FABIO GEDA Nel mare ci sono i coccodrilli - Oblique · incisi in corsivo. Ma non si tratta di un...

18
rassegna stampa monografica FABIO GEDA Nel mare ci sono i coccodrilli rs_fabio geda_maffione:Layout 1 23/06/2010 16.29 Pagina 1

Transcript of FABIO GEDA Nel mare ci sono i coccodrilli - Oblique · incisi in corsivo. Ma non si tratta di un...

Page 1: FABIO GEDA Nel mare ci sono i coccodrilli - Oblique · incisi in corsivo. Ma non si tratta di un reportage né di un’inchiesta. Un romanzo piuttosto, o si preferisce dire una “non-fiction

rassegna stampa monografica

FABIO GEDANel mare ci sono

i coccodrilli

rs_fabio geda_maffione:Layout 1 23/06/2010 16.29 Pagina 1

Page 2: FABIO GEDA Nel mare ci sono i coccodrilli - Oblique · incisi in corsivo. Ma non si tratta di un reportage né di un’inchiesta. Un romanzo piuttosto, o si preferisce dire una “non-fiction

A cura di Valeria BarraccoImpaginazione a cura di Carmen Maffione

© Oblique Studio 2010via Arezzo 18 – 00161 Roma

www.oblique.it

rs_fabio geda_maffione:Layout 1 23/06/2010 16.29 Pagina 2

Page 3: FABIO GEDA Nel mare ci sono i coccodrilli - Oblique · incisi in corsivo. Ma non si tratta di un reportage né di un’inchiesta. Un romanzo piuttosto, o si preferisce dire una “non-fiction

Enaiat Akbari aveva dieci anni quando lasciòl’Afghanistan, tredici quando arrivò in Italia. Trala partenza e l’arrivo condusse l’esistenza nascostadel clandestino, “più al buio che alla luce”, inse-guito tra Quetta e il Mediterraneo da poliziotti chericordava invariabilmente “enormi”. E sopravvis-se. Sopravvisse alle pallottole dell’esercito irania-no, a un mese di marce forzate in alta montagna,alle onde che in Egeo inghiottirono un suo coeta-neo, al doppiofondo del Tir dove restò chiuso tregiorni. Quando finalmente riuscì a entrare di sop-piatto in Italia, portava dentro di sé tante storiemeravigliose e terribili quante non basta una setti-mana per raccontare, se solo qualcuno volesseascoltarle. “Da dove vieni?” gli domandarono ininglese le prime persone che incontrò sul suolo ita-liano, due ciclisti. “Dall’Afghanistan”. “Ah,Taliban”. E ripresero a pedalare.

I clandestini che sbarcano in Europa suscitanopaura, ostilità o una qualche generica compassio-ne: mai curiosità. In genere li chiudiamo dentroparole-container che ci aiutano a mantenerlimuti. Per la televisione italiana sono sempre “idisperati”, dunque coloro che non hanno piùsperanze: eppure la tenacia con cui rischiano lapelle per arrivare in Europa si spiega soltanto conla speranza più smodata. Molta destra li conside-ra un pericolo sociale, quando non soldati dellaformicolante cospirazione islamica per occuparel’Eurabia. Molta sinistra li vuole ricettori passividi pietà pacifista, e se afghani, poveri bruti infuga dalla guerra imposta da una nota organizza-zione di assassini, la Nato.

In ogni caso non interessano. Sono non-perso-ne di cui riteniamo di sapere già abbastanza, figu-ranti in rappresentazioni ideologiche che nondevono smentire. Dunque non scommetteremmosul successo di questo Nel mare ci sono i cocco-drilli, col quale Enaiat Akbari adesso prova asuscitare la nostra curiosità. Però il libro ha lequalità per smentirci. All’epoca dei fatti Enaiatera un clandestino-bambino, il primo che si rac-conti. E lo scrittore che gli presta uno stile lettera-rio, Fabio Geda, riesce nell’acrobazia più difficile,

ripercorrere quella cupa avventura con il passolieve dell’infanzia.

Il risultato è un racconto che ha una caratte-ristica piuttosto afghana, una straordinaria deli-catezza. La morte vi irrompe con pudore,inevitabile compagna di viaggio. E come inun’odissea infantile, l’eroe si imbatte in creaturefiabesche, animali mai visti, mucche ferocissime(in realtà cinghiali) e coccodrilli in agguato tra leonde del Mediterraneo. Enaiat-Geda raccontasenza mai piagnucolare. E, crediamo, senza men-tire. Anche se lo scrittore si fosse preso qualchelicenza, perfino se fosse ricorso all’invenzione let-teraria in quantità massiccia, Nel mare ci sono icoccodrilli sarebbe comunque un libro veritiero.

Per averne la conferma basta confrontarlo conl’esperienza di un altro clandestino afghano,Alidad Shiri. Autore con una sua insegnante,Gina Abbate, di un resoconto che bada soprattut-to all’esattezza (Via dalla pazza guerra, Il Margine,2007), Alidad è poco più grande di Enaiat e anchelui un hazara, l’etnia più povera e più vessatadell’Afghanistan. Ha compiuto lo stesso percorsodell’altro e rischiato la pelle negli stessi luoghi, legelide catene montuose sul confine turco-irania-no, forse la più grande tomba di migranti che visia sulla terraferma. Come Enaiat si è unito adaltri ragazzini afghani che marciavano insiemeverso l’ignoto, facendo tappa lì dove un lavoromanuale permetteva di racimolare denaro suffi-ciente per pagare i contrabbandieri e scavalcare ilconfine successivo. E anche lui è stato salvatodalla solidarietà inattesa che gli hanno offerto lepersone più diverse, con la semplicità dei gestinaturali. Infine entrambi hanno trovato in Italiauna seconda famiglia, Enaiat nella coppia che loha preso in affidamento, Alidad in una piccolafratria di insegnanti di Merano.

Dunque c’è un lieto fine, tanto più rassicuran-te in quanto italiano. Ma questo è l’unico punto incui entrambi i libri potrebbero ingannare. Nellarealtà i migranti bambini che arrivano da soli inItalia oggi corrono il rischio di essere rimandatiindietro appena raggiungono la maggiore età. Il

L’ODISSEA DI UN MIGRANTE BAMBINO

Guido Rampoldi, la Repubblica, 24 aprile 2010

3

rs_fabio geda_maffione:Layout 1 23/06/2010 16.29 Pagina 3

Page 4: FABIO GEDA Nel mare ci sono i coccodrilli - Oblique · incisi in corsivo. Ma non si tratta di un reportage né di un’inchiesta. Un romanzo piuttosto, o si preferisce dire una “non-fiction

rimpatrio è infatti una possibilità prevista dallalegge, che affida la decisione all’arbitrio di autori-tà talvolta bizzose, soprattutto se devote al tribali-smo cimbro. Ovviamente l’immigrazione èquestione complicata e non può essere risolta conatti di buon cuore. Ma il punto è un altro: molticlandestini hanno qualità – la forza di carattereche li ha portati in Italia, l’autenticità delle loroesistenze – non comunissima nella generazioneche si accapiglia e singhiozza sull’Isola dei famosi.Perché dovremmo respingerli?

