoN te!di Andrea tafuro

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mensile della Chiesa di Nola

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17febbraio 2015

Un umanista vigoroso e poliedricoGaspare Caliendo a 40 anni dalla morte. Fu presidente di “ex-alunni Istituto Vescovile”

La “gerarchia delle verità”L’espressione della verità di fede e le esigenze spazio-temporali

In Rubrica

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mensile della Chiesa di Nola

Gaspare Caliendo a 40 anni dalla morte. Fu presidente di “Ex-alunni Istituto Vescovile”

UN UMANIStA VIGoRoSo e PoLIeDRICodi Luigi Mucerino

Immobile contro il tempo, di colore grigiastro in urto con chi

ricerca la chiarezza, una lapide fitta di righi, incisi come da una carbonella, pende dalla parete ovest della Chiesa Parrocchiale di S. Germano in Scisciano. Sono indicati gli estremi “anagrafici” del tempio, ma ispirazione e stile fanno di uno spezzone di marmo un genuino brano letterario in lingua latina intriso di classicità. Dal frammento all’insieme: anche nelle piccole parti vibra l’energia di un organismo ovvero di una personalità. La lapide porta il nome di Gaspare Caliendo, autore ben noto nel mondo culturale e specificamente scolastico di qualche decennio passato; una firma “pervasiva” che ritroviamo su antologie letterarie e manuali scolastici, saggi di storia, articoli di filosofia, pubblicazioni occasionali, commenti e traduzioni in e dal latino. Senza dire della rivista “Palestra” fondata e diretta per anni dallo stesso autore. Certamente non materiali molteplici che si giustappongono, ma una produzione coerente per la sensibilità e l’ingegno, per lo spirito di ricerca e di comunicazione senza intervallo di continuità. Si piegò volentieri alle seduzioni della poesia, votato senza riserve alla classicità; egli ci portò in “alto” con i suoi versi che ritroviamo in latino, al soffio continuo del vento, anche sulle vette di Roccaraso, incisi sulla base marmorea della croce che ricorda i caduti. Gaspare Caliendo è un umanista indiscusso, in costante tensione operativa e dialogica; notevole sguardo assiologico, viva partecipazione socio-politica, sincera testimonianza credente, assidua dedizione alla scuola. Notiamo a parte che fu in lui sempre vivo il senso di

appartenenza al suo paese natio Scisciano; gli fu proprio il senso della relazione ampia e intensa, inverando la “missione del dotto” secondo il monito di Fichte. In piena adesione alla fede cristiana, non mancò di attenzione a voci differenti, come nei riguardi di Adolfo Omodeo, di cui condivise l’amore per la storia, ma da cui prese distanza per le formulazioni storicistiche e immanentistiche. Per lungo tempo presidente dell’Associazione Ex-alunni dell’Istituto Vescovile di Nola; fu sempre devoto verso i vescovi, amico fraterno di molti sacerdoti come don Giovanni Porcelli e don Raffaele Papa, nonché del preside Mons. Andrea Ruggiero. Della storia avvertì in modo particolare il richiamo per la coscienza che noi stessi siamo storia, per la predilezione del terreno accidentato della storia intesa come disciplina di ricerca, per la nativa sensibilità alle situazioni personali e sociali che compongono la vita. Una storia colta con abilità glocale, come si esprimono oggi i sociologi, attenta cioè all’orizzonte e nel contempo alla sezione locale. Dell’Imperatore Augusto il Nostro fornisce le coordinate storic-geografiche senza confini e insieme viene puntualizzato il luogo della morte, apud Nolam, secondo l’indicazione degli Annales di Tacito. Il particolare si incrocia con l’universale.

Lo scorso dicembre si è svol-to a Scisciano un bel con-vegno per onorare Gaspa-re Caliendo a quarant’anni dalla scomparsa. Originario del nostro paese, vissuto in modo prevalen-te a Maddaloni, non ha mai preso congedo da noi; ci ha fatto dono di tanti suoi libri, confluiti nella Biblioteca Co-munale a lui intitolata, e ha scelto come ultima stazione la nostra terra da cui furono le sue radici. Umanista vigo-roso e multiforme; saggista aperto, pubblicista eclet-tico, egli fa ancora lezione con la sua ricchezza umana e culturale. Del sindaco Prof. Eduardo Serpico il saluto istituziona-le; dell’assessore dott. Gio-vanna Napolitano espres-sioni di coscienza storica. Musiche del maestro Fran-cesco Di Gennaro con le voci di Gloria Mazza e Mario Todisco, breve saggio musi-cale del neo Pastore di Sci-sciano, padre Marco Paini, eco delle sue giovanili (e at-tuali) competenze. Relatori sono stati il preside Giovanni Ariola che ha pun-tualizzato i valori del clas-sicismo, il preside Antonio Mucerino che ha illustrato la tensione socio-educativa che permea la vita e l’o-pera di Gaspare Caliendo, don Luigi Mucerino che ha indicato gli aspetti storico-religiosi. Simpatiche reminiscenze narrative del gruppo della famiglia Caliendo, inter-venuto per la circostanza, hanno siglato la serata, co-ordinata con stile nei suoi momenti da Raffaele Ariola.

