Est modus in rebus, est ratio in rebus musicae

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EST MODUS IN REBUS ... EST RATIO IN REBUS MUSICAE La Storia ci consegna un’infinità di relazioni possibili, talora messe in atto, talaltra soltanto congetturate, tra arti e scienza; nello specifico: tra musica e scienza. Analogie e contiguità tra questi due ambiti popolano la storia delle idee in Occidente come altrove, da millenni, più che da secoli; ripercorrere anche solo alcuni di questi percorsi incrociati ribadisce ulteriormente l’importanza dei costrutti di pensiero musicali all’interno della storia del pensiero scientifico, ma sovente limita l’indagine a semplici “assonanze”. Pare più interessante riflettere sull’apporto che la musica ha fornito in termini di determinazione di percorsi epistemologicamente fondati, per esempio all’alba della cosiddetta Rivoluzione Scientifica. In effetti, la musica rappresenta uno dei terreni di incontro e di scontro tra atteggiamenti mentali diversi, alimentando in questo senso una serie di polemiche di carattere metodologico anche aspre, o delineando differenze: tra deduzione (Cartesio) e induzione (Mersenne), tra metodo e pensiero magico-simbolico, tra matematizzazione e demetaficizzazione della natura. Incontri Cartesio. Un progetto matematizzante: il primo passo, la musica Il Compendium Musicae rappresenta un primo passo quanto mai prezioso nel cammino di individuazione da parte di Cartesio del proprio progetto di matematizzazione di natura e scienza, ed è da considerarsi dal punto di vista della musicografia molto più – metodologicamente – di una semplice esercitazione erudita, molto più di “uno scritto [che] è stato messo insieme di getto solo per te” , come afferma Cartesio stesso nelle ultime righe dell’opera, nel dedicarla a Isaac Beeckman, “da un uomo lasciato inattivo, circondato dall’ignoranza tipica dell’ambiente militare, e pur sempre libero e cioè occupato in pensieri e azioni che con quell’ambiente non hanno nulla a che vedere”. È b’en vero comunque che il Compendium si situa al primo, delicato crocevia tra analisi dei fenomeni musicali ed organizzazione del pensiero scientifico alle origini, per l’appunto, della rivoluzione scientifica stessa.

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contributo al libro: P. Greco (a cura di), Armonicamente ..., Milano, Mimesis, 2014bozza non corretta

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EST MODUS IN REBUS ... EST RATIO IN REBUS MUSICAE

La Storia ci consegna un’infinità di relazioni possibili, talora messe in atto, talaltra soltanto congetturate, tra arti e scienza; nello specifico: tra musica e scienza. Analogie e contiguità tra questi due ambiti popolano la storia delle idee in Occidente come altrove, da millenni, più che da secoli; ripercorrere anche solo alcuni di questi percorsi incrociati ribadisce ulteriormente l’importanza dei costrutti di pensiero musicali all’interno della storia del pensiero scientifico, ma sovente limita l’indagine a semplici “assonanze”.

Pare più interessante riflettere sull’apporto che la musica ha fornito in termini di determinazione di percorsi epistemologicamente fondati, per esempio all’alba della cosiddetta Rivoluzione Scientifica. In effetti, la musica rappresenta uno dei terreni di incontro e di scontro tra atteggiamenti mentali diversi, alimentando in questo senso una serie di polemiche di carattere metodologico anche aspre, o delineando differenze: tra deduzione (Cartesio) e induzione (Mersenne), tra metodo e pensiero magico-simbolico, tra matematizzazione e demetaficizzazione della natura.

Incontri

Cartesio. Un progetto matematizzante: il primo passo, la musica

Il Compendium Musicae rappresenta un primo passo quanto mai prezioso nel cammino di individuazione da parte di Cartesio del proprio progetto di matematizzazione di natura e scienza, ed è da considerarsi dal punto di vista della musicografia molto più – metodologicamente – di una semplice esercitazione erudita, molto più di “uno scritto [che] è stato messo insieme di getto solo per te”, come afferma Cartesio stesso nelle ultime righe dell’opera, nel dedicarla a Isaac Beeckman, “da un uomo lasciato inattivo, circondato dall’ignoranza tipica dell’ambiente militare, e pur sempre libero e cioè occupato in pensieri e azioni che con quell’ambiente non hanno nulla a che vedere”.È b’en vero comunque che il Compendium si situa al primo, delicato crocevia tra analisi dei fenomeni musicali ed organizzazione del pensiero scientifico alle origini, per l’appunto, della rivoluzione scientifica stessa.Il tema della matematizzazione di natura e scienza assume uno statuto di necessità, in questo periodo, per due fondamentali ordini di ragioni: in quanto l’unico possibile mezzo per attuare una traduzione non metaforica dal linguaggio in cui è scritta la natura a quello per cui l’uomo non solo ne parla, ma anche la conosce,1 è rappresentato dalla formalizzazione matematica, ed in quanto proprio tale formalizzazione viene considerata l’unico procedimento in grado di garantire quell’ansiosamente ricercata sintesi tra ragione e sensi “che rappresenta l’ideale della gnoseologia moderna”.2

Il Compendium cartesiano rappresenterebbe allora il primo passo verso l’utilizzazione della musica, o meglio, della teoria del suono, della scienza musicale, come veicolo per l’introduzione della tematica matematizzante: una sorta di preludio al Metodo.Tre infatti sono le discipline, le scienze empiriche, ottica, astronomia e musica (acustica), sulle quali ha trovato le proprie basi il movimento rinnovativo che diede origine alla rivoluzione scientifica, ma soltanto sulle prime due ci si è tradizionalmente soffermati, mentre gli studi sull’ultima come scienza empirica sono stati a lungo congelati da suggestioni post-romantiche, nella pesante e pedante, iterativa riaffermazione dell’esclusivo portato artistico e/o estetico nella musica. È invece

1 P. A. Rossi, Dalla conquista della naturalità dell’artificiale alla meccanizzazione delle funzioni organiche, Università di Trento, Quaderni di Storia e Filosofia della Scienza n.11, Bologna, CLU Ed., 1978, p. 17.2 Ibidem.

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proprio a partire dalle teorie sul suono che si costituiscono persino metodologie gnoseologiche di respiro universale.Per ciò che più da vicino riguarda Cartesio si può senz’altro avanzare l’ipotesi che fin dal 1618, anno di stesura del Compendium musicae, egli abbia utilizzato l’elemento musicale quale materia prima per abbozzare le premesse al noto schema per il quale tutto avviene “per moto e figura”.Una conferma a quanto detto ci viene, oltre che dalla corrispondenza tra Cartesio stesso e Padre Mersenne, dal passo iniziale del lungo e puntuale saggio che Luisa Zanoncelli premise alla sua traduzione del Compendium già nel 1979:

“Il Breviario di musica si propone di fatto come disegno l’interpretazione per una nuova via, cioè in conformità ai moderni orientamenti del pensiero scientifico, dei fenomeni musicali riconducendone elementi ed esiti con un metodo rigoroso, a fondamenti saldi e definitivi, in quanto individuati sulla base di dati di fatto giudicati di per sé evidenti. Nella storia del pensiero occidentale un tentativo analogo era stato attuato una sola volta circa due millenni prima dalla scuola pitagorica, e non c’è quindi da meravigliarsi se, pur tra le contraddizioni irrisolte e gli impacci frapposti ad una interrelazione più corretta e produttiva fra teoria e pratica da parte del misticismo dei numeri - aspetto degenerativo della pur comprensibile e sempre rinascente tendenza a ipervalutare sul piano epistemologico il momento della formalizzazione rispetto all’osservazione empirica - i suoi sistemi si siano conservati a lungo come un modello insuperato, tanto che nell’impossibilità di andare oltre l’alternativa era adeguarvisi, [...] o rinunciare del tutto a questo genere di speculazioni per l’inadeguatezza all’oggetto, che veniva però automaticamente declassato ad un complesso di tecniche artigianali capaci di risultati prodigiosi ma irriducibili a una radice oggettiva, e perciò insieme inutilizzabili a scopi conoscitivi e sottratte ad ogni possibilità di verifica circa la proprietà dei mezzi in rapporto alle loro finalità”.3

Per Cartesio non solo l’aritmetica, ma pure l’ottica, la meccanica, l’astronomia e la musica entrano a far parte della “matematica” (la mathesis universalis) in quanto tutte queste discipline hanno in comune, teleologicamente e metodologicamente, in concetto di ordine e misura. È a partire da questi assunti che il testo cartesiano assume una chiara originalità.Da un lato il “Breviario” si rivolge al musicista pratico (che resta, in un certo senso, “colui che fa senza sapere”), e perciò reca i dettami principali sull’oggetto musicale; dall’altro l’opera è destinata più in generale all’uomo colto, come Beeckman, o come Cartesio stesso: concentrandosi sui problemi centrali intorno ai fondamenti della musica, e sul giusto modo di affrontarli.Dobbiamo però ricordare a questo punto che il Compendium, seppur scritto nel 1618, non fu edito che dopo la morte di Cartesio, nel 1650, e nelle intenzioni dell’autore, almeno in quelle espresse nella dedica a Beeckman, esso doveva restare

“nascosto per sempre nei recessi della tua biblioteca o delle tue collezioni”, né doveva subire “il giudizio di altri: i quali, come mi aspetto invece tu faccia, non porterebbero la loro benevola attenzione dalle sue parti incomplete a quelle in cui non nego affatto si trovino alcune linee fondamentali del pensiero, spiegate fin nella loro sostanza”.4

Si tratterebbe allora, in pratica, di una lunga lettera allo scienziato olandese, un fatto privato, destinata da un lato al giovane matematico Isaac Beeckman, dall’altro a sé stesso: un primo modo per costringersi a chiarire alcune tesi di principio, “alcune linee fondamentali del mio pensiero ...” .Il brano riportato sopra ci mostra un Cartesio titubante, conscio delle proprie lacune (poco prima aveva iniziato la dedica-epilogo scrivendo: “E ormai ‘vedo la terra’, mi affretto alla riva, lasciando da parte molto per desiderio di concisione, molto per dimenticanza, ma certo di più per

3 L. Zanoncelli, “I fondamenti della musica: terreno di indagine alla ricerca del metodo”, in: R. Descates, Compendium musicae, [1618], 1650; tr. it. Breviario di musica, introduzione, traduzione e note di Luisa Zanoncelli, Mestre-Ve, Corbo e Fiore Ed., 1979, pp. 7-8.4 Op. cit. , p. 127.

