Facoltà: Filosofia Master 1° livello Consulenza Filosofica ... · Infermiere e Filosofia: una...
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Facoltà: Filosofia
Master 1° livello Consulenza Filosofica e Antropologia Esistenziale
TITOLO Infermiere e Filosofia: una nuova Umanizzazione delle Cure Relatore Prof. Guido Traversa
Candidato: Giuseppe Cannone Matr. 00013079
Anno Accademico 2016-2017
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Infermiere e Filosofia: una nuova Umanizzazione delle Cure Introduzione Pag. 3
Capitolo 1 Fibrosi Cistica Pag. 5 1.1 Fibrosi Cistica - cos’è – brevi cenni Pag. 5 2 Capitolo 2 la Figura dell’Infermiere Pag. 8 2.1 L’ Infermiere, chi è? Pag. 8 2.2 Profilo Professionale . Riferimenti Legislativi – Commenti Pag. 8 2.3 Codice Deontologico Pag. 10 2.4 Patto Infermiere – Cittadino Pag. 12 2.5 Nascita dell’ospedale Pag. 13 3 Capitolo 3 Umanizzazione delle cure Pag. 14 3.1 Umanizzazione delle cure Pag. 14 3.2 Cura Pag. 15 3.3 Carta Europea dei diritti del malato Pag. 16 4 Capitolo 4 Filosofia e Medicina Pag. 19 4.1 Filosofia e Medicina Pag. 19 4.2 Excursus storico Pag. 20 4.3 La felicità secondo Epicuro Pag. 22 4.4 Dolore. Considerazioni sul concetto “dolore” Pag. 29 4.5 Esistenzialismo – Cenni del pensiero filosofico Pag. 30 4.6 Martin Heidegger Pag. 39 5 Capitolo 5 La Comunicazione Pag. 41 5.1 La Comunicazione Umana – Logoanalisi Coscienziale Pag. 41 5.2 Assiomi della comunicazione Pag. 42 5.3 La Linguistica Pag. 43 5.4 Il Messaggio: tra linguaggio digitale e linguaggio analogico Pag. 47 5.5 La Logoanalisi Coscienziale Pag. 52 5.6 Dagli assiomi della comunicazione alla conoscenza di sé e degli altri Pag. 56 6 Capitolo 6 Questionario Pag. 73 7.1 I risultati del questionario Pag. 73 Conclusioni Pag. 75 Note Pag. 80 Allegati Pag. 107 Sitografia – Bibliografia Pag.114
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Introduzione
Decidere di iscrivermi al Master in “Consulenza Filosofica e Antropologia Esistenziale” presso
l’Ateneo Pontificio Regina Apostolurum, è stata una inevitabile conseguenza del mio vissuto di
Infermiere da oltre 25 anni.
In tutti questi anni sentivo e, sento tutt’ora, l’insoddisfazione del livello di professionalità raggiunto
che non soddisfa pienamente il senso profondo di quel mantra 1 che è l’habitus 2 della mia
professione, il “prendersi cura”.
Ammalarsi di una patologia ereditaria quale è la Fibrosi Cistica, reparto in cui lavoro da 10 anni,
caratterizzata da una evoluzione ad andamento cronico e che mina profondamente la qualità della
vita fin dalla nascita e per tutta l’esistenza del soggetto; pone la persona in un continuo e mai
definitivo confronto con se stesso, con le sue emozioni, le sue percezioni, le sue ansie, angosce; alla
ricerca di una condotta di vita che deve assomigliare il più possibile simile alla vita quotidiana di
ogni persona, che non sia “segnata” da questa patologia. Fortunatamente le ricerche scientifiche
hanno allungato l’età media di vita, alzando la soglia di aspettativa di vita dai 27 anni del 1986 ai 40
anni del 20103.
Non è raro doversi ricoverare anche subito dopo la morte di un fratello o sorella per la stessa
malattia; di una madre che si alterna nella degenza, appena uno o due giorni dopo la dimissione del
figlio. Sono traumi psicologici che non di rado sono vissuti in silenzio ma che spesso l’infermiere
vede, tocca con mano, sente, durante il turno di notte, quando il silenzio del reparto viene infranto
da pianti e gemiti soffocati, che escono da qualche stanza di degenza.
La medicina ha fatto passi da gigante e la chirurgia permette trapianti di più organi, polmoni,
pancreas, reni, fegato, citando quelli più colpiti da tale malattia; ma questo non basta per queste
persone o per chiunque soffra di patologie croniche. Oltre alle cure del corpo, necessitano
intensamente le cure per l’anima, per cercare di non ledere o semplicemente di non intaccare la sua
dignità di persona che come S. Kierkegaard; M. Heidegger ; L. Binswanger; k. Jaspérs; ed altri
“Esistenzialisti”, considerano: Singolo; Unico; Irripetibile; Non Comparabile.
Le categorie e la filosofia dell’Esistenzialismo, saranno trattate in un apposito capitolo, se pure in
maniera non approfondita.
Le lamentele o le frasi di approvazione che si riscontrano dalle moltissime persone colpite dalla
fibrosi cistica incontrate durante i loro numerosi ricoveri, ai controlli, negli incontri con la
Psicologa, quasi mai riguardavano e riguardano le cure, le terapie, il menu dell’ospedale o il cuscino
troppo duro; bensì riguardano i rapporti umani. A tale proposito si è somministrato un questionario.
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Mi è parso giusto dedicare una parte di questo elaborato ad una delineazione riassuntiva di alcuni
aspetti prettamente medici della patologia, da cui è semplice desumere l’impegno assistenziale; il
tentativo di dimostrare un trait-d’union tra la mia professione e ciò che di filosofico io ritengo
esserci in essa, esaminando la normativa civile e penale che la regola e soprattutto il Codice
Deontologico.
A far star bene o male emotivamente una persona è il fatto di trovare o meno un medico e un
infermiere attento alla persona, ai suoi bisogni, al suo percorso. Due professionisti quali sono il
medico e l’infermiere che sappiano non solo curare e assistere, ma anche prendersi cura della
persona; che sappiano comunicare le cose brutte con garbo e le cose belle con il sorriso; che
dimostrino sincero interesse per chi hanno di fronte, nonostante le loro mille incombenze.
Le cicatrici del corpo guariscono o vengono lenite nell’intensità dal dolore, a volte molto prima di
quelle dell’anima.
Questo fa la differenza.
Dallo studio degli argomenti trattati mi è parso da subito porre l’attenzione sui temi della
comunicazione e una riflessione su alcuni temi della vita che hanno caratterizzato il pensiero
Esistenzialista e non; nella certezza che i temi trattati possano essere strumenti di dialogo al fine di
una migliore comprensione dell’altro.
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Capitolo 1
Fibrosi Cistica
1.1 Cos’è la Fibrosi Cistica. Brevi cenni.
La Fibrosi Cistica (FC) è la più comune delle malattie genetiche gravi, autosomica recessiva, per
la quale, ad oggi, non c’è guarigione. Non è contagiosa, né si può contrarre nel tempo. E’ una
malattia che viene normalmente diagnosticata nei primi mesi di vita.
Chi nasce con la malattia ha ereditato un gene difettoso sia dal padre che dalla madre, cosiddetti
portatori sani e spesso inconsapevoli del loro stato di portatori. In Italia c’è un portatore sano ogni
25 persone. la coppia di portatori sani ad ogni gravidanza, ha 1 probabilità su 4 di avere un figlio
malato (Fig. 1). La FC è causata da mutazioni del gene CFTR localizzato sul braccio lungo del
cromosoma 7; attualmente le mutazioni del gene riconosciute sono oltre 2.000.
La FC colpisce le ghiandole che producono muco, gli enzimi della digestione e il sudore. Se le
ghiandole del sudore non funzionano bene rilasciano una quantità eccessiva di sale. La malattia
viene spesso diagnosticata analizzando la quantità di sale nel sudore (Test del sudore). In base ad
alcune leggende popolari, le nutrici un tempo leccavano la fronte dei neonati: se il sudore aveva un
sapore troppo salato, predicevano che il bambino sarebbe morto prematuramente di congestione
polmonare. La malattia ha effetti ad ampio spettro perché le ghiandole colpite svolgono alcune
importanti funzioni vitali. La FC comporta la produzione di un muco spesso e denso (il sudore dei
pazienti affetti da FC è 5 volte più salato) che determina i sintomi caratteristici della malattia. Le
secrezioni ostruiscono i dotti che portano gli enzimi della digestione dal pancreas all’intestino
tenue, riducendo gli effetti della digestione. Come conseguenza, i bambini colpiti spesso soffrono di
malnutrizione, nonostante un aumento di appetito e di quantità di cibo consumato. Col progredire
della malattia, si formano delle cisti nel pancreas e la ghiandola degenera in una struttura fibrosa,
che dà il nome alla malattia. Dal momento che il muco spesso provocato dalla FC blocca anche le
vie aeree dei polmoni, la maggior parte dei pazienti colpiti da fibrosi cistica sviluppa patologie
ostruttive dei polmoni e infezioni, che portano a morte prematura (Fig. 2).
Quasi tutti i casi di FC si registrano in figli di genitori fenotipicamente normali, eterozigoti.
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Fig. 1.1 Schema ereditarietà FC
Fig. 1.2 schema dei: Segni e Sintomi della F.C.
Una peculiarità della FC è il suo fenotipo “eterogeneo”, ossia l’entità dei sintomi e il decorso della
malattia sono molto variabili da soggetto a soggetto: alcuni nascono con ileo da meconio e
manifestano sintomi polmonari precoci, altri hanno scarse manifestazioni polmonari e lunga vita3.
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Tale eterogeneità può essere spiegata dalla presenza di numerosissime mutazioni che il malato ha
nel proprio corredo genetico. Ogni malato eredita una mutazione dal padre e una dalla madre: le
due mutazioni possono essere uguali o diverse fra loro e l’insieme delle mutazioni si dice “genotipo
CFTR” mentre l’insieme delle manifestazioni della malattia si dice “fenotipo.
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Capitolo 2
La Figura dell’Infermiere
2.1 L’Infermiere – chi è?
L' Infermiere è un professionista sanitario dell'area delle scienze infermieristiche, che secondo i
requisiti previsti dalla normativa è responsabile dell' assistenza infermieristica generale in Italia
(Decreto Ministeriale n. 739/1994) e nel resto di Europa con le direttive Europee 2005/36 e
2006/100.
2.2 Profilo Professionale4. Riferimenti Legislativi - Commenti
Nel 1994 nasce ufficialmente anche in Italia la Professione Infermieristica propriamente detta. Ciò
grazie al Decreto Ministeriale n. 739 che sancisce la entrata ufficiale nel mondo delle professioni
sanitarie. Da allora l’Infermiere è diventato un essere pensante, dotato di una scienza e di una
coscienza.
Il profilo professionale dell'infermiere, composto da 3 articoli, ad oltre 20 anni dalla sua
emanazione attraverso il DM 739/94, continua a svolgere il ruolo di pietra miliare della professione
infermieristica.
a) Da esecutori a Professione Intellettuale
Da allora, così come recita il primo comma del decreto che delinea il profilo professionale della
professione infermieristica, (omissis)... “l'infermiere è l'operatore sanitario che, in possesso del
diploma universitario abilitante e dell'iscrizione all'albo professionale, è responsabile dell'assistenza
generale infermieristica”.
Per la prima volta, l'infermiere viene identificato quale operatore sanitario, vedendo finalmente
scomparire il carattere di ausiliarietà accostato fino al 1994 alla professione infermieristica.
A seguito del DM 739/94 quindi, l'infermiere diventa un professionista sanitario e come tale
acquisisce l'onere della responsabilità giuridica del proprio operato, responsabilità che può essere
di natura penale, civile e disciplinare.
Attraverso il DM 739/94 viene inoltre individuato il potenziale operativo dell'assistenza
infermieristica: il comma 2 dell'Articolo 1, afferma che “l'assistenza infermieristica preventiva,
curativa, palliativa e riabilitativa, è di natura tecnica, relazionale, educativa. Le principali
funzioni sono la prevenzione delle malattie, l'assistenza dei malati e dei disabili di tutte le età e
l'educazione sanitaria”.
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Si può notare, attraverso la lettura del secondo comma, come venga dato particolare risalto
all'aspetto relazionale della professione infermieristica rispetto al passato; ritrovandosi ad operare in
contesti in cui vengono erogate cure palliative, l'aspetto relazionale, che si esplica attraverso il
rapporto infermiere/paziente, risulta essere il "valore aggiunto" che il DM 739/94 evidenzia, anche
attraverso la funzione educativa, intesa non solo come educazione alla salute, ma anche come
formazione in ambito lavorativo.
Un altro importante aspetto del DM 739/94 è quello espresso dal comma 3 dell'Articolo 1, il quale,
nell'affermare che “l'infermiere partecipa all'identificazione dei bisogni di salute della persona e
della collettività”, riconosce il ruolo fondamentale del lavoro di équipe all'interno della quale la
professione infermieristica riveste un ruolo fondamentale, essendo proprio l'infermiere il
professionista che per primo si interfaccia col paziente/utente quando questi si rivolge ad una
qualsiasi struttura sanitaria.
Viene in questo comma riconosciuta la capacità esclusiva dell'infermiere di identificare i bisogni
di assistenza infermieristica, da cui scaturisce poi l'identificazione di obiettivi preceduti da
un’idonea pianificazione dell'assistenza, la quale dovrà portare a dei risultati attraverso l'uso di
protocolli e procedure assistenziali.
I risultati dell'assistenza infermieristica erogata sono sempre soggetti ad eventuale valutazione o
rivalutazione, poiché come riportato sempre all'interno del terzo comma del DM 739/94,
“l'infermiere pianifica, gestisce e valuta l'intervento assistenziale infermieristico”.
Nel terzo comma del DM 739/94 viene individuato altresì l'infermiere quale garante della corretta
applicazione delle prescrizioni diagnostico-terapeutiche, funzione che sottolinea l'importanza
della cooperazione tra la professione infermieristica e quella medica, evidenziando ancora una volta
il ruolo dell'infermiere all'interno dell'équipe multidisciplinare e del mondo relazionale che lo
caratterizza a 360°.
Resta inteso che l'attività infermieristica può essere svolta dal professionista sia individualmente sia
in collaborazione con altre tipologie di operatori, sociali o sanitari.
Veniamo ora ad uno dei punti "cruciali" del comma 3 del DM 739/94: “per l'espletamento delle
funzioni si avvale, ove necessario, dell'opera di personale di supporto”. Quanto affermato in questo
punto evidenzia forse in maniera più lampante il passaggio da arte ausiliaria a professione, poiché
ora è l'infermiere a potersi avvalere dell'opera di personale di supporto ed occorre precisare che
quando il DM 739/94 afferma "ove necessario", si intende "ove il professionista infermiere lo
ritenga necessario", sottintendendo un’autonomia decisionale dell'infermiere nella disposizione di
interpellare l'ausilio di altre figure.
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Il DM 739/94 inoltre, sempre stando al comma 3, nell'individuare le aree in cui l'infermiere svolge
la sua attività (strutture sanitarie pubbliche o private, assistenza domiciliare, territorio), specifica
che essa può essere svolta sia in regime di dipendenza che libero professionale. La Libera
Professione non era prevista prima dell'emanazione del DM 739/94: un’ulteriore dimostrazione di
come il decreto in questione sia stato davvero "rivoluzionario" per la professione infermieristica.
Altra grande innovazione che il DM 739/94 apporta alla professione infermieristica è rappresentata
dal comma 4 dell'articolo 1 del decreto, nel quale è stabilito che “l'infermiere contribuisce alla
formazione del personale di supporto e concorre direttamente all'aggiornamento relativo al proprio
profilo professionale e alla ricerca”.
Per la prima volta, la figura dell'infermiere, che come già noto fino all'emanazione del DM 739/94
era inquadrata come ausiliaria della professione medica, viene individuata quale figura idonea alla
formazione di altro personale nonché parte integrante del processo di ricerca in ambito sanitario,
fino ad allora "estraneo" alla professione.
Di grande rilevanza è anche la possibilità che il decreto in questione attribuisce agli infermieri
riguardo all'aggiornamento relativo al proprio profilo professionale, segno del raggiungimento di
un’autonomia professionale che verrà poi completata con la Legge 26 febbraio 1999 n. 42 -
Disposizioni in materia di professioni sanitarie.
Il comma 5 del DM 739/94 individua invece le cinque aree di formazione post base cui i
professionisti infermieri possono accedere (sanità pubblica, pediatria, geriatria, area critica e salute
mentale) e viene specificato nel comma 6 che il Ministero della Sanità potrà individuare ulteriori
aree specialistiche che prevedano una formazione complementare post base.
L'articolo 1 del DM 739/94 si conclude con il comma 7, all'interno del quale viene affermato che il
Ministero della Sanità, con apposito decreto, stabilisce che al termine del percorso formativo post
base verrà rilasciato ai professionisti infermieri uno specifico attestato che costituisce titolo
preferenziale per l'esercizio delle funzioni specifiche nelle diverse aree precedentemente
individuate, previo superamento di apposite prove finali aventi carattere valutativo.
In seguito all'emanazione del DM 739/94 viene quindi riconosciuta alla professione infermieristica
la natura di professione intellettuale e vengono per legge attribuite agli infermieri italiani
autonomia professionale, competenze e responsabilità che diventeranno pilastri fondamentali della
professione e che, al contempo, segneranno il cammino dell'infermieristica italiana verso una
sempre maggiore evoluzione.
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2.3 Codice Deontologico 5
Il Codice Deontologico degli Infermieri, in attesa dell’istituzione dell’Ordine, in discussione in
Parlamento, è da qualche tempo in fase di revisione. Un’apposita commissione istituita dalla
Federazione Nazionale dei Collegi IPASVI si sta occupando di riscriverlo e di attualizzarlo. Ed è
“vecchio” solo di 7 anni. Quello vigente risale, infatti, al 2009 e in alcuni punti è contestato dagli
Infermieri stessi.
Il Codice Deontologico, è Il cardine della professione infermieristica, un insieme di regole e
principi adottati dalla professione che ne orienta il comportamento: è un patto esplicito dei
professionisti con la società ed è il più importante atto di autoregolamentazione.
Elaborato in seno alla professione stessa, viene successivamente recepito dal Legislatore e assume
forza di legge in caso di contenzioso (all’inosservanza delle norme deontologiche, inoltre,
corrisponde l’intervento del Collegio di riferimento il quale può procedere con sanzioni che vanno
dall’ammonizione/avvertimento alla censura, dalla sospensione a termine fino alla radiazione
dall’Albo professionale).
È il Codice Deontologico a fissare le norme dell’agire professionale dell’Infermiere e a definire i
principi guida che strutturano il sistema etico in cui si svolge la relazione con l’assistito; per farlo si
basa sulla Dichiarazione Universale dei Diritti Umani e sulla Costituzione Italiana.
Il Codice Deontologico racchiude i principi etici della professione ed è al suo interno che è
spiegato come l’Infermiere agisca nel rispetto dei diritti fondamentali dell’uomo, concependo la
salute come un bene fondamentale dell’individuo e un interesse della collettività, tenendo conto dei
valori etici, ideologici, religiosi, culturali, etnici e sessuali dell’individuo.
Ciò che deve essere chiaro è che l’assistenza infermieristica è componente essenziale e diversificata
dell’assistenza sanitaria e ricade sotto la responsabilità professionale dell’infermiere,
responsabilità che consiste nell’assistere, curare e prendersi cura della persona, nel rispetto
della vita, della salute, della libertà e dignità dell’individuo (art.3).
L’infermiere, infatti, è un professionista sanitario che possiede, da un lato, una competenza tecnica
esclusiva articolata in disciplina, modelli e teorie di riferimento, strumenti e metodi e, dall’altro
lato, un ideale di servizio che è incarnato proprio dal Codice deontologico.
Nella pratica professionale, l’infermiere incontra quotidianamente conflitti dalla valenza etica ed è
portato a prendere decisioni secondo la deontologia: (da “deon”, discorso su ciò che va fatto,
dovere; ed “éthos”, comportamento, tenuti insieme da “logos”, discorso) ovvero l’insieme dei
valori, dei principi, delle regole e delle consuetudini che ogni gruppo professionale si dà e deve
osservare ed alle quali deve ispirarsi costantemente nell’esercizio della sua professione.
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Il Codice Deontologico, dunque, stilato in forma scritta e reso pubblico, è lo strumento che
stabilisce e definisce le concrete regole di condotta che devono necessariamente essere rispettate
nell’esercizio della specifica attività professionale infermieristica.
Il termine “Deontologia”, coniato dal filosofo Jeremy Bentham (1748-1832) appartenente al filone
dell’utilitarismo (utilitarismo filosofico come prospettiva etica, cioè a quella prospettiva che si pone
come obiettivo la realizzazione dell’utilità generale, intesa come la “massima felicità per il maggior
numero di persone”. Utilitariste sono quelle posizioni che riconducono il giusto all’utile e che
giustificano scelte individuali e politiche sulla base della loro utilità, cioè della loro capacità di
massimizzare la felicità o il benessere, individuale e collettivo). Oggi consiste in un’articolazione
del diritto professionale e non si deve fare l’errore di confonderla con norme etico - morali che, in
quanto tali, parlano solo alla coscienza dell’uomo.
La Deontologia in ambito sanitario delimita l'esercizio della professione sia sotto l’aspetto
scientifico sia sotto quello professionale. Fissa norme e comportamenti professionali in relazione a
regole, consuetudini sociali e norme giuridiche; dice all’infermiere chi è chiamato ad essere nel
servizio ai cittadini.
È la deontologia, e dunque il codice deontologico, che disciplina i doveri e nello stesso tempo le
competenze dell'operatore, seguendo la visione propria della professione, ma non perdendo mai di
vista il confronto continuo con le funzioni degli altri operatori e con i diritti/doveri della persona
umana.
Il Codice Deontologico degli infermieri, in sostanza, rappresenta:
• una guida per l’esercizio quotidiano della professione in merito ad autonomia e
responsabilità;
• un riferimento per affrontare la complessità delle varie situazioni cliniche;
• uno strumento di crescita, confronto ed evoluzione dei professionisti;
• l’identità della categoria professionale.
2.4 Il patto infermiere-cittadino
Il patto infermiere-cittadino che precede e si compenetra con il Codice Deontologico in vigore,
consiste nell’impegno che l’infermiere si assume di:
• considerare il cittadino come membro attivo delle proprie cure, riconoscendogli quel
principio di autonomia per il quale viene tutelata la sua capacità di agire consapevolmente,
senza costrizioni, anche qualora l’autonomia stessa si riduca o venga addirittura a mancare;
• aggiornare le proprie conoscenze per mezzo di formazione continua, riflessione critica e
ricerca;
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• curare e prendersi cura della persona, promuoverne il bene e non nuocerle mai;
• modulare le informazioni e gli interventi educativi in base al grado di comprensione di ogni
singolo assistito;
• agire con imparzialità ed equanimità.
2.5 Nascita dell’ Ospedale.
All’ origine, quando vennero istituiti, gli ospedali servivano per attendere la morte o per segregare i
malati contagiosi. Oggi in ospedale si guarisce, ma entrarci, specie per lunghi periodi, equivale
anche ad abbandonare le abitudini quotidiane, dimenticare le piccole comodità casalinghe e ridurre i
rapporti con il mondo esterno e le relazioni sociali. Ancora oggi, col termine ospedalizzazione
equivale a subire un abbassamento della qualità della vita, anche se molto si è fatto e a onor del
vero, è doveroso ammettere che la sanità italiana è per molti aspetti una delle migliori al mondo. I
cittadini malati, si aspettano dagli operatori sanitari prestazioni che conducano alla guarigione,
attraverso la negazione della morte che trasforma la medicina in magia per produrre l’immortalità o
la sopravvivenza ad oltranza, mentre gli operatori stessi colludono inconsciamente con questa
prospettiva, rendendo questa utopia l’obiettivo della propria formazione e lavoro. Si e così spostata
l’attenzione dalla relazione con la persona malata a quella con la malattia: questa prerogativa della
medicina occidentale ha stravolto il ruolo tradizionale del terapeuta, sostituendolo con quello del
tecnico e dello specialista.
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Capitolo 3
Umanizzazione delle Cure 3.1 Umanizzazione delle Cure.
“Curate. Se non potete curare, lenite. Se non potete lenire, confortate” . (Augusto Murri, –
1841-1932 )6
Il tema dell’umanizzazione dell’ospedale ha origini lontane che si possono far risalire
all’evoluzione della medicina e dei medici, e alla riqualificazione dell’ ospedale come luogo di cura
per tutti i malati per ogni categoria sociale.
Lo stesso sviluppo della medicina ha portato ad un approccio parcellizzato sulla malattia o sull’
organo interessato e ad una riduzione di attenzione e considerazione sull’uomo malato nel suo
insieme, influenzando la ricerca, l’organizzazione sanitaria, la formazione dei medici e degli altri
operatori sanitari.
In Italia il tema dell’umanizzazione della cura inizia a prendere forma nei primi anni ‘90, nella
Regione Lombardia che organizza i primi convegni e si inizia a pensare a progettazioni innovative
di hospice finalizzato all’accompagnamento di fine vita, scuole e corsi di formazione
all’umanizzazione, fino ad arrivare ad iniziative ufficiali nazionali e regionali.
Nel 2000 l’allora Ministro Veronesi con l’istituzione della Commissione Ministeriale indica: il
nuovo Ospedale deve diventare luogo a misura d’uomo, centrato sulla persona e sulle sue esigenze
(specie se malata e quindi debole), della speranza, della guarigione, della cura (se non si può
guarire), dell’accoglienza e della serenità dell’ affidarsi (Mauri, 2001).7
Il Ministro Livia Turco nel 2006 sostiene che l’umanizzazione è la capacità di rendere i luoghi di
cura e le stesse pratiche medico assistenziali aperti, sicuri e senza dolore conciliando politiche di
accoglienza, informazione e comfort con percorsi assistenziali il più possibile condivisi e partecipati
con il cittadino.
A tal proposito si citano alcuni passi del Patto per la salute 8 dell’ attuale ministro Lorenzin, all’
inizio del suo mandato nel 2014: “Ritengo importante un rafforzamento di Agenas 9 (Agenzia
Nazionale per i Servizi sanitari Regionali), con un ruolo di gestione e di verifica del sistema. Tutto
questo attraverso la riorganizzazione della rete ospedaliera e del territorio, fondamentale per
garantire la continuità assistenziale dall’ospedale al domicilio del cittadino –paziente. Un altro tema
al quale tengo molto è appunto quello dell’importanza dell’umanizzazione delle cure. Nel rispetto
della centralità della persona nella sua interezza fisica, psicologica e sociale, va quindi condiviso
l’impegno ad attuare interventi di umanizzazione in ambito sanitario che coinvolgono gli aspetti
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strutturali, organizzativi e relazionali dell’assistenza”. (newsletter del Ministero della salute – n. 6
anno 2014)
3.2 Cura.
“La missione di un medico non deve essere solo prevenire la morte ma anche migliorare la qualità
della vita. Ecco perché se si cura una malattia si vince o si perde, ma se si cura una persona vi
garantisco che in quel caso si vince, qualunque esito abbia la terapia” - (Patch Adams ) 10
Sul dizionario cercando cura, leggiamo “atteggiamento premuroso e costante verso qualcuno.
Sollecitudine, grande ed assidua diligenza, vigilanza premurosa, assistenza”. Deriva dal latino cura
derivato dalla radice ku-kav osservare. Da confrontare con il sanscrito kavi saggio.
La cura è responsabilità. La responsabilità che segue l’osservazione. Che sia una terapia medica,
una preoccupazione, o un accudire il progetto di una vita altrui, la cura è responsabilità.
Il verbo latino ad-sistere, “stare presso” indica un venire “da” per andare “verso” (ad) qualcosa;
curare e adsistere dicono, dunque, la stessa cosa: indicano un mio stare accanto a qualcuno perché
costui mi riguarda e mi interessa. Non è allora una mera vicinanza di luogo quella cui si fa
riferimento; si tratta piuttosto di essere vicino, in relazione, ed esserne consapevoli.
Per questo, si richiede una attitudine morale, in grado di esprimere l’attenzione della singola
persona nonché lo sforzo di fare fronte ai suoi bisogni particolari. L’interesse dell’infermiere deve
essere quello di occuparsi della persona nella sua globalità: da un punto di vista biologico, psico
/emotivo e socioculturale e spirituale (valoriale). Tale principio garantisce un modello di assistenza
globale (visione olistica della persona).
La persona è un essere relazionale. L’antropologia si trasferisce su di un piano concreto e dialogico
tale per cui non si tratta più di principi che trapassano e si risolvono l’uno nella sfera dell’altro, ma è
l’individuo che incontra l’ altro proprio nella sua alterità. L’uomo si coglie come un ego-ad, un ego-
cum.
Si può cogliere l’altro reificandolo e disgregandolo guardandolo come un insieme di funzioni o di
parti organiche più o meno abili e non riconoscendo in lui un unicum che precede e sostiene tali
capacità. È qui che si inserisce l’etica, come un riconoscimento dell’uomo, come disciplina che
ricalca con il comportamento la sua fisionomia.
Nella relazione assistenziale si deve partire dalla consapevolezza di trovarsi davanti al mondo
imperscrutabile dell’altro come essere in sé. In questo senso, l’assistenza è irriducibile a qualsiasi
interpretazione meramente procedurale: tralasciata una qualsiasi affermazione di esecutività,
l’assistenza è da considerarsi piuttosto un comportamento di cura, in cui le abilità e le tecniche sono
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solo una parte di un più ampio contesto di essa, ove la relazione e la finalità della cura stessa sono
determinanti.
In questo senso, il dialogo tra professionisti sanitari e paziente è da intendersi come un solidale
avvicinamento, un incontro culturale tra persone, ciascuna con una propria storia familiare, sociale,
professionale. La relazione empatica che può nascere dà luogo alla alleanza terapeutica.
In questo senso, l’apporto della bioetica è stato importante, soprattutto per quanto concerne lo
spazio dato alla riflessione antropologica.
A questa capacità di prendersi cura alludeva anche Balint 11, quando osservava, molto acutamente,
che la prima medicina è il medico stesso e che, al di là dei farmaci prescritti, della terapia intensiva,
la qualità della relazione tra medico e paziente assume un rilievo in nessun modo trascurabile in
ordine alla terapia.
Tuttavia, osservava ancora Balint, con amarezza, “la scarsità di informazioni su questo farmaco
lascia stupefatti ed impauriti”.
Parlando di cura non si può omettere di citare quindi la bioetica, dal greco antico bios = vita ed
ethos= carattere, comportamento.
La bioetica ha carattere interdisciplinare e coinvolge la filosofia, la filosofia della scienza, la
medicina, la bioetica clinica, la biologia, la giurisprudenza, il biodiritto, la sociologia, la psicologia
e la biopolitica.
“Uno dei compiti della bioetica è porre limiti e confini, soprattutto quando il loro superamento
rischia di minacciare realtà preziose, quali la dignità umana, il mondo animale o le risorse
ambientali; questo non può tuttavia essere il suo compito esclusivo, poiché il centro di ogni
questione relativa alla bioetica è il significato della vita, anche quando questa si trova in condizioni
di sofferenza, e il significato che può assumere la cura, sempre in bilico tra pura prestazione tecnica
e presa in carico integrale della persona sofferente” (Fabrizio Turoldo, 2010, L’etica di fine vita)12
3.3 Carta Europea Diritti del Malato 13
La Carta Europea dei Diritti del Malato, presentata a Bruxelles nel 2002,
propone la proclamazione di quattordici diritti dei pazienti, fatte salve le premesse secondo le quali
la definizione degli stessi implica che sia i cittadini che gli altri attori della sanità si assumano i
rispettivi oneri, in correlazione con i doveri e le responsabilità:
1) Diritto a misure preventive – ogni individuo ha diritto a servizi appropriati a prevenire la
malattia
2) Diritto all’accesso – ogni individuo ha il diritto di accedere ai servizi
17
sanitari che il suo stato di salute richiede. I servizi sanitari devono garantire eguale accesso ad
ognuno, senza discriminazioni sulla base delle risorse finanziarie, del luogo di residenza, del tipo di
malattia o del momento di accesso a servizio.
3) Diritto alla informazione – ogni individuo ha il diritto di accedere a tutti i tipi di informazione
che riguardano il suo stato di salute e i servizi sanitari e come utilizzarli, nonché a tutti quelli che la
ricerca scientifica e la innovazione tecnologica rendono disponibili.
4) Diritto al consenso – ogni individuo ha il diritto ad accedere a tutte le informazioni che lo
possono mettere in grado di partecipare attivamente alle decisioni che riguardano la sua salute.
Queste informazioni sono un pre-requisito per ogni procedura e trattamento, ivi compresa la
partecipazione alla ricerca scientifica.
5) Diritto alla libera scelta – ogni individuo ha il diritto di scegliere
liberamente tra differenti procedure ed erogatori di trattamenti sanitari sulla base di adeguate
informazioni
6) Diritto alla privacy e alla confidenzialità – ogni individuo ha diritto alla confidenzialità delle
informazioni di carattere personale, incluse quelle che riguardano il suo stato di salute e le possibili
procedure di
agnostiche o terapeutiche, così come ha diritto alla protezione della sua privacy durante l’attuazione
degli esami diagnostici, visite specialistiche e trattamenti medico – chirurgici in ospedale.
7) Diritto al rispetto del tempo dei pazienti – ogni individuo ha diritto a
ricevere i necessari trattamenti sanitari in un periodo di tempo veloce e predeterminato. Questo
diritto si applica ad ogni fase del trattamento.
8) Diritto al rispetto degli standard di qualità – ogni individuo ha il diritto di accedere a servizi
sanitari di alta qualità, sulla base della definizione e del rispetto di standard precisi.
9) Diritto alla sicurezza – ogni individuo ha diritto di essere libero da danni derivanti dal cattivo
funzionamento dei servizi sanitari, dalla malpractice e dagli errori medici, e ha il diritto di accesso a
servizi e trattamenti sanitari che garantiscano elevati standard di sicurezza.
10) Diritto alla innovazione - ogni individuo ha il diritto all’accesso a
procedure innovative, incluse quelle diagnostiche, secondo standard
internazionali e indipendentemente da considerazioni economiche e finanziarie.
11) Diritto a evitare le sofferenze e il dolore non necessari – ogni
individuo ha il diritto di evitare quanta più sofferenza possibile, in ogni fase della sua malattia.
12) Diritto ad un trattamento personalizzato – ogni individuo ha il diritto a programmi
diagnostici o terapeutici quanto più possibile adatti alle sue personali esigenze.
18
13) Diritto al reclamo – ogni individuo ha il diritto di reclamare ogni qual volta abbia sofferto un
danno e ha il diritto a ricevere una risposta o un altro tipo di reazione.
14) Diritto al risarcimento – ogni individuo ha il diritto di ricevere un
sufficiente risarcimento in tempo ragionevolmente breve ogni qual volta abbia sofferto un danno
fisico ovvero morale e psicologico causato da un trattamento di un servizio sanitario.
La Carta dei diritti del malato si reputa essere un importante esempio di quello che è il diritto
all’umanizzazione delle cure.
19
Capitolo 4
Filosofia e Medicina
4.1 Filosofia e Medicina
“La cosa più importante in medicina? Non è tanto la malattia di cui un paziente è
affetto, quanto la persona che soffre di quella malattia” (Ippocrate) 14”
Tra filosofia e medicina, pur nella loro differenza disciplinare, è presente dall’antichità un profondo
intreccio. Lo dimostrano, ad esempio, i pensatori che nel corso dei secoli hanno utilizzato metafore
mediche per esprimere le loro riflessioni filosofiche. Molti pensatori furono loro stessi medici
poiché questi due saperi dovrebbero essere tra loro complementari essendo manchevole studiare il
corpo umano ed agire su di esso senza sapere chi è l’uomo, posto che la medicina è il complesso
delle attività che intervengono a favore del sofferente strettamente legate con le espressioni dello
spirito umano.
Inoltre la medicina è l’esercizio della compassione (dal latino cum pati, soffrire insieme) tra esseri
umani: un uomo mosso dalla compassione, (il medico e l’infermiere) che si prendono cura di un
altro essere umano, attraversato dalla vulnerabilità prodotta dalla malattia e si impegnano a
custodire la sua vita.
La filosofia della medicina può essere intesa in molti modi: come un’analisi epistemologica del
sapere medico, oppure come analisi dell’agire medico, o a detta di molti, come una filosofia che
affronta il problema dell’uomo nel suo complesso, cioè della persona umana e inevitabilmente si
configura come antropologia. Non è errato ritenere che un’adeguata formazione nelle discipline
umanistiche, e la filosofia occupa un posto di eccellenza, è il presupposto e la garanzia per un
corretto esercizio professionale e la base indispensabile affinché ogni approfondimento medico
scientifico sia sempre a favore dell’umano.
L’antropologia della cura significa innanzitutto l’ascolto di ogni individualità. Non avere già delle
risposte precostituite. La salute e la cura che ognuno di noi vuole per sé sono elementi da scoprire in
un dialogo continuo.
Il prendersi cura differisce dal curare perché assume ove inevitabile – la consapevolezza
dell’impossibilità di guarire e allora sa attendere, sa assistere non intervenendo, sa graduare
l’intervento secondo il desiderio e non esclusivamente secondo il bisogno, spesso oggi interpretato
20
più dal familiare che non dal paziente, se questo è anziano o in fase terminale (Fabrizio Turoldo,
2010).
4.2 Excursus storico. Quasi 2.500 anni fa, Ippocrate di Coo, riteneva che ogni malattia avesse una
spiegazione razionale, riconoscendo l’importanza dell’ambiente nella comparsa e nella evoluzione
delle malattie. Il suo giuramento ad agire per il bene del paziente nel pieno rispetto della persona e
nel segreto professionale, viene ancora oggi prestato dai giovani laureandi in medicina.
Quello che resta fondamentale nell’insegnamento ippocratico che è giunto fino a noi attraverso i
millenni è, accanto alle nozioni pratiche, l’importanza tra medico e paziente del dialogo, essenziale
per porre una giusta diagnosi ed assicurare il benessere del paziente.