E perché non cominciare ad ascoltarli? Magaricapiremmo l’Afghanistan, mistero di cui, confer-ma la stampa italiana, sappiamo nulla e nullavogliamo sapere.

modo di raccontarla, per nulla pietistico, a trattiperfino autoironico, mi hanno incantato fin dalprimo momento. Stavo presentando un altro libro(Per il resto del viaggio ho sparato agli indiani, ilsuo pluripremiato esordio del 2007) e lui era lì,con un gruppo di amici. Appena ho sentito il suoracconto gli ho proposto di raccontarlo, e lui ne èstato entusiasta. Ma non ero ancora pronto…

Che cosa mancava? Col senno di poi, potrei dire che dovevo ancoracrescere. Ma in realtà non me la sentivo di raccon-tare un’altra storia, sia pure del tutto diversa, di unragazzo straniero dopo quella di Emil (l’adolescen-te romeno protagonista del primo romanzo), teme-vo che quello diventasse un ghetto narrativo,un’etichetta. Così ho fatto altre cose, ho scritto unaltro libro e quando sono stato pronto sono torna-to a cercare quella persona e quella storia. E abbia-mo ripreso da dove eravamo rimasti». Taccuino oregistratore? «All’inizio soltanto il primo. Quandoha iniziato il suo viaggio Ena aveva dieci anni,quando è arrivato a Torino ne aveva quindici, nelmezzo è successo di tutto e non sempre i suoi ricor-di erano nitidi. Abbiamo cominciato a metterepunti fermi sulla carta geografica, a disegnare lastrada. Soltanto in seguito abbiamo registrato, ecominciato a scrivere e a rileggere. Io cercavo didare uno spessore narrativo a quello che scoprivo,lui correggeva e cambiava quello che non gli appa-riva abbastanza realistico, le frasi che un afghanonon avrebbe mai detto…

E i coccodrilli? Mi piace intitolare i libri con qualcosa che nellibro viene detto davvero. In questo caso, le paro-le sono di un ragazzino più piccolo che si trovavacon Ena sul gommone col quale dalla Turchiasono arrivati in Grecia. Non avevano mai visto ilmare, erano soli, abbandonati dai trafficanti cheprima li avevano fatti lavorare per loro, eppurescherzavano e si raccontavano le loro paure, comequella di incontrare i coccodrilli, appunto.

Quanto c’è di vero e quanto di romanzato nellibro? Tutto è vero, come abbiamo tenuto a scriverenel sottotitolo. Io ho fatto un lavoro di ricamosu odori, sapori, dialoghi, anche perché Enaparla un buon italiano ma non abbastanza dascrivere. Siamo stati d’accordo sul fatto che il

LA FUGA DI ENA.GEDA: IL MIOROMANZO-VERITÀ

Vera Schiavazzi, la Repubblica Torino, 27 aprile 2010

Che cosa succede quando uno scrittore incontrauna storia che lo affascina, e questa storia non èsoltanto nella sua fantasia né in una vecchia foto,ma ha il volto e la voce di un ragazzo? Qualcosadel genere è accaduto quando Fabio Geda, più ditre anni fa, ha “trovato” (o viceversa) EnaiatollahAkbari, uno dei giovani afghani che negli anniNovanta sono arrivati a Torino per fuggire dallaguerra, dalla miseria, dai talebani. Ne è nato unlibro, Nel mare ci sono i coccodrilli, il primo chelo scrittore torinese pubblica con Baldini CastoldiDalai. Geda presta la penna alla storia del fuggi-tivo, familiarmente chiamato Enaiat, o addirittu-ra Ena, e solo raramente se la riprende per breviincisi in corsivo. Ma non si tratta di un reportagené di un’inchiesta. Un romanzo piuttosto, o sipreferisce dire una “non-fiction novel”. PerchéEna è davvero scappato dal suo villaggio, Nava,nella provincia di Ghazni, ha camminato con lamadre fino a Quetta, in Pakistan, e lì è stato da leiabbandonato perché potesse salvarsi.

Geda, perché ha scritto questo libro? Perché la storia di Ena, ma soprattutto il suo

4

Oblique Studio

rs_fabio geda_maffione:Layout 1 23/06/2010 16.29 Pagina 4

Page 5: FABIO GEDA Nel mare ci sono i coccodrilli - Oblique · incisi in corsivo. Ma non si tratta di un reportage né di un’inchiesta. Un romanzo piuttosto, o si preferisce dire una “non-fiction

libro dovesse parlare prima di tutto ai giovani,ai ragazzi, e che quindi non dovesse essere nétroppo lungo né troppo noioso. Spero di essereriuscito a regalare a Ena la sua storia.

Che cosa sapeva dell’Afghanistan prima, e checosa sa ora?

Prima quasi nulla, ora certamente poco. Ma noncredo che fosse importante raccontare per estesoche cosa accade laggiù, altri lo hanno fatto megliodi noi. Quello che volevamo fare era condividerela storia di un bambino costretto a fuggire da casasua dopo aver perso il padre e la scuola, un bam-bino che la madre deve salvare abbandonandolo.

5

Fabio Geda, Nel mare ci sono i coccodrilli

rs_fabio geda_maffione:Layout 1 23/06/2010 16.29 Pagina 5

Page 6: FABIO GEDA Nel mare ci sono i coccodrilli - Oblique · incisi in corsivo. Ma non si tratta di un reportage né di un’inchiesta. Un romanzo piuttosto, o si preferisce dire una “non-fiction

6

Solo la scrittura di Fabio Geda, che è tutt’unocon le corde della sua anima, poteva veicolare ilracconto vero della saga popolare, umana, meta-fisicamente dolorosa di Enaiatollah Akbari, origi-nario della provincia di Ghazni, in Afghanistan,che all’età di dieci anni viene accompagnato dallamadre a Quetta, in Pakistan: preferisce abbando-narlo piuttosto che consegnarlo ai guerriglieripashtun come pagamento per un ipotetico debi-to contratto dal padre, ucciso qualche annoprima. La sua è la storia di un bambino-Ulisse,arrivato fortunosamente a Torino, dove il suoporto sicuro è stata una nuova famiglia, e unapagina pronta ad accoglierlo, e, ci si augura, unafolla di lettori con l’orecchio teso, ad ascoltare.Commovente, ironico, bellissimo.

«Ascoltami bene, bambino mio. Il primo coman-damento è: non usare droghe. Il secondo: nonusare armi. Il terzo: non rubare». Sono i cardinidi una promessa che va oltre un divieto. Nonsono parole che vengono dal cielo, ma quelle diuna donna nata in una terra martoriata e fragile,l’Afghanistan. È la preghiera di una madre alproprio figlio: «Salvati, anche senza la tua fami-glia, salvati bambino mio, vattene da qui».

Il figlio si chiama Enaiatollah Akbari, e ha promes-so. Adesso ha ventun anni, Enaiatollah. Quandoha ricevuto i tre comandamenti ne aveva dieci. Equelle sarebbero state le ultime parole ascoltateguardando gli occhi di chi l’ha messo al mondo.Da quel momento comincia il suo viaggio perlasciare la paura che tormentava la sua famiglia, ilcammino di chi si porta addosso anche il destinodi un popolo. Dall’Afghanistan al Pakistan, e poil’Iran, la Turchia. Poi la Grecia, infine l’Italia,Torino. È l’odissea di un piccolo uomo che nonvuole dimenticare, mai. Non vuole dimenticare unpadre ammazzato, l’addio ai due fratelli, i pestag-gi, i chilometri fatti nei doppifondi dei camion onelle stive delle navi, i lavori da schiavo, la fameche consuma l’esistenza. Non vuole dimenticareuna madre e quell’idea di felicità.

E se Enaiatollah riuscirà a non dimenticare èanche grazie a un libro in cui si è raccontato: Nelmare ci sono i coccodrilli, scritto da Fabio Geda(già finalista al premio Strega e miglior esordiodell’anno di Fahrenheit). Un libro bellissimo, chemette in luce la dignità di un essere umano e ilcoraggio di sopravvivere.

«Il coraggio di guardare», dice Geda quandolo incontro al Circolo dei lettori di Torino.

