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FARE COMUNITÀ EDUCANTE: LA SFIDA DA VINCERE CREDIT FRANCESCO ALESI

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I contenuti del documento sintetizzano il lavoro svolto nel 2012 da Crescere al Sud.

Un ringraziamento particolare va ai membri del gruppo di lavoro che ha redatto i testi:Paola Carretta Andrea Morniroli Iolanda NapolitanoDaniela Rossi

L’analisi dei questionari e la redazione del cap. 5 sono di Elena Scanu Ballona

Grafica: INFABRICA di Mauro FantiStampa: Arti Grafiche Agostini

Documento stampato nel mese di dicembre 2012

FARE COMUNITà EDUCANTE: LA SFIDA DA VINCERE

INDICE

3FARE COMUNITà EDUCANTE: LA SFIDA DA VINCERE

1 - Un anno di lavoro condiviso 4

- Crescere al Sud: un’alleanza per i diritti dei bambini e degli adolescenti del Mezzogiorno 5

- Dalla denuncia alla costruzione di una strategia di intervento 6

2 - Tra complessità e frammentazioni, la condizione di disagio dei minori al Sud 8

- La povertà economica e la debolezza delle politiche di welfare 9

- Povertà: (s) femminile singolare 10

- Il radicamento delle organizzazioni criminali e l’illegalità diffusa 11

- L’invisibilità dei bambini e delle bambine 12

- Una moderna visione del welfare 13

3 - La “comunità educante” come risposta alla complessità 14

- Opportunità educative e possibilità di crescita: superare le criticità 15

- Il ruolo della scuola, attore indispensabile ma non sufficiente 16

4 - Gli impegni e le proposte di Crescere al Sud 20

5 - Crescere al Sud: le organizzazioni raccontano 24

6 - Le attività di Crescere al Sud 34

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1. UN aNNo DI Lavoro CoNDIvISo

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51. UN ANNO DI LAVORO CONDIVISO

Crescere al Sud: un’alleanza per i diritti dei bambini e degli adolescenti del Mezzogiorno

Dalla Conferenza di Napoli del settembre 2011 ad oggi, Crescere al Sud ha voluto rappresentare un luogo d’in-contro tra realtà diverse, nazionali e locali, che hanno deciso di mettere in comune le proprie esperienze, buone pratiche e competenze per dar vita a un’alleanza permanente in grado di avanzare proposte per la tutela e la promozione dei diritti dei bambini e degli adolescenti delle regioni del Mezzogiorno.

Siamo infatti convinti che la condizione di centinaia di migliaia di minori che vivono al Sud rappresenti una vera e propria emergenza per tutto il Paese: la povertà sempre più diffusa e profonda ed intesa in senso ampio come povertà non solo di reddito, ma anche di condizioni di vita e di opportunità; la debolezza della comunità educante, intesa come l’insieme di varie dimensioni che, a partire dal ruolo centrale della scuola e dei servizi alla prima infanzia, unitamente ai servizi di educativa territoriale e di sostegno, accompagnamento e cura dei servizi sociali e sanitari, concorrono a formare i minori; la diffusione, in alcuni contesti, di una “cultura” dell’illegali-tà, che rischia di delegittimare il lavoro di educazione alla cittadinanza attiva e alla legalità democratica, sono tre aspetti che provocano profonde e durature conseguenze sul benessere e lo sviluppo dei bambini e degli adole-scenti che nascono e crescono al Sud.

Abbiamo voluto quindi coinvolgere le realtà delle regioni meridionali e essere un fattore di stimolo e di atti-vazione per far si che Crescere al Sud possa affermarsi come un interlocutore efficace per i soggetti istituzionali, ma anche del settore privato e della società civile in senso ampio.

Le organizzazioni che partecipano al percorso di Crescere al Sud condividono alcuni principi fondamentali che ne ispirano l’azione e rappresentano un modo di “voler essere”:

• la volontà di fare sistema e costruire strategie comuni sul territorio;• la volontà di far emergere e dare dignità alle esperienze locali; • la volontà di lavorare solo con progettazioni alle quali sia garantita continuità e sostenibilità nel tempo,

ad iniziare dal garantire anche il nostro costante impegno e investimento;• la volontà di dare effettiva importanza al monitoraggio e alla valutazione; • la volontà di lavorare per promuovere il rispetto delle regole, ma anche nel rispetto delle regole;• la volontà di promuovere il protagonismo dei giovani, a partire dalla loro partecipazione attiva e responsa-

bile a tutte le fasi dei diversi interventi proposti da “Crescere al Sud”;• La volontà di rinforzare la “comunità educante”, valorizzando e sostenendo le buone pratiche già esistenti,

validate nei fatti e caratterizzate da una tradizione verificabile di intervento.

6FARE COMUNITà EDUCANTE: LA SFIDA DA VINCERE

Dalla denuncia alla costruzione di una strategia d’intervento

In questi primi mesi di lavoro insieme, Crescere al Sud è partita dalla denuncia della condizione di tanti minori del Mezzogiorno, per far sentire forte la nostra preoccupazione per l’aggravarsi delle condizioni materiali di moltissimi bambini e adolescenti che vivono in povertà o in situazioni di degrado estremo, cercando di sostanzia-re con la raccolta di dati statistici, ma anche di storie personali, un mosaico complesso e non certo uniforme della realtà dell’infanzia al Sud. Una realtà fatta anche di tanti operatori sociali e di piccole e grandi organizzazioni che abbiamo cercato di incontrare sul territorio e di rendere visibile.

L’obiettivo è stato anche quello di approfondire la conoscenza delle diverse tematiche e comprendere le dinamiche che rendono difficile a troppi bambini e bambine “crescere al sud”. Solo con un’analisi approfondita della situazione reale, che sappia mettere in discussione anche convinzioni e metodologie consolidate, è possibile cercare risposte in grado di garantire un futuro migliore per i minori del Mezzogiorno, e da queste iniziare a co-struire modalità d’intervento e politiche da attuare e verificare nelle realtà territoriali.

Allo stesso tempo, Crescere al Sud è consapevole che un ruolo fondamentale nella costruzione di una strategia d’intervento per cambiare e migliorare le condizioni di vita dei minori al Sud lo possano avere proprio le piccole e grandi organizzazioni che operano spesso con grande dedizione e professionalità sul territorio, e formano insieme quel capitale sociale, a volte ancora troppo debole sul quale noi vogliamo investire. Infatti, crediamo che prima ancora di nuove e adeguate risorse, una strategia per i minori abbia bisogno di grande atten-zione e consapevolezza delle condizioni reali:

- �l’attenzione�per�un�uso�più�efficiente�ed�efficace�delle�risorse�che�già�esistono�o�che�possono�essere�meglio indirizzate per politiche a favore dei minori. Il mancato utilizzo dei fondi europei, denunciato lo scorso anno da Crescere al Sud, e l’esperienza di questi ultimi mesi della politica di coesione territoriale, ha di-mostrato come sia necessario un governo centrale più forte e autorevole, capace di coordinare e di controllare che l’allocazione di risorse pubbliche, determinata a livello locale, rispetti obiettivi di efficienza e di equità, ga-rantendo la fornitura dei servizi essenziali per i cittadini e in particolare per l’infanzia. La parziale rimodulazione dei fondi europei a favore dell’infanzia è un primo passo in questa direzione, che auspichiamo sia presto reso pienamente operativo;

- la consapevolezza dell’importanza di investire sul capitale sociale, a partire dall’infanzia, e di dover affermare il primato dell’interesse collettivo e della tutela del bene comune. La presenza di un sistema politico-istituzionale estremamente debole che ha consentito, in molti contesti, il dilagare di corruzione e illega-

71. UN ANNO DI LAVORO CONDIVISO

lità, insieme al minor grado di associazionismo presente nelle regioni meridionali e una sua minor capacità nel controllare e contrastare tali fenomeni, ha indotto a comportamenti opportunistici e clientelari. Al contrario, una società civile forte e partecipe è fondamentale per far maturare una nuova generazione più responsabile e in grado di rappresentare gli interessi dei singoli in una visione più generale degli interessi collettivi.

Crescere al Sud ha quindi l’ambizione di sostenere una più forte e matura società civile, che dimostri nei fatti una maggiore attitudine a cooperare, ad attivare una partecipazione diffusa e a creare relazioni basate sulla fiducia, in grado quindi di aumentare quel capitale sociale da investire per la tutela e la promozione dei diritti dei bambini e degli adolescenti del Mezzogiorno.

