Faber Marzo

36
HOMO FABER FORTUNAE SUAE Per rimanere liberi bisogna, a un bel momento, pren- dere senza esitare la via della prigione. Giovannino Guareschi Anno I_numero 04 Marzo 2011

description

Per rimanere liberi bisogna, a un bel momento, prendere senza esitare la via della prigione.

Transcript of Faber Marzo

HOMO FABER FORTUNAE SUAE

Per rimanere liberi bisogna, a un bel momento, pren-dere senza esitare la via della prigione.

Giovannino Guareschi

Anno I_numero 04Marzo 2011

Direttore responsabileAmelia Beltramini

EditoreAps FaberVia Cimarosa, 26 - 20144 Milano

RedazioneLorenzo Aprigliano,Silvia Aprigliano,Alessandro Baggia,Bertone Biscaretti,Nicolò Cambiaso,Maddalena Cirla,Cecilia Foschi,Andrea Gavazzi,Matteo Legnani,Taddeo Mecozzi,Matteo de Mojana, Filippo Montalbetti,Erica Petrillo,Giulio di Rosa,Alessandro Sarcinelli,Matilde Sponzilli,Marcella Vezzoli,Orlando Vuono

CollaboratoriAnna Crosta, Redazione Bologna,Alice Vita,Camilla Dogliotti,Luca Boniardi

Progetto_graficoLorenzo Aprigliano[[email protected]]

FotografiAnna Crosta,Francesco Criscione,Giovanni Trabucco,Costantino Balbo

DisegniLaura Adorno,Giuseppe Di Lernia,Laura Forghieri

CopertinaGIOVANNI TRABUCCO

Questo giornale, con la sua massa di parole, è stato prodotto in qual-che decina d’ore da un gruppo di persone non infallibili, che la-vorano con pochi mezzi in una minuscola redazione e cercano di scoprire cosa è successo nel mon-do da persone che a volte sono riluttanti a parlare, altre volte op-pongono un deciso ostruzionismo.Tuttavia sarete sorpresi di scoprire che gli articoli qui presenti non sono frutto di compromessi coi proprietari e gli inserzionisti, in quanto stranamente né gli uni né gli altri esistono.[di David Randall da “Il giornalista quasi perfetto”]

[email protected]@fabergiornale.it

www.fabergiornale.it

RegistrazioneRegistrazione presso il Tribunale di Milano n. 576 del 5/11/2010

Anno INumero 4

Centro StampaLoretoprint, la tipografia digitaleVia Andrea Costa, 7 - 20131 MilanoTel. 02 2870026 (r.a.)[[email protected]]

3

UNA MILANO INSOPPORTABILE.100 SUICIDI ALL’ANNO E 50 MILIONI DI PILLOLE ANTIDEPRESSIVE.Buona parte dei cittadini preferisce sentirsi dire che in città tutto fila liscio. La sin-gola notizia non deve contraddire i sentimenti dei lettori o spezzare lo status quo. Anzi, deve rassicurarlo. Cambiare opinione costa sacrifici, costringe a pensare. E non sempre si ha il tempo di farlo. La conseguenza potrebbe essere: “il giorna-le non lo compro più!”, perché tocca la coscienza del lettore. L’editore lo sa bene quanto lo sanno degli scrittori, che vedono a rischio il loro stipendio. Mettere pulci nelle orecchie dovrebbe invece far parte del servizio che i giornalisti offrono ai loro lettori.

I cittadini che invece vogliono guardare, potrebbero non essere abbastanza forti per reggere lo spettacolo scalpitante del malessere sociale manifestato dagli abitan-ti di Milano di tutte le fasce di età. Lo dimostrano i numeri. I malati di depressione della città sono 85 mila (fonte: Centro depressione donna del Fatebenefratelli di Milano). Depressione che spesso raggiunge l’apice nelle fermate metropolitane: 1 giugno 2010 una diciassettenne a Porta Venezia, il 26 novembre 2010 a Pagano, il 18 febbraio 2011 a Inganni: tre fermate, tre suicidi.Poi ci sono coloro che preferiscono gettarsi e nel 2010 è successo 3 volte e 2 nei primi 2 mesi del 2011: il 12 gennaio dalla finestra del liceo Einstein; il 18 maggio del liceo Volta, il 20 giugno da un balcone di via Papiniano, e l’8 gennaio dal davan-zale di un bagno in corso Monforte. Oppure da una guglia del Duomo, nel cuore pulsante della città, sotto gli occhi di centinaia di passanti, l’ennesimo suicidio di un 24enne, l’8 febbraio 2011 scorso.

Il disagio è in continuo aumento. Nel 2007 a Milano s’erano verificati 95 suicidi, 50 dei quali per precipitazione, 18 per impiccagione/soffocamento, 8 per armi da fuoco o esplosivi.Le chiamano “sindrome bipolare”, “psicosi maniaco depressive” etc., e spesso ven-gono spacciati come la fonte unica e il motivo sufficiente a scatenare un gesto estre-mo come il suicidio. Ma sono le complicazioni e i risultati di un sistema, che forse per alcuni aspetti è insopportabile.Difficilmente la colpa viene attribuita alla città, alla mancanza di prospettive che offre, al senso di soffocamento che può produrre, alla difficoltà di scorgere pro-spettive.Milano attira senza fatica lavoratori e turisti. È una città schietta, chi non gradisce può starne fuori.E i rimedi? Difficile trovarli quando si è tutti un po’ responsabili.In una lettera aperta alla città il candidato alle comunali Giuliano Pisapia pone la questione: “Può un sindaco aiutare a essere più felici? Io credo di sì.” Il metodo più efficace sembra invece chiudere gli occhi e far finta di niente.

Matteo Legnani

faberg

iorna

le.it

4

Faber_indice

faber_Milano /5UNA VITA DIETROLE SBARREdi Alessandro Sarcinelli

faber_Milano/16LOVE IS ALL WE NEEDdi Erica Petrillo

faber_cooperazione/26R.D. CONGO: ASSISTENZA INTEGRATA AGLI EX SFOLLATI di Camilla Dogliotti

faber_l’ultima parola/30SBARREa cura di Silvia Aprigliano e Alice Vita

faber_cultura/28RECENSIONE A L’AMORE CARNIVORO E SANGUINARIO DI SALOMÉdi Matteo de Mojana

faber_Milano/18STORIE AL CIOCCOLATOdi Cecilia Foschi

faber_Bologna/21COGITO ERGO EDOa cura della redazione di Bologna

faber_Milano /8L’INVASIONE BIANCAdi Andrea Gavazzi

faber_Milano /10ECOMAFIE. INTERVISTA A ANTONIO PERGOLIZZIdi Orlando Vuono

faber_Milano /14MILANO UCCIDEdi Luca Boniardi

5

Faber_Milano

UNA VITADIETRO LE SBARRE

VIAGGIO NEL MONDO DELLE CARCERI:

DALLA PERDITA DELLA COGNIZIONE DEL TEMPO

FINO AL SUICIDIOarticolo di Alessandro Sarcinelli

illustrazione di Giuseppe Di Lernia

L’ENTRATA“Entrare in un carcere è come venire inghiottiti da un mostro”. Don Pietro Raimondi, cappella-no di San Vittore definisce così il primo impatto con la galera. La puzza di aria stantia, di fumo, di cibo e di sporco accumulatasi negli anni, i muri vecchi ammuffiti e l’oscurità sono il biglietto da visita della casa circondariale milanese.I detenuti entrano da una porta secondaria e vengono condotti in una cella tra le centinaia

presenti nei sei bracci che si snodano dal corpo centrale.Difficilmente si rendono conto in che punto della struttura si trovano e perdono presto il senso dell’orientamento; una piccola porzione di cielo grigio e qualche tetto visibile dalle pic-cole finestre delle celle rimangono l’unica im-magine reale del “mondo dei liberi”.Tuttavia ad allontanare i carcerati dalla realtà è soprattutto l’assenza di un ritmo della vita: Gio-vedì e Domenica sono uguali. Il giorno non ini-

faberg

iorna

le.it

6

Faber_Milano

cala l’olfatto per sentire meno “la puzza di car-cere”; successivamente, l’udito si abbassa per difendersi dai rumori sordi del carcere come le urla e lo sbattere delle porte. Inoltre diverse malattie della pelle colpisco-no i detenuti. “Il tuo confine non è più quello della tua casa, non è più quello della tua stan-za, perché non ne hai una tua. il tuo confine è la tua pelle, che si irrigidisce creando una sorta di corazza”, Pietro Raimondi spiega così le per-centuali dei malati di psoriasi quasi doppie tra i carcerati rispetto al resto della popolazione.La caduta dei capelli infine conclude il quadro di queste preoccupanti reazioni psicosomatiche.

L’ASSENZA DI PRIVACYIn una cella si vive in sette. I muri sono tap-pezzati da foto di donne nude, rosari, croci e scritte in diverse lingue. Non c’è una cucina e si è costretti a cucinare in bagno. Non ci sono né tavoli né sedie e non è possibile stare in piedi

zia e non finisce mai. E in questo modo il tempo si trasforma presto in un’ eterna attesa. C’è chi attende l’ora d’aria, chi il colloquio e chi il pro-cesso. Non è un caso che una delle richieste più fre-quenti, ancora più delle sigarette, siano gli oro-logi. Le lancette che scorrono diventano l’unica testimonianza dello tempo che passa. Per chi, invece è stato condannato all’ergasto-lo, spazio e tempo diventano concetti privi di significato: “Guardo all’ergastolo che mi porto addosso, al suo interno non esiste principio né fine, né prima né dopo, cioè alcun tempo. Né sopra né sotto, cioè alcuno spazio. Una dimen-sione di assoluto e di niente, di vuoto e di pieno, di peccato e di disgregante follia”.Il carcere cerca di assimilarti all’ambiente. Gra-dualmente il corpo del detenuto reagisce al luogo in cui è costretto e i cinque sensi si mo-dificano. In primo luogo la vista comincia a calare visi-bilmente a causa dell’oscurità. Allo stesso modo

tutti contemporaneamente. Quindi, da un certo momento la branda diventa il mondo del car-cerato. In branda si dorme, si mangia, si fuma e si aspetta. In queste condizioni la privacy non esiste più. La vita affettiva di un detenuto è limitata, nel miglior dei casi, a un bacio alla settimana in luogo pubblico. “l’amore in carcere? Quando mai?al massimo c’è la perversione, lo sfogo ani-malesco, la prostituzione”. Queste le riflessioni di un detenuto dopo essere entrato in permesso premio in un carcere femminilie. Ma in una cella anche solo esternare le proprie emozioni diventa quasi impossibile. Spesso i detenuti aspettano l’ora d’aria per rimanere da soli in cella e scoppiare in pianti lunghi e libe-ratori, evitando così di apparire deboli davanti agli altri.

FOTOCostantino Balbo

7

faberg

iorna

le.it

LA FUGAÈ comprensibile quindi che la fuga sia una pen-siero ricorrente nella mente di un carcerato; ma spesso si trasforma in ossessione.Drogarsi è il modo più facile per fuggire o alme-no attenuare la disperazione della detenzione. La droga in carcere c’è. Don Pietro Raimondi ne è sicuro : “Entra la droga? Certo! Come en-tra l’aria entra anche la droga. Come non lo so”. Invece A.S., agente penitenzario, preferisce non rispondere alla domanda su come vengono elu-si i controlli.D’altra parte quando la materia prima scarseg-gia ci si droga lo stesso: ci si inala la bomboletta del gas; si ruba la terapia al vicino; si usano le gocce chiedendo al dottore altre dosi.L’altra via di fuga è il sucidio. Mohamed, Fran-cesco e Vasiline. Sono i tre ragazzi che si sono tolti la vita nell’ultimo anno a San Vittore. Il pri-mo si è asfissiato con il gas. Gli altri due si sono impiccati. 3 uomini di nazionalità differenti ma

una fine comune. Trovare un “leitmotiv” è diffi-cile. Ognuno aveva la sua storia e le sue motiva-zioni. Tuttavia alcuni studi hanno evidenziato le condizioni che aumentano i rischi del sucidio nei detenuti: i primi giorni di carcerazione, il periodo che precede lo svolgimento del pro-cesso, le festività e anche i giorni prossimi alla scarcerazione: infatti il tasso di sucidio nella popolazione carceraria è 20 volte maggiore che nella popolazione libera.L’articolo 27 della costituzione italiana dichiara che la pena deve tendere alla rieducazione del condannato.Esistono risposte al comportamento deviante alternative al carcere, quali l’affidamento ai ser-vizi sociali e realtà di custodia attenuata come la casa di reclusione di Bollate; su 700 detenuti più di 500 lavorano: all’interno della struttura ci sono un call center, una serra e addirittura un maneggio. Ci sono poi detenuti che lavorano all’esterno del carcere, per enti sia pubblici che privati.Tuttavia quello di Bollate rimane un progetto sperimentale per ora poco imitato e Don Pietro Raimondi è pessisimista all’idea che la situazio-ne migliori:”è un problema di mentalità. Nella testa di un cittadino medio la galera è quella cosa che si dà a chi si è comportato male, così impara a non farlo più.” Per A.S. agente peninteziario, invece, il proble-ma è solo economico.”che si parli di sanità o di carcere la sostanza non cambia: più soldi ci sono più le cose funzionano”. Comunque la si pensi rimane un dato: il 50% dei detenuti torna in cella per lo stesso reato per cui era entrato. È evidente che il sistema carcerario italiano non tenda pienamente alla rieducazione.