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ignoranza”),5 ma altrettanto conscio di aver affrontato, con i fondamenti della teoria musicale il “terreno di indagine alla ricerca del metodo”.6

E il metodo si delinea passo dopo passo. Cartesio è uno dei primi trattatisti musicali a non cedere all’ossessiva tentazione definitoria e classificatoria, attuatasi ancora in Zarlino e in altri dopo di lui, del fenomeno musicale; subito egli si preoccupa di inquadrare lo scopo della musica, mentre la determinazione dell’oggetto della musica è data col titolo del primo capitolo del Breviario, “Il suono, oggetto della musica”, che così principia: “La musica ha lo scopo di divertire e di suscitare in noi diversi sentimenti”;7 subito dopo Cartesio si affretta ad evidenziare i mezzi che permettono alla musica di raggiungere tale scopo, ovvero il “poter variare in durata” e il “poter variare in altezza”, premurandosi però immediatamente di affermare che per ciò che riguarda la natura fisica del suono e la sua generazione, sono i fisici che devono esprimersi.Consequenziali sono poi le otto ‘Premesse’ che Cartesio pone nel capitolo successivo; una volta rifiutata l’attività definitoria l’autore di preoccupa di ridurla ad un confronto tra grandezze ed alla scomposizione del problema in dati semplici. Cartesio conferma che i sensi hanno la possibilità di causare piacere estetico, ad una condizione: che sussista un adeguamento fisiologico ed intellettuale tra oggetto e soggetto. Si tratta di un processo che vede dunque legati insieme il godimento estetico e la comprensibilità. Comprensibilità che si attua attraverso l’apporto proporzionale; scrive infatti Cartesio alla IV e alla V Premessa: “Percepiamo più facilmente con il senso quell’oggetto in cui più piacevole è la diversità delle parti che lo compongono. Diciamo parti di un oggetto nel suo insieme meno diverse tra loro quelle tra le quali vi è una maggior proporzione”.8 Sulla base delle ‘Premesse’, Cartesio fonda l’analisi delle proprietà del suono: il ritmo, come variazione di durata, e la variazione d’altezza, cui è legata direttamente l’analisi delle consonanze e delle dissonanze, quindi degli intervalli.È dall’applicazione della medietà aritmetica (e dalla conseguente divisione in segmenti uguali della linea che rappresenta i termini sonori) e dalla sottrazione di alcuni termini dall’ottava, in quanto contenitore di tutte le consonanze, che si delineano appunto le consonanze stesse.Nelle varie fasi che contraddistinguono il procedimento di definizione degli intervalli musicali, Cartesio “non prescinde da certi fenomeni acustici sperimentalmente accertabili, ma non ne fa il terreno della sua ricerca; li studia per cogliervi i soli aspetti che si prestino, matematicamente inquadrati, a offrire una chiara spiegazione di certe proprietà del suono”.9 L’esperimento non è quindi, in questo come negli altri casi, una ipotesi di lavoro, bensì svolge esclusivamente la funzione di “ausilio del pensiero deduttivo”:10 non si tratterebbe dunque di mentalità sperimentale, in quanto è sufficiente la chiarezza, la semplicità razionale a garantire la coerenza gnoseologica. Un’ineludibile eredità de La Flèche.La stessa giustificazione/condizione per classificare i gradi di purezza delle consonanze (e dissonanze) è affidata ad una completa matematizzazione aprioristica tipica dell’applicazione delle scienze formali e straordinariamente in sintonia con la teoria zarliniana del Senario. Le argomentazioni portate per costituire questa classificazione sono spesso capziose, al limite del fideismo, che hanno consentito interpretazioni forse troppo affrettate della posizione cartesiana nei confronti della musica.Certo occorre tracciare il limite, in Cartesio, tra lo scienziato e il filosofo, “se questo limite non si traccia - avverte P. A. Rossi - si corre il rischio di cadere nel comico di dover ammettere Cartesio tra i fondatori della scienza moderna (cosa innegabile) e nello stesso tempo farne il più radicale degli a-prioristi”;11 nell’esaltazione della proporzionalità e più ancora della simmetria, nella sicura convinzione che l’ordine, nell’essere percepito, ha lo statuto di rivelarsi come la legge di natura, si

5 Ibidem.6 Cfr. nota 3.7 Op. cit., p. 73.8 Op. cit., p. 74.9 loc. cit. , p. 23.10 loc. cit. , p. 24.11 P. A. Rossi, Op.cit. , p. 18.

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esplica pure il legame tra piacere sensibile e “divertimento”: l’ordine (come legge di natura) regge anche “la sfera emotiva degli individui”.12

Tutto ciò fa parte della doppia natura di Cartesio; egli ben comprende che l’esercizio quotidiano del mestiere di scienziato “implica un atto di fede verso l’epistemologia strumentalista, ma sa anche che in tal modo vien meno il valore sintetico del logos, l’originale carica noetica del sapere, e su questo punto egli [...] non intende cedere”.13

Se da un lato Cartesio attribuisce all’oggetto della musica solo proprietà matematicamente quantificabili (variazioni di durata e di altezza), dall’altro però egli si preoccupa non tanto di descriverci i fenomeni, ma di spiegarli sulla base di un concetto a-prioristicamente determinato: pochi anni prima, nel 1612, Galileo aveva posto, nella Terza Lettera a Marco Velseri, il suo retorico interrogativo metodologico: “o noi vogliamo specolando tentar di penetrar l’essenza vera ed intrinseca delle cose naturali o noi vogliamo contentarci di venire in notizia d’ alcuna loro affezione”,14 Cartesio – e non è una scoperta – preferisce “tentar di penetrar l’essenza”.Altre volte, più tardi, egli sembrerà, per qualche aspetto, accogliere l’implicito invito galileiano, come nel corso della fitta corrispondenza con Marin Mersenne, nei primi anni ‘30, che in molte occasioni tratterà argomenti musicali ed acustici, quali la natura e velocità del suono o le obiezioni nei confronti del temperamento equalizzato dell’ottava. Dovranno passare circa venticinque anni per avere da Cartesio una presa di posizione articolata sul temperamento dell’ottava: egli proporrà allora,15 sempre per mantenere e garantire la purezza matematica degli intervalli, la divisione dell’ottava in diciotto parti. Per lui è chiaramente avvertibile la differenza esistente tra semitono maggiore [16/15] e semitono minore [25/24]; la realtà delle sensazioni avrebbe certo potuto dargli torto, ma “Cartesio dichiara che i sensi non possono invalidare la correttezza di una dimostrazione razionale, pur potendo operare smentite sul piano della referenzialità del sistema formale”.16

Per Cartesio “la musica è numero in quanto forma e solo un’estetica formalistica può essere l’estetica della musica”,17 e questa sua prima speculazione sulla musica, lungi dal poter essere considerata un’opera esaustiva per la teoria musicale, o anche soltanto un manualetto di composizione, assume tuttavia un grande valore nella definizione del percorso formativo del Metodo. La musica, argomenta dal più al meno André Pirro, concludendo la sua vasta ricognizione sul Cartesio teorico musicale, può essere trattata come un capitolo della matematica universale cartesiana: il primo tentativo di far soggiacere al dettame dell’“ordine e misura” l’attività del soggetto percipiente nella sua condizione di adesione proporzionale all’oggetto sonoro.18

Esiste per Cartesio un continuo rapporto tra elementi costitutivi della musica ed effetto della medesima sull’udito. Anche in questo caso sono valide le “Premesse” iniziali: non si devono dare complicazioni eccessive nell’oggetto del senso; in questo modo la musica provoca in noi varie emozioni che ci allietano (o meno).

