Enigma Del Gallo Nero, L' - Christopher John Sansom

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C.J. SANSOM

L'ENIGMA DEL GALLO NERO

(Dissolution, 2003)

Al gruppo di scrittori: Jan, Luke, Mary, Mike B, Mike H, Roz, William e inspecial modo a Tony, nostra fonte d'ispirazione. Il crogiolo.

E a Caroline

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Obedenziari anziani (officiali)

del monastero di San Donato a Scarnsea, Sussex, 1537

ABATE FABIAN: abate del monastero, eletto a vita dai confratelli.

PRIORE MORTIMUS: priore, braccio destro dell'abate Fabian, responsabile della disciplina e del benessere dei monaci, precettore dei novizi.

FRATELLO EDWIG: economo, responsabile delle finanze del monastero.

FRATELLO GABRIEL: sacrista e maestro del coro, responsabile dellaconservazione della chiesa monastica, delle opere in essa contenute, nonchédella sua musica.

FRATELLO GUY: frate infermiere, responsabile della buona salute deimonaci. Autorizzato alla prescrizione di medicine.

FRATELLO HUGH: tesoriere, responsabile della gestione domestica delmonastero.

FRATELLO JUDE: elemosiniere, responsabile dei conti del monastero, delleretribuzioni di monaci e servitori e della distribuzione delle elemosine.

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Capitolo uno

Mi trovavo nel Surrey in missione per conto di Lord Thomas Cromwell,quando arrivò la convocazione. Le terre di un monastero dissolto erano stateassegnate a un membro del Parlamento del cui appoggio Lord Cromwellaveva bisogno, e i documenti che sancivano il titolo di proprietà di alcuniterreni boscosi erano spariti. Li avevo rintracciati senza difficoltà, quindiavevo accettato con gioia l'invito del parlamentare a trascorrere qualchegiorno presso la sua famiglia. Ora stavo godendomi quel breve riposo, nellaquiete di inizio autunno, prima di far ritorno a Londra e all'esercizio dellamia professione. Sir Stephen possedeva una deliziosa e recente magione inmattoni dalle gradevoli proporzioni e io mi ero offerto di farne un disegno,ma ero riuscito ad abbozzarne solo pochi schizzi, quando giunse il cavaliere.

Il giovane era partito da Whitehall e aveva cavalcato tutta la notte pervenire da me all'alba. Riconobbi in lui uno dei messi personali di LordCromwell, e fu quindi con un presagio di sventura che ruppi il sigilloministeriale sulla missiva. Era del segretario Grey, e diceva che LordCromwell richiedeva la mia immediata presenza a Westminster.

Un tempo, la prospettiva d'incontrare il mio protettore, di potergli parlare,di vederlo occupare la posizione di grande potere che si era conquistato miavrebbe estasiato, ma l'ultimo anno aveva fatto crescere in me una grandestanchezza: ero stanco della politica e della legge, stanco degli inganni degliuomini, stanco dei loro intrighi. E mi angustiava che il nome di LordCromwell, più ancora di quello del sovrano, fosse ormai diventato ovunquesinonimo di terrore. Si diceva che i mendicanti di Londra si dileguasserosolo a sentirlo pronunciare. Questo non era il mondo che noi giovaniriformatori avevamo inteso creare durante infinite discussioni notturne. Untempo avevamo creduto, come Erasmo, che la fede e la carità bastassero adappianare le divergenze religiose, invece l'inverno del 1537 aveva visto unaribellione, un numero sempre crescente di esecuzioni e l'avida razzia perassicurarsi le terre dei monasteri.

Aveva piovuto poco quell'autunno e le strade erano ancora in buono stato,così, seppure la mia infermità m'impedisse di cavalcare veloce, giunsi aSouthwark a metà pomeriggio. Dopo un mese trascorso in campagna, il miobuon vecchio destriero Chancery era disturbato, tanto quanto me, dal

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frastuono e dagli odori della città. Avvicinandomi al London Bridge fuicostretto a distogliere lo sguardo poiché sul ponte erano esposte le teste deicondannati per tradimento, infilzate all'estremità di lunghe aste, con igabbiani che volteggiavano loro attorno beccando, di tanto in tanto, qualcheboccone. Sono sempre stato di natura schizzinosa, e non ho mai potutosopportare neppure i combattimenti fra cani e orsi.

Il grande ponte era affollato, come di consueto, e molti dei commerciantierano vestiti di nero in segno di lutto per la regina Jane, morta di febbrepuerperale due settimane prima. I bottegai incitavano agli acquisti dai loronegozi, aperti sulla strada in edifici costruiti tanto a ridosso del fiume dadare l'impressione di essere sul punto di precipitare nelle sue acque. Ai pianisuperiori, le donne ritiravano il bucato perché a ovest le nubi cominciavanoa rabbuiare il cielo. Spettegolavano e si chiamavano l'un l'altra, dandomil'impressione, dato il mio umore melanconico, di essere uno stormo di corvigracchianti assiepati sui rami di un albero.

Sospirai, ricordando i doveri che mi aspettavano. Era grazie allabenevolenza di Lord Cromwell se, all'età di trentacinque anni, potevocontare su una fiorente attività legale e una bella dimora. Inoltre, lavorareper lui significava lavorare per la Riforma, comportamento meritevole agliocchi di Dio (o, almeno, di questo ero ancora convinto in quei giorni). Dietroalla convocazione doveva esserci una questione importante, poichénormalmente ero a diretto contatto con Grey e non vedevo il primosegretario - ora anche vicario generale - da due anni. Con un colpo alleredini, condussi quindi Chancery attraverso la moltitudine di viaggiatori ecommercianti, tagliaborse e aspiranti cortigiani, nel grande calderone diLondra.

Oltrepassando Ludgate Hill, scorsi un banco colmo di mele e pere e,sentendo i morsi della fame, smontai da cavallo per comprarne qualcuna. Nestavo giusto dando una a Chancery, quando, in una viuzza laterale, notai uncapannello di circa trenta persone che mormoravano vivacemente davanti auna taverna. Mi chiesi se si trattasse dell'ennesimo predicatore folle conaspirazioni di profeta. In questo caso, meglio per lui se avesse prestatoattenzione alla guardia.

Al margine di quel drappello notai una coppia di signori benvestiti ericonobbi William Pepper, avvocato della Corte delle Aumentazioni, in

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compagnia di un giovane dall'appariscente farsetto. Incuriosito, diressiChancery lungo la via acciottolata e li raggiunsi. Pepper si voltò.

«Per tutti i fulmini, Shardlake! È un pezzo che non ti fai vedere. Dov'erifinito?» Volgendo poi lo sguardo al suo compagno, disse: «Permettimi dipresentarti Jonathan Mintling, fresco di studi, un felice acquisto delleAumentazioni. Jonathan, ti presento mastro Matthew Shardlake, il gobbo piùscaltro di tutti i fori d'Inghilterra.»

Feci un inchino al giovane, sorvolando sullo scortese accenno alla miadeformità. Avevo da poco battuto Pepper in tribunale e, come si sa, le linguedegli avvocati sono sempre pronte a cercar vendetta.

«Che cosa succede?» chiesi.

Pepper rise. «Una donna sostiene di avere un uccello delle Indie in gradodi conversare come un cristiano. Sta per mostrarlo alla folla.»

La strada che portava alla taverna era in discesa, così, nonostante la miascarsa statura, riuscii ad avere una discreta visuale della scena. Una vecchia,grassa e con un abito sudicio, apparve sulla soglia, trasportando un trespolodi ferro a treppiede. In equilibrio su una traversa c'era il volatile più stranoche avessi mai visto. Più grosso del più grande dei corvi, aveva un beccocorto che terminava in uno spaventevole uncino, e il suo piumaggio rosso eoro era talmente intenso da abbagliare la vista, stagliato com'era sul grigioredel vicolo. La folla si strinse attorno a quella meraviglia.

«State indietro», intimò la vecchia con voce stridula. «Vi ho portatoTabitha, ma lei non dirà niente se le state così addosso.»

«Falla parlare!» gridò qualcuno.

«Vorrete pure ricompensarmi per il disturbo!» rispose la megera contracotanza. «Se getterete una moneta, Tabitha parlerà!»

«Quale diavoleria avrà mai in mente?» chiese Pepper con aria di scherno,ma come tutti gli altri lanciò una moneta ai piedi del trespolo. La vecchia leraccolse dal fango, poi si rivolse al volatile. «Tabitha», urlò, «di': 'Dio salvire Enrico! Una messa per la povera regina Jane!'»

La creatura parve ignorarla, ciondolando sulle zampe scagliose e fissando la folla con occhio vitreo. Poi, d'improvviso, con voce simile a quella della sua

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padrona, gridò: «Dio salvi re Enrico! Messa per regina Jane!» Quelli più vicini all'uccello fecero un involontario balzo all'indietro, accomunato a un generale movimento di braccia, mentre tutti si facevano il segno della croce. Pepper fischiò.

«Che te ne pare, Shardlake?»

«Non saprei. Ci deve essere un trucco.»

«Ancora», incitò uno degli spiriti più temerari. «Ancora una volta!»

«Tabitha! Di': 'Morte al papa! Morte al vescovo di Roma!'»

«Morte al papa! Vescovo di Roma! Dio salvi re Enrico!» La creatura aprìle ali, facendo trasalire la piccola folla per lo spavento - mentre io notavoche erano state crudelmente mozzate, cosicché la bestiola non avrebbe maipiù volato - poi affondò il becco uncinato nel petto e prese a lisciarsi lepenne.

«Venite sulla scalinata di St Paul, domani», disse a gran voce la vecchiarugosa, «e potrete ascoltarla ancora! Dite a tutti che Tabitha, l'uccelloparlante delle Indie, sarà là a mezzogiorno. È arrivata dalla terra degli Inca,dove centinaia di suoi simili conversano appollaiati sui rami di un'immensacittà-nido costruita sugli alberi!» E con quelle parole, interrotte solo perraccogliere un paio di monete che le erano sfuggite, la vecchia prese iltrespolo e scomparve nella taverna, mentre l'uccello sbatteva selvaggiamentele ali tarpate per mantenere l'equilibrio.

La folla si disperse, mormorando elettrizzata. Ricondussi Chancery su peril viottolo, con Pepper e il suo amico al mio fianco.

La consueta arroganza dell'avvocato si era mitigata. «Ho sentitod'innumerevoli meraviglie provenienti da questa terra che gli spagnoli hannoconquistato. Ho sempre pensato che metà delle storie sulle Indie fossero solofantasticherie, ma questo… santo cielo!»

«È un trucco», dissi. «Non hai notato gli occhi di quell'uccello? Nemmenoun barlume d'intelligenza. E il modo in cui ha smesso di parlare per lisciarsile penne, poi.»

«Ma ha parlato, signore», disse Mintling. «Lo abbiamo sentito tutti.»

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«Si può parlare senza comprendere ciò che si dice. E se quel volatilerispondesse alle parole della vecchia ripetendole, come un cane rispondeall'ordine del proprio padrone? So di ghiandaie in grado di fare giochettisimili.»

Raggiungemmo l'imboccatura della viuzza e ci fermammo. Pepper feceuna smorfia.

«Be', anche i fedeli in chiesa rispondono alle litanie latine dei preti senzacapire una parola.»

Mi strinsi nelle spalle. Simili sentimenti nei confronti della messa in latino non erano ancora ortodossi, e l'ultima cosa che desideravo era farmi trascinare in un dibattito religioso.

M'inchinai. «Bene, temo proprio di dovermi congedare. Ho appuntamentocon Lord Cromwell a Westminster.»

Il ragazzo mi guardò, visibilmente impressionato, mentre Pepper cercò di soffocare la propria sorpresa. Montai in groppa a Chancery e mi mescolai alla folla, un sorriso beffardo sulle labbra. Gli avvocati sono i pettegoli più linguacciuti che Dio abbia messo sulla Terra, e di certo la mia reputazione ciavrebbe guadagnato se Pepper avesse diffuso la voce che avevo udienza con il primo segretario di Sua Maestà. Ma il mio piacere non durò a lungo perché, procedendo lungo Fleet Street, grosse gocce di pioggia cominciarono a cadere sulla strada polverosa, e quando infine raggiunsi Tempie Bar scrosciava a dirotto, con un vento pungente che mi sferzava il viso. Alzai il cappuccio della cappa e me lo strinsi bene sotto il mento, cavalcando sotto l'acquazzone.

Giunsi infine al palazzo di Westminster. I rari cavalieri che avevoincontrato procedevano, come me, curvi e avviluppati nei propri mantelli, ea ogni incontro non avevamo mancato di commentare la comune sventura.

Il re si era trasferito nella nuova e sfarzosa reggia di Whitehall, cosìWestminster era diventato sede dei regi tribunali. La Corte delleAumentazioni di Pepper era una novità creata per gestire i patrimoni dellepiccole congregazioni religiose dissolte l'anno precedente. Anche LordCromwell e il suo fiorente seguito di funzionari avevano in quella sede ipropri gabinetti, cosa che rendeva quel luogo alquanto affollato.

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Di solito, il cortile brulicava di neri avvocati ricurvi sulle loro pergamenee di funzionari statali immersi in macchinose discussioni negli angoli piùappartati. Oggi, però, la pioggia aveva costretto tutti all'interno del palazzo,lasciando la corte quasi deserta. Al riparo sotto il portone d'ingresso c'eranosoltanto pochi individui dalle umili vesti inzaccherate: ex monaci deiconventi dissolti che venivano a reclamare i sussidi di povertà che l'Attoaveva loro promesso. Il funzionario di servizio doveva essersi allontanato, eforse si trattava proprio di mastro Mintling. Un vecchio dal viso fiero vestivaancora l'abito dei cistercensi, il cappuccio della tonaca zuppo d'acqua.Presentarsi al gabinetto di Lord Cromwell in una simile foggia di certo nonlo avrebbe aiutato.

Di consuetudine, gli ex monaci avevano l'aria di cani bastonati, ma quellifissavano con occhi colmi di orrore un gruppo di uomini intenti a scaricaredue grossi carri, disponendone il contenuto contro il muro e inveendo controla pioggia che batteva loro forte sul viso. A prima vista pensai si trattassedella legna per i funzionari, ma quando fermai Chancery mi accorsi chestavano trasportando teche di vetro, statue di legno e gesso, voluminosecroci intarsiate e riccamente decorate. Doveva trattarsi delle reliquie e delleeffigi prelevate dai monasteri dissolti, dei quali, noi che credevamo nellaRiforma, desideravamo cessasse ogni forma di venerazione. Strappati aglioriginari luoghi di culto per essere ammassati sotto la pioggia, quegli oggettisacri perdevano, infine, il loro potere. Soffocai un'ondata di compassione eannuii con sguardo severo al piccolo drappello di monaci, prima di condurreChancery nel cortile interno.