Al 31 dicembre 2010 nelle carceri lom-barde erano detenute 9.412 persone, di cui 626 donne. La capacità massima degli istituti penitenziari presenti nella regione però è di soli 5.646 posti. Di fatto, vi erano 3.766 detenuti oltre la ca-pienza massima. Osservando i dati delle singole case circondariali si scopre che l’Istituto di Brescia Canton Monbel-lo ha il più alto indice di affollamento (174,3%), seguito da Busto Arsizio (149%) e San Vittore (124,4%). Solo in quest’ultimo, nell’anno passato sono stati registrati due suicidi, 140 atti di au-tolesionismo e 23 aggressioni a danno della Polizia Penitenziaria.

3766

8

Faber_Milano

Milano, dicono spesso i media, è la capitale della cocaina. E tra i tanti rapporti pubblicati, quello del novembre 2009 dell’Istituto Mario Negri è eloquente: sulla base degli scarichi della città, calcolava un consumo di 9,1 dosi al giorno ogni 1.000 abitanti. A Londra se ne consumano solo 6,9. Questo, come altri rapporti, rendono le misure del fenomeno cocaina a Milano. Un fenomeno di enorme portata, che non sembra spaventare troppo la società. Paolo La Marca, già membro della consulta inter-ministeriale sulle tossico-dipendenze, attualmente collabo-ratore di Lila, educatore nel servizio di acco-glienza notturna del progetto Arca, e presidente dell’Aps Polaris ci ha spiegato la realtà della co-caina in città.

Milano è uno dei principali centri di smista-mento, forse il maggiore in Italia: la sostanza entra, in buona parte rimane per la domanda locale, il resto riparte. Ciò nonostante nessuno indaga e non c’è aggregazione di dati: un paio di anni fa Fabio Bernardi, responsabile della nar-cotici, diceva che la cocaina sequestrata è il 10% circa di quella che effettivamente entra. E negli ultimi 15-20 anni il consumo ha subito un’enor-me trasformazione. Per due motivi: in primo luogo la cocaina è socialmente accettata per-chè ha una tossicità diversa dall’eroina. Mentre questa droga negli anni Settanta e Ottanta aveva prodotto nell’immaginario generale un impatto devastante, con ripercussioni negative sui tossi-ci, ma anche sulla società intera perché, quando

L’INVASIONE BIANCAMILANO E LA COCAINA

articolo e foto di Andrea Gavazzi

9

l’uso è preminente rispetto a tutto il resto, rende il consumatore problematico per sé stesso, per i famigliari, e per la società. La cocaina, al con-trario, per il costo elevato nasce come droga per ricchi; come droga pulita per il mito della non-dipendenza; e come “droga del fare”: un energe-tico usato per siglare un accordo o un business, che ha sostituito il brindisi. Secondariamente l’invasione della cocaina è trainata dal mercato, che risponde alle più elementari leggi doman-da-offerta. Ed è un affare enorme e sotterraneo che si mangia l’economia legale. Non ha pubbli-cità vera e propria, ma da un lato l’illegalità la rende irresistibile, dall’altro siamo sottoposti a continui stimoli più o meno velati che spingono alla trasgressione. La pubblicità stessa oggi usa slogan come “Osa”, o “Just do it”. Inoltre nel-la pubblicità ricorre in modo impressionante l’aggettivo ‘nuovo’: e i tanti imprenditori della droga sanno quanto soprattutto i giovani siano sensibili al nuovo, e quindi a questo mercato. La cocaina si è imposta anche per il calo di for-nitura di eroina (la cui produzione mondiale proviene per il 60% circa dall’Afganistan) e il prezzo di un grammo di cocaina di buona quali-tà è fermo da 20 anni: allora era di 300 mila lire. oggi è 150 euro. La popolarità è quindi salita alle stelle. ed il consumatore ha assunto carat-teristiche nuove. Se negli anni ’70 e ’80 il con-sumatore “tipo” era maschio, prevalentemente monoconsumatore di eroina, sotto i 30 anni e aveva iniziato a 16; oggi è sempre maschio, in un caso su due consumatore di cocaina, e ha un’età compresa fra 14 e 60 anni con un’età di inizio che continua a scendere. Inoltre chi consuma cocaina, consuma anche alcool (il richiamo se-condo alcuni studi è farmacologico) come pure tabacco e nicotina: è quindi policonsumatore. E, con la riduzione dell’età, aumenta il numero di sostanze perché è cambiato l’approccio: la tendenza è quella di provare tutto. Il consumo ora è trasversale all’età, al genere e anche al ceto e alla professione: non è più la droga dei ricchi. La curva si alza con il scendere dell’età perchè chi non conosce il fenomeno, come sempre, è più vulnerabile. Tra i giovani cresce anche il po-tere dell’emulazione e la pressione dei pari che inducono almeno a provare.

PREVENZIONE e RECUPEROSe questa è la situazione, come operano le isti-

tuzioni e gli operatori sociali? La risposta delle istituzioni è più che altro una presenza medica, poco attenta agli aspetti socio-culturali del fe-nomeno, inclusi invece nell’azione delle asso-ciazioni. Per quanto riguarda la prevenzione, così come in altri ambiti diversi dalla droga, ci sono tre tipi di azioni. C’è quella primaria, la più scontata, che si fa con i bambini, quando il problema è ancora lontano. Questo tipo di in-tervento è ridotto rispetto ai tempi in cui erano ben visibili gli eroinomani devastati dal consu-mo. C’è poi quella secondaria, sul gruppo che ha le caratteristiche che lo rendono maggiormente esposto al rischio: i ragazzi che potenzialmen-te potrebbero essere già esposti al fenomeno. E infine c’è quella terziaria che lavora su chi è già consumatore e sta sviluppando conseguenze di vario tipo. Questo tipo di prevenzione mira a limitare i danni, a dare strumenti per decidere e farsi meno male possibile. L’astinenza è ovvia-mente la soglia più bassa di rischio, ma gli ope-ratori sanno di non vivere in un mondo ideale. Per questo si parte dal presupposto che il con-sumo è oggi ormai la norma e come tale va affrontato: se un decimo della popolazione è viziosa, allora c’è un vizio. Ma se i viziosi sono

la metà o la maggioranza, allora il vizio è la nor-malità. Serve quindi un alto grado di coscienza che induca a capire e ad accettare che proibire è impossibile. Certo è un passo difficile da chie-dere, ma sarebbe una grande vittoria, non una sconfitta. E consentirebbe di capire che depena-lizzare, o meglio dis-incriminare l’uso personale consente di poterne parlare. Questo approccio non è condiviso da tutti gli operatori nel set-tore. È però, secondo Paolo La Marca e altri esperti quello che permetterebbe di impostare l’attività in modo più costruttivo rispetto all’at-tuale normativa in vigore, la Fini-Mantovano, che sostanzialmente non differenzia tra i tipi di droga. Basti pensare che a oggi, col possesso di 0,25 grammi di cannabis si rischiano sei anni di galera, mentre con 0,45 mg di cocaina non si è penalmente punibili. La maggioranza dei consumatori non danno problemi alla società, mentre lo sono una parte di essi, e comunque tutti possono essere i primi promotori della pre-venzione. Purtroppo l’idea prevalente è del re-cupero coatto. Mentre bisognerebbe osservare il fenomeno in modo non giudicante, imparan-do la lezione che ci ha lasciato l’Aids: spiego, dò strumenti e contengo il virus.

faberg

iorna

le.it

Faber_Milano

La cocaina aumenta la temperatura corporea, accelera il battito cardiaco, il ritmo respiratorio e alcune funzioni cerebrali; mentre anestetizza completamente e per breve tempo la parte del corpo con cui entra in contatto.Gli effetti fisici includono una iniziale sensazione esilarante e di eccitazione (la ‘botta’), accompagnata da uno stato di attenzione, concentrazione, energia, forza e sicurezza.Gli effetti piacevoli tendono a scomparire in pochi minuti (15-30 circa); si è quindi portati a ripetere l’assunzione più e più volte, per evitare il down che fa sentire agitati e irritabili, depressi, stanchi e indeboliti. Questo stato, che presenta caratteristiche di ossessività e compulsività (craving), può avere un effetto devastante in quanto può portare ad abbandonare tutti gli altri aspetti della vita (famiglia, affetti, lavoro, interessi, etc...) alla disperata ricerca degli effetti della sostanza e del senso di sicurezza associato, costan-temente in fuga dal down.L’overdose da cocaina avviene sulla base di sintomi fisici ben precisi: diventa difficile esprimersi e insorge un forte stato di ansia, il battito cardiaco aumenta, mentre contemporaneamente i vasi sanguigni si restringono. Ciò può comportare un violento aumento della temperatura corporea, faccia arrossata oppure improvvisamente molto pallida, assenza di sudorazione, crampi muscolari, dif-ficoltà nei movimenti di braccia e gambe; nei casi più gravi si può arrivare anche al collasso, all’infarto e all’arresto cardio-circolatorio.Sniffare contempla dei rischi legati al danneggiamento dei tessuti interni e dei capillari del naso. Questo, oltre a comportare una sen-sibile diminuzione della capacità olfattiva, può causare ulteriori problemi del setto nasale (frequenti perdite di sangue, ulcere, etc..)L’abuso di cocaina protratto nel tempo, attraverso qualunque metodo di assunzione ma specialmente se iniettata o fumata sotto forma di Crack, può causare sindromi da ipertermia (surriscaldamento del corpo con black-out temporanei, e collassi), problemi car-diaci anche gravi (aritmia, angina, infarto), problemi di circolazione (la sensazione di ‘insetti sotto la pelle’) e può favorire l’insorgere di comportamenti di paranoici, con conseguente aumento del livello di aggressività, nei confronti di se stessi e degli altri. La cocaina ha fama di essere una droga con forti caratteristiche pro-sessuali, in realtà ciò è vero solo all’inizio dell’effetto, perché uno degli effetti secondari è una rapida vaso-costrizione (cioè un restringimento generalizzato dei vasi sanguigni), con una conseguente difficoltà ad avere un erezione nei maschi. Con l’abuso protratto nel tempo queste caratteristiche tendono ad aumentare, con il risultato di rendere impossibile l’erezione, impossibilità che può anche evolvere nell’impotenza cronica.

Estratto da ‘Uscita di sicurezza’ di Paolo La Marca. Per saperne di più vedi www.lila.it

Effetti non desiderati

10

ECOMAFIE, INTERVISTA A ANTONIO PERGOLIZZI

Faber_Milano

11

Faber_Milano

IL COORDINATORE DELL’OSSERVATORIO

AMBIENTE E LEGALITÀ DI LEGAMBIENTE

LANCIA L’ALLARMEarticolo e foto di Orlando Vuono

illustrazioni di Laura Forghieri

Fino a una quindicina di anni fa il vocabolo eco-mafie non esisteva. È un neologismo coniato da Legambiente per definire, in modo conciso ed ef-ficace, le organizzazioni criminali che delinquo-no danneggiando l’ambiente. Abbiamo chiesto a Antonio Pergolizzi, coordinatore dell’Osservato-rio ambiente e legalità di Legambiente, qual è la situazione di questo tipo di illegalità in Italia.