LO LEGGOSUBITORed.,Grazia, 3 maggio 2010

UNA VOLTASOLA,MAMMAMarco Missiroli, Vanity Fair, 5 maggio 2010

rs_fabio geda_maffione:Layout 1 23/06/2010 16.29 Pagina 6

Page 7: FABIO GEDA Nel mare ci sono i coccodrilli - Oblique · incisi in corsivo. Ma non si tratta di un reportage né di un’inchiesta. Un romanzo piuttosto, o si preferisce dire una “non-fiction

Guardare che cosa?Ho incontrato Enaiatollah tre anni fa, duranteuna presentazione al centro interculturale diTorino. Lui stava raccontando la sua storia. Io eFrancesco Colombo, editor della BaldiniCastoldi Dalai, ci siamo innamorati non solo diquesto viaggio ai limiti dell’immaginazione, madi come lo narrava. Dello sguardo che, nono-stante tutto, riusciva a calare sulla propria vita:non pietistico, ma deciso, autentico, a tratti per-sino autoironico. Per lui, raccontarsi era ungesto di pura condivisione. E lo faceva guardan-do al futuro.

In che senso?Credo fosse consapevole del fatto che storiecome la sua possono cambiare il modo di perce-pire l’altro. L’altro diverso da noi. Ma non solo:anche il modo con il quale vediamo noi stessi.Enaiatollah ha una percezione del mondo diffe-rente da quella della maggior parte delle persone.Conosce il valore delle cose, della vita. E poi,l’unico sistema per fare pace con il proprio pas-sato è riuscire a osservarlo dall’esterno. Ancheper questo motivo è nato il libro. Mi piaceva pen-sare di poter offrire a Enaiatollah l’occasione dimettere definitivamente ordine in quegli anni.

Com’è stato lavorare con lui?Meraviglioso. Mi ha permesso di entrare nella suavita. La mia più grande paura era deluderlo conquello che avrei scritto. Mi sono messo al serviziodella sua memoria. Ho tentato soprattutto dimettermi all’ascolto di quel non detto che accom-pagna sempre le storie. In questo mi ha aiutatomolto la mia esperienza da educatore.

Uno scambio alla pari. Sì, ci siamo regalati a vicenda. Lui ha scelto diaffidarsi a me. E l’ha fatto con una storia incredi-bile. Io ho provato a restituirgli una voce che arri-vi a più persone possibili. È stata una faticaenorme eliminare qualsiasi preconcetto, abbassa-re le difese e lasciarmi attraversare dalla sua esi-stenza. Diventare orecchio per poi essere voce.Spero di esserci riuscito. In questo ho sentitomolto il peso della responsabilità.

Quasi paterna.In un certo modo.

La madre lascia a Enaiatollah tre comanda-menti. Gliene daresti un altro?Non fermarti, Ena. Continua a raccontare, a viag-giare con la parola anche se rimarrai a Torino efinalmente rimetterai radici. Non fermarti.

Enaiatollah è appena arrivato, si affaccia nellastanza dove io e Geda stiamo parlando. Geda sialza e lo abbraccia. Enaiatollah ride. Sembra feli-ce. Gli chiedo se davvero lo è.

«Sono sempre stato felice. L’uomo è felice quan-do supera un’altra felicità. Non ricordo chi lodice, un filosofo mi sembra. Io sono d’accordo».

Quante felicità hai superato?Ogni giorno che passava ero più felice. Perchéero vivo. E anche nei momenti terribili, quandolavoravo tutto il giorno per un pezzo di pane, cer-cavo un motivo per esserlo: e questo motivo era ilvenerdì, quando avevo mezza giornata libera epotevo pensare a me. E ai miei sogni. Mi sonobastati i miei sogni per andare avanti, adesso mibasta la mia famiglia (Enaiatollah vive a Torino:ha una madre e un padre e due fratelli italianiaffidatari, ndr).

Ti trovi bene con loro?Strabene. Mio fratello grande è musicista, appenaarrivato mi faceva ascoltare Mozart, Beethoven,Brahms, non ci capivo niente.

E adesso lo capisci Mozart?Più di una volta. Ma io amo materie come lastoria e il diritto, sto studiando per diventareassistente sociale, andrò ad aiutare gli anziani.Nel frattempo lavoro come mediatore in unascuola, e il pomeriggio mi hanno affidato unragazzo disabile. C’è un’altra cosa che mi piacemolto.

Che cosa?Il calcio. Ci troviamo il sabato pomeriggio e gio-chiamo. Siamo di tutte le nazionalità, afghanisoprattutto.

Loro conoscono la tua storia?Alcuni sì, altri no. Molti hanno subito quello cheho subito io. Magari a qualcuno darò il libro, è ilmodo migliore per raccontarla.

Fabio Geda, Nel mare ci sono i coccodrilli

7

rs_fabio geda_maffione:Layout 1 23/06/2010 16.29 Pagina 7

Page 8: FABIO GEDA Nel mare ci sono i coccodrilli - Oblique · incisi in corsivo. Ma non si tratta di un reportage né di un’inchiesta. Un romanzo piuttosto, o si preferisce dire una “non-fiction

Quindi Fabio ha fatto un buon lavoro.Se non ci fosse stato Fabio, non sarei mai riusci-to a raccontarla come andava fatto. Certe volterileggo la mia storia come l’ha scritta lui e pensoche era proprio così che bisognava fare. Ognicosa è vera, e andava scritta in quel modo. E io laracconterò d’ora in poi in quel modo.

Raccontarla significa salvarla?Mi sento obbligato e lo voglio fare. Per far capi-re alle persone la vita di tutti gli immigrati,soprattutto afghani. Non so se è un modo perdifendermi da quello che mi è successo o percombattere i pregiudizi verso chi lascia la propriaterra.

Forse tutt’e due.Forse sì. Io cerco d’informarmi, guardo Ballarò eAnnozero. Sono contento se posso dare un con-tributo, aiutare a far capire che nessuno vorrebbelasciare la propria terra se non fosse costretto afarlo per sopravvivere. O per far sopravvivere.Perché solo in pochi si chiedono com’è il passatodi un immigrato? O perché ha messo sé stesso suun barcone? Molti si dimenticano che lasciare ilproprio Paese vuol dire stare male. E che nessu-no vuole rompere le scatole.

Tu volevi venire proprio in Italia?È stato sempre il caso a guidarmi da una terraall’altra. Ero contento solo ogni volta che arriva-vo in una città nuova, perché significava averequalche possibilità in più di salvarsi. Ho semprecercato un posto migliore dove sopravvivere. Siain Iran che in Turchia si è sempre e comunquedegli immigrati clandestini, quindi sono dovutoandare via. In Pakistan era meglio, ma non avevonessuno. Ora, la mia terra è l’Italia.

Hai più avuto contatti con la tua famiglia inAfghanistan?Mia madre l’ho risentita dopo diversi anni.Adesso la chiamo ogni volta che posso. E anche imiei fratelli afghani. Spero di rivederli presto, ionon posso tornare in Afghanistan (Enaiatollah èrifugiato politico dal 2007, ndr). Li mantengoperché là non c’è lavoro, così mio fratello puòstudiare. Non voglio passi quello che ho passatoio, voglio che alleni il cervello. Il cervello e la for-tuna possono farti felice. Non dare fastidio a nes-suno può farti felice.

Riassumi i tre comandamenti di tua madre.Dovunque fossi, preferivo morire piuttosto chedare fastidio. Così è adesso: non sono venuto quiper rubare o per arricchirmi. Ho passato il peg-gio del peggio, ma non mi sono mai permesso diprendere niente che non potevo prendere.Tranne una volta.

Vuoi raccontarlo?Dall’Iran dovevamo arrivare in Turchia. Abbiamooltrepassato le montagne a piedi, era inverno e ilviaggio è durato 29 giorni. Le mie scarpe eranorotte, avevo le dita viola che non sentivano piùniente. Ho visto un gruppo di persone seduteimmobili sulla neve. Mi sono avvicinato e ho capi-to che erano morte per il freddo. Così l’ho fatto: auno di loro ho rubato gli scarponi.