“Ma qual’è il meccanismo che consente in noi tutte queste reazioni?” – si chiede Luisa Zanoncelli – “In proposito si trova due volte nel Breviario un accenno di sfuggita agli spiriti animali che determinano i nostri movimenti e le nostre sensazioni [...] si è dunque già postulato il riflesso sulla psiche della percezione attraverso evidentemente una specie di comprensione [...] Essa è, per quanto riguarda il suono, frutto della facoltà che Cartesio chiama immaginazione e definisce come una particolare tensione spirituale che nella concezione pura invece non ha luogo; ma attraverso l’immaginazione, insieme al senso e alla memoria; l’intelletto giunge conoscenza delle cose”.19

12 L. Zanoncelli loc.cit. , p. 45.13 P. A. Rossi, Op.cit. , p. 19.14 G. Galilei, “Delle macchie del sole, Terza Lettera a Marco Velseri”, in Opere di Galileo Galilei , Firenze, 1890-1909, V, p. 187.15 Cfr. la lettera a Calvisius del 6 luglio 1643, in Adam-Milhaud (ed.), Correspondance, Paris,1936, VII, p. 389.16 P. A. Rossi, Op.cit. , p. 18.17 L. Zanoncelli, loc.cit. , pp. 62-63.18 A. Pirro, Descartes et la musique, Paris, Libr. Fischbacher, 1907.19 L. Zanoncelli, loc.cit. , p. 44.

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Il trattato cartesiano però riconduce anche questa serie di problematiche al giudizio generale che l’autore intende esprimere sul fine e sull’oggetto della musica: la delectatio e il sonus. L’analisi cartesiana si svolge entro i limiti dell’“ordine” e della “misura”, e proprio in questo si propone come atto che garantisce la vera conoscenza. I sensi hanno in fondo solo la capacità di confrontare dati matematicamente quantificabili, rispondendo però in maniera del tutto soggettiva; il piacere estetico non consiste dunque nella contemplazione delle proporzioni semplici dei suoni, questa contemplazione serve solo a cogliere le differenze tra i suoni stessi, a considerare le cause del piacere. Anche la breve analisi delle quattro voci fondamentali nella costruzione del contrappunto, attuata tenendo sempre presenti le sensazioni dell’udito, non fa che ricondurre alla funzione di ausilio dal dato sensistico; scrive P. A. Rossi riferendosi ad un autore molto vicino a Cartesio, Marin Mersenne: “i dati della psicologia, evidentemente ricavati a-posteriori, passati quindi attraverso la reazione dei sensi, che nel registrare l’oggetto lo hanno proporzionato al loro temperamento, vengono confrontati, corretti e giustificati dall’a-priori razionale”:20 queste sono parole adattabilissime alla situazione cartesiana.Su questo tema si è acutamente espressa la Zanoncelli:

“La preoccupazione di Cartesio di mantenere il rigore del metodo e di salvaguardare l’unicità del suo intento, cioè ricondurre variazioni di altezza e di durata nei suoni a basi scientifiche - è qui più evidente che mai: un trattato di teoria e composizione parte dalla analisi di opere musicali di autori riconosciuti come artisti indiscussi, e fa scaturire regole ed eccezioni, che sono in genere giustificate dal ricorso a ragioni di espressività, quindi particolari e soggettive. Per Cartesio le cose non stanno così: nella convinzione che di musica bella in senso assoluto non si può parlare, ciò che conta è stabilire quale sia quella scientificamente ammissibile, cioè più rispondente alle leggi della percezione ...”21

le quali si attuano secondo l’ordine e la misura. Par bene l’unico modo per poter postulare un’estetica effettivamente razionalistica.

Mersenne ou la naissance du mécanisme

Marin Mersenne è senza dubbio una delle personalità di maggior rilievo della cultura del XVII secolo, autore, tra l’altro, di quella serie di trattati che va sotto il nome di Harmonie Universelle,22

pubblicata tra il 1636 e il 1637, “opera enorme (che) merita di essere segnalata come la prima produzione della giovane scienza meccanicista”, scrive Lenoble.23

In questi scritto la teoria del suono diviene mezzo per una rifondazione dell’apparato gnoseologico.

“E’ una cosa normale domandarsi all’inizio dei trattati che si occupano della scienza, se contengono un qualche oggetto autentico e quale esso sia, perché si parlerebbe inutilmente se non si conoscesse ciò di cui si parla; è perciò a proposito, prima di andar oltre, sapere se il Suono, che è il soggetto, o l’oggetto della Musica e dell’udito, ha un’essenza reale, e quale sia, perché si trovano molti che credono che il Suono non sia nulla; se non è ascoltato, e che è una semplice perturbazione dell’aria che non deve affatto essere chiamata Suono, se non c’è qualche orecchio che la percepisca e che la distingua dalle altre cose; certamente se così fosse, sarebbe l’udito a dare la natura al Suono, come l’immaginazione e l’intelletto danno essenza ai pensieri immaginari e ai fantasmi, che si chiamano essenze della ragione. Quanto al mio particolare, ritengo che il Suono non sia meno reale prima che sia ascoltato, che la luce, o i colori, e gli oggetti degli altri sensi esteriori prima che siano percepiti, e che i Suoni non smetterebbero di essere ciò che sono, anche se non si fosse alcun orecchio. Questo è quanto io continuerò sempre a sostenere, pur riconoscendo che il Suono non è differente dalla vibrazione dell’aria”.24

20 P. A. Rossi, Op.cit., p. 30.21 L. Zanoncelli, loc.cit. , p.34.22 M. Mersenne, Harmonie Universelle, Paris, 1636-37; ed. mod. Paris, Centre National de la Recherche Scientifique, 1963.23 R. Lenoble, Mersenne ou la naissance du mécanisme, Paris, Librairie Philosophique J.Vrin, 1943, p. 370.24 M. Mersenne, Op.cit., "Traitez de la nature des sons...", L.1, Prop. I, p.1.

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Sono le parole con le quali si apre la trattazione vera e propria nell’Harmonie Universelle, poco più avanti Mersenne afferma: “... car il suffit que l’obiect de chaque sens soit proportionné à l’organe, & à la puissance de l’ame qui est touchée par l’entremise des sens, sans qu’il soit necessaire de l’attacher à la qualité plustost qu’à la quantité”, nel rispondere alle possibili obiezioni riguardo al fatto che il suono sia “mouvement de l’air”.25

La trattazione sulla qualità non riguarda la scienza; Mersenne non cerca la definizione della realtà ontologica del suono (anche in grazia del suo “pessimismo” gnoseologico che potrebbe ricordarci la questione del tacchino induttivista se non fosse vissuto in chiave apertamente religiosa), ma ne esprime la natura scientifica; la conoscenza si attua come proporzionalità tra cose ed intelletto. Questa proporzionalità si rivela nel legame che appunto si stabilisce tra soggetto ed oggetto, le “espèces intentionelles” che Mersenne aveva negate nella precedente Prima Prefazione Generale al Lettore, ritornano a questo punto a garantire il processo conoscitivo come elemento dialettico. Infatti egli poco dopo scrive: “quel che io dirò in questi libri di Musica non dipende da alcuna opinione, e [...] è fondato sulla verità dell’esperienza e della ragione”;26 nella Prima Prefazione Generale al Lettore egli si era preoccupato di dire che “ie ne desire pas qu’on croye que ie me persuade d’avoir demostré ce que ie propose dans les propositions, quoy que ie parle souvent en affirmant”,27 e nella Prefazione al Traitez de la nature des sons, et des mouvements affermerà addirittura: “Ie prie seulement le Lecteur de ne croire pas aux experiences que ie produis iusques à ce qu’il les ayt faites ...”;28 qualcosa di simile scriverà, ma quasi cent’anni dopo, Jean Philippe Rameau nel suo Traité.Mersenne viene dunque qui a definire con notevole chiarezza quelli che sono i postulati essenziali del Meccanicismo. La nuova metodologia che si esplica nella meccanizzazione delle funzioni organiche attraverso la caduta della barriera intercorrente tra prodotto della natura e prodotto dell’uomo (naturalia e artificialia ) trova, nell’analisi della fenomenologia acustica, nelle teorie del suono, insomma, un terreno particolarmente fertile; Mersenne è perfettamente conscio di questo ed utilizza l’acustica per avvalorare le proprie tesi.La Musica fu infatti la scienza prediletta da Mersenne, l’arte dei suoni, ma pure l’acustica, entrambe contenute nel generico termine di musica.Mersenne formula una teoria meccanicistica del suono che proprio nell’Harmonie Universelle raggiunge la propria definizione; il suono non è altro che un “mouvement de la matière agissant sur l’oreille”, come sintetizza Lenoble,29 e su questo non c’è dubbio:

“ie n’estime pas que le Son soit different du mouvement du corps qui frappe le Tambour, ou la Membrane de l’oreille: car il n’est pas necessaire d’aiouster una qualité de la trisieme espece, que l’on appelle ordinairement qualité patible, d’autant que le mouvement de l’air suffit pour expliquer tout ce qui se fait per les Sons”.30

Se dunque il suono è un “movimento”, una “vibrazione” dell’aria, Mersenne si chiede da che cosa dipendano la sua forza e l’altezza: ne fornisce una spiegazione di sintesi nel “Traité des Instruments”, sempre all’interno dell’Harmonie, ma nel complesso di quest’ultima più volte insiste su questi due concetti.

25 M. Mersenne, loc.cit. , Prop. II, p. 3.26 M. Mersenne, loc.cit. , p. 6.27 M. Mersenne, Op.cit., “Premier Preface Generale au Lecteur”.28 M. Mersenne, Op.cit., “Traitez de la nature des sons”, Preface au Lecteur.29 R. Lenoble, Op.cit., p. 482.30 M. Mersenne, Op.cit., “Traité des Instrumens”, L. V, Prop. XV, p. 255.