Giunto nelle scuderie, cercai di asciugarmi alla bell'e meglio con unasalvietta che lo stalliere mi aveva portato, poi entrai a palazzo. Mostrai lalettera di Lord Cromwell alla guardia e questa mi scortò dalla zona aperta alpubblico in un labirinto di corridoi interni, la scintillante lancia dritta verso ilcielo.

Mi fece strada sino a una grossa porta sorvegliata da altre due sentinelle,oltrepassata la quale mi ritrovai in una sala lunga e stretta, vivacementeilluminata da molte candele. Un tempo sala da banchetto, ora la stanza erastipata, in tutta la sua lunghezza, da file di scrivanie alle quali sedevanoimpiegati dalle nere vesti, intenti a smistare montagne di corrispondenza.Uno degli anziani, un ometto paffuto con le dita macchiate d'inchiostro, siprecipitò ad accogliermi.

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«Mastro Shardlake? Siete giunto in anticipo.» Mi chiesi come avessepotuto riconoscermi, poi capii che probabilmente gli era stato detto diattendere un gobbo.

«Il tempo è stato clemente… almeno fino a ora.» Abbassai lo sguardosugli abiti zuppi d'acqua.

«Il vicario generale mi ha detto di accompagnarvi da lui non appena fostearrivato.»

Mi fece strada attraverso la sala oltre la schiera d'impiegati affaccendati, le candele tremolanti al nostro passaggio. In quel momento mi resi conto di quanto fosse complessa la struttura che il mio padrone aveva creato. I commissari ecclesiastici e la magistratura locale, dotati ciascuno della propria rete d'informatori, avevano l'ordine di riferire qualunque voce di scontento o inganno, ognuna delle quali veniva poi controllata da una legge che ogni anno si faceva sempre più spietata. Le riforme religiose avevano già fatto scoppiare una ribellione, e il ripetersi di un simile evento avrebbe potuto rovesciare la monarchia.

L'impiegato si arrestò davanti a un'ampia porta alla fine della sala. Mi fececenno di fermarmi, bussò ed entrò con un profondo inchino.

«Mastro Shardlake, mio signore.»

In contrasto con l'anticamera, il gabinetto di Lord Cromwell era buio, conun piccolo candelabro sulla scrivania che si stagliava solitario sul grigioredel pomeriggio. La maggior parte degli uomini nella sua posizione avrebbeadornato le pareti con raffinati arazzi, invece lui le aveva ricoperte di armadialti fino al soffitto, ciascuno contenente centinaia di cassetti. Tavoli e baulierano sparsi ovunque, traboccanti di carte e rapporti. Un grosso ceppo dilegna crepitava in un ampio focolare.

Da principio non lo vidi. Poi scorsi la sua figura tarchiata di fronte a untavolo dall'altra parte della stanza. Sollevata in mano teneva una teca, e neesaminava il contenuto con piglio sprezzante, la larga bocca dalle labbrasottili incurvata verso il mento sporgente. La mascella tesa mi ricordava unagrande tagliola che, d'improvviso, avrebbe potuto spalancarsi e inghiottire lapropria preda in un sol boccone. Si voltò a guardarmi e, con uno dei suoiconsueti e incostanti mutamenti di espressione, mi sorrise affabile, alzando

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una mano in segno di benvenuto. M'inchinai quanto più possibile,nonostante il dolore per la lunga cavalcata.

«Matthew, vieni.» La voce, aspra e profonda, era benevola. «Hai fatto unbuon lavoro a Croydon, sono lieto che quell'impiccio di Black Grange siarisolto.»

«Grazie, mio signore.» Avvicinandomi, notai che sotto la veste bordata dipelliccia portava una camicia nera. Lui si accorse del mio sguardo.

«Hai saputo della morte della regina?»

«Sì, mio signore. E me ne dispiaccio.» Sapevo che, dopo l'esecuzione diAnna Bolena, Lord Cromwell aveva legato i propri interessi a quelli dellafamiglia Seymour.

«Il sovrano è turbato», borbottò.

Abbassai lo sguardo sul tavolo. Con mia grande sorpresa mi accorsi cheera ricoperto di urne di ogni misura. Sembravano tutte d'oro e d'argento,molte tempestate di pietre preziose. Attraverso i loro vetri opacizzati daltempo, scorsi brandelli di vesti e schegge d'ossa deposte su cuscini divelluto. Osservai quella che Lord Cromwell teneva ancora in mano, e vidiche conteneva il teschio di un fanciullo. Lui l'alzò alla luce, scuotendola inmodo da far battere i denti traballanti, poi sorrise sinistro.

«Queste di certo desteranno il tuo interesse. Reliquie sottoposte alla miapersonale attenzione.» Appoggiò l'urna sul tavolo e indicò un'iscrizionelatina sulla parte anteriore. «Guarda.»

«Barbara santissima», lessi. Diedi un'occhiata al teschio. Qualche cioccadi capelli ancora resisteva.

«Il teschio di santa Barbara», disse Cromwell, colpendo lo scrigno conuna mano. «Una giovane vergine uccisa dal padre pagano, ai tempidell'antica Roma. Proviene dalla prioria cluniacense di Leeds. È una reliquiavenerabilissima.»

Si chinò e prese un'urna d'argento decorata con quelli che sembravano opali. «E qui abbiamo il teschio di santa Barbara proveniente dal convento di Boxgrove, nel Lancashire.» Scoppiò in un'aspra risata. «Si dice che nelle Indie esistano draghi a due teste. Be', noi abbiamo delle sante a due teste.»

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«Jesu.» Esaminai attentamente i teschi. «Mi domando di chi fossero.»

Il vicario generale scoppiò in un'altra fragorosa risata e mi diede unapossente pacca sul braccio. «Ah, ecco il mio Matthew, sempre a caccia diuna risposta. Ed è proprio del tuo spirito investigativo che ho bisogno.L'emissario delle Aumentazioni di York mi ha riferito che l'urna d'oro risaleai tempi dell'antica Roma. Ma seguirà la sorte di tutti gli altri scrigni e saràfusa nella fornace della Torre, mentre le ossa finiranno in un letamaio. Nonsi dovrebbero adorare delle ossa.»

«Sono moltissime.» Guardai fuori della finestra. La pioggia cadeva ancoratorrenziale, sferzando gli uomini che continuavano a scaricare. LordCromwell attraversò la stanza, raggiungendomi. Sebbene la sua posizione dipari d'Inghilterra gli consentisse d'indossare la porpora, lui portava ancora,come il sottoscritto, la toga e il piatto copricapo neri tipici dei funzionariclericali e del foro. Il tocco, però, era di velluto di seta, e la toga bordata dipelliccia di castoro. Notai che i suoi lunghi capelli castani si erano spruzzatidi grigio.

«Devo far portar dentro quella roba», disse. «Ho bisogno che sia benasciutta. Quando manderò al rogo il prossimo traditore papista, voglio usareun po' di quella legna.» Si voltò, sorridendomi torvo. «Allora la gente capiràche alimentare le fiamme con le effigi della sua stessa eresia non larisparmierà dal dolore, né tantomeno le assicurerà l'intervento divino.» Lasua espressione mutò nuovamente, facendosi ombrosa. «Ora vieni, siedi.Abbiamo del lavoro da sbrigare.» Prese posto alla scrivania, indicando conun brusco gesto della mano la sedia di fronte allo scrittoio. Una fitta didolore alla schiena mi fece sobbalzare.

«Hai l'aria esausta, Matthew.» Mi scrutò con i grandi occhi scuri. Comeper il viso, la loro espressione era incostante, e ora si erano fatti freddi comeil ghiaccio.

«In effetti lo sono. Il viaggio è stato lungo.» Diedi uno sguardo allascrivania. Era coperta di documenti, su alcuni dei quali il regio sigilloscintillava alla luce delle candele. Due urnette d'oro fungevano ora dafermacarte.

«Sei stato in gamba a rintracciare i titoli di proprietà di quei terreni»,disse. «Senza quei documenti, la faccenda si sarebbe trascinata per anni.»

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«Li aveva l'ex economo del monastero. Erano nelle sue mani da quando lacasa era stata dissolta. A quanto pare, gli abitanti del villaggio volevanoreclamare quei possedimenti come terra comune. Sir Richard sospettava diun rivale del luogo, ma io ho preferito rivolgermi prima all'economo, poichécon tutta probabilità era l'ultima persona a esserne stata in possesso.»

«Bene. Molto logico.»

«L'ho scovato nella chiesa del villaggio, dov'era diventato pastore. Haammesso quasi subito di averli, e me li ha consegnati.»

«Gli abitanti del villaggio devono averlo pagato. Lo hai assicurato allagiustizia?»

«Non ha ricevuto nessun compenso. Penso intendesse soltanto aiutare quellagente, che è molto povera. Ho ritenuto fosse meglio non creare scompiglio.»

L'espressione di Lord Cromwell s'indurì mentre lui si appoggiava alloschienale della poltrona. «Ha commesso un atto criminoso, Matthew.Avresti dovuto farlo arrestare per dare l'esempio. Spero tu non stiadiventando di cuore tenero. Ho bisogno di avere al mio fianco uomini duri,Matthew, uomini duri.» D'improvviso, il suo volto si accese di quell'ira cheavevo visto in lui al nostro primo incontro, dieci anni prima. «Non viviamonell'Utopia di Tommaso Moro, in un paese d'innocenti selvaggi in trepidaattesa che la parola di Dio renda completa la loro felicita. Il nostro è unreame violento, oppresso dalla corruzione di una Chiesa decadente.»

«Lo so.»

«I papisti useranno ogni mezzo a loro disposizione per impedirci di crearela Repubblica Cristiana d'Inghilterra, quindi, per il sangue di Nostro Signore,io userò ogni mezzo a mia disposizione per sopraffarli.»

«Chiedo perdono, se ho errato nel mio giudizio.»

«C'è chi sostiene che tu sia troppo tenero, Matthew», bisbigliò. «Chemanchi d'ardore e zelo religioso, forse persino di lealtà.»

Lord Cromwell aveva l'abitudine di scrutare i propri interlocutori drittonegli occhi, senza battere ciglio, fino a costringerli ad abbassare lo sguardo.Così feci anch'io, ma quando lo risollevai quei severi occhi scuri eranoancora fissi nei miei. Il cuore mi balzò in gola. Avevo cercato di tenere i

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miei dubbi e la mia stanchezza per me: di certo non ne avevo fatto parolacon anima viva.

«Mio signore, le mie idee contro il papato non sono mutate.»Pronunciando quelle parole, non potei fare a meno di pensare a tutti quelliche prima di me dovevano avergli dato quella stessa risposta, interrogatisulla propria lealtà. La paura mi trafisse come una lama di pugnale, e tentaidi riprendere il controllo respirando profondamente, nella speranza che luinon se ne accorgesse. Dopo un istante, il vicario abbozzò un assenso.

«Ho un compito da affidarti, una mansione degna del tuo talento. Potrebbeandarne del futuro della Riforma.»

Si protese in avanti e prese un'urnetta, alzandola alla luce. Al suo interno,al centro di una colonnina d'argento riccamente decorata, era poggiata unafiala di vetro contenente della polvere rossa.

«Questo», disse piano, «è il sangue di san Pantaleone, scuoiato vivo dagliinfedeli. Arriva da Devon. Si dice che nel giorno di San Pantaleone il sanguesi liquefacesse. A centinaia accorrevano ogni anno per assistere al miracolo,strisciando sulle ginocchia e pagando per il privilegio. Ma osserva.»Capovolse l'urna. «Vedi quel forellino sul fondo? C'era un altro buco nelmuro, in corrispondenza di questo, attraverso cui un monaco con una pipettafaceva scivolare delle gocce d'acqua colorata all'interno della fiala. E,prodigio, il sangue santo - o meglio sarebbe dire la polvere colorata - siliquefaceva.»

Mi protesi in avanti, cercando il buco con un dito. «Mi è giunta voce disimili inganni.»

«Questo è il monachesimo. Inganno, idolatria, avidità e segreta lealtà alvescovo di Roma.» Capovolse nuovamente fra le mani la reliquia, facendonestaccare alcuni piccoli fiocchi rossi. «I monasteri sono un cancro nel cuoredel reame, e il mio compito è quello di estirparlo.»

«Un primo passo è già stato compiuto. Le case minori sono già state chiuse.»

«Abbiamo appena scalfito la superficie. Ma quei conventi hanno fruttatoabbastanza denaro per destare l'appetito del sovrano, invogliandolo arivolgere l'attenzione alle maggiori, dov'è la vera ricchezza. Ce ne sonoseicento, che detengono un sesto della ricchezza del paese.»

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«Ammontano davvero a tanto?»

Annuì. «Oh, sì. Ma dopo la rivolta dello scorso inverno, quando ventimilaribelli si sono riuniti per reclamare la restituzione dei loro conventi, devoprocedere con estrema cautela. Il re non accetterà più rese forzate, e haragione. Ciò di cui ho bisogno, Matthew, sono rese volontarie.»

«Ma di certo loro non…»

Sorrise beffardo. «Esiste più di un modo per uccidere un maiale. Oraascolta attentamente, questa informazione è segreta.» Si protese in avanti,parlando a voce bassa, ma con grande determinazione.

«Quando due anni fa ho condotto un'inchiesta sui monasteri, ho fatto inmodo che qualsiasi informazione che poteva danneggiarli fosseaccuratamente registrata.» Accennò ai cassetti allineati lungo le pareti. «Ètutto lì: sodomia, fornicazione, sermoni sediziosi, beni svenduti in segreto.Ho anche svariati informatori all'interno di ciascuna casa religiosa.» Sorrisesinistro. «Avrei potuto far giustiziare una decina di abati a Tyburn, ma hoatteso un'occasione più propizia, ho mantenuto alta la pressione, hopromulgato nuove, severe ingiunzioni. Insomma, ho fatto sì che il mio nomedivenisse per loro sinonimo di terrore.» Sorrise ancora, poi d'improvvisolanciò la reliquia in aria, la riafferrò e la posò nuovamente fra le carte.