Oblique Studio

8

«Non usare droghe, non usarearmi per fare del male a un altroessere umano, non rubare».Queste parole lo hanno salvato

rs_fabio geda_maffione:Layout 1 23/06/2010 16.29 Pagina 8

Page 9: FABIO GEDA Nel mare ci sono i coccodrilli - Oblique · incisi in corsivo. Ma non si tratta di un reportage né di un’inchiesta. Un romanzo piuttosto, o si preferisce dire una “non-fiction

L’Afghanistan spiegato agli italiani adulti, con leparole di un bambino “alto come una capra”, diecianni forse, che vorrebbe passare le giornate a gio-care a Buzul-bazi, a biglie con un osso quadrato,con gli amici del villaggio hazara sperduto in unavalle tra Kabul e Kandahar, e invece per la minac-cia di un signorotto pashtun deve andare via.

Il Pakistan, l’Iran, la Turchia, infine l’Europa,passano gli anni, continua il viaggio insopporta-bile e ineluttabile di un adolescente che spaccapietre per mettere via pochi soldi, un giornodopo l’altro, dimenticando l’infanzia per soprav-vivere: «Ero a un punto di non ritorno, come ditevoi… a tal punto che perfino la memoria avevasmesso di tornare e c’erano giorni interi e setti-mane che non mi veniva più da pensare al miopaesino nella provincia di Ghazni e a mia madreo a mio fratello e a mia sorella, come invece face-vo all’inizio, quando la loro immagine era untatuaggio sugli occhi».

Scala le montagne, un mese al gelo del confinetra Iran e Turchia, tra morti assiderati e di fatica,«scomparsi nel silenzio, e io non me n’ero neppu-re accorto». Arriva a Istanbul, tre giorni rannic-chiato senza aria nel doppiofondo di un camioninsieme a decine di altri sventurati. «Da un certomomento in poi, ho smesso di esistere; ho smes-so di contare i secondi, di immaginare l’arrivo.Piangevano il pensiero e i muscoli. Piangevano iltorpore e le ossa». Non trova lavoro, riparte perla Grecia con un gommone gonfiabile e unabanda di ragazzini più piccoli di lui, Hussein Alìche ha paura dei coccodrilli in mare. Incontrapersone gentili, raggiunge Atene, si nasconde inun camion, riparte, approda a Venezia, si salva.

Sembra un romanzo di fantasia (triste) e d’av-ventura (estrema), con il lieto fine dell’accoglienzain una famiglia torinese e il respiro silenzioso dellamamma dall’altra parte della cornetta: «In quelmomento ho saputo che era ancora viva e forse, lì,mi sono reso conto per la prima volta che lo eroanche io». È l’incredibile storia vera di EnaiatollahAkbari, raccontata da Fabio Geda: Nel mare cisono i coccodrilli. Da meno di un mese in libreria,

già al terzo posto nella classifica generale dei piùvenduti.

A dargli una buona spinta è stato Fabio Fazioche ha avuto Enaiatollah ospite della sua trasmis-sione Che tempo che fa. Ma considerarla l’unicaragione sarebbe fargli torto.

Geda restituisce al ragazzo un linguaggio lievee poetico. Mai cinico né duro, nonostante la mate-ria crudele. Ravviva il ritmo e dà autenticità allanarrazione introducendosi in prima persona,riportando passaggi del dialogo attraverso cui si ècostruito il racconto. «Posso parlarti di quando italebani hanno chiuso la scuola, Fabio?» «Certo».«Ti interessa?» «Mi interessa tutto, Enaiatollah».Educatore prima che scrittore, esperto d’infanziae adolescenza, Fabio Geda, 38 anni, si innamora –parole sue – della storia del ragazzino afghano,allora diciassettenne, alla presentazione del suoprimo romanzo (Per il resto del viaggio ho spara-to agli indiani) nel 2007, al Centro Interculturaledi Torino. Meglio, si innamora di comeEnaiatollah cerca di raccontarla: «Senza pietismo,né autocommiserazione, con leggerezza e ironia».

La folgorazione è reciproca. Enaiat, comeviene chiamato, studia tenacemente l’italiano, maarrivato da poco non è in grado di esprimersicome vorrebbe. «Avevo bisogno di qualcuno chemi regalasse la mia stessa storia», dice adesso.Con Fabio passano insieme giornate intere. «Apartire dalla ricostruzione della sua memoria». Iricordi sono confusi, lacunosi, «un magma indi-stinto». Lavorano a mettere in ordine le tappe delviaggio, cercano su Internet, su Google Maps, letracciano sulla cartina. Il racconto comincia adaffiorare. Fabio accende il registratore. Poi tornaa casa, riascolta e scrive. «Cercando di esprimer-mi come avrebbe fatto lui».

È il segreto del libro. Geda riesce a rivestireuna testimonianza sulla guerra, la violenza, il traf-fico di esseri umani, la ricerca di una vita, nean-che migliore, semplicemente umana, della pelle edelle ossa leggere di un ragazzino, che camminaal passo di un racconto di bambini. Tracciandoun sentiero consigliato anche agli adulti.

KABUL-TORINO, FUGA PER LA VITA

Alessandra Coppola, Corriere della Sera, 9 maggio 2010

9

rs_fabio geda_maffione:Layout 1 23/06/2010 16.29 Pagina 9

Page 10: FABIO GEDA Nel mare ci sono i coccodrilli - Oblique · incisi in corsivo. Ma non si tratta di un reportage né di un’inchiesta. Un romanzo piuttosto, o si preferisce dire una “non-fiction

Enaiatollah era un ragazzino afghano che amavagiocare a buzul-bazi, un gioco che si fa “con unosso preso dalla zampa delle pecore”. Chiamava“paradiso” Nava, il villaggio dove viveva con lamadre, nella provincia di Ghazni, e aveva un bravomaestro. Un giorno sua madre gli disse:“Partiamo” e lui senza capire rispose “partiamo,mamma, e dove andiamo?”. “Partiamo”, disse lamadre. Tre giorni di viaggio, tre giorni diAfghanistan, poi il Pakistan e una notte cheEnaiatollah non scorderà. “Non rubare, non ucci-dere, non drogarti”, disse la madre a un addor-mentato ragazzino afghano di nome Enaiatollah. Epoi “khoda negahdar”, “addio”, disse la madre.Tornata a Nava, tornata in quella terra (correval’anno 2001) che i talebani chiamavano “loro”.“Agli hazara – la famiglia di Enaiatollah era dietnia hazara – spetta il Goristan”, dicevano gli stu-denti coranici. “Gori” significa tomba. Poi l’odis-sea, per questo ragazzino senza età, giunto sotto laMole cinque anni fa, dopo aver venduto merendi-ne in Pakistan, aver viaggiato tra Iran, Turchia,Grecia, essere passato da Venezia e da Roma. Ora– secondo le autorità – ha ventun anni e dagliamici italiani si fa chiamare Giorgio. Per comodi-tà. È rifugiato politico e vive con l’assistente socia-le che lo prese in cura, è lei la sua nuova madre.Fabio Geda, scrittore torinese, ha raccolto la suatestimonianza in un piccolo volume, Nel mare cisono i coccodrilli, uscito da poco per la BaldiniCastoldi Dalai.

Geda, com’è nata l’idea di un libro che raccon-tasse l’odissea di Enaiatollah? Ci siamo incontrati tre anni fa alla presentazio-ne di uno dei miei romanzi. Durante l’incontroil centro interculturale chiese a Enaiatollah di

raccontare la sua storia; ci siamo innamoratisubito del suo modo di raccontare, era incredi-bile il suo sguardo pieno di ironia e leggerezzanonostante fosse una storia incredibilmentedrammatica.

