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IL SENSO DELLA VITA SENZA DIO - http://www.espressedizioni.it/catalogo/id/10Prendere Darwin sul seriodi Steve Steward-Williams, ed. italiana a cura di Maurizio MoriUn libro illuminante, rigoroso e profondo, scritto con brio e semplicità tanto da risultare avvincente come un romanzo, che apre nuove controversie e un nuovo capitolo della riflessione filosofica.Per orientarsi nell’esistenza e trovare un equilibrio spirituale fondato sui dati della scienza e non sui vaghi concetti della metafisica e della religione.

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il sensodella vitasenza dioPrendere Darwin sul serio

Steve Stewart-Williams

edizione italiana a cura di Maurizio Moritraduzione di Enrico Rini

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Questo libro è stampato con carta riciclata ed ecologica, orientato alla sostenibilità e prodotto attraverso un processo a basso impatto ambientale.

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Redazione: Alessandro Pastore

Impaginazione: Valeria Berra

Stampa: CDM – Torino

L’editore è a disposizione di tutti gli eventuali proprietari dei diritti sulle immagini riprodotte, laddove non sia stato possibile rintracciarli per chiedere la debita autorizzazione.

©2011 ESPRESS EDIZIONI srl

via Po 14 – 10123 Torino

tel. 011 19501623 www.espressedizioni.it [email protected]

Prima edizione: ottobre 2011

ISBN 978-88-97412-113

I diritti di traduzione, di memorizzazione elettronica, di riproduzione e di adattamento totale o parziale, con qualsiasi mezzo (compresi i microfilm e le copie fotostatiche) sono riservati per tutti i paesi.

100% riciclata 100% ambiente

Titolo originale dell’opera: Darwin, God and the Meaning of Life. How Evolutionary Theory Undermines Everything You Thought You Knew

© Steve Stewart-Williams 2010 Cambridge University Press

Accedendo al sito <www.espressedizioni.it>è possibile visualizzare gratuitamente la versione onlinedel testo, inserendo il codice apposito nella sezioneDIgItalE.

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1. Darwin e le grandi domande

Parte I

Darwin si prende gioco della religione

2. Lotta tra titani

3. L’idea di progetto dopo Darwin

4. Il dio di Darwin

5. Dio come tappabuchi

6. Darwin e il problema del male

7. Farla finita con la religione

Prefazione dell’autore all’edizione italiana

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Indice

11Introduzione del curatore

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suggerImentI Per La Lettura 371

rIFerImentI bIbLIograFIcI 372

InDIce DeI nomI 391

Parte II

La vita dopo Darwin

8. gli esseri umani e il loro posto nell’universo

9. La posizione dell’uomo nel regno animale

10. Dire addio al senso della vita?

Parte III

La morale spogliata dalla superstizione

11. Il bene si evolve

12. ricostruire la morale

13. estirpare la dottrina della dignità umana

14. L’evoluzione e l’impossibilità di

distinguere ciò che è giusto

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Prefazione dell’autore all’edizione italiana

La notizia della traduzione italiana di Il senso della vita senza dio1 mi ha reso particolarmente felice. Allo stesso tempo la cosa mi ha anche un po’ sorpreso: a un primo sguardo, la scelta di questo libro non sembre-rebbe adeguata al mercato italiano. Quando si pensa all’Italia, infatti, per molte persone la prima associazione mentale è con il cattolicesi-mo romano, e gran parte delle argomentazioni contenute in questo libro si scontra frontalmente con le dottrine cattoliche tradizionali. La Chiesa sostiene che dio e scienza possano coesistere senza proble-mi: in questo testo sostengo invece che Darwin abbia ucciso dio. La Chiesa rivendica il pieno accoglimento della teoria dell’evoluzione: secondo le mie argomentazioni, molte personalità religiose di spicco (Benedetto XVI e Giovanni Paolo II compresi) hanno, senza mezzi termini, diffuso un’immagine fuorviante della scienza evoluzionista. La Chiesa ritiene che la nozione tomista di diritto naturale possa for-nire un fondamento per la morale: a mio modo di vedere, l’etica del diritto naturale è deceduta il 24 novembre 1859, data di pubblicazione dell’Origine delle specie di Charles Darwin. Che cosa potrebbe farsene un paese cattolico di un libro stando al quale la vita, in ultima analisi, non ha significato, l’omosessualità e l’eutanasia volontaria sono mo-ralmente accettabili e la morale non ha alcun fondamento assoluto?