«Ho persuaso il sovrano a darmi l'autorizzazione di scegliere una decina dicase sulle quali esercitare una certa pressione. Nelle due ultime settimane hoinviato degli uomini fidati per offrire agli abati la possibilità di una resavolontaria, con pensioni per tutti i monaci e laute ricompense per gli abatistessi, pena un mandato d'accusa. Lewes, per i suoi sermoni sediziosi;Titchfield, il cui priore ha svelato informazioni di prima scelta sui propriconfratelli; Peterborough. Quando sarò riuscito a persuadere alcuni di questia una resa volontaria, gli altri comprenderanno che il gioco è finito, e nonopporranno resistenza. Ho seguito i negoziati con molta attenzione e ognicosa stava andando per il verso giusto. Fino a ieri.» Prese una lettera dallascrivania. «Hai mai sentito parlare del monastero di Scarnsea?»

«No, mio signore.»

«Non ce ne sarebbe motivo, infatti. È una casa benedettina in un fangosoporto sul Canale, sul confine fra Kent e Sussex. Un luogo di depravazione ilcui abate, a detta del giudice di pace, uomo fidato, sta svendendo i terreni

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per pochi soldi. La settimana scorsa ho inviato laggiù Robin Singleton pervedere di smuovere un po' le acque.»

«Lo conosco», dissi. «Ci siamo confrontati in tribunale. È un uomo digrande vigore.» Esitai. «Anche se forse non il migliore degli avvocati.»

«No, infatti, ma era il suo vigore che io desideravo. Le prove concreteerano alquanto scarse, e volevo vedere che cosa sarebbe riuscito a estorcereloro. Era accompagnato e assistito da un avvocato di diritto canonico, unvecchio riformatore di Cambridge di nome Lawrence Goodhaps.» Frugò frale sue carte e mi porse una lettera. «Questa è arrivata da Goodhaps ierimattina.»

La lettera era scarabocchiata con mano tremante su di un pezzo di cartastrappato da un libro mastro.

Mio signore,

Scrivo con premura e invio questa mia tramite un ragazzo del villaggiopoiché non oso fidarmi di nessuno in questo luogo. Mastro Singleton è statobarbaramente ucciso nel cuore del monastero, in modo assai cruento. Il suocadavere decapitato è stato rinvenuto questa mattina nelle cucine, steso inun lago di sangue. Il brutale omicidio dev'essere avvenuto per mano di ungrande nemico di Vostra Signoria, ma qui tutti lo negano. La chiesa è stataprofanata e la preziosissima reliquia del buon ladrone con i chiodiinsanguinati è svanita nel nulla. Ho riferito l'accaduto al giudice di pace,mastro Copynger, e insieme abbiamo implorato l'abate di mantenere ilsilenzio sulla sciagura. Temiamo ripercussioni, se la notizia dovesse uscireda queste mura.

Vi supplico di aiutarmi, mio signore, e dirmi come devo comportarmi.

Lawrence Goodhaps

«Un commissario assassinato?»

«Così pare. Il vecchio sembra in preda al terrore.»

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«Ma se la colpa ricadesse su uno dei monaci, la rovina del monasterosarebbe assicurata.»

Cromwell annuì. «Lo so. Di certo si tratta di un folle, un pazzo chiuso fraquelle mura, il cui odio nei nostri confronti supera la paura che dovrebbeavere di noi. Ma comprendi che cosa significa tutto questo? Ho bisognodella resa di questi monasteri per creare un precedente. La legge e gli usiinglesi si basano su questo principio.»

«E questo è un precedente di natura diversa.»

«Esatto. Un colpo mortale per l'autorità del sovrano. Il vecchio Goodhapsha fatto bene a tenere tutto sotto silenzio. Se la faccenda dovesse diventaredi pubblico dominio, chissà quali fantasie potrebbe destare nella mente deipazzi e dei fanatici di tutte le case religiose nel paese.»

«Il sovrano ne è a conoscenza?»

Lui mi trafisse nuovamente con lo sguardo. «Se glielo riferissi, sarebbeuna catastrofe. Con tutta probabilità deciderebbe d'inviare l'esercito perimpiccare l'abate al campanile della sua chiesa. E sarebbe la fine delle miestrategie. Ho bisogno che la faccenda sia risolta in modo rapido e discreto.»

Compresi dove voleva arrivare. Mi spostai sulla sedia per alleviare ildolore alla schiena.

«Voglio che tu ti rechi laggiù, Matthew, immediatamente. Andrai nellaveste di commissario, con i pieni poteri conferiti dalla mia autorità di vicariogenerale. Potere di impartire ordini e di ottenere accesso illimitato.»

«Non sarebbe meglio affidare questo compito a un commissario dimaggior esperienza, mio signore? Io non ho mai avuto rapporti ufficiali coni monaci.»

«Sei stato educato in una casa religiosa. Conosci le loro abitudini. I miei commissari sono uomini formidabili, ma non brillano certo per tatto, e questa faccenda deve essere trattata con estrema delicatezza. Il giudice Copynger è un uomo fidato. Non l'ho mai incontrato di persona ma abbiamo avuto una fitta corrispondenza. È un riformatore convinto. Nessuno dovrà sapere nulla di questa faccenda. Fortunatamente Singleton non aveva famiglia, quindi non dovremo preoccuparci di parenti seccatori.»

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Feci un respiro profondo. «Che cosa sappiamo di questo monastero?» Aprì un grosso volume. Riconobbi una copia del Comperta, il rapporto delle visite condotte nei monasteri due anni prima, delle cui parti più salaci era stata fatta lettura in Parlamento.

«Si tratta di un'ampia istituzione normanna, ben provvista di terre e bellecostruzioni. Ospita soltanto trenta monaci e almeno una sessantina diservitori che se la cavano egregiamente, da buoni benedettini quali sono. Aquanto pare la chiesa ostenta ricchezze scandalose, ed è ricolma di effigisacre, inoltre pare custodisse, almeno fino a poco tempo fa, quella che siritiene essere la reliquia del buon ladrone crocifisso con Nostro Signore. Unamano inchiodata a un pezzo di legno, parte stessa della sua croce. Sembrache giungano fedeli da ogni dove per vederla; pare abbia il potere di guariregli storpi.» Lanciò uno sguardo involontario alla mia schiena ricurva, comesempre accade quando si parla di simili infermità.

«Presumibilmente si tratta della reliquia menzionata da Goodhaps.»

«Già. Mi è stato riferito che Scarnsea è un covo di sodomiti, cosafrequente in quei sudici letamai. Il precedente priore, il principale accusato,è stato rimosso dal suo incarico. Il fatto che, secondo il nuovo atto, lasodomia sia punibile con la morte gioca a nostro favore. Volevo cheSingleton indagasse in quel senso e investigasse sulle vendite dei terreni dicui Copynger mi aveva scritto.»

Riflettei un istante. «La questione è davvero complessa.»

Lord Cromwell annuì. «Infatti. Per questa ragione ho bisogno di un uomoacuto. Ti ho fatto inviare il mandato a casa, con le parti salienti dellaComperta. Voglio che tu parta domattina presto. La lettera è di tre giorni fa,e potresti mettercene altrettanti per giungere a destinazione. Il Weald sarà unpantano in questo periodo dell'anno.»

«Finora l'autunno è stato secco. Potrei farcela in due.»

«Eccellente. Non portare servitori; non farne parola con nessuno aeccezione di Mark Poer. Vive ancora nella tua casa?»

«Sì. Ha seguito i miei affari durante la mia assenza.»

«Voglio che ti accompagni. Mi hanno riferito che è un giovane diintelletto vivace, e potrebbe farti comodo avere un paio di braccia robuste al

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tuo fianco.»

«Ma, mio signore, potrebbe essere pericoloso. E, per essere franco, Mark non brilla certo per zelo religioso, non capirà quanto c'è in gioco.»

«Non ce n'è alcun bisogno, a patto che si dimostri leale e ubbidisca ai tuoiordini. E poi, sarebbe l'occasione adatta, per mastro Poer, di riscattarsi dopoquello scandalo.»

«Mark si è comportato da sciocco. Avrebbe dovuto capire che uno del suo rango non poteva compromettere la figlia di un cavaliere.» Sospirai.

«Ma è tanto giovane.»

Lord Cromwell brontolò. «Se al sovrano fosse giunta voce di quel cheaveva fatto, lo avrebbe fatto frustare. E poi ha mostrato poca gratitudineanche nei tuoi confronti, dopo che gli hai trovato un lavoro.»

«Si trattava di un debito di famiglia che tenevo molto a saldare, miosignore.»

«Se si comporterà bene nel corso di questa missione, potrei chiedere aRich di restituirgli il suo posto, quello che gli ho trovato dietro tuarichiesta», aggiunse pungente.

«Grazie, mio signore.»

«Ora devo recarmi a Hampton Court; devo persuadere il sovrano ainteressarsi a certe faccende. Matthew, bada a non far trapelare neppure unaparola, e intercetta tutte le lettere in uscita dal monastero.»

Si alzò, girò attorno alla scrivania e, mentre mi alzavo, mi cinse le spallecon un braccio. Un chiaro segno di favore.

«Smaschera il colpevole al più presto, ma con discrezione.» Sorrise, poiprese una scatoletta d'oro e me la porse. Al suo interno, c'era un'altra piccolafiala di forma cilindrica, contenente poche gocce di un denso liquido chiaro.«Di che cosa credi si tratti? Riesci a capire come ci siano riusciti? Per meresta un mistero.»

«Che cos'è?»

«È stato custodito nel convento di Bilston per centinaia di anni. Si dice sia

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il latte delle Vergine Maria.»

Feci un'esclamazione disgustata. Cromwell rise.

«Ciò che più mi stupisce è come abbiano potuto immaginare che qualcunopotesse ottenere del latte dalla Vergine Maria. Comunque dev'essere statosostituito di recente per essere ancora così liquido. Pensavo di trovare unforo come nell'altra reliquia, ma sembra effettivamente sigillato al suointerno. Che cosa ne pensi? Tieni, usa questa.» Mi porse una lented'ingrandimento da gioielliere e io esaminai la scatola, alla minuziosa ricercad'un forellino, ma non trovai nulla. Provai a premere nel tentativo di farscattare un meccanismo segreto, poi scossi la testa.

«Non riesco a capire. Sembra completamente sigillato.»

«Peccato. Volevo mostrarlo al re, lo avrebbe divertito.» Mi accompagnòalla porta e la aprì abbracciandomi ancora, in modo che gli altri funzionaricapissero che ero un favorito. Uscendo dal suo gabinetto, tuttavia, lo sguardomi cadde nuovamente sui due teschi sogghignanti, mentre la luce dellecandele proiettava macabre ombre sulle antiche orbite. Essendo ancorastretto nell'abbraccio del mio padrone, dovetti soffocare un brivido lungo laschiena.

Capitolo due

Ringraziando il cielo, quando lasciai Westminster la pioggia era cessata.Cavalcai lentamente verso casa, nel tramonto. Le parole di Lord Cromwellmi avevano atterrito. Compresi che mi ero abituato ai suoi favori, e ilpensiero di poter perdere il suo appoggio mi aveva fatto gelare il sanguenelle vene; ma più di quello avevo temuto le sue domande sulla mia lealtà.D'ora innanzi avrei dovuto prestare più attenzione a quanto andavo dicendoin tribunale.

All'inizio di quell'anno avevo acquistato una nuova dimora in ChanceryLane, l'ampio viale che portava il nome della corte reale, nonché del miocavallo. Una bella costruzione in pietra con vetrate alle finestre, costataun'ingente somma. Joan Wood, la mia governante, venne ad accogliermi

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all'ingresso. Vedova dai modi gentili e sempre affaccendata, quella donnaera con me ormai da qualche anno e come sempre mi diede un calorosobenvenuto. Le piaceva trattarmi come un figlio, cosa che a me nondispiaceva affatto, sebbene talvolta questo suo atteggiamento la portasse adimenticare la sua posizione.

Ero affamato, e anche se era ancora presto, prima di recarmi in salotto lechiesi di preparare la cena. Andavo molto fiero di quella stanza, e ne avevofatto dipingere i pannelli in legno che rivestivano le pareti con una classicascena boscosa che mi era costata una discreta somma di denaro. Il fuococrepitava nel camino, e lì accanto, su uno sgabello, sedeva Mark. Eradavvero una visione bizzarra. Si era tolto la camicia e, con il latteo pettomuscoloso nudo, era intento a cucire dei bottoni di agata goffrati con unelaborato disegno. Una decina di aghi, da ciascuno dei quali pendeva un filobianco, erano appuntati sulla sua brachetta, vistosa com'era di moda in queigiorni. Dovetti soffocare una risata.

Il giovane mi salutò con il consueto largo sorriso, mostrando i denti sanianche se forse un po' troppo larghi per la sua bocca.

«Signore. Ho saputo del vostro arrivo. Un messaggero di Lord Cromwellha portato un pacco e mi ha avvertito del vostro ritorno. Perdonatemi se nonmi alzo, ma non vorrei far cadere tutto.» Sorrideva ancora, ma era ancheguardingo; il mio incontro con Lord Cromwell significava, con tuttaprobabilità, che il suo sventurato incidente era stato menzionato.

Bofonchiai qualcosa in risposta. Notai che si era tagliato i capelli bruni; reEnrico VIII, che si era accorciato la chioma per camuffare l'incipientecalvizie, aveva imposto la stessa acconciatura alla corte intera, creando unanuova moda. La nuova pettinatura donava a Mark, ma io avevo deciso dinon seguire i nuovi dettami poiché trovavo che i capelli lunghi stesseromeglio con i miei lineamenti spigolosi.

«Non può pensarci Joan?»

«Aveva da fare per il vostro rientro.»

Presi un volume dal tavolo. «Vedo che hai letto il mio Machiavelli.»

«Mi avevate detto che potevo, per svagarmi.»

Mi lasciai cadere sulla poltrona con un sospiro. «E ti è piaciuto?»

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«Non troppo. Consiglia al suo principe di praticare crudeltà e inganni.»

«Crede che queste cose siano necessarie per governare bene, e che gliinviti alla virtù degli autori classici ignorino le realtà della vita. Sostiene cheil governante che vuole agire con onore ma è circondato da uomini privi discrupoli assisterà ben presto alla propria caduta.» Spezzò un filo con i denti.«Sono parole ciniche.»