Seneca15 (4 a.C. 65 d.C.), nelle “Lettere morali a Lucilio” che scrive quasi al termine della sua vita
offrendogli consigli sulla crescita morale, si esprime così, prendendo come esempio la medicina:
“senza la filosofia l’animo è malato, se anche il corpo è in forze. Curiamo prima la salute
dell’anima, poi del corpo”.
Galeno16, medico e filosofo scientifico (Pergamo, 129 – Roma, 201 circa) sosteneva che non si può
essere un buon medico se non si conoscono logica, fisica ed etica, cioè l’insieme dell’autentica
filosofia.
La medicina dell’Alto Medioevo (486 - anno mille circa) vide il sapere medico trasferirsi anche in
Oriente, mentre in Occidente si istituivano vari luoghi di cura. Era essenzialmente una medicina
pratica, basata sull’insegnamento diretto e sull’uso di terapie consacrate dalla tradizione, e vide
crescere l’opera di cura e di soccorso intrapresa dalla Chiesa.
Nel basso Medioevo (tra l’anno mille ed il 1492 circa), con la fondazione di alcuni ospedali e la
nascita ufficiale delle prime università (prime fra tutte Bologna e Parigi), si svilupparono
conoscenze mediche più specialistiche che trovarono piena espressione con la nascita della clinica,
che ebbe come conseguenza l’abbandono delle visioni cosmologiche e antropologiche della
medicina.
Con il Rinascimento, e la rivoluzione scientifica operata in seguito da Copernico, Galileo e Newton,
non muta soltanto l’immagine dell’universo, ma anche quella del corpo umano. Nasce la medicina
scientifica il cui tratto caratteristico era il metodo sperimentale. Il medico, in parte privato
dell’identità originaria che gli imponeva obbligo di “prendersi cura” del malato nella sua totalità,
rischia di trasformarsi in un tecnico di alto livello al quale, come in qualsiasi altro settore, si
richiedono prestazioni nel campo di competenza.
Cartesio 17 (Renè Descartes 1596-1650) è ritenuto l’iniziatore del pensiero moderno e del metodo
razionalistico, e fu studioso anche di biologia e anatomia. Respingendo il patrimonio di conoscenze
21
fin qui accolto, Cartesio offrì un nuovo metodo di ragionamento con base la matematica che unisce
il criterio dell’evidenza intuitiva con il rigore della deduzione.
Il secolo XVIII è noto per la rivoluzione demografica; la salute pubblica acquisì notevole rilievo
con l’istituzione del medico condotto e la medicina assunse nuove connotazioni.
Immanuel Kant, 18 (1724-1804) nel suo “De Medicina corporis”, si rivolge alla pratica medica, al
benessere psicofisico e al rapporto tra mente e corpo. E sua l’affermazione che il medico, pur
indagando la malattia da una prospettiva differente, analizzandone le cause materiali, “deve tenere
conto della complessità psicologica dell’essere umano”.
Con l’avvento del XIX secolo, e l’affermarsi della Teoria della evoluzione e del pensiero
positivistico che vedeva “nell’osservazione obiettiva dei fatti” lo strumento principale del medico
per lo svolgimento della propria professione, muta il rapporto tra medico e paziente, che diverrà
unicamente oggetto di conoscenza nell’osservazione che impone al medico la rinuncia ad ogni
personale partecipazione e ad ogni idea soggettiva.
Il XX secolo, quello delle maggiori scoperte in campo medico, vede la medicina basata sulla
evidenza, su protocolli standardizzati, avallati da studi scientifici, che sostituiscono pensieri ed
esperienze personali.
Karl Jaspers 19, filosofo e psichiatra tedesco (1883-1969), sosteneva che il medico -moderno
scienziato - aveva rinunciato all’umanità, ed indicava come soluzione il recupero della tradizionale
figura del medico generico e trasformarlo in un sapiente, cioè in un filosofo. Facendo sua
l’espressione ippocratica “iatros philosophos isotheos”, testualmente “il medico che si fa filosofo
diviene pari a un Dio”, Jaspers sostiene che le conquiste della tecnica hanno appiattito l’essenza del
medico sino a schiacciare la sua propensione alla filosofia. Nell’era della tecnica l’esame obiettivo
ed il supporto della struttura tecnica hanno sovrastato l’ascolto, la cura basata sulla comprensione e
sulla trasmissione animica, spirituale. Si è creato uno spazio vuoto contraddistinto da un’arsura di
relazione. Proprio nel ritorno all’antica idea di medico, fondata sui due pilastri della conoscenza
scientifica e dell’ethos umanitario, egli rintraccia l’unica possibilità che la medicina moderna
ancora possiede per salvarsi da una situazione di crisi provocata dall’onnicomprensivo processo di
tecnicizzazione della nostra epoca. (Il medico nell’età della tecnica, K. Jaspers)
Infine Paul Ricoeur20, (1913-2005), docente di filosofia morale, pose attenzione ai problemi della
bioetica, e si occupò anche della relazione medico-paziente introducendo il concetto di
“sollecitudine”, un condiviso riconoscimento della fragilità, allo stesso tempo donante e donate
perché grazie alla reversibilità dei ruoli, ogni agente è il paziente dell’altro.
Il pensiero di Ricoeur, esposto nel testo “Il giudizio medico”, così si riassume: “il patto di cura
diviene così una sorta di alleanza sigillata tra due persone contro il nemico comune, la malattia.
22
L’accordo deve il suo carattere morale alla promessa tacita, convenuta tra i due protagonisti, di
rispettare fedelmente i rispettivi impegni”.
L’arte di curare quindi si esercita mediante una relazione che pone al centro il diritto del malato di
conoscere la verità sul proprio caso e di ricevere trattamenti adeguati.
Secondo Umberto Galimberti21, oggi di fronte a una medicina sempre più tecnologicizzata, quindi
più scientifica e precisa, c’è un ricorso sempre più frequente alla medicina definita “alternativa”, ma
che un tempo era la medicina ufficiale (Ippocrate, Galeno). A differenza di quella scientifica, la
medicina alternativa non focalizza la malattia, ma l’individuo e lo stile di vita a partire dal quale
quell’individuo, con quella certa biografia, in quelle certe circostanze, si è ammalato. Questa
divaricazione è strutturale, anche se può essere attenuata dal medico che non guarda solo le lastre o
i risultati degli esami ma anche in faccia il paziente, per assolvere non solo il dovere dello “sguardo
clinico” ma anche e soprattutto per accogliere chi a lui si rivolge con tutta l’ansia connessa alla
precarietà della vita e allo spettro della morte.
Esiste un bellissimo mito greco, che tratteggia molto bene la figura del medico saggio e capace di
empatia. Si tratta del mito del centauro Chirone, inventore della medicina e maestro di Asclepio.
Apollodoro racconta che Chirone divenne un grande guaritore solo dopo essere stato colpito in
modo insanabile da una freccia avvelenata; questo stato cronico della malattia gli permise di
possedere una grande sensibilità e capacità verso coloro che soffrivano, potenziando così le sue
capacità terapeutiche.
Troviamo qualcosa di analogo anche nella tradizione cristiana, dove il Cristo diviene Redentore
dell’umanità e Salvatore proprio quando porta in sè e patisce tutta la sofferenza. Redime perché
soffre.
Il senso simbolico e relativo di questi archetipi mitici e religiosi è quello di aiutare il medico ad
identificarsi con la situazione vissuta dal malato, facendo attenzione alla struttura interiore
dell’altro. (Fabrizio Turoldo, 2010, “L’etica di fine vita” ).
La proiezione affettiva verso il malato diventa allora empatia ma, come sottolinea Norbert Elias,
non deve essere pura identificazione, ma equilibrio tra prossimità e distanza, tra coinvolgimento e
distacco, tra Engagement e Distanzierung, per usare i suoi termini22 .
4.3 La Felicità secondo Epicuro – Commento
Epicuro23 è un filosofo su cui pesa un giudizio negativo: “Epicureo” non è un complimento che si
fa ad un filosofo o ad una persona. Infatti ad Epicuro si rimprovera di aver presentato il piacere
sensualistico, inteso come il sommo bene; come il fine ultimo della vita umana; ciò da cui noi
deriviamo lo stato di felicità più pieno.
23
Con la lettera a Meneceo, cui era indirizzata, Epicuro si sente in dovere di rettificare questo
giudizio, precisando il concetto di “piacere”.
La filosofia è ricerca di verità. Ma uno dei compiti fondamentali dell’euristica filosofica 24 riguarda
l’individuazione di mezzi e strumenti per raggiungere la felicità. La religione, come tecnica di
salvezza e di rassicurazione per l’uomo, rappresenta una delle metodiche finalizzate a garantire il
benessere dell’animo e la pace interiore. La religione, che non sia però intesa necessariamente come
fede nell’esistenza di un solo dio, di un’anima immortale, o di una morale simile a quella della
tradizione cattolica. Riconosciuta piuttosto come possibilità di liberazione e di rifugio, come
farmaco per la guarigione dei mali dell’anima. «Mai si è troppo giovani o troppo vecchi per la
conoscenza della felicità», con queste parole comincia la Lettera sulla felicità che Epicuro scrive a
Meneceo, per parlargli della filosofia come quadrifarmaco, contro la paura degli dei e della morte,
del dolore e del piacere, che risulta essere il solo fine della ricerca filosofica in grado di assicurare
benessere all’uomo. La felicità risulta un compito doveroso per giovani e vecchi, perché non esiste
un’età per essere felici, ma anche e soprattutto perché l’aspirazione alla gioia dovrebbe
comprendere l’intero segmento esistenziale, accompagnandolo dalla nascita al momento del suo
tragico epilogo, con la morte. La letizia, però, non è solo ricerca, ma anche conoscenza delle cose
che la rendono possibile ed attuale, e che determinano quel senso di compiutezza, che fa percepire il
possesso di ogni bene, oltre il quale tutto è privo di senso e di valore. È poi bene essere appagati
perché il ricordo delle gioie passate è sempre capace di riempire il presente che sia meno gaio di
quello. Ma anche l’attesa, l’aspettativa della gratificazione, conferiscono uno scopo significativo per
la vita dell’uomo che, altrimenti, non avrebbe valori imperituri cui ispirarsi. I giovani che vivono
nell’aspettativa della contentezza, si irrobustiscono e fortificano nello spirito, perché conducono
un’esistenza di speranza e di fede nel futuro, che li invita a gioire delle esperienze di vita che fanno
in tenera età. Gli anziani, invece, possono contare su un cospicuo bagaglio di bei ricordi, che li fa
sentire giovani anche quando il tempo della spensieratezza è ormai trascorso.
E per quanto riguarda la morte? Essa, esperienza irreversibile e assai temuta dagli uomini, non può
far loro alcun male. Godere e soffrire sono disposizioni dell’animo che sente. Mentre la morte si
pone come la risolutiva negazione di ogni sentire, perché ne costituisce l’assenza assoluta. La
morte, per l’uomo, è nulla. Perché quando lei subentra, l’uomo non è più. «La morte, il più atroce
dunque di tutti i mali, non esiste per noi. Quando noi viviamo la morte non c’è, quando c’è lei non
ci siamo noi. Non è nulla né per i vivi né per i morti. Per i vivi non c’è, i morti non sono più».
L’uomo saggio accetta la morte serenamente, così come ha vissuto. E se la vita non è per lui un
male, non sarà un male nemmeno il morire. Piuttosto che scegliere per sé il tempo più lungo,
sceglierà quello più dolce. Nella consapevolezza che il bene più grande sia sempre la vita. Il
24
vecchio, perciò, dovrà amarla quanto il giovane, e non desiderare la morte perché ormai sente il suo
tempo approssimarsi alla fine. La vita è sempre ricolma di dolcezza, e soprattutto il vivere
costituisce un’esperienza unica ed irripetibile. Chi poi non sia affatto soddisfatto della vita, può
liberamente scegliere di darsi la morte. Epicuro accetta la possibilità del suicidio, ma solo per colui
il quale abbia compreso che non vi è alternativa immaginabile ad un esistere riconosciuto ormai
come un non senso, perché non più corrispondente alle personali aspirazioni dell’essere umano. Se,
invece, si decide al contrario di vivere, allora è necessario adoperarsi per la vita sino in fondo.
«Ricordiamo poi che il futuro non è del tutto nostro, ma neanche del tutto non nostro». Il destino
dell’uomo è, in qualche modo segnato, ma ci sono dei margini di libertà, che sono lasciati alla
emancipata determinazione della sua scelta. Come il vivere, il vivere bene, o il decidere di farla
finita, nella convinzione che la vita non valga la pena di essere vissuta fino in fondo e con coerenza.
Così l’uomo può desiderare autonomamente. Ma tra i desideri possibili solo alcuni sono naturali, e
corrispondono a quelli necessari, mentre i restanti sono inutili. E senz’altro tra i desideri necessari
vi è quello fondamentale alla felicità, al benessere fisico, e alla stessa vita. Vivere pienamente, cioè,
è la stessa cosa che stare bene ed essere felici. Una vita che non contempli lo stato di benessere
psico-fisico non è una vita probamente spesa. Soprattutto, è giusto che vi sia una buona conoscenza
dei desideri, perché ogni scelta operata dall’uomo finisca per armonizzarsi con lo stare bene nel
corpo e con la serenità dell’animo. Chi non conosce profondamente il valore dei desideri umani,
non è nemmeno capace di assecondarli e di gestirli al meglio. Fine dell’agire è il raggiungimento
del piacere, e l’evitamento del male, della sofferenza e dell’ansia. Nella condizione di serenità ogni
turbamento interiore cessa di esistere, e lo stato di calma procura beneficio anche al corpo. La
sofferenza che si prova è chiara testimonianza dell’assenza di piacere, che muove al bisogno.
Quando non si soffre vuol dire che c’è il godimento. «Per questo noi riteniamo il piacere principio e
fine della vita felice, perché lo abbiamo riconosciuto bene primo e a noi congenito. Ad esso ci
ispiriamo per ogni atto di scelta o di rifiuto, e scegliamo ogni bene in base al sentimento del piacere
e del dolore». Piacere e dolore sono i due estremi entro i quali si estrinseca e determina l’esistenza
umana. Al fine di evitare il dolore ogni uomo agirà per procurarsi il piacere, il cui primo livello è
determinato dall’abbandono della condizione di sofferenza precedentemente provata. Ogni piacere è
un bene in sé, in quanto allontana dal dolore, ma non per questo ogni piacere è da ritenersi, in ogni
caso, preferibile. Va operata la distinzione tra piaceri necessari e piaceri inutili, che sono da ritenersi
superflui al raggiungimento dello stato di benessere e di felicità. Allo stesso modo ogni dolore è un
male, ma non per questo ogni dolore è, necessariamente, da fuggire. Spesso ciò che,
apparentemente, sembra essere un bene, si rivela poi un male; e viceversa, ciò che appare un male,
dimostra successivamente di essere un bene. Una delle condizioni che contribuiscono al
25
raggiungimento della felicità è l’affrancamento dai bisogni, sia per imparare ad accontentarsi di
poco, sia per apprezzare e godere di quello che si ha. «I sapori semplici danno lo stesso piacere dei
più raffinati, l’acqua e un pezzo di pane fanno il piacere più pieno a chi ne manca. Saper vivere di
poco non solo porta salute e ci fa privi d’apprensione verso i bisogni della vita ma anche, quando ad
intervalli ci capita di menare un’esistenza ricca, ci fa apprezzare meglio questa condizione e ci
rende indifferenti verso gli scherzi della sorte». Pare qui di intuire lo spirito precursore della
semplicità francescana del vivere. Basta poco per essere felici, perché le cose davvero
indispensabili sono facilmente reperibili, al contrario di quelle superflue. L’importante è imparare a
godere di quei valori semplici, primitivi, ma immortali, che rendono l’uomo avvezzo al minimo, e
grande estimatore del molto. Perché chi non sia abituato ad uno stile spartano di vita, non si forgia
nella durezza, ed è anche incapace di apprezzare gli agi delle comodità, quando questi a lui si
presentassero. Il piacere di cui parla Epicuro non è quello dei goderecci. La prima forma di piacere
è l’allontanamento del dolore causato dalle paure più diffuse dell’uomo, come quella degli dei e
della morte. Secondariamente il piacere consiste in ciò che aiuta il corpo a vivere meglio,
assicurandosi quella condizione di benessere psico-fisico, indispensabile ad un sereno svolgersi
dell’esistenza umana senza traumi e lacerazioni interiori. Quindi, tutto «quanto aiuta il corpo a non
soffrire e l’animo a essere sereno». E a discernere rettamente le cause della scelta e del rifiuto,
attraverso l’intelligenza delle cose, che si apprende, e che è arte superiore anche alla stessa filosofia.
Difatti essa è madre di tutte le virtù, e realizza che non si dà vita felice che non sia anche
intelligente, bella, giusta, virtuosa. Perché è felice l’uomo giusto e virtuoso. Riemerge, in questo
tratto della lettera di Epicuro, l’intellettualismo socratico che ha caratterizzato di sé tutta la filosofia
antica. Il pensiero cristiano segna poi la svolta definitiva, attraverso l’affermazione della scelta
morale libera, e nient’affatto condizionata dal sapere e dalla conoscenza umana del bene. «Chi
suscita più ammirazione di colui che ha un’opinione corretta e reverente riguardo agli dei, nessun
timore della morte, chiara coscienza del senso della natura, che tutti i beni che realmente servono
sono facilmente procacciabili, che i mali se affliggono duramente affliggono per poco, altrimenti se
lo fanno a lungo vuol dire che si possono sopportare?». L’uomo saggio è colui che accetta il senso
del divino che è innato in ognuno. È colui che sa che proprio questo vuol dire essere profondamente
religiosi. Ed è perciò, colui il quale è consapevole che la religiosità sia patrimonio naturale
universale ed irrinunciabile per gli uomini di tutti i tempi storici e di tutte le latitudini geografiche.
Ma proprio perché saggio, è anche colui che riconosce il mancato fondamento della paura degli dei,
che vivono lontani dall’uomo e indifferenti alla sua sorte. Il saggio è il filosofo che riconosce come
prioritaria la ricerca del piacere, intesa come superamento delle umane paure, poi come evitamento
del dolore, che non è nulla, in quanto se dura molto è sopportabile, se dura poco ed è intenso
26
conduce alla morte, che è assenza di ogni forma di sentire. «Questo genere d’uomo sa anche che è
vana opinione credere il fato padrone di tutto, come fanno alcuni, perché le cose accadono o per
necessità, o per arbitrio della fortuna, o per arbitrio nostro. La necessità è irresponsabile, la fortuna
instabile, invece il nostro arbitrio è libero, per questo può meritarsi il biasimo e la lode». Epicuro
crede al destino fino ad un certo punto; ma gli preferisce senz’altro il volere degli dei e la libertà
dell’uomo. E fa capire che l’agire morale può incidere sull’andamento degli eventi in modo
significativo. Ed è perciò utile che l’uomo saggio sia consapevole di questa possibilità che ha di
modificare la sua propria vita, compiendo scelte morali lungimiranti e virtuose, che lo allontanino
dallo spettro del dolore, inteso qui come necessaria conseguenza del male morale. Leibniz (Lipsia,
1° luglio 1646 – Hannover, 14 novembre 1716) nella Teodicea riprenderà esattamente questa
distinzione tra male metafisico, che è connaturato al limite insito nell’esistenza umana finita; male
fisico, che è originato dal dolore e dalla malattia; male morale, che deriva direttamente dalle cattive
scelte operate dall’uomo, e che a sua volta può determinare conseguenze rilevanti nel riprodurre sé
stesso anche sul piano del male fisico. «Piuttosto che essere schiavi del destino dei fisici, era meglio
allora credere ai racconti degli dei, che almeno offrono la speranza di placarli con le preghiere,
invece dell’atroce, inflessibile necessità», continua Epicuro. E invita l’uomo a conseguire l’arte
della saggezza, meditandola come esposta sin qui, per vivere come un immortale tra i mortali, come
un dio, perché «non sembra più nemmeno mortale l’uomo che vive fra beni immortali». È ovvio che
i beni immortali di cui si parla sono i frutti dello spirito e della saggezza, che si tramutano in virtù
imperiture, le sole capaci di sollevare l’uomo al di sopra delle passioni terrene, e di renderlo simile
ad un dio, senza paure, libero, capace di gioire e di godere dei beni della vita, felice, in una parola.
Una felicità impossibile da conseguire, per Epicuro, senza il ricorso alla religione. Che risponde, ad
un tempo, al bisogno di infondere all’uomo certezze, e alla necessità di procurare un appagamento
stabile, inteso nella forma di un piacere duraturo. Simile senso del divino si ritroverà poi in
Feuerbach 25, nei suoi studi sulla essenza del cristianesimo e della religione naturale.
Quindi il piacere consiste nella conquista della condizione beata caratterizzata dall’assenza di
dolore del corpo, l’“aponìa”, cioè l’assenza di pena, di fatica, e dall’assenza di turbamenti
dell’anima, cioè l’“atarassia” ossia assenza di agitazione, tranquillità; dichiarando che la
conoscenza della felicità (filosofare) non richiede un’età precisa, quindi anche un bambino può
filosofare. Epicuro afferma che l’abito della virtù inizia a formarsi già nell’infanzia, oggi noi
affermiamo che questa è l’età della formazione del carattere, e nell’età successive provvediamo solo
a consolidarlo, rendendolo più un nostro possesso saldo e inalienabile, un luogo in cui la nostra
anima può sentirsi al sicuro, un luogo di imperturbabilità da ogni movimento giunto dall’esterno
che potrebbe recarle turbamento. E’ chiaro che il piacere di cui parla Epicuro non è il piacere di tipo
27
dinamico che ha a che fare con il godimento dei sensi da rincorrere per tutta la vita; ma è un sapere
che Epicuro chiama “catastematico”, (in greco significa, in riposo ossia “statico”) che coincide
quindi con la pace dell’animo, con l’eliminazione del dolore, con il raggiungimento di uno stato di
equilibrio interiore.
Pierre Hadot26, autorità negli studi attinenti alla consulenza filosofica, in uno dei suoi testi: “la
filosofia come modi di vivere”, indica in questa lettera a Meneceo il testo che illustra in modo più
semplice e chiaro, l’idea prima greca e poi romana, della filosofia come modo di vivere.
Anche Michel Foucault27 nell’ “Ermeneutica del soggetto” si è soffermato sul testo: la lettera sulla
felicità”, sottolineando che Epicuro argomenta tre tesi:
1. Filosofare significa prendersi cura della propria anima, tema questo, antico quanto la
filosofia, dato che era un concetto espresso da Socrate davanti al Tribunale di Atene
(Apologia di Socrate);
2. Prendersi cura della propria anima significa essere felici. Compito a cui siamo consegnati
naturalmente;
3. Questo esercizio non deve mai conoscere interruzione nella nostra vita. Epicuro abbiamo
visto inizia la lettera affermando che ogni età si presta a filosofare e per tutta la vita e dove
filosofare sta per curare la nostra anima. Il giovane deve iniziare a costruirsi la corazza per
parare i colpi che gli verranno dalla vita; Epicuro scrive infatti: “… Da giovani come da
vecchi è giusto che noi ci dedichiamo a conoscere la felicità. Per sentirci sempre giovani
quando saremo avanti con gli anni in virtù del grato ricordo della felicità avuta in passato, e
da giovani, irrobustiti in essa, per prepararci a non temere l'avvenire. Cerchiamo di
conoscere allora le cose che fanno la felicità, perché quando essa c'è tutto abbiamo,
altrimenti tutto facciamo per averla.”
Epicuro paragona la conquista della imperturbabilità dell’anima a quello stato di assenza di vento in
mare chiamato bonaccia. Come in mare la nave si ferma per mancanza di venti e si muove solo a
condizione che si usino i remi; non è quindi da intendere come calma piatta bensì come un andare
avanti con le proprie forze (la metafora della “bonaccia” ricorre anche nel dialogo di Platone, “il
Fedone”, in cui Socrate che fino ad un certo punto si era affidato al pensiero di altri autori, era
andato avanti alla luce della spinta che veniva dagli altri, poi decide di pensare autonomamente).
Altro punto della lettera è il concetto che la piena libertà del saggio consiste nell’essere interamente
padrone di sé stesso. L’ “autarchia”, autarchia o libertà non è solo un insegnamento di Epicuro ma
dell’età ellenistica. Essa consiste nel saper discernere, ponderare, da parte del saggio, di volta in
volta, che cosa è in lui più utile in vista del mantenimento della massima stabilità esistenziale. Ecco
28
perché lo stato di imperturbabilità non è raggiunto una volta per sempre ma va coltivato, gestito,
mantenuto, perché bisogna discernere cosa è più utile per noi, per mantenere questo stato raggiunto.
Momento che coincide con l’assunzione più radicale della nostra finitezza, perché scopriamo in
questa situazione che i veri bisogni sono pochi e limitati prendendo coscienza così della nostra
finitezza, che non ci serve a niente disporre di un tempo infinito per goderne. Epicuro sradica una
illusione che si produce in noi e cioè che ci sentiamo immortali per il fatto che i bisogni sono tanti e
richiedono tanto tempo per il loro soddisfacimento, ma con l’opera di discernimento indicati da
Epicuro, i bisogni sono pochi richiedendo anche poco tempo per soddisfarli, eliminando così
l’illusione di essere immortali. Epicuro dice che dominare il tempo è essenziale per la felicità che
solo nella stabilità diventa perfetta. Epicuro ci invita con gli esercizi spirituali a imparare nella
capacità di dislocare la nostra mente distogliendola nel momento del dolore cioè nel “presente” e
stornare la mente dall’area colpita dal dolore focalizzandola o al passato, o al futuro, per lasciare
inalterata la sensibilità alla gioia.
La felicità ci può rendere migliori e il suo possesso è sempre un continuo perfezionarsi, motivo per
cui non è uno stato acquisito per sempre, ma un esercizio spirituale continuo. Epicuro prende ad
esempio gli dei che vivono massimamente felici, in modo naturale e a cui bisogna ispirarsi per
vivere massimamente felici sulla terra. La felicità promuove le virtù, prima di tutte la “filia”,
l’amicizia. Un termine greco con un significato più ampio, comprendendo anche l’amore. Epicuro:
“l’amicizia corre per la terra intera chiamando noi tutti a destarci alla felicità”.
La filosofia deve agire quindi da farmaco che ci libera in primis da una rappresentazione
antropomorfica degli dei e che essi possono interferire minacciosamente nelle faccende umane
affligendoci con carichi di pene e punizioni.
“Lo storico della filosofia dovrà cedere il posto al filosofo, il filosofo deve sempre restare vivo nello
storico della filosofia. Questo ultimo compito consiste nel porre a sé stesso, con lucidità maggiore la
domanda decisiva: Che cos’è Filosofare?” (P. Hadot, Esercizi Spirituali e Filosofia Antica).
Domanda impegnativa, certo: alla quale si può rispondere ripercorrendo la strada che in origine
percorsero i Greci, tenendo unite tra loro – senza mai scinderle – la vita e la filosofia. Un'altra tesi
sostenuta da Hadot riguarda la continuità tra mondo greco e mondo cristiano: Hadot, che ha studiato
attentamente il mondo tardo-antico (con particolare attenzione per Marco Aurelio) e il suo trapasso
in quello cristiano, mette in luce con particolare enfasi come l'idea degli “esercizi spirituali” dei
Greci (e soprattutto degli Stoici) riceva un nuovo impulso presso i Cristiani, che ad essi danno un
nuovo sviluppo. Tra mondo greco e mondo cristiano non c'è contrasto ma, semmai, continuità, nella
misura in cui il secondo eredita (e declina in nuovi modi) il pensiero elaborato dal primo: tesi,
questa, sostenuta anche, seppure con sfumature diverse, dal filosofo italiano Giovanni Reale.
29
Poiché la saggezza (la “sofia”, la “fronesis”) è la madre di tutte le virtù, ha come condizione
necessaria affinché essa si esplichi in tutta la sua ampiezza, la benevolenza e dall’affetto degli altri;
ciò spiega l’importanza dell’amicizia. L’amicizia aiuta la saggezza ad espandersi al contrario di chi
coltivando la saggezza tende a rinchiudersi in sé stesso con il rischio di autoreferenzialità.
L’amicizia è da considerarsi un correttivo a questo rischio che tutti noi corriamo. L’amicizia, per
Epicuro, è un bene immortale; ben superiore al bene mortale della “sofia”.
4.4 Dolore. Considerazioni sul concetto “dolore”.
Che cos’è il dolore? Siamo abituati a pensarlo come una sensazione che ci avvisa di qualche cosa
che esterna a noi ci sta colpendo, magari un’arma da taglio oppure un piccolo pizzicotto. Quindi
siamo abituati a pensarlo sulla base di una nozione di sensazione qualche cosa che esterno da me è
arrivato su di me. Ma in effetti non è sempre così, ad es. abbiamo le nozioni di dolori interni, delle
sensazioni viscerali, il mal di testa o il mal di orecchie. Sono differenti? La nostra percezione
funziona in maniera differente? Sicuramente dobbiamo considerare alcune caratteristiche di queste
sensazioni; dal punto di vista filosofico molto interessanti:
il dolore è soggettivo. Ognuno ha il suo.
E’ privato. Non posso trasferirlo.
Consente un’autorità in prima persona. Non si può giudicare se una persona sta veramente sentendo
o non sentendo dolore. Egli è il massimo giudice del suo dolore.
Queste tre caratteristiche: soggettività, privatezza, assoluta autorità della prima persona, sono
tuttavia materiale per un problema filosofico molto grosso; cioè la relazione fra la mente e il corpo.
Il dolore sembra essere una sensazione fisica, fa male la mano, fa male il piede; eppure proprio
perché è intrinsecamente soggettiva e privata, diventa poi la prima delle sensazioni mentali, qualche
cosa che nessun altro può discutere, che non posso trasferire per es. attraverso le parole, non c’è
modo di descrivere il dolore, quindi non posso trasferirlo agli altri e dunque ho una mia
caratteristica privata, una sorta di castello in cui soltanto io riesco a dominare.
Il Paradosso del dolore è che, come nel caso del cosiddetto arto fantasma, posso addirittura dire di
provare dolore in una regione dello spazio, perché magari mi è stata amputata una gamba o una
mano; essi non ci sono più ed io continuo a sentire dolore là, dove non c’è più nulla di fisico.
Dunque il dolore che dovrebbe essere un campanello di allarme fisico della mia fisicità diventa
invece il dominio esclusivo delle mie sensazioni mentali. Un dominio così potente che nessuno può
metterlo davvero in discussione; alcuni sostengono in questo caso, che nel caso del dolore:
apparenza e realtà coincidono; perché non c’è nient’altro nella realtà del dolore che non il fatto che
30
a me sembri proprio di avere un dolore. (Simone Gozzano; Nato a Roma il 26.08.196; Professore
Ordinario – Logica e Filosofia della scienza – Università degli studi di L’Aquila).
4.5 Esistenzialismo – Cenni del pensiero filosofico
“L'esistenzialista non prenderà mai l'uomo come fine,
perché l'uomo è sempre da fare”. (Jean-Paul Sartre)
Definire una filosofia come l’esistenzialismo è certamente difficile, se non impossibile. E questo
non solo perché la filosofia dell’esistenza avrebbe come essenza quella di negare l’essenza, ma
ancora per l’effettiva diversità di voci e di sviluppi raggruppabili in quest’area.
Nonostante questo, le filosofie dell’esistenza si lasciano indicare secondo alcune ricorrenze
tematiche o strutturali. Tra queste, la riscoperta dell’esistenza e la relazione con l’essere
costituiscono senz’altro un binomio centrale e decisivo.
La riscoperta dell’esistenza è un primo ed evidente esito di quella “tematica della crisi” che matura
con particolare vigore nella coscienza europea tra le due guerre mondiali.
Per essa si impone una centralità dell’esistere, inteso quale modo proprio, e problematico, di essere
dell’uomo, nel contesto di una crisi polivalente: storica e sociale, culturale e filosofica. Si trattò
anzitutto di una crisi storica e sociale, coinvolgente la società europea nel suo complesso tramite le
vicende che prepararono e che seguirono alla Guerra mondiale del 1914-18. E, al tempo stesso, fu
crisi culturale e filosofica in virtù della quale venivano via via crollando, fin dentro la seconda metà
del XIX secolo, gli ottimismi, i miti, e, in una parola, le certezze ottocentesche, promosse a più
livelli ed in più direzioni, non ultime quelle dei vari idealismi e positivismi. Per la sua dimensione
culturale e filosofica la crisi entro cui si propone la riscoperta dell’esistenza, nei suoi aspetti più
urgenti e tragici, si lascia descrivere come una rottura della relazione tra ragione e realtà, e quindi,
come una perdita, ed una conseguente problematizzazione, del senso dell’esistere individuale. In
quest’ultima ottica va riconosciuto che da un punto di vista culturale e filosofico le tematiche
esistenzialistiche vennero preparate fin dentro l’Ottocento, specie nella polemica antihegeliana, e
nel travaglio del passaggio del secolo. Certe sottolineature del pessimismo di A. Schopenhauer 28, la
rivendicazione del concreto di L. Feuerbach, ed i motivi esistenzialistici di S. Kierkegaard –
angoscia e disperazione, scelta e possibilità – confluirono nelle filosofie dell’esistenza del
Novecento. Kierkegaard in particolare, soprattutto per l’area tedesca, è all’origine di quella
Rinascita Kierkegaardiana che trovò un’espressione di notevole rilievo, anche in termini di
influenza sul clima filosofico, nel “Commento alla lettera ai Romani” (1919) di K. Barth 29. Più in
generale, le filosofie dell’esistenza incontrano ancora quegli spunti esistenzialistici che venivano
31
delineandosi da più parti: in F. Nietzsche 30 e nella fenomenologia 31 di E. Husserl 32 ad esempio, o
ancora in H. Bergson 33 e in M. de Unamuno 34.
La riscoperta dell’esistenza tra le due Guerre mondiali fu però ben più di un evento strettamente
filosofico. Essa segnò infatti un vero e proprio clima culturale, un’atmosfera diffusa, cui
contribuirono non poco precise espressioni della letteratura europea, nelle quali si registrano,
accanto ad un senso sottile e crescente della quasi-condanna nell’esistere, i temi del singolo e del
suo destino delle scelte esistenziali più o meno disperate, della terribile difficoltà del vivere. I
personaggi di F. Dostoevskij 34 o di F. Kafka 35 prima, o ancora di M. Proust 36 e di Ibsen37, e gli
scritti di A. Camus 38 – il mito di Sisifo, 1943; L’uomo in rivolta, 1951 – e di Simone de Beauvoir 39 – Per una morale dell’ambiguità, 1947 – dopo, indirizzano in questo senso. Lo stesso
esistenzialismo francese rimane contrassegnato, tanto in J. P. Sartre 40 quanto in G. Marcel41,
seppure con fortune diverse, dal bisogno di far vivere nel racconto, o in teatro, quei personaggi
concreti che incarnino vitalmente i temi sollevati dalle filosofie dell’esistenza. Non a caso
dell’esistenzialismo si è tentato, tenendo conto di questa atmosfera culturale, una definizione nei
termini di “estrema propaggine” del romanticismo, o, ancora, di decadentismo (N. Bobbio) 42.
L’esistenza che viene riscoperta, tuttavia, non è qualcosa di rinchiuso in sé stesso, e di
autocontemplantisi, come ha ancora ravvisato la critica marxista. Piuttosto, sul versante filosofico
essa viene concepita in termini di rapporto, e precisamente di rapporto con l’essere. Ora, per quanto
l’essere non si lasci definire in modo univo nelle filosofie dell’esistenza, pur tuttavia la relazione
con l’essere è così centrale che in essa ne va del senso dell’esistenza stessa. Anzi, è nella stessa
diversità di intendere l’esistenza e l’essere, nel loro rapporto, che si radicano i diversi orientamenti
dell’esistenzialismo – ontologico od umanistico, ateo oppure teistico, di destra o di sinistra.
L’esistenza, si diceva, non è un’essenza compiuta e autosufficiente, ma è apertura e possibilità, cioè
rapporto. Nel rapporto intervengono anzitutto l’esistente-uomo e l’essere, in quanto termini
rapportati; in secondo luogo emergono le nozioni di libertà e di scelta come espressioni della
possibilità tipica dell’esistente-uomo di accettare, rifiutare, direzionare il rapporto con l’essere; in
terzo luogo intervengono le categorie dell’autentico e dell’inautentico a designare la qualità vissuta,
il modo del rapporto del singolo con l’essere. Infine, nel rapporto di esistenza ed essere va
considerato ancora tutto il complesso degli elementi stessi che costituiscono il rapporto, complesso
sempre unico ed originale nonché storicamente determinato. Questa complessità concreta coincide
con quella situazione esistenzialistica in riferimento alla quale se da un lato si comprende il senso
della priorità dell’esistenza sull’essenza, da un altro lato acquistano rilievo le sottolineature della
singolarità, del limite e della finitudine costitutiva – in entrambi i sensi della possibilità negativa e
positiva – dell’esistenza stessa.
32
La centralità del rapporto di esistenza ed essere risalta nitidamente nelle filosofie dell’esistenza.
Ritengo sia necessaria e utile una, se pur non approfondita, chiarificazione dei termini-concetti, che
sono alla base della filosofia Esistenzialista e di Soren Kierkegaard, (Copenaghen, 5 maggio 1813
– Copenaghen, 11 novembre 1855. È stato un filosofo, teologo, e scrittore danese, il cui pensiero è
da alcuni studiosi considerato punto di avvio dell' esistenzialismo), in particolare:
Singolo. Il termine Singolo non è da confondere con la persona sola, ma con il termine
“Individuo”, “Unico”, “Irripetibile”, “Non Comparabile”. Questo è un concetto che andava in
contrapposizione con la filosofia del tempo, cioè l’Idealismo che aveva un angolo di visuale del
tutto simmetrico. Il fulcro dell’Idealismo non è l’individuo, ma l’Assoluto, di cui l’individuo è, a
seconda delle varie angolazioni, solo un aspetto contingente.
Per la filosofia, ci sono due termini fondamentali da puntualizzare:
l’Essere, che quando è percepibile, vuol dire che sta esistendo, es. il mouse, che in quanto mouse,
esiste.
L’Essenza, il mouse non è il microfono; come Essere esiste ma come Essenza non è il microfono o
viceversa. Esistono entrambi ma essenze differenti.
