ESTETICA - Galleria Lorenzelli | Galleria d'Arte - Bergamo · l'autore mette a frutto la coscienza...

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PER l \.\ ESTETICA Raccogliendo alcuni suoi studi sul mondo romanico, Mcycr Shapiro ha preposto a alcune indagini specifiche sull'immaginario mozarabico e sul mondo aquitanico, un paragrafo dedicato «all'atteggiamento estetico nell'arte romanica»: la soluzione editoriale è significativa. Studio- so a un tempo attento al mondo romanico, a un tempo interessato alla genesi e all'affermarsi dell'arte moderna, l'autore mette a frutto la coscienza della distanza tra i due universi facendo esperienza in prima persona della «diver- sità» di approccio necessitato dalla diversa posizione fun- zionale e simbolica che le due espressioni, sbrigativamen- te accomunate sotto il titolo «elastico» di «arte», immedia- tamente evidenziano perché la lettura superi l'aspetto pu- ramente formale, stilistico. L'ipotesi espressa in prima pagina è quella di «mostra- re che entro l'undicesimo e il dodicesimo secolo era emer- sa in Europa occidentale, all'interno dell'arte ecclesiastica, una nuova sfera di creazione artistica priva di contenuto re- ligioso e imbevuta di valori di spontaneità, fantasia indi- viduale, gioia del colore e del movimento, e dell'espressio- ne del sentimento, che anticipano l'arte moderna» (p. 3). La tesi può anche essere suggestiva, riferendosi a una di- mensione dialettica dell'espressione, al contrasto fra tra- dizione e innovazione in una temperie assolutamente straordinaria dal punto di vista della molteplicità delle fonti e delle tradizioni assemblate come quella dei secoli XI e X I I fra Francia, Spagna, Germania e Italia; ma in- dubbiamente risente di una ipotesi evoluzionistica «linea- re» che non ci si sente assolutamente di condividere. Anche a una lettura superficiale i secoli di passaggio cui abbiamo fatto riferimento, proprio nella dinamicità e nella poliedricità delle fonti, presentano nella contempo- raneità l'affermazione e la negazione, la fuga in avanti e l'ostinata conservazione della regola originale, il lusso e la povertà, l'ascesi e il mondano. Si prenda a esempio l'anno 1140: il 9 giugno viene con- sacrato il nartece dell'Abbazia di Saint-Denis, parte di un programma di ricostruzione dell'edificio ecclesiastico da parte dell'abate Suger il quale, pur dovendo vincere alcu- ne resistenze nel capitolo a opera degli elementi tradizio- nalmente legati alle vestigia dell'epoca carolingia, inaugu- ra lo stile gotico in una visione trionfalistica e «regale» del la casa di Dio cui dovremo fare successivamente riferi- mento. Nel medesimo anno viene approntata una seconda Abbazia, quella di Fontanay, voluta da Bernardo di Clair- vaux, realizzata in modo assolutamente antitetico rispet- to alla precedente, segnalando un antagonismo fra i due abati che non si esprime solo con il dialogo a distanza fra le due costruzioni, ma, come è noto, si materializza in una querelle di ampie e aspre proporzioni che risulta necessa- rio richiamare nei suoi termini essenziali. A un'osservazione molto semplificata, il movimento monastico dell'Xl e del XII secolo presenta alternativa- mente una tendenza centrifuga legata alla riconquista del- la terra, di un territorio che appare fin troppo ampio e che occorre riportare sotto controllo: non a caso il cuore di questo movimento è il Massiccio centrale, l'Alvernia che già era stata culla della civiltà gallica e che aveva conosciu- to una penetrazione romana altrettanto stabile: la terra ri- conquistata, strappata alla palude si incrocia con una evangelizzazione delle «periferie» rispetto alle grandi stra- de dei pellegrinaggi, rispetto alla cardinalità delle città e della loro sede vescovile. In questo senso appunto la pe- netrazione nel cuore dell'Europa centrale si sposa con l'espansione verso Oriente e quella riconquista spagnola contro gli Arabi che, assieme a un altro riscatto, quello dei luoghi santi predicato proprio in Alvernia, a Cler- mont Ferrant da Urbano l i nel 1095, segnano l'epoca espansiva dell'Europa feudale ormai affamata di dilatarsi oltre il reticolo ristretto della frammentazione. La penetrazione all'interno è anche necessitata dalla fuga dal mondano: lo spirito certosino, che rinnova la re- gola benedettina, spinge la propria azione sempre più all'interno: una volta fondata la comunità, reso fiorente il terreno, divenuta centro di riferimento per la massa dei pellegrini, dal gruppo centrale si stacca una cellula che si spinge ancora più all'interno, rinnovando un conflitto fra stanzialità e nomadismo che sembra segnare in modo in- delebile il mondo europeo del periodo. La fuga dalla sta- bilità è anche fuga dal mondano, dal rilassamento delle re- gole di comportamento che, se adeguate nella fase na- scente del nucleo, diventano progressivamente strette e incapaci di rispondere al «successo» che l'istituzione 32