Crescere al Sud rappresenta una novità e trova la propria identità nel fatto che, in un’epoca di disgregazione e competizione, un insieme di enti e soggetti, anche molto differenti tra loro, abbiano deciso volontariamente e in modo convinto di lavorare insieme e di investire risorse con la finalità di mettere al centro dell’attenzione politica e amministrativa, nel Mezzogiorno e a livello nazionale, i diritti dell’infanzia e dell’adolescenza intesi come “bene comune”, dalla cui cura e promozione dipende il benessere di tutte e tutti noi.

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2. Tra CompLESSITà E frammENTazIoNI, La CoNDIzIoNE DI DISaGIo DEI mINorI aL SUD

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92. TRA COMpLESSITà E FRAMMENTAzIONI, LA CONDIzIONE DI DISAgIO DEI MINORI AL SUD

La povertà economica e la debolezza delle politiche di welfare

Le dinamiche sociali che attraversano la nostra società sono sempre più complesse e caratterizzate da forme di di-sagio e difficoltà a più dimensioni. Il dato della povertà economica, la sua incidenza nel Mezzogiorno e le ricadute sulla condizione di vita di un numero sempre più vasto di minori è solo l’elemento più evidente e preoccupante. Molti altri sono i fattori di contesto che agiscono sulle stesse situazioni rendendole gravi e di difficile lettura.

La crisi economica, sociale e culturale che sta vivendo il Paese non solo evidenzia la distanza, in termini di oppor-tunità e prospettiva futura, tra inclusi ed esclusi, ma allarga le dimensioni della povertà e della vulnerabilità sociale e rende vasta l’area di chi ne ha la percezione o sta già cadendo in tali condizioni.

Una crisi che alimenta l’incattivimento delle relazioni sociali con il diffondersi di aree di conflitto tra gruppi con identità differenti o semplicemente tra “primi” e “ultimi”, e che parallelamente produce frammentazione sociale e rottura dei legami e delle reti di auto-aiuto.

In questo quadro particolarmente a rischio di marginalità e abuso, le principali vittime, anche in senso fisico e psicologico, sono le persone più deboli e fragili e, tra queste, sono innanzitutto i bambini e le bambine a risentire dell’impoverimento economico, sociale e culturale di ampie fette di popolazione.

L’aumento delle violenze intra-familiari, delle forme di sfruttamento precoce nel mercato del lavoro, dell’ab-bandono e della dispersione scolastica, dei fenomeni di bullismo e di violenza nelle relazioni tra pari, sono solo alcuni dei segnali che indicano il deciso peggioramento delle condizioni di vita di bambini, bambine e adolescenti italiani.

Inoltre l’assenza quasi totale di un sistema di cura e tutela dell’infanzia a causa della forte crisi delle risorse econo-miche è particolarmente sentita nelle regioni del Sud. La carenza di servizi di prevenzione (educativa territoriale e domiciliare, sostegno alla genitorialità) e di tutela (strutture di accoglienza residenziali, servizi di valutazione e cura) impedisce ai servizi sociali territoriali ed al Tribunale per i Minorenni di porre in atto interventi idonei, con progettualità adeguate, a favore di bambini e degli adolescenti.

In definitiva la povertà dilagante è sempre più dura, l’assenza di un welfare stabile e diffuso e di prospettive lavo-rative, mettono le famiglie in una sorta di “costante e cronica emergenza quotidiana” che, sommata spesso a una forte deprivazione culturale, impedisce loro di giocare un ruolo di cura responsabile e accudimento dei propri figli. Figli che da adolescenti vengono percepiti spesso come portatori di reddito e, in alcune situazioni, diventano purtroppo i soggetti su cui scaricare tensioni e rabbia.

10FARE COMUNITà EDUCANTE: LA SFIDA DA VINCERE

Figura 1: Save the Children, Atlante dell’infanzia (a rischio) 2012

Povertà: (s) femminile singolare

Le principali vittime di tale contesto di disagio economico, sociale e culturale sono le donne. Infatti la crisi ne ha esasperato ulteriormente la condizione di disparità, non solo con una diffusa espulsione dal mercato del lavoro, ma anche rendendo quasi impossibile entrarvi. In tale fragilità le più colpite sono le giovani e giovanissime donne, la cui vita viene ulteriormente deprivata anche dalle discriminazioni di genere e dalle pesanti asimmetrie di potere

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Spesa mediapro-capite in €

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Spesa media pro-capite 2009(valori in Euro)

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I BARATRI DELLA SPESA SOCIALE. Spesa sociale pro capiteper interventi e servizi sociali dei comuni singoli e associati per famiglie e minori.

Anno: 2009 - Fonte: elaborazione su dati istat

112. TRA COMpLESSITà E FRAMMENTAzIONI, LA CONDIzIONE DI DISAgIO DEI MINORI AL SUD

nelle relazioni familiari, che in contesti come quelli citati relegano spesso “la figlia” ad un ruolo di secondo piano, subalterno rispetto a quello della componente maschile del nucleo familiare.L’esperienza diretta ci testimonia che queste giovani donne, sicuramente tra i soggetti più fragili nei contesti di povertà e inattività, sono sempre più sovente portate ad individuare il matrimonio precoce come possibile e forse unica opportunità per imboccare percorsi di emancipazione dal nucleo familiare. Da questo punto di vista sono significativi i dati che segnalano una forte differenza in percentuale tra Nord e Sud dei nati da madri minori dei 20 anni (nel 2008 a Milano corrispondevano allo 0,97% sul totale dei nati, a Napoli al 3,38%): si tratta di mamme, e più in generale genitori, che non sono preparati alle fatiche e alle responsabilità di tale ruolo e che per questo risultano spesso assenti o fragili nei processi educativi e di accompagnamento alla crescita.

Quella delle “madri bambine” è solo una delle conseguenze più evidenti sulle condizioni di vita dei minori del Mezzogiorno provocata dalla debolezza del tessuto economico, sociale e culturale in cui vivono.

Il radicamento delle organizzazioni criminali e l’illegalità diffusa

Una debolezza diffusa che viene ulteriormente aggravata dal radicamento delle organizzazioni criminali che sem-pre di più coinvolgono anche i minori.Secondo i dati forniti dal Dipartimento di Giustizia Minorile, nel biennio 2010-2011 si è registrato un forte au-mento del numero di giovani italiani anche in servizi come i Centri di Prima Accoglienza e negli Istituti Penali per Minorenni che per molti anni avevano visto prevalere la presenza di adolescenti e giovani di cittadinanza non italiana. Prevalentemente si tratta di giovani maschi tra i 16 e i 17 anni, coinvolti in reati di furto, rapina, lesioni personali, detenzione e spaccio di sostanze stupefacenti. Analizzando il luogo di residenza di tali minori emerge che il Sud è l’area territoriale in cui in generale si registra il numero maggiore complessivo di minori presi in carico (39% del totale, seguito dalle isole con il 23%). La percentuale è ancora maggiore se si considerano in particolare i reati “associativi” (47% al Sud e 32% nelle isole).

Nel Sud, ancora più che al Nord dunque, vi è un evidente legame tra criminalità minorile e criminalità organiz-zata. Molti studi dimostrano come la criminalità minorile rappresenta un potenziale serbatoio, un vero e proprio “vivaio” dal quale la criminalità organizzata può attingere anche per reati gravi o per missioni pericolose.

Sono ragazzini, a volte poco più che fanciulli, di famiglie allo sbando o di mafia. Ex bambini che non hanno mai vissuto l’infanzia e che vivono ogni giorno sul precipizio dell’ergastolo.

Tuttavia, il problema di un modello di prevenzione nelle aree a forte densità criminale non può essere circoscritto ai casi dei giovani affiliati al sistema mafioso. Al radicamento delle organizzazioni mafiose in campo economico e

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sociale, si accompagna una “mafiosità” diffusa di cui sono impregnati i territori delle regioni meridionali, e che dunque incide fortemente anche su quei giovani che non sono incardinati in una famiglia mafiosa. Per “mafiosità”s’intende tutta quella zona grigia che ruota intorno alle organizzazioni mafiose fatta di corruzione, assenza delle istituzioni, gestione privatistica della cosa pubblica, mancato rispetto delle regole della convivenza civile.

L’invisibilità dei bambini e delle bambine

Tutto questo avviene in un contesto politico e amministrativo che non dimostra l’attenzione e la volontà neces-sarie per la ricerca di interventi tesi a sostenere e accompagnare i diritti dell’infanzia e dell’adolescenza. Negli ultimi anni abbiamo assistito ad un vero e proprio cambiamento di prospettiva che ha messo i bambini ai margini rendendoli invisibili ed esposti al disagio.