L’Essenza per la filosofia è, rispetto all’Esistenza, un prerequisito, perché possa esistere. Se non ci
fosse l’Essenza, cioè quel “quid” che poi chiameremo es. “microfono”, l’Essere non possa esistere.
Nelle scienze organiche, diremo: nelle cellule madri, in potenza, c’è tutto quello che avverrà,
bisogna poi attualizzarlo; ma in essenza già c’è, nel seme c’è già la pianta, anche se sarà la pianta.
Ci saranno poi delle cause, dirà prima Aristotele 43 e poi Tommaso 44, che faranno sì che l’Essenza
si esplichi. Senza quelle cause non ci sarà l’effetto, ma in potenza c’era già. L’Essenza precede
l’Esistenza, dal punto di vista filosofico.
Kierkegaard si chiedeva, al contrario dell’Idealismo e della cultura antica se il paradigma che
l’Essenza precede sempre l’Esistenza è valido anche per l’uomo. Vale lo stesso criterio per cui
l’Essenza precede l’Esistenza per l’individuo? Posso applicare lo stesso criterio per cui nell’Essenza
c’è già tutto ciò che potrà divenire? Sempre che ci siano le cause che lo facciano divenire.
Kierkegaard risponde che per l’uomo, non per quello che riguarda appartenente alla specie umana
ma in quanto individuo, pare che questa attribuzione non possa essere applicata. L’Esistenza che sia
secondaria, cioè che venga dopo l’Essenza, per l’individuo non si può applicare, anche se
paradossale, sconvolgente. Come è stato sconvolgente nella scienza quando nell’800 (Riman45 e
Lobascieski46, matematici entrambi) hanno fondato due geometrie non Euclidee, valide. Ma nella
loro validità, sono sconvolgenti per la mentalità scientifica. Questo perché la geometria Euclidea è
valida in un certo ambito, per es. per calcolare l’orbita che un satellite deve fare, o per andare sulla
Luna, ci si serve della geometria non Euclidea. È questo un andare oltre, come dice Popper, è
33
veramente una teoria umana, quando può essere falsificabile. Kierkegaard ha falsificato qualcosa
che la filosofia dava per scontato. Per il “Singolo”, l’“Individuo”, è l’Esistenza che precede
l’Essenza. Precisando. E’ applicabile il paradigma classico Essenza, pre-requisito dell’Esistenza, in
quanto relativo all’aspetto anatomico della persona: cromosomi, DNA…., ma noi non siamo solo
quei cromosomi, c’è qualcosa d’altro, c’è un “quid” che trascende la specie e che fa di me, “Unico”,
“Incommensurabile”, “Individuo”. Questa nuova struttura di pensiero in cui l’Esistenza precede
l’Essenza, per l’individuo, già ci dà un primo chiarimento di quella filosofia, quella antropologia,
quella cultura del ’900 che si rifarà a Kierkegaard riprendendolo ed elaborandolo, in maniera
differenziata, e si chiamerà filosofia Esistenzialista o dell’Esistenza, per la particolare connotazione
che darà al termine “Esistenza”.
Un approccio interessante è offerto da Heidegger: l’esistenza autentica dell’individuo è l’Essere
per-la-morte, cioè che io man mano che agisco, fino alla morte, costruisco la mia Essenza e l’ultimo
atto della mia esistenza è quello che concluderà la mia Essenza, di Giuseppe Cannone. Questo
comporta il dilemma della “Libertà”, è un’angolazione. Quindi, se noi attribuiamo nell’individuo
uomo, non le caratteristiche fisiche, né i suoi condizionamenti psichici, sociali; ma consideriamo
che nell’individuo c’è un ambito di autorealizzazione, allora dobbiamo dire che l’Esistenza precede
l’Essenza; che non è già data a monte; concludi la tua Essenza quando finisci di esistere.
Le altre categorie di Kierkegaard, oltre a quella del Singolo per cui l’Esistenza precede l’Essenza,
sono: “Possibilità”; “Scelta”; “Rischio”; “Ansia-Angoscia”; “Disperazione”. Queste sono categorie
fondamentali in Kierkegaard, ma che hanno orientato in vario modo l’antropologia esistenziale del
primo ‘900 sulle cui radici si innesta l’antropologia neoesistenziale.
Un breve esame di queste categorie, può essere utile e doveroso, per meglio comprenderne la
filosofia Esistenziale:
1) Possibilità. L’uomo è sempre immerso durante l’esistenza in un campo
immenso di possibilità e potendo aderire in ogni istante ad una possibilità o
ad un'altra; coscientemente o meno, siamo stimolati a continue “scelte”; un
esempio banale, ma che danno il senso delle innumerevoli possibilità può
essere la scelta, mentre si parla, della possibilità di tenere gli occhi chiusi o
aperti, muovere le mani o stare fermi, ecc., dando implicitamente un senso,
un rafforzativo, un chiarimento, ad un concetto o argomento, durante la
comunicazione con gli altri. Da questo semplice esempio, è facile
comprendere le infinite possibilità di scelta che abbiamo.
34
2) Scelte. Altra categoria connessa alla Possibilità. Anche il non scegliere è
una scelta. Non si parla di scelte che non si possono fare, ad es. battito
cardiaco, dell’uomo come appartenente ad un genere, es. cromosomi o DNA,
ecc. L’uomo in quanto “Individuo”, non può non scegliere, anche l’illusione
di non scegliere è una scelta. Non c’entra con la consapevolezza, è un dato
esistenziale che contraddistingue l’uomo in quanto tale. Un discorso
analogo, per le nostre conoscenze attuali, non sembra possa essere formulato;
“pare” e non si è certi che “sia così”, per es.: che il fiore, l’albero (entrambi
esseri viventi), la formica, non tutti hanno la possibilità di scegliere in quanto
Individuo. L’uomo invece, sì. Gli altri esseri viventi forniti di “bios” sono
caratterizzati dall’istinto; cioè la loro azione dell’esistenza è caratterizzata da
qualcosa di “programmato” e di “istintuale”, ma non dalla scelta. Anche se
questo c’è nell’uomo, viene però ampliato alla possibilità di scelta oppure
alla non possibilità di non scegliere, perché poiché dotato di quel “qualcosa”
di cui non sono dotati gli altri esseri viventi; non può non scegliere. Può
scegliere senza consapevolezza, allora conviene essere consapevoli.
Leopardi47, nel “canto notturno di un pastore errante dell’Asia”, descrive il
pastore, che anche se ignorante, quando vede che le sue pecore dormono la
notte, dice: ma perché voi adesso dormite ed io, anche se potessi dormire non
riesco. Il Tedio (la noia) mi assale. La noia è tipica dell’individuo, a cui non
basta il piacere ma anche l’appagamento che gli dia un senso.
3) Rischio. Ogni scelta comporta un ambito di rischio poiché ogni scelta è
rinuncia. Se scelgo X, rinuncio a Y. Se scelgo di stare con gli occhi chiusi
rinuncio a stare con gli occhi aperti. Quindi io non posso sapere in assoluto
qual è il “vero”, il “bene” il “meglio”. E’ un rischio ad ogni scelta che
prevede la rinuncia.
4) Ansia-Angoscia. È il puro sentimento del possibile che è una capacità
tipicamente presente nell’essere umano in quanto Individuo. L’essere umano
potrebbe in alcune contingenze non averlo più. Es. se io vado in coma posso
non avere più questa possibilità. Noi infatti ci esprimiamo nel quotidiano in
questi termini: “Sì, è un uomo!, ma adesso è un vegetale”. E’ vivo, ma
vegetale. Non è un dispregiativo, ma è in condizione, in cui quella capacità
Noetica Individuale, non è possibile che si esplichi. L’Angoscia è quindi il
sentire che siamo immersi in un campo di possibilità in cui non possiamo non
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scegliere e questa scelta è una mia responsabilità che mi può appagare o
meno, perché è sempre un Rischio.
5) Disperazione. Non è quella di chi sta male, che soffre; è invece la sensazione
dell’impossibilità di un appagamento complessivo, totale, nel scegliere né
fuori di sé, né scegliendo sé stesso. Come faccio - faccio, aspiriamo ad un
afflato del non limitato, andare sempre oltre, e ci accorgiamo di non poterlo
mai raggiungere. E’ la stessa immagine che usa Karl Jaspers che la esprime
con l’immagine dello scacco e dell’orizzonte. L’uomo è l’Essere che tende
strutturalmente sempre oltre, ha questa caratteristica, questo demone di
andare oltre. Lui lo paragona ad un orizzonte a cui l’Essere tende e non è
appagato (Tedio = Noia). Leopardi: "Canto notturno di un pastore errante
dell'Asia", per la pecorella è appagamento, per noi è noia, tedio. Per noi non
basta mai, bisogna andare oltre. Questa noia va in qualche modo superata,
perché c’è qualcosa oltre, “non mi basta mai”. E allora questo “oltre”, se non
sono abituato, se non riesco a trovare un progressivo sufficiente valido
appagamento, diventa un surrogato: sarà l’alcool, sarà la droga, sarà il potere,
sarà la ricchezza. Tendiamo sempre a qualcosa che è oltre. Noi siamo esseri
“Intenzionali”, ossia “Tendere oltre”.
Jaspérs raffigura con l’orizzonte il tendere sempre della persona che vuole realizzare la propria
individualità in questa dimensione dell’esistenza. Chi si contenta resta lì e si annoia; è una vita
senza senso. Però a chi tende, c’è uno scacco, cioè più ti avvicini all’orizzonte più lui si allontana.
Sembra che non lo si raggiunge mai e sembra solo negativo. Kierkegaard lo chiama
“Disperazione”. In verità non è solo negativo. Se mi giro dietro, vedo quanto ho fatto e non lo avrei
fatto, se non fossi voluto andare oltre. Ecco perché l’uomo, in quanto dotato di questa caratteristica,
è l’unico animale per cui si può parlare di evoluzione naturale e di progresso, cioè è lui che può
progredire, andare oltre. La realtà è che non finiamo mai ad andare oltre.
Quando si dice: chi te lo fa fare? Cosa hai conseguito? La risposta è: girati indietro e vedi quante
cose hai potuto realizzare andando verso l’orizzonte, che non realizzavi, se non ti fossi mosso verso
l’orizzonte. E’ vero che in questa dimensione, l’orizzonte è sempre oltre, ed è vero. In questa
dimensione, questo “tendere verso” sempre oltre, questa impossibilità di un appagamento totale che
prende la forma di impossibilità di scegliere e realizzare sé stesso, è certo che abbia una sua
connotazione che noi chiamiamo, da questo punto di vista, secondo queste considerazioni, Morte.
Ma solo l’uomo che fa questo, di tendere oltre, dirà Heiddegard, è l’Individuo che sta vivendo
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l’esistenza autentica. Caratteristica della esistenza autentica è l’essere per la morte. In opposizione
ad una esistenza banale, apparentemente appagata, che però con una analisi esistenziale, si dimostra
che l’appagamento si risolve in noia, eccetto che non prenda altre forme questa tendenza, come
sopra descritte, forme surrogate: droga, corruzione, ecc. Questo perché si vuole dare qualcosa a
quella parte di noi che tende ad andare oltre, se no, c’è noia.
Ludwig Binswanger48 , riprendendo Heiddegard, mette in luce ulteriormente qualcosa che è stato
fecondo nell’antropologia esistenziale, figlia della filosofia ma che ha una concreta operazione
operativa, fino alla terapia (Binswanger era psichiatra); il Singolo, l’Individuo che in Heiddegard
era denominato “Da Sain”= “Qui ed ora”, “Essere che vive qui e ora”, ma in relazione col mondo,
di “Essere nel mondo”, cioè il “Da Sain” non è un qualcosa di astratto, ma ci sono dimensioni del
mondo (Mondo in tedesco si traduce “Welt”) e modi quindi, di essere nel mondo. Questi modi di
essere nel mondo, Binswanger cercò di chiarirli riportandoli a tre fondamentali modalità di “essere
nel mondo”, per una ulteriore chiarificazione.
N.B. Non è da dimenticare che nell’approccio esistenziale è nel presupposto della filosofia che
sempre è possibile andare “più in là”, rendendo parziale ogni chiarificazione.
Proviamo ad illustrarli, “il “DaSain” vive nel mondo ma i mondi, (“Welt”) sono importanti
distinguerli.
UmWelt. (la parola tedesca Umwelt significa "ambiente" o "mondo circostante"). La realtà
soggetta al “determinismo” alla legge di “causa-effetto”; e non alla “scelta”. Un esempio : Se mi
dai una botta io mi ferisco (causa ed effetto), la mia struttura genetica mi influenza al di là della mia
volontà. Quando il Singolo (Dasein) vive questo tipo di dimensione del mondo sta vivendo un
aspetto dello “Um Welt”; che si deve tenere presente, perché noi siamo soggetti alla causa ed
effetto. Se non me ne accorgo rischio che posso avere tutti i desideri di andare ma se ho la febbre a
40°, io devo sapere curare la febbre a 40°; se non sono in grado di rilassarmi, di andare in uno stato
fisico di riequilibrio, la mia capacità di “Scelta” di Individuo, anche se è vero che è soggettiva e
personale, ma si fonda sulla base di specie e la specie ha le sue esigenze, soggetta alla legge di
causa-effetto.
L’ “Umwelt” è quella dimensione del “Dasein” quando vive immerso nel mondo soggetto al
determinismo causale, che è presente nell’esistenza. In altri termini, il Singolo non è disincarnato
nell’esistenza, non è un angelo. Bisogna tenerlo presente, altrimenti ci sono voli pindarici utopistici.
A non tenere conto dell’ “Umwelt” si possono avere molte realtà patologiche, e al di là del
problema psichico o addirittura noetico, se la base di tipo fisico non viene rispettata (non bevo, non
mangio) manca anche la libertà di “Scelta” perché noi siamo: Singolo – Individuo – Unici –
37
Irripetibili, ma anche con una valenza temporale soggetta alla dimensione causale che ha le sue
necessità.
Ma noi contemporaneamente viviamo un’altra dimensione del mondo che Binswanger definisce
“MitWelt”, ossia la dimensione sociale o culturale.
MitWelt. Il soggetto Singolo – Individuo – Unico – Irripetibile , il “Dasein” vive in relazione con
altri “Dasein”, è l’”Essere con”, la dimensione relazionale. Ogni individuo è una “solitudine” (nel
senso di Individualità) che in questa dimensione è in relazione con altre “solitudini”, con altri
“Dasein”; non tenere presente questo, vuol dire non tenere presente una delle caratteristiche
fondamentali del nostro essere del mondo.
Eigenwelt. Poi c’è il mondo di me con me stesso, il mondo della mia interiorità, del rapporto
profondo di me con me stesso, il mondo dell’autoconsapevolezza, “Hygen Sain”.
Queste tre chiarificazioni di Binswanger sono molto importanti per quel che riguarda la storia
dell’antropologia esistenziale applicata o filosofia di aiuto. E’ importantissimo il “Mit-Sain” perché
nella professione di aiuto, nella consulenza filosofica, nel Counseling, nella terapia, c’è un Mit-Sain
esplicito, uno scambio relazionale.
Per vivere in armonia, le persone dovrebbero contemporaneamente vivere all'interno delle 3
modalità, il che significa che nessuna dimensione umana è più grande dell'altra (fig. 3.1).
Fig. 4.1
Dagli anni ’80 in poi prende forma il “neo” in Italia; in altre nazioni prende altre forme, altri
orientamenti, sempre su questa radice.
Si è posta come domanda come facilitare nella relazione che si rifà all’approccio esistenziale quel
“Mit”; e il “Mit” = “Essere con”, nell’uomo prende forma della Comunicazione.
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In Italia il “Neoesistenziale” ha preso l’aspetto comunicativo, che ha le sue regole, e con tutte le
radici dette prima.
Nel “Mit” non sempre si riesce a comunicare quello che si vuole e un particolare aspetto che
contraddistingue il “Neo” esistenziale, cioè la cura particolare della comunicazione è l’approccio
filosofico che si interseca con quello esistenziale primo ‘900, cioè con il concetto di “Epoqué”.
Husserl ripropone, rivisitandolo, il concetto di epoché pensato dagli antichi Scettici49 e rielaborato
da Cartesio. Per Husserl l'epoché è l'atteggiamento che il “fenomenologo” deve assumere nei
confronti del mondo. Il filosofo deve mettere "tra parentesi", senza negarla, la realtà supposta dalle
scienze naturali e, più generalmente, dal senso comune, anche se, talvolta, Husserl si avvale
dell'epoché non per sospendere la tesi dell'esistenza del mondo in generale, ma solo per isolare
domini specifici di indagine. Da questo concetto particolare, che lui applica a livello di indagine
filosofica, è stato estrapolato nella sua essenza fondamentale, per applicarlo utilmente nelle
professioni che si rifanno all’approccio antropologico esistenziale.
Negli ultimi 10 anni si sta ponendo attenzione allo “stato esistentivo”, da non confondere con
esistenziale, dell’Individuo. Prima si sarebbe detto “stato di coscienza”; si preferisce in questo
contesto dire “stato esistentivo” per un motivo anche terminologico e per chiarirci. In altri termini,
noi in ogni momento stiamo in vari tipi di stato, che ne siamo consapevoli o meno; es. si dice: in
che stato d’animo stai? Che può variare anche col tempo. Ora gli studi hanno provato che è un
“tutto” che cambia, anche a livello biologico; oggi anche a livello di DNA (epigenetica)50. Noi
siamo in certi stati che variano continuamente. L’attenzione allo stato esistentivo, che può variare,
può influenzare il Mit-Sain, nell’”Essere con”, e deve essere preso in considerazione nella
professione della consulenza filosofica, nel Counseling, nella terapia, ecc. ecc. perché a seconda
dello stato esistentivo dell’Individuo, certe cose avvengono o non avvengono, sono più facili o
meno facili, sono possibili o non possibili. Nel senso che una cura o presa in carico di uno stato
esistentivo, aiuta molto il Mit-Sain se l’operatore vuole fare filosofia in azione, Counseling in
azione, terapia in azione. La cura degli stati, che noi neanche supponiamo, viviamo
quotidianamente senza accorgerci, è particolarmente importante. Noi conosciamo due stati soltanto:
la veglia e il sonno; però noi non abbiamo solo questi stati, di conseguenza la comunicazione può
avere diversi impatti. E’ quindi importante, per la professione, avere cognizione di questi stati
esistentivi.
Quel “neo” (sintetizzato) ha a che fare con tutto l’esistenziale ma anche con alcune cose specifiche,
in particolare:
l’Attenzione specifica alla comunicazione;
l’Attenzione specifica all’Epoquè, che spesso non è tenuta in considerazione;
39
l’Attenzione e la Cura degli stati esistentivi, nuovo approccio di avanguardia perché è degli ultimi
anni e che caratterizzano il “neo”.
Esistenziale: attiene all’esistenza nella globalità; esistiamo! Es. circolazione sanguigna, fotosintesi
clorofilliana, che noi non abbiamo in quanto non vegetali, ma essi, sì.
Esistentivo: è ciò che contraddistingue la mia Individualità. Riguarda me, ognuno di noi, ogni
attimo della mia vita è nello stato esistentivo.
4.6 Martin Heidegger. Con Heidegger entriamo nel cuore del ‘900 filosofico, nel senso che da una
parte Heidegger ha segnato di sé tutta la filosofia del secolo scorso e ancora la filosofia
contemporanea; sia perché con Heidegger troviamo un modo di fare filosofia che è tipicamente
novecentesco; cioè rispetto ai suoi immediati predecessori che erano tutti filosofi in Germania,
estremamente professori, estremamente interessati alle questioni della filosofia come scienza, come
teoria della conoscenza, Heidegger dà uno stacco netto, sembra occuparsi di tutt’altro, come se
facesse irruzione qualcosa di diverso. Innanzitutto fa irruzione la vita. Il senso che Heidegger ha
dato alla propria attività e la ragione per cui è diventato famoso in Germania nella prima metà del
‘900, la prima fase di diffusione del suo pensiero, è stato per l’appunto la filosofia dell’Esistenza.
L’Esistenza diventa una categoria filosofica centrale, mentre nelle filosofie dell’’800 era
relativamente marginale; con kant contavano temi come: che cosa posso conoscere, che cosa posso
sapere. Invece qui è la vita che diventa un oggetto filosofico di per sé. La vita di una persona situata
all’interno del mondo. Non di un occhio che contempla il mondo dall’alto, ma di un essere umano
che è calato all’interno del mondo. Un essere umano che fa i conti soprattutto con la propria
mortalità, con la propria finitezza. Questo è il tema centrale di Heidegger, forse uno di quelli che
maggiormente hanno segnato la sua ricezione filosofica. Questo tema che normalmente viene
chiamato da Heidegger come “essere per la morte”. Noi dal momento in cui nasciamo, siamo
destinati a morire e proprio la consapevolezza di questa destinazione mortale dell’essere umano, fa
si che le cose siano importanti per noi. Noi non abbiamo di fronte a noi, un tempo infinito, le nostre
domande non sono mai quelle puramente teoretiche che potrebbero riguardare un onnisciente o
qualcuno che ha di fronte a sé un’eternità. Noi abbiamo un tempo limitato e dentro questo tempo
limitato prendiamo le nostre decisioni; quindi il sapore della vita, il senso della vita e anche le
caratteristiche speciali dei tipi di azione e di scelta che noi facciamo dentro alla vita, nascono da
questo rapporto essenziale con la morte. Fra l’altro Heidegger è ben consapevole del fatto che la
civiltà, la cultura, sono anche un modo per scongiurare la morte, per far si che noi guardiamo da
un’altra parte. Quello che lui invita a fare, il senso del suo capolavoro filosofico “Essere e tempo”
uscito nel 1927 è proprio richiamare l’essere umano, il “Dasein”, dice lui, l’essere che è calato
40
dentro il mondo (dal tedesco: Da = “qui” e Sein = “essere”). Quindi un “essere” che è “qui”, dove
noi siamo, e di fare i conti con la propria mortalità. Fare i conti con la propria finitezza, la propria
mortalità è il cuore della filosofia di Heidegger. in italiano è invalsa la traduzione (proposta da
Pietro Chiodi, primo traduttore di Essere e Tempo in italiano, e rimasta poi stabilmente nel lessico
heideggeriano) "esser-ci", laddove il ci non sta a indicare una mera localizzazione spaziale, ma
qualcosa di più ambiguo e complesso, ovvero il modo in cui concretamente (fenomenologicamente)
l'Essere si dà nella storia, ad es. nell'esistenza dell'uomo. Altro punto fondamentale è la Storia. La
storia che era già una categoria centrale nella filosofia; adesso diventa veramente lo stratificarsi dei
destini umani, delle generazioni che si seguono nella loro fondamentale finitezza, e come l’essere
umano prende delle decisioni per sé, per la propria vita. Queste decisioni, sono anche decisioni che
coinvolgono le collettività e sono anche decisioni che hanno una portata storica. Per Heidegger la
categoria di “decisioni” è altrettanto importante che la categoria “Esistenza”, che la categoria di
“morte”. Sono la costellazione fondamentale dentro cui si colloca il suo pensiero. Ovviamente in un
orizzonte di questo genere, che appunto privilegia la decisione, la storia, anche la politica viene a
prendere una rilevanza importantissima. La politica è sempre stata un tema centrale della filosofia, e
come se diventasse l’essenza stessa del destino storico dell’umanità, proprio perché questo destino
storico è un susseguirsi di decisioni. Purtroppo le decisioni politiche che hanno riguardato
Heidegger sono delle decisioni politiche per il Nazismo. Questo resta un elemento di riflessione,
anche di inquietudine rispetto ad una figura così filosoficamente ricca, densa e piena
concettualmente, che ha riempito di sé, la riflessione filosofica del ‘900; resta appunto il problema
di questa scelta storicamente così situata e storicamente così grave e così drammatica.
41
Capitolo 5
La Comunicazione
5.1 La Comunicazione Umana – Logoanalisi Coscienziale
“La tendenza a giudicare gli altri è la più grande barriera alla
comunicazione e alla comprensione”.(Carl Rogers)
Comunicare deriva dal termine latino “communis”, “comunicare”, ossia mettere in comune tra due
o più persone esperienze, informazioni, pensieri ed emozioni.
La comunicazione è un processo di scambio d’informazioni e d’influenzamento reciproco che
avviene in un determinato contesto.
La comunicazione è lo strumento principale di relazione che l’uomo ha a disposizione per creare e
mantenere l’interazione con i suoi simili.
La competenza comunicativa è quindi la capacità di un individuo di produrre e capire messaggi che
lo pongono in interazione con gli altri. Questa capacità comprende non solo l’abilità linguistica e
grammaticale di produrre e interpretare frasi, ma anche una serie di abilità sociali che consentono di
saper adeguare il messaggio alla situazione specifica.
La comunicazione quindi non è soltanto una trasmissione e una rappresentazione del vivere, ma può
essere intesa come la vita stessa nelle sue molteplici interazioni.
5.2 Assiomi della comunicazione
• Non si può non comunicare; anche il silenzio è comunicazione;
• Tutti gli scambi della comunicazione sono simmetrici e complementari;
• Ogni comunicazione ha un contenuto e una relazione.
In una professione di contatto, il mediatore fondamentale è la comunicazione. Non vi sono altri
mediatori specifici come ad es. nella medicina c’è il farmaco. La Filosofia in atto o in azione, la
cui caratteristica è fondata sulla relazione, ha dato vita alla professione della Consulenza filosofica.
La Consulenza filosofica è una professione di contatto e tutto ciò che intercorre su questo tipo di
professione è fondato sulla comunicazione. Sul mettere in comune qualcosa tra due “Singoli”, tra
due “Individui”, tra due “Dasain”; Esseri Unici, Irripetibili, non Paragonabili, che vivono una
situazione di “Sain” cioè “essere insieme all’altro” , (espressione di Ludwig Binswagen); il Mit-
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sind, (trad. dal tedesco: “Condividiamo”) una relazione tra due esseri che comunicano, “essere con
l’altro”. Questa relazione viene esplicata attraverso la comunicazione.
Questa professione non è studio della filosofia, produzione critica di pensiero filosofico; No!
Questa è Consulenza filosofica, è una filosofia in atto, in azione. E’ la filosofia che prevede un
contatto, una relazione. Non è il Socrate immaginato da Aristofane che elucubra su concetti
filosofici. Questa è filosofia in teoria, elaborazione concettuale o critica; e’ da considerare il Socrate
che sta nella piazza, nell’Agorà e interagisce con i giovani e comunica e nella sua comunicazione
genera qualcosa. “L’Arte della allevatrice” che attraverso la comunicazione permette che venga alla
luce qualcosa che è già presente dentro ma che non è già espresso. E’ quel tipo di filosofia che
interessa la Consulenza filosofica non la filosofia teorica.
Ognuno di noi ha un suo modo di comunicare ma perfezionare questo mezzo, per quello che è
perfettibile, permette di operare meglio nel nostro intervento in sintonia con l’altro, insieme con
l’altro. In generale l’uomo valuta la comunicazione essenzialmente sul linguaggio, perché noi
esseri umani abbiamo una caratteristica specifica che ci ha permesso attraverso l’evoluzione, di
elaborare un linguaggio, che permette attraverso quella che noi chiamiamo “parola” di entrare in
comunicazione specifica con l’altro essere uomo: Dasain, Singolo, Individuo. Quindi caratteristica
della comunicazione è il Linguaggio; ad es. il linguaggio dell’uomo è diverso da quello di un
usignolo o da un’ ape. Anche loro comunicano, ma con un loro linguaggio; una comunicazione con
struttura diversa dal nostro linguaggio.
Il Consulente Filosofico deve approfondire la comunicazione, il linguaggio e nell’approccio
neoesistenziale, dagli anni ’80 in Italia, in particolare, si è posta particolare attenzione al problema,
argomento, ambito del linguaggio e della linguistica per gestire e applicare ed esprimere meglio la
professionalità.
Anche Socrate aveva una sua modalità di porsi in relazione comunicativa, una modalità tipica di
Socrate che viene poi reinterpretata e riproposta da Platone, è il modo in cui Socrate dialoga con i
giovani nella piazza il cosiddetto “dialogo Socratico” (di-logos, una comunicazione che attraversa
le due persone). Il modo di comunicare di Socrate ha una sua peculiarità (ironia, maieutica).
Oggi, con l’evoluzione che ci è stata, relativa alla nostra competenza, nella scienza della linguistica
è possibile proporre una modalità comunicativa più efficace, per far si che la Consulenza filosofica
abbia un migliore, più adeguato impatto? La risposta è Si. Condizionato dal fatto che bisogna
capire un po’ di linguaggio e non dare per scontato che noi conosciamo tutto. Alla spontaneità che
abbiamo di comunicare è possibile affinare quello che già è una nostra competenza, per i fini che la
Consulenza filosofica pone in essere quando si presenta come “relazione di aiuto”.
La comunicazione è il prerequisito per apprendere la metodica della logoanalisi.
43
La scienza che studia la comunicazione e il linguaggio si chiama Linguistica.
5.3 La Linguistica.
La Linguistica comprende diverse sottodiscipline, quali: la Fonologia; la Grammatica; la
Semantica; la Pragmatica. Prima di trattare della Pragmatica, che più interessa nella professione di
aiuto, nella quale la figura dell’infermiere si inquadra, è doveroso una chiarificazione sui significati
degli altri termini delle sottodiscipline della linguistica.
- Fonologia. Schematicamente studia gli aspetti specifici del linguaggio della comunicazione,
per ciò che concerne l’emissione e le caratteristiche che riguardano i suoni (nasali, bocca);
Es. toni alti, bassi, acuti, timbri della voce diversi. Un cambiamento fonologico o fonetico
può avere un impatto differente nella relazione comunicativa. Quindi è importante l’aspetto
fonologico nella comunicazione. Il parlare velocemente o molto lentamente, può avere
significati diversi per chi ascolta.
- Grammatica . Le parole vengono dette secondo un ordine (Sintassi) e una struttura
(Morfologia). Immaginate di parlare in maniera sgrammaticata o scoordinata, l’impatto
comunicativo può essere diverso. Due diversi modi di organizzare le proposizioni nel
periodo, e cioè coordinazione e subordinazione, vengono anche chiamati Paratassi e
Ipotassi ( dal greco para= a fianco; ipo = sotto; e tàssein = disporre, collocare). La
diversità tra i due modi di organizzare il periodo consiste proprio nel fatto che mentre la
coordinazione pone le proposizioni su un piano di assoluta parità, la subordinazione
stabilisce tra le proposizioni una differenza di valore, una gerarchia.
La Paratattica, esprime tutti i concetti uno dopo l’altro non concatenati. L’Ipotattica usa avverbi
come “giacchè”, “dal momento che”, “essendo” , cioè con subordinate. La Forma e la Sintassi
influenzano la comunicazione.
Un esempio di paratassi è il seguente brevissimo brano di Antonio Tabucchi:
La camera era imponente, la mia valigetta mi aveva preceduto per vie misteriose e stava su uno
sgabello di corda, la vasca era già piena di acqua e di spuma, io mi immersi e poi mi avvolsi in una
asciugamano di lino, le finestre si aprivano sul mare d'Oman, era ormai quasi giorno chiaro, con
una luce rosata che tingeva la spiaggia, la vita dell'India , sotto il Taj Mahal, riprendeva il suo
brulicare, le pesanti tende di velluto verde scorrevano dolci e morbide come un sipario, io le feci
scorrere sul paesaggio e la camera fu solo penombra e silenzio, il ronzio pigro e confortante del
grande ventilatore mi cullò, feci appena in tempo a pensare [….].
( Tabucchi, Notturno indiano, Sellerio, 1991 )
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In questo brano vi è una sola subordinata, introdotta da un pronome relativo: che tingeva. Le altre
frasi, tutte brevi, sono accostate le une alle altre e come uniche congiunzioni coordinative troviamo
solo qualche “e”; i verbi sono tutti all'indicativo. Si tratta di un esempio di stile paratattico, il cui
effetto è quello di trasmetterci in modo immediato una serie di sensazioni e di immagini: il caldo, la
luce, una camera, dove giungono smorzati i rumori e i colori dell'India.
Esempio di ipotassi.
Carlo gli aveva detto che, nell'ora in cui la nave doveva salpare, sarebbe salito sull'abbaino della
soffitta per guardare, nella sera che si spegneva, in direzione di Trieste, là dove lui, Enrico,
partiva, quasi i suoi occhi potessero frugare nel buio e salvare le cose dall'oscurità, lui che aveva
insegnato che filosofia, amore della sapienza indivisa, vuol dire vedere le cose lontane come
fossero vicine , abolire la brama di afferrarle, perché esse semplicemente, sono nella grande quiete
dell'essere.
In questo brano abbiamo dall'inizio alla fine un unico periodo una proposizione principale all'inizio
(Carlo gli aveva detto) seguita da una serie di frasi subordinate di gradi diversi, all'interno delle
quali si notano verbi all'indicativo, ma anche al condizionale e al congiuntivo. Questa è una
costruzione ipotattica che, come si nota, riflette un pensiero più complesso e articolato.
L’impatto nella comunicazione, può variare, come anche l’effetto può variare.
- Semantica. Altra branca della linguistica che focalizza il rapporto che intercorre fra i segni
(cioè la parola) e il significato, cioè ciò che la parola vuole significare. La Semantica è lo
studio del rapporto fra significante e significato. Vuol dire che il significante è il mezzo che
uso per indicare qualcosa; il significato è l’oggetto che voglio significare. Studiare come
intercorre questo rapporto, che valore ha, come va chiarito questo rapporto, è fondamentale
cioè capire ciò che la parola vuole indicare. Una parola ha molteplici significati possibili e
questo può causare delle ambiguità nel processo di comprensione. L'analisi del significato
di una singola parola è di per sé molto difficile (semantica lessicale). La semantica frasale si
occupa prevalentemente della comprensione per associazione. Le frasi sono considerate
come insiemi di termini in relazione tra loro.
Proviamo a fare un esempio; e’ intuitivo che se dico: “io sto piangendo di dolore”, ho usato il
verbo piangere. “Piangere” in questo contesto ha un significato = significante, cioè il rapporto fra
segno e ciò che vuole indicare è lo stesso.
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È differente se dico: “stamattina e stanotte il cielo a Roma, ha pianto tanto” (perché ha piovuto).
Ora lo stesso verbo “pianto” ha un altro rapporto semantico che se non lo intuisci, non lo capisci. Se
confondi uno con l’altro, fraintendi. Avere una competenza in campo semantico è necessario.
Quindi è importante coltivare questo tipo di caratteristiche della Linguistica al meglio:
1) Usare i suoni il più possibile in maniera appropriata (Fonologia); usare la gola invece di
parlare col naso;
2) Morfologia e Sintassi.
- Pragmatica. Cosa si intende? Il primo aspetto da chiarire è la Semantica di Pragmatica.
Pragmatica è una parola, un segno. “Il Circolo di Vienna” 52, corrente filosofica primo ‘900
affermava, in sintesi, che in filosofia, in Scienza, tutte le diatribe, tutte le opposizioni, tutte
le problematiche, tutti gli scontri, avvenivano perché era difficile trovare un accordo sul
significato delle parole. il Circolo di Vienna dice ancora che è fondamentale chiarire la
Semantica, l’accordo su quello che intendiamo con una parola. Una parola può avere
significati diversi per più persone.
La Pragmatica come scienza linguistica è più giovane rispetto alla Fonologia, alla Grammatica e
alla Semantica. Nata circa alla metà del ‘900, in USA (Palo Alto – California), nell’Istituto Centro
Ricerche Mentali, dove un gruppo di persone che si interessano di Psicologia, Psichiatria,
Antropologia, Etnologia, Medicina, Comunicazione, scrivono un libro intitolato “Pragmatica della
Comunicazione” il cui autore più importante fu Paul Watzlawich 53 (pronuncia: Wazlavik); il quale
affermava: “non si può non comunicare”. Watzlawick ha sottolineato, in particolare, l’aspetto
pragmatico della comunicazione umana, ovvero il fatto che la comunicazione è strettamente
connessa con il comportamento. Egli ha anche avanzato l’ipotesi dell’esistenza di assiomi circa il
fenomeno comunicativo.
La Pragmatica è una disciplina della linguistica che si occupa dell'uso contestuale della lingua come
azione reale e concreta. Non si occupa della lingua intesa come sistema di segni; al contrario,
osserva come e per quali scopi la lingua viene utilizzata, individuandone la misura con cui soddisfa
esigenze e scopi comunicativi. Più nello specifico, la pragmatica si occupa di come il contesto
influisca sull'interpretazione dei significati. In questo caso, per “contesto” si intende "situazione",
cioè l'insieme dei fattori extralinguistici (sociale, ambientale e psicologico) che influenzano gli atti
linguistici.
La Pragmatica, condensando il suo significato, si interessa in prima approssimazione del
comportamento. Ogni comunicazione ha un effetto, quindi effetto pratico, su coloro che partecipano
alla comunicazione. E se ha un effetto, vuol dire che qualcosa cambia nella persona e quindi ha un
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effetto diretto o indiretto, esplicito o implicito, consapevole o meno, sul comportamento delle
persone.
La comunicazione influenza il comportamento delle persone. Com’è? In che modo? Attraverso
quali sistemi? Attraverso quali modalità? (spesso non consapevoli), c’è questo tipo di effetto? E
perché l’effetto certe volte è in un modo piuttosto che in un altro? Quali sono i fattori che fanno sì,
ci sia un certo effetto piuttosto che un altro? Sono tutte domande che possono nascere da questa
affermazione sulla pragmatica e che si prova a darne una risposta chiarificatrice.
Penso sia importante definire il termine, che è anche un concetto, di “comprendere”, prima di
procedere.
Comprensione: dal latino composto di “cum” con e “pretendere” prendere.
Parola facile facile, nevvero? Ma ha una densità intellettuale impressionante, un movimento
fermissimo e deciso. È un contenere che è includere, un capire che è afferrare - una considerazione
che riorganizza e ridisegna ogni assetto precedente.
Comprendere un principio di valore, un pensiero, una posizione, un sentimento, fa sì che nella
nostra mente acquisisca il peso massimo che può avere, che dispieghi il massimo effetto: ciò che si
comprende si fa proprio, diventa mattone per costruirsi. E la connotazione etimologica ci sottolinea
che questo avviene sempre con un mezzo ben preciso - ora l'intelletto, ora il cuore, ora un
abbraccio.