«Machiavelli era un uomo cinico. Scrisse quest'opera dopo essere statotorturato dal principe Medici, cui il libro è destinato. Ma farai bene a nondire in giro che lo hai letto, se aspiri a rientrare a Westminster. Non è unalettura apprezzata in quei luoghi.»

Alzò lo sguardo, cogliendo la mia allusione. «Significa che posso tornare?Lord Cromwell ha…»

«Forse. Ne parleremo più approfonditamente a cena. Ora sono stanco edesidero riposarmi un poco.» Mi sollevai dalla poltrona e uscii. Non gliavrebbe fatto male cuocere un po' nel suo brodo.

Joan si era data un gran daffare; nella mia stanza scoppiettava un bel fuocoe il letto di piume era stato appena rifatto. Una candela brillava sullascrivania sopra il bene più prezioso che possedevo al mondo, una copia dellaBibbia in inglese, di nuova pubblicazione. Mi piaceva vederla lì, illuminata,il perno della stanza, in tutta evidenza. La aprii e feci correre le dita suicaratteri gotici, la cui superficie patinata scintillava alla luce della candela.

Poggiato lì accanto c'era un grosso incartamento. Aprii il sigillo con lostiletto, spezzando la dura cera purpurea in frammenti che caddero a terra.Al suo interno trovai una lettera scritta dalla vigorosa mano di Cromwell, unvolume rilegato del Comperta e i documenti relativi alla visita di Scarnsea.

Rimasi assorto qualche istante, lo sguardo perso oltre la finestra dai vetridiamantini, verso il giardino recintato, così sereno nell'oscurità. Desideravotanto stare qui, nel tepore della mia accogliente dimora, ora che l'inverno siaffacciava alla porta. Sospirai e mi stesi sul letto per un breve riposo, mentrei muscoli spossati della mia schiena si contraevano rilassandosi a poco apoco. L'indomani mattina mi attendeva un'altra lunga cavalcata, un'impresache, con il passare degli anni, si faceva sempre più dura e dolorosa.

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La mia infermità aveva iniziato a manifestarsi quando avevo tre anni,allorché cominciai a curvarmi in avanti e verso destra, e nessun apparecchioortopedico fu in grado di correggere la mia incipiente deformità. All'età dicinque anni ero ormai gobbo, condizione che non mi ha più abbandonato.Ho sempre nutrito una grande gelosia nei confronti dei bambini chevivevano nella nostra fattoria, invidiando la loro libertà di correre e giocare,mentre io non potevo far altro che zoppicare come un gambero ed essere perquesto oggetto del loro scherno. Ero addirittura giunto a inveire contro Dioper tanta ingiustizia.

Mio padre coltivava un ampio appezzamento di terreno, buon pascolo perle pecore, vicino a Lichfield. Fu per lui un grande dolore che io non potessilavorare la terra perché ero l'unico figlio che gli era rimasto. E ne soffrivomolto anch'io perché mai una volta mi rinfacciò la mia condizione: silimitava a dire con molta semplicità che un giorno, quando fosse diventatotroppo vecchio per stare nei campi, avrebbe assunto un fattore che avrebbepotuto occuparsi della tenuta in vece mia dopo la sua morte.

Avevo sedici anni quando il fattore arrivò. Ricordo di aver dovutosoffocare un'ondata di risentimento quando William Poer giunse a casanostra un giorno d'estate. Era un uomo di grossa corporatura con i capelliscuri, un viso rubicondo e aperto e mani forti che serrarono le mie in unastretta callosa. Mi fu presentata sua moglie, una pallida e graziosa creatura, eMark, all'epoca un bambinetto robusto dai capelli arruffati sempre attaccatoalle gonne di sua madre e con un pollice sudicio in bocca.

Allora era già stato deciso che io sarei andato a Londra per studiare allafacoltà di Legge degli Inns of Court. Indirizzare un giovane con un briciolodi cervello verso gli studi legali era l'unica scelta saggia da fare per un padreche desiderasse rendere finanziariamente indipendente suo figlio. Il miocredeva che in questo modo non solo avrei potuto intraprendere un'attivitàredditizia, ma avrei anche avuto le conoscenze necessarie per sovrintenderel'operato del nostro fattore. Era convinto che con il tempo avrei fatto ritornoa Lichfield, ma non fu così.

Giunsi a Londra nel 1518, l'anno successivo all'affissione, sulla porta delduomo di Wittenberg, della sfida luterana all'autorità papale. Ricordo quantofu difficile per me da principio abituarmi al rumore, alla folla - e al perennepuzzo - della capitale. Ma all'università e nell'alloggio dove mi ero sistemato

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non tardai a trovare dei buoni amici. Quelli erano già giorni di durapolemica, giorni in cui gli avvocati protestavano contro il dilagante uso deitribunali ecclesiastici. Io mi schierai con chi credeva che i regi tribunalifossero stati derubati delle proprie funzioni: che cosa mai aveva a che farel'arcidiacono con le umane calunnie o le liti sull'interpretazione di uncontratto? Non si trattava solo di un cinico senso degli affari: la Chiesa si eratrasformata in un enorme polpo che arrivava a intaccare con i propritentacoli ogni aspetto della vita sociale, al solo proposito di ricavarne unprofitto, distorcendo il significato delle Scritture.

Lessi Erasmo, e cominciai a considerare i primi segni di schiavitù allaChiesa della mia giovinezza sotto una nuova luce. Avevo già delle buoneragioni per provare rancore nei confronti dei monaci, e ora mi rendevo contodella loro effettiva validità.

Completai gli studi e cominciai a stabilire i primi contatti, procacciandomidel lavoro. Scoprii di avere un dono innato per i dibattimenti forensi, donoche mi rese assai utile ai giudici più onesti. E verso la fine degli anni Venti,proprio quando le tensioni del re con il papa riguardo l'annullamento dellenozze con Caterina d'Aragona cominciavano a diventare di pubblicodominio, fui presentato a Thomas Cromwell, un collega avvocato che sistava facendo un nome al servizio del cardinale Wolsey.

Lo conobbi grazie a una società letteraria di riformatori che usava riunirsiin una locanda di Londra, in segreto, poiché molti dei libri che leggevamoerano proibiti. Cromwell cominciò a passarmi un po' di lavoro deidipartimenti dello Stato. E così la mia strada fu segnata, al fianco di unuomo che, scalzato Wolsey, cominciò la sua scalata, diventando segretariodel re, commissario generale e infine vicario generale, sempre celando alsovrano la vera portata del suo radicalismo religioso.

Cominciò a richiedere la mia assistenza legale a favore di quelli chegodevano del suo patronato - il suo intento era quello di creare un'immensarete - e io divenni stabilmente uno dei suoi uomini di fiducia. Così, quandoquattro anni fa mio padre mi scrisse domandandomi se avessi potuto trovareun posto al figlio di William Poer in uno dei dipartimenti di Stato in fase disviluppo controllati dal mio padrone, fui in grado di accontentarlo.

Mark decise di raggiungermi nell'aprile del 1533 per assistereall'incoronazione della regina Anna Bolena. Rimase molto colpito dallafastosa celebrazione organizzata per la donna che più tardi avremmo

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imparato a considerare una strega e una fornicatrice. A quell'epoca Markaveva sedici anni, l'età che avevo io quando mi ero trasferito a Londra; nonera alto ma di robusta costituzione, con grandi occhi azzurri e un vellutatoviso angelico che mi ricordava quello di sua madre e da cui trapelavaun'acuta intelligenza.

Confesso che quando giunse a casa nostra pensai di allontanarlo il piùpresto possibile. Non avevo alcun desiderio di agire in loco parentis per unragazzo che, ne ero certo, ben presto avrebbe cominciato a sbattere le porte emettere in disordine i miei incartamenti, e il cui viso e l'aspetto risvegliavanoin me tutti i rimpianti che associavo alla mia famiglia. Immaginavo miopadre sognare che Mark potesse essere il figlio che io non ero stato.

Ma con il tempo il mio desiderio di sbarazzarmi di lui si placò. Mark nonera il ragazzotto di campagna che mi aspettavo; al contrario, aveva uncontegno tranquillo e rispettoso, e qualche rudimento di buone maniere.Quando faceva qualche errore d'abbigliamento o d'etichetta, come in effettiaccadde all'inizio, mostrava di possedere una grande autoironia. Sul lavoroimpiegatizio che gli avevo trovato, prima presso la Cancelleria delloScacchiere e poi alle Aumentazioni, veniva considerato un giovanescrupoloso. Godeva della massima libertà, e se talvolta si recava in unataverna o in un bordello in compagnia dei colleghi di lavoro, non tornavamai a casa schiamazzando per l'ubriachezza.

Mio malgrado mi affezionai a lui, e presi a servirmi della sua agile mentecome di una cassa di risonanza per sciogliere i nodi più intricati di casi oleggi di cui mi capitava d'occuparmi. L'unica sua pecca, forse, era lapigrizia, ma poche parole pungenti bastavano, di solito, a farlo reagire. Ilrancore che provavo pensando al fatto che mio padre l'avrebbe desideratocome figlio si trasformò ben presto nel desiderio che potesse essere il mio.Non avevo più la certezza che un giorno sarei potuto diventare padre, poichéla mia povera Kate era morta di peste durante l'epidemia del 1534. In segnodi lutto, portavo ancora un anello a forma di teschio, anche se in realtà nonce n'era motivo perché se fosse sopravvissuta avrebbe sposato un altro.

Un'ora dopo Joan annunciò che la cena era servita. La tavola eraimbandita con un bel cappone con contorno di rape e carote. Mark sedevasilenzioso al suo posto, con indosso di nuovo la camicia e un giustacuoremarrone di lana pregiata. Notai che anche il farsetto era adornato da bottonidi agata. Resi grazie per il cibo e presi una coscia.

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«Ebbene», cominciai, «sembra che Lord Cromwell sia disposto a fartirientrare alle Aumentazioni. Ma prima desidera che tu mi assista in unincarico che mi ha appena affidato, dopodiché si vedrà.»

Sei mesi prima Mark aveva amoreggiato con una delle dame di corte dellaregina Jane. La ragazza aveva soltanto sedici anni ed era troppo giovane einsulsa per la posizione che ricopriva, ma era sospinta dall'ambizione dellapropria famiglia. Un'ambizione malriposta, poiché lei prese l'abitudine divagabondare per Whitehall e Westminster, finché un giorno si ritrovò nellaWestminster Hall, fra impiegati e uomini di legge. Fu proprio lì che lapiccola impudica conobbe Mark, e finì con l'offrirgli le proprie grazie in unufficio vuoto. In seguito si pentì e si confidò con le altre dame di corte,attraverso le cui bocche, a tempo debito, la storia giunse all'orecchio delciambellano. La ragazza fu rispedita a casa, e Mark, attonito e spaventato,finì dalla padella alla brace, interrogato dagli alti funzionari della casa reale.Sebbene fossi arrabbiato con lui, non potevo fare a meno di sentirecomprensione per la sua paura e la sua giovinezza. Supplicai l'intervento diLord Cromwell, sapendo che, almeno per quel genere di misfatti, aveva disolito un atteggiamento piuttosto indulgente.

«Vi ringrazio, signore», disse Mark. «Sono davvero mortificato per quantoè accaduto.»

«Devi ritenerti fortunato. La gente del nostro rango non riceve spesso unaseconda possibilità. Non dopo una simile leggerezza.»

«Lo so. Ma quella giovane è stata… sfrontata, signore.» Abbozzò unsorriso. «In fin dei conti, io sono fatto di carne.»

«Era solo una sciocca. Avresti potuto ingravidarla.»

«In quel caso l'avrei sposata, se la mia condizione me lo avesse permesso.Sono un uomo d'onore, io.»

Morsi un boccone di carne e gli feci cenno con il coltello. Era unacontroversia di vecchia data, la nostra. «Lo so, ciò non toglie che tu sia unostupido senza cervello. La differenza di ceto è tutto. Sono ormai quattro anniche lavori alle Aumentazioni, Mark. Sai come funzionano certe cose.

Non siamo nobili, e dobbiamo rimanere al nostro posto. Persone di bassa condizione sociale come Cromwell e Rich sono riuscite a raggiungere le prestigiose posizioni che ricoprono al servizio di Sua Mesta solo grazie alla

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sua benevolenza. Potrebbe destituirli in qualsiasi momento. Se il ciambellano avesse riferito della tua scempiaggine al sovrano invece che a Lord Cromwell, saresti potuto finire nella Torre, dopo aver ricevuto una frustata che non avresti dimenticato tanto facilmente. L'ho temuto, sai.» In effetti, quella faccenda mi aveva fatto perdere il sonno per parecchie notti, sebbene non gliene avessi mai fatto parola.

Era avvilito. Mi sciacquai le mani nella ciotola lavadita.

«In ogni modo, questa volta potresti averla scampata», dissi con voce piùgentile. «Che cosa mi dici del lavoro? Hai preparato gli atti per la cessionedi Fetter Lane?»

«Sì, signore.»

«Darò loro un'occhiata dopo cena. Ho anche altri documenti daesaminare.» Lo guardai serio. «Domattina partiremo per la costameridionale.»

Gli spiegai la missione che ci attendeva, senza accennare alle sueimplicazioni politiche. Mark fece tanto d'occhi quando gli raccontaidell'assassinio; già la spensierata eccitazione tipica della gioventù tornava adarrossargli le guance.

«Potrebbe essere pericoloso», lo misi in guardia. «Non abbiamo idea di che cosa stia accadendo laggiù; dovremo essere pronti a tutto.»

«Sembrate preoccupato, signore.»

«È una grossa responsabilità. E, francamente, preferirei rimanermene acasa, piuttosto che partire alla volta del Sussex. Oltre il Weald non c'è chedesolazione.» Sospirai. «Ma come Isaia, dobbiamo andare laggiù ecombattere per Sion.»

«Se porterete a termine la missione con successo, Lord Cromwell viricompenserà lautamente.»

«Già. E resterò nei suoi favori.»

A quelle parole Mark alzò lo sguardo, sorpreso, e io decisi che sarebbestato meglio cambiare discorso. «Non sei mai stato in un monastero, vero?»

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«No.»