I diritti, i sogni, la vita e la salute dei bambini e delle bambine devono quindi tornare al centro dell’attenzione della politica e del governo locale, in primis con l’attivazione di politiche integrate in grado da un lato di accoglierne le fragilità e di sostenere il loro superamento, d’altro lato di tutelarne e promuoverne i diritti.

Un recupero di centralità politica e attenzione che appare ancora più importante nel Mezzogiorno dove continua-no a incidere in modo pesante una serie di condizioni ed elementi che inaspriscono e aumentano le difficoltà pur presenti in altre parti del nostro Paese tra cui:

- le strutturali debolezze che sempre più caratterizzano il sistema di welfare locale, aggravate dai continui tagli alla spesa sociale e da una concezione meramente assistenzialistica in materia di intervento sociale;

- la mancanza di opportunità adeguate e di inserimento nel mercato del lavoro e la contemporanea presenza di ampi settori di lavoro sommerso e irregolare;

- la progressiva chiusura dei servizi di protezione e di tutela dei bambini mal-trattati, con proroghe discontinue nel privato e diminuzione del personale nel pubblico, con gravi conseguenze per la cura dei bambini e delle loro problematiche famiglie;

- l’assenza di politiche culturali e di aggregazione rivolte ai bambini, ai giovani e agli adolescenti; - la mancanza di una programmazione in grado di garantire continuità agli interventi di sostegno alla genitorialità

in situazioni di fragilità e che tuteli i più piccoli anche attraverso azioni all’interno delle famiglie;- il peso e l’ingerenza della criminalità organizzata e in particolare gli effetti pesanti in termini di crescita e stabilità

psicologica determinati dal fatto di nascere in contesti violenti a forte presenza di illegalità o densità criminale.

Di fronte ad una tale complessità ed emergenza occorrono scelte e azioni di governo capaci di rimettere al centro le persone, restituendo visibilità ai bambini e alle bambine, sempre più sommersi e marginalizzati in società e città disattente e per loro invivibili e distanti.

132. TRA COMpLESSITà E FRAMMENTAzIONI, LA CONDIzIONE DI DISAgIO DEI MINORI AL SUD

Una moderna visione del welfare

Prima di affrontare la definizione di proposte specifiche, in quanto organizzazioni ed enti che aderiscono a “Crescere al Sud” sentiamo forte l’esigenza di sottolineare come, a fronte di una situazione così grave e delicata, occorra un ribaltamento generale degli approcci della politica in materia di welfare:

- le politiche di welfare non possono più essere pensate e proposte come azioni e interventi che riguardano i soli deboli perché inevitabilmente tale impostazione porta con se il rischio che esse siano pensate come “politiche deboli”. In altre parole, le politiche sociali devono essere concepite non come corollario dell’azione ammini-strativa, ma come elemento trasversale ai diversi settori del governo locale, pensate come politiche rivolte agli interessi e al benessere dell’intera comunità e non solo delle parti più fragili e in difficoltà;

- il welfare non può essere considerato un lusso da concedersi solo in tempi di “vacche grasse”, ma al contrario una priorità indispensabile soprattutto nei momenti di crisi e nei contesti a maggior rischio di degrado e margi-nalità. Senza un forte investimento sulla coesione sociale, sul contrasto alla povertà, sul recupero di relazioni e legami sociali è difficile parlare di sviluppo e legalità. La tranquillità e la sicurezza dei primi non sono immagi-nabili senza prevedere azioni capaci di farsi carico degli ultimi e dei fragili;

- il welfare, e in particolare gli interventi sui minori, dall’infanzia all’adolescenza, non può essere considerato una spesa a perdere, ma un investimento importante che “paga” non solo in termini di restituzione e tutela di diritti, ma anche in un’ottica di razionalizzazione e risparmio della spesa pubblica capace di generare sviluppo e be-nessere futuro. Al contrario, in assenza di servizi di cura all’infanzia, gli Enti Locali si troveranno ad affrontare molte più emergenze e saranno costretti ad utilizzare servizi ad alto costo. Un vero e proprio paradosso in un momento di “spending review”.

Per questo “Crescere al Sud” si propone come “alleanza” che individua tra le sue priorità l’apertura di un dialo-go e di un confronto positivo con la politica e con i diversi livelli di governo, sia nazionale che locale. Vogliamo proporci come luogo di interlocuzione aperto e propositivo, disposto ad individuare terreni di collaborazione e lavoro condiviso con i diversi livelli istituzionali e amministrativi, ma anche attento a mantenere una propria dimensione di forte autonomia critica, senza quindi scivolare in logiche di “collateralismo” o, al contrario, pre-giudizialmente oppositive.

Ma soprattutto “Crescere al Sud”, è un’alleanza che, per l’eterogeneità degli enti che vi aderiscono e per le com-petenze e le esperienze di lavoro che in essa si riconoscono, può aspirare a essere uno spazio dove la definizione delle politiche in materia di infanzia e adolescenza può confrontarsi e verificarsi con continuità con le pratiche e con il lavoro concreto che avviene tutti i giorni in tante parti del nostro Meridione.

3. La “ComUNITà EDUCaNTE” ComE rISpoSTa aLLa CompLESSITà

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153. LA COMUNITà EDUCANTE COME RISpOSTA ALLA COMpLESSITà

Opportunità educative e possibiità di crescita: superare le criticità

La complessità sociale ed economica che caratterizza il Mezzogiorno produce una forte disparità tra le opportu-nità educative e le possibilità di crescita dei bambini e degli adolescenti del Sud e i loro coetanei che nascono e crescono nel resto del Paese.

Per cercare di prevenire e superare tali criticità continuano ad attivarsi una molteplicità di esperienze pubbliche, del privato e del privato sociale che, a volte in modo stupefacente, producono azioni di accoglienza e cittadinanza, costruiscono luoghi accessibili e ospitali, propongono opportunità mirate a sostenere e accompagnare i bambini, gli adolescenti e i giovani nelle loro esigenze educative e di crescita.

A volte si tratta di scuole pubbliche (spesso le sole a mediare e farsi carico delle contraddizioni che altri non vo-gliono vedere o di cui non si vogliono occupare). In altri casi si tratta di attività e interventi promossi da comuni e altre istituzioni locali. E ancora, di progetti e azioni di oratori, associazioni, fondazioni e enti privati, coopera-tive sociali. In alcune situazioni, poi, sono forme auto-organizzante di società attiva che prova con le modalità dell’auto-aiuto a proporre spazi e attività di diversa natura.

Molto spesso, però, tali contesti sono indeboliti da due principali problematicità: la cronica mancanza di risorse e sostegni pubblici; la scarsa capacità di lavorare insieme, di attivare pratiche costanti e riconosciute di lavoro condiviso, magari anche mettendo in gioco professionalità elevate e competenze importanti, ma troppo chiuse dentro il proprio specifico, facendo spesso prevalere la competizione sulla collaborazione.

Per tali ragioni ogni intervento educativo che si intende attivare nel Mezzogiorno deve saper tenere in conto da un lato il dato della complessità, dall’altro lato la necessità di costruire alleanze che, oltre a condividere strumenti, modalità organizzative e pratiche di lavoro, sappiano individuare comuni prospettive di senso e cambiamento.

Alleanze accessibili e aperte che mirino a trasformare i contesti educativi territoriali in vere e proprie comunità educanti, anche attraverso il coinvolgimento e la partecipazione di tutti i soggetti territoriali del pubblico, del privato sociale e del privato che possono concorrere alla realizzazione degli obiettivi: le famiglie, la scuola, le isti-tuzioni, le forze dell’ordine, le fondazioni, le associazioni, le cooperative sociali, le organizzazioni del volontariato, le onlus, le parrocchie, le società sportive, i centri di ricerca e le università.

Un sistema verticale e orizzontale di collaborazioni e senso condiviso che da subito deve essere capace di rivolger-si ai bambini e alle bambine, ai ragazzi e alle loro famiglie, pensando a loro non solo come destinatari dei servizi, ma come protagonisti e attori attivi delle iniziative programmate e attivate.

16FARE COMUNITà EDUCANTE: LA SFIDA DA VINCERE

La “Comunità educante”, quindi, come modello di intervento che a partire dall’obiettivo di restituire visibilità e centralità all’infanzia e all’adolescenza, restituisca anche dignità, protagonismi e diritti alle persone, rimettendole al centro dell’interesse pubblico, indipendentemente dal censo, dalle provenienze etniche, religiose e culturali, dagli orientamenti sessuali e dalla appartenenza di genere.