Il latino “comprehensio” significava letteralmente presa, atto dell’afferrare.
Il passaggio dall'idea di prendere fisicamente a quella di prendere con la mente, dunque capire, è
molto diffuso nelle lingue del mondo.
Ad esempio, la parola tedesca Begriff -concetto - significa letteralmente afferrato.
Anche capire (capere) o leggere (legere), in latino volevano dire prendere, raccogliere.
Il senso di comprensione come atto, capacità di contenere in sé era presente nell'italiano antico, ma
è diventato sempre più raro e letterario.
Ogni persona comunica perché la comunicazione è fatta di messaggi /imput: verbali e non verbali.
- Verbali, (dal latino: deriv. di vĕrbum ‘parola’), cioè prendono forme di parole e se c’è un
codice linguistico, che ci accomuna, queste parole vengono com-prese da chi ascolta. Se il
codice linguistico dell’altro non riesce semanticamente ad attribuire significato a queste
parole, non com-prende. Quindi il messaggio verbale è quello che passa attraverso il
mediatore delle parole (Linguaggio Comunicazione Verbale).
Ma lo studio accurato della comunicazione ha fatto sempre più comprendere che ciò che passa,
ciò che viene comunicato, messo in comune con il ricevente e ciò che ha un effetto pragmatico,
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oltre all’aspetto verbale è tutto ciò che accompagna l’aspetto verbale, è ciò che non è verbale.
Esso ha un fortissimo effetto pragmatico ed è comunicazione. La mente dell’altro elabora
quello che l’emittente presenta nella comunicazione, oltre il verbale.
- Non Verbale. Gli studi affermano che ciò che viene elaborato, capito, interpretato, vissuto,
con i suoi effetti pragmatici poi, da parte del ricevente è il 90 – 95% del non verbale e solo
il 3 - 5% è del verbale.
Significa che la comunicazione verbale accompagnata da un non verbale X o Y può avere un effetto
totalmente diverso.
E’ importante questa distinzione tra verbale e non verbale.
Bisogna quindi curare anche il non verbale, essere consapevole della sua mediazione nella
comunicazione.
Da tenere conto che il non verbale non è mediato, influenzato dalla consapevolezza. Il non verbale è
quello che sei non quello che sai, prevalentemente.
5.4 Il Messaggio: tra linguaggio digitale e linguaggio analogico
Linguaggio digitale. E’ un termine della pragmatica. Digitale vuol dire un segno che è univoco
nella sua interpretazione. E’ il linguaggio verbale. Nel linguaggio italiano il “Si” e il “No” vogliono
dire Si e No. A questo livello, si parla di linguaggio digitale, il linguaggio centrato sul contenuto.
Esso consente di scambiare un numero infinito di informazioni, ma da solo non basta a definire il
processo comunicativo umano. Ne consegue che Il linguaggio digitale, da solo, non basta.
Una comunicazione per essere efficace deve comprendere anche il linguaggio analogico.
Linguaggio Analogico.
È il linguaggio della relazione, ossia delle emozioni, degli atteggiamenti, delle aspettative, del
proprio vissuto. Il linguaggio analogico è linguaggio del corpo. Il linguaggio analogico si lascia
solo interpretare. Nel rapporto tra persone tutto è comunicazione, non soltanto le parole, ma si
comunica con tutto il corpo, quindi non si può non comunicare.
Secondo lo psicologo sociale Michael Argyle (Nottingham, 11 agosto 1925 – Nottingham, 6
settembre 2002); in una comunicazione faccia a faccia utilizziamo: le posizioni del corpo; i gesti;
l'espressione del volto e degli occhi o sguardo fisso; le inflessioni della voce; la sequenza, il ritmo,
la cadenza delle parole; ogni altra espressione di cui il corpo sia capace; i segni di comunicazione o
movimenti d'intenzione sempre presenti in ogni contesto comunicativo. gesticolazione, postura,
tatto e comportamento spaziale o prossemica.
Il linguaggio del corpo è in parte innato, e in parte dipende dai processi di socializzazione. In effetti
i meccanismi dai quali scaturisce la comunicazione non verbale sono assai simili in tutte le culture,
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ma ogni cultura tende a rielaborare in maniera differente i messaggi non verbali. Ciò vuol dire che
forme di comunicazione non verbale perfettamente comprensibili per le persone appartenenti ad una
determinata cultura possono invece essere, per chi ha un altro retaggio culturale, assolutamente
incomprensibili o addirittura avere un significato opposto a quello che si intendeva trasmettere.
Secondo i linguisti più del 90% della nostra comunicazione giornaliera è infatti non-verbale. È
quindi un contributo enorme al linguaggio verbale e, dal momento che la comunicazione è
strettamente ambivalente, possiamo facilmente comprendere quanto sia più grande il rischio di non
capire quando si è al telefono piuttosto che quando si parla faccia a faccia.
I suoi elementi sono quindi:
- Le espressioni;
- La postura;
- La gestualità;
- La prosodia;
- La prossemica;
- Il look.
Cerchiamo di definire meglio questi elementi.
Il linguaggio del corpo. Ogni espressione del volto è ricca di significati, infatti, la mobilità del volto
è la più osservata durante un colloquio e costituisce un fattore non verbale d'importanza per la
correttezza della comunicazione. Le espressioni non verbali del discorso e i segni del volto, hanno
significati diversi secondo il contesto in cui si svolge la conversazione. Un atteggiamento comune
in momenti di incertezza e disagio è la tensione labiale. Si può inoltre intuire che lo sbattere con
maggiore frequenza le ciglia indichi uno stato emozionale intenso. Il corrugare la fronte, invece, è
un movimento involontario per dissimulare imbarazzo o per darsi contengo di fronte ad un certo
argomento. L'espressione dello sguardo può essere sia controllata che no, rispecchia comunque lo
stato d'animo presente nel soggetto in quella circostanza.
I segni automatici: Si può intuire che una persona è in preda ad un attacco di ansia e di insicurezza
quando quest'ultima mostra un accelerato ritmo respiratorio, pianto, sbadiglio e radicale
arrossamento delle guance, costituendo modificazioni involontarie dell'atteggiamento.
La postura. La postura di un individuo varia a seconda che egli si trovi nel ruolo di soggetto
emittente o di soggetto ricevente. Essa si combina con i vari atteggiamenti del volto, degli arti e con
la posizione delle braccia e delle spalle. La posizione generale del corpo rivela lo stato emotivo con
cui l'interlocutore partecipa alla comunicazione.
I gesti. I movimenti inconsci evidenziano un particolare stato d'animo dell'individuo in quella
determinata circostanza. I messaggi d'intenzione sono quei tipici gesti che sottolineano il messaggio
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verbale durante un'interazione con un'altra persona. Moltissimi gesti delle mani sono comunicazioni
complete che utilizzano simboli e codici non verbali, alcuni di origine antica e di comprensione
immediata; basti pensare, ad esempio, al pollice rivolto verso l'alto o il basso, inventato dagli
imperatori romani.
La Prosodia; (dal latino prosodia(m), che deriva a sua volta dal greco prosodia, composto di pros-,
"verso" e odè, "canto") è la parte della linguistica che studia l’intonazione, il ritmo, la durata
(isocronia), il tono e l’accento del linguaggio parlato.
Se consideriamo il tono, ad esempio; esso può rendere non importante quello che si dice ma può
avere un impatto pragmatico di tipo non verbale ma tonale, cioè vocale. Es. recitare la famosa
ninnananna: ..”ninnananna ninnananna O, questo bimbo a chi lo do … “ecc.), se ci fermiamo al
verbale, al significato, il bambino sarebbe segnato a vita; ma quello che ha valenza pragmatica è il
tono, il vocale e non il “verbo”.
Il contesto comunicativo. Il contesto è l'insieme degli elementi che compongono e fanno da sfondo
allo svolgimento della comunicazione umana. Esso è molto importante nel conferire e definire la
completezza del messaggio; viene definito anche dalle variabili di spazio e tempo. Lo spazio è la
distanza interpersonale che acquisiamo culturalmente, viene interiorizzata e cambia a seconda
dell'età, della cultura e del tipo di rapporto interpersonale.
Il tempo: Il corretto utilizzo dello spazio-tempo durante un colloquio stabilisce il tipo di rapporto
tra gli interlocutori, ma soprattutto la qualità del messaggio stesso. Chi prende pause troppo intense
durante un discorso, fa notare la sua scarsa preparazione sull'argomento, ansia o timori; gli stessi
aspetti vengono assunti anche in una comunicazione molto "veloce".
La Prossemica è la disciplina semiologica (studia i segni) che studia i gesti, il comportamento, lo
spazio e le distanze all'interno di una comunicazione, sia verbale sia non verbale.
Il termine, derivato dall'inglese prox(imity) «prossimità», probabilmente composto col suffisso -
emics come per phonemics «fonemica» e simili, è stato introdotto e coniato dall'antropologo
Edward T. Hall54 nel 1963 per indicare lo studio delle relazioni di vicinanza nella comunicazione.
Hall ha osservato che la distanza relazionale tra le persone è correlata con la distanza fisica, ha
definito e misurato quindi quattro "zone" interpersonali:
• La distanza intima (0-45 cm)
• La distanza personale (45–120 cm) per l'interazione tra amici.
• La distanza sociale (1,2-3,5metri) per la comunicazione tra conoscenti o il rapporto
insegnante-allievo.
• La distanza pubblica (oltre i 3,5 metri) per le pubbliche relazioni.
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Fig. 5.1 Diagramma di Edward T. Hall con i raggi espressi in “piedi” e “metri”.
Nel libro La dimensione nascosta Edward T. Hall osservò che la distanza alla quale ci si sente a
proprio agio con le altre persone vicine dipende dalla propria cultura: sauditi, norvegesi, italiani e i
giapponesi hanno infatti diverse concezioni di vicinanza.
Gli arabi preferiscono stare molto vicini tra loro, quasi gomito a gomito, gli europei e gli asiatici si
tengono invece fuori dal raggio di azione del braccio. In alcune regioni meridionali dell'India, dove
la distanza che gli appartenenti alle diverse caste devono mantenere fra di loro è rigidamente
stabilita, quando gli individui della casta più bassa (paria) incontrano i bramini, la casta più elevata,
debbono tenersi a una distanza di 39 metri.
Altra differenza è quella tra i sessi, i maschi si trovano più a loro agio a lato di una persona, invece
le femmine di fronte.
Particolare rilevanza ha acquistato anche la prossemica dell'ascensore: ad esempio gli europei in
ascensore si pongono a cerchio con la schiena appoggiata alle pareti, mentre gli americani si
pongono in fila con la faccia rivolta alla porta.
Interessante è pure la prossemica degli ecclesiastici, che chiamando "figli" le persone che
incontrano, accorciano la distanza relazionale e, di conseguenza, quella spaziale.
Possiamo sintetizzare che nell’essere umano i due canali della comunicazione, verbale e non
verbale, sono usati simultaneamente e si influenzano a vicenda. Un messaggio verbale può essere
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cancellato dal messaggio non verbale della comunicazione. Per esempio un membro della famiglia
può dire a un altro, “Ti ascolto” e intanto voltarsi a guardare la televisione oppure a continuare a
parlare al telefono. Si ammette che il canale non verbale della comunicazione si pone a un livello
superiore. Ci sono pertanto diversi livelli di comunicazione.
Il canale non verbale sarà “meta” rispetto all’altro.
Questi sono tutti “elementi” che servono a:
Ripetere;
Sostituire;
Completare o chiarire;
Contraddire;
Rinforzare.
Prima abbiamo detto che la mente elabora prevalentemente il non verbale e allora l’impatto
pragmatico del non verbale può essere superiore al solo parlare delle persone. Collegato a questo
principio della Pragmatica, ossia che non è possibile non comunicare quando due o più esseri
umani sono in contatto, l’addentellato è che la comunicazione è circolare (comunque e sempre).
Vuol dire che l’emittente (emette parole, aspetto verbale e non verbale) e quindi sta comunicando;
ma anche chi sta in silenzio, ad ascoltare sta comunicando, anche se con il non verbale. Quindi
mentre la persona comunica, è allo stesso tempo in contatto con il non verbale dell’altro, che lo
sta ascoltando, e che la sua mente sta elaborando. Cioè la comunicazione è influenzata
vicendevolmente, reciprocamente, circolarmente, da tutti i partecipanti alla comunicazione.
Noi sinteticamente distinguiamo l’emittente e il ricevente, ma in realtà nella comunicazione, per i
suoi effetti pragmatici, c’è sempre la circolarità nella comunicazione perché il ricevente sta già
influenzando l’emittente quando emette. E’ cibernetico. Infatti il gruppo di Paolo Alto, ha studiato
prima la cibernetica55, cioè la retrazione continua.
Altro aspetto fondamentale è che in ogni comunicazione è corretto distinguere un aspetto
1) di contenuto che nei termini della Pragmatica della comunicazione di Paul Watzlawich, viene
definita “notizia” ossia “contenuto” (ciò che viene espresso, il “contenuto” o la “notizia” che dà);
2) un aspetto di relazione; che c’è sempre. In ogni comunicazione c’è sempre l’aspetto di
relazione.
Questo vuol dire che coloro che partecipano alla comunicazione, che siano consapevoli o meno,
spesso non si è consapevoli, tendono a porsi nei confronti dell’altro in un certo modo e
considerando sé in relazione con l’altro e considerano in relazione l’altro nei propri confronti, cioè
come “ti vivo”, anche se non sono consapevole. Quindi come “ti vivo” in relazione a me e come
52
“mi vivo” in relazione a te. Questo tipo di relazione, spesso inconsapevole, è molto importante ai
fini pragmatici, cioè ai fini degli effetti della comunicazione.
Questo è la Pragmatica. Lo studio degli effetti della comunicazione su coloro che partecipano alla
comunicazione.
L’infermiere può utilizzare lo strumento e spesso l’intervento assistenziale ne obbliga l’uso della
comunicazione. Però perché uno sappia operare bene il dialogo con la persona che ha bisogno di
aiuto, non può limitare la propria comunicazione a quella che è la naturale propensione a
comunicare. Deve comunque adattare la sua comunicazione a quello che è il contesto.
Ora fra i vari modi di comunicare, uno strumento che ritengo utile, è la “Logoanalisi Coscienziale”;
ispirandosi al modello di riferimento di tipo Esistenziale, con particolare accezione a certi aspetti
dell’esistenziale, collegati al pensiero del primo ‘900, di cui alcuni cenni sono stati trattati prima.
Una ragione o una caratteristica di questo modello di lavoro è che deve essere una modalità non
invasiva, cioè non si deve invadere la persona che ci chiede aiuto con quelle che sono le nostre
idee, i nostri consigli, i nostri pensieri.
5.5 Logoanalisi Coscienziale. La Logoanalisi è stata proposta, nell'ambito dell'Antropologia neo-
esistenziale, come un coerente sviluppo (a livello clinico-terapeutico) della Logoterapia di Viktor
Frankl, fondatore della terza scuola di psicoterapia viennese, in prospettiva analitico-esistenziale.
Elaborata inizialmente presso la sezione di logoterapia della scuola di specializzazione in
psicoterapia di Padova, è stata poi codificata, all'interno dell'Istituto di Scienze Umane ed
Esistenziali, che ne ha divulgato l'approccio (specialmente nell'ambito delle professioni di aiuto), in
collaborazione con altre istituzioni accademiche e scientifiche, quali l’Istituto Italiano per gli Studi
Filosofici, l’Università Europea di Roma e il Pontificio Ateneo Regina Apostolorum.
La base teorica da cui origina la logoanalisi (nella sua peculiarità di metodica comunicativa
afferente alla psicolinguistica e che è oggi spesso conosciuta col termine di logoanalisi coscienziale)
è da ricercare nella grammatica generativa di Noam Chomsky e nel “Metamodello Linguistico
(PNL, l’acronimo in italiano sta per Programmazione Neurolinguistica)” proposto da John
Grinder e Richard Bandler.
Come un Consulente filosofico, l’infermiere deve “offrire tempo, attenzione e rispetto”
Folgheraiter,56 1987. Dare alla persona una opportunità di esplorare, scoprire e chiarire modi di
vivere più fruttuosi e miranti a un “più elevato stato di benessere”.
Non fornire all’altra persona o per chi esercita la professione di consulente filosofico, al “cliente”,
soluzioni o quello di dirle cosa fare, come vivere in modo più fruttuoso e come stare meglio; ma
dice: offrire opportunità di esplorare, scoprire e chiarire modi di vivere . Quindi l’operazione non è
53
mai quella di imporre qualcosa ma solo quello di aiutare l’altro, possiamo dire “Maieutico”, aiutare
l’altro ad esplorare le sue modalità diverse di vivere in modo più fruttuoso e con più elevato
benessere, cercando al proprio interno le risorse. Questo è il punto.
“Il Counseling di Rogers”57, che può essere mutuato dall’infermiere recita:
“Se una persona si trova in difficoltà, il modo migliore di venirle in aiuto non è quello di dirle
esplicitamente cosa fare, quanto piuttosto di aiutarla a comprendere la situazione e a gestire il
problema facendole prendere, da sola e pienamente, le responsabilità delle proprie scelte e
decisioni. Gli individui hanno in se stessi ampie risorse per autocomprendersi e per modificare il
loro concetto di sé” (C.Rogers)
E’ chiaro qual è l’ambito.
Uno dei punti cardini nella comunicazione della logoanalisi coscienziale è il carattere “dialogico”. Il
prof. Ernesto Spinelli, psicologo (UK) afferma che: “E’ molto importante come atteggiamento il
concetto dialogico”; puntualizzando che ci sono due tipi di dialogo:
1) la persona “a” ha un suo pensiero, una sua idea e la persona “b” ha anch’egli un suo pensiero,
una sua idea. Entrambi parlano tra di loro ma la persona “a” parla per arrivare a quella conclusione
che egli ha già in testa; la persona “b” parla per arrivare a quello che ha già in testa. Questo è un
“duo-logo”.
2) nel secondo tipo di dialogo, la persona “a” può anche avere una idea in testa, ma la persona “b”
non ha nessuna idea in testa e prova ad accogliere quello che dice la persona “a” e di volta in volta a
seconda di quello che dirà la persona “a” , la persona “b” cambierà l’orientamento, cambierà
direzione. Per cui la persona “b” (consulente, psicoterapeuta,, terapeuta, il professionista di aiuto)
non sa assolutamente dove finirà questo dialogo. Si incontra con l’altra persona, sa da dove si parte
e non sa dove si arrivi. Questo è un dialogo.
Questo è un punto fondamentale. Il dialogo è qualcosa di aperto, non è qualcosa di chiuso.
Ogni comunicazione, ogni messaggio, ha 4 (quattro) elementi almeno da prendere in
considerazione:
• Contenuto;
• la Rivelazione di sé;
• la Relazione
• l’Appello.
Il concetto si proverà a spiegarlo con un semplice esempio: “Oggi ho mal di testa!”
1) Contenuto. Sto male;
2) Rivelazione di sé. Non mi sento bene; sono a disagio;
54
3) Relazione con l’altro. L’interpretazione si presta a diversi scenari: 1) ho mal di testa;
lasciami stare. 2) ho mal di testa; aiutami o fai qualcosa. In questo secondo caso: dammi
qualcosa o fammi qualcosa, ossia dammi una mano.
4) Appello. Quando parliamo di appello, noi andiamo a esplicitare una richiesta; chiediamo
all’altro di fare qualcosa. In questo elemento c’è il rischio di indurre qualcosa . Se facciamo
il nostro lavoro di consulente filosofico, di counseling o altro, possiamo assumere quello che
è un atteggiamento comune: “io ho una competenza, so di poter dominare con la mia
competenza la tua difficoltà, ti ingiungo di fare questo, anche se è un consiglio, è un appello.
In ogni messaggio, a seconda delle circostanze c’è sempre tutto questo.
Un problema che si presenta, e non di rado, nella gestione di un paziente di fibrosi cistica, è la sua
compliance o aderenza alle terapie. Queste, come si può dedurre dalla descrizione sommaria della
patologia, è multipla nella composizione, articolata nelle varie formulazioni principali (fiale,
compresse, aerosol) e ripetitiva nell’arco della giornata, fino ad arrivare a comprendere quattro cicli
terapici giornalieri. Il paziente può essere distratto, angosciato, preoccupato, stanco o
semplicemente annoiato, da quello che frequentemente considera un calvario, soprattutto quando la
risposta terapeutica non c’è nell’immediato o è blanda; allora è richiesta l’empatia da parte
dell’infermiere. Una realtà psicologica che quotidianamente l’operatore sanitario si trova ad
affrontare, a vivere , è proprio questo: il “capire” e il “sentire”, l’altro, il punto principale del
prendersi cura.
L’empatia è un termine che deriva dal greco, en-pathos “sentire dentro”, e consiste nel riconoscere
le emozioni degli altri come se fossero proprie, calandosi nella realtà altrui per comprenderne punti
di vista, pensieri, sentimenti, emozioni e “pathos”; entrare in relazione con qualcosa o qualcuno.
L’empatia non ne definisce la qualità ( a questo saranno deputate le parole sim-patia e anti-patia a
seconda della qualità positiva o negativa della relazione).
Il termine simpatia deriva dal greco: letteralmente "patire insieme", "provare emozioni con..." La
simpatia nasce quando i sentimenti o le emozioni di una persona provocano simili sentimenti anche
in un'altra, creando uno stato di "sentimento condiviso". I due maggiori teorici del fenomeno della
simpatia in filosofia sono stati David Hume59 e Max Scheler 60.
L’empatia indica solo lo sforzo di comprensione profonda, di partecipazione.
L’empatia è un’importante competenza emotiva grazie alla quale è possibile entrare più facilmente
in sintonia e “sentire” l’altro, sia esso una persona con la quale si interagisce o l’oggetto o la natura
stessa.
L'empatia è collante in una relazione di cura, eppure va utilizzata in maniera flessibile, a seconda
delle persone o delle situazioni in cui interagiamo. Un eccesso di empatia può provocare in chi la
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prova esaurimenti nervosi e depressioni, che non rendono certo più capaci di aiutare gli altri. Anche
nel processo decisionale, evitare le personalizzazioni si rivela spesso la strategia più utile.
L’empatia è un’abilità sociale di fondamentale importanza e rappresenta uno degli strumenti di base
di una comunicazione interpersonale efficace e gratificante. Nelle relazioni interpersonali l’empatia
è una delle principali porte d’accesso agli stati d’animo e in generale al mondo dell’altro. Grazie a
essa si può non solo afferrare il senso di ciò che asserisce l’interlocutore, ma si coglie anche il
significato più recondito psico-emotivo. Questo ci consente di espandere la valenza del messaggio,
cogliendone elementi che spesso vanno al là del contenuto semantico della frase, esplicitandone la
metacomunicazione, cioè quella parte veramente significativa del messaggio, espressa dal
linguaggio del corpo, che è possibile decodificare proprio grazie all’ascolto empatico.
Il termine empatia era usato nell’antichità per indicare il rapporto emozionale di partecipazione che
legava nell’antica Grecia l’autore – cantautore - al suo pubblico. Empatia significava sentirsi dentro
l’altro, sperimentare il modo in cui l’altra persona vive un’esperienza.
Il concetto di empatia in filosofia è stato introdotto a fine Ottocento da Vischer, Robert, (Tubinga
1847 – Vienna 1933). Storico e filosofo dell'arte, studioso di arti figurative, nell’ambito della
riflessione estetica, per definire la capacità della fantasia umana di cogliere il valore simbolico della
natura. Egli faceva uso del termine Einfühlung che, solo più tardi, è stato tradotto in inglese come
empathy.
Per questo è possibile provare:
• Empatia, ma non simpatia: quando si sentono internamente ed in modo esperienziale i
sentimenti dell'altra persona (empatia), ma non si intende alleviare le sue sofferenze
(simpatia)
• Simpatia, ma non empatia: quando si sa che qualcuno sta male e si sente la voglia di
aiutarlo, ma non proviamo in modo diretto ed interiore il suo sentimento di dolore (empatia)
• Empatia e simpatia: quando si percepiscono i sentimenti dell'altra persona (empatia) e si
sente la voglia di aiutarla.
E’ la base del discorso del “comprendere” (si può essere anche antipatici), cioè se io non ti capisco,
ti comprendo. L’empatia poi si tramuta, quando non è più un atteggiamento che noi abbiamo nei
confronti dell’altro, ma quando diventa una competenza nella relazione, si trasforma in sintonia.
Quella capacità di potere avere una modalità di comunicazione che sia comune. La ricerca della
Sintonia è qualcosa di impegnativo e di specifico, non è qualcosa che avviene spontaneamente. La
comunicazione ci aiuta molto per capire l’ambito, l’interesse, che sono significative per quella
persona.
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In una relazione di aiuto bisogna tenere presente i fattori legati alla persona e a chi svolge una
professione di aiuto.
Fattori legati alla persona.
- la “focalizzazione”, ossia il vero nocciolo del problema;
- La “Consapevolizzazione”, che può avvenire solo e unicamente se la persona si rende conto
che ha un problema e si rende conto che può risolverlo attraverso un sistema diverso che non
è quello della terapia o integrato con quello della terapia.
- la “narrazione” . la narrazione della propria storia è un momento iniziale di chiarificazione
per il paziente che trova nell’operatore sanitario, chi l’aiuta a mettere a fuoco le difficoltà
attuali e quelli emergenti, alla ricerca delle possibili soluzioni utili al superamento dei
problemi che l’assillano. In sintesi, se io devo narrare il mio problema, in qualche modo
comincio a ragionarci sul mio problema e quello stesso ragionamento che io sto operando
sul mio problema per poterlo “narrare”, è una forma di cura.
Fattori legati al consulente o a chi svolge una professione di aiuto.
5.6 Dagli assiomi della comunicazione alla conoscenza di sé e degli altri
È fondamentale per la formazione del professionista, non solo sapere comunicare con l’altro e che
tipo di effetto pragmatico ha il suo comunicare; ma anche l’effetto che essa ha col proprio dialogo
interno. Nel capitolo 3.4 abbiamo analizzato i mondi (Welt) del Dasein; essi sono le stesse realtà
che il Dasein deve tener conto nella comunicazione.
• L’UmSain = essere nel mondo della causa-effetto;
• MITsain = essere nella relazione con l’altro “Singolo”, “Individuo”;
• Eigensain = essere in relazione con me stesso.
Paul Watzlawick e il gruppo di ricerca del’Mental Research Institute hanno studiato a lungo la
comunicazione, la sua influenza sulle persone e gli effetti che ha sul comportamento, riassumendoli
nel libro sulla comunicazione: Pragmatica della comunicazione umana, da cui emerge che la
comunicazione umana ha dei principi assiomatici. Sono degli assiomi, e quindi delle
caratteristiche sempre presenti in ogni comunicazione umana. Sono davvero imprescindibili e
conoscerli è utile – se non fondamentale – per chi vuole sapere veramente come funziona la
comunicazione, e per imparare a gestirla. Schematicamente sono riproposti:
1) Il primo assioma ci insegna che non si può non comunicare. (Qualunque comportamento
comunica qualcosa).
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2) Il secondo assioma chiarisce che all’interno di ogni comunicazione vanno distinti due livelli.
Il primo è il livello del contenuto, che dice che cosa stai comunicando. Il secondo è il
livello della relazione, che dice che tipo di relazione vuoi instaurare con la persona a cui la
rivolgi.
3) Il terzo assioma spiega che il modo di interpretare una comunicazione dipende da come
viene punteggiata (o ordinata) la sequenza delle comunicazioni fatte.
Per esempio, di fronte a un uomo che si chiude in se stesso e alla moglie che lo brontola, il
primo potrebbe dire che si chiude perché la moglie lo brontola, e la seconda potrebbe
ribattere che lei lo brontola perché lui si chiude. A seconda della “punteggiatura” usata
cambia il significato dato alle comunicazioni e alla relazione.
4) Il quarto assioma differenzia due tipi di comunicazione: quella analogica e quella numerica
(o digitale).
5) Il quinto e ultimo assioma della comunicazione umana spiega come è vissuta la relazione,
in quanto tutte le interazioni tra comunicanti possono essere di due tipi: simmetriche o
complementari.
Quest’ultimo assioma si riferisce ad una classificazione della natura delle relazioni che le suddivide
in relazioni basate sull’uguaglianza oppure sulla differenza. Nel primo caso si parla di relazioni
simmetriche, in cui entrambi i partecipanti tendono a rispecchiare il comportamento dell’altro (ad
es. nel caso della diade dirigente-dirigente, o dipendente-dipendente); nel secondo si parla di
relazioni complementari, in cui il comportamento di uno dei comunicanti completa quello dell’altro
(ad es. dirigente-dipendente).
Nella relazione complementare uno dei due comunicanti assume la posizione one-up (superiore) e
l’altro quella one-down (inferiore); i diversi comportamenti dei partecipanti si richiamano e si
rinforzano a vicenda, dando vita ad una relazione di interdipendenza in cui i rispettivi ruoli one-up e
one-down sono stati accettati da entrambi (ad es. le relazioni madre-figlio, medico-paziente,
istruttore-allievo, insegnante-studente). Va da sé, comunque, che “i modelli di relazione simmetrica
e complementare si possono stabilizzare a vicenda” e che “i cambiamenti da un modello all’altro
sono importanti meccanismi omeostatici”. É fondamentale avere chiaro il concetto che le relazioni
simmetriche e quelle complementari non devono assolutamente essere equiparate a “buona” e
“cattiva”, né le posizioni one-up e one-down vanno accostate ad epiteti quali “forte” e “debole”; si
tratta solo di una suddivisione che ci permette di classificare ogni interazione comunicativa in uno
dei due gruppi.
Nella Pragmatica della Comunicazione, ad orientamento Esistenziale è estremamente opportuno
fare una distinzione , di una relazione di “ruolo”, in cui, in un contesto X, si prevede un ruolo per i
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comunicanti e una relazione di “essenza”, in cui al di là dei ruoli del contesto, ognuno di noi ha
una sua “individualità essenziale”. Per spiegare meglio i ruoli e l’essenza e il contesto
antropologico esistenziale, che può determinare una relazione di ruolo congrua e comunicazione
incongrua, si porta l’esempio di un professore in un aula.
Una relazione di ruolo congrua è quando il docente rispetto al discente ha competenza per poter
essere in UP cioè a poter comunicare qualcosa che l’altro non sa ed aiutarlo ad apprendere. Ma se
per ipotesi, comunicazione incongrua, il docente si considerasse one-down , cioè meno competente,
è chiaro che l’effetto Pragmatico sarebbe distorto; come se l’allenatore fosse considerato inferiore
dal punto di vista della conoscenza della pratica sportiva, da parte dell’allenato, cioè come se il
calciatore volesse insegnare all’allenatore cosa fare.
Quindi non è “valido” o “non valido” il posto di relazione UP o Down, nella complementarietà, è la
congruenza col contesto. L’aula in cui sta facendo lezione, rappresenta il suo ruolo. Egli sta
comunicando in un contesto in cui deve avere una competenza (aula) nel presentare argomenti che
riguardano la comunicazione, tale che lo mettono in one-up , cioè in grado di dare questo tipo di
offerta e chi ascolta è venuto per ascoltare qualcosa che ancora non conosce allo stesso livello.
Quindi nel ruolo, in questo contesto in cui sta comunicando, la relazione è congrua rispetto
all’effetto pragmatico; è un ruolo valido, adeguato; il professore si considera in one-up, come
ruolo di comunicatore che sa di comunicazione e sia abilitato a farlo; e il discente si pone in one-
down, non perché inferiore a lui, ma in questo ruolo può apprendere qualcosa. Questa è “relazione
di ruolo”. Nel contesto dell’antropologia esistenziale è fondamentale che per quello che riguarda la
relazione di “essenza”, sia il comunicatore (consulente, infermiere, ecc.), sia l’utente (il ricevente,
cliente o paziente) abbiano una corretta percezione di parità, quindi complementarietà; cioè è
opportuno che il ricevente abbia la sensazione congrua che anche se il ruolo è vissuto come ruolo in
UP per il docente e in Down per il discente, come “essenza” viene considerato e si considera come
paritario, non come UP o Down. Questo è fondamentale nella rivelazione di sé, di coloro che
partecipano alla comunicazione, in questo tipo di contesto. Sempre come Individuo: Unico e
Irripetibile, rispetto all’altra. In altri termini, anche la persona più disagiata, la persona più piccola,
più ignorante, dal punto di vista dell’ “essenza”, non viene vissuta come UP o Down ma come
legittimo Singolo – Unico – Irripetibile. Questo dal punto di vista esistenziale.
Una distinzione è utile fare sul concetto di comunicazione “Coscienziale” e “Subliminale”.
Ossia la comunicazione può avere una caratteristica per chi la emette e per chi la riceve che non
necessariamente passa attraverso la consapevolezza. Ossia molti messaggi vengono inviati e molti
messaggi vengono recepiti ed assimilati ed elaborati in maniera non direttamente consapevole. La
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stragrande maggioranza dei messaggi vengono inviati e vengono recepiti ed elaborati a livello di
mente inconscia, cioè inconsapevolmente. Allora mettiamoci dalla parte dell’emittente: io sto
mettendo una sequenza di segnali comunicativi, quindi messaggi con la cosciente e precisa
intenzione di emetterli. Quindi avere intenzione di emettere messaggi, quindi scelgo
intenzionalmente: le parole, il tono, il ritmo, i gesti della mano che accompagnano le parole, gli
occhi semichiusi. Hanno tutte le caratteristiche di essere intenzionali.
Mentre sto parlando, sicuramente, ci sono altri elementi fuori dalla mia intenzione e dalla mia
consapevolezza, per es.: per es. il messaggio della fronte corrugata, in maniera involontaria di cui
prima non mi rendevo conto, ma adesso, si. O se stavo sorridendo o meno, o strizzato l’occhio o la
mano destra poteva stare in altra posizione rispetto al corpo. Quindi anche nella comunicazione
“intenzionale” c’erano tanti elementi “preterintenzionali” cioè al di là della mia intenzione. Molti
messaggi preterintenzionali passano e il o i riceventi li elabora anche se inconsciamente,
subliminalmente. E’ importante per la professione di aiuto, per la Consulenza, per il Counseling,
per la terapia che si rifanno all’Esistenziale, l’aspetto sub intenzionale della comunicazione, questo
è un aspetto molto importante, per chi vuole affinare la propria capacità di comunicazione; affinare
significa fare esercizi che permettano di essere sempre più efficace.
Che si intende per Subintenzionale? Un messaggio si può definire sub-intenzionale quando lo stesso
messaggio un tempo è stato intenzionale e poi nel tempo, dopo averlo praticato più volte, nel
momento dell’emissione non è più intenzionale, è preterintenzionale. Quindi è stato intenzionale,
poi è diventato un habitus, una caratteristica della persona, per cui quando poi comunica, questa
persona, diremmo spontaneamente ma con habitus acquisito, manda una serie di messaggi che non
sono più intenzionali ma sono frutto di una intenzionalità ormai diventata habitus. Esempio: educare
il tono della voce porta a non badare più intenzionalmente o consapevolmente al tono della voce,
in futuro. Se da ragazzo uno parlava col naso, ma poi con l’esercizio ha modificato; oppure parlava
velocemente ma poi si è esercitato a parlare più lentamente, facendo pause più appropriate, con un
ritmo più appropriato, ha imposto, educato un habitus che fa vivere un linguaggio
preterintenzionale, ma che è frutto di una intenzionalità che è diventata habitus. Questo è molto
importante nelle professioni di aiuto che si fondono sulla comunicazione, perché per es. un lavoro
sull’aspetto fonetico (Fonologia) può essere utile nella comunicazione poiché l’effetto pragmatico,
dal punto di vista vocale e fonetico può avere un impatto molto differente sulla persona che ascolta
e giacché il nostro tipo di relazione si fonda anche sulla comunicazione ed è la comunicazione che
può avere un effetto di aiuto, aiuta a comprendere, a chiarirsi, a superare un disagio, a sapere
scegliere meglio, ecc., è importantissimo. Nelle professioni di aiuto che si fondono sulla
comunicazione e che quindi hanno una particolare predisposizione a considerare importante la
60
Pragmatica, cioè l’effetto che la comunicazione ha su coloro che partecipano, l’aspetto di una
acquisizione di una caratteristica comunicativa sub intenzionale è molto importante, perché ha a che
fare con la capacità di perfezionarsi nella comunicazione; cioè quello che non mi è caratteristico,
quello che mi è difettuale, può essere ricondizionato da una formazione, da un esercizio che mi
permette di acquisire una capacità sub intenzionale, di essere efficace. Per fare questo devo prima
esercitarmi intenzionalmente; cioè l’utilizzo di fare domande appropriate per capire meglio la
persona: “aiutami a capire, perché chiarendo tu a me, in qualche modo chiarisci anche a te”, su
questo si fonda la logoanalisi. E’ fatto di un esercizio intenzionale che poi permette in maniera sub
intenzionale di agire spontaneamente, di cogliere subito qualcosa. Ecco perché questo è un aspetto
importante della Pragmatica della Comunicazione.
Dovremmo dire che un comunicatore efficace in questo ambito si cura particolarmente di
un’acquisizione, di una capacità sub intenzionale, di essere nel rapporto comunicativo, validamente
efficace. La capacità subintenzionale di cogliere in maniera subliminale, di rendersi conto
direttamente che c’è un ambito cancellato, un ambito generalizzato; senza pensarci. All’inizio ci
vuole intenzionalità, ci devo lavorare su, devo capirlo, devo esercitarmi; ad un certo punto avviene
spontaneamente. Ma quella spontaneità che chiamiamo subintenzionalità, è frutto di una
intenzionalità esercitata al punto tale che diventa un habitus.
La Logoanalisi Coscienziale tende a facilitare l’emersione di ciò che è l’aspetto subliminale
(Struttura Profonda), che è sottesa alla Struttura Superficiale della comunicazione verbale. Nella
comunicazione il Logos si riferisce a tutto ciò che è “parola”. Nel linguaggio verbale la parola dà
una forma, definisce una cosa. Coscienziale sta ad indicare l’aiutare la chiarificazione dell’aspetto
verbale della comunicazione affinché da subliminale passa a livelli di consapevolezza, per poter
intervenire meglio.