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19febbraio 2015

in rubrica

Il Decreto conciliare sull’ecumenismo, Unitatis

Redintregratio, afferma un principio teologico fondamentale per il dialogo ecumenico: «Nel mettere a confronto le dottrine si ricordino che esiste un ordine o piuttosto una “gerarchia” delle verità della dottrina cattolica, essendo diverso il loro nesso col fondamento della fede cristiana» (UR 11, Direttorio ecumenico, 61a, 75).

L’elaborazione di questo fondamento è interessante. Il risultato è un “gioco di squadra” ecumenico. Esso è nato da “discorsi informali” in un incontro tra teologi cattolici – allora Segretariato per l’Unità dei cristiani – e protestanti osservatori del Concilio (in particolare Oscar Cullmann). Da questo si pensò di presentare in aula una mozione, che fu approvata e inserita, in modo conciso e senza ulteriori spiegazioni, nel testo del Decreto conciliare.

Successivamente si è disegnato un percorso che ha portato all’approfondimento del significato e delle implicazioni del testo stesso, specificando i concetti di fondamento, nesso e prossimità (EV, 1607-1643). Un gruppo di studio di esperti valorizzò la rilevanza del principio e lo impose all’attenzione come cardine dell’epistemologia ecumenica (Enchiridion Oecumenicum 3), concettualmente presente, sebbene non espressamente, fin dall’inizio della tradizione cristiana, e rintracciabile in varie confessioni.

Il termine latino ordo rende più esattamente l’aspetto formale del principio, laddove, invece, il termine hierarchia si può prestare, in chiave semantica contemporanea, a interpretazioni fuorvianti.

Non è una gerarchia dovuta all’importanza delle verità di fede, né di classificarle nella prima o seconda classe di ciò che è stato rivelato, la cui immagine potrebbe essere una piramide gerarchicamente organizzata. Fra gli elementi che costituiscono il percorso teologico vi è un legame,

più o meno prossimo, con il fulcro della fede, costituito dai misteri della vita di Cristo Signore: incarnazione e passione, morte, risurrezione.

L’unità visibile che il dialogo ecumenico persegue è l’articolazione di esso secondo un ordo che riconosce la necessità di una piena unità di fede nel kerigma dell’incarnazione e della salvezza e nelle verità che abbiano un nesso stretto con questo costitutivo, mentre ammette una maggiore o minore adesione degli stessi con il fulcro della verità della fede. Una dimensione poco esplorata del principio della gerarchia delle verità è l’estensione dello stesso dal kerigma alla dimensione liturgica o diaconale.

Nella tradizione cattolica questo principio fu formulato in modo autorevole ed esaustivo, dichiaratamente in chiave ecumenica, da Giovanni XXIII nel duo discorso Gaudet Mater Ecclesia, all’apertura del Concilio Vaticano II: «Dalla rinnovata, serena e tranquilla adesione a tutto l’insegnamento della Chiesa nella sua perenne interezza e precisione, quale ancora splende negli atti conciliari del Tridentino e del Vaticano I, lo spirito cristiano, cattolico e apostolico del mondo intero, attende un balzo innanzi verso una penetrazione dottrinale e una formazione delle coscienze; è necessario che questa dottrina certa e immutabile, che deve essere fedelmente rispettata, sia approfondita e presentata in modo che risponda alle esigenze del nostro tempo. Altra cosa è infatti il deposito stesso della fede, vale a dire le verità contenute nella nostra dottrina, e altra cosa è la forma con cui quelle vengono enunciate, conservando ad esse tuttavia lo stesso senso e la stessa portata» (Gaudet Mater Ecclesia, 55: EV 33-35).

Emerge, dalle parole del Pontefice, che il dialogo ecumenico è una di quelle «nuove esigenze del nostro tempo». La formulazione di questo principio è di chiara applicazione ecumenica. Questo principio fu ribadito da Paolo VI

nell’enciclica Ecclesiam suam che evidenziava la necessità per la Chiesa di essere in dialogo con i cristiani e i fedeli di altre religioni e confessioni. Nel dialogo le vie sono scoperte come quelle che conducono alla luce della fede e convergono sullo stesso fine. Possono divergere, ma possono essere complementari. La dialettica di questo esercizio di pensiero ci porta a scoprire elementi di verità anche quando le opinioni appartengono ad altri e non a noi e ci obbligherà ad approfondire la nostra ricerca senza fissarsi in espressioni immobili, in vani apriorismi.

Qui si pone una grande questione, quella dell’aderenza della missione della Chiesa alla vita degli uomini in un dato tempo, in un dato luogo, in una data cultura, in una data situazione sociale (Paolo VI, Ecclesiam suam795-797, in Enchiridion delle Encicliche 7).

La verità della fede non cambia il suo contenuto, né potrebbe, ma la sua recezione, il modo con cui viene compresa, espressa e resa significativa per ciascun contesto umano, culturale, storico, geografico, può cambiare. L’espressione della verità di fede può e deve rispondere alle esigenze spazio-temporali, alla capacità dei credenti di ricevere e trasmettere il contenuto della propria fede, secondo il principio aristotelico-tomista: «Quidquid recipitur, ad modum recipientis recipitur = tutto viene ricevuto secondo le modalità di chi riceve». Questo non infrange il contenuto della verità.