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PER l \.\ ESTETICA

Raccogliendo alcuni suoi studi sul mondo romanico, Mcycr Shapiro ha preposto a alcune indagini specifiche sull'immaginario mozarabico e sul mondo aquitanico, un paragrafo dedicato «all'atteggiamento estetico nell'arte romanica»: la soluzione editoriale è significativa. Studio­so a un tempo attento al mondo romanico, a un tempo interessato alla genesi e all'affermarsi dell'arte moderna, l'autore mette a frutto la coscienza della distanza tra i due universi facendo esperienza in prima persona della «diver­sità» di approccio necessitato dalla diversa posizione fun­zionale e simbolica che le due espressioni, sbrigativamen­te accomunate sotto i l t i tolo «elastico» di «arte», immedia­tamente evidenziano perché la lettura superi l'aspetto pu­ramente formale, stilistico.

L'ipotesi espressa in prima pagina è quella di «mostra­re che entro l'undicesimo e i l dodicesimo secolo era emer­sa in Europa occidentale, all ' interno dell'arte ecclesiastica, una nuova sfera di creazione artistica priva di contenuto re­ligioso e imbevuta di valori di spontaneità, fantasia indi ­viduale, gioia del colore e del movimento, e dell'espressio­ne del sentimento, che anticipano l'arte moderna» ( p . 3) . La tesi può anche essere suggestiva, riferendosi a una d i ­mensione dialettica dell'espressione, al contrasto fra tra­dizione e innovazione in una temperie assolutamente straordinaria dal punto di vista della molteplicità delle fonti e delle tradizioni assemblate come quella dei secoli X I e X I I fra Francia, Spagna, Germania e Italia; ma in­dubbiamente risente di una ipotesi evoluzionistica «linea­re» che non ci si sente assolutamente di condividere.

Anche a una lettura superficiale i secoli di passaggio cui abbiamo fatto riferimento, proprio nella dinamicità e nella poliedricità delle font i , presentano nella contempo­raneità l'affermazione e la negazione, la fuga in avanti e l'ostinata conservazione della regola originale, i l lusso e la povertà, l'ascesi e i l mondano.

Si prenda a esempio l'anno 1140: i l 9 giugno viene con­sacrato i l nartece dell'Abbazia di Saint-Denis, parte di un programma di ricostruzione dell'edificio ecclesiastico da parte dell'abate Suger i l quale, pur dovendo vincere alcu­ne resistenze nel capitolo a opera degli elementi tradizio­nalmente legati alle vestigia dell'epoca carolingia, inaugu­ra lo stile gotico in una visione trionfalistica e «regale» del

la casa di D i o cui dovremo fare successivamente riferi­mento.

N e l medesimo anno viene approntata una seconda Abbazia, quella di Fontanay, voluta da Bernardo di Clair-vaux, realizzata in modo assolutamente antitetico rispet­to alla precedente, segnalando un antagonismo fra i due abati che non si esprime solo con i l dialogo a distanza fra le due costruzioni, ma, come è noto, si materializza in una querelle di ampie e aspre proporzioni che risulta necessa­rio richiamare nei suoi termini essenziali.

A un'osservazione mol to semplificata, i l movimento monastico d e l l ' X l e del X I I secolo presenta alternativa­mente una tendenza centrifuga legata alla riconquista del­la terra, di un territorio che appare f in troppo ampio e che occorre riportare sotto control lo : non a caso i l cuore di questo movimento è i l Massiccio centrale, l 'Alvernia che già era stata culla della civiltà gallica e che aveva conosciu­to una penetrazione romana altrettanto stabile: la terra r i ­conquistata, strappata alla palude si incrocia con una evangelizzazione delle «periferie» rispetto alle grandi stra­de dei pellegrinaggi, rispetto alla cardinalità delle città e della loro sede vescovile. I n questo senso appunto la pe­netrazione nel cuore dell'Europa centrale si sposa con l'espansione verso Oriente e quella riconquista spagnola contro g l i Arabi che, assieme a un altro riscatto, quello dei luoghi santi predicato proprio in Alvernia, a Cler-mont Ferrant da Urbano l i nel 1095, segnano l'epoca espansiva dell'Europa feudale ormai affamata di dilatarsi oltre i l reticolo ristretto della frammentazione.