Abbiamo accennato a due strutture della comunicazione: Superficiale e Profonda. Proviamo a
spiegarne l’origine e il significato.
Nella grammatica Generativo-Trasformazionale si divide una: Struttura Profonda e una Struttura
Superficiale.
La Struttura Profonda fa capo all’esperienza, è la mappa del mondo, cioè la rappresentazione che
abbiamo internamente, che è Analogica ed utilizza come linguaggio le modalità “sensoriali”. Tutta
la nostra esperienza avviene attraverso i Sensi.
Quindi sono sia la “porta” dalla quale facciamo entrare le esperienze esterne che il “codice”
attraverso il quale cataloghiamo le nostre percezioni internamente.
Volgarmente..... quando pensiamo lo facciamo attraverso una accozzaglia di: Immagini (Modalità
visiva... quello che Vedo);
61
Suoni (Modalità uditiva.... quello che Ascolto);
Sensazioni (Modalità Cinestesico... quello che Provo fisicamente; Olfattivo; Gustativo).
Prima di analizzare le Strutture del linguaggio penso sia opportuno chiarire alcune particolarità sui
comportamenti linguistici con una piccola parentesi.
Che cosa significa essere Visivo, Auditivo o Cinestesico e soprattutto quali sono quegli elementi e
quelle caratteristiche che differenziano una modalità dall’altra? Si tenta di spiegare le differenze tra
queste modalità con degli esempi. Ci sarà capitato di trovarci di fronte ad una persona che parla in
modo molto rapido come se stesse rincorrendo le parole che si susseguono l’un l’altra, con estrema
velocità, quasi come se dovessero rappresentare una rapidissima sequenza di immagini. E’ la tipica
modalità del “visivo”, un individuo che ragiona per immagini. Il visivo elabora i propri pensieri e le
proprie riflessioni come se fossero veloci sezioni di un filmato. Il visivo si muove in maniera
dinamica, parla molto rapidamente e utilizza predicati che richiamano proprio l’atto del vedere
come: punto di vista, guardare, visionare e così via. Diversamente una persona prevalentemente
“auditiva” comunicherà in maniera più armoniosa, adotterà una gestualità piacevole e armonica. Il
temperamento sarà più mite del visivo. Utilizzerà predicati come: ascoltare, suonare bene, sentire.
Infine il cinestesico. Un soggetto “cinestesico” si affida totalmente alle sensazioni. Utilizza respiri
lunghi e profondi, fa numerose pause. La gestualità è lenta, quasi rilassata. A volte può apparire
introverso, freddo o insensibile quando è focalizzato su se stesso, in realtà è in grado di essere
estremamente sensibile e percettivo. Alcuni dei predicati maggiormente usati possono essere:
provare, afferrare, toccare con mano. In ambito professionale, familiare e personale, riuscire ad
individuare il canale preferenziale del nostro interlocutore significa possedere uno strumento in più
per poter interagire in maniera più profonda con la sua mappa del mondo.
La Struttura Superficiale è ciò che emerge nella comunicazione, che prende forma in un certo
modo: verbo, parola.
Per comunicare utilizziamo il Linguaggio, che è un codice lineare e non analogico.
Quindi traduciamo le immagini, i suoni, le sensazioni in parole.
Pensa alla tua ultima vacanza. Anche a un solo attimo, un singolo fotogramma.
Di quante parole avresti bisogno per descrivere con precisione e con abbondanza di dettagli la tua
esperienza? Se riuscissi a mettere tutto in una frase lineare, questa frase sarebbe la Struttura
Profonda, ovvero la forma linguistica che più di tutte si avvicina alla esperienza ed alla tua mappa.
Il linguaggio che uso effettivamente per comunicare è invece detto “struttura superficiale”, ed è una
riduzione della struttura profonda.
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Nel passaggio dalla Struttura Profonda (S.P.) ossia l’esperienza, il cervello elabora tale esperienza
e genera, da cui deriva il linguaggio “generativo – trasformazionale”, passando alla Struttura
Superficiale (S.S.) dove ci sono delle trasformazioni. I meccanismi che la mente elabora: esperienza
- S.P. - S.S. - espressione con il linguaggio, vedono tre processi presenti in tutti i “modellamenti”.
Il metamodello, che si basa sugli studi effettuati da Bandler e Grinder sulle strutture linguistiche
aiuta a riacquistare il significato inconscio e l'esperienza del mondo di qualcun altro, cioè la S.P.
dell'esperienza. Uno dei principi generali è che il metamodello, prima che uno strumento
linguistico, sia un modello logico che ci consente di capire, attraverso il linguaggio, “cosa deve
essere vero” della mappa di una persona per produrre quel tipo di linguaggio.
Sulla S.P. agiscono: Cancellazioni; Generalizzazioni; Deformazioni. (I primi due affermati da
Chomsky)58, mentre (il termine Deformazione da John Grinder, con Richard Bandler).
In un dialogo, l’operatore dell’aiuto, può mettere in essere alcune modalità di intervento
comunicativo, affinché si possa recuperare il contenuto semantico della frase. Queste modalità
sono:
1) Accettazione e Non Intervento.
La prima opzione comporta che si accetti quello che gli viene detto e non si intervenga né per
“interpretare”, né per “chiarire” , né per “colmare” gli ambiti di cancellazione presenti nel modello
presentato attraverso la S.S. della comunicazione. Fare in modo che la persona parli; si utilizza la
tecnica della “Narrazione” che è quel processo, per cui una persona trasforma in parole le emozioni
che avverte o i fatti che gli sono capitati. Si lascia parlare e questa comunicazione sia per il cliente,
efficace; perché egli parlando con l’operatore, piano piano, mette un po’ di ordine in quella che è la
sua preoccupazione.
Tutto ciò che non è parola lui la trasforma in parola. “Narrare” non è un processo semplice, tipo
una traduzione; è un processo complesso perché bisogna dare un senso a quello che si è avvertito,
attraverso le parole. Esempio è il descrivere un dolore: gravativo, urente, trafittivo, ecc. o descrivere
il disagio di un ritardo ad un appuntamento, che non è solo una semplice descrizione temporale,
bensì una moltitudini di sensazioni emotive provate e vissute in quel lasso di tempo. Quindi bisogna
saper ascoltare che significa saper porsi in una condizione di accettazione di un intervento in modo
tale che l’altro possa facilmente narrare e quindi chiarire la sua posizione.
2) Intuizione e Interpretazione.
Questa modalità di intervento è tipica della maggior parte delle psicoterapie, la cosiddetta
Psicodinamica. Il suo fondamento è: Intuire e Interpretare. L’Intuizione richiede grande
competenza, bisogna saperlo fare e conoscere bene i modelli di riferimento.
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Il professionista che esercita la professione di aiuto può rilevare un ambito di “cancellazione”
all’interno della S.S. della comunicazione e potrebbe credere di “intuire” quali siano gli elementi
cancellati. In base a questa sua certezza può essere indotto a offrire a chi ascolta, la propria
“interpretazione”.
Arrogarsi il diritto di interpretare significa anche accettare le conseguenze che sono: la visione da
parte del cliente che può interpretarla come un’ingerenza, una invasione da parte nostra e creare un
blocco o “campo negativo” nella comunicazione. Comunque è sempre una interpretazione nostra
che impedisce l’altro ad intuire per atti suoi, che arrivi per fatti suoi alla conclusione. Se no diventa
un pacchetto “prendi o lasci”. Invece deve essere un procedimento in cui l’altro si deve “chiarire”.
Proviamo con un esempio di un probabile intervento intuitivo e di interpretazione: la persona
esprime un disagio:..……; in base a quello che dici sul disagio a cambiare lavoro io intuisco che
quando eri bambino avevi paura di assumere responsabilità perché tua madre non ti lasciava libero
di prendere iniziative, troppo apprensiva, ecc.
3) Stimolare al ricondizionamento autonomo.
Tale opzione comporta che si inviti esplicitamente ad operare una ricerca, tramite delle domande
sulle specificità su quello che la persona esprime, relative a ciò che risulta “cancellato” nella
elaborazione della sua S. S.. Il risultato è ottenere un ricondizionamento, a modificare il suo
atteggiamento nei confronti di quello che sta raccontando. La persona si “ricondiziona” in modo
autonomo, l’operatore stimola solo con delle domande; dà l’input. (Prof. Buffardi; “Il divano è
meglio di Freud”, Cap. 9: Possibili fattori tecnici aspecifici comuni alle principali psicoterapie; 9.1
: La comunicazione).
Abbiamo detto che la Struttura Superficiale nasce dalla Struttura Profonda attraverso dei processi
(Cancellazioni; Generalizzazioni; Deformazioni) e che la persona potrebbe avere ben chiara la parte
che è stata cancellata o generalizzata o deformata, ma può anche non averlo chiaro; es. “Dott. io ho
paura”, (frase con chiari elementi di cancellazione, generalizzazione, deformazione).
Come posso capire io che nella S. S. ci sono aspetti non chiari e che possono essere meglio
specificati, meglio chiariti, più disambiguati, cioè che non abbiano ambiguità?
Lo posso fare perché con la Logoanalisi Coscienziale riconosco alcuni aspetti della comunicazione
superficiale che sono i risultati di processi di modificazione nella S.P..
Il sistema della logoanalisi coscienziale serve a questo; partendo dal riconoscimento di parti del
messaggio comunicativo del consultante/cliente o nel nostro caso, paziente, la logoanalisi
coscienziale stimola il consultante ad una chiarificazione interna. Il messaggio dal Consulente al
cliente deve essere strutturato in questo modo: “siccome alcuni aspetti non sono chiari, potresti per
favore chiarirmelo in modo che chiarendolo a me può anche darsi che tu lo chiarisca meglio a te?”.
64
Questo è il passaggio fondamentale. Il lavoro logodinamico è particolarmente utile sia per la
cognitivizzazione che per la focalizzazione del problema.
Il compito è imparare questi aspetti della comunicazione superficiale che possono far capire che
sulla comunicazione profonda si sono fatti delle modifiche e forse è il caso che si chieda maggiore
chiarezza alla persona su questo aspetto per vedere se a lui è abbastanza chiaro.
le Cancellazioni più comuni sono:
• Cancellazioni Semplici;
• Gli Aggettivi Modificativi;
• I Superlativi relativi senza indici di riferimento;
• Gli Avverbi in mente
• Gli Operatori Modali di Necessità e di Possibilità;
Cancellazioni Semplici. Quando cancelliamo le informazioni, tralasciamo delle cose e quindi
prestiamo selettivamente attenzione ad altre dimensioni delle nostre esperienze. Questo ci porta ad
escludere e filtrare degli elementi. Questo processo agisce in nostro favore nei limiti in cui ci
preserva dal rischio di essere sopraffatti e sovraccarichi di stimoli. Ma opera a nostro svantaggio
quando cancelliamo informazioni significative, importanti per la nostra capacità di gestire
efficacemente diverse situazioni. In senso positivo, creiamo le nostre mappe attraverso la
cancellazione per ridurre il mondo a proporzioni più maneggevoli. Con la cancellazione creiamo
una versione della realtà ridotta e più gestibile. Non tutte le cancellazioni creano problemi.
Per esempio, considerate l'affermazione "La gente mi spaventa". La parola 'gente' non si riferisce a
nessuno in particolare. Ci lascia senza le informazioni fondamentali che riguardano il “chi”
specificamente.
L'espressione superficiale ha tralasciato l'indice del referente. Il termine di classe sovra-
generalizzato, 'gente', delinea una mappa troppo ampia per l'ascoltatore. Abbiamo bisogno di
identificarlo in modo più specifico. E quasi tutti,
intuitivamente, sanno chiedere: "Chi, specificamente, ti spaventa?"
Ponendo questa domanda, cerchiamo di portare chiarezza nella nostra mappa, così come nel
modello del mondo del nostro interlocutore. Ri-connettendo questa generalizzazione alle esperienze
originarie, la persona realizza un'espressione più completa, magari "Mio padre mi spaventa".
Anche se questa specificazione ci fornisce qualche dettaglio in più, l'affermazione continua ad
essere piuttosto ambigua. Ancora non sappiamo cosa rilevare sul nostro film mentale riguardo al
significato di 'spaventa'.
Come ti spaventa? Quando? In che modo? Da quanto tempo?
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Riguardo alle cancellazioni, quasi tutti hanno un senso naturale ed intuitivo in merito a come
rispondere. Non facciamo altro che investigare i dettagli che sono stati tralasciati.
Aggettivi Modificativi. Che vuol dire Aggettivi Modificativi? L’aggettivo che con la sua azione di
aggettivazione, modifica quel soggetto o quell’oggetto, modificando il senso di quello che mi sta
dicendo non indicando un riferimento; sono essenzialmente delle cancellazioni. Alcuni esempi
possono chiarire:
a) Irritante. Per chi è irritante? La domanda da farsi è “Scusa puoi chiarirmi chi è che sta
irritando? O in che modo sta irritando?
b) Stupido. per chi è stupido? E’per tutti e due?; un esempio: “Vi sto portando esempi stupidi per
Voi ma non per me. Ipotesi: a) io non sono capace a fare esempi, scusatemi ma vi porto questi
esempi stupidi; b) non vi reputo in grado di capire esempi più intelligenti.
c)Triste. Es. “mi hanno sorpreso quelle parole tristi” (parole che sono tristi, per chi?). Non esistono
delle parole tristi in assoluto, sono tristi per qualcosa o per qualcuno, per qualche motivo ma non
essere tristi per un'altra persona. Morte è una parola triste? Ma se noi diciamo “Morte delle
ideologie” per chi non è ideologo, non è triste. O se diciamo: questa cellula terroristica per fortuna è
morta. Le domande da fare sono: queste parole sono tristi, per chi?, per che cosa? Per quale
ragione?. Ecc.
Superlativi Relativi e l'indice referenziale non specificato. “Michele è il più simpatico”. Domanda:
di chi?; rispetto a chi? “ La gente afferma che questo è il cellulare migliore!”. La gente, chi? quale?
La “gente” è un nome privo di indice referenziale, è generico e non descrive nulla. La parola
“migliore” rientra nelle cancellazioni con superlativi. Quindi, in una sola frase abbiamo creato
un'affermazione inutile e fuorviante. Le parole prive di indice referenziale più comuni sono:
tutti, loro (tutti chi?; Loro chi?), questo, quello (rispetto a chi o cosa?), l'uomo (quale uomo?), gli
esperti (quali esperti? Chi in particolare?), ogni, mai, sempre.
Quando si usa la parola “uomo”(nome collettivo) o espressioni tipo “gli esperti dicono”, si sta
creando una generalizzazione che riesce a pilotare e distorcere la comunicazione. “Gli esperti
affermano che per la prossima settimana sono previste precipitazioni intense!”. Chi lo afferma? La
Protezione Civile oppure il canale Tv? Comprendere il linguaggio adottato aiuta anche a ragionare
meglio su tutto ciò che ci viene propinato ogni giorno dai mass media.
Ci vuole sempre l’indice di riferimento.
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Avverbi in “mente”. Tra i processi non specificati ce ne sono alcuni che vengono nascosti
dall'utilizzo di un avverbio che in genere finisce in -mente. Questo significa che l'avverbio con il
suffisso -mente cancella il processo e, contemporaneamente, cristallizza il risultato applicando una
parola di 'stato' (una parola che indica uno stato di consapevolezza mente-corpo) ad un verbo.
“Chiaramente”, “Ovviamente”, ecc. Questa classe di cancellazioni atipiche contiene nella struttura
superficiale il suffisso – mente. Per esempio. “Decisamente la mia ragazza non mi vuole”.
Il processo per individuare questa forma di cancellazione è il seguente:
2. Eliminare il suffisso – mente dall’avverbio e collocare il radicale (“ovvio”, “strano”,
“visibile” … ) davanti alla frase riformulata anteponendo il verbo “è”;
3. Determinare se la nuova struttura superficiale abbia lo stesso significato di quella
originale;
4. Se si, siamo di fronte a una cancellazione; altrimenti si tratta di una struttura ben
formata;
5. A quel punto, chiedere come la persona possa affermare che è così “ovvio”, “certo”,
“sicuro” eccetera.
Si riportano alcuni esempi.
A. Operatore: Come è successo che suo marito (deceduto), è caduto dalle scale? Cliente:
Chiaramente sarà inciampato!
Operatore: (riformula la struttura in “è chiaro” che sarà inciampato e comprende che si tratta
di una parafrasi della frase originale e che quindi si trova di fronte a una cancellazione):
Come fa a dirlo, era presente?
B. Moglie (il coniuge è dedito al gioco d’azzardo): Cosa ci faceva un biglietto delle corse nelle
tasche dei tuoi pantaloni?
Marito: Evidentemente qualcuno avrà voluto farmi uno scherzo.
Moglie: (riformula la struttura in: “è evidente che qualcuno avrà voluto farmi uno scherzo):
Ah sì?! Dove e quando sarebbe successo? (l’espressione dubitativa implica il sospetto che
quanto racconta il marito non sia vero).
C. Operatore 118: 118, qual è l’emergenza?
Chiamante: Mio marito è rimasto seriamente ferito;
Operatore 118: (riformula la struttura in “è serio che mio marito è rimasto ferito; la frase
così riformulata non ha senso: quindi qui non c’è cancellazione).
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Operatori Modali. Sono quelli più interessanti. Gli operatori modali indicano “come” è graduata
linguisticamente la “possibilità” e la “necessità”. Ciò è un riflesso di come è organizzata la mente di
una persona. “non posso dirgli la verità” (chi te lo impedisce?), (come sarebbe se glie la dicessi?).
Si riportano una serie di frasi-esempi.
A) “Devo (Operatore Modale di Necessità) punire mio figlio per quello che ha fatto”. Bisogna
chiedere: che cosa lo obbliga? Devo? Per forza?, chi ti obbliga? Quindi chiedere Altrimenti? Che
accade?
B) Bisogna. Stesso discorso …. Altrimenti? Che accade?
C) Non devo ……… Altrimenti? Che accade?
D) Non è possibile comprendere mio figlio (Moderatore di possibilità). Significa: io ritengo per me
non sia possibile comprendere mio figlio. Che cosa specificatamente ti fa pensare che non sia
possibile? Che cosa specificatamente ti fa pensare che tu non sia in grado di..? per cui la persona
deve chiarirsi. In sintesi la frase: “Non è possibile comprendere mio figlio” è generico.
E) Non sono in grado di esprimermi. Non sono in grado di prendere questa decisione. che cosa
specificatamente ti pone nella condizione di non essere in grado di esprimerti?; cos’è che ti
impedisce di prendere questa decisione?
F) Nessuno è in grado di capirmi; ecc
H) Non posso perdonarlo per ciò che mi ha fatto. Come mai non puoi perdonarlo? Che cosa te lo
impedisce?
Sono tutti esempi di Operatori Modali che indicano stati d’animo, convinzioni, che esistono nella
Struttura Profonda dell’interlocutore, ma non sono espresse nella Struttura Superficiale. Chi afferma
“Nessuno è in grado di capirmi” indica una realtà conosciuta (forse) solo a egli stesso ma non a chi
ascolta.
Le Generalizzazioni.
A) Argomenti e Predicati nominali. I termini sono generici.
Esempi: le donne non sono degne di fiducia; nessuno mi prende in considerazione; in certi momenti
io penso a Giorgio; mio figlio la pensa in modo strano. Sono tutti esempi di generalizzazione.
B) Quantificatori Universali. Quantificatori: Tutto; Niente; Ognuno; Nessuno; Ciascuno; Qualsiasi;
Qualcuno; Altri; Taluni; Molti; Troppo; Parecchio; ecc. Rafforzativi: Mai; Sempre; Per Niente;
Affatto; Spesso; Assolutamente; ecc. Sono termini che rimandano ad un concetto generico, che
Universalizza una situazione. Esempio: “non faccio mai niente di giusto”; la persona in questione
sta creando questa generalizzazione basandosi su 5, 6 esperienze... ma cosa succede quando crea
una convinzione di questo tipo? Si preclude la possibilità di fare meglio creandosi un limite.
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C) Spostamento degli indici referenziali. Esempio: mio marito litiga sempre con me; mia moglie
non mi sorride mai. Quesiti: perché non prendersi la responsabilità?
Le Deformazioni sono rappresentate da:
- Nominalizzazioni;
- Presupposti;
- Malformazione Semantica;
- Proposizioni Causative Implicite;
- Lettura del Pensiero;
- Sottili Implicazioni;
- Ambiguità.
La Nominalizzazione (parola astratta); è la trasformazione in nome di un predicato verbale o di un
aggettivo. Si tratta di un caso particolare di derivazione. Per quanto riguarda i verbi, la
nominalizzazione si realizza soprattutto con l’aggiunta di suffissi come -mento, -zione, -sione e -
tura
pagare ▶ pagamento
produrre ▶ produzione
comprendere ▶ comprensione
lucidare ▶ lucidatura
ma può avvenire anche in assenza di suffissi, come nei sostantivi deverbali detti derivati a suffissi
zero. I derivati a suffisso zero (detti anche a derivazione immediata); si tratta soprattutto di nomi
astratti che derivano da un verbo
abbandonare ▶ abbandono
rettificare ▶ rettifica
scorporare ▶ scorporo
bloccare ▶ blocco
bonificare ▶ bonifica
Per il passaggio da aggettivo a nome la nominalizzazione si realizza con l’aggiunta di suffissi come
-ismo o -ista
bipolare ▶ bipolarismo
reale ▶ realista.
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Le Nominalizzazioni sono una forma di deformazione perché trasformano un processo in un
sostantivo, un nome. Queste trasformazioni della lingua convertono quella che nella
rappresentazione della Struttura Profonda si presenta come una parola designante un processo – un
verbo o un predicato – in una parola che nella rappresentazione della Struttura Superficiale designa
un evento, un nome o argomento.
Dicono Bandler e Grindler, “ tutto ciò che non possiamo mettere in una carriola” è una
nominalizzazione (l’amore, i sentimenti, il divorzio, il terrore, ecc.); sono tutte parole che non sono
concrete, sono tutte parole derivanti da un verbo, appunto “che non vanno nella carriola”.
Differenziandole dalle parole che indicano qualcosa di concreto; tutto quello che possiamo
mettere in una carriola, es. mondo, casa, sedia, ossia “concrete” e che quindi vanno nella carriola.
Qual è la caratteristica? E che quando noi usiamo una parola di stato, cioè reale, in luogo di una
parola di processo, noi perdiamo tutta una serie di informazioni che sarebbero necessarie a
sostenere una parola di processo.
Facciamo un esempio perché è facile da capire: un amico afferma “la mia vita va a rotoli”, “nel mio
matrimonio ho perso la libertà!”, “in questo lavoro la tensione cresce”. In queste tre frasi ci sono le
parole come “vita, libertà e tensione” che vengono nominate come se fossero cose e invece sono
Processi in atto.
La vita è un processo in evoluzione, come lo è la conquista e la gestione della libertà, come lo è la
crescita della tensione. La nostra mente è così abituata a considerarli solo come cose che non si
accorge della loro vera natura. In questo modo nascono i preconcetti per cui il paziente crede che
nella propria vita non ci siano scappatoie possibili per risolvere i problemi.
La vita è vista come cosa finita e consolidata e non come un processo in cui poter ancora
intervenire. Il bravo professionista deve farlo notare al soggetto, mostrandogli l'esistenza delle
alternative. Ecco perché si è affermato che la nominalizzazione trasforma un Processo in un Nome.
Il professionista può riformulare l'affermazione del soggetto trasformando la nominalizzazione
un'altra volta in processo. Cioè prende il modello del soggetto, lo ri-modella e lo pone come
domanda (costruisce il Metamodello puro), permettendo al professionista di ottenere una serie di
parametri che la parola di stato non offre ma crea confusione e non chiarisce.
Si presentano alcune domande/risposta fra paziente (P) e professionista dell’aiuto: consulente,
infermiere, coach, ecc. (C):
1) P- “La mia vita con Giovanna è impossibile ormai!”
C- “Perché il tuo vivere con Giovanna sarebbe diventato impossibile?
La parola vita viene trasformata in verbo, perché così indica nuovamente il processo.
2) P- “Il mio divorzio è deprimente”
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C- “In cosa esattamente il divorziare ti porta a deprimerti?
È naturale il deprimersi, ma il professionista deve indagare sui veri motivi specifici che creano il
disagio.
3) P- “Non accetto la resistenza di Carla al mio corteggiamento!”
C-“In che modo Carla resiste al tuo corteggiare?” in questa frase ci sono ben due nominalizzazioni,
perché resistere e corteggiare sono processi in cui l'individuo ha ancora tanto spazio di manovra..
4) P- “C'è molto nervosismo in quell'ufficio che porta inquietudine!”
C- “Chi si sta innervosendo in modo da inquietare le altre persone dell'ufficio?”
Quindi ritornare alla parola di processo, laddove io utilizzo una parola di stato, che però deriva da
un processo, mi consente di avere una serie di parametri che la parola di stato non mi da, mi crea
confusione, non mi chiarisce.
La nominalizzazione è molto frequente nel linguaggio burocratico, scientifico e in generale nei
linguaggi tecnici e settoriali per il carattere impersonale e astratto che l’uso del nome al posto del
verbo conferisce alla scrittura. Si riportano due esempi.
a) Agli importi così ottenuti devono essere applicate le percentuali di scorporo dell’IVA per la
determinazione dell’imponibile (Il manuale del commercialista).
b) Una serie di membrane in ordine decrescente di grado di filtrazione, le quali permettono la
rimozione progressiva delle particelle (A. Polesello, S. Guenzi, S. Polesello, Attrezzature e kit per il
laboratorio chimico e biologico).
Malformazione Semantica. E’ un espressione, in qualche modo, in cui è estremamente poco
probabile che quel tipo di azione sia stato indotto da una persona su un’altra; ossia la
malformazione semantica è quella azione che è praticamente impossibile che sia nella facoltà della
persona che l’ha agita. Si instaura il binomio di causa/effetto che è una malformazione del
pensiero della persona che implica che un evento esterno sia la causa di un effetto interno.
E' un pattern presente sia in positivo (la Ferrari mi fa sentire un dio); che in negativo (sono triste
perché sei in ritardo). In entrambi i casi, è sempre bene chiarire questo schema di pensiero perché
toglie la responsabilità dalla persona (sia in positivo che in negativo) e quindi la rende poco stabile
emotivamente. Altro esempio è: La persona X parla a Y non rivolgendogli lo sguardo. Y interpreta
la mancanza di contatto visivo come un totale disinteresse da parte di X. Y sta male per questo
atteggiamento anche se X non è al corrente di questa inferenza ragionativa da parte di Y. Y però
crede fermamente (inconsciamente e automaticamente) che tale evento causi in lui un certo stato di
prostrazione. Y è vittima della sua stessa malformazione semantica.
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Oppure esempi di persone che si esprimono in questo modo: “mi hanno costretto a…. la
malformazione semantica è che non si può costringere, senza la propria volontà, al limite si può
convincere. Esempio: Mia madre mi ha costretto a mangiare, mi ha costretto a essere ordinata; ecc.
Causali Implicite. Le strutture superficiali implicanti un necessario rapporto di causa-effetto
(causative implicite o causali implicite) sono indice di un modello in cui è operante un processo
deformativo tale che la Persona avverte come di non avere alcuna scelta e di essere come
attanagliato in una morsa senza via d’uscita. Una possibile parola segnale nella struttura superficiale
che può essere indicativa di una situazione interna della Persona è la parola “Ma” (X “Ma” Y).
X = qualcosa che il cliente vuole / qualcosa che il cliente non vuole
Y = condizione o motivo che impedisce di ottenere X / condizione o motivo che obbliga il cliente a
fare esperienza di X
Es. “Voglio andarmene di casa, ma mio padre è malato”
“Non voglio arrabbiarmi, ma lei mi rimprovera sempre”
C’è in queste frasi una causale implicita, che porta il cliente a sentire di non avere scelta.
Di fronte alle causali implicite il consulente ha tre scelte:
¨ Accettare il rapporto causa-effetto e chiedere se le cose vadano sempre così.
Es. “Non voglio arrabbiarmi, ma lei mi rimprovera sempre”
→ “Diventa sempre furioso quando sua moglie la rimprovera?”
¨ Accettare il rapporto causa-effetto e chiedere al cliente di specificare in modo più completo questo
rapporto di causale implicita
→ “In che modo, specificamente, il fatto che sua moglie la rimproveri la fa arrabbiare?”
¨ Contestare l’esistenza di un rapporto causa-effetto, invertendo il rapporto:
→ “Allora, se sua moglie non la rimproverasse, lei non si arrabbierebbe. È così?”
¨ Rafforzare la generalizzazione:
→ “Intende dire che la malattia di suo padre necessariamente le impedisce di andarsene di casa?”
In realtà le strutture superficiali della forma “X ma Y” implicano una cancellazione. La loro forma
completa è “X e non X perché Y”.
Es. “Voglio andarmene di casa, ma mio padre è malato” in realtà è:
“Voglio andarmene di casa e non posso andare / non vado via di casa perché mio padre è malato”
In questo modo si aiuta il cliente ad assumersi la responsabilità di decidere attivamente di fare o di
non fare ciò che, a quanto egli sosteneva inizialmente, sarebbe stato sotto il controllo di qualche
altra persona o di qualche altra cosa.
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Lettura del pensiero. Il cliente è convinto che una persona possa conoscere pensieri e sentimenti di
un’altra persona senza diretta comunicazione da parte di quest’ultima. Es. Harry è arrabbiato con
me. E’ una mia lettura. Altro esempio: Sono sicuro che il tuo regalo le è piaciuto; So che cosa lo
rende felice.
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Capitolo 6
Il Questionario
6 - QUESTIONARIO
La stesura di questa tesina è stata occasione preziosa per la redazione e la somministrazione del
seguente questionario.
Il tema trattato riguarda "l'umanizzazione della cura negli ambienti ospedalieri"; il questionario è
stato somministrato a pazienti che hanno frequentato l'istituzione ospedaliera sia in regime di
ricovero, sia in regime di visita ambulatoriale o Day Service; al fine di valutarne il grado di
soddisfacimento delle prestazioni ricevute e il livello di umanizzazione percepito.
Il questionario viene utilizzato anche dalla Asl di Imola.
Nello specifico, è strutturato in maniera molto semplice e con poche domande per permetterne una
comprensione immediata ed una facile compilazione da parte dei pazienti.
Sono presenti 23 domande che presentano come risposta un giudizio su una scala di 4 gradi (per
niente, poco, abbastanza, molto) e una, la n.24, a schema libero che chiede eventuali suggerimenti o
chiarimenti.
6.1 I risultati del questionario
A seguito della somministrazione del questionario a 108 pazienti che hanno frequentato il Presidio
Ospedaliero di Cerignola (ASL FG), nei diversi reparti presenti nella struttura, sono stati ricavati
dati significativi sul livello di umanizzazione percepito e sul grado di soddisfazione delle
prestazioni ricevute.
La raccolta dei dati è stata effettuata, in questo senso, solo a fini didattici, ma ci sono i presupposti
per ulteriori approfondimenti.
Sesso. Hanno risposto il 36% (39 maschi) e 64% (69 donne).
Titolo di studio. Scuola E. 40% (43); Scuola M 45% (49); Scuola M. S. 14% (15) L. 1% (1).
Ricoveri: 78% (84)
Visite Ambulatoriale: 22% (24).
Numero giorni Ricovero: 8-14 gg 63% (53); 15-21 gg 24% (20);3-7 gg (11).
Hanno risposto al questionario: Pazienti 86% (93); Parenti 14% (15).
La quasi totalità delle risposte sui quesiti della “gentilezza”, “disponibilità”, hanno quasi raggiunto
il 90% di “abbastanza”; qualche lieve calo (85%) per la figura dell’infermiere.
La domanda n.13 ha raccolto il 98% di risposte “per niente”.
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La domanda n.14 ha raccolto il 99% di risposte “poco”.
Dal questionario è scaturito che la non alleanza, a parità di prestazioni erogate, dà luogo alla non
completa soddisfazione dei pazienti, che non si sentono più presi in carico e neanche si sentono
curati.
Quindi:
1) L’umanizzazione della cura è percepita dall’utenza come un bisogno e un diritto.
2) L’umanizzazione della cura è imprescindibile dall’alleanza terapeutica e dalla presa in carico
(figura di riferimento).
3) La mancanza della presa in carico di conseguenza è percepita come mancanza di umanizzazione,
con i relativi risvolti negativi nel percorso di cura.
Complessivamente il questionario, ha ottenuto lo scopo che si prefiggeva, valutare il grado di
umanizzazione e comunicazione che si percepisce all’interno del sistema ospedaliero. Fa riflettere
come una istituzione importante che dovrebbe erogare servizi e prestazioni con maggiore efficienza
ed efficacia, quale deve essere la collaborazione fra professionisti e come la quasi esclusione della
persona “interessata” dalle scelte che lo interessano, garantire anche un livello di umanità, sia
invece molto carente.
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Conclusioni
Cercare di trattare in questa mia modesta tesi, anche se non in modo approfondito, data la vastità del
mondo culturale filosofico, che si dipana da oltre due millenni, e limitato dal mio primo approccio
a questo mondo, l’arricchimento concettuale di quella “umanità” che ne può solo derivare
all’infermiere nel suo rapporto con le altre persone e quindi creare una sinergia per l’umanizzazione
della cura. Un rapporto che viene regolato come si è potuto evincere sia dal Profilo Professionale e
sia dal Codice deontologico, norme eticamente, civilmente e penalmente rilevanti. Trova
giovamento nel constatare che anche altre realtà sanitarie si muovono o si stanno muovendo in
questa direzione. Voglio riportare gli estremi di una ricerca condotta nel Friuli Venezia Giulia dal
Prof. Carlo Chiurco (docente di Filosofia morale dell’Università di Verona), e promosso dal
Coordinamento Collegi IPASVI Friuli Venezia Giulia.
Progetto iniziato a Maggio 2014 e terminato a Dicembre 2014; dal titolo: “ Un approccio
filosofico al caring infermieristico” .
L’obiettivo del Progetto è (riportato dallo studio-progetto): La recente riforma sanitaria approvata
dal Friuli Venezia Giulia s’incardina su un concetto tanto importante quanto poi di difficile o
faticosa implementazione: l’umanizzazione delle cure, nell’ottica di un loro ripensamento capace di
coniugare il rispetto per il malato con una maggiore efficacia delle cure stesse. Essa ha imposto di
fatto di ripensare l’intero universo della cura, e di confrontarsi con temi quali il significato e il ruolo
della tecnica, i concetti di salute/malattia, qualità della vita, vita/morte, dando così vita alle
cosiddette medical humanities. Era dunque inevitabile che l’umanizzazione delle cure, nata come
istanza interna al mondo della medicina, attirasse l’attenzione degli studi umanistici,
tradizionalmente vicini a questi campi di riflessione, facendo loro riscoprire una propria tradizione
di riflessione in questo senso. Tale contaminazione a carattere inter-disciplinare ha ispirato la
presente ricerca, nel tentativo di far dialogare tra loro le due diverse aree disciplinari, quella
filosofica e quella del nursing, privilegiando però l’approccio filosofico e tralasciando quello
infermieristico. La ragione di ciò sta nella continuità di fondo tra i due ambiti pur nella loro
differenza di metodo e di merito: infatti, se è vero che l’idea della cura sta al cuore dell’idea
dell’umano elaborata dalla grande tradizione umanistica occidentale, allora, dal punto di vista
concettuale, la professione infermieristica può dirsi ben più antica dei suoi 150 anni “ufficiali”. La
ricerca è ispirata dalla riflessione filosofica sul ruolo dell’infermiere a partire dalla centralità del
piano relazionale e dal ruolo assolutamente preponderante assunto dalle malattie croniche nel
contesto dei Paesi OCSE. Questo fa sì che il consueto approccio assistenziale, di tipo tecnico e
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protocollare, risulta insufficiente, in quanto sin dal principio la guarigione – e dunque l’efficacia
delle pure tecniche terapeutiche – è esclusa dal novero delle possibilità.
Esiti/Outcome, (riportato dallo studio/progetto): La ricerca ha evidenziato quattro aspetti
fondamentali:
1) Importanza di operare nel senso di un training continuativo sul caring: i partecipanti hanno
convenuto su come il caring costituisca l’essenza stessa dell’infermieristica. Tra le proposte emerse,
spiccano: a) organizzare in ogni unità operativa focus group mensili e/o trimestrali in cui gli
infermieri possano esprimersi circa i problemi incontrati nell’attuare il caring. Inoltre gli infermieri
non riescono ad avere adeguati momenti di confronto; b) necessità di sensibilizzazione e di costante
re-training degli infermieri sul caring. Un aspetto che ha ricevuto il massimo consenso è stato
l’affermazione, condotta sulla base dell’etica del riconoscimento, per cui chi deve prendersi cura
degli altri deve anzitutto prendersi cura di sé; è stato anche sottolineato come fosse la prima volta
che questo aspetto venisse messo in luce durante un corso.
2) Una criticità emersa in modo quasi unanime riguarda la necessità di migliorare la
formazione universitaria: l’attuale percorso di studi, puntando quasi esclusivamente su una
preparazione tecnico-professionale, non risolve il problema dell’impreparazione umana con cui i
laureati si affacciano alla professione, né opera una selezione che tenga conto anche degli aspetti
motivazionali. L’altro aspetto da migliorare riguarda l’insegnamento dell’etica, da aggiornare e se
possibile finalizzare alle esigenze della professione. Una proposta provocatoria, che trova peraltro
appoggio anche nella letteratura critica, riguarda l’utilità di un ricovero durante il tirocinio, onde far
esperire in prima persona la condizione dell’assistito.
3) Per una professione che percepisce la propria fisionomia come qualcosa che ancora non è
stabilizzato, la richiesta di modificare la struttura organizzativa per far sì che diventi finalmente la
cornice adeguata allo sviluppo e all’applicazione del caring.