È stato difficile interpretare le emozioni di unragazzino afghano?Io ho lavorato come educatore per tanti anni,conosco lo sguardo dei ragazzini, il ritmo e ilmodo estraniante che hanno di utilizzare le paro-le e trasmettere i loro concetti. Diciamo che èstato difficile come sempre quando racconti unastoria di qualcuno che non sei tu.

Quanto tempo ha trascorso con Enaiatollah perla stesura del libro?Sette mesi, passando diversi pomeriggi a rico-struire il viaggio cercando i posti sulle cartine eapprofondendo alcune cose che mi sembravanopiù importanti.

C’era qualcosa in particolare che lei voleva met-tere in risalto?Il mio è stato più un lavoro di mimesi, nel sensoche ho cercato di capire cosa lui volesse metterein risalto. Era lui che aveva alcune priorità, io hosolo cercato con gli strumenti tipici della narrati-va e della fiction di costruire una storia che fossepiacevole da leggere. Siamo convinti che questasia una storia che possa cambiare il modo con ilquale le persone guardano i ragazzi comeEnaiatollah. Se un ragazzino di sedici/diciassetteanni legge questo libro si rende conto di come èfatto il mondo e in che parte di mondo è nato,arrivando a capire che tipo di responsabilità hanella vita.

NEL MARE CI SONO I COCCODRILLIINTERVISTA A FABIO GEDA

Gaetano Veninata, www.estjournal.wordpress.com, 9 maggio 2010

10

rs_fabio geda_maffione:Layout 1 23/06/2010 16.29 Pagina 10

Page 11: FABIO GEDA Nel mare ci sono i coccodrilli - Oblique · incisi in corsivo. Ma non si tratta di un reportage né di un’inchiesta. Un romanzo piuttosto, o si preferisce dire una “non-fiction

Come ha fatto Enaiatollah a ritrovare la madre?Lui lavoricchia sempre, da quando è arrivato inItalia: con i primi soldi guadagnati ha chiesto aun signore pakistano che conosceva di andare acercare i suoi familiari e di portarli in Pakistan.Cosa che è avvenuta senza bisogno di denaro.

A Torino c’è una grande comunità afghana?No, gli afghani non sono molti in tutta Italia e aTorino ci sono solo trenta o quaranta ragazzi, constorie simili a quella di Enaiatollah. Lui per gliincroci strani della vita mi ha acceso la voglia diraccontare la sua storia, un’esigenza fortissimache sentivamo entrambi.

Non ha nostalgia dell’Afghanistan, Enaiatollah?Credo che abbia una grande nostalgia della fami-glia e della sua infanzia in quel paesino da cui èscappato: lo si vede quando parla della scuola,

del maestro ucciso dai talebani, dei suoi giochipreferiti. Ma credo che oggi sia contento di vive-re in un paese nel quale può sperare in un futuromigliore. Non crede che dal 2001 sia cambiatoassolutamente nulla in Afghanistan. Non ci sonole condizioni per tornare. Anzi, vorrebbe farvenire in Italia anche il fratello, ma lui sembraessere un po’ riluttante. Ma credo cheEnaiatollah ci proverà ancora a convincerlo.

Vi siete già messi d’accordo per un futuro viag-gio in Afghanistan?Lui vorrebbe addirittura partire quest’estate perandare a trovare la madre, che ormai vive inPakistan. In Afghanistan non può tornare perchéè rifugiato politico in Italia e sarebbe un contro-senso. Io vorrei accompagnarlo, ma lui si rifiutadi portarmi perché dice che è troppo pericoloso,che mi rapirebbero.

11

Fabio Geda, Nel mare ci sono i coccodrilli

rs_fabio geda_maffione:Layout 1 23/06/2010 16.29 Pagina 11

Page 12: FABIO GEDA Nel mare ci sono i coccodrilli - Oblique · incisi in corsivo. Ma non si tratta di un reportage né di un’inchiesta. Un romanzo piuttosto, o si preferisce dire una “non-fiction

È un piccolo caso editoriale, di quelli di cui sichiacchiererà all’infinito agli stand del Salone dellibro. Un romanzo-biografia, o meglio un roman-zo-intervista, che ha scalato le classifiche di ven-dita (ora è al secondo posto) armato di una prosasemplice, di una storia stranamente sospesa tral’incubo e la fiaba. Si intitola Nel mare ci sono icoccodrilli (Baldini Castoldi Dalai editore, pp.156, euro 16) e racconta le vicende di EnaiatollahAkbari, un ragazzino afghano che è riuscito adarrivare in Europa dopo un viaggio clandestinodurato cinque anni. L’odissea di questo profugo(che ora ha più o meno ventun anni) raccoltadallo scrittore Fabio Geda potrebbe essere rias-sunta così. Enaiatollah è membro dell’etnia haza-ra, da sempre considerata da talebani e pashtuncarne da macello. Suo padre viene ucciso daibanditi mentre è obbligato a guidare un camioncarico di merci dei pashtun. Quelli trovano deltutto naturale prendersi il ragazzino come schia-vo in cambio della merce perduta. La madre,allora, per salvarlo si dà alla fuga con Enaiatollah,che ha solo dieci anni, e lo porta in Pakistan,dove è costretta ad abbandonarlo per tornarenella sua valle a occuparsi degli altri figli. Da allo-ra il ragazzo, sporadicamente perseguitato daifondamentalisti, vive facendo lo sguattero, il ven-ditore ambulante, il muratore e qualsiasi altraprofessione gli capiti a tiro. Intanto passa illegal-mente i confini (per lui che non è mai stato regi-strato all’anagrafe la legalità non può esistere),sino ad arrivare in Europa, dove viene adottatoda una famiglia italiana.

Geda, dove ha conosciuto Enaiatollah?Ho conosciuto Enaiatollah tre anni fa, a una pre-sentazione del mio primo romanzo, Per il resto delviaggio ho sparato agli indiani. L’avevano invitatoper raccontare la sua storia vera come controcantoalla mia, che era di pura invenzione. Lui narravaqueste vicende incredibili, a tratti tragiche, con untono leggero, ironico e con uno sguardo teso alfuturo che mi sono sembrati eccezionali.

Come si spiega che un ragazzino sia riuscito asopravvivere a una vicenda del genere mante-nendo la gioia di vivere?Ho a lungo lavorato come educatore e c’è in psi-cologia un termine specifico …«resilienza». Indicala capacità di non spezzarsi sotto i colpi della vita.Per fortuna i ragazzi sono più resilienti degli adul-ti, sono più capaci di ricostruirsi una vita. E iragazzi afghani in questo sono eccezionali. Ne hoconosciuti molti con un’intelligenza spiccatissima,con grandi capacità, peccato gli vengano tarpate…

Enaiatollah insiste moltissimo sui danni prodot-ti dai fondamentalisti islamici…Ha visto i talebani uccidere il suo maestro discuola, li ha visti cercare di sradicare la sua cultu-ra, non lo hanno lasciato vivere nella sua terra…Una delle cose che tiene di più a dire, a racconta-re, è che non tutti gli afghani sono talebani, chemolti afghani sono le prime vittime di quellaoppressione…

Eppure nel libro non manifesta mai sentimentidi odio… Anzi, prova gratitudine anche per per-sone che, nella nostra ottica, sono sfruttatori dellavoro minorile o mercanti di uomini…Quando hai da dieci a quindici anni, sei sperdu-to e vuoi sopravvivere devi avere un punto divista così, positivo! Lui ha tirato fuori il megliodalla sua esperienza. Anche leggendo e conoscen-do i fatti è difficile rendersi conto di quello chepuò aver provato…

La forma narrativa che avete usato è asciuttissi-ma e molto semplice. Perché?Ho scelto questa forma perché volevo che il librorispettasse la memoria di Enaiatollah, volevo unaforma espressiva che ricordasse il racconto orale,che fosse comprensibile da tutti, soprattutto dairagazzi… Abbiamo scelto di non gonfiare il rac-conto, l’abbiamo tenuto sotto vuoto. Eppure sene poteva pompare di aria e farlo diventare unaspecie di Cacciatore di aquiloni…

ODISSEA DI UN RAGAZZO AFGHANO CHE NON CACCIAVA AQUILONIMatteo Sacchi, il Giornale, 11 maggio 2010

12

rs_fabio geda_maffione:Layout 1 23/06/2010 16.29 Pagina 12

Page 13: FABIO GEDA Nel mare ci sono i coccodrilli - Oblique · incisi in corsivo. Ma non si tratta di un reportage né di un’inchiesta. Un romanzo piuttosto, o si preferisce dire una “non-fiction

Il vostro libro racconta una storia di salvezza.Che mi dice invece dei sommersi?Sono in pochi quelli che ce la fanno, la salvezza inquesto caso è anche dovuta a una famiglia italia-na veramente meravigliosa. Molti non sono cosìfortunati, vengono risucchiati da un mondodelinquenziale.