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L’analisi sul suono si estende per gran parte dell’opera, ed interessa spesso gli aspetti più strettamente fisici. Mersenne arriverà a formulare le leggi che “longtemps portèrent son nom”; 31

esse gli derivano dalle esperienze avviate sulle corde vibranti.

Con la stessa puntigliosa cura Mersenne si dedica ai rapporti più diretti tra suono ed ascoltatore, soggetto percipiente, mettendoli anche in relazione al senso della vista.Nel corso della Sesta Proposizione del Terzo Libro dei “Traitez de la nature des sons”, per esempio, egli studia le soglie di percezione visiva ed uditiva.32

Più oltre scrive:

“L’on experimente que toutes les actions naturelles ne se font pas dans un moment, ny dans un temps imperceptible, & qu’il y en a qui ont besoin de temps: car la chaleur ne s’introduit pas dans le sujet s’il n’est disposé devant, & la lumiere s’estend dans toute le sphere de son activité dans un istant, si elle a besoin de quelque temps, il est si court que nous ne pouvons le remarquer; mais le Son ne peut remplir la sphere de son activité que dans un espace de temps, qui est d’autant plus long que le lieu où se fait le Son est plus esloigné de l’oreille ...”.33

Così infatti Mersenne inizia la trattazione intorno alla velocità del suono stesso, tema che egli riprenderà più avanti, quantificando questo parametro, nelle pagine dedicate al fenomeno dell’Eco.Per ora, confermato che il suono “si muove” nello spazio ad una velocità definita, il dotto religioso si limita ad enumerare una copiosa serie di esperimenti consistenti nello sparare con un moschetto od altra arma da fuoco da una distanza prefissata rispetto ad un “osservatore-ascoltatore”, il quale non fa altro che conteggiare il tempo intercorrente tra la fiammata dell’arma ed il rumore dello sparo. Le esperienze alla quali Mersenne fa riferimento vengono attuate in varie e mutevoli condizioni ambientali ed atmosferiche: di giorno, di notte, al caldo e al fresco, col cielo sereno e con la nebbia, in giornate di calma o con vento, sia a favore che contrario, vicino al mare ed in campagna.Sempre a riguardo della velocità del suono Mersenne mostra in un primo tempo di credere che essa sia in funzione dell’altezza di questo, sostenendo che un suono acuto è più veloce di uno grave; è questa una posizione sulla quale in seguito egli ritornerà ricredendosi, ma è comunque proprio nel trattare questi problemi che Mersenne fa un’osservazione molto interessante e che riguarda non tanto la fisica in senso stretto, quanto il metodo: “on peut dire que l’action de l’ouye n’est autre chose que le desnombrement des battemens de l’air, soit que l’ame les conte sans que nous l’appercevions”.34

La fisica del suono occupa gran parte degli interessi mersenniani ed anzi si può dire che il trattatista francese sia stato in qualche modo il fondatore dell’acustica come scienza fisico-matematica ed il maggiore utilizzatore di questa in relazione alla ricostruzione gnoseologica del mondo da parte della metodologia meccanicista.Nel corso dei suoi studi sulle qualità del suono Mersenne ha avuto anche il merito di essere il primo a tentare una misurazione quantitativa della velocità del suono stesso; egli ne parla nel corso della trattazione del fenomeno dell’Eco, che riconduce a basi strettamente fisiche. Dell’Eco Mersenne si occupa come di un fenomeno in qualche modo collegato analogicamente alla riflessione della luce: l’Eco è un fenomeno di riflessione delle onde sonore; che esso possa “rispondere” con parole diverse da quelle che si pronunciano non è ammissibile: è una leggenda; tuttalpiù si potranno escogitare delle combinazioni sillabico-sonore che si prestano a divertenti giochetti, come quello di

31 R. Lenoble, Op.cit., p. 483.32 M. Mersenne, loc.cit., p. 170.33 M. Mersenne, “Traitez de la nature des sons”, L. I, Prop. VIII, p. 14.34 M. Mersenne, loc.cit., Prop. XIII, p. 23.

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far rispondere l’Eco in una lingua diversa: le ultime sillabe di un epitaffio greco, suonano così come una quartina in francese.35

Nel parlare dunque dell’Eco, e della sua velocità, Mersenne dà, quasi di sfuggita, il valore della velocità del suono: 230 tese (poco più di 470 metri) al secondo, calcolate sulla base di una misurazione che ha dato per risultato 1152 tese per 5 secondi. Siamo, evidentemente, al di sopra della misurazione esatta – se mai esistesse una velocità del suono – ; Mersenne non ha tenuto sufficientemente conto, nel corso delle sue numerose esperienze in questo campo, della variabilità delle condizioni atmosferiche, ma la sua resta comunque una misurazione valida, soprattutto se teniamo conto degli errori ancora più macroscopici di altri studiosi, e dell’imperfezione degli strumenti di misura del tempo: nel leggere le pagine che Mersenne dedica a queste misurazioni pare di capire che, in mancanza dell’orologio, spesso egli s’è servito, per stabilire gli intervalli di tempo, del battito cardiaco, per nulla costante, com’è evidente.

Una volta analizzate le proprietà fondamentali del suono, Mersenne si pone un problema di fondo che in realtà già si era affacciato alla sua mente in precedenza: come far partecipare la conoscenza sensibile della certezza che ha la conoscenza razionale.La Proposizione LII del Primo Libro “Della Voce” si intitola: “Determinare in che maniera l’orecchio percepisce il suono e in questo qual’è l’azione dell’udito; se è esso che conosce il suono, o se questo officio appartiene allo spirito”.Si tratta di un punto nodale nel pensiero mersenniano, che vale la pena analizzare compiutamente.La pagina si apre con un interrogativo mascherato da una constatazione:

“Una delle maggiori difficoltà della Fisica consiste nello scoprire come si svolgono le operazioni dei sensi , e come agisce l’intelletto per avere conoscenza degli oggetti che gli vengono presentati, e di tutti i loro modi d’essere e delle loro proprietà, dei quali ci si è figurati un essere rappresentativo e un’immagine e una figura che supplisca la presenza dell’oggetto, la quale appare troppo grossolana per poter introdursi nei sensi, o nell’intelletto”,

in quanto - prosegue Mersenne - più che di conoscenza, si tratta di una rappresentazione di ciò che è conosciuto, mentre la facoltà che conosce deve aderire all’oggetto al quale essa si “unisce:

“il faut qu’elle le touche & qu’elle s’unisse à luy par le moyen de son image lors qu’elle ne peur s’unir à sa presence reelle; parce que l’image ne peut parfaitement representer son original si elle ne le contient formellement, ou éminemment, puis qu’il faut avoir ce qu’on represente en la mesme maniere qu’on represente, la faculté qui connoist parfaitement l’une des proprietez de son objet la doit contenir aussi parfaitement comme elle la represente”.36

Il difficile rapporto tra senso ed intelletto si rivela in tutta la sua importanza poco più avanti entrando, con il “suono”, in medias res:

“Io dunque in primo luogo – argomenta Mersenne – affermo che l’orecchio non ha la conoscenza dei suoni, e che esso non serve che da strumento o organo per farli passare nell’intelletto che ne considera la natura e la proprietà; e di conseguenza (affermo) che le bestie non hanno la conoscenza dei detti suoni, ma la sola rappresentazione, senza sapere se quello che afferrano è un suono o un colore, o qualcosa d’altro; di modo che si può dire che essi non sono attivi, ma passivi, e che gli oggetti fanno una tale impronta sui loro sensi, che è loro necessario seguirli, com’è necessario che gli ingranaggi di un orologio seguano il peso o la molla che li tira”.37

L’uomo agisce diversamente; quando viene colpito da stimoli sonori ne riesce a considerare la natura e le proprietà, li distingue dagli altri oggetti e si crea delle certezze. Esiste dunque per Mersenne una facoltà ed una possibilità di conoscere che non dipende affatto dai sensi, e per mezzo

35 M. Mersenne, loc.cit., L. III, Cor. VII, p. 219.36 M. Mersenne, Op.cit., “Traitez de la voix ...”, L.I, Prop. LII, p. 79.37 Ibidem.

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della quale viene percepito, catalogato e separato il corruttibile dall’incorruttibile, il mutabile dall’immutabile, il finito dall’infinito.