Ovviamente, non tutti i membri di un cosiddetto «paese cattolico» sono di fatto cattolici e, se si tratta di un paese libero, praticamen-te ogni posizione su qualsivoglia questione può trovare ascolto. Ciò nonostante, a fronte dell’oggetto del libro e della tradizione religiosa

1 | Il termine «dio» compare nel testo in caratteri minuscoli dal momento che il riferi-mento di Stewart-Williams è al concetto generale di divinità, eventualmente declinato in forme diverse corrispondenti a differenti religioni o credenze teistiche. Nelle cita-zioni di altri autori il termine conserva invece l’iniziale maiuscola [N.d.T.].

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italiana, la pubblicazione di questa traduzione è un segno del corag-gio dell’Editore. È anche un segno di come le cose, in Italia, stiano cambiando: lo stereotipo diffuso dell’Italia è legato a un paese che sta rapidamente scomparendo. La maggior parte delle persone di cultura anglosassone sarebbe sorpresa nello scoprire che il cattolicesimo ro-mano non è in Italia religione di Stato e che la separazione tra Chiesa e Stato è parte integrante della Costituzione. Sarebbero anche sorpre-se nello scoprire che, sebbene nominalmente la maggioranza degli italiani si professi cattolica, soltanto un credente su tre è praticante. Certo, il cattolicesimo ha ancora una presa politica significativa sul paese, ma in Italia c’è anche un forte movimento laico, in rapida cre-scita. Mi auguro quindi che la traduzione italiana di questo libro sia sintomo di una dinamica più profonda: l’inizio della fine del teismo in Italia.

Ma il teismo non morirà senza combattere. In risposta alla cresci-ta, nell’ultima decina d’anni, del nuovo movimento ateista, si è assi-stito a un contrattacco vigoroso da parte dei rappresentanti di ogni confessione cristiana e, più in generale, di ogni religione monotei-sta. È interessante notare come raramente ciò abbia comportato la proposta di vere e proprie prove dell’esistenza di dio; al contrario, la tattica più frequente che adottano i difensori della fede consiste nel mettere in evidenza alcune orribili conseguenze che discenderebbero dall’abbandono della fede e dall’accoglimento di una visione del mon-do improntata all’ateismo. Benedetto XVI, per esempio, è ritornato più volte su questo punto: senza dio la vita non avrebbe significato e la morale sarebbe impossibile. Quale potrebbe essere la risposta di un ateo o di un umanista laico?

La mia risposta consiste nell’ammettere che, in un senso molto rilevante, il papa abbia ragione: la vita non ha alcun significato ultimo e la morale non ha un fondamento assoluto. Il punto di disaccordo riguarda le supposte terribili conseguenze che, secondo il papa, ne discenderebbero: da molti punti di vista si potrebbe trattare, in realtà,

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9Prefazione dell’autore all’edizione italiana

di buone notizie. Non appena ci si abitui all’idea che i nostri scopi, nella vita, non siano ordinati da un soggetto terzo disincarnato e che non esistano verità morali assolute, si può scoprire una nuova, esal-tante, sensazione di libertà: la libertà di ricostruire la morale dalle radici. E uno dei principi fondativi della nostra nuova morale sarebbe il seguente: un universo che contenga meno sofferenze è preferibile a uno che ne contenga di più. Io ritengo che questo principio, pur così semplice, possa costituire la pietra di fondazione della morale.

Ma se mi si chiede quali giustificazioni io possa addurre per que-sta mia idea, la risposta è, molto semplicemente: nessuna. La mo-rale non ha alcuna giustificazione ultima: alla fin fine, siamo noi a costruirla. Ma questo fatto riguarda tutti, non solo gli atei: i credenti si persuadono che la propria morale venga da dio, sebbene, anche in questo caso, si tratti di un costrutto umano. La morale dei credenti è l’opera di popoli antichi che, secondo gli standard moderni, era-no estremamente ignoranti e avevano a che fare con questioni etiche molto differenti rispetto a quelle che oggi affrontiamo. Abbiamo ora la possibilità di costruire una morale molto più gentile e delicata: una morale che, per esempio, non lasci spazio all’omofobia e che estenda le considerazioni etiche al di là della nostra specie, fino a comprende-re anche le altre forme di vita senzienti. Abbiamo inoltre la possibilità di adottare tale morale non per un ordine divino o perché essa sia in qualche modo inscritta nella trama dell’universo, ma per il semplice fatto che si tratta di una morale più simpatica. Questa posizione ha una conseguenza naturale: non possiamo più attribuire la responsa-bilità del nostro comportamento a divinità inesistenti o a profeti. È tutto nelle nostre mani.