Così possiamo accettarci e accogliere positivamente la diversità e la molteplicità di esprimere il diverso contenuto, segno visibile della ricchezza del messaggio stesso e della presenza dello Spirito Santo che vivifica e guida il popolo santo di Dio all’intelligenza della fede, nella varietà dei doni. Il contenuto rivelato, nella sua immutabilità di verità di fede, garantisce ed esprime l’unità profonda di quanti pongono la fede rivelata quale nucleo essenziale del proprio credere e della propria esistenza.

L’espressione della verità di fede e le esigenze spazio-temporali

LA “GeRARChIA DeLLe VeRItà”di Paolo Di Palo

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Eccomi, sono qui!Messaggio del Vescovo Depalma per la Quaresima

Carissimi amici e amiche,

all’inizio di questo tempo di Quaresima, tempo di meditazione, silenzio e sobrietà, desidero innanzitutto espri-mere il mio più profondo senso di gratitudine a ciascuno di voi per le preghiere, la vicinanza e l’affetto con cui mi avete accompagnato nella prova della malattia. Dico “grazie” a voi, e dico “grazie” a Dio per avermi affidato ad un popolo con il cuore grande, capace di amicizia, di un bene concreto, dolce e operoso.

In questi giorni così speciali e unici per me, in cui tanto ho potuto riflettere sul senso e il dono della vita, ho avu-to la possibilità di immergermi nel dolore di tante famiglie chiamate, ogni giorno, ad aver cura di un loro caro sofferente. Con esemplare speranza, ma anche con infinita pazienza e spirito di sacrificio, padri, madri e figli si fanno carico di tutte le fatiche fisiche e morali di un ammalato. Sono una grande testimonianza per ciascuno di noi!

Alla luce di queste riflessioni, desidero dunque che il tradizionale messaggio per l’inizio della Quaresima sia de-dicato proprio alle famiglie. A quella “piccola Chiesa domestica” in cui si concentrano tutte le esperienze dell’u-mano: la gioia, il dolore, la paura, la speranza, il fallimento, il successo. Desidero che lo sguardo della Chiesa di Nola, in questo tempo forte che ci prepara alla Resurrezione del Signore Gesù, sia rivolto alla famiglia ricono-scendola pienamente come nucleo fondante della comunità cristiana e della comunità civile.

Era ed è una tradizione della Chiesa la “visita alle famiglie”. Con il tempo, tale pratica si è allentata o, in alcuni casi, burocratizzata. Sin dalle origini, invece, questa dinamica di uscita - dalla sacrestia verso le case che odora-no di vita reale – rappresenta un modo concreto con cui la comunità cristiana si rende “presenza” nell’esistenza quotidiana delle persone. Varcando la soglia di una casa, la Chiesa dice a chi vi abita: “Eccomi, sono qui. Non ho nulla da chiedere. Non pretendo nulla. Ma ci sono, ci sono per ciò che ti occorre e per ciò che sono in grado di offrire”.

Sarebbe bello che in queste settimane la comunità cristiana per intero – non solo i parroci, ma parroci e laici in-sieme – assumessero l’impegno di visitare ogni famiglia. Adattando orari e ritmi della vita parrocchiale a questo impegno prioritario, avendo cura di incontrare, per un veloce e affettuoso saluto, anche chi ha tempi familiari che cozzano con le nostre abitudini e le nostre routines.

Sarebbe un segno grande! In quanti, in questi giorni in cui ho “visitato” la malattia, mi hanno detto di aver tro-vato proprio nella comunità cristiana un grande confonto. E quanti altri, invece, mi hanno testimoniato che pro-prio l’assenza di una “compagnia” rappresenta il fardello più grande che si somma alle fatiche della sofferenza fisica. Io sono certo che questo gesto possa essere un balsamo per le nostre comunità: incontrare donne e uomini che dedicano le migliori energie alle cure di una persona anziana o di un familiare malato o disabile, giovani in difficoltà e bisognosi di una parola buona, bambini gioiosi e allegri... Questo “faccia a faccia” con la vita, fuori dalle nostre stanze e dai nostri “riti”, non può che rinvigorire l’anima e dare più concretezza ai nostri progetti pastorali, nonché aiutare alla riscoperta dell’autentica vocazione e missione della comunità cristiana.

Un gesto gratuito e sincero per testimoniare l’amore della Chiesa per le famiglie. Ecco come rendere speciale il tempo della Quaresima: portare la croce per qualche ora, per una sera, impegnandosi ad alleggerire il peso an-che nell’ordinario; condividere le gioie; pregare insieme il Signore della vita che consegna ai nostri cuori il senso di ogni accadimento.

Nel ringraziarvi ancora per il sincero bene che mi avete dimostrato, auguro a voi tutti e alle vostre famiglie un tempo di Quaresima in cui vedere nell’altro un volto da accarezzare nel nome del Signore risorto.

+ Mons. Beniamino Depalma