Anche la madre di Enaiatollah ha dato un contri-buto fondamentale…Ha dovuto abbandonarlo ma gli ha lasciato ineredità tre precetti: “Non usare droghe, nonusare armi per fare del male a un altro essereumano, non rubare”. Queste parole erano tuttoquello che quella donna poteva lasciargli. Ma lohanno salvato.

Ci sono storie così formidabili che sembra impos-sibile raccontarle senza diminuirle. Eppure, dopoavere letto Nel mare ci sono i coccodrilli, è diffi-cile immaginare una penna diversa da quella diFabio Geda per raccontare la vita di EnaiatollahAkbari in modo così sorvegliato. Originario di unpaesino sperduto nel cuore dell’Afghanistan, adieci anni – forse (non esiste l’anagrafe da quelleparti) – Enaiatollah è stato abbandonato dallamadre in Pakistan per sottrarlo ai signori dellaguerra. Un atto d’amore straordinario e strazian-te con cui ha avuto inizio l’odissea moderna chelo ha portato in Italia. Dove è sbarcato a tredicianni con un sorriso che nessun dolore è riuscito acancellare.

Mi racconti come fosti abbandonato da tuamadre?È stata una cosa improvvisa. Mi ha portato inPakistan, è rimasta con me due notti e se n’èandata. Mi sono svegliato una mattina, l’ho chia-mata ma non c’era più. Non l’ho più rivista. Nonla vedo da undici anni.

Quando hai capito che non era un abbandonoma un gesto d’amore per salvarti?Il giorno in cui le ho scritto una lettera e ho cer-cato di fargliela recapitare da un uomo che cono-scevo a Quetta. Quello mi ha detto: “Mettitela intasca. Tua madre ti ha fatto un regalo a portartiqui. Ti ha regalato la vita rischiando la sua”. Eravero. I talebani non permettevano alle donne diviaggiare.

Hai mai pensato cosa saresti diventato ora sefossi rimasto in Afghanistan?Forse sarei saltato su una mina, o forse sareidiventato un kamikaze, chi può dirlo. Laggiù puòcapitare di tutto, soprattutto a un bambino.

13

LA STORIA DEL BAMBINO AFGHANOCHE LA MADREABBANDONÒ. E SALVÒ

Brunella Schisa, il venerdì di Repubblica, 14 maggio 2010

«Forse sarei saltato su unamina, o forse sarei diventato

un kamikaze, chi può dirlo.Laggiù può capitaredi tutto,soprattutto a un bambino»

rs_fabio geda_maffione:Layout 1 23/06/2010 16.29 Pagina 13

Page 14: FABIO GEDA Nel mare ci sono i coccodrilli - Oblique · incisi in corsivo. Ma non si tratta di un reportage né di un’inchiesta. Un romanzo piuttosto, o si preferisce dire una “non-fiction

A volte capita che i ricordi siano scampoli di stof-fa. E che la coperta che vorremmo usare per scal-darci le spalle davanti al fuoco, la notte, perproteggerci dal vento al termine di una giornatadi cammino – quella coperta troppo corta chia-mata memoria – debba essere cucita a mano,unendo con scrupolosa cura artigianale i lembidei ricordi, uno a uno: una faccia a un luogo,un’emozione a una voce, un lavoro a un cibo. Avolte poi capita che il filo con il quale si devecucire la coperta, be’, quel filo sia la letteratura.Se poi la memoria non appartiene a chi scrive, maa qualcun altro, tutto questo cucire e raccontare,diventa anche relazione, incontro, regalo. Unreciproco affidarsi. Io ed Ena – come lo chiama-no tutti quelli che lo conoscono: Enaiatollah èdavvero un po’ lungo – ci siamo conosciuti treanni fa, a una mia presentazione. Anzi, credofosse la seconda o, forse, la terza presentazioneche facevo in assoluto, dopo l’uscita del primoromanzo. A ospitarla era il Centro Interculturaledi Torino, in corso Taranto, ed Ena era statochiamato a fare da controcanto con la storia

(vera) del suo viaggio, alla storia (inventata) cheio raccontavo nel libro: un viaggio anche quello,un ragazzino come protagonista, le frontiere daattraversare e via dicendo. Ho presente cosacolpì me (e non solo me) quella sera, nel modo diEnaiatollah di raccontare la sua storia. Non fu lalingua, non furono le vicende – anche se pazze-sche – ma fu lo sguardo. Uno sguardo ironico,per nulla pietistico nonostante la drammaticitàdegli avvenimenti. Lieve, nonostante la pesantez-za delle scelte. Rivolto al futuro, anche se dispo-nibile nei confronti del passato, ma senzaindugiarci a lungo. Alla fine della serata, chiac-chierando, Ena disse che gli sarebbe piaciuto riu-scire a scrivere la storia del suo viaggio –dall’Afghanistan all’Italia, tra i dieci e i quindicianni – perché la condivisione di quelle esperien-ze avrebbe caricato di senso quei cinque anni divita. Ovviamente, da solo non era in grado difarlo. Gli serviva un orecchio in prestito, capacepoi di farsi penna. Sono trascorsi due anni primache io mi sentissi abbastanza forte per tentare.Ora che l’ho fatto, spero d’averlo fatto bene.

IL MIO ORECCHIO IN PRESTITO A ENAIATOLLAHFabio Geda, La Stampa, 14 maggio 2010

14

«In quel momento ho saputoche era ancora viva e forse, lì,

mi sono reso conto per la primavolta che lo ero anche io»

rs_fabio geda_maffione:Layout 1 23/06/2010 16.29 Pagina 14

Page 15: FABIO GEDA Nel mare ci sono i coccodrilli - Oblique · incisi in corsivo. Ma non si tratta di un reportage né di un’inchiesta. Un romanzo piuttosto, o si preferisce dire una “non-fiction

bambini venditori, che emigra clandestinamentein Pakistan e in Iran, che fa mestieri diversi, cheviene arrestato, picchiato, maltrattato, respinto,ma che trova sempre una qualche ragione di resi-stenza. Fino al momento della decisione estrema,che lo avventa nella grande e fortunosa impresadella fuga in Occidente, verso la salvezza dallafame e dalla paura, via per passaggi impervi, perpercorsi improbabili, per navigazioni impossibili,attraverso Turchia e Grecia, fino al del tuttocasuale approdo italiano e in ultimo – dietro l’esi-guo filo di un nome – a quello torinese.

Un’esperienza che in tanti hanno fatto, magaricon meno fortuna, ma che sulla bocca del prota-gonista Enaiatollah (e su quella assai più defilatama letterariamente decisiva del deuteragonistaFabio) si arricchisce di momenti che stanno tral’aspro e il faceto, come appunto nell’episodio chedà il titolo al libro: quattro sprovveduti che si lan-ciano in un’impresa più grande di loro con la ridi-cola dabbenaggine di un film quasi comico, dicerto non privo di senso dell’umorismo (irresisti-bile la sequenza del loro approdo a Mitilene).