Il ruolo della scuola, attore indispensabile ma non sufficiente

È evidente che in un’ipotesi che ragiona su modelli integrati di intervento educativo un ruolo centrale deve averlo la scuola.Se tutta la scuola italiana è in una situazione di affanno e di difficoltà, quella meridionale lo è in una modalità più acuta e preoccupante. Si pensi solo, a titolo di esempio, alla differenza fra nord e sud nel rapporto fra scuola, formazione professionale e sistema produttivo; o alla sistematica diffusione del tempo prolungato nelle realtà a più alta occupa-zione femminile ed, invece, alla più limitata presenza di questo tipo di organizzazione del tempo scuola in moltissime aree meridionali o, ancora, alla diffusione del sistema degli asili nido pubblici e privati nelle varie regioni.

Se questi dati vengono collegati all’alto tasso di dispersione scolastica che caratterizza alcune regioni meridionali, considerando che il “tempo scuola”, e soprattutto “il tempo scuola di qualità”, è una delle variabili forti che determi-nano successo e fallimento, si comprende ancora meglio come sia opportuno parlare di una vera e propria “questione meridionale” della scuola. Dove la dispersione scolastica è spesso solo un sintomo, la punta dell’iceberg, del disagio del minore che affonda le sue radici all’interno di famiglie multiproblematiche. Sintomo che il contesto sociale non è in grado di riconoscere e contrastare prima che si traduca, tra l’altro, in fallimento scolastico.

Tutto questo si traduce in un’enorme “diseguaglianza delle opportunità” fra bambini e ragazzi di aree diverse del Paese, soprattutto per i più deboli, per i quali la scuola finisce per rappresentare molto spesso l’unico interlocuto-re, l’unica istituzione a cui rivolgersi e dalla quale si riceve una risposta inadeguata.

173. LA COMUNITà EDUCANTE COME RISpOSTA ALLA COMpLESSITà

EARLY SCHOOL LEAVERS IN ITALIA. Percentuale di giovani tra i 18 e i 24 anni con la sola licenza media e non più in formazione.

Anno: 2011 - Fonte: elaborazione su dati istat

Figura 2: Save the Children, Atlante dell’infanzia (a rischio) 2012

Non si tratta però solo di quello che c’è dentro le scuole, ma anche di ciò con cui i ragazzi si confrontano fuori. Un fuori che spesso è caratterizzato da contesti di degrado, dalla presenza di modelli culturali in negativo, centrati sull’apparire, sulla competizione sfrenata, sulla furbizia come strumento primo nelle relazioni con l’altro e con la cosa pubblica. Ed è in tale ottica che buone pratiche di lavoro con i bambini e i ragazzi devono guardare dentro alla scuola, ma al contempo devono saper proporsi al suo esterno: percorsi di accompagnamento della crescita, calibrati sul quotidiano, costanti nel tempo, capillarmente distribuiti nei territori, integrando luoghi e attività

Valle d'Aosta/Vallée d'Aoste

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MediaDispersione 2011: 18.2%

8.2% da colmare per raggiungerenel 2020 il target del 10.0%

Early schoolleavers 2011

9.6% - 11.6%

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16.9% - 19.5%

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18FARE COMUNITà EDUCANTE: LA SFIDA DA VINCERE

educative. Tutto questo assume una rilevanza particolare se si guarda ai segmenti di popolazione scolastica più sofferenti o le cui condizioni socio-economiche mettono a forte rischio di ritardo, dispersione o marginalità.

Ed è per tutte queste ragioni che qualsivoglia ipotesi di presa in carico e di sostegno educativo deve essere inne-scato all’interno di un approccio sistemico, in grado di attivare la scuola, insieme agli altri attori pubblici e privati del territorio, non solo rivolgendosi alle giovani generazioni, ma anche agli adulti, ai nuovi analfabeti, agli immi-grati, con la consapevolezza che i percorsi di apprendimento attuali sempre più riguardano l’intero arco della vita.

In generale un rilancio dei processi e dei programmi educativi (con riferimento specifico alla formazione) deve prioritariamente superare l’impianto assistenzialistico volto ad una riduzione della conflittualità sociale e al conte-nimento del disagio, verso un’ottica di sviluppo e di promozione di emancipazione e autonomia.

Un’altra priorità sono gli interventi e le politiche mirate alla prevenzione e al contrasto della dispersione e dell’ab-bandono scolastico. Infatti, al Sud, nonostante lenti miglioramenti, la dispersione scolastica ha ancora la consi-stenza di un fenomeno sociale che, in alcuni contesti, rappresenta un ostacolo vero e importante all’accesso ai diritti di cittadinanza.

Per Crescere al Sud, allora, la promozione di cittadinanza va realizzata:- incentivando la presenza nei territori di personale altamente professionalizzato sui temi dell’inclusione, della

promozione del protagonismo dei ragazzi, del sostegno educativo e sociale e dei percorsi di accompagnamento e riconnessione di tutte le risorse disponibili. Personale di istituzioni pubbliche (scuola, servizio sociale) o che svolgono una funzione di interesse pubblico (centri socio/educativi, aree sportive, laboratori artistici, percorsi di orientamento e professionalizzanti);

- garantendo la presenza attiva e capillare di adulti “strategici”, con mandato di ascolto, protezione, tutela dei diritti e sostegno per le famiglie;

- facendo dei territori un ambiente educativo sicuro, moltiplicando in modo diversificato le occasioni di appren-dimento e rendendo accessibili le strutture pubbliche alle attività di crescita dei giovani;

- promuovendo contesti protetti e diffusi in cui far convergere testimonianze positive di stili di vita e relazioni; - contrastando l’approccio competitivo e conflittuale di cui oggi la comunità degli adulti è testimone;- combattendo l’analfabetismo di ritorno e l’assenza di nuova formazione con una politica attiva, partecipata ed

integrata di formazione continua che coinvolga enti di formazione, enti locali, culturali ed artistici, ASL, coope-rative sociali, associazioni e comunità locali.

19FARE COMUNITà EDUCANTE: LA SFIDA DA VINCERE

Mariano, Palermo

Mariano ha 16 anni, e da tempo è inserito nelle attività di un centro di aggregazione giovanile della città. Il suo percorso scolastico è stato caratterizzato da insuccesso, interruzioni e bocciature, causate anche dal deprivato contesto sociale e familiare in cui è cresciuto, che lo hanno portato ad abbandonare la scuola, preferendo la strada. Il contesto sociale che lo circonda è estremamente disagiato: strade di periferia, alto tasso di delinquenza, altissima percentuale di evasione scolastica. I genitori, così come gli amici di Mariano, hanno tutti abbandonato la scuola precocemente: il massimo titolo raggiunto è la licenza elementare. Il contesto familiare in cui Mariano vive non incentiva in nessun modo una maggiore dedizione agli studi. Mariano è stato inserito nel laboratorio organizzato grazie ad un progetto attivo nella scuola. Il laboratorio prevedeva momenti di gruppo e momenti individuali, ed attività finalizzate al conseguimento della licenza media. Durante le attività sono emerse molte problematicità sulle quali era opportuno intervenire. In accordo con la scuola, è stato predisposto un piano di lavoro che prevedesse un iter formativo personalizzato, idoneo alle caratteristiche di Mariano ed in grado di sostenerlo nell’affrontare e superare le problematicità e carenze rilevate. Con il supporto di uno psicologo e di un tutor si è attivato un processo motivazionale e di impegno, che ha consentito la riattivazione del processo formativo. Mariano ha potuto riflettere e confrontarsi seriamente su tematiche quali le aspettative per il futuro, le scelte di vita, il conseguimento della licenza media, l’inserimento lavorativo. Il laboratorio prevedeva dei momenti di lavoro di gruppo basato su attività mirate all’emersione delle aspettative dei ragazzi e alle proiezioni di queste nel loro futuro. Mariano ora è inserito in un corso “sperimentale” di preparazione agli esami per la licenza media. gli operatori rilevano il suo mutato atteggiamento verso di loro, che è passato dall’iniziale rifiuto al sincero rispetto: nel rapporto con le figure educative, il ragazzo è riuscito ad instaurare un rapporto di fiducia.

20FARE COMUNITà EDUCANTE: LA SFIDA DA VINCERE

4. GLI ImpEGNI E LE propoSTE DI CrESCErE aL SUD

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214. gLI IMpEgNI E LE pROpOSTE DI CRESCERE AL SUD

Crescere al Sud nei prossimi mesi intende impegnarsi per perseguire alcune finalità generali:

- la promozione di una cultura e un approccio sui temi che riguardano i diritti e la vita dei bambini e della bam-bine, degli adolescenti, dei ragazzi e delle ragazze del Mezzogiorno, che restituisca ai minori centralità nella ridefinizione delle nostre città e territori e nella azione dei governi e delle amministrazioni locali.