4) Esiste infine un altro raccordo che presenta enormi margini di miglioramento, vale a dire il
rapporto coi medici di base. Chiaramente, è proprio questa figura, attualmente il vero “buco nero”
della sanità, a dover essere radicalmente ripensata e soprattutto valorizzata: ma in un’ottica di
sviluppo e diffusione del caring (specie del Care Giver e specialmente nelle situazioni di cronicità),
la proposta, emersa più volte negli incontri, di riunioni mensili coi medici di base e di un migliore
collegamento di questi ultimi coi medici ospedalieri costituisce un pilastro imprescindibile per
fornire cure davvero “umanizzate” pur nell’ottica della sostenibilità del sistema.
Per illustrare meglio la specificità di questo studio-ricerca, penso sia utile precisare il concetto di
caring e il suo rapporto con il nursing, ossia l’assistenza infermieristica.
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Il Caring infermieristico è un concetto di difficile definizione. È una pratica che si realizza
attraverso azioni competenti e disponibilità ad occuparsi intenzionalmente e preoccuparsi della
persona assistita (Corbin, 2008).
Il dibattito nella letteratura infermieristica evidenzia la multidimensionalità del caring in quattro
approcci teorici:
- il caring come “valore morale”, tensione etica che precede e connota l’azione di cura
(Watson,2008)
- il caring come “tratto umano - attitudine soggettiva”, si manifesta attraverso modi di essere
del professionista (Morse,1991)
- il caring come “azione pratica” , coincide con l’assistenza effettuata dall’infermiere
quotidianamente (Maben,2007)
- il caring come “relazione interpersonale “ tra l’infermiere e il paziente (Finfgeld-
Connett,2008)
Caring e Nursing: quale posto occupa il caring nel nursing? Alcuni studiosi hanno dichiarato:
- il Caring è costitutivo del Nursing (Maben, 2008, Flately e Bridges, 2008, Corbin , 2008,
Rolfe, 2008)
- Il Caring è un valore aggiunto all’assistenza standard: è possibile assistere anche senza
caring e quando questo avviene il nursing “è solo lavoro“ (Finfgeld-Connett, 2008,
Henderson, 2007 Maben, 2008;).
Definizioni che hanno origine dalla constatazione che l’assistenza o Nursing è un sistema di:
Azioni fare per... fare con...
fare non previsto..
Pensieri
pre-occuparsi... aver premura... osservare... decidere... riflettere...
Sentimenti empatia... ricettività
responsività...
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È bene sempre ricordare che dobbiamo dare risposte non alla malattia ma al paziente che abbiamo
davanti.
Ho riportato alcuni concetti che sono stati caratterizzanti il pensiero “Esistenzialista”.
Molto mi hanno colpito, come è stato coltivato e diffuso nel pensiero, da Epicuro in poi, la felicità,
il dolore e la visione dell’uomo nel suo essere.
Saper porgersi, confrontarsi, interagire con gli altri, con l’altro e soprattutto con chi è costretto da
un ricovero o da un semplice soggiorno di un giorno, in un ospedale, per motivi di salute, o con
chiunque incontri; non può non trovare sostegno, forza, prospettiva adeguata, nel conoscere il
pensiero che da più di 2500 anni, indaga l’essere umano, l’uomo. La filosofia si evolve attraverso
tantissime persone e cosa ancora più interessante, attraverso tantissimi libri. Questo filo conduttore
si è mantenuto nella varietà, intatto in tutti questi secoli; questo è un aspetto che merita di essere
considerato e che fa della filosofia uno dei prodotti culturali più rilevanti di quello che
approssimativamente chiamiamo: la cultura occidentale. La filosofia ci consente di avere più
prospettive di riflessione, di pensiero sull’esterno, che ci permette di organizzare il rapporto con
l’altro, consentendoci di avere la capacità di comprendere l’altro e non di stigmatizzare il
comportamento dell’altro secondo schemi prefissati (epoché) oltre ad offrire quella discreta cultura
generale che permette di interagire con tutti.
Ultimo tema sfiorato, è stata la comunicazione con l’uso dello strumento della logoanalisi
coscienziale, con riferimento al modello esistenziale. E’ stata una scoperta per me, Noam Chomski,
John Grinder, Richard Bandler; la loro grammatica generativa, le strutture della comunicazione:
Profonda e Superficiale e le molteplici forme di generalizzazione, che possono deformare il
significato più profondo dell’essere umano e del suo vissuto, a volte con il restringimento delle
proprie “mappe interne”, cioè quella rappresentazione delle proprie possibilità di strategie di
soluzioni del problema. E’ necessario allora far sì che queste mappe siano ampliate, facendo in
modo che la persona ristrutturi in modo generale, consapevolmente, la propria volontà.
Molto c’è ancora da studiare, apprendere, approfondire, ma faccio mio il detto: “sapere di non
sapere è già un sapere”; è già molto per me.
Lo studio, se pur con tutti i limiti presenti, le lacune nella mia cultura filosofica, delle varie teorie
filosofiche e dei diversi filosofi che la frequenza al Master, mi ha permesso di incontrare e di
conoscerli; mi hanno arricchito e soprattutto mi hanno aperto un mondo nuovo sulla persona umana.
Molteplici angolature a cui guardare, molteplici modi di porsi nei confronti di chi si incontra e
soprattutto nei confronti di chi, non per sua scelta, frequenta il luogo in cui io lavoro e per i quali,
ho percorso questo anno di studi.
79
Voglio rimarcare la felice soddisfazione nel proposito degli organi infermieristici (IPASVI) di porre
l’accento nel nuovo codice deontologico al centro della riflessione etico professionale la persona,
che è la vera e propria novità di questo codice deontologico. In questo senso, l’apporto della
bioetica è stato importante, soprattutto per quanto concerne lo spazio dato alla riflessione
antropologica (artt. 3 - 4 - 16).
Alla luce di questo, penso che l’infermiere debba ripensare al suo piano di studi, cercando di
arricchirlo con la conoscenza della filosofia, che sa essere non solo teoretica ma anche pratica
filosofica.
Uno sviluppo culturale che può solo vedere l’arricchimento, umano in primis e di formazione, di
quella figura indispensabile nei luoghi di cura, quale è l’Infermiere.
Se è vero che l’uomo non può non comunicare;
“Ogni parola ha delle conseguenze. Ogni silenzio anche …” Jean Paul Sartre.
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Note
1. Mantra, è un termine sanscrito che vuol dire meditare, riflettere sul divenire e sulla cessazione del divenire. E inoltre
significa anche mettere completamente da parte qualsiasi attività egoistica. È questo il reale significato di mantra:
considera, esamina fino in fondo il fatto del divenire, cioè tutto quello che ininterrottamente ti accade, e metti
definitivamente da parte qualsiasi attività che si basi sull’egoismo.
2. Habitus, ‹àbitus› s. m., lat. [propr. «aspetto», der. di habere nel sign. intr. di «stare (bene, male)»]. – Latinismo
usato in medicina costituzionalista e in biologia, e anche in altri àmbiti, invece di abito, per indicare il complesso di
caratteri morfologici o di comportamento di un individuo o di una specie, o più genericamente un’attitudine, una
tendenza.
3. Fondazione Ricerca Fibrosi Cistica
Aspettativa di vita: perché non diciamo le cose come stanno?
Domanda
Buongiorno, stamani mi ritrovo sul vostro sito per sottoporvi a riflessione una questione delicata, dopo che ieri ho
appreso purtroppo che una famiglia ha perso la propria bambina affetta da fc, di appena 13 anni. Circa 3 anni fa è
venuta a mancare anche un’altra bambina di nemmeno 10 anni sempre con fc, e chissà quante altre così giovani vite
spezzate. Chi vi scrive è una mamma con una figlia con fibrosi cistica di appena 3 anni, ma potrei essere qualsiasi altro
genitore che in questa situazione, dopo aver appreso queste “disgrazie”, sprofonda nel baratro e si sente morire quasi
come quelle povere famiglie che hanno perso i propri figli cosi prematuramente. Vorrei riuscire a capire il metro di
misura, vorrei poter comprendere perché, nonostante siamo nel 2012 e nonostante ci venga “inculcato” nella testa che la
vita media per i “nuovi nati” è 40/50 anni (?), continuano a morire piccoli bambini nati pochi anni fa dove anche li la
vita media si aggirava comunque oltre i 30 anni! Sono consapevole che ogni paziente con fibrosi cistica è un caso a sé:
già i fratelli entrambi malati, entrambi con le medesime mutazioni hanno destino diverso, ma non riesco davvero a
capire per quale motivo continuiamo a propagandare una “vita media per i nuovi nati” di 40/50 anni, quando in realtà
chi muore di fibrosi cistica ai giorni d’oggi sono ragazzi comunque sempre giovani. Nei mesi passati se ne sono andati
in molti, ho perso il conto sulle dita, e per la maggior parte l’età si aggirava intorno ai 20 anni! Ma allora qual è il senso
di sensibilizzare le persone in questo modo? La fibrosi cistica è anche chi è in terra adesso e soffre come una bestia! La
fibrosi cistica è anche chi sta morendo adesso e non solo chi nasce d’ora in avanti con la malattia! La sensibilizzazione
deve essere fatta “dando vere medie/mediane” per chi sta combattendo adesso, per chi se ne va in giovane età come sta
accadendo adesso. Ho a che fare spessissimo con persone non direttamente coinvolte dalla malattia, essendo una
volontaria, e purtroppo le persone che leggono “vita media 40/50 anni” si soffermano e mi dicono che è un ottimo
traguardo perché comunque, se la vita media è cosi alta, significa che almeno mia figlia “camperà” fino a 50 anni e con
le prospettive “anche oltre”. Ma questo non è ciò che succede nel 2012! La verità è che si muore a 20 anni, la verità è
che tra i bambini che hanno appena 10 anni alcuni stanno già male, la verità è che moltissime persone che conosco
purtroppo già a 20 anni hanno fev1 al limite dell’ingresso per il trapianto, come anche altri casi intorno ai 12/15 anni.
Ma allora dove sta il metro di misura? Perché non diciamo le cose come stanno? Perche continuiamo a propagandare
“numeri” col senno di poi? Scusate lo sfogo, ma ritengo seriamente che le persone debbano sapere cosa c’è dietro, e non
una semplice “bella previsione” che nemmeno sappiamo se si avvererà. Ma soprattutto, genitori che con rabbia perdono
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i propri figli bambini e ritengono tutto una grande presa in giro, e magari pensano che se il messaggio fosse passato
diversamente, fosse stato più realistico e non probabilistico i fondi sarebbero stati di più, ecc ecc. Col senno di poi non
si va avanti, ma la rabbia dentro cresce e di già è difficile accettare la malattia, figuriamoci tutto il resto. Vi ringrazio
tantissimo per il lavoro che fate. Buona giornata.
Risposta
Non abbiamo difficoltà a comprendere l’angoscia di chi viene a conoscere la morte di bambini che hanno problemi di
salute simili al nostro. La nostra interlocutrice rivolge al mondo dei comunicatori un appello a dire esattamente come sta
la realtà dei malati di fibrosi cistica. E, tanto per incominciare, crediamo che nessuno voglia nascondere il fatto che la
fibrosi cistica, generalmente parlando, sia malattia grave: nel senso che accorcia la vita di chi ne è colpito e la rende in
genere molto faticosa, prima o poi, per chi più e per chi meno. Se non fosse così non si investirebbero tanta energia e
tante risorse per porvi rimedio: pazienti, genitori e curanti da un lato, scienziati e promotori di ricerca dall’altro.
Sappiamo che questa è una malattia di cui abbiamo progressivamente migliorato il decoroso negli anni ma che non
abbiamo ancora debellato. Non va peraltro dimenticato che 50 anni fa (esperienza diretta di chi scrive) i bambini
diagnosticati FC morivano per la gran parte nei primi mesi o primissimi anni di vita: oggi il 50% delle persone con FC
ha superato i 18 anni e molti di questi hanno un ragionevole stato di salute per un tempo protratto.
Ed ora passiamo a qualche aspetto tecnico relativo alle elaborazioni statistiche di mortalità e sopravvivenza. Ci sono
due modi per fare questi conti. Il primo è quello di contare semplicemente le persone che sono decedute anno per anno,
registrando l’età al decesso. Così, per stare in Italia e riferendoci al vecchio registro italiano FC (1), che purtroppo ebbe
vita limitata dal 1988 al 2004, vediamo che la mediana di età ha un incremento progressivo: la mediana è quell’età oltre
la quale vive la metà dei pazienti e al di sotto della quale è deceduta l’altra metà (è peraltro quasi sovrapponibile alla
media aritmetica se si dispone di grande numero di pazienti). Nel periodo 1988-1991 l’età mediana al decesso era di
14,7 anni, tra il 1992 e il 1995 era di 18,6 anni, tra il 1996 e il 1999 era di 21,5 anni, nel periodo 2000-2004 era salita a
23,2 anni. Questi dati sono molto simili a quelli riportati dal registro nordamericano per gli stessi periodi (2).
Questo modo di calcolare la durata della vita dà peraltro una informazione distorta della realtà generale della malattia,
soprattutto perché non tiene conto di come potrebbe essere il decorso per tutti gli altri pazienti che non sono deceduti,
mentre considera solo quei pazienti che molto probabilmente avevano forme più gravi di malattia. Per fare un calcolo
corretto bisognerebbe aspettare la fine di vita di tutti i pazienti nati in un determinato periodo. I lunghissimi tempi
necessari per una tale operazione renderebbero inutile una tale informazione, che invece a noi serve per valutare gli
effetti delle cure, dell’assistenza, dell’organizzazione assistenziale, su cui poter aggiustare le nostre azioni. Per queste
ragioni gli statistici hanno elaborato un criterio più corretto e più tempestivo che, partendo da dati reali (quanti pazienti
vivi e quanti deceduti anno per anno) elabora una tendenza generale nel tempo che consente una predizione della
possibile durata di vita dei malati. Si tratta dell’ “analisi delle tavole di vita” secondo il metodo detto di Kaplan-Meier.
In pratica, si parte da un grande numero di pazienti considerati al momento della loro nascita e seguiti nel tempo,
registrando quanti di essi sono vivi e quanti sono deceduti anno per anno. Si vede così che i malati viventi alla nascita,
quando erano il 100%, diminuiscono anno per anno di età e la percentuale dei sopravviventi tende a calare. Le curve
che descrivono questo andamento sono andate sempre più migliorando nel tempo. Con riferimento ai dati del registro
FC USA (report 2010) (2), il più consistente quanto a numero di pazienti (oltre 26 mila), nel 1986 la mediana di vita
attesa era di 27 anni ed è salita a 38,3 anni nel 2010. Alcune statistiche europee sono anche migliori di quella americana
e danno valori di mediana che superano i 40 anni.
Queste curve di sopravvivenza sono molto diverse se si raggruppano i pazienti secondo diverse categorie: ad esempio
quelli diagnosticati attraverso screening neonatale (hanno attesa di vita più lunga) confrontati con quelli diagnosticati
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tardivamente per sintomi, quelli con mutazioni lievi rispetto a quelli con mutazioni severe, e così via. In questi
andamenti medi, descritti dalle elaborazioni statistiche, c’è infatti una grande variabilità: sappiamo ormai che i malati
FC non sono tutti uguali, non solo perché hanno genotipi diversi, ma anche per il modo con cui vivono, per come sono
curati, per quanto accettano la malattia e sono fedeli alle cure, etc, etc. Le nuove terapie, con tutta probabilità,
modificheranno sostanzialmente l’attesa di vita, magari in misura diversa da caso a caso, ma la modificheranno.
Immaginiamo che queste informazioni consolino assai poco la nostra interlocutrice, ma questo crediamo sia l’unico
modo per dire le cose come stanno, almeno in generale. Nel singolo caso poi i conti si fanno confrontandosi con le
persone che conoscono bene il paziente e se ne prendono cura.
1.Orizzonti FC, Nov. 2006. Registro Italiano FC: Report 2004 www.sifc.it
2. US Patient Registry. Annual Data Report 2010. www.cff.org
4. Profilo professionale dell'Infermiere - D.M. 14 settembre 1994, n. 739
Art. 1
1 - E' individuata la figura professionale dell'infermiere con il seguente profilo:
l'infermiere è l'operatore sanitario che, in possesso del diploma universitario abilitante e dell'iscrizione all'albo
professionale è responsabile dell'assistenza generale infermieristica.
2 - L'assistenza infermieristica preventiva, curativa, palliativa e riabilitativa è di natura tecnica, relazionale, educativa.
Le principali funzioni sono la prevenzione delle malattie, l'assistenza dei malati e dei disabili di tutte le età e
l'educazione sanitaria.
3 - L'infermiere:
a) partecipa all'identificazione dei bisogni di salute della persona e della collettività;
b) identifica i bisogni di assistenza infermieristica della persona e della collettività e formula i relativi obiettivi;
c) pianifica, gestisce e valuta l'intervento assistenziale infermieristico;
d) garantisce la corretta applicazione delle prescrizioni diagnostico - terapeutiche;
e) agisce sia individualmente sia in collaborazione con gli altri operatori sanitari e sociali;
f) per l'espletamento delle funzioni si avvale, ove necessario, dell'opera del personale di supporto;
g) svolge la sua attività professionale in strutture sanitarie pubbliche o private, nel territorio e nell'assistenza
domiciliare, in regime di dipendenza o libero - professionale.
4 - L'infermiere contribuisce alla formazione del personale di supporto e concorre direttamente all'aggiornamento
relativo al proprio profilo professionale e alla ricerca.
5 - La formazione infermieristica post - base per la pratica specialistica è intesa a fornire agli infermieri di assistenza
generale delle conoscenze cliniche avanzate e delle capacità che permettano loro di fornire specifiche prestazioni
infermieristiche nelle seguenti aree:
a) sanità pubblica: infermiere di sanità pubblica;
b) pediatria: infermiere pediatrico;
c) salute mentale - psichiatria: infermiere psichiatrico;
d) geriatria: infermiere geriatrico;
e) area critica: infermiere di area critica.
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6) In relazione a motivate esigenze emergenti dal Servizio sanitario nazionale, potranno essere individuate, con decreto
del Ministero della sanità, ulteriori aree richiedenti una formazione complementare specifica.
7) Il percorso formativo viene definito con decreto del Ministero della sanità e si conclude con il rilascio di un attestato
di formazione specialistica che costituisce titolo preferenziale per l'esercizio delle funzioni specifiche nelle diverse aree,
dopo il superamento di apposite prove valutative.
La natura preferenziale del titolo è strettamente legata alla sussistenza di obiettive necessità del servizio e recede in
presenza di mutate condizioni di fatto.
Art. 2
1 - Il diploma universitario di infermiere, conseguito ai sensi dell' art. 6, comma 3, del decreto legislativo 30 dicembre
1992, n. 502, e successive modificazioni, abilita all'esercizio della professione, previa iscrizione al relativo albo
professionale.
Art. 3
1 - Con decreto del Ministro della sanità di concerto con il Ministro dell'Università e della ricerca scientifica e
tecnologica sono individuati i diplomi e gli attestati, conseguiti in base al precedente ordinamento, che sono equipollenti
al diploma universitario di cui all'art. 2 ai fini dell'esercizio della relativa attività professionale e dell'accesso ai pubblici
uffici.
Il presente decreto, munito del sigillo dello Stato, sarà inserito nella Raccolta Ufficiale degli atti normativi della
Repubblica italiana.
E' fatto obbligo a chiunque spetti di osservarlo e di farlo osservare.
5. Il Codice deontologico dell'Infermiere. Ad oggi composto da 51 articoli suddivisi in 6 capi con l’aggiunta delle
Disposizioni finali, manifesta quindi come la professione infermieristica possieda un’identità propria ben definita e
come sia oggi in grado di assumersi tutte le responsabilità che questa sua connotazione comporta.
Vediamo nel dettaglio gli articoli del codice deontologico.
Codice deontologico Infermieri
Approvato dal Comitato centrale della Federazione con deliberazione n.1/09 del 10 gennaio 2009 e dal Consiglio
nazionale dei Collegi Ipasvi riunito a Roma nella seduta del 17 gennaio 2009.
CAPO I
Articolo 1
L'infermiere è il professionista sanitario responsabile dell'assistenza infermieristica.
Articolo 2
L'assistenza infermieristica è servizio alla persona, alla famiglia e alla collettività. Si realizza attraverso interventi
specifici, autonomi e complementari di natura intellettuale, tecnico-scientifica, gestionale, relazionale ed educativa.
Articolo 3
La responsabilità dell'infermiere consiste nell’assistere, nel curare e nel prendersi cura della persona nel rispetto della
vita, della salute, della libertà e della dignità dell'individuo.
Articolo 4
L'infermiere presta assistenza secondo principi di equità e giustizia, tenendo conto dei valori etici, religiosi e culturali,
nonché del genere e delle condizioni sociali della persona.
Articolo 5
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Il rispetto dei diritti fondamentali dell'uomo e dei principi etici della professione è condizione essenziale per l'esercizio
della professione infermieristica.
Articolo 6
L'infermiere riconosce la salute come bene fondamentale della persona e interesse della collettività e si impegna a
tutelarla con attività di prevenzione, cura, riabilitazione e palliazione.
CAPO II
Articolo 7
L’infermiere orienta la sua azione al bene dell'assistito di cui attiva le risorse sostenendolo nel raggiungimento della
maggiore autonomia possibile, in particolare, quando vi sia disabilità, svantaggio, fragilità.
Articolo 8
L’infermiere, nel caso di conflitti determinati da diverse visioni etiche, si impegna a trovare la soluzione attraverso il
dialogo. Qualora vi fosse e persistesse una richiesta di attività in contrasto con i principi etici della professione e con i
propri valori, si avvale della clausola di coscienza, facendosi garante delle prestazioni necessarie per l’incolumità e la
vita dell’assistito.
Articolo 9
L’infermiere, nell'agire professionale, si impegna ad operare con prudenza al fine di non nuocere.
Articolo 10
L'infermiere contribuisce a rendere eque le scelte allocative, anche attraverso l'uso ottimale delle risorse disponibili.
CAPO III
Articolo 11
L'infermiere fonda il proprio operato su conoscenze validate e aggiorna saperi e competenze attraverso la formazione
permanente, la riflessione critica sull'esperienza e la ricerca. Progetta, svolge e partecipa ad attività di formazione.
Promuove, attiva e partecipa alla ricerca e cura la diffusione dei risultati.
Articolo 12
L’infermiere riconosce il valore della ricerca, della sperimentazione clinica e assistenziale per l’evoluzione delle
conoscenze e per i benefici sull’assistito.
Articolo 13
L'infermiere assume responsabilità in base al proprio livello di competenza e ricorre, se necessario, all'intervento o alla
consulenza di infermieri esperti o specialisti. Presta consulenza ponendo le proprie conoscenze ed abilità a disposizione
della comunità professionale.
Articolo 14
L’infermiere riconosce che l’interazione fra professionisti e l'integrazione interprofessionale sono modalità
fondamentali per far fronte ai bisogni dell’assistito.
Articolo 15
L’infermiere chiede formazione e/o supervisione per pratiche nuove o sulle quali non ha esperienza.
Articolo 16
L'infermiere si attiva per l'analisi dei dilemmi etici vissuti nell'operatività quotidiana e promuove il ricorso alla
consulenza etica, anche al fine di contribuire all’approfondimento della riflessione bioetica.
Articolo 17
85
L’infermiere, nell'agire professionale è libero da condizionamenti derivanti da pressioni o interessi di assistiti, familiari,
altri operatori, imprese, associazioni, organismi.
Articolo 18
L'infermiere, in situazioni di emergenza-urgenza, presta soccorso e si attiva per garantire l'assistenza necessaria. In caso
di calamità si mette a disposizione dell'autorità competente.
CAPO IV
Articolo 19
L'infermiere promuove stili di vita sani, la diffusione del valore della cultura della salute e della tutela ambientale,
anche attraverso l’informazione e l'educazione. A tal fine attiva e sostiene la rete di rapporti tra servizi e operatori.
Articolo 20
L'infermiere ascolta, informa, coinvolge l’assistito e valuta con lui i bisogni assistenziali, anche al fine di esplicitare il
livello di assistenza garantito e facilitarlo nell’esprimere le proprie scelte.
Articolo 21
L'infermiere, rispettando le indicazioni espresse dall'assistito, ne favorisce i rapporti con la comunità e le persone per lui
significative, coinvolgendole nel piano di assistenza. Tiene conto della dimensione interculturale e dei bisogni
assistenziali ad essa correlati.
Articolo 22
L’infermiere conosce il progetto diagnostico-terapeutico per le influenze che questo ha sul percorso assistenziale e sulla
relazione con l’assistito.
Articolo 23
L’infermiere riconosce il valore dell’informazione integrata multiprofessionale e si adopera affinché l’assistito disponga
di tutte le informazioni necessarie ai suoi bisogni di vita.
Articolo 24
L'infermiere aiuta e sostiene l’assistito nelle scelte, fornendo informazioni di natura assistenziale in relazione ai progetti
diagnostico-terapeutici e adeguando la comunicazione alla sua capacità di comprendere.
Articolo 25
L’infermiere rispetta la consapevole ed esplicita volontà dell’assistito di non essere informato sul suo stato di salute,
purché la mancata informazione non sia di pericolo per sé o per gli altri.
Articolo 26
L'infermiere assicura e tutela la riservatezza nel trattamento dei dati relativi all’assistito. Nella raccolta, nella gestione e
nel passaggio di dati, si limita a ciò che è attinente all’assistenza.
Articolo 27
L'infermiere garantisce la continuità assistenziale anche contribuendo alla realizzazione di una rete di rapporti
interprofessionali e di una efficace gestione degli strumenti informativi.
Articolo 28
L'infermiere rispetta il segreto professionale non solo per obbligo giuridico, ma per intima convinzione e come
espressione concreta del rapporto di fiducia con l'assistito.
Articolo 29
L'infermiere concorre a promuovere le migliori condizioni di sicurezza dell'assistito e dei familiari e lo sviluppo della
cultura dell’imparare dall’errore. Partecipa alle iniziative per la gestione del rischio clinico.
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Articolo 30
L'infermiere si adopera affinché il ricorso alla contenzione sia evento straordinario, sostenuto da prescrizione medica o
da documentate valutazioni assistenziali.
Articolo 31
L'infermiere si adopera affinché sia presa in considerazione l'opinione del minore rispetto alle scelte assistenziali,
diagnostico-terapeutiche e sperimentali, tenuto conto dell'età e del suo grado di maturità.
Articolo 32
L'infermiere si impegna a promuovere la tutela degli assistiti che si trovano in condizioni che ne limitano lo sviluppo o
l'espressione, quando la famiglia e il contesto non siano adeguati ai loro bisogni.
Articolo 33
L'infermiere che rilevi maltrattamenti o privazioni a carico dell’assistito mette in opera tutti i mezzi per proteggerlo,
segnalando le circostanze, ove necessario, all'autorità competente.
Articolo 34
L'infermiere si attiva per prevenire e contrastare il dolore e alleviare la sofferenza. Si adopera affinché l’assistito riceva
tutti i trattamenti necessari.
Articolo 35
L'infermiere presta assistenza qualunque sia la condizione clinica e fino al termine della vita all’assistito, riconoscendo
l'importanza della palliazione e del conforto ambientale, fisico, psicologico, relazionale, spirituale.
Articolo 36
L'infermiere tutela la volontà dell’assistito di porre dei limiti agli interventi che non siano proporzionati alla sua
condizione clinica e coerenti con la concezione da lui espressa della qualità di vita.
Articolo 37
L’infermiere, quando l’assistito non è in grado di manifestare la propria volontà, tiene conto di quanto da lui
chiaramente espresso in precedenza e documentato.
Articolo 38
L'infermiere non attua e non partecipa a interventi finalizzati a provocare la morte, anche se la richiesta proviene
dall'assistito.
Articolo 39
L'infermiere sostiene i familiari e le persone di riferimento dell’assistito, in particolare nella evoluzione terminale della
malattia e nel momento della perdita e della elaborazione del lutto.
Articolo 40
L'infermiere favorisce l’informazione e l’educazione sulla donazione di sangue, tessuti ed organi quale atto di
solidarietà e sostiene le persone coinvolte nel donare e nel ricevere.
CAPO V
Articolo 41
L'infermiere collabora con i colleghi e gli altri operatori di cui riconosce e valorizza lo specifico apporto all'interno
dell'équipe.
Articolo 42
L'infermiere tutela la dignità propria e dei colleghi, attraverso comportamenti ispirati al rispetto e alla solidarietà.
Articolo 43
87
L'infermiere segnala al proprio Collegio professionale ogni abuso o comportamento dei colleghi contrario alla
deontologia.
Articolo 44
L'infermiere tutela il decoro personale ed il proprio nome. Salvaguarda il prestigio della professione ed esercita con
onestà l’attività professionale.
Articolo 45
L’infermiere agisce con lealtà nei confronti dei colleghi e degli altri operatori.
Articolo 46
L’infermiere si ispira a trasparenza e veridicità nei messaggi pubblicitari, nel rispetto delle indicazioni del Collegio
professionale.
CAPO VI
Articolo 47
L'infermiere, ai diversi livelli di responsabilità, contribuisce ad orientare le politiche e lo sviluppo del sistema sanitario,
al fine di garantire il rispetto dei diritti degli assistiti, l'utilizzo equo ed appropriato delle risorse e la valorizzazione del
ruolo professionale.
Articolo 48
L'infermiere, ai diversi livelli di responsabilità, di fronte a carenze o disservizi provvede a darne comunicazione ai
responsabili professionali della struttura in cui opera o a cui afferisce il proprio assistito.
Articolo 49
L’infermiere, nell’interesse primario degli assistiti, compensa le carenze e i disservizi che possono eccezionalmente
verificarsi nella struttura in cui opera. Rifiuta la compensazione, documentandone le ragioni, quando sia abituale o
ricorrente o comunque pregiudichi sistematicamente il suo mandato professionale.
Articolo 50
L'infermiere, a tutela della salute della persona, segnala al proprio Collegio professionale le situazioni che possono
configurare l’esercizio abusivo della professione infermieristica.
Articolo 51
L'infermiere segnala al proprio Collegio professionale le situazioni in cui sussistono circostanze o persistono condizioni
che limitano la qualità delle cure e dell’assistenza o il decoro dell'esercizio professionale.
Disposizioni finali
Le norme deontologiche contenute nel presente Codice sono vincolanti; la loro inosservanza è sanzionata dal Collegio
professionale. I Collegi professionali si rendono garanti della qualificazione dei professionisti e della competenza da
loro acquisita e sviluppata.
Il futuro codice deontologico: all'esame dei Collegi
26/11/2016 - Le regole della professione degli infermieri si aggiornano: dopo sette anni da quello del 2009 è stata
presentata oggi ai presidenti dei 103 Collegi provinciali la prima stesura del nuovo Codice deontologico che farà da
guida alla professione nei prossimi anni.
Le sue caratteristiche sono massima trasparenza e condivisione, anche perché, come specificano le disposizioni finali, le
norme contenute nel Codice sono vincolanti e negli ultimi anni sono state utilizzate anche come strumento giuridico
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dalla Magistratura. La loro inosservanza è sanzionata dal Collegio professionale: avvertimento, censura, sospensione
fino a sei mesi e radiazione sono i rischi per chi non rispetta le regole deontologiche della professione.
Il denominatore e l’obiettivo comune dei 40 articoli che compongono il nuovo testo sono il bene e il rispetto della
persona assistita, della sua volontà e dei suoi diritti, privacy compresa e della sua famiglia. Come specificato fin dai
primi articoli infatti: “L’infermiere persegue l’ideale di servizio orientando il suo agire al bene della persona, della
famiglia e della collettività”. Non solo: “L’infermiere cura e si prende cura, nel rispetto della dignità, della libertà,
dell’uguaglianza della persona assistita, delle sue scelte di vita e della sua concezione di salute e di benessere”.
Tra le maggiori novità del codice, quelle che riflettono il nuovo ruolo professionale sia a livello di management che
clinico, assunto dagli infermieri all’interno delle strutture sanitarie, sul territorio e anche nella libera professione.
L’infermiere “partecipa al governo clinico, promuove le migliori condizioni di sicurezza della persona assistita, fa
propri i percorsi di prevenzione e gestione del rischio e aderisce alle procedure operative, alle metodologie di analisi
degli eventi accaduti e alle modalità di informazione alle persone coinvolte”. Inoltre, se l'organizzazione chiedesse o
pianificasse attività assistenziali, gestionali o formative in contrasto con i propri principi e valori e/o con le norme della
professione, l’infermiere proporrà soluzioni alternative e se necessario si avvarrà della clausola di coscienza.
L’infermiere inoltre ha anche l’obbligo di concorrere alla valutazione del contesto organizzativo, gestionale e logistico
in cui si trova la persona assistita e formalizza e comunica il risultato delle sue valutazioni.
Tra le previsioni del Codice, l’educazione sanitaria per i cittadini e la promozione di stili di vita sani, la ricerca e la
sperimentazione, ma anche, per gli infermieri, gli obblighi di formazione e di educazione continua, argomento questo
che per la prima volta entra a pieno titolo in un Codice deontologico.
Nel Codice c’è un chiaro riferimento alla comunicazione., anche informatica: correttezza, rispetto, trasparenza e
veridicità sono obblighi che l’infermiere deve rispettare.
Un capitolo importante è anche quello del fine vita: l’obbligo deontologico è di assistere la persona fino al termine della
vita, tutelandone la volontà di porre dei limiti agli interventi che ritiene non siano proporzionati alla sua condizione
clinica o coerenti con la concezione di qualità della vita e sostiene i familiari e le persone di riferimento nell'evoluzione
finale della malattia, nel momento della perdita e nella fase di elaborazione del lutto.
“Il Codice Deontologico – sottolinea la presidente Ipasvi Barbara Mangiacavalli - è un criterio guida per l’esercizio
professionale dell’infermiere che deve tenere conto della sua evoluzione sia sotto il profilo giuridico che dello status e
delle competenze professionali. La deontologia e l’etica sono quotidiane e derivano dalle esperienze quotidiane.
L’infermiere oggi è un professionista della salute al quale ogni cittadino si rivolge in un rapporto diretto confidando
nell’opportunità di ricevere un’assistenza professionale, pertinente e personalizzata. Il nuovo Codice deontologico
rappresenta, per l’infermiere, uno strumento per esprimere la propria competenza e la propria umanità, il saper curare e
il saper prendersi cura. L’infermiere – prosegue - deve dimostrare di saper utilizzare strumenti innovativi per una
gestione efficace dei percorsi assistenziali e l’applicazione dei principi deontologici completano le competenze e
permettono all’infermiere di soddisfare non solo il bisogno di ogni singolo paziente, ma anche il bisogno del
professionista di trovare senso e soddisfazione nella propria attività”. Fonte: Nurse 24+it
6. Augusto Murri - Medico (Fermo 1841 - Bologna 1932); fu prof. di clinica medica nella univ. di Bologna (1871-
1906). Fra i clinici dell’epoca ebbe una particolare rinomanza essenzialmente per la metodica seguita nello studio del
malato, basata su uno scrupoloso e attento rilievo dei sintomi e sulla loro interpretazione nel quadro di una rigorosa
logica. Nella sua produzione scientifica vanno segnalati gli studî sul meccanismo di compenso fisiopatologico del
cuore, sulla terapia digitalica e sull’ emoglobinuria parossistica da freddo.
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7. Da alcuni anni è iniziata un azione di profondo rinnovamento della rete ospedaliera italiana. L’azione ha preso le
mosse con la legge 67/88 che, all art.20, prevedeva un investimento di 20 miliardi di lire finalizzati all attivazione di un
Piano decennale di complessa realizzazione. Tale importante iniziativa politica avviò di conseguenza una concreta
riflessione sulle stesse tipologie organizzative e spaziali e, in definitiva quindi, sulla qualità complessiva della rete
ospedaliera italiana costituita, in buona parte, da modelli ormai obsoleti. Al dibattito che si sviluppò in relazione alle
numerose iniziative avviate da questo Piano, fece seguito una successiva azione volta a formulare indirizzi per le future
progettazioni: si trattava del lavoro della cosiddetta Commissione Veronesi-Piano (all’epoca il prof. Umberto Veronesi
era Ministro della Sanità) al quale veniva affidato il compito di interpretare il generale bisogno di riflessione attorno ai
temi dello Ospedale del futuro. Il lavoro si concluse nel 2001 con la pubblicazione del Documento sul Nuovo Modello
di Ospedale, alla cui redazione partecipano alcuni tra i più noti studiosi e tecnici italiani del settore. I contenuti del
lavoro sono a tutti noti: il decalogo proposto dall’ elaborazione finale è diventato patrimonio disciplinare di quanti si
occupano, con vari ruoli e responsabilità, di temi legati alla progettazione ospedaliera ed il modello planimetrico e
tridimensionale che lo esemplifica, ha cominciato ad essere un preciso elemento di confronto per qualsiasi azione
progettuale in materia. Va ricordato ancora che il lavoro citato ha avuto un importante momento di continuità e di
approfondimento con la pubblicazione, nel 2003, dei Principi guida tecnici, organizzativi e gestionali per la
realizzazione e gestione di ospedali ad alta tecnologia ed assistenza che risulta la sintesi di un importante lavoro di
ricerca coordinato dal prof. Maurizio Mauri e finanziato dal Ministero della Salute.
8. Il 10 luglio 2014 è stata sancita l’Intesa tra il Governo, le Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano
sull’Accordo finanziario e programmatico tra il Governo e le Regioni, di valenza triennale, in merito alla spesa e alla
programmazione del Servizio Sanitario Nazionale, finalizzato a migliorare la qualità dei servizi, a promuovere
l’appropriatezza delle prestazioni e a garantire l’unitarietà del sistema. Il patto precedente era stato siglato nel 2009 a
valere per il triennio 2010 – 2012
9. Agenas è un ente pubblico non economico nazionale, che svolge una funzione di supporto tecnico e operativo alle
politiche di governo dei servizi sanitari di Stato e Regioni, attraverso attività di ricerca, monitoraggio, valutazione,
formazione e innovazione.
10. Patch Adams (Washington, 28 maggio 1945) è un medico, attivista e scrittore statunitense. Ha fondato il
Gesundheit Institute nel Ogni anno organizza gruppi di volontari, provenienti da diversi Paesi, per recarsi presso vari
ospedali dei diversi Paesi del mondo, travestiti da clo0wn, con l obiettivo di far riscoprire l umorismo agli infermi e agli
ammalati. È generalmente riconosciuto come l ideatore di una terapia olistica molto particolare: quella del sorriso,
anche nota come clown terapia.