«Non hai avuto il dubbio privilegio di studiare in un'istituzione religiosa,tu. La conoscenza del latino che avevano quei monaci quasi non bastava loroa seguire gli antichi tomi dai quali insegnavano. Per mia fortuna sono natocon un briciolo d'intelletto, altrimenti sarei rimasto un analfabeta comeJoan.»

«I monasteri sono davvero corrotti come si dice?» mi chiese Mark.

«Hai letto del Libro Nero che è stato diffuso, contenente gli estratti dellevisite ufficiali.»

«Come quasi tutta Londra.»

«Già, la gente adora sentire storielle sconce sui monaci.» M'interruppiperché Joan fece il suo ingresso con una coppa di crema.

«Però è vero, sono corrotti», continuai quando se ne fu andata. «La regoladei benedettini, che ho letto, impone una vita di devozione, preghiera elavoro, separata dal mondo, con quanto basta appena alla sopravvivenza.

Eppure, molti di questi monaci vivono in dimore sfarzose, serviti e riveritigrazie ai lauti proventi che gli vengono dalle loro terre, e si dedicano a ognigenere di vizio.»

«Si dice che i monaci certosini conducessero una vita austera e cheintonarono inni gioiosi quando furono presi e portati a Tyburn per esseregiustiziati.»

«Oh, qualche ordine che vive in modo retto esiste ancora. Ma nondimenticare che i certosini sono morti perché si sono rifiutati di riconoscerel'autorità del sovrano sulla Chiesa. Loro auspicano il ritorno del papa. E orasembra che uno di loro si sia dato persino all'omicidio.» Sospirai. «Mi spiaceche tu debba essere coinvolto in questa faccenda.»

«Gli uomini d'onore non devono temere il pericolo.»

«Si dovrebbe sempre temere il pericolo, Mark. Prendi ancora lezione discherma?»

«Sì. Mastro Green dice che sto facendo grandi progressi.»

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«Bene. Le vie più isolate brulicano di mendicanti pericolosi.»

Rimase in silenzio per un istante, guardandomi meditabondo. «Signore,sono grato di poter riavere il mio posto alle Aumentazioni, ma vorrei tantoche quel luogo non fosse una simile fogna. Metà delle terre andranno aRichard Rich e ai suoi.»

«Esageri. Si tratta di una nuova istituzione, ed è prevedibile che i potentiricompensino chi ha dimostrato loro la propria lealtà. Queste sono le giusteregole dell'autorità. Mark, tu sogni mondi ideali. E dovresti badare a comeparli. Hai letto di nuovo l'Utopia di Tommaso Moro? Cromwell oggi me l'hacitata.»

«L'Utopia dà speranza alla condizione umana. Quel vostro italiano,invece, spinge la gente alla disperazione.»

Indicai il suo farsetto. «Be', se vuoi essere come gli utopisti, dovrestitoglierti quegli abiti raffinati e indossare una semplice camicia di tela disacco. In ogni modo, che cosa è rappresentato su quei bottoni?»

Se lo sfilò e me lo porse. Ogni bottone portava la minuscola incisione diun uomo con una spada, il braccio attorno alla sua dama e un cervo al lorofianco. Di raffinata fattura.

«Li ho comprati per pochi spiccioli al mercato di St Martin. L'agata èfalsa.»

«Ah, capisco. Ma che cosa significa? Oh, lo so, fedeltà, a causa delcervo.» Gli restituii la giacca. «La moda di tutti questi simboli sui quali devilambiccarti il cervello davvero mi sfinisce. Il mondo non offre forseabbastanza misteri?»

«Ma voi dipingete, signore.»

«Quando mi capita d'avere un po' di tempo. Però, con la mia povera arte,cerco di rappresentare la realtà in modo semplice e diretto, come mastroHolbein. L'arte dovrebbe risolvere i misteri della nostra esistenza, nonrenderli ancora più fitti.»

«Ma non nutrivate in cuor vostro simili pensieri, quando eravate piùgiovane?»

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«Allora non era di moda. O forse è capitato in un paio di occasioni.» Mivenne alla mente un passo della Bibbia. Lo citai con un pizzico di tristezza:«'Quand'ero fanciullo, pensavo da fanciullo: ma quando sono divenuto uomoho accantonato le cose infantili.' Be', è ora che vada, ho molto lavoro dasbrigare». Mi alzai rigidamente e Mark mi venne incontro per aiutarmi.

«Ce la faccio da solo», dissi irritato, sobbalzando per un doloroso spasmoalla schiena. «Svegliami alle prime luci dell'alba. Di' a Joan di farci trovarepronta una bella colazione.»

Presi una candela e mi diressi verso le scale. Disegni più misteriosi di quelli rappresentati sui bottoni di Mark mi attendevano, e avrei avuto bisogno di tutto l'aiuto che l'onesto studio della parola inglese avrebbe potuto offrirmi.

Capitolo tre

Il giorno successivo partimmo alle prime luci dell'alba. Era il 2 novembre,il Giorno dei Morti. Dopo una serata di lettura, avevo ben riposato e il mioumore s'era fatto più leggero, tanto che cominciai a sentirmi pervaso da unvago senso d'eccitazione. In gioventù avevo studiato dai monaci, ma con iltempo ero diventato nemico di tutto ciò in cui credevano. Ora mi trovavonella posizione di poter scavare nel cuore dei loro misteri e della lorocorruzione.

Mark era ancora mezzo addormentato e dovetti spronarlo per fargli finirein fretta la colazione, poi uscimmo all'aria aperta. Durante la notte il tempoera mutato: ora da oriente soffiava un pungente vento secco che congelava isolchi fangosi delle strade. Ci disponemmo alla partenza con le lacrime agliocchi, tanto era freddo, avvolti nelle nostre pellicce più calde, con spessiguanti e i cappucci dei nostri mantelli stretti attorno al viso. Alla culturaportavo il pugnale che normalmente indossavo come ornamento, ma chequella mattina avevo affilato sulla pietra ad acqua della cucina. Mark avevala spada, una lama di due piedi d'acciaio londinese affilata come un rasoio,comprata con i propri risparmi per le lezioni di scherma.

Il giovane mi aiutò a montare Chancery perché trovavo difficile salire acavallo da solo, poi salì in groppa a Redshanks, il suo robusto roano, e ci

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mettemmo in cammino, i destrieri carichi di pesanti panieri gonfi di abiti edocumenti. Mark aveva ancora l'aria insonnolita. Abbassò il cappuccio e sipassò una mano fra i capelli arruffati, rabbrividendo per il vento che liscompigliava.

«Per tutti i santi del paradiso, fa davvero un gran freddo.»

«Troppo tempo passato nel tepore di comodi uffici», dissi. «Devi farti unpo' di ossa.»

«Credete nevicherà, signore?»

«Spero di no. Resteremmo bloccati per giorni.»

Attraversammo fino al London Bridge una Londra che si era appenadestata. Guardando il fiume, oltre la massiccia struttura della Torre, vidi unacaracca ormeggiata presso la Isle of Dogs, con la massiccia prua e gli altialberi che si confondevano nel punto in cui le grigie acque del fiumeincontravano il plumbeo cielo. Indicai a Mark il grosso bastimento a vela.

«Mi domando da dove arrivi.»

«Oggigiorno è possibile raggiungere terre che i nostri padri potevano soloimmaginare.»

«E riportarne grandi meraviglie.» Pensai allo strano volatile del giornoprima. «Nuove meraviglie e forse nuovi inganni.» Attraversammo il ponte.All'estremità opposta, un teschio fracassato giaceva fra i piloni. Spolpatodagli uccelli, era caduto dalla picca alla quale era stato infilzato, e i suoi restisarebbero rimasti abbandonati al suolo fino a che dei collezionisti disouvenir o delle streghe in cerca d'ingredienti per i loro incantesimi non liavessero raccolti. Prima le due reliquie di santa Barbara nel gabinetto diCromwell, e ora questa reliquia della giustizia terrena. Pensai a un presagiodi sventura, ma subito mi rimproverai per tanta superstizione.

Percorremmo il primo tratto di strada a sud di Londra senza particolariproblemi, attraversando i campi che nutrivano la capitale, ora bruni e spogli.Il cielo si era fatto di un biancore latteo e immobile, e il tempo sembravareggere. A mezzogiorno ci fermammo a pranzare nei pressi di Eltham, epoco dopo giungemmo sulla sommità dei North Downs e osservammo,

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distesa ai nostri piedi, l'antica foresta del Weald, con le sue spoglie cimepunteggiate qua e là da occasionali chiazze di sempreverdi che si stagliavanosul brumoso orizzonte.

La strada si fece quindi più stretta, correndo tra scoscese fiancatetappezzate da foglie cadute e piccoli sentieri che portavano verso remotivillaggi. Incrociammo solo un carrettiere. Nel tardo pomeriggio giungemmoalla cittadina di Tonbridge, sede di mercato, che oltrepassammo per puntarea sud.

Tenevamo gli occhi bene aperti per timore dei borseggiatori, ma nonincontrammo altro che un branco di cervi in cerca di cibo: non appena cividero sbucare da dietro un gomito del sentiero, quelle pavide creaturescapparono su per la fiancata della montagna e scomparvero nella foresta.

Quando udimmo il rintocco della campana di una chiesa fra gli alberi, eragià sceso il tramonto. Svoltammo nuovamente e ci ritrovammo nell'unicastrada di un villaggio fatto di povere case a graticcio dai tetti di paglia madominato da una bella chiesa normanna, accanto alla quale sorgeva unalocanda. Le finestre della chiesa rilucevano di candele che diffondevano unintenso bagliore attraverso i vetri colorati. La campana continuava a battere isuoi rintocchi.

«Il servizio per la commemorazione dei defunti», osservò Mark.

«Già, l'intero villaggio sarà in chiesa a pregare per le anime dei proprimorti in purgatorio.»

Procedemmo lentamente lungo la via, tenuti d'occhio da sospettosibimbetti biondi che facevano capolino dagli usci delle case. Pochi gli adultiper strada. Dalle porte aperte della chiesa si levavano i canti dei fedeli.

In quei giorni la commemorazione dei defunti era uno degli eventireligiosi più importanti del calendario. In ogni chiesa i parrocchianis'incontravano per ascoltar messa e recitare preghiere per alleviare i dolori diparenti e amici in purgatorio. Simili cerimonie, tuttavia, erano già statespogliate dell'autorizzazione reale, e ben presto sarebbero state proibite.Alcuni pensavano fosse crudele privare il popolo del conforto religioso e deiricordi, ma è di gran lunga preferibile sapere che i propri cari sono, secondola volontà del Signore, all'inferno o in paradiso, piuttosto che crederliimprigionati per centinaia di anni in purgatorio, luogo d'infiniti dolori e

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tormenti.

Smontammo rigidamente da cavallo di fronte alla locanda, legando i nostridestrieri alla staccionata. L'ampia costruzione somigliava al resto delleabitazioni di quel villaggio: fango e graticcio, intonaco scrostato e un altotetto di paglia che scendeva fino alle finestre del primo piano.

All'interno un fuoco crepitava in un focolare circolare posto al centro dellastanza, secondo le antiche usanze, e il fumo che fuggiva attraverso il tondocamino sul tetto era pari a quello che rimaneva a infestare il locale.

Nella penombra, alcuni anziani barbuti ci scrutarono con occhio curioso,interrompendo il gioco dei dadi. Un uomo grasso in grembiule ci raggiunse,adocchiando con sguardo avido le nostre costose pellicce. Domandai unastanza e un pasto caldo, che ci vennero offerti per sei centesimi.Comprendendo a fatica il suo forte accento gutturale, riuscii a ottenere unpiccolo sconto. Dopo aver chiesto conferma della strada per Scarnsea eordinato una birra, presi posto vicino al fuoco, mentre Mark andò acontrollare le stalle per i cavalli.

Fui lieto di vederlo tornare, perché l'atteggiamento scostante e indiscretodi quei vecchi contadini mi aveva alquanto stufato. Li avevo salutati con uncenno del capo, ma in risposta questi avevano subito distolto lo sguardo.

«Gente davvero chiusa», sussurrò Mark.

«Non sono abituati a incontrare dei viaggiatori. E di certo credono che igobbi portino sfortuna. Del resto è un'opinione piuttosto diffusa. Nonimmagini quanta gente si faccia il segno della croce, vendendomi avvicinare,nonostante i miei vestiti costosi.»

Ordinammo la cena, un untuoso stufato di montone accompagnato da unabirra forte. L'animale che ci era stato servito, si lagnò Mark, doveva esseremorto da parecchio. Mentre mangiavamo giunse alla taverna un gruppo dilocali con gli abiti della domenica, appena usciti dalla chiesa. Si sedetteroinsieme, mormorando con voci cupe. Di tanto in tanto, lanciavano qualcheocchiata nella nostra direzione, unendosi ai numerosi sguardi indiscreti e aivolti ostili degli altri avventori.

Seduti in un angolo dall'altra parte del locale notai un gruppo di tre uominiche, come noi, parevano suscitare la diffidenza generale. Di aspettominaccioso, vestivano di stracci e avevano la barba incolta. Ci scrutarono

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anch'essi; non apertamente come i locali, ma con la coda dell'occhio.

«Vedete quello spilungone?» sussurrò Mark. «Giurerei che quelli che haindosso siano i resti di una tonaca monastica.»

Quello più grosso, un orribile gigante dal naso rotto, portava una logoraveste di spessa lana nera sulla quale, in effetti, scorsi il cappuccio deibenedettini. Il locandiere, l'unico ad aver dimostrato un comportamentocivile nei nostri confronti, venne a riempirci di nuovo i boccali.

«Ditemi», chiesi piano. «Chi sono quei tre?»

«Avanzi di abbazia», bofonchiò l'uomo. «Vengono dalla prioria dissoltal'anno passato. Saprete di certo come vanno le cose, signore. Il re ha stabilitoche le case di preghiera minori devono essere chiuse e i monaci destinati inaltri luoghi; i servitori, però, vengono buttati in mezzo alla strada.

Quelli hanno trascorso gli ultimi dodici mesi a mendicare da queste parti, maper loro non c'è lavoro. Vedete quel tipo smilzo? Gli hanno già tagliato leorecchie. Fate attenzione.»

Mi voltai e vidi l'uomo di cui parlava, un tale alto e scarnito con unaselvaggia chioma bionda che non gli copriva ciò che aveva al posto delleorecchie: due fori circondati da pelle cicatrizzata. Ne dedussi che dovevatrattarsi d'un falsario, di quelli che limavano le monete per ricavarne l'oro efarne scadenti imitazioni.