In che cosa consiste il rapporto Ecomafia?Il nostro è un rapporto annuale, che si basa sui dati forniti da tutte le forze di pubblica sicurez-za. Da due anni a queste parti comprende an-che i dati delle polizie provinciali, quindi anche del corpo forestale; ai quali si aggiungono i dati dell’Agenzia delle Dogane. Insomma, un reso-conto completo dei reati accertati in campo am-bientale. Ovviamente si suppone che i reati com-messi siano molti di più. È l’unico studio sulla criminalità ambientale in Italia e nel mondo; oltre ai numeri, contiene storie. cioè racconti dal mondo dell’illegali-tà ambientale. I fenomeni di cui ci occupiamo comprendono l’intero spettro dei reati ambien-tali: ciclo del cemento e dei rifiuti, calcestruzzo depotenziato, abusivismo edilizio, racket degli animali, commercio illegale di opere d’arte e re-perti archeologici, furti d’acqua, agromafie che comprende i reati connessi al settore agricolo.Si tratta di reati che portano danni all’ambiente e alla salute dei cittadini, ne compromettono la qualità della vita.

Quanto ci guadagnano le cosche con questi reati, e quanto ci perdo-no, invece, i cittadini?Il business, approssimato per difetto, si aggira attorno ai 20-20,5 miliardi di euro l’anno, quindi una buona finanziaria di un paese occidentale.Questa stima viene elaborata considerando sia il mercato illegale (comprendente racket degli ani-mali, ciclo del cemento e dei rifiuti) sia gli investi-menti a rischio di infiltrazioni criminali nei pub-blici appalti nelle quattro regioni a tradizionale presenza mafiosa (Sicilia, Calabria, Campania e Puglia); senza considerare il business che riguar-da le archeomafie.Oltre che salute e qualità dell’ambiente, i cittadi-ni perdono tutto il denaro che finisce in evasione o elusione fiscale; a ciò si aggiunge l’enorme di-strazione di fondi pubblici per la realizzazione di opere inefficienti, inutili e spesso pericolose.

Delle Archeomafie si sa poco o nulla. Di che cosa si tratta?

faberg

iorna

le.it

Si tratta dell’assalto ai tesori artistici italiani, a opera di mafiosi, trafficanti, tombaroli, collezio-nisti senza scrupoli.Nel 2009 sono stati accertati più di un migliaio di furti di opere d’arte e 13mila oggetti trafugati. Migliaia gli indagati, per un totale di 45 arresti. Spesso i boss mafiosi, soprattutto per ostentare il proprio potere, si impegnano a collezionare opere d’arte: c’è chi lo fa con i furti, e chi, invece, compra legalmente sfruttando gli immensi fondi ottenuti in modo fraudolento. Nel nostro rap-porto si parla del boss italo-canadese Beniamino Zappia, al quale sono stati sequestrati quasi 400 dipinti: tele di Dalì, De Chirico, Morandi, Gut-tuso, Sironi.Le forze di contrasto alla criminalità sostengono che il business delle archeomafie è superiore a quello del traffico di droga, ma non può essere calcolato perché molte opere d’arte hanno un va-lore inestimabile.

Per quanto riguarda le inchieste aperte sulle ecomafie, quali sono le più importanti e che cosa fanno emergere? Qual è il ruolo dell’istitu-to della prescrizione nei processi svolti?Questo è un aspetto molto importante perché tutti i reati ambientali sono di tipo contravven-zionale, fatta eccezione per il delitto di associa-zione per il traffico illecito di rifiuti: introdotto nel 2001, questo è l’unico delitto ambientale e ha consentito in questi anni risultati straordina-ri, tanto che, ad oggi, ci sono state 174 inchieste. Quindi, se ci sono gli strumenti normativi e le-gislativi adeguati, si possono contrastare efficace-mente i trafficanti di rifiuti. I tempi di prescrizione sono più lunghi per quan-to riguarda il delitto del traffico di rifiuti, e questo è importante; per il resto, essendo reati contrav-venzionali, i tempi di prescrizione sono brevissi-mi e quindi, nella maggior parte dei reati ambien-tali, domina l’impunità.

E il traffico di rifiuti?Il solo traffico di rifiuti speciali fattura circa 7 mi-liardi di euro. È un’attività di rete: parte dal pro-duttore di rifiuti, si snoda attraverso vari interme-diari e giunge al pusher finale, che ha il compito di smaltire illegalmente. Gli inquirenti hanno chiamato il “girobollo”: consiste nella falsifica-zione dei documenti che accompagnano i rifiuti. Per risparmiare, spesso viene declassificato il li-vello di tossicità e di pericolosità dello scarto. In alcuni casi, quindi, le sostanze vengono lasciate in discariche non attrezzate, col rischio di conta-

12

Faber_Milano

minazione dei terreni e rientro di veleni nel ciclo alimentare. In altri casi, invece, viene scaricato tutto in terreni agricoli, cave e aree abbandonate, periferie, fiumi, addirittura in mare, con eviden-ti danni all’ecosistema e alla salute dei cittadini. Alla fine ci guadagnano sia le aziende che produ-cono rifiuti, sia quelli che smaltiscono.Come se tutto ciò non bastasse, una volta che lo smaltimento illegale è avvenuto e si è inquinato il territorio, difficilmente si procede alle bonifiche.

Questa gestione illegale vale solo per i privati o anche per alcune amministrazioni?Non le amministrazioni in quanto tali, ma fun-zionari infedeli sì: non c’è inchiesta sul traffico dei rifiuti che non coinvolta anche un funziona-rio pubblico o un professionista

Quindi il ruolo dei colletti bianchi è fondamentale...Assolutamente, direi che è un tratto tipico di que-sta forma di criminalità: non parliamo solamente di criminalità organizzata, ma di una tipologia molto più variegata, che vede il coinvolgimento di persone di ogni estrazione.Tra l’altro, senza le intercettazioni telefoniche, i funzionari pubblici corrotti, gli imprenditori, i manager societari, la farebbero sicuramente fran-ca.

Nel vostro rapporto la Lombardia occupa il 9° posto, quindi sembre-rebbe non essere messa poi così male...No no, è messa malissimo! È messa al nono posto considerando tutte le attività delle ecomafie, ma se si guarda al traffico di rifiuti, la cosa va molto peggio. La Lombardia è un tipico terreno di con-quista da parte della criminalità organizzata che, sia sul ciclo del cemento, sia sul ciclo dei rifiuti, sta investendo tantissimo.

Numerose inchieste provano la presenza di inte-ressi criminali in questi ambiti: ci sono imprendi-tori locali che utilizzano il traffico di rifiuti come metodo di accaparramento di risorse, anche pubbliche. E poi c’è la questione delle bonifiche, con imprenditori che imbrogliano sui costi e sul-le modalità di risanamento dei terreni inquinati. Teniamo presente che le aree da bonificare sono aree molto appetibili per i palazzinari e per chi vuole spazio per costruirci sopra, quindi molti sono favorevoli all’applicazione di una logica di lottizzazione.

È vero che da qualche anno c’è anche un traffico inverso dello smal-timento, non solo dal Nord al Sud, ma anche dalla Campania verso la Lombardia?Sì, è successo per quanto riguarda i rottami fer-rosi e le parti di autoveicoli. Ma non c’è nessuna sorpresa: è normale che gli imprenditori campa-ni preferiscano portare questi rifiuti al nord e ap-profittare della minore attenzione delle forze di polizia per procedere a traffici illegali. Sono già da anni che parliamo di devolution delle ecoma-fie: ogni territorio è sottoposto a pressioni crimi-nali.

Quali sono le Regioni che si stanno mettendo in evidenza per l’at-teggiamento virtuoso?Sicuramente c’è la Puglia: per quanto riguarda i rifiuti, le fonti energetiche, la tutela del territorio, sta dimostrando di avere una visione innovativa e a favore delle istanze dell’ambientalismo.

Quali invece le Regioni peggiori?Per quanto riguarda il Piano casa e le politiche le-gate al cemento, il Veneto; e poi la Sardegna sulle questioni della tutela paesaggistica. Ovviamente senza contare la situazione di Calabria, Sicilia e

Campania.

La politica cosa fa? Vi ascolta?La politica fa orecchie da mercante... Il tema della tutela ambientale sembra essere diventato quasi un capriccio di sofisticati rompiballe. Spesso si usa anche lo spauracchio della crisi per dribblare le regole della tutela ambientale. La politica mol-to spesso strizza l’occhio agli interessi che vanno contro l’ambiente e la salute cittadina. Ci sono amministrazioni locali e Regioni che spiccano per buona condotta, ma, in generale, la situazio-ne è abbastanza critica.

Cosa bisogna fare, secondo voi di Legambiente, per prevenire e per reprimere questo tipo di criminalità? Sia dal punto di vista legislati-vo e normativo, sia da quello sociale.Lo scopo principale del nostro rapporto Ecoma-fia è quello di chiedere maggiore attenzione da parte della politica e delle istituzioni. Dall’inizio della nostra attività noi chiediamo che tutti i re-ati ambientali diventino delitti ambientali: que-sta richiesta non è mai stata presa seriamente in considerazione dal mondo politico. In supporto a questo, è arrivata l’Unione Europea, che ha approvato, nel 2008, una direttiva sulla tutela penale all’ambiente, che il nostro Parlamento ha recepito lo scorso giugno: adesso aspettiamo che il Governo dia attuazione a questa direttiva con un decreto legislativo. Dovrebbe introdurre dei principi importanti, come la responsabilità amministrativa delle imprese per reati contro l’ambiente commessi da suoi dipendente e diri-genti nell’esercizio dell’attività aziendale, che è una delle proposte che abbiamo sempre formula-to: le aziende devono rispondere, con il proprio patrimonio, dei reati ambientali, e procedere alla bonifica immediata.

FOTONell’ufficio di Antonio Pergolizzi

13

Noi ci aspettiamo quindi dal Governo il decreto legislativo che dia attuazione a questa direttiva europea e che lo faccia nel modo più stringente possibile: prevedendo le pene più severe. L’aspet-to legislativo è un aspetto della questione. Occorrono, poi, più controlli, più risorse, più in-vestimenti in formazione, anche per le forze di polizia, che sono tenute a controllare il territorio e devono essere più preparate: se ci sono state o meno alterazioni dei documenti, se quel tipo di rifiuti corrisponde effettivamente a quel codice, ci vogliono competenze, preparazione e stru-menti tecnologici di cui al momento non sono dotate. E poi è importante che i rifiuti viaggino il meno possibile: le illegalità si nascondono soprattutto nei passaggi di mano.Occorre poi anche l’intervento della società ci-vile. Le associazioni continuano a svolgere un ruolo di controllo, di stimolo, e i cittadini, con le loro denunce, hanno dimostrato di essere fonda-mentali nel contrasto a questi reati.È quindi un lavoro di squadra, collettivo. E poi bisogna prevenire. Nelle politiche locali è fon-damentale, da questo punto di vista, incentivare la raccolta differenziata. Infine spetta ai cittadini controllare le amministrazioni locali, che elabo-rano i Piani Regolatori e decidono il futuro urba-nistico delle città.

Etimologia fortemente discussa, impossibile individuarne una più accreditata delle altre.Secondo lo scrittore Giuseppe Pitrè, il termine siciliano mafiusu indicava una persona di spicco, e solo dopo ha assunto accezione dispregiativa.C’è chi dice che durante la missione segreta di Mazzini in Sicilia, MAFIA fosse l’acronimo di “Mazzini Autorizza Furti Incendi Avvelenamenti”.Potrebbe derivare dal toscano maffia, = superbia.Addirittura alcuni lo fanno risalire a parole arabe. Mahyas = spavalderia, Marfud = reietto.La più interessante di queste ultime è certamente Mu’afah = immunità.