11. Michael Balint ( Budapest 1896 Bristol 1970) è stato uno è stato uno psicoanalsta ungherese, patrocinatore della
Object Relations School. Uno dei motivi della celebrità di Balint è l’invenzione di una specifica tecnica di formazione,
poi denominata Gruppo Balint, attraverso la quale si proponeva di migliorare le capacità dei medici di utilizzare con i
pazienti la relazione interpersonale come fattore terapeutico.
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12. Fabrizio Turoldo insegna Bioetica presso l’Università “Ca’ Foscari” di Venezia e coordina il progetto “Etica e
Medicina” della Fondazione Lanza di Padova.
13. L’affidare i diritti della persona umana a Carte, a Codici, a Dichiarazioni ed a Raccomandazioni è una prospettiva
non nuova che si inserisce nel solco ideale di una lunghissima tradizione iniziata, subito dopo la fine del 2° conflitto
bellico, con l’approvazione del Codice di Norimberga (1947) e con la proclamazione, nel 1948, della Dichiarazione
universale dei diritti dell’ uomo da parte dell’ Assemblea Generale delle Nazioni Unite cui ha fatto seguito, in
successione cronologica, la promulgazione della Dichiarazione adottata dalla 18^ Assemblea medica mondiale tenutasi
ad Helsinki nel 1964, del Patto internazionale sui diritti economici, sociali e culturali concluso a New York il 16
dicembre 1966, della Dichiarazione adottata dalla 35^ Assemblea medica mondiale tenutasi a Venezia nel 1983, della
Dichiarazione approvata ad Alma Ata nel 1978, della Dichiarazione sulla promozione dei diritti dei pazienti in Europa
approvata al Amsterdam nel 1994, della Carta di Lubiana sulla riforma dell’ assistenza sanitaria approvata nel 1996,
della Dichiarazione di Jakarta sulla promozione della salute nel 21° secolo approvata nel 1997 e della Carta dei diritti
fondamentali varata dall’ Unione Europea il 7 dicembre 2000 in occasione del Consilio Europeo di Nizza. Ciò
nonostante, la Carta europea dei diritti del malato, presentata a Bruxelles il 15 novembre 2002 come risultato del lavoro
promosso da Active Citizenship Network e sottoscritta da organizzazioni civiche di 11 Paesi europei [12], è un
documento di estremo interesse per almeno tre ordini di fattori: a) perché essa concretizza, in una brillante sintesi, i
diritti fondamentali della persona a più riprese enunciati dall’ Organizzazione mondiale della sanità, dall’ Unione
Europea e dal Consiglio d’ Europa; b) perché essa indica le coordinate entro le quali, coerentemente con la nostra Carta
costituzionale (art. 32), deve essere promossa la tutela della salute del singolo nell’ interesse collettivo; c) perché essa
esorta, infine, i professionisti sanitari di tutti i Paesi dell’ Unione Europea a pensare ed a riflettere con rinnovato
interesse, orientandoli ad una responsabilità modulata autenticamente sull’ adagio della scienza e della coscienza che
non sterotipizza la pratica professionale ma che le conferisce slancio e vigore. La Carta europea dei diritti del malato
sintetizza in 14 articoli quanto previsto in numerose Dichiarazioni e Raccomandazioni internazionali.
Essa, nella prima parte, richiama i “diritti fondamentali” della persona umana.
14. Ippocrate, (Isola di Coo, 460 a.C. 370 a.C.) medico, praticante maestro di medicina, fu destinato a diventare nei
secoli il simbolo stesso dell’ arte medica. A quest’ aura di leggenda, che sempre circondò la sua figura, si devono le
innumerevoli e fantasiose tradizioni fiorite intorno alla sua esistenza e il confluire sotto il suo nome di uno stuolo di
opere appartenenti ad altri autori, note nel loro complesso col titolo di Corpus Hippocraticum. Considerato il padre della
medicina, a Lui e attribuito il Giuramento di Ippocrate, che i medici sono obbligati a prestare tutt’ oggi prima di iniziare
la professione, anche se la forma originale è molto diversa da quella odierna. Altri importanti contributi del medico
scienziato sono stati gli studi sui cadaveri in chiave scientifica, l’ invenzione della cartella clinica, dei concetti di
diagnosi e prognosi, legati all osservazione dei sintomi del paziente. Lo scienziato di Kos fa riferimento a elementi
come la dieta, l atmosfera, la psicologia del paziente e persino l ambito in cui si trova a vivere, considerando dunque
anche alcuni aspetti sociali.
15. Lo studio dei rapporti tra Seneca e la quasi sconosciuta scuola medica stoica denominata Scuola Pneumatica
consente di gettare nuova luce sul pensiero del filosofo di Cordova. È infatti possibile dimostrare che le concezioni
psicologiche senecane poggiano su una visione monistica dell’ uomo, in forza della quale anima e corpo sono due entità
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intercomunicanti in quanto consustanziali e attraversate da un unico spiritus coibente: pertanto, ogni evento psichico
coinvolge l’ ambito somatico dell’ individuo, ma pure ogni stato del corpo influenza inevitabilmente l’ anima.
16. Nel panorama intellettuale del II secolo d.C., Galeno rappresenta un caso eccezionale: per la sua collocazione a
cavallo di scienza medica e filosofia, per la varietà dei suoi interessi e per la sua sterminata produzione letteraria.
Galeno era dunque medico (allievo indiretto di Asclepiade il Giovane) e filosofo, e illustri pazienti come l’ imperatore
Marco Aurelio lo consideravano un filosofo professionale che praticava la medicina come attività marginale: “primo fra
i medici”, ma “unico fra i filosofi”. Non si può essere un buon medico, sosteneva in uno scritto intitolato Il miglior
medico è anche filosofo, se non si conoscono logica, fisica ed etica. cioè l’ insieme dell’autentica filosofia (che secondo
Galeno è contenuta soprattutto nella tradizione platonico-aristotelica, ma anche in quella stoica).
17. Renè Descartes è stato un filosofo e matematico francese, fondatore della matematica e della filosofia moderna.
18. Immanuel Kant (1724 – 1804) fu uno dei più importanti esponenti dell’Illuminismo tedesco, e anticipatore, nella
fase finale della sua speculazione, degli elementi fondanti della filosofia idealistica.
19. Karl Theodor Jaspers (1883 – 1969) è stato un filosofo e psichiatra tedesco. Ha dato un notevole impulso alle
riflessioni nel campo della psichiatria, della filosofia ma anche della teologia e politica.
20. Paul Ricoeur, filosofo francese (1913 – 2005), per la sua costante opera intellettuale e per la sua intensa attività di
magistero e di dialogo che si estende ormai su scala planetaria e che è stato unanimemente riconosciuta nelle sedi più
autorevoli della comunita culturale, scientifica e filosofica internazionale (come testimoniano anche il Premio Hegel di
Stoccarda del 1985 e il Premio Balzan per la filosofia conferitogli nel 1999, può essere considerato uno dei testimoni e
dei protagonisti più sensibili della coscienza filosofica del Novecento.
21. Umberto Galimberti ( Monza, 2 maggio 1942) è un filosofo, sociologo e docente universitario italiano.
22. Norbert Elias (1897–1990) sociologo tedesco di origini ebraiche viene considerate uno dei più autorevoli sociologi
tedeschi. (Engagement un Distanzierung, 1983).
23. Epicuro: filosofo greco (Samo, 341- Atene, 271 a.C.) che ha diffuso una dottrina materialista per la quale il
mondo è formato da atomi dalla cui unione o disunione si generano o muoiono le cose, compresa l'anima che perisce
col corpo.
24. Euristica, dal verbo greco heuriskein (“trovare”). In generale, euristico è ogni procedimento che permette di
condurre a nuove conoscenze e a nuove scoperte (la filosofia è dunque un procedimento euristico, in questo senso).
Nell'ambito della scienza contemporanea, l'euristica è il metodo che favorisce la scoperta di nuovi risultati scientifici.
25. Ludwig Andreas Feuerbach ( Landshut, 28 luglio 1804 – rechenberg, 13 settembre 1872) è stato un filosofo
tedesco tra i più influenti critici della religione ed esponente della sinistra hegeliana. Nel 1841 uscì l'opera più
importante di Feuerbach, L'essenza del cristianesimo, in cui l'autore effettua quella che egli stesso definisce la riduzione
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della teologia e della religione ad antropologia. «Il mio primo pensiero fu dio, il mio secondo la ragione, il mio terzo ed
ultimo l'uomo». Quello che interessa a Feuerbach non è l'idea di umanità quanto piuttosto l'uomo reale che è
innanzitutto natura, corporeità, sensibilità, bisogno: «Verità è l'uomo e non la ragione astratta». E, a maggior ragione,
bisogna negare il teismo, giacché non è dio che crea l'uomo ma è l'uomo che crea dio. Il risultato più importante di
quest'opera è pertanto la formulazione da parte di Feuerbach di un ateismo conclamato, in cui Dio è il risultato di una
Proiezione che l'uomo compie involontariamente, attribuendo ad un Dio, inventato dall'uomo stesso, ciò che egli
vorrebbe essere e avere. Siccome l'uomo ha dei bisogni materiali che non può soddisfare nella vita terrena si è inventato
una vita ultraterrena dove possa pervenire alla loro realizzazione attraverso l'azione di Dio, considerato dotato di quelle
proprietà che l'uomo desidererebbe possedere: l'eternità, l'onniscienza e l'onnipotenza, etc. Marx nel suo pensiero
giovanile fu molto influenzato da Feuerbach in opere come " Per la critica della filosofia del diritto di Hegel " e
soprattutto nei Manoscritti economico-filosofici del 1844. In particolare il concetto di Proiezione di Feuerbach
costituisce un concetto fondamentale per quello di Alienazione di Marx; infatti Marx lo elaborò partendo da quello di
Hegel, ma conferendogli lo stesso significato negativo proprio del concetto di proiezione di Feuerbach.
26. Pierre Hadot ( Parigi, 1922 – orsay, 24 aprile 2010) è un filosofo e scrittore francese. Direttore della École pratique
des hautes études dal 1964 al 1986, è stato nominato professore al Collège de France nel 1982. Il suo ambito di interesse
è la filosofia antica, soprattutto il rapporto tra la Filosofia Greca e la sua ricezione da parte della Letteratura Latina. La
tesi principale di Hadot, esposta soprattutto nei due testi Esercizi Spirituali e Filosofia antica e Che Cos’è la Filosofia
Antica, è che la filosofia è nata, nell’antichità greca, come “stile di vita”, saggezza intesa come “saper vivere”, in una
unità di teoria e prassi tipica dell’epoca nella quale appunto nasce e non come mera riflessione teorica fine a se stessa,
quale invece ha preso a svilupparsi a un certo punto della storia occidentale. La Filosofia Greca e quella che le scuole
filosofiche romane ereditano serve alla trasformazione dell’essere umano nella vita quotidiana. Le opere filosofiche del
passato non sono composte per esporre un sistema, ma per diffondere un sapere formativo: in vista di questo scopo, il
filosofo cercava anche di insegnare un approccio alla lettura facendola diventare un’azione di trasformazione del
proprio sé. Gli esercizi spirituali impegnano tutte le facoltà dell’individuo che si mette in discussione trasformando la
propria esistenza in maniera radicale. Per gli Stoici, per esempio, la filosofia è divisa in logica, fisica ed etica, ma
ognuna di queste discipline non va vista chiusa in se stessa ma come un tutto unico che va vissuto a pieno con
consapevolezza di sé, come peraltro risulta bene dall’immagine stessa che gli Stoici impiegavano per qualificare la
propria tripartizione della filosofia: un “uovo”, le cui parti – lungi dall’essere indipendenti – sono in relazione tra loro,
come il tuorlo e il guscio dell’uovo. Il discorso sulla filosofia non è la filosofia. In altri termini, secondo Hadot, in
Grecia le teorie filosofiche sono al servizio della vita filosofica. Nell’epoca ellenistica e romana la filosofia si presenta
come un modus vivendi, come arte della vita, come una maniera d’essere. In effetti, la filosofia antica aveva questo
carattere, almeno a partire da Socrate. La filosofia antica propone all’essere umano un’arte della vita, mentre la filosofia
moderna si presenta come un sapere tecnico riservato a specialisti o, comunque, a pochi “addetti ai lavori”. Hadot
critica aspramente i filosofi moderni che vedono nella filosofia un mero sistema di proposizioni astratte e lontane mille
miglia dalla vita concreta, con tutti i suoi “problemi reali”:
“Tradizionalmente, coloro che sviluppano un discorso filosofico senza cercare di mettere la loro vita in rapporto con
il discorso, e senza che il loro discorso derivi dalla loro esperienza e dalla loro vita vengono chiamati ‘sofisti’ dai
filosofi” (P. Hadot, Esercizi Spirituali e Filosofia Antica).
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27. Paul-Michel Foucault (Poitiers, 15 ottobre 1926 – Parigi, 25 giugno 1984) è stato un filosofo, sociologo, storico,
accademico e saggista francese.
Filosofo, "archeologo dei saperi", saggista letterario, professore al Collège de France, tra i grandi pensatori del XX
secolo, Foucault fu l'unico che realizzò il progetto storico-genealogico propugnato da F. Nietzsche allorché segnalava
che, nonostante ogni storicismo, continuasse a mancare una storia della follia, del crimine e del sesso. Egli studiò lo
sviluppo delle prigioni, degli ospedali, delle scuole e di altre grandi organizzazioni sociali. Sua è la teorizzazione che
vide il modello del Panopticon o panottico, ossia del carcere ideale progettato nel 1791 dal filosofo e giurista Jeremy
Bentham. come paradigma della società moderna.
Il concetto della progettazione è di permettere a un unico sorvegliante di osservare (opticon) tutti (pan) i soggetti di una
istituzione carceraria senza permettere a questi di capire se siano in quel momento controllati o no. Il nome si riferisce
anche a Argo Panoptes della mitologia Greca: un gigante con un centinaio di occhi considerato perciò un ottimo
guardiano.
L'idea del panopticon ha avuto una grande risonanza successiva, come metafora di un potere invisibile, ispirando
pensatori e filosofi, oltre a Foucault, Noam Chomsky, Zygmunt Bauman e lo scrittore britannico George Orwell nel
romanzo 1984.
Importanti sono anche gli studi di Foucault sulla sessualità, che egli crede non sia sempre esistita così come la
conosciamo oggi e così come soprattutto ne discutiamo. In particolare negli ultimi due secoli la sfera del sesso è stata
oggetto di una volontà di sapere, di una pratica confessionale che prosegue in maniera blanda ma comunque diffusa la
volontà di potere e di sapere istituita con la modernità dalle istituzioni prima religiose e poi secolari.
Altro tema ampiamente trattato dal filosofo francese è quello della cura di sé, un principio filosofico rintracciabile nel
periodo ellenistico greco e nell'età tardo imperiale romana.
Nel periodo 1980-1984 Foucault vive una "svolta filosofica" del suo pensiero filosofico, la scoperta dell’ethos che vede
una reinterpretazione del soggetto, non più soltanto sottomesso e plasmato dal potere, ma attivamente consapevole e
capace di auto-costruirsi. Vengono utilizzate, per questa parte, non tanto le opere sistematiche, quanto piuttosto un buon
numero di interviste e conferenze risalenti a quegli stessi anni.
1. La genealogia del soggetto morale.
Il soggetto rimane anche in questa fase un qualcosa che si costruisce e non un substrato naturale impostato una volta per
tutte; tuttavia esso assume ora caratteristiche positive: la capacità di autocostruirsi attraverso un complesso lavoro di
perfezionamento di stessi, una paidéia fisica e spirituale, inaugurata da Socrate e chiamata cura di sé. Infatti La paideia
(in greco antico : παιδεία, paidéia) nel V sec. a.C. significava formazione e cura dei fanciulli e diventava sinonimo di
cultura e di educazione mediante l'istruzione. Era il modello educativo in vigore nell'Atene classica e prevedeva che
listruzione dei giovani si articolasse secondo due rami paralleli: la paideia fisica, comprendente la cura del corpo e il
suo rafforzamento, e la paideia psichica, volta a garantire una socializzazione armonica dell'individuo nella polis, ossia
all'interiorizzazione di quei valori universali che costituivano l’ethos del popolo. Lo spirito di cittadinanza e di
appartenenza costituivano infatti un elemento fondamentale alla base dell'ordinamento politico-giuridico delle città
greche. L'identità dell'individuo era pressoché inglobata da quell'insieme di norme e valori, che costituivano l'identità
del popolo stesso, tanto che, più che di processo educativo o di socializzazione, si potrebbe parlare di processo di
uniformazione all’ethos politico.
2. Sulla "morte dell’uomo" .
Ancora richiamandosi a Nietzsche, Foucault ipotizza la fine di quelle forme di soggettività - sottoposte all’incessante
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opera del potere - che hanno caratterizzato la nostra epoca a partire dal ‘700. E’ ora - dice Foucault - di esplorare nuove
forme di soggettività. Emerge una prospettiva di libertà e di creatività del tutto nuova.
3. La filosofia e l’Aufklärung (in tedesco col significato di «delucidazione, chiarimento»)
Foucault, in questi anni, rilegge Kant e l’Illuminismo secondo una nuova ottica, che inaugura la direzione e il compito
che la filosofia riveste nell’epoca contemporanea: è la riflessione critica su se stessi e sul proprio presente storico.
28. Arthur Schopenhauer (Danzica, 22 febbraio 1788 – Francoforte sul Meno, 21 settembre 1860) è stato un filosofo
tedesco, uno dei maggiori pensatori del XIX secolo. Arthur Schopenhauer rientra a pieno titolo nel filone di quei
pensatori che si pongono in netta rottura con il sistema hegeliano e, insieme a tutti gli avversari del panlogismo di
Hegel, tende a far prevalere l'irrazionalità della realtà: per Schopenhauer, come per Kierkegaard, Hegel è l'idolo
polemico in antitesi col quale costruire la propria filosofia. Tra i pensatori di questo periodo serpeggia l'aspirazione alla
concretezza e, per addurre un esempio significativo, Schopenhauer insiste sul fatto che " l'uomo non è un angelo ", cioè
non è puro spirito disincarnato, ma è essenzialmente un corpo e la natura di tale corpo consiste, soprattutto, nella
volontà, nei desideri, negli istinti e nelle passioni, quelle cose, cioè, che Freud avrebbe più tardi definito come
"pulsioni"; da notare che la rivendicazione che Schopenhauer fa della concretezza (e che trova conferma anche nella
celebre espressione di Feuerbach: " l'uomo è ciò che mangia ") è in antitesi all'astrattezza hegeliana, come pure alla
ragione, tanto cara ai Positivisti.
29. Karl Barth (Basilea, 10 maggio 1886 – Basilea, 10 dicembre 1968) è stato un teologo e pastore riformato svizzero.
Barth ha fatto irruzione sulla scena teologica e filosofica europea all'inizio degli anni venti del Novecento con la sua
opera più letta e commentata: L'epistola ai Romani (Römerbrief). Questo testo ha dato inizio a un movimento teologico
denominato “teologia dialettica” contrapposto alla “teologia liberale” di matrice storicista e romantica. Questa forma di
teologia costituisce il nucleo centrale del pensiero di K. Barth esposto nella sua Epistola ai Romani, ed ha influenzato in
maniera decisiva quasi tutta la teologia del Novecento, sia in ambito protestante, sia in parte in quello cattolico.
L'espressione teologia dialettica, o teologia della crisi come viene anche indicata, significa che ci si può riferire a Dio
solo “dialetticamente”, cioè per contrapposizione, ossia unicamente riconoscendo l'insanabile contrasto esistente tra Lui
e il mondo, per via dell'abissale alterità che sussiste tra queste due dimensioni.
30. Friedrich Wilhelm Nietzsche (Rocken, 15 ottobre 1844 – Weimar, 25 agosto 1900) è stato un filosofo, poeta,
saggista, compositore e filologo tedesco.
Considerato tra i massimi filosofi e scrittori di ogni tempo, Nietzsche ebbe un'influenza controversa, ma indiscutibile,
sul pensiero filosofico, letterario, politico e scientifico del XX secolo. La sua filosofia, in parte riconducibile al filone
delle filosofie della vita, è considerata da alcuni uno spartiacque fra la filosofia tradizionale e un nuovo modello di
riflessione, informale e provocatorio. In ogni caso, si tratta di un pensatore unico nel suo genere, sì da giustificare
l'enorme influenza da lui esercitata sul pensiero posteriore. Nietzsche può essere accomunato a Soren Kierkegaard:
entrambi hanno un orientamento prettamente esistenziale ed entrambi sono considerati precursori dell'esistenzialismo
novecentesco. Nietzsche però non condivide il cinismo della vita che porta inevitabilmente alla disperazione, e
impedisce all'uomo di accettare con gioia l'esistenza, oltre a non condividere le credenze cristiane di Kierkegaard. Forti
sono i debiti dell'esistenzialismo verso pensatori quali Kierkegaard e Nietzsche, come del resto verso la fenomenologia
di Husserl. Se dalla fenomenologia viene preso il nuovo senso della realtà, ovvero la decisione di accogliere come base
dell'indagine filosofica i dati apparenti nella loro fluidità ed entro i loro limiti, da Kierkegaard e da Nietzsche
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l'esistenzialismo eredita l'affermazione che il divenire si mostra più di ogni altro nell'individuo, nelle sue libere scelte
come nella sua volontà di creare da sé la propria esistenza e i propri valori.
31. Fenomenologia. In generale, è la descrizione o la scienza di ciò che appare (= i fenomeni). Nello specifico senso
husserliano, è la scienza eidetica, ossia quel tipo di pensiero che non studia i dati di fatto, bensì le essenze (= le strutture
invarianti ed universali delle cose). La fenomenologia è una disciplina filosofica fondata da Edmund Husserl, membro
della Scuola di Brentano. La fenomenologia ha avuto una profonda influenza sull'esistenzialismo in Germania e
Francia, ma anche sulle scienze cognitive e odierne e nella filosofia analitica.
Un elemento importante e al contempo un concetto fondamentale che Husserl prese da Brentano è quello
dell'intenzionalità, l'idea che la coscienza sia sempre intenzionale, cioè che sia diretta ad un oggetto, che abbia un
contenuto. Brentano definì l'intenzionalità come la caratteristica principale dei fenomeni psichici (o mentali), tramite cui
essi possono essere distinti dai fenomeni fisici. Ogni fenomeno mentale, ogni atto psicologico ha un contenuto, è diretto
a qualche cosa (l'oggetto intenzionale). Ogni credere, desiderare etc. ha un oggetto: il creduto, il desiderato.
31. Edmund Gustav Albrecht Husserl (Prostejov, 8 aprile 1859 – Friburgo in Brisgovia, 26 aprile 1938) è stato un
filosofo e matematico austriaco naturalizzato tedesco, fondatore della fenomenologia e membro della Scuola di
Brentano.
Husserl introduce il concetto di riduzione (fenomenologica) nelle sue lezioni del 1906/1907 (Introduzione alla Logica
ed Epistemologia), e nel 1907 nelle sue cinque lezioni introduttive sull'idea della fenomenologia. In questi due cicli di
lezioni Husserl pone la domanda di come sia possibile una conoscenza vera e distingue tra conoscenza scientifica e
conoscenza filosofica; la prima è ingenua ed acritica perché assume come vero ed esistente a priori la realtà esterna, non
ponendosi il problema della "possibilità della conoscenza in assoluto" ovvero del fondamento della conoscenza stessa.
A questo obiettivo fondamentale e fondante si dedica interamente la conoscenza filosofica che è in ultima analisi la
fenomenologia stessa, e per fare ciò la fenomenologia dev'essere "purificata" da assunzioni e pregiudizi superflui e
fuorvianti.
Riprendendo Cartesio, Husserl propone di "mettere tra parentesi" (ovvero sospendere il giudizio, atto da lui definito in
greco epochè) tutto ciò che si conosce, arrivando a non poter mettere tra parentesi sé stessi come coscienza. La
coscienza husserliana non è fine a sé stessa ma è sempre diretta, tramite un atto di "puro guardare", a pensieri o
percezioni definiti "cogitationes". Le cogitationes sono puri fenomeni di conoscenza assolutamente slegati
dall'esistenza. Husserl insiste sulla distinzione tra esistenza ed essenza: la prima consiste nel fatto che l'oggetto di una
cogitatio esista realmente al di fuori della coscienza del soggetto pensante, mentre la seconda è il senso oggettivo e
immanente nella coscienza che viene intenzionalmente attribuito alla cogitatio (ad esempio l'idea di rosso).
La fenomenologia si configura quindi come uno studio degli eventi intrapsichici (non psicologicamente parlando; lo
psicologismo è stato messo tra parentesi come conoscenza pregressa e pregiudicante) presi come assoluti in quanto
trascendenti la realtà esterna, cosa che ha fatto parlare i critici di un "platonismo husserliano". Ripulita dalla
presunzione dell'esistenza di una realtà esterna, la coscienza può quindi accostarsi alla pura contemplazione dei suoi
fenomeni interni, e in questo consiste in ultima analisi la Fenomenologia. La riduzione fenomenologica (o riduzione
eidetica, dal greco eidos, cioè idea) serve proprio a questo, ed il suo ruolo epistemologico viene indicato chiaramente
anche dal fatto che all'inizio Husserl parlasse proprio di una "riduzione epistemologica" (Erkenntnistheoretische
Reduktion).
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32. Henri-Louis Bergson (Parigi, 18 ottobre 1859 – Parigi, 4 gennaio 1941) è stato un filosofo francese.. La sua opera
superò le tradizioni ottocentesche dello Spiritualismo e del Positivismo ed ebbe una forte influenza nei campi della
psicologia, della biologia, dell'arte, della letteratura e della teologia. Quasi misconosciuto agli inizi della sua carriera
accademica, Bergson divenne alla fine così popolare da essere quasi identificato con il filosofo ufficiale del pensiero
francese. Egli fu uno dei pochi filosofi, insieme a Bertrand Russel, Jean-Paul Sartre e Elias Canetti i, a ricevere il
Premio Nobel per la letteratura nel 1927 sia «per le sue ricche e feconde idee» sia «per la brillante abilità con cui ha
saputo presentarle».
La filosofia di Bergson incise profondamente nella cultura del Novecento: anche se viene indicato come appartenente
alla corrente filosofica dello spiritualismo, che si opponeva al positivismo imperante all'inizio del XIX secolo, ma la sua
filosofia è così originale che sarebbe più giusto definirla "bergsonismo" proprio per evidenziare l'impossibilità di
assimilarla alle tradizionali dottrine filosofiche.
33. Miguel de Unamuno y Jugo (Bilbao, 29 settembre 1864 – Salamanca, 31 dicenbre 1936) è stato un poeta,
filosofo, scrittore, drammaturgo e politico spagnolo di origini basche che, rinnovandoli, ha portato sul piano filosofico
i motivi più tipici dell'ispanismo, seppure in opere non sistematiche e quasi sempre di carattere letterario.
Canonicamente, viene fatto rientrare nel movimento letterario chiamato Generazione del ‘98, espressione del
modernismo letterario spagnoloPer quanto Unamuno creda che la morte sia soprattutto la fine biologica di un
organismo, vede nella credenza in una vita dopo la morte un elemento indispensabile e quasi sotterraneo al normale
scorrere della vita in questa terra. Per molte ragioni, Unamuno è considerato un importante anticipatore
dell'esistenzialismo che, diversi decenni dopo, sarebbe divenuto di moda nel pensiero europeo
34. Fëdor Michajlovič Dostoevskij Mosca, 11 novembre 1821 – San Pietroburgo, 9 febbraio 1881) è stato uno scrittore
e filosofo russo. È considerato, insieme a Tolstoj, uno dei più grandi romanzieri e pensatori russi di tutti i tempi. A lui è
intitolato il cratere Dostoevskij sulla superficie di Mercurio. con “Ricordi dal sottosuolo” o anche “Memorie dal
sottosuolo”. Dostoevskij pubblicò questo libro nel 1864. Resta un’opera tra le più apprezzate dalla cultura europea del
XX secolo e lascia una traccia indelebile anche nei personaggi del sommo scrittore russo: da quel momento tutti
avranno un sottosuolo da scontare, da penetrare, da fuggire. Forse per ritrovare la vita, forse per dissiparsi. E' divisa in
due parti. La prima ha come titolo, appunto, “Il sottosuolo”; la seconda “A proposito della neve bagnata” Tat'jana
Aleksandrovna Kasatkina, docente al dipartimento di Teoria della letteratura dell'Accademia delle scienze russa, pone
Dostoevskij alle origini dell'esistenzialismo. Soprattutto di quello cristiano.
D'altra parte, già Walter Kaufmann in un saggio del 1974, “Existentialism from Dostoevsky to Sartre”, divenuto ormai
un classico, scriveva: “Non vedo alcuna ragione per cui Dostoevskij possa essere considerato un esistenzialista, ma la
prima parte degli Scritti del sottosuolo è la migliore ouverture per l'esistenzialismo che sia stata composta”.
Tra le indicazioni di lettura del libro, è il caso di ricordarne una in particolare, sottolineata dalla Kasatkina: negli anni
'60 Dostoevskij cerca di sapere in quale punto dell'universo sia situata la terra. Si chiede quale luogo sia il mondo, si
pone la questione medievale se il nostro pianeta sia qualcosa di intermedio tra il paradiso e l'inferno. Ma il sommo
scrittore, senza intenti astronomici, intuisce che una realtà intermedia e indipendente, a sé stante, non esiste; può esistere
soltanto qualcosa che, a seconda delle scelte, assumerà sembianze paradisiache o infernali. Sono sue parole: “Qui il
diavolo lotta con Dio e il campo di battaglia è il cuore dell'uomo”. Dentro le stesse azioni si aprono le porte del paradiso
o dell'inferno. La Kasatkina ricorda che proprio in queste pagine degli “Scritti del sottosuolo” Dostoevskij giunge alla
conclusione che un paradiso recintato è un inferno, un inferno in cui divampi l'amore è un paradiso.
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35 Franz Kafka (Praga, 3 luglio 1883 – Kierling, 3 giugno 1924) è stato uno scrittore praghese di lingua tedesca è uno
dei maggiori rappresentanti di una fertile stagione della letteratura tedesca in Boemia. Autore di racconti e romanzi, in
parte usciti postumi, ha narrato le angosce e le inquietudini dell’uomo novecentesco. Il peso di una colpa sconosciuta, i
meccanismi di un potere oppressivo, uno spazio labirintico senza via di uscita sono gli elementi costitutivi dell’universo
kafkiano.
36. Marcel Proust (Parigi, 10 luglio 1871 – Parigi, 18 novembre 1922) è stato uno scrittore, saggista e critico letterario
francese, la cui opera più nota è il monumentale romanzo Alla ricerca del tempo perduto (À la recherche du temps
perdu) pubblicato in sette volumi tra il 1913 e il 1927.
La sua vita si snoda nel periodo compreso tra la repressione della Comune di Parigi e gli anni immediatamente
successivi alla prima guerra mondiale; la trasformazione della società francese in quel periodo, con la crisi
dell'aristocrazia e l'ascesa della borghesia durante la terza repubblica francese, trova nell'opera maggiore di Proust
un'approfondita rappresentazione del mondo di allora.L'importanza di questo autore, è legata alla potenza espressiva
della sua originale scrittura e alle minuziose descrizioni dei processi interiori legati al ricordo e al sentimento umano; la
Recherche infatti è un viaggio nel tempo e nella memoria che si snoda tra vizi e virtù.
37. Henrik Ibsen (Skien, 20 marzo 1828 – Oslo, 23 maggio 1906) è stato uno scrittore, drammaturgo, poeta e regista
teatrale norvegese. Tra i maggiori autori teatrali, ha elaborato nei suoi poderosi drammi l'idea dell'impossibilità
dell'uomo di realizzare la sua aspirazione al sublime. Ai capolavori giovanili Brand (1866) e Peer Gynt (1867), centrati
su tematiche esistenziali, seguirono le acute e disincantate analisi della realtà borghese di Samfundets støtter ("Le
colonne della società", 1877) e Et dukkehjem ("Casa di bambola", 1879), mentre l'ultima fase della sua produzione è
percorsa da una vena intimista e si colora di simbolismi e toni elegiaci: Vildanden ("L'anitra selvatica", 1884),
Rosmersholm (1886) e Hedda Gabler (1890).
38. Albert Camus (Dréan, 7 novembre 1913 – Villeblevin, 4 gennaio 1960) è stato uno scrittore, filosofo, saggista,
drammaturgo ed attivista francese.
Con la sua multiforme opera è stato in grado di descrivere e comprendere la tragicità di una delle epoche più tumultuose
della storia contemporanea, quella che va dall’ascesa dei totalitarismi al secondo dopoguerra e al concomitante inizio
della guerra fredda. Non solo: le sue riflessioni filosofiche, magistralmente espresse in immagini letterarie, hanno una
valenza universale e atemporale capace di oltrepassare i meri confini della contingenza storica, riuscendo a descrivere la
condizione umana nel suo nucleo più essenziale.
Il suo lavoro è sempre teso allo studio dei turbamenti dell'animo umano di fronte all'esistenza, in balia di quell'assurdo
definito come «divorzio tra l'uomo e la sua vita». L'unico scopo del vivere e dell'agire, per Camus, che pare esprimersi
dialetticamente fuori dell'intimità esperienziale, sta nel combattere, nel sociale, le ingiustizie oltre che le espressioni di
poca umanità, come la pena di morte: «Se la Natura condanna a morte l'uomo, che almeno l'uomo non lo faccia», usava
dire.
Camus ricevette il Premio Nobel per la letteratura nel 1957 con questa motivazione: « Per la sua importante produzione
letteraria, che con serietà chiarificante illumina i problemi della coscienza umana nel nostro tempo. »
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39. Simone de Beauvoir (Parigi, 9 gennaio 1908 – Parigi, 14 aprile 1986), è stata una scrittrice, saggista, filosofa,
insegnante e femminista francese.
Fu un'esponente dell’ esistenzialismo e compagna di Jean Paul Sartre.
40. Jean-Paul Sartre (Parigi, 21 giugno 1905 – Parigi, 15 aprile 1980) è stato un filosofo, scrittore, drammaturgo e
critico letterario francese considerato uno dei più importanti rappresentanti dell' esi9stenzialismo, che in lui prende la
forma di un umanesimo ateo in cui ogni individuo è radicalmente libero e responsabile delle sue scelte,
“L’uomo è condannato ad essere libero: condannato perché non si è creato da se stesso, e pur tuttavia libero, perché, una
volta gettato nel mondo, è responsabile di tutto ciò che fa”.
41. Gabriel Marcel (Parigi, 7 dicembre 1889 – Parigi, 8 ottobre 1973) è stato un filosofo, scrittore, drammaturgo e
critico di musica francese. Nel suo itinerario filosofico si è dovuto spesso confrontare con la riflessione filosofica di
Heidegger e Jaspers, accogliendo alcune istanze della corrente esistenzialista, ma senza per questo riconoscersi del tutto
in questo orientamento di pensiero. Nel 1927 ha pubblicato a Parigi il suo Giornale metafisico, una sorta di diario
filosofico in cui è documentata e svolta in maniera personale la riscoperta dell'esistenza in senso religioso
42. Norberto Bobbio (Torino, 18 ottobre 1909 – Torino, 9 gennaio 2004) è stato un filosofo, giurista, storico, politologo
e senatore a vita italiano.
43. Aristotele (Stagira, 384 a.C. – Calcide, 322 a.C.) è stato un filosofo, scienziato e logico greco antico. Con Platone,
suo maestro, e Socrate è considerato uno dei padri del pensiero filosofico occidentale, che soprattutto da lui ha ereditato
problemi, termini, concetti e metodi. È ritenuto una delle menti filosofiche più innovative, prolifiche e influenti del
mondo antico, sia per la vastità che per la profondità dei suoi campi di conoscenza, compresa quella scientifica.
44. Tommaso d'Aquino (Roccasecca, 1225 – Fossanova, 7 marzo 1274) è stato un frate domenicano, teologo e filosofo
italiano esponente della Scolastica, definito Doctor Angelicus dai suoi contemporanei. È venerato come santo dalla
Chiesa cattolica che dal 1567 lo considera anche dottore della chiesa.
Tommaso rappresenta uno dei principali pilastri teologici e filosofici della Chiesa cattolica: egli è anche il punto di
raccordo fra la cristianità e la filosofia classica, che ha i suoi fondamenti e maestri in Socrate, Platone e Aristotele, e poi
passati attraverso il periodo ellenistico, specialmente in autori come Plotino. Fu allievo di sant’Alberto Magno, che lo
difese quando i compagni lo chiamavano "il bue muto" dicendo: «Ah! Voi lo chiamate il bue muto! Io vi dico, quando
questo bue muggirà, i suoi muggiti si udranno da un'estremità all'altra della terra!»
Il pensiero di Tommaso. Per Tommaso l'anima è creata "a immagine e somiglianza di Dio" (come dice la Genesi),
unica, immateriale (priva di volume, peso ed estensione), forma del corpo e non localizzata in un punto particolare di
esso, trascendente come Dio e come lui in una dimensione al di fuori dello spazio e del tempo in cui sono il corpo e gli
altri enti. L'anima è tota in toto corpore, contenuta interamente in ogni parte del corpo, e in questo senso legata ad esso
indissolubilmente: si veda, sul tema, la questione 76 della Prima Parte della Summa theologiae, questione dedicata
appunto al rapporto tra anima e corpo
45. Georg Friedrich Bernhard Riemann (Breselenz, 17 settembre 1826 – Selasca, 20 luglio 1866) è stato un
matematico e fisico tedesco. Contribuì in modo determinante allo sviluppo delle scienze matematiche. introdusse i
concetti di varietà e di curvatura di una varietà, tra le quali spiccarono gli spazi non euclidei; inoltre una delle questioni
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poste è nel prospettare una indagine sulla natura geometrica dello spazio e sulla sua curvatura. Più in particolare la
geometria di Riemann, conosciuta anche come geometria ellittica, è la geometria della superficie di una sfera.