«E tu li accogli», dissi.

«Non è colpa loro se sono stati buttati in mezzo a una strada. E ce ne sonoa centinaia», brontolò. Poi, sentendo forse di aver parlato troppo, siallontanò con passo svelto.

«Penso sia giunta l'ora di ritirarci», dissi prendendo una candela daltavolo. Mark annuì, finimmo le nostre birre e ci dirigemmo verso le scale.Passando davanti agli ex servitori dell'abbazia, sfiorai accidentalmente latonaca del gigante con il mantello.

«Ti porterà sventura, Edwin», uno dei compagni commentò a gran voce.

«Dovrai toccare un nano per recuperare la buona sorte.»

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Scoppiarono tutti in una fragorosa risata. Mark si voltò, ma io lo fermaitenendolo per un braccio.

«No», sussurrai. «Non ci badare. Andiamo!» Lo spinsi su per latraballante scala di legno fino a una stanza sotto il tetto infestata da topi chefuggirono al rumore dei nostri passi. I bagagli erano stati poggiati su due altiletti mobili. Ci sedemmo e ci sfilammo gli stivali.

Mark era nervoso. «Perché dobbiamo sopportare gli insulti di quei villici?»

«Siamo in una terra ostile. La gente del Weald è ancora papista, e con tutta probabilità ogni domenica il parroco la esorta a pregare per la morte del sovrano e il ritorno del pontefice.»

«Credevo non foste mai stato da queste parti prima d'ora.» Mark allungò ipiedi fino all'ampia conduttura in ferro del camino che dal centro dellastanza saliva fino al soffitto, unica fonte di calore a nostra disposizione.

«Attento ai geloni. Io non ci sono mai stato, ma gli uomini di Cromwellhanno stilato rapporti da ogni contea sin dall'inizio delle rivolte. Ne ho dellecopie in borsa.»

Mark si voltò a guardarmi. «Non lo trovate logorante? Dover sempremisurare le parole con gli estranei, per timore che una frase sbagliata possaportare all'accusa di tradimento. Un tempo non era così.»

«Questi sono i momenti più cupi. Le cose miglioreranno.»

«Quando i monasteri saranno chiusi?»

«Esatto. La Riforma sarà finalmente sicura, e Lord Cromwell avràabbastanza denaro per difendere il reame dagli invasori e aiutare il popolo. Isuoi sono grandi progetti.»

«Quando gli uomini delle Aumentazioni si saranno presi la loro parte,resterà denaro a sufficienza anche per comprare dei nuovi mantelli a queicontadini?»

«Certo, Mark.» Parlai con ardore. «I monasteri maggiori custodisconotesori nascosti. E che cosa danno ai poveri, nonostante l'obbligo alla caritàsancito dalle loro regole? Da ragazzo a Lichfield ho visto centinaia gliindigenti accalcarsi davanti ai cancelli nei giorni di elemosina, e bambini

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vestiti di stracci spingere e scalciare per poche monete che venivano lorogettate attraverso le sbarre. Mi vergognavo di entrare a scuola, in queigiorni. Se scuola si può definirla. Be', ora ci saranno scuole appropriate inogni parrocchia, pagate dalla Cancelleria dello Scacchiere.»

Mark non disse nulla, limitandosi ad alzare le sopracciglia con ariainterrogativa.

«Santo Iddio, Mark», sbottai, improvvisamente irritato dal suoscetticismo. «Togli quei piedi dal camino. Puzzano più del caprone cheabbiamo mangiato.»

Il giovane si arrampicò sul suo letto e rimase a fissare la volta di paglia del soffitto. «Prego perché abbiate ragione, signore. Ma le Aumentazioni mi hanno portato a dubitare della carità umana.»

«Le vie del Signore sono assai misteriose, Mark. Ci vuole pazienza. ELord Cromwell fa parte di un progetto divino, nonostante l'asprezza dei suoimodi. Abbi fede», aggiunsi in tono gentile. In quell'istante, però, m'apparvedavanti agli occhi il ghigno sinistro di Cromwell quando, agitando l'urnacontenente il teschio nel suo gabinetto, aveva affermato di voler mettere unprete al rogo, alimentando le fiamme con le sue stesse sacre immagini.

«La fede smuove le montagne?» mi domandò Mark dopo un istante.

«Madre Santissima», sbottai. «Ai miei tempi il cinismo era prerogativa deivecchi. Sono troppo stanco per discutere. Buonanotte.» Cominciai asvestirmi ma esitai, poiché non amavo che la gente vedesse la mia infermità.Mark, tuttavia, con grande sensibilità si voltò di spalle finché non fummoentrambi pronti per la notte. M'infilai faticosamente sotto le coperte esmorzai la candela.

Recitai le mie preghiere. Ma rimasi a lungo sveglio nell'oscurità,ascoltando il respiro regolare di Mark e il raspare dei topi sulla pagliamentre con cautela tornavano verso il centro della stanza, dove faceva piùcaldo.

Nonostante fossi ormai abituato alle maldicenze della gente, gli sguardiostili di quei contadini e il commento del servo dell'abbazia mi avevanoferito, soffocando il mio iniziale entusiasmo. Per tutta la vita avevo cercato

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di non badare a simili offese, sebbene da ragazzo avessi spesso provatol'istinto di gridare forte la mia rabbia. Avevo visto molti storpi le cui menti sierano contorte come i loro corpi sotto il peso dello scherno, portandoli aguardare il mondo in cagnesco e a giurare vendetta nei confronti dei bambiniche si prendevano gioco di loro per strada. Meglio ignorare e cercare divivere serenamente la vita che Dio ci aveva concesso.

Ricordai un episodio, tuttavia, in cui il mio proposito si era rivelatoimpossibile. Un momento che segnò la mia intera esistenza. Avevo quindicianni e studiavo nella scuola religiosa di Lichfield. In quanto studenteanziano, era mio dovere partecipare alla messa e talvolta servire comechierichetto. Attendevo la funzione come un piacevole diversivo, dopoun'interminabile settimana passata sui libri, a lottare con il greco e il latinomalamente insegnati da fratello Andrew, un grasso monaco con un deboleper il vino.

In quelle occasioni solenni la cattedrale era illuminata a giorno, le candelebrillavano davanti all'altare, alle statue e al divisorio magnificamentedipinto. I giorni che preferivo erano quelli in cui non dovevo assistere ilsacerdote, ma potevo sedere con la congregazione. Oltre il divisorio il preteintonava la messa in un latino che cominciavo appena a comprendere e lesue parole riecheggiavano nella navata, destando la risposta del coro difedeli.

Ora che la vecchia messa era caduta in disuso parte dell'antico mistero eraandato perduto - l'incenso, la cadenza ascendente del latino, il trillo delcampanello che segnava il momento dell'Eucaristia, in cui si credeva che ilpane e il vino levati davanti agli occhi della comunità si trasformassero nellacarne e nel sangue di Gesù Cristo - ma, giunto all'ultimo anno di studi, eracresciuto in me un grande zelo religioso. Per molto tempo avevo osservato ivolti quieti e rispettosi della congregazione e avevo imparato a considerarela Chiesa come una grande comunità capace di creare un legame fra vivi emorti e di trasformare le persone, seppur per poche ore, nel greggeobbediente del Sommo Pastore. Mi ero sentito chiamato a servire questogregge, e ritenevo che nelle vesti di sacerdote avrei potuto essere una guidaper i miei fratelli, guadagnando così il loro rispetto.

Ma fratello Andrew infranse ben presto le mie speranze. Timoroso per laportata di quanto intendevo dirgli, avevo richiesto un colloquio nel suostudiolo situato dietro le aule scolastiche. La giornata volgeva ormai altermine, e gli occhi di fratello Andrew erano arrossati per il lungo studio di

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una pergamena che aveva sulla scrivania, mentre l'abito nero era chiazzato dicibo e inchiostro. Esitante, gli confidai che credevo d'aver sentito lavocazione e che desideravo prepararmi all'ordinazione.

Mi aspettavo di essere interrogato sulla veridicità della mia fede, invece ilfrate si limitò a levare la piccola mano tozza, ingiungendomi di tacere.

«Ragazzo», disse, «non potrai mai diventare sacerdote. Non locomprendi? Non dovresti abusare del mio tempo con simili sciocchezze.» Lebianche sopracciglia si unirono in segno di disappunto. Non si era rasato eun principio di barba bianca gli velava le guance paffute come una coltre dibrina.

«Non capisco, fratello. Perché?»

Sospirò, inondandomi con il suo fiato vinoso. «Mastro Shardlake, sai beneche il libro della Genesi dice che Dio ci ha fatti a sua immagine esomiglianza, non è forse vero?»

«Certo, fratello.»

«Per servire la Chiesa è necessario conformarsi a quell'immagine.Chiunque soffra di una visibile deformità - fosse anche solo un artorattrappito, figuriamoci poi una gobba sporgente come la tua - non potrà maidivenire sacerdote. Come potresti intercedere per l'umanità peccatricedinanzi alla maestà di Nostro Signore, quando il tuo aspetto è tanto inferiorea quello della gente comune?»

Mi sentii raggelare il sangue nelle vene. «Non può essere vero. È crudele.»

Fratello Andrew si era fatto paonazzo in viso per la collera. «Ragazzo»,sbraitò, «metti forse in discussione gli insegnamenti di Santa Madre Chiesa,nostra guida sin dall'alba dei tempi? Proprio tu che vieni a domandare diessere ordinato sacerdote? Che genere di sacerdote potresti mai essere? Uneretico lollardo?»

Lo osservai, seduto nel sudicio abito chiazzato di cibo, l'accigliato visograsso e irsuto. «Allora dovrei essere come voi, non è così?» sbottai senzariflettere.

Fratello Andrew si alzò con un ruggito, dandomi un sonoro scapaccione su un orecchio. «Tu, piccolo zotico gibboso, sparisci dalla mia vista!»

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Corsi via, la testa che mi scoppiava. Il religioso era troppo grasso per darsiall'inseguimento (morì di un colpo l'anno seguente) e io fuggii dallacattedrale, zoppicando nella luce calante della sera, l'animo colmo disconforto. Giunto nei pressi di casa mi sedetti su uno steccato a osservare iltramonto primaverile, la cui verde fecondità pareva prendersi gioco di me.Se non fossi potuto entrare a far parte della Chiesa, pensai, dove altro sareipotuto andare? Ero solo.

E poi, mentre sedevo nel crepuscolo, Cristo mi parlò. È quanto accadde,quindi non c'è altro modo di dirlo. Udii una voce nella mente, una voce cheproveniva da dentro ma non era mia. «Non sei solo», mi disse, e subito misentii pervaso da un grande tepore, da un senso d'amore e di pace. Non soquanto rimasi là seduto, a respirare profondamente, ma quel momentocambiò per sempre la mia vita. Cristo in persona mi aveva dato confortodalle parole di quella Chiesa che avrebbe dovuto essere la sua. Non avevomai sentito quella voce prima di allora e, sebbene abbia pregato quella nottee molte altre negli anni seguenti, inginocchiato davanti al letto, non la udiimai più. Ma forse è una grazia che ci viene concessa una volta nella vita. Amolti neppure quella.

Partimmo alle prime luci dell'alba, prima che il villaggio aprisse gli occhisu un nuovo giorno. Ero ancora d'umore cupo, e parlammo poco. La brinacaduta durante la notte aveva imbiancato alberi e strade, ma, per nostrabuona sorte, la neve non era ancora arrivata, e così riprendemmo lo strettosentiero fra i ripidi fianchi della montagna bordati d'alberi.

Cavalcammo fino alle prime ore del pomeriggio, poi il bosco cominciò adiradarsi e giungemmo in aperta campagna, fra campi coltivati; di fronte anoi si stagliavano le pendici dei South Downs. Seguimmo un sentiero su perla collina, dove incontrammo una pecora dall'aspetto ossuto intenta apascolare. Giunti in cima scorgemmo il mare, un lento rifluire di grigieonde. Alla nostra destra, un fiume correva fra i bassi poggi prima di gettarsiin mare oltre un vasto acquitrino, sul limitare del quale sorgeva una piccolacittà. Un miglio più distante, si levava un grosso complesso di costruzionid'antica pietra gialla, dominate da un'imponente chiesa normanna ampiaquasi quanto una cattedrale e circondata da alte mura di cinta.

«Il monastero di Scarnsea», dissi.

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«'Il Signore ci ha condotti alla salvezza, accompagnandoci attraverso lenostre tribolazioni'», citò Mark.

«Credo che ce ne attendano ancora parecchie», replicai. Conducemmo icavalli spossati giù per il fianco della collina, proprio mentre un leggeronevischio cominciava a soffiare dal mare.

Capitolo quattro

Scendemmo lungo il fianco della collina con molta cautela, fino aimboccare la strada che entrava in città. I cavalli erano nervosi e scrollavanoil muso nel tentativo di scuotere via i fiocchi gelati. Fortunatamente, quandoarrivammo a destinazione la neve aveva smesso di cadere.

«È il caso di far visita al giudice di pace?» chiese Mark.

«No, oggi dobbiamo raggiungere il monastero perché se dovessericominciare a nevicare saremmo costretti a trascorrere la notte qui.»

Proseguimmo lungo la ciottolosa strada principale di Scarnsea, costretti atenerci tutti da un lato per evitare i contenuti dei vasi da notte gettati daipiani superiori dei palazzi che la bordavano. Notammo che l'intonaco e letravi di molte abitazioni erano in rovina, e le botteghe parevano alquantospoglie. I pochi passanti ci osservavano con curiosità.

Raggiungemmo la piazza principale, cinta anch'essa su tre lati da decrepitecostruzioni, mentre il quarto era dominato da un'ampia banchina di pietra. Inpassato, la piazza doveva affacciarsi sul mare, ma ora al suo posto c'era solouna triste palude punteggiata da scheletrici giunchi, dalla quale si levava unpuzzo salmastro. Un canale, largo appena da permettere la navigazione diuna piccola barca, era stato scavato nel fango e si snodava come un lungonastro verso il mare, una linea argentea a un miglio di distanza. In mezzoall'acquitrino scorgemmo una carovana d'asini legati gli uni agli altri, carichidi panieri contenenti pesanti massi che un gruppo di uomini usavano perrinforzare le sponde del corso d'acqua.