- l’avvio di un lavoro costante di ricerca e inchiesta sulla condizioni dell’infanzia e dei minori del Mezzo-giorno tesa ad individuare e mettere in rete tutte le “buone pratiche” e tutti gli attori che possono contribuire a rilanciare e implementare azioni che incidano favorevolmente sulla vita dei minori nel Sud Italia.

Per realizzare tali finalità vogliamo partire dai ragazzi e dalle ragazze, promuovendo e sostenendo il loro protago-nismo nel raccontare le condizioni di “crescere al sud” in prima persona, raccogliendo testimonianze e denunce, ma anche suggestioni e stimoli per trovare nuove risposte ai loro veri e concreti bisogni.

Crescere al Sud intende inoltre mettersi alla prova, là dove le condizioni ne offrano l’opportunità, per iniziare a praticare, in accordo con le istituzioni locali, interventi educativi diffusi sul territorio che, a partire dal con-tributo dei soggetti che aderiscono all’alleanza, rendano concreta, praticabile e riproducibile la nostra visione di comunità educante. Non ci tiriamo indietro, quindi, convinti della responsabilità che abbiamo assunto proponen-doci come alleanza capace di produrre cambiamento.

Allo stesso tempo, però, riteniamo che i governi a tutti i livelli debbano agire per creare le migliori condizioni e in questo senso proponiamo alcuni interventi:

1. in considerazione dei vincoli di bilancio e delle sempre minori risorse disponibili chiediamo al Governo di prevedere, nella negoziazione a livello europeo sulla programmazione dei nuovi fondi europei del periodo 2014-2020,�un’azione�più�definita�e�specificatamente�dedicata�alle�politiche�a�favore�dell’infanzia�e�dei�minori, in grado di sostenere interventi diretti a favore dei bambini e delle bambine del Mezzogiorno;

2. chiediamo di adottare posizioni di disciplina dei bilanci pubblici in modo da svincolare risorse sugli “investi-menti” a maggiore moltiplicatore economico ed a più lunga durata: quelli sulle persone e in particolare sull’in-fanzia. Chiediamo quindi di introdurre una golden rule, in relazione alle spese dedicate all’infanzia e alle famiglie con minori. Gli interventi di cura e promozione della capacità relazionali e cognitive dei bambini sono, infatti, preminentemente da considerare come spese in conto capitale, perché capaci di creare un valore aggiunto nei futuri adulti.

3. Convinti che gli asili nido rappresentino speciali servizi sociali di interesse pubblico per la coesistenza della loro funzione formativa e sociale con quella diretta al sostegno delle famiglie, e che sebbene non obbligatorio, l’asilo nido sia in diretta connessione funzionale con la scuola dell’infanzia e la successiva scuola dell’obbligo, chiediamo

4. GLI ImpEGNI E LE propoSTE DI CrESCErE aL SUD

22FARE COMUNITà EDUCANTE: LA SFIDA DA VINCERE

che anche l’asilo nido rientri a pieno titolo nel più complesso sistema dell’istruzione scolastica e che co-stituisca quindi per tutti un diritto soggettivo. A questo proposito proponiamo che gli asili nido - soprattutto nelle aree dove più deboli e carenti sono i servizi sociali, possano essere pensati e organizzati come un vero e proprio hub di servizi all’infanzia, luoghi di snodo tra istituzioni educative, famiglie, associazioni, servizi sociali.

4. Convinti della necessità di favorire la trasformazione dei contesti educativi territoriali in comunità educanti proponiamo�la�promozione�e�l’investimento�in�forme�integrate�di�intervento,�definibili�come�“presidi�ad alta densità educativa” mirati a:

- offrire l’opportunità di spazi di incontro ed aggregazione, ad esempio attraverso il recupero e la riqualifica-zione di aree verdi, attualmente degradate, nelle periferie delle città e dei piccoli comuni, favorendo i processi di socializzazione tra le diverse fasce d’età e lo sviluppo del senso di appartenenza alla comunità in cui si vive;

- offrire, attraverso gruppi educativi, percorsi di crescita di autonomia e di consapevolezza della propria iden-tità, corporeità e libertà;

- offrire modelli positivi di utilizzo del tempo libero, stimolando le potenzialità creative e creando nuove op-portunità;

- “accompagnare” ed affiancare in modo individualizzato alcuni ragazzi più fragili e le loro famiglie interagendo con tutte le altre risorse in rete presenti sul territorio;

- offrire alle famiglie uno spazio per il confronto e lo scambio sulla crescita dei ragazzi, implementando le re-lazioni tra le famiglie e le agenzie educative formali ed informali esistenti sul territorio.

5. Per facilitare la creazione di aree ad alta densità educativa, ovvero la costituzione di comunità educanti sul terri-torio chiediamo al Governo di impegnarsi per garantire le risorse destinate all’aumento del tempo scuola e dello “spazio extra scuola” per servizi dedicati all’osservazione, all’ascolto, alla tutela e interventi differenziati per bambini, adolescenti e famiglie.

23FARE COMUNITà EDUCANTE: LA SFIDA DA VINCERE

24FARE COMUNITà EDUCANTE: LA SFIDA DA VINCERE

5. CrESCErE aL SUD: LE orGaNIzzazIoNI raCCoNTaNo

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255. CRESCERE AL SUD: LE ORgANIzzAzIONI RACCONTANO

Una delle proposte emerse con forza dalle organizzazioni di Crescere al Sud era stata quella di creare una raccolta di progetti, azioni o interventi che si fossero distinti per la loro buona riuscita o innovatività ed analizzare l’insie-me delle informazioni raccolte per poter estrapolare buone pratiche o metodologie replicabili.

La raccolta di queste informazioni non intende essere un’esaustiva collezione di progetti da catalogare: lo scopo, infatti è quello di riuscire ad individuare, nei progetti segnalati dalle organizzazioni, quegli elementi di successo che, replicati in contesti simili o riadattati per esigenze analoghe, forniscano un orientamento per poter ottimiz-zare l’impatto di nuove progettualità.

Alle varie organizzazioni, in parte soggetti promotori di Crescere al Sud ed in parte organizzazioni con le quali la rete è entrata in contatto in occasione delle iniziative realizzate nel corso dell’anno, è stato inviato un questionario da compilare per ottenere informazioni di base sui progetti da loro considerati significativi e capire quali elementi coloro che li avevano realizzati considerassero di particolare interesse ai fini dell’analisi che ci si era proposti.

Il campione di schede pervenuto è stato di 75 questionari; come si può notare dalla figura 3, questo interessa, in misura differente, quasi tutte le regioni del Sud.

Figura 3: Regioni di realizzazione degli interventi analizzati

0

5

10

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30

Sicilia

Calabr

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Pugli

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Sard

egna

Campa

nia

Mult

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5. CrESCErE aL SUD: LE orGaNIzzazIoNI raCCoNTaNo

26FARE COMUNITà EDUCANTE: LA SFIDA DA VINCERE

La maggior parte dei progetti ha una durata superiore ai 12 mesi (Figura 4), rari sono quelli che durano meno; la maggior parte degli interventi si realizzano in un arco di tempo compreso tra i 18 e i 24 mesi; alcuni, poi, si profilano come veri e propri servizi al territorio, la cui temporalità non è indicata dalle schede.

Figura 4: durata degli interventi analizzati

0 5 10 15 20 25 30 35

< 12 mesi

12 - 18 mesi

19 - 24 mesi

25 - 36 mesi

> 36 mesi

Non dichiarato

L’ambito di riferimento di più del 70% dei progetti segnalati è quello della comunità educante1; quando è stato indicato uno degli altri, spesso è avvenuto in aggiunta a quello della comunità educante; solo una minoranza dei progetti attiene unicamente alla lotta alla povertà o alla legalità. Analizzando i contenuti delle schede, in realtà, molto spesso si rileva come le sfere di operatività indicate si intersechino fra loro, tanto che risulta difficile scin-derne con decisione una rispetto ad un’altra; alcuni degli intervistati, di conseguenza, hanno preferito segnalare più settori tra quelli indicati; è però senza dubbio interessante il fatto che, dovendo fare una scelta, la percezione che gli intervistati hanno dell’ambito nel quale si trovano ad operare sia stato in gran maggioranza quello della comunità educante; questo lascia dedurre che, anche nelle intenzioni delle organizzazioni promotrici di progetti sul territorio, quello di “fare comunità che educa” è un elemento essenziale del loro porsi rispetto alla collettività nella quale sono inserite.