Mafia

«Abbiamo scaricato tanta di quella merda che avremmo dovuto pagare tanti di quei soldi in cava...»: parole di Maurizio Luraghi, imprenditore, finite pochi anni fa nella ragnatela di un’intercettazione telefonica. A leggerle viene subito in mente Casal di Principe. Ma Maurizio Luraghi è lombardo, non campano. È milanese, non casertano. «Tutta Buccinasco l’abbiamo fatta noi – continua l’intercettazione – dove c’è il centro commerciale e tutti i capannoni dietro, li abbiamo fatti io, Domenico Barbaro e Rocco Papalia». Barbaro e Papalia sono cognomi che portano in Calabria, e, infatti, Domenico e Rocco sono due boss della ‘Ndrangheta attivi a pochi chilometri dal capoluogo lombardo: Buccinasco, Trezzano sul Naviglio, Corsico, Cesano Boscone. Nel giugno scorso, l’inchiesta Cerberus, della Direzione distrettuale antimafia di Milano, ha portato alla condanna, in primo grado, dei due boss e dell’imprenditore. Appalti, movimento terra, e smaltimento illecito di rifiuti: le cosche mala-vitose sono attivissime al Nord, quindi, non soltanto nel traffico di cocaina.«In Lombardia si accertano soprattutto grandi traffici di rifiuti», spiega Sergio Cannavò, vice presidente di Legambiente Lombardia «per lo più associati a reati commessi nel ciclo del cemento, oltre a discariche abusive e infiltrazioni negli appalti» Ma non c’è solo l’inchiesta Cerberus. Cannavò ne elenca molte altre in corso: «dalle Rewind e Replay di Busto Arsizio (provin-cia di Varese), alla Star Wars di Monza; dalla Iron di Voghera, fino alla Gerione in provincia di Lodi». E Milano? «Come conferma l’inchiesta Parco Sud, Milano è colpita nelle periferie e nell’hinterland dalle discariche abusive, che nei casi più eclatanti sono collocate nei pressi o direttamente sui terreni delle grandi aree ex industriali che attendono la bonifica».Ma il Nord non può assumere il ruolo della vittima sfregiata dai meridionali: «Il quadro generale che emerge è preoccupante: quasi sempre imprenditori senza scrupoli, colletti bianchi facilmente corruttibili e addetti ai controlli e alle autorizzazioni operano in una “zona grigia” tra legale e illegale e orchestrano, in parallelo con attività lecite e regolari, traffici di sostanze pericolose che permettono a tutti di ottenere ingenti guadagni». Cannavò sottolinea anche un altro aspetto: «Le operazioni coordinate dalle Procure lombarde sul traffico dei rifiuti sono quasi l’11% del totale nazionale; se a queste sommiamo quelle in cui è emerso il coinvolgimento “parziale” di soggetti resi-denti nella nostra regione, si dimostra che in Italia una inchiesta su tre interessa, a vario titolo, la Lombardia».Quindi tutte le forze politiche, le istituzioni e la società civile dovrebbero concentrare l’attenzione sul problema delle eco-mafie. Soprattutto in vista dell’Expo: a meno che non si voglia che i terreni vengano deturpati dalla “merda” di cosche e di imprenditori senza scrupoli.

ECOMAFIE IN LOMBARDIAPARLA SERGIO CANNAVÒ, VICEPRESIDENTE DI LEGAMBIENTE LOMBARDIA

faberg

iorna

le.it

14

Faber_Milano

INTRODUZIONEIl cielo di Milano rappresenta un fattore di rischio determinante per l’umore di chi ci convive ognigiorno: apatia e depressione si insinuano silen-ziosamente nelle menti dei milanesi contribuen-do sicuramente alla scarsa ospitalità di cui ormai si può tristemente vantare la nostra grigia metro-poli.Ma non solo: polmoniti, allergie, infiammazioni delle vie respiratorie, aritmie, scompensi cardio-circolatori, prospettive di vita inferiori alla media e, naturalmente, tumori.

MILANO UCCIDE E NON SOLO LO SPIRITO.Dati Legambiente alla mano, nel 2010 sono state 48 le città in Italia a superare il limite di guardiaper la salute realtivo alle polveri sottili, 30 di que-ste sono in pianura padana. Milano ha sforato per87 volte il valore massimo di 50 μg/m3 di PM10 e niente di buono ci possiamo aspettare per que-sto2011, visto che, record negativo dal 2006, il 7

Febbraio abbiamo ufficialmente esaurito i 35 giorni di bonus ammessi dalla direttiva europea 2008/50/CE.Non ci si può quindi sorprendere davanti all’ul-tima classifica di qualità dell’aria redatta da Le-gambiente che vede Milano retrocessa dal 43º al 63º posto, ne tanto meno ci si può indignare se l’Agenzia Europea per l’Ambiente ci colloca tra le peggiori 30 città europee per qualità dell’aria.Inutile far notare quanto sia desolante il quadro fornito, è invece doveroso ricordare chi ammini-stra la nostra città e da quanto tempo lo faccia.

IL PARTICOLATO URBANOI valori limite che Milano e molte altre città ita-liane si ostinano da anni a violare a scapito dellasalute dei propri cittadini, si riferiscono soprat-tutto agli ormai famosi PM10 e PM2.5, ovveroaggregati di metalli, elementi e composti di vario genere che derivano dai processi di combustione.PM sta per “particulate matter”, mentre il nume-ro che segue si riferisce alle dimensioni che

MILANO UCCIDEBREVI CONSIDERAZIONI

SULLA QUALITÀ DELL’ARIA A MILANO

articolo di Luca Boniardifoto di Anna Crosta

15

Faber_Milano

faberg

iorna

le.it

risultano, per intenderci, vicine a quelle di una cellula. Più le particelle si fanno piccole, meglioriescono a penetrare all’interno del nostro orga-nismo: dell’aria che respiriamo, solo la parte più fine riesce, arrivando negli alveoli o passando per le mucose, a diffondere nel torrente circolatorio causando i problemi più gravi alla nostra salute.Questi materiali, una volta in circolo, interagisco-no con i meccanismi biochimici che regolano il nostro funzionamento complicando situazioni patologiche pre-esistenti e favorendo l’instaurar-si di nuove patologie come asma, aterosclerosi, aritmie cardiache, tumori di vario genere e, sem-bra da recenti studi, malattie neurodegenerative come Parkinson e Alzheimer.L’autorevole studio epidemiologico europeo APHEA 2, nonostante sia stato condotto dal 1990 al 1997, riporta risultati ancora attuali di-mostrando che a Milano il particolato urbano in-fluisce per circa l’1% sul totale dei decessi annui,

percentuale che si rivela alta se confrontata con quella delle altre città europee. Un altro studio ri-guardante la sola Italia, il MISA-2, condotto tra il 1996 e il 2002 e finanziato dal Ministero della sa-lute, ha sottolineato che se fossero stati rispettati i limiti fissati dalle direttive europee, si sarebbero evitati circa 900 decessi (1.4% sul totale) per il PM10 e 1400 per l’NO2 (1.7%), un altro inqui-nante estremamente diffuso nelle grandi città.

SI PUÒ INTERVENIRESecondo uno studio del 2003 di ARPA Lombar-dia, la fonte principale di particolato atmosfericoè il traffico su strada che pesa per un buon 77% sul totale, mentre riscaldamento ed industria in-tervengono solo in minima parte, rispettivamen-te per il 7% e l’11%. Dai dati forniti da Legam-biente sulle polveri sottili e sull’inquinamento urbano, si può concludere che Ecopass non è riu-scito nell’intento di migliorare la qualità dell’aria

di Milano o comunque non può essere l’unica soluzione, come del resto non lo possono essere le giornate a piedi che saltuariamente ci vengonosottoposte. E’ evidente che la vera sfida risiede nella capacità di mettere in campo una nuova concezione di mobilità.

TRISTI CONCLUSIONINel Novembre 2010 la Commissione Europea ha deferito l’Italia alla Corte di Giustizia per nonaver rispettato i limiti comunitari sulle polveri sottili nell’aria e per non aver messo in campo misureadeguate per rientrare nei valori di norma nei tempi previsti. Per il 2015 nuovi traguardi sem-pre piùrestrittivi aspettano gli stati membri dell’Unione Europea, è fin troppo facile prevedere che l’Italiaarriverà impreparata anche in questa occasione.

16

Faber_Milano

Quando si parla di “amore” e di “sesso” è facile cadere nella sindrome-da-Baci-Perugina: le ba-nalità si sprecano e si rischia di non dire nulla di interessante.Eppure forse qualcosa di originale da aggiungere c’è... Abbiamo deciso di fare una piccola indagine tra ragazzi di età compresa tra i 18 e i 25 anni e ne abbiamo parlato con Sergio Buccheri, psico-logo e psicoterapeuta milanese. Ecco quanto ne è emerso.«I giovani di oggi intessono le relazioni sessuali con modalità influenzate dalla comunicazione nei social network. É più facile mettersi in gioco e celare le insicurezze dietro l’anonimato dello schermo, che nei rapporti vis a vis; ma è anche più facile troncare di netto, con un semplice mo-vimento di indice sul mouse. Analogamente, tra i ventenni di oggi si instaurano molte relazioni

LA PAROLA AI LETTORI DI FABER:

COME È VISSUTA LA SESSUALITÀ TRA I GIOVANI?

articolo di Erica Petrillofoto di Anna Crosta

– numericamente parlando – che non implicano necessariamente il benché minimo coinvolgi-mento affettivo. Se ci si stufa o qualcosa non va nel verso giusto, il rapporto si rompe senza remo-re né sensi di colpa, come con un clic. Insomma un “amore consumistico”: si ricerca con frenesia un rapporto, si assaggia un po’ di qua un po’ di là, quando si è sazi lo si butta via. Viene meno l’aspetto del coinvolgimento personale, intimo e profondo della relazione affettiva; il modello è quello della transazione commerciale. Usando un’espressione del sociologo Zygmunt Bauman, potremmo chiamarlo amore liquido».Proviamo a fare gli avvocati del diavolo: in barba ai moralismi: avere rapporti con diversi partner potrebbe essere un modo per “scoprire il mon-do” e dimostrare vitalità. Inoltre permetterebbe di scegliere in modo più consapevole il proprio

Love is all we need

17

più , ma rischi di diventare un di meno perché coglie solo l’aspetto più meccanico e superficiale della cosa».Ma questa non è l’unica novità della nostra ge-nerazione. Buccheri parla anche di situazione in bilico tra insicurezza e ostentazione. «La disini-bizione è sbandierata in ogni occasione, ma non è detto che corrisponda un’effettiva emancipa-zione».Sarà vero? Torniamo per un attimo ai dati. Indi-cano effettivamente che gran parte degli stereoti-pi di genere e dei tabù legati alla sessualità sono quasi totalmente sdoganati: anche le ragazze parlano di masturbazione con le coetanee, sol-tanto il 6% considera“strano” che sia lei a portare il preservativo, la prima opinione che ci si fa di una ragazza con diversi partner occasionali non differisce molto da quella che si ha dei coetanei “libertini”. In altre parole, il luogo comune del “lei puttana da denigrare, lui don Giovanni da stima-ne” è caduto, per fortuna…Non è finita: un buon numero di giovani ha fa-miliarità con esperienze che farebbero probabil-mente arrossire d’imbarazzo buona parte dei no-stri nonni o genitori: il 25% ha fatto sesso anale e il 17% ha visto un filmato porno con il proprio partner.Andando più a fondo si scopre però che questa estrema sicurezza è spesso solo una facciata: il 9% dopo aver fatto l’amore con una persona “prefe-risce cambiare” invece che continuare a frequen-tarla e addirittura il 22% è spaventato dall’idea di una relazione importante. Insomma, l’eventuali-tà di un coinvolgimento profondo e duraturo – che potrebbe appagare ma eventualmente anche deludere – intimorisce.Lo stesso vale per la comunicazione nella coppia. Quasi 70 persone su 90 parlano con il proprio

partner di cosa va o non va quando fanno l’amo-re; ma dando un’occhiata ai risultati emersi sui temi “eiaculazione precoce e cilecca” e “simula-zione dell’orgasmo” si direbbe il contrario...Qual è la causa di questa forte insicurezza? L’i-potesi di Buccheri ha un nome preciso: pressioni sociali. Bombardati da modelli di sessualità esi-bita a destra e a manca manca, saremmo “schia-vi” di un modo di concepire le relazioni sessuali che non hanno nulla a che fare con un’esigenza profonda, ma sono un adeguamento a presunte aspettative esterne. Non a caso il 34% degli inter-vistati dichiara di “essersi sentito forzato/a a fare qualcosa in ambito sessuale che non gli/le anda-va”... Si spiegherebbe così anche perché circa il 5% dei ragazzi ha avuto rapporti senza essere mai stato innamorato o perché ben il 9% ha spesso bisogno “dell’aiutino” di alcol o droghe per avvi-cinarsi all’altro sesso.In quest’ottica anche “la prima volta” perde tutto il suo tradizionale valore simbolico. Non più un rito di passaggio nè una tappa fondamentale nel-la vita di un uomo e di una donna, bensì “un’onta da sciacquare via il prima possibile” (19% delle risposte). E se sei vergine a vent’anni farai meglio a sbrigarti per non passare per “uno sfigato” (se-condo 10 persone su 90).In definita, le risposte al sondaggio delineano una generazione di insicuri, che vanta la propria “impermeabilità” alle emozioni come se non essere coinvolti fosse motivo d’orgoglio e i vari partner fossero pedine intercambiabili senza molta importanza.«Baci uguali non ne esistono: ogni bacio ha un suo sapore». Questa frase – di un anonimo – vie-ne da un cioccolatino Perugina. Forse per una volta dovremmo riconsiderarli...