Tra vicende penose e perle di saggezza (unaper tutte: «la pazienza salva la vita»), va segnala-to il finale di stupefatta pietà, che diventa la scenamuta di un’avventura una volta tanto riuscita.

15

L’OCCIDENTE, ZATTERA PER IL BAMBINO AFGHANOGiovanni Tesio, Tuttolibri della Stampa, 15 maggio 2010

Storie inventate fin che ce n’è e poi storie vere overidiche che si raccontano quasi da sé. FabioGeda è un giovane narratore (si può ben dire)torinese che ha scritto due romanzi di forte impe-gno, ambientandoli nel mondo del disagio socia-le ma anche di un’ostinata ricerca di riscatto. Oracon il suo terzo titolo, Nel mare ci sono i cocco-drilli, accade qualcosa che un po’ fa continuità eun po’ fa differenza.

La continuità è data soprattutto dall’attenzio-ne per le vicende che dovrebbero scuotere lanostra mala coscienza di lettori (non da ora) ipo-criti. La differenza è data soprattutto dalla diver-sa natura della narrazione. Mentre, insomma, iprimi due romanzi – pur derivando dai materialidi un’attività professionale vicina ai contenutidelle storie narrate – sono il frutto di una costru-zione molto articolata, questa volta il sottotitoloesplicita: Storia vera di Enaiatollah Akbari. Ossiadice chiaro che il terzo libro nasce come resocon-to di un’esperienza compiuta.

Di fatto il traliccio è esile: qualche domandagiusto a rompere il flusso della memoria cheincalza, qualche obiezione narratologica, qual-che piccolo intermezzo per ordinare un trattooscuro, colmare una lacuna, e poi – per il resto– un tentativo di vestire le parole altrui, di tro-vare il giusto mezzo tra i fatti riferiti e la neces-sità di acclimatarli, di coglierne la natura, diassecondarne con mano lieve ma decisa la gravi-tà e la grazia intrise di sofferenza ma anche diallegria, di azzardo e di ottimismo ma anche ditenacia e di umorismo. Ne scaturisce la storia diun bambino afghano di circa dieci anni (forsequalcuno di più) e di etnia hazara (invisa sia aitalebani sia ai pashtun), che la mamma in uncerto senso porta a perdere perché possa salvar-si, uscendo dalla strettoia di una situazione diodio e povertà.

Un bambino che vive diviso tra i ricordi dellasua infanzia di villaggio e la necessità di mante-nersi in una realtà che non gli dà tregua. Un bam-bino che s’ingegna, che fa gruppo con altri

rs_fabio geda_maffione:Layout 1 23/06/2010 16.29 Pagina 15

Page 16: FABIO GEDA Nel mare ci sono i coccodrilli - Oblique · incisi in corsivo. Ma non si tratta di un reportage né di un’inchiesta. Un romanzo piuttosto, o si preferisce dire una “non-fiction

Come si racconta una microstoria diventatauna sintesi di tante vicende che attraverso lacronaca non riusciamo a vivere con la forzacon cui tu sei riuscito a esprimere questa trage-dia personale?Mi piace dire che la si racconta togliendo dallastoria tutta l’aria che uno riesce a togliere; unastoria come questa potevamo riempirla d’ariafino a farla diventare un grande romanzo oppureuna grande inchiesta o un reportage, invece hocercato di avere grande rispetto per i ricordi diEnaiatollah, ho tolto tutta l’aria possibile per arri-vare al cuore della sua memoria.

Quanto invece la tua prosa ha risentito dellaforma del racconto orale che Enaiatollah ti hafatto?In maniera molto profonda, anche se il suo mododi raccontarmi la storia era molto più caotico, piùcomplicato, più spezzettato; io ho dovuto ricuci-re i suoi ricordi, ma ho cercato di ricucirli inven-tandomi questa voce che è orale perché era quellache mi risuonava dentro quando ascoltavo luiraccontare a me.

Sembra che in quest’opera la tua scrittura abbiaassunto una connotazione quasi più “epica” nelmodo di raccontare; c’è un pathos, un respiro,uno spessore quasi dell’epica?Speravo proprio di essere riuscito a inserire que-sto tono, ci tenevo molto a renderlo un raccontouniversale, questo racconto non avrebbe funzio-nato se non fossi riuscito a renderlo universale,questo non è un racconto speciale, è la vita dimigliaia di persone che ogni giorno tentano diarrivare in Occidente, e queste migliaia di perso-ne spero possano trovare in questo racconto laloro voce e dunque anche una voce epica, perchésono vicende epiche.

FABIO GEDA:INTERVISTA ALSALONE DEL LIBRO

La Compagnia del Libro, www.lacompagniadellibro.tv2000.it, 17 maggio 2010

NEL MARE CI SONO ICOCCODRILLI. FABIO GEDA

Enaiatollah Akbari è il protagonista di questa sto-ria, fondamentalmente perché quella raccontatain Nel mare ci sono i coccodrilli è la sua storia.Nato in un villaggio dell’Afghanistan che nonavrebbe mai voluto lasciare, Ena viene abbando-nato dalla madre in quanto, dopo la morte delpadre, la famiglia è minacciata.

Così comincia il viaggio di questo coraggiosobambino (poi ragazzo) alla ricerca di un luogo“tranquillo” dove vivere e in cui non essere piùun clandestino: anni di pellegrinaggio tra Paesisconosciuti – Iran, Turchia, Grecia – e di mestie-ri improvvisati – tuttofare, venditore, operaioedile – nei quali Akbari cerca la sua terra promes-sa che alla fine troverà in Torino, città che glioffrirà una nuova famiglia e la possibilità di tor-nare a studiare.

Narrato in prima persona, il libro alterna qual-che dialogo con Fabio Geda, scrittore da sempreimpegnato nelle questioni sociali, che ha messonero su bianco l’odissea di questo ragazzo: storiain realtà comune a tante altre odissee di tanti altriEnaiatollah Akbari, che molti di noi nemmenoriescono a immaginare.

Federica Palladini, Elle, 17 maggio 2010

16

rs_fabio geda_maffione:Layout 1 23/06/2010 16.29 Pagina 16

Page 17: FABIO GEDA Nel mare ci sono i coccodrilli - Oblique · incisi in corsivo. Ma non si tratta di un reportage né di un’inchiesta. Un romanzo piuttosto, o si preferisce dire una “non-fiction

ora anche i ragazzi italiani provano la nostra stessapaura. Forse anche Luigi e Massimiliano, i due sol-dati morti ieri, si erano illusi di portare la pace.Voglio credere che questo fosse uno dei lorosogni. Quando erano nei loro blindati, guardando-ci da lontano per i pattugliamenti, oppure quandodistribuivano cibo alle famiglie, certamente pensa-vano di fare del bene al nostro popolo. Voglio ren-dere omaggio al loro coraggio. Ne hanno avuto,non ne dubito.

La verità però è che gli afghani, molti afghani,ormai non si fidano più. I miei parenti mi dicono:«Prima avevamo un nemico, ora ne abbiamotre». Prima c’erano gli odiati Taliban. Adesso cisono i fondamentalisti arrivati dall’estero e glioccidentali che uccidono donne e bambini per-ché non hanno preso bene la mira.

Ogni tanto riesco a parlare con i miei zii, i mieicugini che vivono ancora lì. Ogni volta penso chepotrebbe essere l’ultima. Loro non sanno sevivranno ancora domani. Non hanno più punti diriferimento, sono in mezzo alle fazioni che sicombattono. Loro, come tutti i civili. Mi raccon-tano del terrore che li accompagna. Di giorno,vengono a bussare gli occidentali accusandoti dicollaborare con i Taliban, di notte sono i Talibanche ti cercano perché sospettano che ti sei alleatocon gli occidentali.