“Poiché poi la natura della cose non perviene dai sensi, i quali non raccolgono che semplici immagini, delle quali essi non hanno alcuna conoscenza; e l’intelletto contempla così più agevolmente e così perfettamente la natura delle cose incorruttibili, e le loro proprietà, che quelle delle cose corruttibili; e mentre noi sperimentiamo che c’è più piacere nel conoscere e nel considerare ciò che è necessario ed immutabile che quello che è contingente e mutevole, e nel contemplare quello che esiste per sé, piuttosto che quello che esiste ‘per altri’ e quello che da altri dipende; è ben sicuro che l’intelletto ha un’esistenza distinta dal corpo e dalla materia, e che non dipende se non da colui che gli ha dato l’essere, cioè colui che esiste per sé stesso, del quale porta l’immagine, come è testimoniato dalle sue ‘operations’, che hanno molto dell’immutabile e dell’infinito”.38

La conoscenza sensibile dunque, senza essere confortata dalla ragione non può essere considerata conoscenza, ma solo una mera registrazione di impressioni , la “falsa” conoscenza sensibile può essere meccanizzata.Gli animali, che non sono forniti di ragione, ma solo possono avvalersi dei sensi, sono meccanizzati come orologi; Mersenne si dimostra ancora una volta un perfetto teorizzatore e metteur en scène della teoria dell’animale-macchina. Egli però, nell’accertare la completa soggettività delle qualità sensibili, pure “dichiara che nella percezione i sensi non si limitano a registrare passivamente, ma integrano i dati a seconda del loro temperamento”;39 per questo ne La Verité des Sciences potrà affermare: “les obiects des sens paroissent diversement selon les diverses disposition de l’organ”.40

Si viene così a creare una serie di proposizioni che sono vere in eterno e che dipendono solo dal nostro intelletto: sul piano teologico Dio è eterno (è sempre stato e sempre sarà), è perfetto; tutte le linee che partono dal centro del cerchio e vanno a toccare la circonferenza sono uguali, la diagonale e il lato del quadrato sono tra loro incommensurabili, il tutto è maggiore di una parte, e così via. La perfetta conoscenza “non è altro che una perfetta applicazione dell’intelletto alla cosa conosciuta, di cui non può comprendere né conoscere l’incorruttibilità, se non è esso stesso incorruttibile”.41 Ma all’interno dell’Harmonie Universelle, come roccaforte del metodo scientifico applicato alla musica, non ha alcuna importanza la trattazione di ciò che è immutabile e infinito; Mersenne, in questo senso, conclude la LII Proposizione con efficacia e chiarezza quasi impressionanti:

“Ma poiché noi qui parliamo di ciò che giunge in maniera normale e naturale, è sufficiente esaminare il modo in cui l’orecchio e lo spirito percepiscono i suoni; dove si può notare che l’aria esterna eccita l’aria interna dell’orecchio, e che imprime un ‘movimento’ al nervo uditivo, simile a quella che esso a sua volta riceve, e che lo spirito che risiede in ogni parte del corpo, e conseguentemente entro il suddetto nervo, percepisce anch’esso il movimento degli organi dell’orecchio, e giudica attraverso ciò le qualità del movimento del suono, e degli oggetti esterni che lo producono: ora si può immaginare che lo spirito sia come un punto indivisibile e intellettuale, al quale fanno capo tutte le impressioni dei sensi, come tutti i raggi del cerchio al loro centro, o come tutti i fili della tela di ragno che la fila e la tesse: perché come il ragno sente e percepisce tutti i movimenti e tutte le sollecitazioni che i detti fili, ricevono, allo stesso modo lo spirito dell’uomo percepisce tutte le sollecitazioni dei muscoli, dei nervi, e delle loro fibre e filamenti”.42

Mersenne, religioso, non vuole rinunciare alla sua teologia volontaristica che ha già messo a punto negli anni precedenti all’Harmonie, ma non “tenta di penetrar l’essenza”, mai. Egli sospetta che Dio ci abbia voluto in Terra perché ci potessimo divertire a svelare l’enigma del suo divino progetto di costruzione dell’universo. Al di là del mondo dei fenomeni esiste una realtà che l’uomo non può conoscere, egli è legato ad “una conoscenza strumentale delle apparenze

38 Ibidem.39 P. A. Rossi, Op. cit., p. 20.40 M. Mersenne, La Verité des Sciences, Paris, 1625, p. 135.41 M. Mersenne, Harmonie Universelle, “Traitez de la voix ...”, L. I, Prop. LII, p. 80.42 M. Mersenne, loc.cit., p. 81.

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sensibili”,43 che però permette la costruzione di modelli e di macchine; forse un giorno, quando il velo sarà tolto – avverte Mersenne – potremmo anche vedere che le cose stanno esattamente al contrario di quanto avevamo affermato su questa Terra, ma a darci piena soddisfazione non è l’adesione agli Eterni Modelli, bensì “la manipulation du monde”.Se siamo in grado di costruire un universo coerente, gli altri possibili non ci devono interessare: se cerchiamo le leggi che regolano il sensibile, queste ci sono date dalle scienze. La manipolazione delle cose ci porta ad una forma di conoscenza che è reale proprio per il limite che ha, e cioè di essere legata contingentemente a questo mondo.

La musica ebbe sempre per Mersenne un’importanza straordinaria, fede ne fa la struttura stessa dell’Harmonie Universelle; non si tratta comunque in genere di un avvicinamento di Mersenne all’arte musicale quanto, come s’è visto, alla scienza dei suoni; pur nella vastità dell’operazione, non si tratta che di un tentativo, riuscito peraltro, di sistematizzazione in chiave tecnico-aritmetica della dottrina musicale corrente; un abile gioco di scatole cinesi dove troviamo ripetute regole e considerazioni espresse all’interno di una casistica direttamente proporzionale alle oltre quattrocentocinquanta pagine dei primi trattati, più le altrettante dei libri dedicati agli strumenti.Guida la mano di Mersenne nella stesura di queste fitte e spesso involute pagine il dualismo gnoseologico già riscontrato, in questo caso, in Cartesio. L’equilibrio viene mantenuto dall’assunto fondamentale riguardante la matematizzazione di natura e scienza che sola può permettere la sintesi tra l’a-priori logico della razionalità e il mondo empirico delle sensazioni. Così Lenoble congettura che Mersenne sarebbe certo stato più a suo agio se l’arte musicale si fosse ridotta ad un’algebra di suoni, cosa che fortunatamente il filosofo non tenta, ma che resta a pesare come una spada di Damocle sul rapporto che egli ha nei confronti della musica.All’interno di questo immenso coacervo di nozioni, di note e postille, di intuizioni e di dotte ripetizioni, emergono isole particolarmente felici, e questo accade - generalmente - quando la speculazione teorica si scontra con le notizie del mondo della prassi esecutiva. E’ nel Primo Libro del “Traité des Instrumens a chordes”, per esempio, che Mersenne propone la propria versione del temperamento dodecatonico equalizzato dell’ottava.Forse ancora più importante della stessa teorizzazione (e del calcolo) del Monochorde d’esgalité, è la giustificazione psico-fisiologica che Mersenne dà di questo sistema nella Proposizione XV, intitolata “Determinare di quanto gli intervalli del Monocordo d’eguaglianza sono minori, o più grandi di quelli del Monocordo Armonico, e se l’orecchio può percepirne le differenze”. E particolarmente rilevante è il “Corollario I” che segue la citata Proposizione; qui Mersenne afferma che questo tipo di divisione del manico degli strumenti non è assolutamente nuova, perché empiricamente adottata da liutai ed esecutori, concludendo con una piccola ‘apologia’ di questo sistema che, eliminando un gran numero di intervalli, rende più agile il lavoro della composizione, permettendo “mille cose” che i più “credono essere proibite”. Si riporta di seguito tutto il brano:

“Questa divisione del manico degli strumenti musicali non è affatto nuova, poiché tutti i liutai, e gli esecutori la usano solitamente senza saperne la ragione; di modo che si può dire che le cifre precedenti, che corrispondono agli undici medi proporzionali, non sono altro che quelle che si applicano sul manico del Liuto & della Viola; nondimeno sono utili per dividere i manici più sicuramente, più esattamente, e più velocemente di quanto si faccia, senza che ci sia bisogno di tastare un po’ per volta, perché se si segnano questi numeri su di un compasso "di proporzione" fatto d’ottone o di legno, di cui ciascun braccio sia lungo un piede, si saranno tastati con la più grande precisione un centinaio di manici, nel tempo in cui i Liutai tastano un solo strumento. E se ci si prende la libertà di comporre in musica secondo questa divisione, si troverà che non c’è alcuna Quarta diminuita nessuna Quinta e Ottava eccedente o diminuita, perché la Quarta diminuita degli strumenti da’ la Terza maggiore, la Quinta diminuita da’ il Tritono, la eccedente da’ la Sesta minore, l’Ottava diminuita non è altro che la Settima maggiore, e la eccedente da’ la Nona minore: e di conseguenza la composizione sarà molto più comoda, e più gradevole, e mille cose saranno permesse che molti credono essere proibite: cosa che non impedisce per nulla la speculazione che segue le ragioni delle

43 P. A. Rossi, Op.cit., p. 24.

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consonanze di cui ho parlato in precedenza, poiché l’oggetto dell’intelletto è ben differente da quello dei sensi”.44