Doveva essersi appena concluso un qualche genere di spettacolo, perché

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dall'altra parte della piazza un capannello di donne conversava presso lagogna del paese, attorno alla quale erano sparpagliate frutta e verdura marce,Seduta su uno sgabello, i piedi infilati nello strumento di tortura, c'era ancorauna paffuta donna di mezza età vestita di stracci chiazzati di uova e pere. Intesta esibiva un sudicio copricapo triangolare recante la «B» di bisbetica.Accettò con sollievo il boccale di birra che una delle donne le offriva, maaveva il viso contuso e gli occhi pesti. Nel vederci, levò il bicchiere eabbozzò una smorfia. Un gruppetto di bambini ridacchianti corse in piazzaportando dei vecchi cavoli marci, ma una delle comari li scacciò con ungesto della mano.

«Andate via», disse nel forte accento gutturale che avevamo udito allalocanda. «Comare Thomas ha imparato la lezione e lascerà suo marito inpace. Verrà liberata fra un'ora. Finitela!»

I bambini indietreggiarono, lanciando insulti a debita distanza.

«La gente di qui è piuttosto mite», osservò Mark. Annuii. A Londra, ineffetti, capitava spesso che venissero scagliate pietre tanto affilate da cavaregli occhi e far cadere i denti.

Lasciammo la cittadina, cavalcando verso il monastero. La strada correvalungo le stagnanti pozze bordate dai giunchi. Mi sorpresi nel vedere deisentieri attraversare un simile nauseabondo acquitrino, ma del resto, se nonce ne fossero stati, gli uomini che avevamo visto posare le pietre nonavrebbero avuto modo di trovarsi dov'erano.

«Un tempo Scarnsea era un prosperoso porto di mare», osservai. «Ci èvoluto pressappoco un secolo perché i depositi di limo e sabbia desseroorigine a questa palude. Non c'è da meravigliarsi che la città si siaimpoverita: per quel canale ci passa a stento la barca di un pescatore.»

«E di che cosa vivono?»

«Di pesca e caccia. E contrabbando con la Francia, oserei aggiungere. Letasse da pagare al monastero per mantenere quel branco di monacifannulloni non sono diminuite. Il porto di Scarnsea è stato assegnato a unodei cavalieri di Guglielmo il Conquistatore, il quale l'ha ceduto ai benedettinie ha fatto costruire il monastero. Pagandolo con le tasse inglesi,ovviamente.»

Le campane del monastero risuonarono all'orizzonte, squarciando l'aria

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immota.

«Ci hanno visto arrivare», disse Mark ridendo.

«Hanno proprio una vista eccezionale, a meno che non si tratti di uno deiloro miracoli. Madre Santissima, quelle campane fanno un terribilefrastuono.»

Ci avvicinammo alle mura del convento, accompagnati dallo scampanioche mi rimbombava nel cervello. Ero stanco, e con il passare delle ore ildolore alla schiena si era fatto più intenso, tanto da costringermi a cavalcareaccasciato sull'ampio dorso di Chancery. Mi raddrizzai: dovevo dare almonastero un'immagine autoritaria sin dal principio. Solo allora riuscii anotare le reali dimensioni di quel luogo. Le mura, rivestite di felci divenuteormai un tutt'uno con l'intonaco, erano molto alte e correvano dalla stradafino al limitare della palude. Poco più in là, notammo un ampio casotto instile normanno e un carretto carico di botti tirato da due possenti cavalli, cheprocedeva rumorosamente sulla strada selciata. Fermammo i destrieri, equando il mezzo ci passò accanto diretto in città il carrettiere si sfiorò ilcopricapo in segno di saluto.

«Birra», notai.

«Botti vuote?» chiese Mark.

«No, piene. La produce il monastero, che ha un monopolio sulle vendite.Stabiliscono loro i prezzi. È previsto dalla carta costitutiva.»

«Dunque da queste parti si prendono delle sante sbronze?»

«Direi proprio di sì. I fondatori normanni tenevano buoni i monaci incambio delle loro preghiere per la salvezza dell'anima. Così erano tuttisoddisfatti, eccezion fatta per chi doveva pagare. Grazie al cielo, quellecampane si sono fermate.» Feci un respiro profondo. «Ma ora basta. Nondire nulla, fai come me.»

Cavalcammo fino al casotto, una massiccia costruzione decorata daincisioni araldiche. Le cancellate erano chiuse. Alzai lo sguardo, e scorsi unvolto che ci scrutava dalla finestra al primo piano. Subito si ritrasse. Smontaida cavallo e battei a un cancelletto laterale. Dopo qualche secondo questo siaprì per rivelare un uomo grande e grosso, calvo come un uovo, con indossoun grembiule chiazzato di grasso. Questi ci squadrò da capo a piedi,

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guardandoci in cagnesco.

«Che cercate?»

«Sono il commissario regio. Vi prego di condurci dall'abate», dissi in tonofreddo.

L'uomo ci guardò con sospetto. «Non aspettiamo visite. Questo è unmonastero di clausura. Avete dei documenti?»

Frugai nel mantello e gli ficcai le carte sotto il naso. «Il monastero di San Donato di Scarnsea è una casa benedettina. Non è un ordine di clausura, la gente può andare e venire a piacimento dell'abate. O forse siamo giunti al convento sbagliato?» domandai sarcastico.

Lo zotico mi fulminò con lo sguardo e lanciò un'occhiata ai documenti -sebbene fosse evidente che non sapesse leggere - prima di restituirmeli.

«Fossi in voi starei attento con le parole, amico. Qual è il vostro nome?»

«Bugge», bofonchiò. «Seguitemi signori, vi condurrò dall'abate.» Sispostò di lato ed entrammo con i cavalli sotto il porticato del casotto.

«Vi prego di aspettare qui.»

Annuii e l'uomo ci lasciò, allontanandosi con passo pesante.

Uscii dal colonnato e osservai il cortile. Di fronte a me sorgeval'imponente chiesa del monastero, un solido edificio di pietra bianca,ingiallita dal tempo. Come le altre costruzioni, anche la chiesa era fatta dipietra calcarea d'origine francese ed era costruita in stile normanno, conampie finestre, in netto contrasto con lo stile contemporaneo che imponevaarcate e finestre alte e sottili che svettassero verso il cielo. Con i suoitrecento piedi di lunghezza e le due torri gemelle alte almeno un centinaio dipiedi, la chiesa dava un'impressione di massiccia potenza, ben radicata alsuolo.

Alla sua sinistra, lungo il muro opposto, sorgevano i consueti fabbricatiannessi: stalle e fucine. La corte brulicava di quel genere d'attività che benconoscevo dai tempi di Lichfield: commercianti e servitori affaccendati,intenti a discutere con i monaci dalle teste tonsurate e dai neri abitidell'ordine benedettino. Abiti di lana pregiata, notai, con calzari di morbida

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pelle. Il cortile era di terra battuta, ricoperto di paglia. Grossi cani bastardiscorrazzavano qua e là, abbaiando e urinando sulle pareti. A prima vista, lacorte esterna pareva un mercato più che un rifugio dal mondo.

Alla destra della chiesa, il muro interno delimitava gli ambienti monacali,dove i religiosi vivevano e pregavano. All'estremità opposta della cortesorgeva un edificio a un solo piano con un bel giardino, le cui erbe eranoaccuratamente suddivise. Quella, dedussi, doveva essere l'infermeria.

«Bene, Mark», chiesi piano, «che cosa ne pensi?»

Il giovane scacciò uno dei cani che si era avvicinato a noi con ariaminacciosa. L'animale indietreggiò, abbaiando furiosamente. «Non miaspettavo un luogo tanto vasto. Potrebbe contenere duecento persone.»

«Ben detto. È stato costruito per ospitare un centinaio di monaci ealtrettanti servitori. Ma ora tutto questo - edifici, terreni e monopoli locali - èappannaggio di una trentina di religiosi e sessanta servitori - stando a quantoriporta il Comperta - che sfruttano le terre più fertili della zona.»

«Si sono accorti di noi, signore», mormorò Mark. In effetti, l'insistenteabbaiare di quel cagnaccio aveva attirato gli sguardi ostili dell'intera corte,suscitando sommessi mormorii. Un monaco alto e allampanato, appoggiato auna stampella presso il muro della chiesa, non ci toglieva gli occhi di dosso.Il suo saio bianco dal lungo scapolare contrastava con il semplice abito nerodei benedettini.

«Un certosino, se non vado errato», dissi.

«Credevo che i monasteri certosini fossero stati chiusi e che metà deireligiosi fosse stata giustiziata per tradimento.»

«Infatti, così è stato. Mi domando che cosa ci faccia lui qui.»

Udii un colpo di tosse alle mie spalle. Il guardiano era riapparso incompagnia di un monaco tarchiato sulla quarantina. I capelli castani attornoalla chierica erano spruzzati di grigio e il volto, duro e dai lineamentimarcati, era addolcito soltanto dalla pinguedine dell'opulenza. Sull'abito eracucita una chiave, simbolo d'autorità. Alle sue spalle c'era un ragazzo daicapelli rossi e dall'aria nervosa, con indosso la grigia veste del noviziato.

«Va bene, Bugge», disse il nuovo venuto nello spigoloso accento tipico

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degli scozzesi. «Torna pure al tuo lavoro.» Riluttante, il guardiano ci lasciò.

«Sono il priore, fratello Mortimus di Kelso.»

«Dov'è l'abate?»

«Non è qui in questo momento. Io sono il suo braccio destro, responsabiledell'amministrazione quotidiana del monastero.» Ci trapassò con lo sguardo.«Suppongo siate giunti in risposta al messaggio di mastro Goodhaps.Nessuno ci ha avvisati del vostro arrivo, temo dunque che non ci sianostanze pronte ad accogliervi.» Mentre parlava io arretrai d'un passo, perché ilmonaco emanava un puzzo intenso. Sapevo bene, dai tempi dei miei studi,con quanta fermezza certi religiosi credessero ancora che lavarsi fosseinsalubre, tanto da concedersi un bagno solo cinque o sei volte l'anno.

«Siamo emissari di Lord Cromwell. Io sono mastro Matthew Shardlake,commissario incaricato di investigare sugli eventi riportati nella lettera dimastro Goodhaps.»

Il religioso fece un inchino. «Vi do il benvenuto al monastero di SanDonato. Mi scuso per i modi del guardiano, ma le ingiunzioni c'impongonodi tenerci il più possibile separati dal mondo.»

«Il nostro è un compito da svolgere con la massima urgenza, signore»,dissi brusco. «Vi prego di darci conferma della morte di Robin Singleton.»

Il viso del priore s'indurì, e il religioso si fece il segno della croce. «Sì,signore. Ucciso barbaramente da un misterioso assalitore. Un fatto davveroterribile.»

«In questo caso dobbiamo vedere subito l'abate.»

«Vi accompagnerò nei suoi alloggi. Dovrebbe essere presto di ritorno. Visupplico di fare luce su quanto è accaduto fra queste mura. Sangue versatosu terra consacrata, e peggio ancora.» Scosse il capo poi, con improvvisaasprezza, si voltò verso il ragazzo che ci fissava con gli occhi sgranati e gliurlò: «Whelplay, i cavalli! Portali nelle stalle!»

Pareva poco più di un bambino, magro e di costituzione fragile; potevaavere al massimo sedici anni, non certo i diciotto prescritti per il noviziato.Rimossi il paniere che conteneva i miei documenti, porgendolo a Mark, e ilragazzo condusse via i cavalli. Ma dopo qualche passo scivolò sopra uno

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sterco di cane, finendo a gambe all'aria con un tonfo. I cavalli s'impennaronospaventati e il cortile si riempì di risate. Il viso del priore Mortimus avvampòdi rabbia. Raggiunse il giovane, che si stava rimettendo in piedi, e lo spinsenuovamente a terra, nello sterco, accrescendo le risate.

«Santissima misericordia, Whelplay, sei un incapace», sbraitò. «Vuoi chei cavalli del commissario si mettano a galoppare per tutta la corte?»

«No, signor priore», rispose il ragazzo con voce tremante. «Chiedovenia.»

Mi feci avanti, presi le redini di Chancery con una mano e offrii l'altra al giovane, attento a non toccargli gli abiti imbrattati di sterco.

«Tutta questa confusione li spaventa», dissi con tono gentile. «Ma nonpreoccuparti, ragazzo, poteva capitare a chiunque.» Gli porsi le redini e,lanciando un'occhiata al priore rosso di rabbia, il giovane condusse via glianimali. Mi voltai verso fratello Mortimus. «Ora, signore, se volete farcistrada.»

Il monaco scozzese mi guardò indignato, il viso contratto dall'ira. «Contutto il rispetto, signore, io sono responsabile della disciplina di questa casa.Il sovrano ha ordinato molti cambiamenti, e i nostri confratelli più giovanidevono imparare l'obbedienza.»

«Avete forse difficoltà nel far accettare le nuove ingiunzioni di LordCromwell ai vostri confratelli?»

«No, signore, niente affatto. A patto che mi sia concesso d'impartire lorola giusta disciplina.»

«Tutto questo per essere scivolato su un escremento di cane?» dissipacato. «Non sarebbe meglio usare un po' di quella disciplina con questianimali, piuttosto, tenendoli lontani dal cortile?»

Il priore fu sul punto di controbattere, poi, d'improvviso, si lasciò andare aun'aspra risata.

«Avete ragione, signore, ma l'abate non vuole saperne di rinchiudere icani. Vuole tenerli in forma per le battute di caccia.» Mentre parlava, il visotornò al suo rossore naturale. Dedussi che quell'uomo doveva avere un tassodi bile insolitamente elevato.

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«Battute di caccia. Mi chiedo che cosa ne direbbe san Benedetto.»

«L'abate ha le sue regole», rispose il priore con sussiego.

Ci condusse, oltre i fabbricati annessi, fino a una bella costruzione su duepiani circondata da un roseto, un'elegante residenza degna di Chancery Lane.Oltrepassammo il birrificio e la fucina, il cui infocato bagliore aveva unaspetto assai invitante in quella fredda giornata. Accanto alla fornace c'eraun'ampia dipendenza all'interno della quale erano deposti dei blocchi dipietra riccamente ornati, visibili attraverso le porte aperte. Lì davanti erastato montato un tavolo poggiato su cavalletti, ricoperto da carte e progetti,vicino al quale un uomo dalla barba grigia con un grembiule da scalpellinose ne stava a braccia conserte, mentre due monaci discutevanoanimatamente.