Se vuoi sopravvivere, devi scegliere da cheparte stare. Eppure neanche così sei sicuro che tisalverai. Ora che sono in Italia, e ho potuto stu-diare, mi sono chiare tante cose. Come diceMarx, la religione è l’oppio dei popoli. ABamiyan, dove c’erano gi sciiti hazara, i Talibanhanno distrutto prima gli uomini e poi anche ibuddha giganti che se ne stavano lì, pacifici, dasecoli. Capisci che con questa follia non c’è nullada fare. Neanche gli americani, e tutte le loro tec-nologie, riescono a darci una soluzione. La secon-da guerra mondiale è durata sette anni e poi èfinita, il mondo si è messo d’accordo. InAfghanistan, ogni mese che passa, ci sono nuovinemici, nuovi pericoli. La guerra sembra un con-cetto astratto. Se ne parla soltanto quando cisono vittime occidentali. Io sono scappato, ma ilmio cuore è ancora lì. Io continuerò a pensarcianche tra un mese, un anno. Finché continuerà.Per gli occidentali questa era una guerra giusta.Voglio crederci. Voglio sperare che non sia unafavola. Per rispetto del sacrificio di Luigi eMassimiliano. Per rispetto del mio popolo.

17

Ogni morte è un passo avanti verso l’oscurità.Nessuno è veramente innocente in una guerra.

Sono fuggito dall’Afghanistan quando avevoappena dieci anni. I Taliban volevano ucciderequelli come me “dal naso schiacciato e dagli occhia mandorla” , ovvero l’etnia sciita hazara conside-rata “impura”. Hanno sterminato interi villaggi,ho visto uccidere anche bambini, il mio maestro èstato ammazzato soltanto perché si rifiutava dichiudere una scuola come invece pretendevanoloro. Brutte bestie, i Taliban. Sono cani impazziti.

Certo, ora muoiono anche loro. Non ci sonopiù differenze di facce o etnie, come quando eropiccolo. Chiunque può finire nel mirino. Bastanocinque secondi per soffiare una candela. Sonopassati quasi dieci anni da quando sono arrivatigli occidentali e non si vede ancora la luce. Ognisperanza è svanita. Ora vivo in Italia, al sicuro. Laguerra qui sembra lontana, fino a quando nonarrivano le notizie di vittime italiane. Purtroppo ècosì che potete capire come ci sentiamo noi, inAfghanistan.

Anche io mi ero illuso. L’arrivo delle forzeoccidentali sembrava un segno del destino.Allora, ho pensato: non so perché vengono.Comunque sia, se porteranno la pace nel miopaese allora i loro aerei, le loro basi e i loro carriarmati saranno i benvenuti. È un argomentosemplice, mi rendo conto. Ma per noi, davvero,era questo che contava. In Afghanistan, ai bam-bini non si può spiegare cos’è la pace, sembraquasi una favola. Io dico che è il modo di darevalore alla vita umana. E smettere di essere caniimpazziti. La pace dovrebbe essere questo,semplicemente.

Ma dal 2001 nulla è cambiato. Non c’è stato illieto fine promesso. Noi afghani continuiamo amorire, ci sentiamo sempre più fragili, insicuri. E

QUANDO MUORE UNSOLDATO STRANIEROPER DIFENDERE LAMIA POVERA TERRA

Enaiatollah Akbari, la Repubblica, 18 maggio 2010

rs_fabio geda_maffione:Layout 1 23/06/2010 16.29 Pagina 17

Page 18: FABIO GEDA Nel mare ci sono i coccodrilli - Oblique · incisi in corsivo. Ma non si tratta di un reportage né di un’inchiesta. Un romanzo piuttosto, o si preferisce dire una “non-fiction

albergo, dove madre e figlio si sono rifugiati, aQuetta, la mamma lo abbandona. Scomparendoprima dell’alba, senza preavviso, dopo averglifatto fare, la sera prima, al momento di addor-mentarsi, tre promesse solenni per il futuro: nonuserà mai droghe, non si servirà mai di armi, nonruberà.

Non c’è un atto di disamore nella sparizionedella madre: lei ha lasciato gli altri due figli, di cuiuno più piccolo di Enaiat, a casa, dai parenti. Oradeve andare a recuperarli e cercare un altro rifugio.

L’avventura del ragazzo, durata anni, primadell’approdo in Italia, è descritta passo dopopasso: da Quetta, dove fa i mestieri più umili persopravvivere, al trasferimento clandestino in Iran(sarà espulso due volte): lì lavorerà in un cantieree in una fabbrica di pietre. Proseguendo poi conil terribile viaggio per le montagne verso laTurchia: ventisei giorni in mezzo al gelo in ungruppo di profughi, delle etnie più diverse, chearriva decimato alla meta. E un viaggio ulteriore,da incubo, pigiato insieme ad altri sventurati, nelbuio pesto dell’angusto doppiofondo di un enor-me camion, sino a Istanbul. Lui che non avevamai visto il mare. Di qui, ancora molti disagi eimprevisti, in Grecia e in Italia…

Ci importa, infine, un suggerimento al letto-re: dia da leggere il libro a figli o nipoti adole-scenti e faccia caso alle loro reazioni. Sarà untest significativo.

Il ragazzo Enaiat, dieci anni, è scappato, insiemealla mamma, dalla provincia di Ghazni,Afghanistan, a Quetta, Pakistan. È una fugadisperata: dapprima a piedi, viaggiando di notte,poi su un camion pakistano. L’epoca, fine deglianni Novanta, quando in Afghanistan comanda-no «talebani e pashtun, che non sono la stessacosa, no, ma a noi hanno sempre fatto del maleuguale».

C’è un detto tra i talebani: «Ai tagiki ilTagikistan, agli uzbeki l’Uzbekistan, agli hazara ilGoristan». Enaiat e la mamma sono hazara,afghani di origine mongola e di religione sciita, idiscendenti dell’armata di Gengis Khan. E pecca-to che gor non sia il nome di una regione masignifichi tomba. Allucinante.

Il motivo della fuga: i pashtun hanno impostoal padre di Enaiat di andare in Iran col camion,per comprare prodotti da vendere nei loro nego-zi. Lui è sciita e verrà trattato meglio dai persiani,fratelli di religione, mentre i pashtun sono sanni-ti. Senonché, nel viaggio di ritorno, i banditiassaltano il camion e uccidono l’uomo. Addiomerce. Ora i pashtun vogliono che la vedovaripaghi il danno, minacciando terribili rappresa-glie. Non rimane che la fuga.

È l’inizio di Nel mare ci sono i coccodrilli, sto-ria vera della vicenda del ragazzo Enaiatollah –oggi, ventunenne, in Italia, accettato dopo moltitravagli come rifugiato politico – così come è stataraccontata a Fabio Geda (bravo scrittore: ricor-diamo di lui l’esordio Per il resto del viaggio hosparato agli indiani, 2007), che l’ha fatta diventa-re libro. Storia drammatica della dura emancipa-zione di un ragazzo del Terzo Mondo attraversofatiche, pericoli, sofferenze, paure, fughe.Apprezzabile anche sul piano letterario (il raccon-to è semplice e indenne da retorica, e procedespeditamente); commovente sul piano umano.

Con un colpo di scena iniziale: Enaiat è lascia-to subito a sé stesso. Perché nel samawat, il«magazzino di corpi e anime», il deposito, più che

COMMOVENTE ODISSEA

Giovanni Pacchiano, Il Sole 24 Ore, 23 maggio 2010

18

rs_fabio geda_maffione:Layout 1 23/06/2010 16.29 Pagina 18