1 Nel questionario proposto alle organizzazioni gli ambiti di riferimento erano tre, definiti sulla base delle linee di riflessione di Crescere al Sud: comunità educante, lotta alla povertà, legalità.

275. CRESCERE AL SUD: LE ORgANIzzAzIONI RACCONTANO

Figura 5: Ambiti di realizzazione degli interventi analizzati

4%

5%

19%

Comunità educante

Lotta alla povertà

Legalità

Più di uno (o tutti) i settori

72%

Non stupisce, quindi, che le attività si svolgano principalmente nelle scuole (per il 39%); molti degli interventi però si realizzano anche all’interno dei quartieri (22%), nelle sedi di associazioni o centri aggregativi (14%), nei territori comunali (13%) o più raramente all’interno dei nuclei familiari (2%).

Per quanto concerne il punto di vista gestionale, è interessante notare come le organizzazioni, nella loro operativi-tà, considerino le alleanze territoriali (con i servizi, con le istituzioni, con altre organizzazioni) come un elemento fondamentale di successo per le loro progettualità. Esse, infatti, vedono il proprio lavoro non come sostitutivo rispetto a quello portato avanti dal servizio pubblico, ma come “essenziale complemento” rispetto ad esso. In quest’ottica, l’apporto di ciascuno risulta fondamentale nella misura in cui, una volta individuati i bisogni generali dell’area in cui si opera, l’intervento venga personalizzato e posto in essere con la collaborazione dei componenti della rete, e che ciascuno, con la propria specificità, possa intervenire se e dove serve. Uno dei punti di forza che emerge dalle interviste è quindi la necessità della creazione di solide alleanze territoriali, permanenti e attive in ogni fase degli interventi (dalla co-progettazione alla realizzazione), che riuniscano un complesso di differenti professionalità e competenze (docenti, studenti/peer educators, assistenti sociali, rappresentanti delle istituzioni locali competenti per materia, psicologi, mediatori culturali, operatori del terzo settore, ecc.), che ognuno nel proprio ambito, possa farsi carico delle esigenze dei beneficiari nella loro interezza, prendendo in considerazione tutte le problematiche che ne influenzano l’esistenza.

Di qui, il secondo punto di forza degli interventi: un’attenta analisi iniziale della situazione, che aiuti ad indivi-duare in modo preciso il quadro generale dei bisogni del territorio e le possibilità di risposta attivabili in loco; se a tutta prima questa può sembrare un’ovvietà, è da considerarsi che le variabili dalle quali il progetto dipende sono numerose, e le risorse disponibili, in genere, abbastanza limitate. E’ importante quindi identificare con accuratez-za le azioni che meglio garantiscono l’efficacia del risultato e l’ottimizzazione delle risorse nel contesto all’interno del quale si opera.

28FARE COMUNITà EDUCANTE: LA SFIDA DA VINCERE

Un’altra caratteristica posta in rilievo è la personalizzazione dell’intervento, che viene riportata da alcuni degli intervistati come elemento saliente di una risposta efficace. Le metodologie utilizzate per tale personalizzazione sono differenti, a volte si concentrano sui peer educators, altre sulla presenza di giovani tutor; tutte le esperienze, però, mirano ad offrire ai ragazzi e alle ragazze un intervento mirato alle loro esigenze, con l’instaurazione di un rapporto personale con l’operatore. La conoscenza dei problemi e bisogni specifici della persona, infatti, consente di andare oltre un intervento standardizzato, offrendo una risposta mirata a concrete esigenze.

Testimonianza di un operatore di Palermo, Sicilia

Lorenzo ha 14 anni, e frequenta la scuola secondaria di primo grado. Una storia pregressa di assenze ripetute lo “classifica” come pluriripetente. Appare demotivato e insofferente durante le lezioni. Uno sguardo attento su di lui rivela l’angoscia di essere bocciato, perché questa esperienza confermerebbe la sua percepita incapacità. Continuano le assenze, continua la noia e il suo sentirsi inadeguato e fuori posto. Dice al tutor (il progetto realizzato all’interno della scuola da una delle associazioni prevede la presenza di tutor che seguano singolarmente piccoli gruppi di ragazzi/e particolarmente a rischio di abbandono, ndr) che lo segue che vuole ritirarsi. Dalla famiglia giungono messaggi contraddittori: “Studia e vai a scuola / ma tanto non serve a nulla…”. Il tutor gli propone un’alternativa: restare in quella classe senza pensare troppo all’esito (promozione o bocciatura), ma avviando un percorso di riflessione su di sé e sulle proprie potenzialità, e sul modo in cui trasformarle in risorse. Lorenzo comincia a sentirsi protagonista della propria storia; inizia ad ottenere dei successi, perché migliora il rapporto coi docenti, aumenta il senso di adeguatezza legato alla consapevolezza di sé e migliora la comunicazione con la famiglia.

Per molti dei progetti analizzati l’obiettivo principale è quello di contrastare il fenomeno della dispersione sco-lastica (sia in fase di prevenzione che di recupero); quasi nessuno degli intervistati, però, si limita a considerarlo come a sé stante in relazione alle condizioni di vita dei ragazzi beneficiari; gli interventi segnalati in genere pro-pongono un approccio multilivello. Alle spalle del più evidente fenomeno dell’abbandono scolastico, infatti, si inquadrano problematiche di estrema gravità, quali povertà, precarietà, illegalità, famiglie multiproblematiche. In alcuni contesti, viene rilevato dai questionari, ragazzi e ragazze assumono comportamenti a rischio e seguono modelli di comportamento devianti. È chiaro che la scuola, con le sue regole, con i suoi limiti e inadeguatezze, non risulti ai loro occhi un punto di riferimento attrattivo.

Tra le criticità segnalate, la scarsità di risorse disponibili comporta una serie di conseguenze: dalla carenza di servizi territoriali per le famiglie e i minori, alle aree caratterizzate da degrado urbano, vetustà e fatiscenza degli edifici, alla mancanza di punti di riferimento sul territorio. C’è chi rileva che “la scuola appare come unica agenzia for-mativa, insufficiente a praticare una funzione compensatrice di recupero e risposta ai bisogni del territorio” 2

2 Le citazioni in corsivo sono tratte dai questionari inviati dalle organizzazioni.

295. CRESCERE AL SUD: LE ORgANIzzAzIONI RACCONTANO

Ancora, in relazione al rapporto tra cittadini e territorio viene sottolineata la “disomogeneità delle procedure che vengono attivate dai servizi socio-sanitari territoriali per il sostegno alle famiglie, ma anche una scarsa integrazione degli stessi”, che finisce col comportare “un’inadeguata offerta, da parte dell’intera comunità territoriale, di interventi mirati, coordinati e costanti fina-lizzati a comprendere le cause del disagio, ad individuarne le condizioni che ne sostengono l’esistenza e le criticità che ne impediscono la rimozione” ed oltre a ciò una “forte carenza di reti sociali di supporto, carenza di comunicazione tra enti privati, pubblici e cittadini, che incentiva a sua volta la frammentarietà e la difficoltà ad accedere ai luoghi e ai servizi che la città offre”.

Le organizzazioni sentono di essere parte integrante di un sistema nel quale possono agire da ponte tra il servizio pubblico e il cittadino comune, soprattutto se svantaggiato, socialmente isolato o poco scolarizzato, che più di altri è a rischio di “invisibilità”, riuscendo ad intercettare sul territorio quei bisogni che altrimenti rimarrebbero inespressi. Il servizio offerto viene inteso come strumento unificante di competenze e professionalità spesso pre-senti ma operanti a volte in modo non sinergico, che agisce in rapporto di complementarietà con gli altri servizi disponibili nel territorio. Esso appare essere la risposta al bisogno di personalizzazione dell’intervento nei con-fronti dei singoli utenti, includendo in questo concetto anche l’eventuale adattamento di tempi e programmi, sulla base dell’esistenza di circostanze particolari, dell’emergere di nuove situazioni o modifiche di quelle precedenti.

Tra le altre criticità riportate, molte organizzazioni denunciano elementi strettamente contingenti il singolo pro-getto; altre, invece, denunciano lo scarso interesse da parte delle istituzioni (locali o nazionali) o la scarsità dei finanziamenti; in particolare, più organizzazioni lamentano le difficoltà relative al rinnovo di convenzioni ed il rifinanziamento di iniziative già avviate e la mancata programmazione di interventi in continuità con le esperien-ze consolidate. Alcune organizzazioni hanno riportato la difficoltà a coinvolgere i docenti, che spesso, stanchi e sfiduciati, si mostrano restii a collaborare in iniziative che esorbitano dall’orario scolastico; altre riportano come maggiore difficoltà quella inerente al coinvolgimento delle famiglie, “non sempre presenti ed in sintonia con gli obiettivi educativi della scuola”.