46. Nikolaj Ivanovič Lobačevskij (Niznij Novgorod, 1° dicembrre 1792 – Kazan’, 24 febbraio 1856) è stato un
matematico e scienziato russo. Lobačevskij abolisce il dogma della "verità" assoluta della geometria euclidea e, per
questo, può essere definito il Nicolò Copernico della geometria.
47. Giacomo Leopardi. (al battesimo Giacomo Taldegardo Francesco di Sales Saverio Pietro Leopardi; Recanati, 29
giugno 1798 – Napoli, 14 giugno 1837) è stato un poeta, filosofo, scrittore, filologo e glottologo italiano. È ritenuto il
maggior poeta dell'Ottocento italiano e una delle più importanti figure della letteratura mondiale, nonché una delle
principali del romanticismo letterario; la profondità della sua riflessione sull'esistenza e sulla condizione umana – di
ispirazione sensista e materialista – ne fa anche un filosofo di notevole spessore. Le conclusioni filosofiche
fondamentali di Leopardi, giunto al culmine della fase storica, si riscontrano proprio e innanzitutto nelle Operette
Morali, l’opera che svolge una funzione cardine nell’evoluzione complessiva dell’arte leopardiana. La riflessione
dell’autore dei Canti, dopo aver ruotato intorno al concetto di natura, si potrebbe riassumere, in una ricerca che sfocia al
termine alla seguente conclusione: Leopardi a un certo punto s’accorge che la natura non dà la vita (vitalità), ma solo
l’esistenza, che le contraddizioni materiali e teoretiche insite nella nozione di natura lo conducono inevitabilmente a
capovolgere la vecchia antitesi natura (vitalità, generose illusioni, eroismo, integralità umana ecc.) e ragione (aridità,
egoismo, astrattezza, snaturamento e infelicità) in una nuova e crescente antitesi fra natura e uomo. Il “vitalismo”
iniziale si dissolve, la natura è ostile alla vita e dà all’uomo solo l’esistenza con la sua noia e il suo “nulla”. Riflessione
filosofica ed empito poetico fanno sì che Leopardi, al pari di Schopenhauer, Kierkegaard, Nietzsche e più tardi di
Kafka, possa essere visto come un esistenzialista o almeno un precursore dell'Esistenzialismo.
Il 29 novembre 1823 Leopardi annotava il seguente pensiero: “La natura non è vita, ma esistenza e a questa tende, non a
quella4”, ove è possibile cogliere in nuce (La locuzione latina in nuce tradotta letteralmente, "nella noce", significa "in
embrione", "in abbozzo", "in progetto". Viene modernamente usata, nel campo accademico, quale sinonimo di "in
sintesi", con riferimento all'esposizione di un concetto che contenga concisamente gli elementi fondanti di una dottrina),
i precedenti della filosofia esistenzialista, secondo la quale l’uomo non vive, ma è gettato nella vita e la svolge senza
possibilità di intesa: è la Geworfenheit, la deiezione nell’esserci di Heidegger. C’è un passo dello Zibaldone, quello del
giardino-cimitero, che merita di essere riportato qui quasi per intero in quanto riassume, come un poemetto in prosa,
l’intera visione cosmica leopardiana, dominata da un senso di sgomento del male e dell’universale infelicità: “Non gli
uomini solamente, ma il genere umano fu e sarà sempre infelice di necessità. Non il genere umano solamente, ma tutti
gli animali. Non gli animali soltanto, ma tutti gli esseri al loro modo. Non gl’individui, ma le specie, i generi, i regni, i
globi, i sistemi, i mondi. Entrate in un giardino di piante, d’erbe, di fiori. Sia pur quanto volete ridente. Sia nella più
mite stagione dell’anno. Voi non potete volger lo sguardo in nessuna parte che voi non vi troviate del patimento. Tutta
quella famiglia di vegetali è in stato di souffrance, qual individuo più qual meno. Là quella rosa è offesa dal sole, che gli
ha dato la vita; si corruga, langue, appassisce. Là quel giglio è succhiato crudelmente da un’ape, nelle sue parti più
sensibili, più vitali. Il dolce miele non si fabbrica dalle industriose, pazienti, buone, virtuose api senza indicibili
tormenti di quelle fibre delicatissime, senza strage spietata di quei teneri fiorellini. Quell’albero è infestato da un
formicaio, quell’altro da bruchi, da mosche, da lumache, da zanzare; questo è ferito nella scorza e cruciato dall’aria o
dal sole che penetra nella piaga; quello è offeso nel tronco o nelle radici; quest’altro ha più foglie secche; quest’altro è
roso, morsicato nei fiori; quello trafitto punzecchiato nei frutti. Quella pianta ha troppo caldo, questa troppo fresco;
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troppa luce, troppa ombra; troppo umido, troppo secco. L’una patisce incomodo e trova ostacolo e incombro nel
crescere, nello stendersi; l’altra non trova dove appoggiarsi, o si affatica e stenta per arrivarvi. In tutto il giardino tu non
trovi una pianticella sola in stato di sanità perfetta. Qua un ramicello è rotto o dal vento o dal proprio peso; là un
zefiretto va stracciando un fiore, vola con un brano, un filamento, una foglia, una parte viva di questa o quella pianta,
staccata e strappata via. Intanto tu strazi le erbe co’ tuoi passi; le stritoli, le ammacchi, ne spremi il sangue, le rompi, le
uccidi. Quella donzelletta sensibile e gentile va dolcemente sterpando e infrangendo steli. Il giardiniere va saggiamente
troncando, tagliando membra sensibili, colle unghie, col ferro. Certamente queste piante vivono; alcune perché le loro
infermità non sono mortali, altre perché ancora con malattie mortali, le piante, e gli animali altresì, possono durare a
vivere qualche poco di tempo. Lo spettacolo di tanta copia di vita all’entrare di questo giardino ci rallegra l’anima, e di
qui è che questo ci pare essere un soggiorno di gioia. Ma in verità questa vita è trista e infelice, ogni giardino è quasi un
vasto ospitale (luogo ben più deplorabile che un cemeterio…5)”. E’ la vita che nasconde la morte, anzi è la morte che si
sconta vivendo in quanto essa è nella vita stessa. Quanta distanza fra questi precorrimenti esistenzialisti e il monismo
naturalistico del precedente sistema storico ove la natura era concepita quale pienezza, autenticità di vita, felicità nel
complesso armonioso dell’universo, condensato in tal modo da Leopardi in un pensiero del ’23: “La natura è vita. Ella è
esistenza. Ella stessa ama la vita, e procura in tutti i modi la vita, e tende in ogni operazione alla vita. Perciocché ella
esiste e vive. Se la natura fosse morte, ella non sarebbe. Essere e morte, son termini contraddittori. S’ella tendesse in
alcun modo alla morte, se in alcun modo la procurasse, ella tenderebbe e procurerebbe contro se stessa 6” . 4 G
. Leopardi, Zibaldone, II , cit., p.774. 5 G . cit., p. 1005. 6 II , cit., p.674.
E le riflessioni di Schopenhauer vengono a incrociarsi con quelle del suo contemporaneo Leopardi: per entrambi la vita
umana (in Leopardi) e la vita universale (in Schopenhauer) è una continua altalena fra la noia e il dolore ; finché non si
è raggiunto l'obiettivo desiderato si soffre, quando lo si è raggiunto ci si annoia e ci si pone pertanto dei nuovi obiettivi.
48. Ludwig Binswanger (Kreuzlingen, 13 aprile 1881 – Kreuzlingen, 5 febbraio 1966) è stato uno psichiatra e
psicologo svizzero.
Massimo esponente dell'analisi esistenziale e della psichiatria fenomenologica, fu profondo oppositore della
nosografia psichiatrica di Emil Kraeplin. Così facendo traspose in un primo momento la fenomenologia di Heidegger e
poi, dopo le critiche di quest'ultimo alla sua interpretazione di Essere e Tempo presente nei "Seminari di Zollikon", si
interessò più della fenomenologia di Husserl per la ricerca nel campo della salute mentale; in particolare, oggetto del
suo studio fu la schizofrenia. A Binswanger interessa analizzare la persona e come essa si declina corporalmente nel
mondo; come essa vive nel mondo in quanto corpo; come essa esprime la sua dimensione corporea. Non esiste una
storia di vita senza un organismo umano e viceversa. Gli interessa "il corpo che sono" (Leib), non solo il "corpo che ho"
(Körper): la vera psicologia studia il Leib, perciò diventa antropoanalisi. . Ed è quanto mai necessario che i medici
prendano in considerazione anche il Leib, e non solo il Körper.
Pertanto lo studio di Binswanger si rivolge alla persona nel suo esser-ci per e con l'Altro. La persona si realizza
attraverso la sua possibilità di declinarsi attraverso l'amore.
49. Con l’espressione “scetticismo antico” (la cui radice greca skepsis, “indagine”, rimanda all’inclinazione a
interrogarsi sulla fondatezza dei nostri giudizi) si indica una tendenza filosofica che nasce nella Grecia classica e che
estende, generalizza e sistematizza questo atteggiamento ordinario: una filosofia scettica raccomanda la sospensione del
giudizio riguardo ad una parte (o addirittura alla totalità) delle indagini umane.
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50. Epigenetica. Il merito per avere coniato, nel 1942, il termine epigenetica, definita come "la branca della biologia
che studia le interazioni causali fra i geni e il loro prodotto cellulare e pone in essere il fenotipo", viene attribuito a
Conrad Waddington (1905-1975). Alla metà del diciannovesimo secolo si trovano tracce dell'epigenetica in letteratura.
Le sue origini concettuali risalgono tuttavia ad Aristotele. il quale credeva nell'epigenesi, ossia nello sviluppo di forme
organiche individuali a partire dal non formato. Questa visione controversa è stata la prima argomentazione a opporsi al
concetto che l'essere umano si sviluppi da minuscoli corpi formati.L'uso del termine nel linguaggio scientifico odierno
si riferisce a tratti ereditari a cui non corrispondono modifiche della sequenza del DNA I ricercatori spiegano cosa
avviene nei geni grazie agli studi fatti su gemelli omozigoti: nascono con lo stesso patrimonio genetico, ma crescendo si
possono differenziare a causa dell'ambiente, dello stile di vita, delle emozioni e delle sofferenze provate, che possono
cambiare l'espressione di alcuni geni, attivandoli o disattivandoli. I cambiamenti epigenetici sono conservati quando le
cellule si dividono durante la vita di un organismo
51. Socrate. (Atene, 470 a.C. – Atene, 339 a.C). E’ stato un filosofo greco antico, uno dei più importanti esponenti
della tradizione filosofica occidentale.
Il contributo più importante che egli ha dato alla storia del pensiero filosofico consiste nel suo metodo d'indagine: il
dialogo che utilizzava lo strumento critico dell'elenchos (ἔλεγχος, "confutazione") applicandolo prevalentemente
all'esame in comune (ἐξετάζειν, exetάzein) di concetti morali fondamentali. Per questo Socrate è riconosciuto come
padre fondatore dell'etica o filosofia morale.
Possiamo inserire Socrate nell'era sofistica (sebbene lui si schierò contro i sofisti) perchè come i sofisti si interessò di
problemi etici ed antropologici , mettendo da parte la ricerca del principio e della cosmogonia . Socrate non scrisse mai
nulla e così per ricostruire il suo pensiero dobbiamo ricorrere ad altri autori . Le fonti principali sulla vita di Socrate
sono quattro 1) Platone 2) Senofonte 3) Aristotele 4) Aristofane. Platone è senz'altro la fonte più attendibile: egli fu
discepolo diretto di Socrate e con lui condivise sempre l'idea della filosofia come ricerca continua.
52. Il Circolo di Vienna (in tedesco Wiener Kreis), fu un circolo filosofico e culturale, organizzato da Moritz Schlick
nel 1922 e animato da numerosi filosofi e scienziati del tempo. L'approccio filosofico del Circolo, noto come
positivismo logico (o neopositivismo) o anche fisicalismo, si diffuse nel resto dell' Europa e nei paesi di lingua inglese.
Le riunioni del Circolo si tennero ogni settimana con regolarità fino all'avvento del nazismo. La morte violenta di
Schlick (1936), e la fuga dalla città dei suoi membri per evitare le persecuzioni politiche e razziali del nuovo regime, ne
segnarono la fine.
Il positivismo logico, anche noto come neopositivismo, neoempirismo o empirismo logico, è una corrente filosofica,
basata sul principio che la filosofia debba aspirare al rigore metodologico proprio della scienza. Come si deduce dal
nome, alla sua base stanno i concetti tipici del metodo scientifico di “empirico”, ossia relazionato all'esperienza e
“logico”, dal momento che i suoi sostenitori ritengono che la conoscenza debba essere analizzata secondo i criteri
logici propri dell'analisi del linguaggio che assicurino alle proposizioni un preciso significato dotato di senso.
Gli empiristi logici sostengono che la risoluzione degli equivoci e delle ambiguità legate al linguaggio conduca alla
risoluzione degli stessi problemi filosofici: il loro sorgere dipenderebbe infatti da un uso scorretto/improprio delle
parole che darebbe vita a molteplici possibili interpretazioni e/o mancanza di senso logico. La filosofia deve avere un
ruolo chiarificatore: non può essere un sapere puramente teorico-speculativo, ma basarsi sull'esperienza per poter
fondare in maniera rigorosa la conoscenza.. Centrale in questo senso è il tema del verificazionismo e del suo principio
di verificazione come soluzione epistemologica al problema della demarcazione tra scienza, pseudoscienze e metafisica.
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Compito della filosofia per i circolisti è quello di eliminare le proposizioni metafisiche. Il filosofo (o filosofo della
scienza) deve fare l’analisi della semantica (rapporto fra linguaggio e realtà) e della sintattica (rapporto tra i segni del
linguaggio); la filosofia deve essere attività, non dottrina. Questa posizione la si trovava già in K. Marx “Glosse a
Feuerbach” (Commenti a F. del 1845; ma pubblicata nel 1888).
L’influenza di L. Wittgenstein (1889,1951) si fece sentire fortemente nel Circolo, specie con il suo “Tractatus logico -
philosophicus” del 1921. E' questo che provocò nel circolo di Vienna l’assunzione di posizioni filosofico-scientifiche
che si è convenuto di chiamare Neopositivismo, documentate dal testo di Carnap (1892—1970), Hahn e Neurath (1882-
1945) “La concezione scientifica del mondo” (1929), che divenne il Manifesto del Neopositivismo e del Circolo stesso.
Nel Manifesto del 1929 si legge:
“La concezione scientifica del mondo è caratterizzata non soltanto da tesi peculiari quanto, piuttosto,
dall’orientamento di fondo, dalla prospettiva, dall’indirizzo di ricerca. Essa si prefigge come scopo l’unificazione della
scienza. Suo intento è di collegare e coordinare le acquisizioni dei singoli ricercatori nei vari ambiti scientifici. Da
questo programma, derivano l’enfasi sul lavoro collettivo, sull’intersoggettività, nonché la ricerca di un sistema
globale di concetti. Precisione e chiarezza vengono perseguite, le oscure lontananze e le profondità impenetrabili
respinte. Nella scienza non si dà “profondità” alcuna; ovunque è la superficie: tutta l’esperienza costituisce
un’intricata rete, talvolta imperscrutabile e spesso intelliggibile solo in parte. Tutto è accessibile all’uomo e l’uomo è
la misura di tutte le cose. In ciò si riscontra un’affinità con i sofisti, non con i platonici; con gli epicurei, non con i
pitagorici; con tutti i fautori del mondano o del terreno. La concezione scientifica del mondo non conosce enigmi
insolubili. Il chiarimento delle questioni filosofiche tradizionali conduce, in parte, a smascherarle quali pseudo-
problemi; in parte, a convertirle in questioni empiriche, soggette, quindi, al giudizio della scienza sperimentale.
Proprio tale chiarimento di questioni e asserti costituisce il compito dell’attività filosofica, che, comunque, non tende a
stabilire specifici asserti “filosofici”. Il metodo di questa chiarificazione è quello dell’analisi logica” (H.Hahn,
L.Carnap, O.Neurath, La concezione scientifica del mondo (1929), a cura di A. Pasquinelli Laterza, Bari, 1979,
pp.7(,75).
Concetti fondamentali
La più caratteristica affermazione del positivismo logico è che una proposizione ha significato solo nella misura in cui
essa è verificabile (principio di verificazione o verificazionismo). Ne segue che sono dotate di significato solo due classi
di proposizioni:
• Le proposizioni empiriche (verità empiriche), come tutti i gravi cadono verso il centro della Terra, che sono
verificate per via di esperimenti; questa categoria include anche le teorie scientifiche;
• Le proposizioni analitiche (verità analitiche), come tutti i mariti sono sposati o la somma degli angoli interni
di un quadrilatero convesso è 360 gradi, che sono vere per definizione; questa categoria include le
proposizioni matematiche.
Tutte le altre proposizioni, incluse quelle di natura etica ed estetica, sull'esistenza di Dio, e via dicendo, non sono
quindi "dotate di significato", e appartengono invece alla “metafisica”. Le questioni metafisiche sono in effetti falsi
problemi e non meritano l'attenzione dei filosofi. Successivamente, il principio di verificazione andrà indebolendosi
approdando al principio della controllabilità che ha in sé, come casi particolari, i principi di verificazione e di
falsificazione, che da soli andavano incontro a svariati problemi anche logici.
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53. Paul Watzlawick (Villach, 25 luglio 1921 – Palo Alto, 31 marzo 2007) è stato uno psicologo e filosofo austriaco
naturalizzato statunitense, eminente esponente della statunitense Scuola di Palo Alto. Watzlawick portò numerosi
contributi allo studio della mente. Sebbene sia ricordato soprattutto per essere l'autore principale di "Pragmatica della
comunicazione umana", pietra miliare della psicologia che si occupa degli effetti pratici della comunicazione.
54. Edward Twitchell Hall (Webster Groves, 16 maggio 1914 – Santa Fe, 20 luglio 2009) è stato un antropologo
statunitense che si è occupato prevalentemente di prossemica.
Ha scritto The hidden dimension nel 1966 (prima edizione Doubleday & Co. Inc., New York), edito in Italia dalla casa
editrice Bompiani nel 1968, con il titolo La dimensione nascosta. In questo libro introduce alla prossemica, osserva i
comportamenti degli animali e delle persone ed elabora questo saggio dove mette in luce tutte le sue deduzioni. Altro
suo titolo è Il linguaggio silenzioso.
55. La Teoria Generale dei Sistemi (o Teoria Sistemica) fu formulata da Ludwig von Bertalanffy (biologo austriaco
che faceva parte della scuola di Palo Alto e in seguito del Circolo di Vienna), e poi espansa in diverse direzioni
(cibernetica, psicologia, sociologia, meccanica, ecc.)
Per "sistema" (dal greco systéma, da syn-ìstemi, stare insieme) si intende un'unità intera e unica composta da parti in
relazione tra loro e tendenti all'equilibrio, tale che l'intero risulti diverso dalla semplice somma delle parti e
qualsiasi cambiamento di una di queste parti influenzi la globalità del sistema. Ogni elemento di un sistema è in
relazione con gli altri elementi, e ha una ragione d'essere per la specifica funzione che svolge. Comportamenti, ruoli e
funzioni diverse concorrono a generare la Proprietà Emergente del sistema, che è una caratteristica superiore alla
somma delle funzioni.
Attraverso le Costellazioni Familiari si arriva a mostrare il cosiddetto “irretimento”: vengono portate alla luce la
struttura del sistema e le dinamiche nascoste che ci mantengono legati alla nostra famiglia, che ci fanno appartenere a
quel gruppo, che ci spingono ad attuare dei comportamenti che condizionano sia la nostra vita che i nostri sentimenti,
senza che questi ci appartengano personalmente.
Gli attributi fondamentali di un sistema sono:
• comunicazione ed elaborazione dell'informazione,
• adattamento al cambiamento delle circostanze (auto-regolazione),
• auto-organizzazione,
• automantenimento.
Norbert Wiener trovò che la comunicazione e l’autoregolazione attraverso la comunicazione sono requisiti essenziali
per l’operatività dei sistemi.
Norbert Wiener definisce "cibernetica" (dal greco kyilbernetes, "timoniere, pilota") il processo di retroazione
autocorrettiva (self corrective feedback) attraverso cui l'informazione riguardante i risultati delle attività passate è
riportata nel sistema, andando così ad influenzare il futuro, e permettendo quindi al sistema di auto-regolarsi, adattarsi e
modificarsi.
Gregory Bateson, applicando la teoria dei sistemi alla famiglia e alle strutture sociali, distingue tra retroazione
negativa (l'informazione riporta il sistema al suo stato iniziale) e positiva (l'informazione aumenta la deviazione del
sistema dal suo stato iniziale). Bateson assieme a Paul Watzlawick e altri esponenti della scuola di Palo Alto, ha
applicato la teoria sistemica alle scienza sociali, approfondendo in particolar modo la comunicazione.
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In psicologia l'Approccio Sistemico si occupa di esplorare quella dimensione della coscienza in cui ogni fenomeno è
parte di un sistema a cui è interconnesso e da cui dipende. Come esseri umani non siamo isolati in una identità psico-
fisica, ma siamo parte di una serie di ulteriori sistemi via via più ampi e complessi, quali la famiglia, la nazione, il
continente, il pianeta, la storia, lo spazio e il tempo in cui si muove la nostra vita. Non a caso si utilizza il termine di
ecosistema per indicare l'intima connessione tra l'ambiente e l'insieme degli esseri viventi che lo abitano con reciproche
influenze. All'interno del corpo umano si trovano poi vari organi, apparati e sistemi (il sistema nervoso, endocrino,
circolatorio, respiratorio, immunitario, ecc.) che svolgono specifiche funzioni e concorrono al mantenimento della vita.
Il membro sintomatico
Il gruppo di Palo Alto cominciò a sostenere che molte famiglie disfunzionali delegano ad uno dei loro membri il ruolo
di componente omeostatica che riporta ogni volta il sistema al suo stato di tranquillità dopo che una regola in qualche
modo è stata minacciata. Quando un componente della famiglia manifesta un bisogno nuovo o una maggiore necessità
di svincolo, che porterebbe la famiglia ad un nuovo stadio vitale, il membro sintomatico subisce un aggravamento o un
incremento del sintomo. Chiaro che la persona delegata dalla famiglia a questo ruolo (il membro sintomatico) paga un
prezzo altissimo, tuttavia permette agli altri membri di mantenere i rispettivi ruoli poiché tutti gli altri problemi
diventano secondari rispetto al “sintomo” di questo membro.
Tutte queste regole ed informazioni passano però ad un livello non verbale, attraverso la comunicazione analogica. Ciò
portò il gruppo di Palo Alto ad interessarsi moltissimo di comunicazione, in particolar modo della connessione tra il
linguaggio verbale e quello analogico.
L'Albero Genealogico, inteso come Sistema Familiare, è composto da diversi elementi, è un sistema aperto e in
espansione, e cerca continuamente l'equilibrio e l'auto-regolazione cibernetica. Le informazioni che circolano
quindi nel sistema (o nell'Inconscio Familiare, o Anima Familiare) risentono di tutte le esperienze più o meno
drammatiche vissute dai membri della nostra famiglia di origine: il problema di un singolo elemento si riflette
sull'intero sistema.
Se un fratello o un fidanzato è morto o è stato dichiarato disperso in guerra, se un bimbo è morto in giovane età o una
donna muore di parto, un altro membro della famiglia della stessa generazione o di quelle successive tenderà a sostituire
inconsapevolmente chi è stato escluso, ne imiterà il destino manifestando le sue emozioni ed i suoi sintomi, o cercherà
di seguirlo nella morte.
105
Un caso molto delicato è quello dell'aborto: volontario o spontaneo che sia, la memoria biologica del sistema lo
percepisce come una morte, un vuoto da riempire. E inoltre una madre che perde un figlio, inconsapevolmente lo segue
nel suo destino e resta con lui per sempre, creando un altro vuoto nel sistema.
Ancora, se qualcuno nel passato non si è preso la responsabilità di una colpa grave, un bambino tenterà in seguito di
espiare questa colpa, pagandone il prezzo con la sua salute, con la sua felicità, con il suo successo nella vita.
Ciò avviene perché il sistema tende a ricreare il suo equilibrio.
56. Fabio Folgheraiter
E’ nato a Segonzano (Trento) il 06-02-1955 e risiede a Trento.
E’ docente di Metodologia del servizio sociale presso l’Università Cattolica di Milano,
57. Carl Ramson Rogers (Illinois 1902 - California 1987) è stato uno psicologo statunitense, fondatore della terapia
non direttiva o Terapia centrata sul cliente; è una forma di psicoterapia che si basa su una teoria della personalità ( la
psicologia umanistica) secondo la quale l'individuo tende all'autorealizzazione, e struttura il proprio Sé ricercando un
accordo tra la valutazione-accettazione dei valori suggerita dall'esterno, e quelli conformi alla richiesta di
autorealizzazione.
Secondo tale approccio, l'accettazione di comportamenti impropri (ovvero incongruenti col sistema di valori rivolti
all'autorealizzazione del soggetto) sarebbe causa del disagio che motiva il ricorso alla terapia, la quale ha lo scopo di
rivitalizzare le naturali capacità di autoregolazione del cliente.
e noto per i suoi studi sul counseling e la psicoterapia all'interno della corrente umanistica della psicologia.
58. Avram Noam Chomsky (Filadelfia, 7 dicembre 1928) è un linguista, filosofo, teorico della comunicazione e
anarchico statunitense. È riconosciuto come il fondatore della grammatica generativo-trasformazionale, spesso indicata
come il più rilevante contributo alla linguistica teorica del XX secolo. In questa lettura egli osserva che una frase può
essere interpretata per come essa è strutturata grammaticamente (componente sintattica) o per come essa esprime un
pensiero (componente semantica). La prima è la struttura superficiale, la seconda è invece la struttura profonda.
Chomsky sostiene che solamente un esame delle strutture profonde del linguaggio può dare il vero significato di ciò
che appare esternamente e che le strutture superficiali non sono sufficienti a togliere l'ambiguità ad alcune frasi. La
struttura profonda rappresenta il nucleo delle relazioni semantiche di una frase e si riflette
attraverso trasformazioni nella struttura di superficie (che segue molto da vicino la forma fonologica della frase).
Ciò che permette di trasformare le frasi è solamente la competenza del parlante.
59. david Hume. (Edimburgo, 7 maggio 1711 – Edimburgo, 25 agosto 1776) è stato un filosofo scozzese. La
filosofia di Hume rappresenta l'estremo sviluppo dell'empirismo inglese
Il principale elemento di originalità della ricerca filosofica di Hume è indubbiamente il tentativo di applicare il metodo
sperimentale allo studio della natura umana; vede nell’analisi sistematica delle varie dimensioni che costituiscono
l’uomo (ragione, sentimento, morale, politica) il mezzo per far tornare la filosofia la prima scienza di riferimento del
sapere umano. Un simile rivolgimento è secondo Hume possibile poiché tutte le scienze sono in stretto rapporto con la
natura umana, in quanto fanno parte del bagaglio conoscitivo dell’uomo e da esso sono studiate giudicate. Scrive
Hume:
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“Il solo mezzo per ottenere dalle nostre ricerche filosofiche l’esito che ne speriamo, è di abbandonare il tedioso,
estenuante metodo seguito fino ad oggi; e invece di impadronirci, di tanto in tanto, d’un castello o d’un villaggio alla
frontiera, muovere direttamente alla capitale, al centro di queste scienze, ossia alla stessa natura umana: padroni di esso,
potremo sperare di ottenere ovunque una facile vittoria”.
Un’altra novità rappresentata dal pensiero di Hume è l’esito scettico dell’indagine sul mondo esterno, che porta alle
estreme conseguenze l’empirismo lockiano. Egli, infatti, contrapponendosi agli illuministi, ritiene che la natura umana
si componga di sentimento e istinto, più che di ragione. La ragione stessa, inoltre, non è che una specie di istinto
finalizzato al chiarimento di ciò che si accetta o si crede. Al momento in cui la ragione scopre che quelle verità ritenute
oggettive - cioè fondate sulla natura stessa delle cose - sono invece soggettive e dettate dall’istinto e dall’abitudine, è
inevitabile che si crei un contrasto tra essa e l’istinto. Questo contrasto si risolve però, secodno Hume, riconoscendo che
la ragione stessa, che dubita e cerca, è una manifestazione della natura istintiva dell’uomo. Ne risulta che la conoscenza
umana è solo probabile e intrinsecamente limitata.
60. Max Scheler. (Monaco di Baviera, 22 agosto 1874 – Francoforte sul Meno, 19 maggio 1928) è stato un filosofo
tedesco.
Assieme a Husserl fu uno dei maggiori esponenti della fenomenologia tedesca. Dal 1913 (uscita del primo volume del
Formalismus) fino al 1927 (uscita di Essere e Tempo di Heidegger) fu considerato il maggior filosofo tedesco per le sue
analisi sulla persona e sulla sfera affettiva (il fenomeno del risentimento, del pudore, della simpatia, dell’amare e
dell’odiare, dell’umiltà, della meraviglia, della sofferenza, dell’angoscia della morte) in cui sviluppa e rivede molte
tematiche nietzschiane con una sensibilità profondamente ispirata dal cristianesimo (per questo fu soprannominato il
"Nietzsche cattolico
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Allegati
IL QUESTIONARIO
serve a raccogliere il giudizio dei cittadini che hanno ricevuto cure per sé o per i
propri familiari negli ospedali della Ausl di Foggia. Lo scopo è individuare quali aspetti
del servizio reso possono essere migliorati per garantire una più adeguata assistenza.
Il questionario è anonimo, per cui Le chiediamo di rispondere con assoluta sincerità
alle domande.
La preghiamo di compilarlo in ogni sua parte, in particolare La invitiamo a non
tralasciare di indicare il reparto dove è stato ricoverato. Nel caso in cui durante la
degenza sia stato ospitato in più reparti, La preghiamo di rispondere tenendo in
considerazione solo il reparto dal quale è stato dimesso.
Se Le risultasse impossibile compilare autonomamente il questionario, Le chiediamo di
ricorrere all’aiuto di un familiare.
Chi compila il questionario: � paziente ricoverato � familiare
> I DATI QUI DI SEGUITO RICHIESTI SONO RIFERITI ALLA PERSONA CHE È
STATA RICOVERATA
Sesso: � maschio � femmina
Età: � 0 – 14 anni � 15 – 44 anni � 75 – 84 anni
� 45 – 64 anni � 65 – 74 anni � 85 anni e oltre
Titolo di studio: � scuola elementare � scuola media superiore
� scuola media � laurea
Il paziente ha usufruito di:
� ricovero � visita ambulatoriale � esame
108
Numero giorni di ricovero: � 3 – 7 � 15 - 21
� 8 - 14 � 22 e oltre
Reparto di dimissione:
(indicare solo l’ultimo reparto, quello da cui si è andati a casa)
� Ostetricia-Ginecologia
� Otorinolaringoiatria � Oculistica
� Chirurgia
� Urologia � Dialisi
� Medicina Interna
� Pediatria � Fibrosi Cistica
� Utic-Cardiologia � Hospice
� Ortopedia
Se durante questo ricovero il paziente è stato ospitato anche in altri reparti, lo si indichi qui di
seguito:
________________________________________________________________________
> SE LA PERSONA CHE COMPILA IL QUESTIONARIO NON È IL PAZIENTE CHE È
STATO RICOVERATO, LA INVITIAMO A RISPONDERE
ANCHE ALLE SEGUENTI TRE DOMANDE.
Sesso: � maschio � femmina
Età: � 0 – 14 anni � 45 – 64 anni � 75 – 84 anni
� 15 – 44 anni � 65 – 74 anni � 85 anni e oltre
Titolo di studio: � scuola elementare � scuola media superiore
� scuola media � laurea
1. Quanto è stato soddisfatto della gentilezza del personale medico?
� per niente
� poco
109
� abbastanza
� molto
2. Quanto è stato soddisfatto della gentilezza del personale infermieristico?
� per niente
� poco
� abbastanza
� molto
3. Quanto è stato soddisfatto della disponibilità manifestata dal personale medico?
� per niente
� poco
� abbastanza
� molto
4. Quanto è stato soddisfatto della disponibilità manifestata dal personale infermieristico?
� per niente
� poco
� abbastanza
� molto
5. Ha avuto la sensazione che i medici non fossero attenti ai Suoi problemi?
� spesso
� alcune volte
� quasi mai
� mai
6. Ha avuto la sensazione che gli infermieri non fossero attenti ai Suoi problemi?
� spesso
� alcune volte
� quasi mai
� mai
2
7. E’ accaduto che medici ed infermieri parlassero di Lei come se non fosse presente?
� spesso
� alcune volte
� quasi mai
� mai
110
8. I medici e gli infermieri hanno garantito la Sua privacy, ad esempio, nel comunicarLe
informazioni riservate o nello svolgere operazioni delicate al letto nella stanza insieme ad altri
pazienti?
� per niente
� poco
� abbastanza
� molto
9. Quando i medici Le hanno parlato della Sua malattia o della Sua condizione lo hanno fatto
in modo:
� molto difficile da capire
� un po’ difficile da capire
� abbastanza facile da capire
� molto facile da capire
10. I medici Le hanno spiegato i benefici del trattamento al quale è stato sottoposto?
� no, non me ne hanno parlato
� sì, ma in modo incomprensibile
� sì e in modo abbastanza facile da capire
� sì e in modo molto semplice da capire
11. I medici Le hanno parlato dei disturbi che gli esami e le cure avrebbero potuto
procurarLe?
� no, non me ne hanno parlato
� sì, ma in modo incomprensibile
� sì e in modo abbastanza facile da capire
� sì e in modo molto semplice da capire
12. I medici Le hanno detto in che modo la Sua malattia o il Suo stato possono condizionarLe
la vita quotidiana?
� no, non me ne hanno parlato
� sì, ma in modo incomprensibile
� sì e in modo abbastanza facile da capire
� sì e in modo molto semplice da capire
13. Quanto è stato soddisfatto della collaborazione fra medici di reparto e medico di famiglia?
� per niente
� poco
� abbastanza
111
� molto
� non sono a conoscenza di alcuna collaborazione
14. E’ stato coinvolto come desiderava nelle decisioni sulle scelte degli esami e delle terapie da
effettuare?
� per niente
� poco
� abbastanza
� molto
� preferisco non essere coinvolto
15. I Suoi familiari hanno avuto la possibilità di parlare con i medici?
� per niente
� poco
� abbastanza
� molto
� preferisco parlare direttamente con i medici
16. Lei o i Suoi familiari avete ricevuto informazioni sulla terapia da fare a casa?
� no, non me ne hanno parlato
� sì, ma in modo incomprensibile
� sì e in modo abbastanza facile da capire
� sì e in modo molto semplice da capire
17. Quanto è stato soddisfatto del materiale consegnato alla dimissione (lettera di dimissione,
opuscoli, fogli informativi, dieta o comportamenti da seguire)?
� per niente
� poco
� abbastanza
� molto
� non mi è stato consegnato nulla
18. Quanto è stato soddisfatto dell’informazione ricevuta in merito al trattamento del dolore?
� per niente
112
� poco
� abbastanza
� molto
� non mi è stata fornita nessuna informazione
19. Se ha avuto dolore durante il ricovero, è stato soddisfatto dell’attenzione e del trattamento
ricevuto per alleviarlo?
� per niente
� poco
� abbastanza
� molto
20. Come ha ritenuto la durata del suo periodo di degenza?
� non adeguata al mio problema di salute perché troppo breve
� non adeguata al mio problema di salute perché eccessiva
� abbastanza adeguata al mio problema di salute
� adeguata al mio problema di salute
21. Ritiene che le Sue condizioni di salute siano cambiate in seguito al ricovero?
� il mio stato di salute si è aggravato
� il problema non è stato risolto
� il problema è stato risolto solo in parte
� il problema è stato risolto completamente
22. Se prima del ricovero è passato dal Pronto Soccorso, è stato soddisfatto dell'attenzione e
del trattamento ricevuto?
� per niente
� poco
� abbastanza
� molto
113
23. Quanto è stato soddisfatto dei seguenti aspetti organizzativi dell’ospedale?
per
niente poco abbastanza molto
A) della possibilità di parcheggio
B) della raggiungibilità dell’ospedale con i mezzi
pubblici
C) della segnaletica (cartelli, ecc.) interna all’ospedale
D) della pulizia dei bagni e degli ambienti
E) del silenzio dell’ambiente
F) della qualità e quantità dei pasti
G) dell’orario di visita per i familiari
H) del numero dei professionisti presenti nel reparto di
ricovero
I) della collaborazione fra reparti e servizi (trasferimenti,
esami, consulenze, ecc.)
24. Se vuole può scrivere qui precisazioni, suggerimenti o quanto intende comunicarci:
________________________________________________________________________
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________________________________________________________________________
________________________________________________________________________
________________________________________________________________________
________________________________________________________________________
Grazie per la collaborazione e per il tempo dedicatoci.
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Bibliografia – Sitografia
- Augusto Murri (iscrizione presso L’ospedale di San Giacomo di Roma)
- Patto per la Salute 2014-2016 – Ministero della Salute, art.4, Umanizzazione delle cure, 10 luglio 2014
- Fabrizio Turoldo, (2007) – Etica e umanizzazione delle cure; (2010) – L’etica di fine vita;
- Giuseppe Manzato (2010) – La relazione medico – paziente fra tecnica ed etica
- L.R. Angeletti, V.Cazzaniga (2008) – “Storia, Filosofia ed Etica generale della Medicina”
- N. Elias (1983) Engagement und distanzierung
- Epistulae morales a Lucilium (Seneca) 94, 11-17
- Galeno – Il miglior medico
- Cartesio – Opere filosofiche – I principi della filosofia vol.3
- I. Kant – De Medicina Corporis
- K. Jaspers – Il medico nell’età della Tecnica
- Paul Ricoeur, (2006) – Il giudizio medico; (2011) - Sé come altro
- Michael Balint (2014) – Medico, paziente e malattia
- www. Filosofo.net
- www. treccani
- www oilproject.org
- www. enciclopediadellaPNL
- www. IPASVI
- www. nurse24
- www. wikipedia
- il caffè filosofico –il sole 24ORE
- Protagonisti e Testi della Filosofia (Paravia)
- Storia della Filosofia – Nicola Abbagnano.