Può darsi che questa concezione della morale – che io chiamo «mo-rale spogliata dalla superstizione» – paia ad alcuni insoddisfacente. Ma qual è l’alternativa? Potremmo anche dire «devi comportarti così perché lo dice dio»; ma la maggior parte delle persone, comunque, crede solo in parte a dio, dunque è improbabile che questa strate-

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gia sia di grande aiuto: se veramente fosse una tecnica efficace, nelle nostre carceri troveremmo solo gli atei – e, ovviamente, non è così. Emerge in tal modo un punto importante: le persone possono essere buone anche senza dio. Può darsi che la religione in qualche caso aiuti a essere buoni, ma non c’è alcuna ragione per cui dovremmo credere che essa sia la sola istituzione culturale a poterlo fare – non c’è alcuna ragione, in altri termini, per cui dovremmo pensare che la morale debba essere fondata su una bugia. Una concezione darwinia-na dell’universo non ci condanna all’immoralità; al contrario, Darwin ci apre gli occhi sulla nostra condizione di solitudine in un mondo duro e crudele e, così facendo, ci rivela quanto sia stupefacente che una scimmia predatrice, evolutasi in un posto sperduto senza alcu-no scopo particolare, possa prendere consapevolmente la decisione di combattere contro la direzione generale della natura, cercando di costruire un piccolo angolo di universo in cui le cose non vadano poi così male. Plaudo agli sforzi degli atei italiani in questa direzione e attendo il giorno in cui il mondo, risvegliandosi, riconoscerà le loro conquiste.

Steve Stewart-williamS

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Introduzione del curatore

Dopo aver accettato con entusiasmo il suggerimento di pubblicare in italiano il libro che avete tra le mani, l’editore mi ha chiesto di scri-vere una breve introduzione in modo da dare alcune coordinate per la lettura. Mi sono ritrovato di fronte alla difficoltà di assolvere a un compito tanto oneroso in poco spazio e di mantenere il livello stilisti-co acuto e brioso di Stewart-Williams. Per iniziare, mi limito a rilevare che il volume è importante per almeno tre ragioni:

1) si tratta di uno dei primi contributi filosofici che prende sul serio la scoperta di Darwin ponendola al centro dell’attenzione per mostrare come attraverso un approccio scientifico si arrivi a scardinare l’idea dell’esistenza di dio;

2) sulla scorta dell’evoluzionismo darwiniano, Stewart-Williams affronta poi in modo esplicito e sistematico il problema del sen-so della vita senza dio, dando un taglio originale a un argomen-to già al centro del dibattito etico internazionale;

3) il libro è uno dei primi studi che indaga sotto una nuova luce una delle questioni centrali della società in generale. Come af-ferma il sociologo Peter Berger, infatti, «il significato è il fe-nomeno centrale della vita sociale [...] né la vita collettiva né quella individuale sono possibili senza un’intelaiatura di si-gnificato [...] una società non può stare in piedi senza una se-rie di significati condivisi dai suoi membri; un individuo non può dare un senso alla propria vita senza una simile serie di significati»1.

1 | Berger P.L. 1981, Le piramidi del sacrificio. Etica politica e trasformazione sociale, Einaudi, Torino 1981: 202-3.

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Prendere Darwin sul serio

Il primo e fondamentale aspetto è ben chiarito dal titolo originale del libro – Darwin, God and the Meaning of Life. How Evolutionary Theory Undermines Everything You Thought You Knew – che mette in primo piano il nome di Darwin. Per questa traduzione si è pensato invece di evidenziare la tesi centrale del volume, ossia che, contrariamente a quanto spesso si afferma e si crede, l’esistenza umana può avere, ed effettivamente ha, un senso o un significato anche senza dio. Nella versione inglese quest’idea è indicata dal sottotitolo, che nell’edizione italiana ha invece il compito di richiamare la centralità di Darwin. Questo ribaltamento è giustificato dal fatto che in Italia, purtroppo, il nome di Darwin dice ancora troppo poco in quanto l’evoluzionismo viene ancora ritenuto una mera ipotesi, ossia una tesi tra altre e in attesa di conferme.