Il ritratto dei ragazzi e delle ragazze beneficiari dei progetti, e con le dovute prudenze quando si fanno delle generalizzazioni del genere, pare essere quello di giovani che possiedono apprezzabili competenze e attitudini, che potrebbero esprimersi in maniera originale e creativa, cosa che in genere avviene quando ve ne sia l’occasio-ne. La mancanza di opportunità per farlo, però, li porta talora a una sorta di apatia, all’ammirazione per modelli consumistici che vedono nell’arricchimento un traguardo di vita e la forma dell’autentico successo, nei casi limite anche a costo di scivolare nell’illegalità. Il degrado urbano nel quale si trovano a crescere comporta fenomeni di disaffezione verso il loro quartiere di residenza, spesso privo di luoghi comuni di socializzazione come parchi, giardini o piazze. In molti dei questionari si sottolinea l’assenza di luoghi di aggregazione studiati per e con i giovani, alternativi o complementari alla scuola, che li incoraggino a creare e mantenere relazioni significative con

30FARE COMUNITà EDUCANTE: LA SFIDA DA VINCERE

i propri pari, in grado di proporre modelli positivi di cittadinanza attiva e di contrastare quei fenomeni di emargi-nazione sociale o socializzazione distruttiva che vedono troppo spesso i ragazzi protagonisti.

La scuola viene spesso vissuta in maniera passiva, come estranea alla realtà della propria esistenza e di conseguen-za la figura del docente non viene percepita come guida, che può orientare verso uno stile di vita che si vorrebbe adottare. Nel volere ottenere tutto e subito, si riscontra un’incapacità di programmazione nel lungo periodo, che in altri termini si potrebbe tradurre nell’incapacità di coltivare un sogno, applicando le proprie capacità nel perseguirlo con costanza, impegno e determinazione. Gli alti tassi di disoccupazione che si riscontrano in quasi tutte le aree di realizzazione dei progetti, che vengono spesso citati come una delle maggiori criticità del territo-rio, non contribuiscono a creare un clima di fiducia per il proprio futuro. D’altro canto, la presenza di criminalità organizzata, che offre la possibilità di facili e immediati guadagni, per alcuni giovani rappresenta un’alternativa più attraente rispetto ad una vita di sacrificio dagli incerti risultati.

Spesso fanno difetto l’autostima, il senso di appartenenza al territorio e ad una comunità; elementi che però rie-mergono quando le capacità dei ragazzi vengono messe concretamente alla prova: di fronte alla realizzazione di azioni concrete, l’orgoglio e la sensazione di potercela fare anche nel confronto con altri li trovano partecipi ed entusiasti. Proprio per questo, alcuni dei questionari sottolineano in maniera particolare l’importanza della parte-cipazione attiva dei bambini e dei ragazzi alle attività, la responsabilizzazione e la presa di coscienza delle proprie capacità gestionali e decisionali.

Testimonianza di un operatore della Campania

Lo scopo dell’attività proposta a un gruppo di ragazzi e ragazze che mostravano segni di disagio, è stata quella di organizzare, insieme a coetanei di un altro Comune, un evento che valorizzasse la propria appartenenza culturale. Dal loro mito verso la vita “di città” e dal rifiuto verso la piccola comunità di provincia sono progressivamente passati, dopo due anni di lavoro nell’ambito del progetto, alla scommessa di organizzare un evento che mostrasse il proprio paese, che evidenziasse le positività del vivere in un piccolo borgo. Una ragazza del gruppo ha affermato con soddisfazione: “per la prima volta, i miei amici di città sono venuti nel mio paese e non si sono annoiati, anzi, vogliono ritornare! Non me ne devo vergognare…”. Nel lungo periodo i ragazzi, attraverso interviste particolari, hanno creato legami con gli adulti della comunità, scoprendo di non essere giudicati, che non vi erano pregiudizi nei loro confronti. Hanno scoperto le storie, il gusto del cibo, le modalità di vita di una piccola comunità di collina, dove la strada finisce e ci sono solo i sentieri montani…

Il ritratto dell’ambiente familiare dei ragazzi e delle ragazze che beneficiano dei progetti e, anche qui, con la dovuta prudenza di fronte alle generalizzazioni, appare come un ambiente complesso e spesso multiproblemati-co. Si tratta in genere di famiglie svantaggiate, che vivono in “una condizione di diffusa precarietà, che diventa drammatica allorché si presenti un imprevisto cui non si riesce a far fronte per mancanza di risorse economiche e di una rete sociale di riferimento”.

315. CRESCERE AL SUD: LE ORgANIzzAzIONI RACCONTANO

Spesso si tratta di famiglie monoreddito, che a volte famiglie proviene da lavoro nero, precario, attività illegali. Alcuni sottolineano l’isolamento sociale nel quale queste famiglie vivono, senza punti di riferimento nel territorio; altri denunciano problematiche quali “retroterra di disoccupazione o sottoccupazione, scolarizzazione bassa o assente, analfa-betismo, difficoltà di integrazione in nuovi ambienti, criminalità, violenza” . Altri pongono in rilievo che “la difficile situazione economica, unita ad una forte infiltrazione della delinquenza organizzata nel tessuto sociale, rende i giovani della fascia dell’obbligo e quella immediatamente successiva particolarmente esposti a fenomeni di disaffezione e abbandono scolastico”.

Il basso livello di istruzione nei genitori fa sì che in genere il modello culturale trasmesso dal nucleo familiare non orienti i figli verso il perseguimento di traguardi scolastici importanti; a prevalere è invece quello consumi-stico, teso all’acquisizione di beni di consumo di sovente superflui per il conseguimento di una vita dignitosa. Spesso nei questionari viene sottolineata la scarsa partecipazione delle famiglie alla vita scolastica dei figli, segna-tamente per quanto concerne i padri, che nella coppia tendono ad essere la figura meno presente. In molti casi, in effetti, sebbene l’obiettivo segnalato come principale consista nella prevenzione dell’abbandono scolastico, o nel reinserimento dei giovani all’interno del percorso se lo avevano abbandonato, alcune attività dei progetti sono specificatamente dedicate ai genitori. Alcuni degli interventi prevedono azioni di supporto alla famiglia e sostegno alla genitorialità attraverso consulenze specialistiche; il coinvolgimento dei genitori viene talora indicato come criticità da parte degli intervistati, dal momento che in alcuni casi le famiglie “appaiono lontane, irraggiungibili e totalmente disinteressate alle questioni inerenti l’educazione e la formazione dei loro figli”. A volte, viene riportato, questo tipo di atteggiamento non è dovuto a cattiva volontà o disinteresse, ma all’incapacità dei genitori di instaurare e man-tenere relazioni con, ad esempio, i genitori dei compagni di scuola dei figli o i docenti. Date queste premesse, è facile immaginare che il raggiungimento dell’obiettivo dei progetti che si propongono di contrastare l’abbandono scolastico passa anche per l’inclusione attiva dei genitori in attività aggregative, che facilitino i rapporti fra di loro e con i figli e le istituzioni scolastiche, e contribuisca a stimolare il senso di comunità e appartenenza al territorio.

In molti casi, i progetti contribuiscono a fare da ponte nei rapporti tra genitori e figli o tra i genitori tra loro. L’obiettivo è quello di coinvolgere maggiormente i genitori nella vita dei figli che si svolge sia all’interno che al di fuori della famiglia, a partire dalla scuola, “promuovendo e integrando le competenze genitoriali rispetto a correttezza relazio-nale, sviluppo dell’affettività e capacità di accadimento”.

Anche per gli adulti la progettualità messa in campo nei loro quartieri può offrire delle opportunità di aggrega-zione e scambio: molti dei progetti descritti nei questionari prevedono attività per i genitori, dai laboratori agli incontri informativi, in qualche caso anche una formazione o partecipazione ad altre forme di life long learning. Spesso gli interventi con le famiglie sono volti a diffondere orientamenti per la genitorialità positiva.