faberg

iorna

le.it

compagno o la propria compagna di vita. La ri-sposta di Buccheri è lapidaria: «Questo è sicura-mente vero, a patto che non venga del tutto meno l’aspetto affettivo. Il dubbio che invito a prendere in considerazione è che la dispersione su un fron-te più ampio e cangiante di partner non sia un di

18

Le mani sono incollate al manubrio. Letteral-mente dico, dal freddo. Alla stazione, però, ci sono tutti, con gli occhi rossi e il naso pure, e c’è anche il the caldo distribuito dai volontari della Protezione Civile. Decido di fermarmi un atti-mo e, come scrisse Roberto Cotroneo, “per un attimo immenso ho dimenticato il mio nome”. E anche l’ora. Così ho conosciuto Enzo, che mi ha invitato a sa-lire su un treno carico di storie. Un passaggio che non rifiuto mai.

Una cioccolata calda in cambio di una storia. Il progetto nasce dall’idea di baratto, di economia del dono: otte-nere quello che si desidera dando in cambio qualcosa che ha un certo va-lore personale. La preparazione della cioccolata è un momento importante tanto quanto il racconto della storia, poiché è svol-ta con la massima cura. Lo scambio è dunque mutuale, basato sul valore d’uso, di utilità, in contrapposizione al valore commerciale, di mercato. Ma la questione va oltre le logiche econo-miche: il desiderio di vivere la strada, di scoprire come viene vissuta in una città come Milano che sembra vivere solo all’interno, è stato la molla che ha fatto scattare il tutto. Perchè la cioc-colata? Perché è buona, scalda anima e corpo, scioglie la lingua, aumenta le percezioni sensoriali e induce euforia. Così viene a crearsi un clima allegro, di complicità, che permette di condivi-dere, in poco tempo e in modo inten-so, una serata fatta di sguardi, risate, emozioni e, ovviamente, di tante, tan-te storie!

UNA SERATA FUMANTE PER LE STRADE DI MILANO.

articolo e foto di Cecilia Foschiillustrazioni di Laura Adorno

Faber_Milano

19

Enzo è vestito scuro: giaccone sformato blu, scarpe nere vecchie, ma in ordine, cappellino blu calato fino alle sopracciglia. Se però dovessi scegliere un colore per descrivere la sua persona, non esiterei: rosso. Rosse le sue mani gonfie e ru-vide, rosso il grosso naso a patata, rosso il vino nelle sue vene, rosso il sangue secco sulla garza di una brutta ferita alla gamba.«Non sono questi i problemi. L’altro giorno sì che ho avuto paura: sono andato al pronto soccorso perché me la facevo addosso e non si fermava. E nella testa avevo un martello pneu-matico. Ma non volevano farmi gli esami. Gli ho detto: non avete fatto il giuramento di Ippocrate, ma degli ipocriti. E ho montato un casino che alla fine è venuto a parlarmi il primario. Siamo anda-ti nel suo studio, chiusi dentro per un’ora: l’ho smontato. Quando è uscito, infatti, ha detto alla segretaria: bene, fategli tutti gli esami che vuo-le». Tac, colonscopia, sangue. E com’è andata? «Sono sano come un pesce!». Sghignazza, striz-zando gli occhi chiari e vispi; il sinistro è molto più piccolo, completamente rosso. D’improvviso si fa serio, guarda in basso, prende un bel respi-ro, alza le sopracciglia e… «Questa è la storia, di uno di noi, anche lui nato per caso in Via Gluck». Canta, e al timbro gracchiante sostituisce una voce possente, limpida, grave, come se gli uscisse direttamente dalla pancia. Facciamo coro per un paio di strofe, al ritornello le stecche. Si sentono risate roche e commenti sguaiati, dal palco im-maginario di Piazza Duca d’Aosta. Altro giro di cioccolata, altra canzone: «Io non so parlar d’a-more…». È davvero bravo, interpreta con ampi gesti e mantiene le note a lungo, senza però gua-stare l’originale. Fa qualche piroetta sulle note di “La Vie en Rose”. Dice di essere stato maestro di

danza di una ballerina famosa, di cui non si capi-sce il nome.Per dimostrarci che è tutto vero, Enzo improvvi-sa una lezione: enchaînement, à droite, à gauche en tournant…Noi ci mettiamo tutto l’impegno del mondo, ma lui sbuffa. Lasciamo stare i piedi, e l’equilibrio, torniamo alle chiacchiere piuttosto. «Se lo sapesse (la ballerina) che sto ridotto così, mi verrebbe a prendere di corsa e mi porterebbe via da questo schifo di città». Si accende una si-garetta, tira forte, abbassa le palpebre. Avvolto dal fumo, sogna, forse, una giovane mademoiselle étoile che si avvicina leggera, con in testa un gran-de cappello; lo guarda intensamente e, portando il viso elegante al suo orecchio, sussurra: “ Viens Maestro, je te porte avec moi. Nous allons, loin.”.«“Il dolore non è altro che la sorpresa di non conoscerci”. Una grande verità che viviamo tutti sulla nostra pelle, ma solo l’Alda poteva esprimer-la con queste parole». Alda è la poetessa milane-se Alda Merini. «Era una donna completamente fuori, ma quanta umanità, nella sua casa sui Na-vigli c’era posto per tutti: uomini, donne, gatti (a decine)…».Una vita piena di amicizie importanti, quella di Enzo. «Charles Bukowski quando apriva una bottiglia la doveva finire. Piuttosto schiantava a terra. Una volta mi lasciò le chiavi di casa, dicen-do che doveva andare a fare un’intervista, quella in cui ha mandato tutti a quel tal paese in diretta. Io lo avevo seguito e lo aspettavo fuori. Uscito dagli studi, mi vide e disse: “Cosa ci fai qui?”. “Ti sto riportando a casa”, dissi io. Mi baciò fino alla porta». Un cantastorie eccezionale Enzo: fa pause ac-curate e guarda il pubblico in cerca di stupore, ammirazione, rispetto. Lo spettatore, rapito e di-

faberg

iorna

le.it

DI NOTTE LE PAROLE SCORRONO PIÙ LENTE PERÒ È MOLTO PIÙ FACILE PARLARE CON LA GENTE, CONOSCERE LE STORIE, OGNUNA ORIGINALE, SAPERE CHE NEL MONDO NESSUNO È NORMALE. OGNUNO AVRÀ QUALCOSA CHE TI POTRÀ INSEGNARE, GENTE MOLTO DIVERSA DI OGNI COLORE. Jovanotti, La gente della notte

PIAZZA DUCA D’AOSTA, DI FRONTE ALLE TENDE BLU PER L’EMERGENZA FREDDOMARTED 20 GENNAIO 2011, 23.00

ENZO IL CANTASTORIE

20

vertito, non può fare a meno che stare al gioco. «L’anno scorso, proprio qui davanti alla stazio-ne, passò Renato Vallanzasca, con due guardie di scorta. Io lo conoscevo di persona il bel Renè, ma non volevo salutarlo, tenni gli occhi bassi. Lui invece mi vide, si avvicinò e mi fece: “Ciao Enzi-no”». Ne imita il ghigno, l’arroganza, e l’accento milanese. Si avvicinano due tipi vestiti uguali, talmente fatti che fan fatica a stare in piedi. Uno si accascia a terra. I poliziotti scendono dalla volante appo-stata a pochi metri dai tendoni, e ci guardano. Forse conoscono i ragazzi, Enzo è sicuro di co-noscerli. Sono due gemelli napoletani, il più sano dice che per tre giorni ha cercato il fratello, l’ha trovato poco fa, ma lo credeva morto. Enzo gli si rivolge con tono duro, teso: «Portalo via da qua. Se resta, non ce la farà. Fidati». I due “guaglio-ni” barcollano via, la tensione si scioglie e le sto-rie riprendono: nottate e trip pazzeschi sotto le stelle e i portici di Bologna, negli anni d’oro delle immense compagnie, e sembra di entrare in un racconto di Tondelli. «Posso dire di averne viste abbastanza di cose. Sono quarant’anni che sto in strada».Ma lui quanti anni ha? Se funzionasse come per gli alberi, una ruga ogni dieci anni, solo a conta-re quelle intorno agli occhi avrebbe almeno 500 anni.

È tardi, il freddo inizia a diventare insostenibile. Enzo ci mostra il suo sacco a pelo giallo acceso, forse scelto apposta per dare un’apparenza più

Faber_Milano

calda al proprio giaciglio. Rinuncerà anche sta-notte ai tendoni allestiti per l’emergenza freddo, perché l’odore, lì dentro, è insostenibile, e perché girano “bustine”. «Ho smesso col metadone da trentacinque giorni, di botto; prendevo 80mg». Ci vede perplessi, non siamo pratici di dosi. «È tanta roba, c’è gente che sclera senza la sua dose da 10mg. Ma io mi sono stufato di fare il droga-to statale, non glieli voglio dare più i miei soldi al Sert (Servizio Tossicodipendenze, in realtà è gratuito, ndr)». Ormai la Piazza è deserta, e noi siamo congelati, ma continuiamo a parlare, di giustizia e libertà, di poesia e letteratura. La cultura di Enzo è impres-sionante, sa perfino la data della fondazione dei Cavalieri di Malta (dei quali la Protezione Civile porta al cuore la croce): 1023, quando l’Ordine era ancora conosciuto con il nome di Ospitalie-ri. Ci dice di aver provato più volte a scrivere un romanzo usando fogli vecchi, giornali, tovaglioli, che gli sono volati via, o che gli hanno rubato. Ma tanto è rimasto tutto in testa, dice picchiando l’indice tumefatto contro la tempia.

È proprio rosso il nostro Enzo, una passione per la vita che neanche venticinque anni di pere sono riusciti a distruggere. Gli diamo una copia di Faber, e gli chiediamo se sarebbe d’accordo a farci da guida notturna per le strade della capitale meneghina, alla ricerca di nuove storie. Accetta, e fissiamo già l’appuntamento: Giovedì 20 alle 23.30, proprio qui al “Bar sotto le stelle”. È un patto?

Le due mani destre si stringono forte: due stru-menti completamente diversi. «Gli occhi sono lo specchio dell’anima», aveva detto poco prima. La sua è stata così tanto nel buio che è impossi-bile pretendere trasparenza, e capire se ci si può fidare. Ma i suoi occhi azzurri… non saranno belli come quelli del Vallanzasca detto “faccia d’angelo”, però sono buoni. Ci allontaniamo con la sicurezza di rivederci tra due giorni (poi non si è fatto vivo, ndr).La nebbia intanto si è diradata e i lampioni illu-minano a giorno la grande piazza, e la sbianca-tissima Stazione a nord. A sud-ovest, il primo grattacielo a violare la tradizione superando in altezza la bela Madunina: il Pirellone.Qualche luce accesa, forse qualcuno è alla fine-stra. Forse ci ha visto ballare, piegarci in due dalle ri-sate, aprire le braccia nel canto, offrire cioccolata, stare in silenzio, fermi. Forse ne ha viste tante di cose in quella piazza; quelle più brutte adesso si sono spostate di qualche metro, perché i proble-mi non si risolvono aumentando i watt dei lam-pioni. Forse questo signore si è dovuto slacciare un bot-tone della camicia, e allargare il nodo della cra-vatta, per riuscire a deglutire, a sciogliere un nodo ancora più stretto: quello di chi sa che in piazza, o in strada, ci dovrebbe andare, almeno una volta.“Da’ aria nuova alle tue idee”. Forse lui, e gli altri che restano sempre a palazzo, si sono dimenticati che questo è il motto della Regione Lombardia.