Al contrario Stewart-Williams parte dalla scoperta di Darwin per elaborare un’intera visione filosofica che prescinde da dio e da una presunta esistenza di enti trascendenti. Questo approccio indica un nuovo modo di intendere il rapporto tra scienza e filosofia, sottoline-ando quanto sia diventato profondo e pervasivo l’impatto della scien-za nella vita sociale contemporanea: la scienza non si limita più a influenzare gli aspetti esteriori della vita dell’individuo per via della fusione con la tecnica, ma penetra negli interstizi del pensiero stesso e plasma gli atteggiamenti orientativi dell’esistenza.

Il nuovo ruolo dell’ateismo

Il secondo aspetto che urge sottolineare è che grazie a questo libro l’antico tema dell’ateismo assume una dimensione del tutto nuova e compie un vero e proprio salto qualitativo. Sino a pochi anni fa il problema del significato della vita era solamente accennato o inserito

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13 Introduzione del curatore

all’interno di discorsi più ampi, ora invece viene tematizzato ed esplo-rato in tutti i dettagli.

Ogni volta che si parla di ateismo la questione verte su come vada inteso, vista la mancanza di una definizione precisa e condivisa del ter-mine, di fatto utilizzato nei significati più variegati. Per evitare ambi-guità (pur sapendo di scontentare qualcuno), preciso che qui per «atei-smo» s’intende la posizione che nega l’esistenza di dio inteso come (I) ente trascendente il mondo, aspetto questo (II) che dev’essere colto nell’interiorità della coscienza sostanziale, capace di scoprire ciò che sta al di là delle cose, e (III) che si manifesta in una serie di misteri naturali in cui si intravede il mistero divino.

Come acutamente osservava Étienne Borne, «se trascendenza, inte-riorità e mistero non sono altro che illusioni, il problema stesso di Dio rischia di perdere qualsiasi significato»2. Infatti, il nucleo centrale della religiosità sembra risiedere nella credenza che ci sia un senso recon-dito nascosto nella profondità delle cose, un senso che va al di là delle cose stesse e che non può essere colto se non dalla religione. Ebbene, Stewart-Williams ci dice che ora, grazie alla prospettiva darwiniana, quest’aspetto può essere affrontato anche in termini secolari. La conse-guenza è la definitiva conclusione dei tempi in cui l’ateo era persona da guardare con diffidenza e sospetto, non potendo essere un vero amico né un soggetto leale capace di relazioni di affetto, tanto da far sostenere anche a un pensatore aperto e innovatore come John Locke che un ateo non è in grado di mantenere «promesse, contratti e giuramenti, che sono i vincoli della società umana», escludendo così che agli atei si ap-plicasse il principio di tolleranza (religiosa)3. Tesi di questo tipo si sono

2 | Borne É. 1965, Vie e fonti dell’ateismo, in AA.VV., L’ateismo contemporaneo, tentazio-ne del mondo, risveglio dei cristiani?, SEI, Torino: 122.

3 | Per questa ragione, Locke – pioniere della tolleranza religiosa –, riteneva che il principio di tolleranza non fosse applicabile né agli atei né ai cattolici romani, i quali non avrebbero rispettato il patto sociale in quanto sudditi di uno stato straniero (oggi il Vaticano).

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conservate sino ai nostri giorni: si consideri che ancora negli anni Ses-santa del secolo scorso si scriveva a chiare lettere che l’ateismo è «una peste», «un peccato, un male e un errore mostruoso» e in definitiva «è il più terribile cancro della vita sociale»4, che non solo porta alla rovina l’individuo singolo, ma anche disgrega l’intera società. A prescindere dalle scuse soggettive che possono indurre un singolo ad abbracciarlo, si ribadiva che l’ateismo non cessa di essere «oggettivamente una col-pa e la colpa più grave [...] perché ci distacca da Colui che, donandoci l’esistenza, la vita, i beni e la salvezza, è tutta la nostra ragion d’essere, di vivere, di bene agire e di sperare»5.