32FARE COMUNITà EDUCANTE: LA SFIDA DA VINCERE

La storia di Giacomo, Reggio Calabria

giacomo ha 16 anni e fa parte di una famiglia multiproblematica che versa in una grave situazione di disagio economico-sociale. La famiglia è composta dai genitori, separati, da due fratelli minori e due maggiori, figli di una precedente relazione del padre. I fratelli maggiori vivono attualmente con il padre nella casa della nonna paterna, mentre giacomo è stato allontanato da circa un anno dalla famiglia. Le problematiche e l’allontanamento dalla famiglia hanno indotto il ragazzo ad abbandonare la scuola al primo anno delle superiori. La segnalazione del ragazzo è arrivata dall’USSM, perché venisse inserito in un progetto attivo nella sua città. L’intervento prevedeva un sostegno in questo momento di particolare disorientamento e un supporto per aumentare la sua motivazione allo studio. giacomo si è impegnato nel percorso stabilito insieme agli operatori, e ha mostrato una grande capacità di portare a termine gli impegni presi. grazie al percorso intrapreso, la sua autostima è migliorata, così come la fiducia nel suo prossimo. Ha deciso di riscriversi a scuola, e ora segue le lezioni con costanza.

I ragazzi stranieri

Un target specifico, che rileva solo in alcuni dei questionari compilati, è quello dei ragazzi stranieri. Rispetto ai coetanei italiani, dei quali condividono comunque tutte le problematiche (già viste) correlate ai problemi del terri-torio, all’assenza di luoghi dove riunirsi, all’incertezza per il proprio futuro, si aggiungono caratteristiche peculiari che possono rendere il loro percorso di vita più difficoltoso: “In un territorio già povero di possibilità di lavoro, essi tro-vano lavori stagionali mal pagati o in nero; accedono ad abitazioni carenti dei requisiti igienico - sanitari necessari; vivono ai margini della società che, se pur li tollera, non li accetta pienamente; i giovani hanno l’obbligo di frequentare le scuole ma ad impedimento di una reale integrazione scolastica vi è il problema della lingua, l’impreparazione degli insegnanti che si sentono soli a sostenere il ruolo educativo senza adeguati strumenti specifici”. I ragazzi rischiano di essere vittime di atti di discriminazione, ghettizza-zione, esclusione sociale. In tal senso, le associazioni che si occupano con particolare attenzione di questo target specifico hanno indicato come buona prassi di lavoro la creazione di metodologie partecipative, che consentano la partecipazione attiva dei ragazzi ai progetti, non solo come utenti, ma anche come promotori, essi stessi, delle attività. In alcuni casi le metodologie proposte sono del tipo peer-to-peer, che vedono coetanei impegnati nella diffusione di informazioni; in altri casi, le attività mirano invece a diffondere informazioni utili sui servizi dispo-nibili, la cui fruizione potrebbe risultare di difficile accesso. In particolare, viene rilevato, è importante creare attorno a questi ragazzi, spesso giunti da poco nel nostro paese e digiuni di conoscenze della lingua italiana (e a seconda del loro percorso e delle loro storie personali, deboli anche nella conoscenza della propria lingua madre) un ambiente ospitale, sul quale fare assegnamento: “[I ragazzi stranieri, ndr] hanno bisogno di un clima disteso, dove la fiducia e la sensazione di essere rispettati diventano elementi essenziali nell’apprendimento”. Rendere i ragazzi partecipi e prota-gonisti della propria esperienza di apprendimento influisce profondamente sul versante motivazionale, aiutandoli a superare gli scogli di un’integrazione ancora difficile.

335. CRESCERE AL SUD: LE ORgANIzzAzIONI RACCONTANO

La storia di Said, Marocco

Said è nato a Casablanca, in Marocco, da una famiglia composta dai genitori e sette figli. Il padre è fruttivendolo ambulante, la madre casalinga. Said ha frequentato la scuola pubblica in Marocco per sei anni, poi ha abbandonato gli studi per motivi economici. Inizia a lavorare col padre, fino a quando alcuni amici gli propongono di partire insieme per l’Italia, per provare a risolvere i problemi economici della famiglia. Arriva a Torino nel 2005, quindicenne, ma sia per la giovane età che per la statura minuta non riesce a trovare un lavoro. Alcuni adulti incontrati lì lo “inseriscono” nel giro dello spaccio di stupefacenti. Fermato e incriminato dalla polizia, viene collocato in una comunità di accoglienza per minori in un’altra città, ma dopo qualche settimana si allontana e riprende a spacciare. Il secondo fermo si conclude con la custodia cautelare presso l’IpM e il successivo collocamento in un’altra comunità, da cui, ancora una volta, si allontana. Dopo varie vicissitudini, il ragazzo arriva all’IpM di Airola in provincia di Benevento, dove viene preso in carico da un’équipe allargata, composta da un’educatrice, uno psicologo, un assistente sociale e un mediatore culturale. Il giovane aderisce alle attività proposte dall’équipe nell’ambito di un progetto attivo in quel momento. In seguito alla risposta positiva del ragazzo al percorso intrapreso, l’équipe chiede e ottiene dal magistrato di sorveglianza del Tribunale dei Minori che gli venga concessa una misura alternativa alla detenzione. Nel periodo successivo il ragazzo dimostra un alto grado di responsabilità e raggiunta consapevolezza del proprio percorso, oltre a diventare un punto di riferimento per gli operatori e gli altri ragazzi del gruppo nel quale è inserito. Said si crea una nuova vita: prende parte a laboratori, s’iscrive ad un’associazione sportiva partecipando a delle gare, ottiene anche due brevi contratti di lavoro. Successivamente, non riuscendo a stabilizzare la propria posizione lavorativa, Said decide di lasciare il Sud Italia per trasferirsi in una città del Nord, dove attualmente vive e lavora, mettendo a frutto quanto appreso durante il suo percorso formativo e di vita.

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35LE ATTIVITà DI CRESCERE AL SUD

Le attività di Crescere al Sud: da Napoli a Napoli, passando per Bari, Locri e Palermo

In questi mesi Crescere al Sud ha incontrato sul territorio le diverse realtà che si occupano di tutela dell’infanzia, per approfondire di volta in volta i principali temi che riguardano i minori nel Mezzogiorno.

Allo stesso tempo Crescere al Sud ha cercato di portare all’attenzione dei governi il tema dell’emergenza della condizione dei bambini e degli adolescenti, promuovendo specifici incontri e un confronto diretto con i respon-sabili istituzionali.

Ecco, in breve, un resoconto di quanto realizzato:

- Napoli, 30 settembre 2011: Prima Conferenza programmatica “Crescere al Sud - per la tutela e la promo-zione dei diritti dei bambini e degli adolescenti nel Mezzogiorno” -, realizzata nell’ambito della manife-stazione “Con il Sud”

- Roma, 20 febbraio 2012: Incontro di presentazione di Crescere al Sud con la Commissione Welfare della Conferenza delle Regioni

- Roma, 4 aprile 2012: Incontro pubblico di presentazione di Crescere al Sud con il Ministro per la Coesione territoriale, Fabrizio Barca, e il Sottosegretario all’Istruzione, Marco Rossi Doria

- Bari, 11 e 12 aprile 2012: I seminario di approfondimento: “La povertà dei minori nel Mezzogiorno – Pro-poste e buone prassi per combatterne le cause e attenuarne gli effetti”, realizzato presso la sede del San Paolo Social Network e in collaborazione l’Associazione Culturale Kreattiva e il San Paolo Social Network.

- Locri, 9 e 10 luglio 2012: II seminario di approfondimento: “La criminalità minorile nel Mezzogiorno e i meccanismi�di�affiliazione�dei�minori�alle�mafie”, realizzato presso la sede di Civitas Solis e in collaborazio-ne con Libera e l’Associazione Civitas Solis.

- Torino, 28 settembre 2012: Seminario “Fare�Comunità�educante:�la�sfida�da�vincere”, realizzato nell’ambito della manifestazione “A Torino, con il Sud”

- Palermo, 30 e 31 luglio 2012: III seminario di approfondimento: “Esperienze e sviluppi di Comunità educa-tive”, realizzato presso l’ITET “Pio La Torre” e il centro TAU di Palermo, in collaborazione con l’Associazione Inventare Insieme.

Crescere al Sud è un’alleanza permanente tra i diversi talenti e le diverse esperienze che lavora per avanzare proposte per la promozione e tutela dei diritti dell’infanzia e dell’adolescenza nelle regioni del Mezzogiorno.L’obiettivo di Crescere al Sud consiste nel voler porre al centro dell’attenzione il tema della specificità della condizione dei bambini e degli adolescenti al Sud.Vogliamo, con le numerose realtà nazionali e localipresenti sul territorio, portare avanti un percorso comune per costruire un piano d’azione con proposte concrete.

Crescere al Sud è un’iniziativa promossa da:

www.crescerealsud.it