La penetrazione all ' interno è anche necessitata dalla fuga dal mondano: lo spirito certosino, che rinnova la re­gola benedettina, spinge la propria azione sempre più all ' interno: una volta fondata la comunità, reso fiorente i l terreno, divenuta centro di riferimento per la massa dei pellegrini, dal gruppo centrale si stacca una cellula che si spinge ancora più all ' interno, rinnovando un confl i t to fra stanzialità e nomadismo che sembra segnare in modo i n ­delebile i l mondo europeo del periodo. La fuga dalla sta­bilità è anche fuga dal mondano, dal rilassamento delle re­gole di comportamento che, se adeguate nella fase na­scente del nucleo, diventano progressivamente strette e incapaci d i rispondere al «successo» che l'istituzione

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ormai consolidata necessariamente provoca. L'abbazia d'altra parte è inevitabilmente centro di cultura e di pote­re: nel suo tesoro si sovrappongono progressivamente le "Spoglie» recenti delle razzie della guerra «santa» (una sel­la «araba" in metallo prezioso donata a Saint Foy di Con-ques viene integrata nella confezione di una croce altret­tanto preziosa) e le donazioni che i re «santi» elargiscono: Cluny vede nel 1090 raddoppiato i l t r ibuto annuale da A l ­fonso V I ; Saint-Denis conosce la sua centralità nel suo stretto legame, politico e simbolico, con la corona di Francia; e contemporaneamente i grandi abati percorre­ranno non sempre volentieri la carriera ecclesiastica come quella politica. Suger, certamente di buon grado, sarà reg­gente del trono di Francia all'epoca della seconda crociata mentre, nelle svolte decisive dei confl i t t i fra le corone e la Chiesa, altri abati conosceranno momenti centrali nello svolgimento delle vicende.

Ma dai conventi si afferma anche all ' interno della Chiesa stessa le sue forze vi ta l i : pur non ottenendo che un successo effìmero sarà Bernardo di Clairvaux a condurre due antitetiche battaglie: una contro l'eresia catara che si affermava in Provenza, l'altra contro Pietro Abelardo e la sua dottrina raziocinante.

Le crociate esterne e interne al mondo della Cristianità costituiscono, al di là del pernicioso connubio fra spada e altare, un secondo strumento attraverso cui l'Europa del­le realtà particolari tende progressivamente all'omogenei­tà e all'unanimità; i l pr imo, più pacifico, è costituito dalle rotte dei pellegrini che collegano, con un effetto espansi­vo e moltiplicativo, le strade incerte verso i santuari. M a sugli aspetti anche economici del movimento si può fare riferimento alle indagini basilari di G . D u b y (1975).

L'epoca di cui discutiamo d'altra parte è epoca dei grandi viaggi, a dispetto del pregiudizio che possiamo avere rispetto alla staticità, all'isolamento, alla chiusura che abitualmente attribuiamo al periodo: sono in viaggio le reliquie sacre della Cristianità e quelle della "Roma frac-ta" che, realmente o nell'immaginazione degli abati, rag­giungono le regioni più lontane dell'Europa, dalla Gran Bretagna alla Francia: e le sedi originarie dei reperti pos­sono essere Roma e l 'Oriente, culla della civiltà e del cul­to religioso affermato.

11 tema del viaggio d'altra parte sembra ricalcato nella nostra mentalità dall'idea della terra straniera: quando in­vece LIrbano I I percorre le strade di Francia, toccando luoghi cardine per la nostra storia, da Le Puy a Saint-Gil-le, a Clermont, a Cluny prima di arrivare alla proclama­zione della prima crociata, percorre strade non straniero, essendo originario dello Champagne, ma è la stessa idea dell'omogeneità culturale che non lo fa considerare stra­niero in Germania o in Italia: quest'idea della sovranazio-nalità, o meglio dell'inesistenza delle differenze nazionali costituisce uno degli scogli principali per comprendere appieno l'originalità dell'esperienza medioevale, giocata sull'universalismo ereditato dalla tradizione imperiale e rivitalizzato dalla cattolicità della Chiesa. Quando allora i

nostri critici si affannano a vedere influssi «stranieri- in questo o quel documento di pietra o di legno dell'imma­ginario millenario, deve ancora una volta fare i conti fra le due dinamiche conflittuali principali : la presenza di una koiné come terreno di mezzo, l'affioramento di un sub­strato e i l progressivo caratterizzarsi di un adstrato, di una nuova lingua e espressione originali .