FOTODi notte alla Stazione Centrale

21

faberg

iorna

le.it

22

COGITO ERGO EDO SMETTETELA, UOMINI, DI PROFANARE I VOSTRI CORPI CON CIBI EMPI! CI SONO LE MESSI, CI SONO ALBERI STRACARICHI DI FRUTTI, CI SONO TURGIDI GRAPPOLI D’UVA SULLE VITI! […]. LA TERRA NELLA SUA GENEROSITÀ VI PROPONE IN ABBONDANZA BLANDI CIBI E VI OFFRE BANCHETTI SENZA STRAGI E SENZA SANGUE […]. CHE ENORME DELITTO È INGURGITARE VISCERE ALTRUI NELLE PROPRIE, FAR INGRASSARE IL PROPRIO CORPO INGORDO A SPESE DI ALTRI CORPI, E VIVERE, NOI ANIMALI, DELLA MORTE DI ALTRI ANIMALI! TI PAR POSSI-BILE CHE FRA TANTO BEN DI DIO CHE PRODUCE LA TERRA, OTTIMA TRA LE MADRI, A TE NON PIACCIA MASTICARE ALTRO CON I TUOI DENTI CRUDELI CHE CARNE FERITA […] ?Ovidio, Metamorfosi (72-93)

Faber_Bologna

23

PENSO QUINDI MANGIO: LA STRADA VERSO UN

CONSUMO CRITICOdi Savio Bolaro

foto di Francesco Criscione

faberg

iorna

le.it

STORIA DI UN’IDEACosì Pitagora nel VI sec. a.C. esortava gli uomi-ni a smettere di cibarsi di carne animale. Ma che cosa significa essere vegetariani oggi? Per ‘vege-tariano’, o latto-ovo-vegetariano, s’intende chi si ciba di latte e uova, ma non di carne. Si chiama vegano chi decide invece di non mangiare alcun prodotto di origine animale. I motivi di queste scelte nella storia del pensiero occidentale sono stati molti. Da Pitagora che rite-neva empio sacrificare animali sia per gli dei che per il proprio appetito; a Platone, che per gli abi-tanti della sua città ideale prevedeva una dieta ve-getariana. Altri invece giustificavano la dieta car-nea: Aristotele, precursore degli stoici sosteneva la mancanza di ragione e di coscienza nelle bestie da cui discendeva un diritto ‘naturale’ dell’uomo sull’animale,. In aperta polemica con aristotelici e stoici si poneva Plutarco, che sottolineava ‘come’ i comportamenti animali assomigliassero a quelli umani «come se il cerbiatto provasse paura […], come se udissero e vedessero, come se gemesse-ro, come se, infine, vivessero, mentre in realtà non sono esseri viventi» apostrofando ironica-mente i suoi avversari. Con l’avvento del cristia-nesimo, a partire da Paolo, si consolida l’idea che Dio ha creato gli animali a uso degli uomini, e si avversa la pratica vegetariana associandola alle ‘eresie’. Con il Rinascimento e in particolare con Tommaso Moro ed Erasmo da Rotterdam tor-nano gli argomenti a favore dell’intelligenza ani-male, e alcuni loro contemporanei praticavano il vegetarianesimo in quanto aspetto di una critica radicale della società. Cartesio arriva addirittura a presentare gli ani-mali come macchine prive di coscienza e della capacità di soffrire, fornendo una giustificazione alle prime pratiche di vivisezione medica. Altri pensatori e medici, come l’abate Pierre Gassend, preferivano evitare la carne che ritenevano ina-datta all’uomo.Dal XIX sec. in tutta Europa, in particolare in Francia e Gran Bretagna, si sviluppano asso-ciazioni contro il sacrificio di animali a scopo alimentare: i soci sono spesso vicini alle idee socialiste e le donne femministe . La scelta della dieta pitagorica non era solo dettata da motivi di salute, ma spesso anche da genuina compassione. Elisée Reclus, geografo e comunardo parigino, affermava per esempio che la sua scelta «nulla aveva a che fare con la ricerca della verità», ma era stata dettata dallo sgomento provato alla vista del cortile del macellaio del villaggio: «Muto e tremante ero fermo in questo cortile macchiato di sangue, incapace di fare un passo in avanti e troppo terrorizzato per fuggire»#.Anche Lev Tolstoj, con il suo impegno non vio-

lento in difesa degli oppressi, animali compresi, fu l’ispiratore di intere generazioni di vegetariani. E anche il giovane Gandhi, vegetariano per tra-dizione religiosa, giunto a Londra, scrisse i suoi primi articoli di impegno civile proprio per i pe-riodici delle associazioni vegetariane.La nascita del movimento vegan risale infine agli anni ’60 del secolo scorso, visto da alcuni come logica conseguenza del vegetarianesimo. Soste-nitrice dei diritti animali fu la controcultura gio-vanile degli hippy, il movimento che attraversò l’Europa e gli Stati Uniti e che vedeva nell’ado-zione del vegetarianesimo una pratica ecologica, frugale e salubre per corpo e spirito .Dieci anni dopo. negli anni ’70 il filosofo Peter Singer, nella sua opera Liberazione Animale, for-nisce gli argomenti razionali a favore della dieta pitagorica, inserendo la sofferenza animale nella sfera dei diritti naturali da tutelare, non ricono-scendo in questo contesto differenze fra le specie. Il dibattito vegetariano ha avuto anche l’apporto di Tom Regan, sostenitore dell’intrinseco diritto di vivere dell’animale, dal quale discende come agire morale la scelta vegetariana.

INFORMAZIONE E DISINFORMAZIONENel 2006 su 58 milioni di italiani ben 11 milioni, secondo Eurispes# in costante aumento, erano vegetariani . Dati che testimoniano la diffusione del vegetarianesimo, sempre più associato a for-me di consumo critico per un crescente interesse verso le conseguenze ecologiche dell’alimenta-zione. Molti abbracciano il vegetarianesimo an-che per i benefici che ne deriva la salute. Molti credono che l’assenza della carne nella dieta de-termini carenze nutrizionali di proteine e ferro. Ma i medici della Società scientifica di nutrizio-ne vegetariana (Ssnv), da noi intervistati, hanno documentato l’infondatezza di queste tesi. Quali sono i vantaggi dell’eliminazione dei pro-dotti animali e dell’introduzione nella propria dieta di maggiori quantità di verdure, legumi, cereali, frutta secca? Secondo i medici della Ssnv i vantaggi sono reali e visibili. Molte malattie croniche, e in particolare arteriosclerosi e altre malattie cardiovascolari, obesità, diabete e mol-te forme di cancro sono strettamente correlate all’alimentazione e allo stile di vita occidentale «Con un’alimentazione basata sugli ingredienti vegetali, la probabilità di sviluppare le varie ma-lattie “del benessere” è decisamente inferiore. E, al contrario, maggiori sono le assunzioni di car-ne, maggiori sono le probabilità di sviluppare tali malattie» Secondo gli esperti tutti nutrienti di cui l’organi-smo ha bisogno possono essere ricavati da una

Faber_Bologna

24

Faber_Bologna

dieta ricca, varia ed equilibrata di alimenti vege-tali. Ciò che i consumatori ignorano è che nella carne sono presenti numerose sostanze dannose: pochissime vitamine, niente fibre. troppi grassi e soprattutto proteine di bassa qualità, poiché ad alto contenuto di aminoacidi solforati, che “rubano” calcio all’osso. Gli intervistati sosten-gono inoltre che la dieta vegetariana, a dispetto dei luoghi comuni, sia adatta non solo alle don-ne in gravidanza ma anche ai bambini per tutto il percorso di crescita: «i bambini che seguono fin dallo svezzamento un’alimentazione a base vegetale sono meno soggetti dei loro coetanei a malattie da raffreddamento, allergie e disturbi digestivi». Anche l’associazione dei nutrizionisti americani (Ada) afferma: «Le diete vegetariane ben pianificate sono appropriate per individui in tutti gli stadi del ciclo vitale, ivi inclusi gravidan-za, allattamento, prima e seconda infanzia e ado-lescenza, e per gli atleti»#. Ma non tutti i medici condividono questa visione : un nutrizionista da noi intervistato non ritiene impossibile una dieta equilibrata per bambini e adolescenti. ma di diffi-cile pianificazione..

MALESSERE CHE PROVOCA MALESSEREEppure molte associazioni insistono sull’enor-me rischio del consumo di carne, soprattutto se eccessivo. Un esempio è la Lega antivivisezione (Lav) che diffonde informazione sull’emergenza di un fenomeno largamente diffuso: l’allevamen-to intensivo. La zootecnia intensiva nasce negli Stati Uniti con la “rivoluzione verde” , cioè con il grande aumen-to della produttività agricola legata all’adozione, negli anni ’60. di nuove tecniche di coltura. Per-mette tempi di produzione molto brevi, in spazi estremamente ridotti, amplificando così la quan-tità di animali allevati: risponde dunque alla ri-

chiesta in costante aumento di prodotti animali. Come per la produzione di qualsiasi altra merce il fine è la massima produzione con il minimo co-sto, minimo impiego di spazi e forza lavoro.Ora, «la quasi totalità dei prodotti di origine ani-male reperibili nei circuiti della grande distribu-zione proviene da allevamenti intensivi»#, che oltre a costringere gli animali in un evidente stato di sovraffollamento e malessere, determinano proprio per questi motivi l’incidenza di gravi ma-lattie sugli animali stessi. Inoltre, poiché la mag-giore produttività richiede l’accorciamento dei tempi, non si rispettano i tempi naturali di cresci-ta degli animali e si interviene con antibiotici e al-tri farmaci. Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità metà della produzione mondiale di antibiotici viene utilizzata proprio negli alleva-menti intensivi. Come pensare che la carne di un vitello da latte alimentato per i primi sei mesi di vita ad antibiotici e poi macellato sia ottimale per la salute del consumatore? Spesso i farmaci resta-no nei tessuti e finiscono in chi se ne ciba: da qui l’aumento di batteri resistenti a molti antibiotici . Persino Efsa (European Food Security Autho-rity) l’autorità alimentare europea «ha rilevato […] in un rapporto del 2008, come in molti casi i cibi di origine animale trasmettano all’uomo batteri resistenti agli antibiotici»#.

VEGETARIANESIMO ECO-LOGICOPer non parlare degli effetti devastanti che ha la zootecnia sull’ambiente: quello che i più ignora-no è il forte legame fra gli allevamenti intensivi e molti problemi ecologici che stressano oggi il nostro Pianeta.Sono responsabili di una buona parte del riscal-damento del clima perchè sono fra i maggiori produttori di gas serra,: «Nel rapporto Fao del 2006 Livestock’s long shadow è stato calcolato

che gli allevamenti intensivi producono il 18% di anidride carbonica, metano e ossido di azoto, contro il 14% di tutte le attività di trasporto via terra, acqua e mare. In un recente studio di due autori dello stesso rapporto FAO il valore è sta-to revisionato e risulta ammontare addirittura a oltre il 50%, poiché in Livestock’s long shadow alcune voci non erano state conteggiate»#. I dati della Fao dimostrano che una riduzione della richiesta di prodotti animali sarebbe un grande freno all’aumento della temperatura terrestre.Inoltre l’80% circa delle terre coltivabili sono a foraggio per fini zootecnici, e sottraggono pro-gressivamente spazio alle foreste. Ma la resa della carne è di gran lunga inferiore a quella dell’agricoltura: per ottenere 1 Kg di carne bo-vina occorrono all’incirca 7-8 Kg di vegetali: un investimento in perdita tanto che gli allevamenti intensivi sono stati definiti “fabbriche di proteine alla rovescia” # perché la loro richiesta di proteine è molto più alta della resa.Se incrementasse il consumo di prodotti animali anche nei Paesi in via di sviluppo, come si pre-vede accadrà per l’esportazione dei modelli ali-mentari occidentali, ad esempio in Cina e India, la situazione diverrebbe insostenibile e la Terra verrebbe spremuta e inquinata sino al collasso. Questo stato di cose impone una riflessione: nei paesi industrializzati si è arrivati ad un processo di produzione-consumo della carne insostenibile sia per l’organismo che per la Terra. Per questo ciò che propongono alcuni esponenti della Fao e molte associazioni ambientaliste non è una rivo-luzione alimentare radicale ma un ripensamento sulla qualità del cibo, nuove politiche che incenti-vino uno sviluppo sostenibile, oltre che un’inevi-tabile riduzione dei consumi di prodotti animali nei Paesi del Nord del mondo.