La posizione di Mersenne resta comunque, nella sostanza, di equidistanza. L’intelletto, ci dice, tende a seguire le proporzioni esatte, i cosiddetti rapporti semplici, mentre i sensi si possono accontentare di un sistema approssimato, ma utile e pratico.Marin Mersenne, oltre a tutto, “fu – come sottolinea H. Floris Cohen – il segretario della Rivoluzione Scientifica nei suoi primi esiti”45 e registrò nei suoi scritti una serie notevolissima di notizie ed idee che gli provenivano dai maggiori intellettuali del tempo, con i quali intrattenne una fittissima corrispondenza. Se ciò è massimamente evidente nelle parti dell’Harmonie Universelle dedicate al problema del temperamento, dove Mersenne riporta o cita praticamente tutti i sistemi di accomodamento dell’ottava pubblicati o resi noti prima degli anni ‘30 del XVII secolo (compreso quello “equalizzato” di Stevin), tuttavia il ruolo di catalizzatore del moderno pensiero scientifico in senso però non laico, appartiene a Mersenne più che ad altri scienziati o filosofi dello stesso periodo storico. Contrariamente a quanto si possa pensare la fede, per Mersenne, costituisce un punto di forza nella costruzione del proprio pensiero gnoseologico e nella conduzione epistemologica della propria ricerca. In lui sono chiari i limiti, fino ad un dualismo di sapore certo cartesiano, ma salutare dal punto di vista scientifico. Mersenne, ancora una volta, riesce a distinguere chiaramente (e soprattutto a risolvere in maniera armonica la contrapposizione tra) fenomeno ed essenza. Anche per gli intervalli musicali dobbiamo tener presenti i due aspetti: fisicamente la Quarta è più “perfetta” della Terza maggiore, perché la prima è espressa dal rapporto numerico 4:3, più semplice di 5:4, e così vale anche per altri intervalli; ma l’orecchio di chi ascolta percepisce una gradevolezza differente, che non rispetta del tutto la realtà di una perfezione fisico-matematica, che vale più come astrazione teorica che come realtà percettiva.Ma ciò che per certi versi rappresenta una fatto positivo, si rivela peraltro un limite; un limite storico del quale bisogna prender atto. E questo punto di partenza lo segna ancora una volta, con l’acutezza solita, H. Floris Cohen, concludendo il proprio discorso su questo personaggio:

“But in the final analysis it was Mersenne’s doubting attitude regarding the possibility of ever satisfactorily explaining consonance (a posture ultimately deriving from his scepticism as to the explanatory power of science itself) that precluded his improving the coincidence theory, whose shortcomings he was so cleary aware of. Owing to this scepticism he felt insufficient incentive for inventing hypotheses that would be able to fill the gaps in his original theory. For he could always fall back on the good old dichotomy between scientific and aesthetic analisys, and hesitatingly assure his readers that never the twain would meet”.46

Scontri

L’Europa del primo terzo del XVII secolo vede il fiorire di scritti, manifesti, trattati, e di conseguenti polemiche, intorno ad utopie simboliste, alla qabbalah, alle società segrete di stampo rosacrociano. Si tratta di un cospicuo colpo di coda del progetto matematizzante rinascimentale, fondamentalmente neoplatonico, che si configura persistentemente come ‘pensiero forte’, nel momento in cui si affaccia sulla scena il metodo scientifico moderno, un pensiero che,

44 M. Mersenne, Op.cit., “Traité des Instrumens”, L.I, p. 4045 H. F. Cohen, Quantifying Music, Dordrecht, D. Riedel Publishing Company, 1984, p. 97.46 H. F. Cohen, Op. cit., p. 114.

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nell’immediato, è ancora ‘pensiero debole’, esente dalle pretese di racchiudere in sé la Natura intera e il Cosmo.Parte delle polemiche, e del conseguente chiarimento di una linea metodologica nuova, si gioca, come si è già anticipato, all’interno o attraverso l’ambito musicale. Così come il tema musicale rappresenta un terreno fecondo di incontri e di scontri, esso, per la sua intrinseca malleabilità, offre il destro alla possibilità di essere utilizzato in vari modi e con esiti (ed intendimenti) affatto diversi e divergenti. D’altra parte gli intellettuali del primo Seicento non sempre dimostrano un’ineluttabile coerenza di tipo ‘progressivo’. Marsilio, Pico, Agrippa, Cardano, Reuchlin, Tritemio, Bruno, Paracelso, Campanella ed anche Keplero credevano si potesse, a partire dall’arcana sapienza egizio-ebraica, forzare gli angeli a modificare il moto delle sfere celesti ed i loro influssi sulla Terra. I loro mezzi sono certo più raffinati di quelli delle streghe: l’astrologia, la qabbalah, l’arte della memoria, la teoria delle simpatie, la mistica della parola e del gesto, il prezioso talismano e l’alchemica fornace sono molto diversi dalle vili tecniche dello stregone, dai caotici Sabba, dalle inquietanti formule magiche o evocatorie, ma il segno e il tono culturale sono analoghi. Come il mago rinascimentale essi ricercano, in Inghilterra come nella Praga di Rodolfo II o nel Palatinato di Federico V, la possibilità di sfuggire al determinismo naturale, dominare gli astri, associarsi alla sfera demiurgica.Ovviamente non tutti gli intellettuali sono così concilianti nei confronti dell’utopia o, peggio, della ‘magia’; l’attacco contro la magia rinascimentale, e parallelamente contro il neoplatonismo, con le sue filosofie animistiche della natura, fu sferrato in Francia proprio all’inizio del XVII secolo da Marin Mersenne.Non si può comunque negare che, auspice il terreno musicale, la rivoluzione scientifica è figlia in egual misura dell’entusiasmo dei neoplatonici e della metodologia rigorosa dell’aristotelismo. Prima di dissolversi per lasciar posto alla rivoluzione scientifica e alla rotta culturale da questa derivata, le due Scuole classiche lasciano un’eredità preziosissima: l’aristotelismo (specie quello padovano) formerà le menti dei padri della nuova scienza al rigore del metodo logico e alla correttezza epistemologica; il neoplatonismo più che nuovi strumenti, fornirà nuovi scopi. La grande utopia magico-astrologica, legata ai valori dell’ermetismo e del neoplatonismo, cercherà, infatti, di indicare quegli strumenti liberatori che, dopo la rivoluzione scientifica, verranno richiesti alla nuova scienza. Sarà lo stesso Mersenne a sostenere che la scienza, intesa come conversione dell’uomo verso le creature, sia uno strumento di salvezza, in quanto significa elevazione, liberazione dell’uomo dai suoi bisogni materiali, in favore di quelli dello spirito.

“Liberazione dai mali e dai bisogni, dai miti e dalle paure, strumento di potenza (sia a livello noetico che pragmatico) dell’uomo nei confronti della Natura, segno tangibile della sua superiore dignità rispetto al resto del creato, itinerario principe per forzare il destino umano verso la linea dell’elevazione capace di trascendere i legami con la forma irrazionale, ecco alcune funzioni che la scienza moderna pretende di attribuirsi. Esse assomigliano in maniera impressionante agli scopi che la tradizione magico-astrologica s’era imposta in senso primario”.47

È il segno dell’utopia che pare essere il segno distintivo dell’epoca, nei suoi svariati aspetti.Oggi che non siamo più disposti ad attribuire ai Rosacroce, agli ermetici, ai maghi naturali più di quanto realmente a loro compete (certamente non la paternità della rivoluzione scientifica, semmai quella dell’idea liberatrice della scienza), dobbiamo pur fare i conti con i legami che intercorsero fra i veri padri della rivoluzione scientifica e la magia rinascimentale. Questi legami furono anche, se non soprattutto, legami armonico-musicali.

Marin Mersenne rigetta l’animismo del medico oxoniano e rosacrociano Robert Fludd (1574-1637): egli ammette, è vero, l’influenza della musica sull’anima (e da qui prende spunto il suo atteggiamento morale nei confronti della musica stessa), ma avverte di non cercare in essa alcun

47 P. A. Rossi, Op. cit., pp. 109-110.

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effetto magico. Per Mersenne il suono corrisponde alla vibrazione udibile all’orecchio umano, esso è un ‘mouvement sonore’, nient’altro. Scrive a questo proposito Robert Lenoble: “... questo movimento mette in vibrazione gli organi dell’udito e i nervi, troviamo lì la vera causa del fenomeno. Così, per tenere la magia in iscacco, egli si orienta già verso una psicologia e una scienza meccaniciste”.48

Mersenne, già nel 1623, nelle Quaestiones celeberrimae in Genesim, ha chiari questi presupposti: “Itaque, cum sonus sit veluti sonans motus, et motus tantam vim in omnibus rebus corporeis habeat, non est, quod miremur, si musica vires suas exerat, et huc illuc animum transferat”.49

Le Quaestiones celeberrimae in Genesim rappresentano un poco la summa degli interessi scientifici di Mersenne, dei suoi studi musicali, matematici, fisici, astronomici e – contemporaneamente – il primo, strutturato attacco contro la tradizione magico-simbolico-astrologica: “Sunt qui ad Platonis ideas recurrant, quae praesint lapidibus, adeout quilibet suam habet ideam, a qua vim & energiam suam accipiat; vel cum Hermete, & Astronomis ad stellas, & imagines coeli (recurrant)”.50

È qui messo a nudo il nucleo magico del platonismo ficiniano, la confusione operata fra idee, immagini magiche ed ermetismo. Attribuire poteri simili a simili immagini sembra a Mersenne semplicemente folle: “Verum nemo sanae mentis dixerit illas imagines vim habere, ut constellationes magis influant”.51

Egli condanna la dottrina dell’anima mundi, o almeno la stravagante deformazione di essa introdotta dai naturalisti rinascimentali, dai cabalisti e dagli ermetici del passato e ancor più si scaglia contro il contemporaneo Robert Fludd. Mersenne avverte gli studiosi di non lasciarsi prendere quindi dalle analogie di linguaggio o di ‘notazione’ teorico-musicale che è solito fare Fludd; il trovare in musica e in astronomia numeri comparabili, non costituisce una ragione sufficiente per cui si debbano immancabilmente immaginare rapporti di causalità: “Verum omnes Musicos advertere velim non ita inhaerendum esse numeris, ut statim rem eo modo se habere credant, quo numeros esse viderint, quippe qui nihil ad vim musicae faciunt, sed tantum ut res prius inventae facilius concipiantur, et exprimantur”.52

I simboli sono solo simboli. Mersenne non azzarda spiegazioni magico-simboliche neppure dell’universo musicale pratico, come invece tenta Keplero. Quest’ultimo dice “maschile” l’intervallo di terza maggiore, in quanto in relazione con la figura del pentagono che ha angoli dispari ed è dunque, secondo Pitagora, maschile; la terza minore è chiamata femminile, essendo in relazione col dodecagono (angoli pari e, come vuole Pitagora, femminile). Ma io, ci dice Mersenne: “[...] non credo che le consonanze derivino dalle figure, è per questo che non mi fermo a questi rapporti simbolici, e a queste analogie”.53

E la musica perfetta non ci sarà rivelata se non in Cielo.