I l tour di Urbano I I circuita luoghi celebri: in quegli stessi si intrecciano i l percorso vertiginoso dell ' immagi­nario scolpito, lo strumento meno mobile ma indubbia­mente visibile e riciclabile: la diversità delle radici indige­ne si scontra con l'internazionalità delle esperienze mona­stiche: Qteaux e Clairvaux sono nelle sedi originarie ma sono ovunque: la casa madre, quasi la polieentricità delle capitali e la provincialità che si adegua. Le vie privilegiate possono produrre comunicazioni e traduzioni in «tempo reale».

La Chiesa come centralità politica, culturale e econo­mica, stabile rispetto alle difficoltà del potere centrale, spesso mortificato dalle tendenze centrifughe dei signori feudali, membro di una comunità che si pretende univer­sale nella sua ramificazione ai quattro punti cardinali - i l globo quadripartito di eredità classica risulta essere attri­buto ben più consono al vescovo di Roma che non alla instabile carica imperiale - coesiste con l ' istituzione clau­strale chiusa, che rinuncia al mondano in una spinta di raffinazione del pensiero che potrà ridiscutere la stessa cultura del mondo pagano su cui si modella l'istruzione del monaco. Saint-Denis appunto, volontariamente pro­iettata verso l'esterno, ai laici, evangelicamente indiffe­renziati nella soglia d'ingresso, ma che mantengono i l lo­ro ruolo, ne ricercano credibilità nel contatto con l'abate e la sua organizzazione; e contemporaneamente Fonta-ney, dove la regola esclude la presenza dei laici all 'interno del convento.

Due mondi in contrapposizione, spesso anche l 'uno reattivo rispetto all'altro. I l ben noto divieto di Bernardo al perpetuarsi in Qteaux della pratica di miniare le pagine-sacre se da una parte interrompe traumaticamente una consuetudine e una abilità artigianale di assoluta origina­lità, dall'altra risponde proprio al diffondersi indifferen­ziato del lusso all ' interno dei luoghi di preghiera. M a le due anime, quella del décor e quella dell'ascesi, sono a tut t i g l i effetti complementari: lo stesso Bernardo, intran­sigente nella denuncia delle deviazioni dalla regola bene­dettina e preoccupato dalla eccessiva mondanizzazione dei luoghi d i culto - in questo facendo propria una preoc­cupazione anti-idolatra che percorre l ' intero Cristianesi­mo orientale in contatto con le più ascetiche e rigorose sensibilità ebraica e araba - deve concedere alla chiesa in­serita nel mondo una «spettacolarità» assolutamente estranea e da non replicare nell'universo monastico. Da­vanti ai suoi occhi i tesori delle cattedrali alverniate, fra cui per i l nostro riferimento specifico occorre ricordare la preziosa Santa Fede di Conques, nel loro riferirsi a una tradizione carolingia e ottoniana, affondano la loro credi-

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bilità nella tecnica artigianale e nell'immaginario barbari­co, dove i l feticcio idolatra, carico del prezioso, è adorato nella sua fisicità tridimensionale e nella sua intrinseca pre­ziosità. Se questa persistenza del rito pagano, adattato dalla elastica capacità sintetica del mondo medioevale coincide con quella vitalità laica a cui faceva riferimento Meyer Shapiro nel saggio inizialmente citato, allora le da­te devono forzatamente essere portate indietro, f ino a far diventare questo aspetto come una costante mai sopita, nonostante i rinnovamenti delle «regole» per tut to l'arco del Romanico. E se sarà in parte abbandonata nel Gotico, questo probabilmente dipenderà dalla coscienza o r m a i acquisita della propria storia e della propria identità, dall'affermazione di un proprio «stile» capace di coinvol­gere la globalità delle espressioni e dei campi, appunto in­dividuando una «diversità di soggetti all 'interno di una lingua comune.

E d'altra parte è bene ricordare come la stessa nozione di «romanico» sia frutto di una identificazione recente, le­gata alla necessità di nominare sinteticamente l'epoca del­la «grande messe» di cattedrali ma che risente di una af­frettata composizione: in questo modo le diversità locali, ma vedremo anche i continui contatti , risultano m o r t i f i ­cati a vantaggio di un progetto unitario solo per l'interes­se curioso e complice del pensiero ottocentesco: i l mon­do romanico non presenta «dialetti» rispetto a una lingua, ma diverse «lingue- partic i ilarmente ricettive di un sostra­to e d i un adstrato fortemente differenziati a seconda del luogo, della regione. Ma la diversità, come si è visto, è scandalosa solo per una visione astrattamente omogenea del fenomeno che stiamo prendendo in esame.

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