Dopo la fine della Seconda guerra mondiale, però, l’ateismo era an-che stato identificato come il frutto di una decisione morale, una sorta di atto di ribellione a dio per consentire l’affermazione dell’uomo. In questo denso è esemplare la tesi di Jacques Maritain secondo cui coloro «che credono di non credere in Dio» in realtà poi «credono inconscia-mente il Lui perché il Dio di cui negano l’esistenza non è Dio, ma qual-cosa d’altro», cosicché a ben vedere «l’ateo autentico ed assoluto non è, alla fine, se non un santo mancato e un rivoluzionario fallito»6. In altre parole, l’ateo negherebbe non tanto il vero dio, ma una sua immagine caricaturale. Erano gli anni in cui in Unione Sovietica vigeva l’ateismo di Stato e si riconosceva la presenza di atei convinti e reali, giungendo comunque a dire che l’ateismo avrebbe anche potuto avere una capa-cità purificatrice della fede nel vero dio, agendo da vaccino in grado di contrastare le rappresentazioni divinizzanti della natura o da pungolo atto a migliorare il senso autentico di dio stesso. Si è probabilmente anche pensato che l’ateismo fosse solo una malattia passeggera e che la miglior terapia fosse un opportuno «aggiornamento» della dottrina

4 | Henry A.M. 1965, Prefazione, in AA.VV., L’ateismo contemporaneo, tentazione del mondo, risveglio dei cristiani?, SEI, Torino: 12-24.

5 | Ivi: 13.

6 | Maritain J. 1951, Il significato dell’ateismo moderno, Morcelliana, Brescia: 35.

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o delle modalità di presentazione delle verità religiose. Così solida e scontata era la credenza in dio e la tesi secondo cui «con Dio puoi tutto, senza Dio la tua vita non ha senso» da rendere impensabile la possibi-lità stessa di una società e di una cultura private del concetto di trascen-denza, condannate alla superficialità della vita empirica e terrena.

Il libro di Stewart-Williams ci mostra che le cose sono andate in modo molto diverso da quanto previsto e che anche l’esistenza senza dio può essere profonda e densa di significato. In ogni caso la tesi tradizionale è ancora diffusa, e un residuo di essa è rintracciabile nell’affermazione di Benedetto XVI secondo cui «la dimensione religiosa non è [...] una sovrastruttura; essa è parte integrante della persona. [...] La dimensione religiosa rende l’uomo più uomo»7. Risulta innegabile che oggi queste parole appaiano estremamente controverse. Ribadendo che l’esperien-za religiosa costituirebbe il vertice della condizione umana, per contrap-posizione esse implicano che l’ateo, escludendola, sarebbe meno uomo o un uomo dimidiato: una conclusione grave e inaccettabile per gli atei, i quali è facile ribattano in maniera analoga.

La centralità del problema del significato dell’esistenza

Gli umani sono animali strani perché non riescono a vivere senza «significati». Possono sopportare i sacrifici più grandi, ma non la con-dizione di «anomia», ossia quel disorientamento circa i valori e gli ideali derivante dalla privazione di simboli di riferimento. L’anomia diventa allora una condizione terribile e insopportabile: dare un sen-so all’esistenza è uno dei bisogni fondamentali dell’uomo, necessario per imprimere un ordine e una direzione alla vita non solo dell’indi-viduo singolo ma anche della società.

7 | Benedetto XVI, Discorso ai partecipanti all’incontro degli insegnanti di religione catto-lica, 25 aprile 2009.

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Sino a poco tempo fa il monopolio del discorso del significato della vita è stato mantenuto dalle religioni, le quali lo hanno fornito sulla scorta di un grande disegno o progetto che ha a capo dio, inteso come essere trascendente che è ente reale, anzi è l’ens realissimum. La pro-posta funzionava bene fin tanto che dio abitava nell’alto dei cieli, da cui poteva scrutare ogni cosa e far sentire in modo tangibile la propria influenza nella natura e nei misteri in essa racchiusi.

Questo paradigma è stato infranto dalla rivoluzione astronomica, che ha posto le basi della scienza moderna. Come è noto a volte l’arte sa cogliere in un istante ciò che richiederebbe trattati di prosa per essere spiegato, e il breve dialogo che Bertold Brecht pone nella sua Vita di Galileo è da questo punto di vista illuminante:

Galileo: Certo. E noi ora lo vediamo. Non staccare l’oc chio dal telescopio, Sagredo. Quello che stai vedendo è che non esiste differenza tra il cielo e la Terra. Oggi, 10 gennaio 1610, l’umanità scrive nel suo diario: abolito il cielo!SaGredo: È spaventoso.