“Se Mersenne non abbandona mai l’idea di una musica moralizzatrice, è alla scienza meccanicista che domanderà di realizzarla e, in ogni caso, egli avrà perfettamente compreso che la vera maniera di servire Dio, non è il sottilizzare sulle analogie pseudomistiche, ma di costruire una scienza seria”.54

Il metodo della qabbalah, che ritroviamo in tutti gli ermetici, è fondato sulla dottrina della corrispondenza universale delle cose, e specialmente del Microcosmo umano, corpo e anima, e del grande universo, il Macrocosmo. Mersenne ha il buon senso di considerare queste analogie come dei semplici ornamenti letterari, e contesta energicamente coloro che vogliono fare di giochi di parole il principio della ricerca scientifica; vede insomma i Cabalisti – seguendo sempre il pensiero

48 R. Lenoble, Op. cit., p. 367.49 M. Mersenne, Quaestiones celeberrimae in Genesim, Paris, 1623, col. 1164.50 M. Mersenne, Op. cit., col.1565.51 M. Mersenne, Op. cit., col.1561.52 M. Mersenne, Op. cit., col.1699a.53 M. Mersenne, Harmonie Universelle, p.188.54 R. Lenoble, Op. cit., p. 370n.

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di Lenoble – come un club di giocatori di parole crociate che ritiene invece d’essere l’Accademia delle Scienze.

Fludd, per esempio, cerca nella qabbalah il principio di una medicina e di un’astrologia; gli astri, gli elementi, le parti del corpo, così come sono una cifra ed una lettera dell’alfabeto ebraico, sono anche una nota della scala. E conseguentemente, la combinazione e l’accomodamento dei corpi di natura non solo rispecchiano le proporzioni armoniche degli intervalli musicali, ma vi si ritrovano, vi si inverano in una realtà ‘universale’, macrocosmica.Mersenne è naturalmente lontano dal rigettare a priori l’ipotesi dell’Armonia delle Sfere, che trova egualmente sostenuta da quello che considera un valido matematico come Keplero; la esamina specialmente nel suo Traité de l’Harmonie Universelle, molti capitoli del quale sono una confutazione puntuale del laborioso Microcosmo di Fludd (l’Utriusque Cosmi Metaphysica, Physica, et Technica historia, 1617) perché l’ipotesi non tiene conto dei dati dell’osservazione. D’accordo su questo punto con Keplero, egli ritiene che il simbolismo astrologico-musicale non può ricevere conferma se non dai calcoli degli astronomi e dei fisici. Ora: questi calcoli, sembrano ignorati del tutto da Fludd. In sostanza egli si dimostra nient’altro che un ‘sapientucolo’; quindi la sua musica e la sua astrologia cabalistiche restano puramente arbitrarie. Ecco allora il giudizio della ragione sulla qabbalah: essa afferma sempre e non dimostra nulla.Mersenne si lascia andare a qualche gioco cabalistico solo per poterne dimostrare l’infondatezza; tutte le affermazioni della qabbalah sono “frivola, fabulosa, vel saltem absque fundamento prolata”.55

Questi ‘sogni’ sono peggio dell’ignoranza, perché essi ci impediscono di osservare correttamente la natura. Come egli sottolinea a proposito delle pretese di Fludd di istruirci sull’Armonia del mondo: “sarebbe molto meglio non conoscere affatto quest’Armonia che immaginarsela diversamente da quel che è”.56

La polemica tra Mersenne e Fludd, nella quale interverrà, a sostegno del bon pére, anche Pierre Gassendi, si snoderà a lungo e con toni talvolta oltraggiosi da entrambe le parti. La ‘vittoria’ di Mersenne tenderà a definirsi, in maniera smagliante, allorché diverrà patrimonio comune l’esito della critica di Isaac Casaubon nei confronti del Corpus Hermeticus di Trismegisto (1614), che ne riporterà la redazione ai primi secoli dopo Cristo; Casaubon rivelerà la falsità della tradizione “egiziaca” e metterà, indirettamente, ermetici, cabalisti e alchimisti di marca pico-ficiniana in seria crisi (pur se occorreranno anni prima che i risultati della sua critica testuale vengano riconosciuti ed accettati, almeno parzialmente).Naturalmente Mersenne è pronto a non lasciarsi sfuggire la ghiotta occasione, e in una lettera a Nicolas De Baugy, ambasciatore di Francia nelle Province Unite, datata 26 aprile 1630, in cui sottopone all’amico il testo antifluddiano di Gassendi, egli demolisce gli scritti di Fludd e degli altri cabalisti:

“Cum autem Fluddus plures alios authores enumeret, illos solum affero, quorum authoritate in suis libris nititur. Quos inter primum ordinem obtinet pseudoTrismegistus, cujus Pimandrum et alios tractatus Scripturae sacrae authoritati atque veritati pares efficere videtur, et de quorum aestimatione nonnihil, credo, remittet, si legat Casaubonum, prima ad apparatum Annanium Exercitatione”.57

Le stoccate proseguono: i Cabalisti ci ingannano sulla natura del linguaggio, afferma perentoriamente Mersenne. Per essi la parola significa l’essenza delle cose. Mersenne discuterà e polemizzerà a lungo sulla questione. Ma è alla nuova scienza, al meccanicismo, che egli domanderà la risposta decisiva per distruggere il prestigio secolare dell’onomanzia: la parola non è che un flatus vocis, un segno puramente convenzionale, una

55 M. Mersenne, Questiones ..., col.1705b.56 M. Mersenne, Harmonie Universelle, p. 453.57 M. Mersenne, Correspondance du P. Marin Mersenne, Paris, Presses Universitaires de France, 1932 [i.e. 1933] - 1988, pp. 444-445.

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vibrazione dell’aria la cui natura è rilevata e rivelata interamente dalla fisiologia e dall’acustica; solo la vera scienza libera dalla falsa scienza.Essa sola altresì permette di salvare la Morale. Perché (ed è questo il supremo pericolo della qabbalah) nella corrispondenza universale che essa immagina tra nomi, astri, elementi naturali e persone fisiche, il destino umano non è più nient’altro che un singolo elemento della storia cosmica. “La musica di Mersenne è la Medicina di Paracelso, cioè la panacea di tutti i mali dell’anima e del corpo”, avverte ancora Lenoble.58

Mersenne combatte le illusioni dell’astrologia e della qabbalah musicale di Fludd; e con la stessa idea di Armonia Universale designa una corrispondenza provvidenziale delle proporzioni in tutte le parti della natura. Tale elemento non è per nulla posto in gioco dal medico inglese, per il quale le corrispondenze cosmologico-musicali rappresentano tanto delle spiegazioni costitutive, quanto degli elementi sostanziali di influenza:

“His igitur cognitis a mundi materia exordium sumamus quam chordae monochordi, cujus instrumentum magnum est ipse Macrocosmus [...]. Concludimus igitur Solem naturae DEUM, sed creatum, virtute harmoniae spiritualis per Diapason formale cum intervallis suis proportionaliter ordinatum accipere omnem formalem & lucidam virtutem a DEO omnium maximo, supernaturali creatore increato; terram vero per Diapason materiale correspondem DEI influentias accipere; indeque habere eandem cum Sole correspondentiam [...] Haec itaque est machinae universalis harmonia naturalis, quam nemo hactenus quod sciam, ita succinte atque dilucide explicavit: Istiusmodi autem monochordi mundani consonantiae hoc modo depinguntur [...]”.59

Mersenne rifiuta invece la visione occultistica della natura in favore di un’ottica sostanzialmente psico-fisiologica che vuole ad ogni costo salvaguardare la libertà umana dal surdeterminismo magico, ribaltando la posizione di tanti suoi ‘colleghi’.

Il tema dell’animale-macchina, quello del meccanicismo, insomma, avviato proprio da Marin Mersenne, appare quindi all’inizio del XVII secolo, nell’ambito della gnoseologia, come risposta al panpsichismo naturalistico rinascimentale e come proposta di una nuova teoria della percezione in grado di impostare, su basi rigorosamente operative, la distinzione tra l’automatismo della sensazione e l’intenzionalità della percezione.