FOTOAgnellino su foglie di insalata

25

Faber_pubblicità progresso

26

Faber_cooperazione

Il progetto PEAR+ di COOPI appoggia l’inte-grazione degli sfollati con la popolazione autoc-tona nelle zone di Zengo, Dala, Banana, offrendo un pacchetto di assistenza nei settori della Sanità, Educazione, Protection e Watsan. Da ormai quasi due anni COOPI, con finanzia-mento UNICEF, sta portando avanti il program-ma annuale PEAR+. Si tratta di un programma integrato di assistenza agli ex sfollati ritornati a casa, ossia un intervento multisettoriale che si propone di facilitare il reinserimento nella loro vita quotidiana di quelle persone che sono scap-pate da casa durante il conflitto etnico e che da quattro anni hanno cominciato a tornare nelle loro terre, dove altre persone hanno continuato a vivere o sono arrivate in loro assenza.Negli anni del conflitto, le già scarse strutture educative e sanitarie sono state distrutte o gra-vemente danneggiate e quelle che restano sono prevalentemente in “poto-poto” (struttura di legnetti e copertura di fango e paglia). Le strade che collegano la nostra area di intervento alle vie principali sono in stato di grave degrado: strette e dissestate, nella stagione delle pioggie diventano una vera sfida per qualunque spostamento, dal camion alla bicicletta ai piedi. Questo rende più difficile l’accesso agli ospedali in caso di emer-genza, o al mercato esterno, per la ripresa del commercio.

L’attività che più attira la popolazione di questa zona è la ricerca d’oro. E’ opinione diffusa che

piuttosto che dedicarsi all’agricoltura o aprire un’attività (vendere pane per esempio) é prefe-ribile sperare di trovare dell’oro nel corso della giornata, e quindi guadagnare un po’ di soldi tut-ti in una volta, anche se c’è la seria possibilità di non trovare nulla per vari giorni o settimane.Le condizioni dei cercatori d’oro sono piuttosto precarie: instabilità delle entrate economiche ed esposizione agli umori degli intermediari. Si trat-ta di ambienti dove la legge del più forte regna sovrana. E dove lavorano molti bambini e molte donne, in condizioni di alta vulnerabilità.Il PEAR+ sviluppa il suo intervento attraverso l’offerta di un pacchetto integrato che comprende interventi sull’educazione, la salute, la nutrizione, l’igiene ambientale, la protezione dei bambini vulnerabili e delle vittime di violenze sessuali.Per quanto riguarda le infrastrutture, quest’an-no stiamo intervenendo in 7 scuole elementari, con la costruzione di 40 classi e relative latrine; costruendo due centri di rattrapage scolaire, ov-vero di alfabetizzazione per minorenni ormai troppo grandi per iscriversi in prima elementare. Si tratta di ragazzi che non hanno potuto studiare al tempo debito perchè reclutati da gruppi armati o scappati dalle loro vite per il conflitto o in ne-cessità di dover lavorare per appoggiare la fami-glia, per esempio nella ricerca dell’oro. COOPI sta inoltre costruendo due centri di maternità e due ambulatori, ristrutturandone un terzo. Ha facilitato la costruzione di strutture comunitarie per attività socio-culturali; ha protetto 33 sor-

R.D.CONGOASSISTENZA INTEGRATA AGLI EX SFOLLATI

IL PROGETTO PEAR+articolo e foto di Camilla Dogliotti,

capo progetto PEAR+ di COOPI in Rep. Dem. del Congo

27

COOPI – Cooperazione internazionale è una orga-nizzazione umanitaria, laica ed indipendente, che lotta contro ogni forma di povertà.Da 45 anni, aspira a migliorare il mondo, grazie alla cooperazione di tutti (esperti, volontari, partner, cittadini, istituzioni).Assiste le popolazioni in caso di emergenza e lavo-ra per favorire lo sviluppo, in 21 paesi del Sud del mondo.Nel 2009, ha amministrato 39 milioni di euro, de-stinando il 94% dei fondi ai progetti e il 6% alla struttura. Inoltre ha realizzato 183 progetti, avva-lendosi di 63 collaboratori, 162 espatriati e oltre 1.000 operatori locali. Nota come la “Ong del fare”, COOPI sostiene ogni anno 4,5 milioni di beneficiari.

www.coopi.org

Coopi in 10 righe

Faber_cooperazione

faberg

iorna

le.it

genti d’acqua a non più di mezz’ora di cammino dall’ultima casa del villaggio e realizzato 4000 latrine, con il contributo delle famiglie coinvolte.

Ma per quanto le infrastrutture siano più facil-mente visibili, il grosso del lavoro svolto dall’e-quipe di progetto è immateriale. Nei cinque ambulatori dove interveniamo, per esempio, si forma il personale che vi lavora sulle cure oste-triche e neonatali d’urgenza, sulle principali ma-lattie dell’infanzia, su come seguire una donna durante la gravidanza, il parto e i mesi successivi, su come riconoscere e curare i casi di malnutri-zione infantile moderata o grave e come gestire il processo di vaccinazione. 50 “RECO” (promo-tori comunitari, generalmente persone stimate e riconosciute all’interno delle loro comunità) sono formati per diffondere nei loro villaggi delle pratiche chiave per una vita sana e per saper rico-noscere i casi di malnutrizione infantile o mater-na e riferirli agli ambulatori.

Nelle sette scuole invece si formano i direttori e gli insegnati sul programma nazionale di istruzio-ne elementare e sull’auto-gestione di una scuola. Bisogna sapere che gli insegnanti riconosciuti dallo Stato congolese sono pagati all’incirca 40 dollari al mese, e non con una costante regolarità. Le scuole non ricevono altro tipo di appoggio e fanno pagare agli alunni delle tasse di iscrizione con cui finanziare la gestione della scuola e pa-gare gli insegnanti non riconosciuti dallo Stato. I Comitati di Genitori sono organi importanti per l’organizzazione della scuola, insieme ai direttori e agli insegnanti. COOPI si occupa di formarli af-finchè il loro lavoro sia il più semplice ed efficace possibile e affinchè comprendano l’importanza della scolarizzazione delle bambine. Infine, 100 adolescenti sono stati formati in modo da sen-sibilizzare i loro coetanei verso un corretto stile di vita, senza droga, alcool e fumo, e renderli co-scienti dell’esistenza delle Infezioni Sessualmen-te Trasmissibili, in particolare HIV/AIDS.Per quanto riguarda l’igiene ambientale, CO-

OPI segue due programmi nazionali: “Villaggi Salubri” e “Scuole Salubri”. Per quanto riguarda i villaggi, si lavora con tutta la comunità e tutte le case per costruire delle latrine in ogni famiglia, per costruire delle docce e dei sistemi per lavar-si le mani, si scavano buchi per la spazzatura nel terreno, si taglia l’erba intorno alle case e le stra-de per tenere lontani i serpenti… Nelle scuole invece si organizzano i ragazzini in gruppi per la pulizia del cortile, delle classi, dei bagni, e cosí via, rendendoli responsabili del mantenimento di uno spazio comune.Last but not least, la nostra equipe si occupa della protezione dell’infanzia e delle vittime di violen-ze sessuali. Si parte dal presupposto che il nostro intervento è limitato a un anno di tempo e che quindi, più che farsi carico direttamente della protezione, vale la pena di formare e rafforzare le capacità a livello comunitario per l’identifica-zione, presa in carico e riferimento dei beneficiari identificati. Una volta raccolti i “leader comuni-tari”, ovvero quelle persone che hanno un’auto-revolezza di qualsivoglia natura nella comunità, si lavora con loro per la formazione dei RECO (Réseau Communautaire, volontari della comu-nità) di protezione dell’infanzia (RECOPE) e per il rafforzamento di Associazioni Femminili. In genere, un lavoro previo di sensibilizzazione è d’uopo, per avere una visione comune di cosa si intende per bambino vulnerabile o per vittima di violenza sessuale. Un bambino vulnerabile puó essere un bambino che lavora nelle miniere, un orfano, un bambino che non vive nella sua famiglia d’origine, un bambino che apparteneva a gruppi armati regolari o irregolari, bambini co-stretti alla prostituzione, madri bambine… Per le violenze sessuali, invece, a volte abbiamo difficol-tà a far passare il messaggio che lo stupro dome-stico rientra appieno nella definizione generale. Per i bambini vulnerabili è previsto un accordo con le scuole ricostruite per il loro reinserimento nel percorso scolastico, senza pagare le tasse per la gestione della scuola. Per le vittime di violenze sessuali, che possono essere tanto donne quan-

to uomini, dai bambini ai vecchi, è previsto un piccolo programma di reinserimento economico o scolastico e la formazione del personale degli ambulatori sul trattamento sanitario da dare in caso di violenza.Il Programma copre tante necessità, ma anco-ra tante ne restano scoperte. La speranza su cui ci basiamo durante il nostro incessante lavoro quotidiano è che tutta la formazione del perso-nale educativo e sanitario possa migliorare le vite quotidiane della popolazione beneficiaria; e che tutti i gruppi comunitari istituiti o rafforzati, de-diti alla pulizia del villaggio, alla gestione delle scuole, alla lotta alla malnutrizione, alla prote-zione dell’infanzia o delle donne, che tutti questi gruppi dicevo restino attivi e si rendano giorno dopo giorno più responsabili del benessere della loro comunità.

FOTOBambini a scuola

28

Faber_cultura

29

Faber_cultura

faberg

iorna

le.it

IL TESTO DI OSCAR WILDE RIVISITATO E ARRICCHI-

TO NELLA SPUDORATA VERSIONE DELL’ELFO

di Matteo de Mojana

Entrando nella Sala Fassbinder dell’Elfo Puccini per andare a vedereL’ultima recita di Salomè, si è accolti da un’atmosfera circense. Tendaggi rossi, ruggiti in sottofondo, musica arrangiata a tema.Il primo intento del lavoro di Ferdinando Bruni e Francesco Frongia, che firmano lo spettacolo tratto da Oscar Wilde, è proprio di richiamare i circhi di fine ottocento, quando venivano esposti gli ermafroditi come fenomeni da baraccone, da cui l’immagine di locandina.La presentazione segue questa falsa riga, ricor-dando molto l’inizio della Lulu di Wedekind e Berg; tant’è che il pubblico si aspetterebbe di vedere subito l’animale più feroce e velenoso, Sa-lomè. Sorprendentemente l’attrazione è invece l’autore stesso, un Wilde incarcerato, come real-mente fu per due anni. L’ineluttabile condanna al girone dei lussuriosi prevede, come pena del contrappasso, la messa in scena di questa ultima recita.In questa prima parte il lavoro drammaturgico è complesso. Vengono mescolati brani da De pro-fundis, Ballata del carcere di Reading e vari docu-menti originali sullo scrittore irlandese.In questo contesto si inserisce la scena del primo incontro tra Salomè e Iokanaan.Il tutto crea un effetto straniante e all’inizio il pubblico è estromesso dalla scena. La grande spettacolarità della cornice può dunque risultare un po’ pesante nei primi minuti.C’è molta coerenza nel gusto scenico: colori e luci sgargianti, sovrapposizioni multimediali di video, effetti sonori, voci microfonate, costumi brillanti e una cortina inebriante di fumo.Un fortissimo sapore dandy e bohemien che ag-gredisce letteralmente chi osserva.Ognuno di questi elementi acquista senso e vita nel momento in cui viene a crearsi uno splendido quadretto familiare. Il salotto dove siedono Ero-de, Erodiade e Salomè ha tutte le caratteristiche di un boudoir sadico e le relazioni tra i personag-gi vengono affrontate con grande ironia.La forza del tetrarca Erode Antipa viene vinta solo dalla seduzione femminile. Salomè balla per lui a patto che egli le dia qualsiasi cosa chiederà, e come tutti sappiamo l’oggetto del desiderio sarà la testa di Giovanni Battista, di cui la principessa desidera tanto baciare la bocca. Il sovrano, ce-dendo al desiderio e diventando così ricattabile, ha giurato e neanche lo smeraldo più grande del mondo gli potrà levare l’impaccio.