L’aggettivo di Sagredo, spaventoso, coglie il nucleo del grande pro-cesso di secolarizzazione come disincanto del mondo che è tuttora in corso e che non è ancora stato ben digerito. Infatti, nel nostro senso co-mune ancora parliamo come tolemaici, tanto che è frequente il ricorso a espressioni del tipo: «Parcheggia l’auto qui, perché poi il sole gira e ar-riva l’ombra». Ciò mostra che il nostro modo comune di categorizzare è ancora tolemaico. Nonostante le lentezze e i ritardi applicativi, il salto gestaltico che ha portato alla nuova prospettiva è già avvenuto. Infatti, nel mondo pre-moderno erano all’ordine del giorno parole come quelle di Bonaventura da Bagnoregio tese a osservare che «il mondo creato è come un libro nel quale si può leggere la Trinità creatrice, è uno spec-chio luminoso che riflette la divina Sapienza». Oggi, invece, tanta sicu-rezza e confidenza sono scomparse, con due importanti conseguenze.

La prima sta sul piano teorico ed è che nella modernità – come ha osservato Kant – dio e le altre proposizioni base della metafisica non

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sono più dimostrabili, ma sono al massimo solo pensabili. La seconda sta invece sul piano pratico ed è che nel mondo pre-moderno i «signi-ficati sono presentati all’individuo come fatti scontati, generalmente sacri, sui quali egli può esercitare tanta poca scelta quanto sui fatti naturali: i valori che governano la vita familiare, per esempio, esistono più o meno come esiste una roccia, un albero e il colore dei propri capelli»8. Al contrario, nel mondo moderno, come osserva sempre Berger, «un numero sempre maggiore di significati importanti è of-ferto all’individuo in una sorta di supermercato dei significati, in cui egli si aggira come un consumatore con ampie possibilità di scelta: per esempio fra diversi valori familiari, stili di vita, e anche preferenze sessuali. Di conseguenza, il “diritto al significato” implica nei due tipi di società cose quasi opposte: in una società moderna implica il diritto dell’individuo di scegliere i propri significati; nelle società premoderne im-plica il suo diritto di attenersi alla tradizione»9.

Ancora una volta il libro di Stewart-Williams amplia ulteriormente la linea della modernità e la difende da vari attacchi, il principale dei quali è il seguante: partendo dall’osservazione che il richiamo ai valori morali è limitato, perché il discorso ultimo è quello che rimanda al senso della vita, si può affermare che in passato il tema veniva affrontato in base ad astruserie metafisiche, mentre oggi ha assunto centralità il livello antropologico, che coinvolge il tipo di uomo da proporre. Si osserva che su questo punto la scienza non avrebbe nulla da dire in quanto essa si limiterebbe a descrivere i fenomeni illustrando come essi avvengono, senza pretendere di chiarire o di spiegarne il perché. Ciò comporta che la scienza esclude dal proprio ambito il problema del significato o dello scopo ultimo dei fatti, compito lasciato appunto alla religione.

È proprio questo il nodo che Stewart-Williams affronta e scioglie, gettando così le basi per una riflessione che potrebbe portare a un

8 | Berger P.L., op. cit.: 204.

9 | Ivi: 204-5.

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cambiamento della struttura stessa della nostra civiltà, che sinora è sempre stata orientata in senso religioso con il centro riposto nella trascendenza, in un dio, mentre oggi pare sempre più indirizzata in senso secolare, con il centro rivolto all’autorealizzazione di tutti. È facile che la sola menzione di questa possibilità susciti svariate rea-zioni: da quelle normative delle cassandre che ripetono la solita sto-ria dell’ormai prossima catastrofe dell’umanità, a quelle descrittive di chi nega il possibile cambiamento sulla scorta dell’osservazione che oggi il mondo è «furiosamente religioso, come è sempre stato, e in qualche posto lo è anche più che mai»10, per cui «non c’è nessuna ragione di credere che il mondo del XXI secolo sarà meno religioso del mondo d’oggi»11.

Non posso qui discutere se e quanto sia vera la teoria della seco-larizzazione, ossia la tesi che le conoscenze scientifiche e la moder-nizzazione condurrebbero a un declino della religione sia sul piano sociale che individuale. Va però detto che il libro che avete tra le mani è un potente contributo filosofico e intellettuale a sostegno di tale teo-ria, e che dando una risposta a un problema cruciale apre una nuova strada per una società senza religione fondata sulle tesi di Darwin.

maurizio mori

10 | Berger P.L. 1999, The Desecularization of the World: A Global Overview, in Berger P.L. (a cura di), The Desecularization of the World. Resurgent Religion and World Politics, Eerdmans, Grand Rapids, Michigan: 2.

11 | Ivi: 12.