Anche Johannes Kepler polemizzerà aspramente con Fludd e con l’impostazione cabalistica in generale. Già in una lettera a Joachim Tanck del 12 maggio 1608, Keplero chiarisce il proprio punto di vista. La lettera, peraltro, inizia facendo riferimento al Monochordium di Andreas Reinhard (1604), che Tanck gli aveva inviato e che proponeva posizioni sull’intonazione musical diametralmente opposte a quelle di Sethus Calvisius, avversato da Keplero:

“Anch’io gioco con i simboli e ho ideato un’opera dal titolo Cabala geometrica [...] Gioco però in maniera da non dimenticare mai che si tratta solo di un gioco. Niente, infatti, può essere dimostrato con i simboli; nessun segreto della natura viene svelato da simboli geometrici. Essi ci danno solo risultati che erano già noti anche prima, a meno che non sia dimostrato con argomenti sicuri che non sono unicamente dei simboli, ma che esprimono il modo e le cause delle connessioni tra le due cose paragonate”.60

58 R. Lenoble, Op. cit., p. 531.59 R. Fludd, Utriusque Cosmi Metaphysica, Physica, et Technica historia, Oppenheim, 1617, pp. 85 e 88.60 J. Kepler, Opera omnia (Ch. Frisch ed.), Frankfurt a. M., Heyder & Zimmer, (1858-1871), Bd. I, p. 378. “Ludo quippe et ego symbolis et opusculum institui: ‘cabbalam geometricam’, quae est de ideis rerum naturalium in geometria; sed ita ludo, ut me ludere non obliviscar. Nihil enim probatur symbolis, nihil abstrusi eruitur in naturali philosophia per symbolas geometricas, tantum ante nota accommodantur, nisi certis rationibus evincatur, non tantum esse symbolica, sed esse descriptos connexionis rei utriusque modos et causas; [...]”.

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Keplero, in seguito, nell’Appendice all’Harmonices Mundi libri V, testo che tanto si occupa di teoria musicale riferita all’astronomia, segnala accuratamente le differenze che lo distinguono da Fludd:

“Perciò anche nell’opera sua vi sono moltissime illustrazioni; nella mia opera invece, vi sono diagrammi matematici composti con lettere. Puoi infatti vedere come esso si diletta moltissimo di tenebrosi enigmi di cose, laddove io mi sforzo invece di portare nel mio intelletto a chiarezza le cose avvolte nell’oscurità. Il primo atteggiamento è familiare agli alchimisti, agli ermetici, ai seguaci di Paracelso; il secondo è caratteristico dei matematici”.61

Ovviamente la polemica, che inizia a modularsi nell’Appendix, riguarda la concezione di Musica Mundana di Fludd, ricavata dall’Utriusque cosmi ... historia. Keplero così procede:

“E così pure anche nei libri II e III, dove tratta la medesima materia che tratto io, vi è questa differenza tra noi due: che quelle cose che egli prende dagli antichi, io le ricavo dalla natura delle cose e le tratto a partire dagli stessi fondamenti: mentre egli usurpa affermazioni non corrette e confuse tramandate in maniera insicura, io invece procedo secondo l’ordine naturale, affinché ogni cosa sia corretta secondo le leggi naturali, perché venga evitata la confusione; [...] In poche parole per ciò che concerne il trattare l’Armonia, l’uno tratta la musica vocale e strumentale, l’altro la musica filosofica e matematica”.62

Ma ancor più grande è il discrimen, per l’astronomo, nel momento in cui Fludd introduce la Musica nel Mondo:

“Veniamo quindi a un altro passo di quest’autore, là dove egli introduce il discorso sulla musica mondana: qui davvero è incommensurabile quanta sia la differenza tra noi due. In primo luogo le armonie che egli intende mostrare sono puri simbolismi, dei quali dico la medesima cosa che ho detto dei simbolismi di Tolomeo, che essi sono piuttosto poetici e oratorî che filosofici e matematici”.63

E, giungendo al nocciolo della polemica:

“Ma per avvicinarci maggiormente ai principî in base ai quali Robert Fludd costruisce la sua musica mondana, diremo che dapprima egli si occupa di tutto il mondo e delle sue tre parti, Empirea, Celeste e degli Elementi: io invece mi attengo esclusivamente a quella celeste, e nemmeno a quella tutt’intera, ma solo ai movimenti dei pianeti sotto lo Zodiaco. Egli, confidando negli antichi i quali credevano che la forza dell’Armonia derivasse da numeri astratti, si accontenta di dimostrare tra quali parti vi sia accordo in qualunque modo le numeri, senza preoccuparsi in qual maniera le unità si siano congiunte in quel numero”.64

Ricordando peraltro che Fludd si era espresso in maniere sicuramente non signorili nella critica a Keplero: “I matematici da strapazzo si occupano dell’ombra delle quantità, gli alchimisti e gli ermetici abbracciano la vera midolla dei corpi naturali”, come Keplero stesso riporta nell’Apologia adversus Rob. de Fluctibus (1622), dove peraltro anch’egli non risparmia gli affondi nei confronti del medico inglese. Le argomentazioni di Fludd si basano esclusivamente su analogie microcosmo-macrocosmo, perciò le illustrazioni dei suoi volumi altro non sono che ‘geroglifici’ o ‘disegni’, mentre le illustrazioni di Keplero sono veri diagrammi matematici, perché da matematico egli ragiona:

“In constitutione terminorum Harmoniae cuiusque descripsi, te fisum veteribus qui credebant vim Harmonicam esse ex numeris abstractis” [...] Hunc numerum ais formalem, vere igneum, rationi familiarissimum. Vide qua re conveniamus. Mihi mentis, & in ea quantitatum & circuli, tibi Naturae generantis opes praecedunt, quas sequitur utinque Numerus; […] Atque hinc vel maxime demonstro,

61 J. Kepler, Harmonices Mundi Libri V, Linz, 1619, p. 252.62 Ibidem.63 J. Kepler, loc. cit., p. 253.64 Ibidem.

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nullam doctrinae tuae iniuriam illatam a meis comparationibus, dum eo meos Harmoniarum terminos appello mathematicos, tuos vero aenigmaticos, pictos, Hermeticos”;65

e ancora:

“Tu rei figuram vel Hieroglyphicum effinxeris” [...] “Tuis picturis mea comparavi diagrammata; fassus librum meum non aeque atque tuum ornatum esse, nec futurum ad gustum lectoris cuiuslibet: excusavi hunc defectum a professione, cum ego mathematicum agam […]”.66

Ma la tendenza alla musicografia mistico-simbolica, seppur entro coordinate rigorosamente (almeno dal punto di vista fenomenico) aderenti ai canoni religiosi ‘romani’, non si estingue del tutto; si attenua, semmai. Si cattolicizza, come nel gesuita Padre Athanasius Kircher: ma questa è altra storia e lascerà da parte l’ambiente della corte di Rodolfo II a Praga e il pensiero di Maier (quello dell’Atalanta fugiens, che mette in stretta relazione musica e alchimia) e di Fludd ad essa conformi. Le loro opere, pubblicate nel Palatinato di Federico V, si scontreranno con un mondo che sta rapidamente cambiando e con un’Europa devastata dalla Guerra dei Trent’Anni.L’Amphiteatrum sapientiae aeternae di Khunrath con il cabalista-alchimista che prega devotamente ed un gruppo di strumenti musicali in primo piano (su un tavolo, sulla cui tovaglia leggiamo: “La musica sacra è tristezza ed esilio degli spiriti maligni: perché lo spirito di Dio volentieri suona nel cuore pieno di gaudio virtuoso”) è definitivamente spento, e l’elemento armonico-musicale resta un modello di tipo razionale, non certo una realtà effettiva ed affettiva, come scrive Keplero:

“Nihil igitur aliud sunt motus coelorum, quam perennis quidam concentus (rationalis, non vocalis) per dissonantes tensiones, veluti quasdam Syncopationes vel Cadentias (quibus homines imitantur istas dissonantias naturales) tendens in certas & praescriptas clausulas, singulas sex terminorum (veluti Vocum) iisque Notis immensitatem Temporis insigniens & distinguens; ut mirum amplius non sit, tandem inventatam esse ab Homine, Creator sui Simia, rationem canendi per concentum, ignotam veteribus; ut scilicet totius Temporis mundani perpetuitatem in brevi aliqua Horae parte, per artificiosam plurium vocum luderet, Deique Opificis complacentiam in operibus suis, suavissimo sensu voluptatis, ex hac Dei imitatrice Musica perceptae, quadamtenus degustaret”.67

Si tratta della conclusione del VII capitolo del V libro dell’Harmonices Mundi, ed è la sintetica descrizione dell’analogia ricorrente tra Cosmo e musica terrena, in cui la delectatio, il piacere dell’uomo, diventa il fine ultimo della musica, “nato dal piacere di Dio per la sua creazione”.

Stefano A. E. Leoni

65 J. Kepler, Apologia adversus demonstrationem analyticam CL.V.D. Roberti de Fuctibus ..., Frankfurt, 1622, p. 33.66 J. Kepler, loc. cit., pp. 5 et ultra.67 J. Kepler, Harmonices Mundi ..., p. 212.