«Il punto centrale di questo spettacolo è racchiu-so nella battuta “Ognuno uccide ciò che ama”» ci dice Alejandro Bruni Ocaña, il giovane prota-gonista che interpreta Salomè. «L’amore è inteso come distruzione e auto-distruzione. È un fatto di carne e sangue».Ventun anni, diplomando presso la scuola Paolo Grassi di Milano, Bruni Ocaña dimostra un’otti-ma autorevolezza attoriale, tenendo la scena as-sieme a Ferdinando Bruni e Enzo Curcurù.«Abbiamo lavorato molto sulla musicalità del te-sto» prosegue Bruni Ocaña. «Nelle prime prove a tavolino immaginavamo tutto venisse trasmes-so alla radio»E infatti la colonna sonora ha una fondamentale importanza, e sembra evocare nostalgicamente uno spettacolo d’altri tempi.La Salomè di Oscar Wilde è un testo estremo; si ama o si odia. Ciò che invece può essere apprez-zata da tutti è la coraggiosa scelta di metterla in scena oggi in questo modo, ricercando una forma estetica sublime e profondamente carnale, piut-tosto rara di questi tempi.

INFO

TEATRO ELFO PUCCINISALA FASSBINDER

L’ULTIMA RECITA DI SALOMÈda Oscar Wilde

uno spettacolo di Ferdinando Bruni e Francesco Frongia

con Ferdinando Bruni, Enzo Cur-curù e Alejandro Bruni Ocaña

produzione Teatridithalia

Orari: 22 FEBBRAIO - 20 MARZO 2011MAR-SAB: 21:00 / DOM: 16:00

Prezzi: Intero euro 30 - Martedì euro 19 - giovani < 25 anni euro 15 - anziani > 65 anni euro 15 - grup-pi scuola euro 11 - gli abbonati Invito a Teatro po-

tranno avere il ridotto a 15 euro (martedì escluso)

PROMOZIONE PER GLI ABBONATI DI FABER:biglietto ridotto a €10,00

per le repliche da martedì 2 a domenica 13 marzomartedì/sabato ore 21.00 -

domenica ore 16.00per prenotare i vostri posti scrivete a promozione@

elfo.org indicando come oggetto PROMO SALOMÉper ulteriori informazioni sulle promozioni

chiamare lo 02.00.66.06.31www.elfo.org

30

Faber_l’ultima parola

Dal carcere di Spoleto,08/12/2010Caro Giovanni,ho ricevuto la tua lettera e ci tengo subito a dirti che io non lotto per vincere, neppure per sopravvi-vere, lotto solo per non impazzire. D’altronde il non fare nulla non migliora certo le nostre proprie condizioni. Invece combattere aiuta a combattere. Per noi la vita è cominciata ed è finita presto. Molti di noi sono nati già colpevoli, perché l’innocenza, nella maggioranza dei casi, è un lusso per quelli nati con la camicia. Paghiamo errori e reati di venti, trent’anni fa. E nonostante che siano passati molti anni, che molta acqua e molto dolore siano passati sotto i nostri ponti, noi siamo ancora qui. Il dolore di un ergastolano è come l’acqua di una fonte che non smette mai di scorrere. [..] Non so che cosa farai per Natale e Capodanno, ma io, a differenza degli altri anni, ho deciso che non farò la socialità con gli altri compagni. Starò in cella da solo. Mi piace quando sono triste stare da solo a cercare d’in-gannare la mia mente. Giovanni, ho lottato da sempre, ma non ti nascondo che ora a cinquantacinque anni suonati incomincio ad essere stanco e la morte non mi fa paura come prima. Sinceramente mi fa più paura passare un altro Natale e Capodanno dentro anche il prossimo anno e il prossimo anno ancora, ma intanto sorridiamo e brindiamo sia alla vita sia, alla morte. Sperando che arrivi prima la libertà che la morte. [..]Ti abbraccio.Carmelo

da urladalsilenzio.wordpress.com

FOTOfoto di Anna Crosta

SBARREa cura di Silvia Aprigliano e Alice Vita

31

Dal carcere di Spoleto,22/11/2010Ciao Giovanni,[..]I nostri figli, e ora anche i miei nipotini, sono il simbolo della mia felicità e libertà che abbiamo per-duto per sempre. Che dirti? Non pensarci. In carcere pensare è come cadere in una trappola. Anch’io preferirei non pensare, ma spesso non ci riesco. Molte volte non posso far a meno di pensare, perché se non lo facessi non riuscirei a liberare i miei sogni. Non riuscirei a sognare di camminare lungo la spiaggia. Non riuscirei a guardare le onde. E soprattutto non riuscirei a sognare di non sognare. Non ti nascondo che a volte mi sento come una lepre in gabbia senza sapere che fare. Maledizione! Non abbiamo altro che questi giorni e li stiamo perdendo tutti. [..] Giovanni, ormai è da venti anni che vivo dentro una cella, eppure tutte le sere esco dalla mia bara e come un vampiro, con la mente e la fantasia, vado in giro per l’universo. Ci sono dei giorni che mi sembra di vivere due vite, una vita di fantasia e una reale in catene. Probabilmente non ci abitueremo mai al carcere, non ci abitueremo mai neppure alla tristezza, alla malinconia e alla nostalgia. Non so se questo sia un bene o un male, ma penso che sia un bene perché se riusciamo ancora a soffrire per amore vuol dire che siamo ancora vivi. Vuol dire che il carcere non ci ha ancora ucciso. Almeno per adesso. Ora finisco di scriverti perché devo preparare da mangiare, due spaghetti al pomodoro fresco, una grattata di pecorino, un bicchiere di vino. E poi tanta, ma tanta fantasia, perché senza di quella non riusciremo ad affrontare le avversità della nostra pena. E chi se la ricorda più la cassata siciliana, ma mi ricordo ancora come se fosse ieri le carezze e i baci della mia compagna.L’ho vista la settimana scorsa e mi ha detto di sbrigarmi a tornare a casa,le ho risposto che lo faccio tutte le notti.Il mio cuore ti sorride.Carmelo

da urladalsilenzio.wordpress.comfab

ergior

nale.

it

Faber_ultima parola

32

Faber_l’ultima parola

Lettera dal carcere di Poggioreale (NA), 09/12/2009 Qui nel carcere di Poggioreale da due giorni i detenuti attuano una protesta per le stesse ragioni esi-stenti in tutte le proteste scoppiate in tante carceri. Il motivo è quello del sovraffollamento, che ormai non è più sostenibile. E’ emergenza nazionale, la prima dal dopoguerra. Siamo 66-67 mila detenuti, se va avanti così le carceri scoppiano. Carceri sovraffollate, tentativi di suicidio, omicidi… ormai ogni giorno nelle carceri si muore. Ma tutto questo a chi importa? [..]Mauro

FOTOIl carcere di Bollatedi Silvia Aprigliano

da www.autoprol.org

FOTOdi Giovanni Trabucco

da www.ristretti.it Veronica, dall’ Istituto minorile di UdineVortice di idee, pensieri e paroleTic! Tac! Tic! Tac… Estate, autunno, inverno, primavera, si avvicinano i vent’anni. La porta si è chiusa quando ne avevo quasi 17, e aspettando che si riapra resto qui e faccio finta di vivere! No, non è vero faccio molto di più ma siccome in questo periodo sto un po’ grigia e mi fa tutto schifo non riesco ad essere molto obiettiva.La nicotina entra, mi annerisce un po’ i polmoni e poi esce, leggera… Come se non fosse successo niente.Tic! Tac! Tic! Tac… Estate, autunno, inverno, primavera, le ore che si bloccano, quel maledetto ca-lendario che non cambia mai pagina, e mentre fuori tutto corre, qua il tempo si è fermato sempre a un giorno!

(…) È mercoledì sera, sul muro davanti a me ci sono le foto di Hicham, un ragazzo che stava qui. Guardandole mi viene in mente come stavo i primi tempi. Stavo male, certo, però allo stesso tempo stavo meglio, c’erano le persone da conoscere, il posto da capire, e c’era la voglia di raccogliere tutti i pezzettini di me. Adesso, invece, c’è solo bisogno di andare lontano dalle persone, che ormai sono sempre le stesse, voglia di correre oltre le mura, via da qui e via da me, perché più vado avanti e meno mi sopporto, e tutti quei pezzettini che riattacco si scollano in continuazione. Questa sera mi sopporto anche meno del solito. C’è qualcosa dentro di me che proprio non mi va giù, a volte mi capita di avere un bisogno incredibile di vedere la mia immagine riflessa allo specchio, così, solo per controllare se sono ancora io, e in questo modo riesco a non sentire più quella cosa dentro. È un po’ come quando si è ubriachi e guardandosi allo specchio ci si vede mezzi deformati, ecco dentro io ho qualcosa di simile, una Veronica deforme, che proprio non va d’accordo con quella che so di essere.

faberg

iorna

le.it

Faber_ultima parola

34

Faber_l’ultima parola

FOTOdi Anna Crosta

da www.ristretti.it Barbara, dal carcere di VerzianoPasso dopo passo, in un cubo di cemento, cammino, ma sopra di me ci sono nuvole, cielo e magari qualche punta di albero. Penso, niente di più, penso solamente. Chissà perché ho in mente il circo, lo zoo: forse la costante andatura quasi rasente ai muri mi fa ricordare un orso visto allo zoo di Torino quando ero bambina. Eppure io non mi sto mostrando a nessuno, sono completamente sola e sto aspettando. Aspetto un “giro di chiave” che mi dice che l’ora d’aria è finita, poi andrò su in sezione per aspettare un altro “giro di chiave” che scandirà un altro momento e così via. Il “giro di vite” è un movimento semplice alla portata di tutti che si fa quotidianamente, un giro muove un meccanismo e… Chiuso. [..]Logicamente ognuno di noi vorrebbe possedere le magiche chiavi della libertà, ma il cancello per noi si aprirà con altro metodo, non un semplice movimento meccanico. Ci vorrà lavoro, impegno, deter-minazione, speranza e tanta fiducia da parte di chi ha la chiave in mano. [..]Devo dire che di bestie feroci qui non ne ho conosciute, i buoni e i cattivi ci sono qui dentro come fuo-ri. Ho conosciuto però tante bestie impaurite e disorientate, frutti nel bene e nel male dei loro sbagli, capaci però di sognare e sperare.

CARCERE DI BOLLATE

A Bollate, nella periferia Nord-Est di Milano, sorge la casa di reclusione di Bollate, ‘carcere-modello’ e fiore all’occhiello del sistema penitenziario italiano. Lo scopo dell’istituto è il recupero dell’identità del recluso, e la sua decarcerazione. A tal fine è centrale l’elemento del lavoro: dei circa 700 detenuti, 300 sono addetti alla vita interna dell’istituto. Altri 100 lavorano all’interno, ma alle dipendenze di aziende esterne. Altri ancora lavorano al servizio di coope-rative sociali committenti, dove operano fianco a fianco detenuti e no. Altri lavorano all’esterno dopo aver seguito corsi di formazione professionale, gra-zie anche al contributo degli enti locali.

A.G.

“Un flauto magico” di W.A.Mozart, regia Peter Brookdal 22 febbraio al 19 marzoPiccolo Teatro Strehler

“L’ultima recita di Salomè” da Oscar Wilde, regia di Ferdinando Brunidal 22 febbraio al 20 marzoTeatro Elfo Puccini

XX secolodomenica 20 marzo ore 17.00 e 21.00Colonne di S. Lorenzo

TEATROGraphic Design Worldsfino al 27 marzoTriennale di Milano

Arcimboldofino a maggioPalazzo Reale

Fa’ la cosa giustadal 25 al 27 marzoFieramilanocity

MOSTRE

FIERE

Elio e le storie tese, concerto @ Carnemvale12 marzoPalasesto

Caparezza, concerto22 marzoAlcatraz

Roger Waters, concertodall’1 al 5 aprileMediolanum forum

MUSICA

faberg

iorna

le.it

soste

nito

ri@fab

ergio

rnale

.it