«Non si p-può fare, fratello», disse il monaco più anziano con tonorisoluto. Era un uomo paffuto e basso di statura, sulla quarantina, con unanello di riccioli neri attorno alla chierica, un viso tondo e pallido e dueocchietti severi. Le piccole dita grassocce si agitavano sopra i progetti. «Seusiamo della pietra di Caen d-dilapideremo l'appannaggio dei prossimi treanni.»

«Non si può spendere meno di così», disse lo scalpellino. «Non se voleteun lavoro a regola d'arte.»

«Deve essere fatto come si deve», sottolineò con enfasi l'altro monaco,che aveva una voce calda e profonda. «In caso contrario l'intera simmetriadella chiesa sarà rovinata, e la diversità della facciata salterà subitoall'occhio. Se non sei d'accordo, fratello economo, non mi resterà chesottoporre la faccenda all'attenzione dell'abate.»

«Fallo pure, tanto non cambierà nulla.» Nel vederci il frate s'interruppe, cisquadrò con i suoi occhietti lucenti come bottoni, e ritornò con lo sguardo aiprogetti. L'altro monaco si mise invece a scrutarci. Era alto, robusto e potevaavere poco meno di quarant'anni, un bel viso segnato da rughe profonde earruffati capelli biondi che circondavano la chierica come fili di paglia. Gliocchi, grandi, erano azzurro chiaro. Indugiò con lo sguardo su Mark, che glirestituì un'occhiata gelida, poi fece un inchino al priore, che gli rispose conun noncurante cenno del capo.

«Interessante», bisbigliai a Mark mentre passavamo oltre. «Si direbbe che

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nessuna nube minacciosa pesi su questo luogo. Parlano di restaurare la facciata della chiesa come se nulla fosse cambiato.»

«Avete notato come mi ha guardato quel monaco?»

«Sì. Altrettanto interessante.»

Eravamo quasi giunti alla casa, quando una figura vestita di bianco spuntòda dietro un contrafforte, parandosi sul nostro cammino. Era il certosino cheavevamo visto nel cortile. Il priore gli balzò dinanzi.

«Fratello Jerome», disse con voce aspra, «non è tempo per le tue stramberie!Ritorna alle tue preghiere!»

Il certosino girò attorno al priore, degnandolo solo di un rapido sguardocolmo di disprezzo. Trascinava la gamba destra e si muoveva poggiandosisulla stampella, che teneva saldamente sotto l'ascella destra. Il bracciosinistro ciondolava mollemente lungo il fianco, la mano contratta in unastrana posa. Era un uomo asciutto, sulla sessantina, i radi capelli bianchi piùdel sudicio abito liso. Gli occhi, in contrasto con il pallore del viso, ardevanod'una feroce intensità che pareva in grado di penetrare nell'animo. Mi siavvicinò, muovendosi con sorprendente destrezza per evitare il braccio tesodel priore.

«Voi siete l'uomo di Lord Cromwell?» La voce era stridula e fioca.

«Esatto, signore.»

«Allora saprete che chi di spada ferisce di spada è destinato a perire.»

«Matteo 26, 52», replicai. «Che cosa intendete? Si tratta forse di una confessione?»

L'uomo rise sprezzante. «No, gobbo, è la parola di Dio, ed è pura verità.»

Il priore Mortimus afferrò brusco il braccio sano del certosino. L'uomo se ne liberò e si allontanò zoppicando.

«Vi prego di non badare a lui.» Questa volta il viso del priore era sbiancato, segnandosi di capillari purpurei. «Ha la mente sconvolta», aggiunse stringendo le labbra.

«Chi è? Che cosa ci fa un certosino nel vostro monastero?»

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«Lo teniamo a pensione per fare un favore a suo cugino, che possiede delle terre nei dintorni. Un atto caritatevole, viste le sue condizioni.»

«Da quale casa proviene?»

Il priore esitò. «Dalla casa di Londra. È conosciuto come Jerome da Londra.»

Rimasi allibito. «La casa in cui il priore Houghton e metà dei monaci sisono rifiutati di prestare giuramento di fedeltà e sono stati giustiziati?»

«Fratello Jerome ha prestato giuramento. Alla fine. Dietro le pressioni dimastro Cromwell.» Mi guardò duramente. «Capite?»

«È stato torturato?»

«In modo atroce. E l'aver ceduto gli ha fatto perdere il senno. Lo hameritato, però, considerata la slealtà, non credete? Ed ecco come ci ripagaper la nostra carità. Ma risponderà per le sue azioni.»

«Che cosa intendeva dire?»

«Lo sa il cielo. Ve l'ho detto, la sua mente è malata.» S'incamminò dinuovo e noi lo seguimmo oltre una cancellata di legno che dava nel giardinodell'abate, dove poche livide rose invernali spiccavano fra gli spinosi ramispogli. Mi voltai, ma il monaco storpio era scomparso. Il ricordo di quegliocchi spiritati mi fece rabbrividire.

Capitolo cinque

Un uomo grasso con indosso la veste blu dei servitori venne ad aprire laporta del priore. Ci guardò preoccupato.

«Visita urgente per sua Signoria, da parte del vicario generale. È in casa?»

Il servitore fece un profondo inchino. «Quel terribile omicidio.» Si fece unfervido segno della croce. «Non siamo stati preavvertiti della visita di lorsignori. L'abate Fabian non ha ancora fatto ritorno, sebbene potrebbe

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giungere in qualsiasi momento. Ma vi prego, accomodatevi.»

Entrammo in un'ampia anticamera, le cui pareti rivestite di legno eranodipinte con scene di caccia.

«Forse gradireste attendere l'abate nel salone», suggerì il priore.

«Dov'è mastro Goodhaps?»

«Nella sua stanza, al piano di sopra.»

«Allora andremo prima da lui.»

Il priore fece un cenno con il capo al servitore, che ci accompagnò su perl'ampia scalinata. Il priore si fermò davanti a una porta chiusa e bussòvigorosamente. Dall'interno s'udì uno strillo impaurito, poi il rumore dellachiave nella serratura, e la porta si aprì appena. Un viso smunto, dagliarruffati capelli bianchi, ci scrutò con occhi ansiosi.

«Priore Mortimus», disse il vecchio con voce stridula. «Perché battete alla porta con tanta foga? Mi avete spaventato.»

Un sorriso sardonico balenò sul viso di Mortimus. «Oh, davvero? Vogliatescusarmi. Ora siete al sicuro, mio buon dottore, Lord Cromwell ha inviatoun suo uomo di fiducia, un nuovo commissario.»

«Mastro Goodhaps?» intervenni. «Commissario Matthew Shardlake.

Sono qui in risposta alla vostra lettera, dietro ordine di Lord Cromwell.»

Il vecchio rimase attonito per un istante, poi aprì la porta, facendocientrare. La camera era ben arredata, con un letto a baldacchino chiuso dauna tenda, morbidi cuscini sul pavimento e una finestra che dava sulla corteindaffarata. A terra giaceva una pila di libri, sulla quale era precariamenteappoggiato un vassoio con una caraffa di vino e delle ciotole di peltro. Ilfuoco crepitava nel camino e Mark e io lo raggiungemmo subito, perchéeravamo intirizziti fino alle ossa. Mi voltai verso il priore che ci osservavavigile sulla soglia.

«Vi ringrazio, fratello. Potreste farci la cortesia di avvisarci del ritornodell'abate?» L'uomo s'inchinò e se ne andò chiudendosi la porta alle spalle.

«Chiuda a chiave, nel nome di Nostro Signore», disse il vecchio con voce

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acuta, torcendosi le mani. Aveva un aspetto patetico, i bianchi capelliarruffati e l'abito clericale nero sporco e sgualcito. Dal fiato, dedussi chedoveva aver già assaggiato il vino.

«La lettera è giunta, allora? Sia ringraziato il cielo! Temevo sarebbe stataintercettata. Quanti siete?»

«Soltanto noi due. Posso sedermi?» chiesi, abbassandomi con cautela suicuscini. Mi lasciai sprofondare, con una sensazione di grande sollievo allaschiena. Solo in quel momento mastro Goodhaps notò la mia infermità, poispostò lo sguardo su Mark, intento a slacciare la cinta che reggeva lapossente spada.

«Il ragazzo sa dare di scherma? È in grado di proteggerci?»

«In caso di necessità. Perché? Abbiamo forse bisogno di protezione?»

«In questo luogo, signore, dopo quanto è accaduto… siamo circondati danemici, mastro Shardlake.»

Notai il terrore nel suo sguardo, e gli sorrisi rassicurante. Un testimoneinquieto, proprio come un cavallo, ha bisogno d'essere ammansito.

«Calmatevi, signore. Ora, il viaggio ci ha molto stancato e gradiremmo unsorso di quel vino, mentre voi ci raccontate esattamente quanto è accaduto.»

«Oh, signore, se sapeste, Madre Santissima, il sangue…»

Levai una mano. «Cominciate dall'inizio, dal giorno del vostro arrivo.»

Ci versò del vino e si sedette sul letto, passandosi una mano nella foltachioma canuta.

«Io non volevo venire», sospirò. «Mi sono dato molto da fare aCambridge, ho lavorato per la Riforma sin dall'inizio, e sono troppo vecchioper un simile incarico. Ma Robin Singleton era stato mio studente, e mi hadomandato d'assisterlo nel tentativo di ottenere la resa di questa casamalefica. Aveva bisogno di un avvocato di diritto canonico, capite. Nonpotevo ignorare la convocazione del vicario generale», aggiunse risentito.

«Sarebbe stato difficile», concordai. «Dunque, siete giunti qui la settimanascorsa?»

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«Sì, dopo una faticosissima cavalcata.»

«Come sono andate le trattative?»

«Male, signore, come peraltro io m'aspettavo. Singleton mostrò subito unagrande aggressività, urlando che questa era una casa di scelleratipeccaminosi, e che i monaci avrebbero fatto bene ad accettare le pensioniche venivano loro offerte e firmare la resa. Ma l'abate Fabian non ne vollesapere. Ama troppo la vita che conduce qui: giocare a fare il nobiluomo dicampagna, comandare amministratori e intendenti… È solo il figlio delfornitore navale locale, sapete?» Goodhaps vuotò la sua coppa e la riempìnuovamente. Come biasimare quell'indifeso, vecchio zuccone, rimasto solonel monastero, se cercava conforto nella bottiglia?

«È scaltro, l'abate Fabian. Sapeva che non ci sarebbero più state chiusureforzate, non dopo le ribellioni del Nord. Il commissario mi chiese di trovarequalche cavillo giuridico per spaventarlo. Io gli risposi che era una perdita ditempo, ma Robin Singleton non mi prestò orecchio - non era mai stato unbuon discepolo - e scelse d'attaccare. Dio l'abbia in gloria», aggiunse,sebbene da buon riformatore evitò di farsi il segno della croce.

«Sono d'accordo con quanto sostenete», concordai. «Ma che mi dite delleviolazioni di legge? Si è parlato di sodomia, se non vado errato, e di furto.Peccati capitali.»

Goodhaps sospirò. «Questa volta Lord Cromwell si sbaglia. Il giudice dipace locale è un buon riformatore, ma i suoi rapporti sulla svendita deiterreni per pochi spiccioli fanno acqua. Non c'è nessuna prova dimanomissione nei conti.»

«E per quanto riguarda la condotta peccaminosa di questa casa?»

«Nulla. L'abate sostiene di aver attuato tutte le riforme del caso,dall'ultima visita. Il passato priore aveva incoraggiato simili spregevolipratiche, ma è stato cacciato assieme a un paio dei trasgressori più recidivi.E quel barbaro scozzese ha occupato il suo posto.»

Vuotai la mia coppa, ma preferii non riempirla di nuovo. Le ossa midolevano per la stanchezza, e il vino, assieme al tepore del fuoco, m'invitavaa stendermi e dormire, mentre invece avevo bisogno di rimanere lucidoancora per qualche ora.

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«Che opinione vi siete fatto dei confratelli?»

Il vecchio si strinse nelle spalle. «Sono tutti uguali. Pigri e soddisfatti disé. Giocano a carte, vanno a caccia - avrete di certo notato che questo luogobrulica di cani - e sbrigano in fretta le funzioni religiose, ma osservano lenuove ingiunzioni, recitando i sermoni in inglese e non facendo giraredonnacce per il monastero. Quel rubicondo priore crede nella disciplina piùsevera. Si dichiara un convinto sostenitore delle ingiunzioni di LordCromwell, ma io non mi fido di nessuno. I monaci anziani sembrano piùscaltri e accomodanti, ma sono tutti un branco di eretici. Però non lo danno avedere. L'unica eccezione è quel certosino zoppo, che comunque non faparte della comunità.»

«Ah, sì. Fratello Jerome. Abbiamo già avuto modo di conoscerlo.»

«Sapete chi è?»

«No.»

«Un parente della regina Jane, che Dio l'abbia in gloria. Ha rifiutato diprestare giuramento, ma farlo giustiziare come i suoi confratelli sarebbestata fonte di grande imbarazzo. Così lo hanno torturato e poi lo hannonascosto qui, a pensione. Ed è anche parente di un grosso proprietarioterriero dei dintorni. Pensavo che Lord Cromwell fosse stato informato dellasua presenza.»

Inclinai il capo. «Suppongo che talvolta i documenti vadano persi, anchequelli destinati al suo ufficio.»

«Agli altri monaci non piace perché non fa che insultarli, accusandoli diessere deboli e indolenti. Non gli è permesso di lasciare il monastero.»

«Di certo il commissario Singleton avrà parlato con molti dei frati, nel tentativo di scoprire qualcosa. Alcuni di quelli coinvolti nello scandalo della sodomia potrebbero essere ancora qui?»

«Magari lo spilungone biondo con i capelli arruffati?» s'inserì Mark. Goodhaps si strinse nelle spalle. «Ah, lui. Fratello Gabriel, il sacrista. Sì, lui era uno di quelli. A prima vista sembrerebbe normale, no? Grande e grosso. Talvolta, però, ti guarda con certi occhi… Il commissario Singleton li ha interrogati tutti, ma ovviamente loro hanno sostenuto di essere candidi come gigli. Mi aveva incaricato di parlare con loro, per scoprire i dettagli delle

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loro abitudini, ma io sono uno studioso, non sono capace di fare cose simili.»

«Devo dedurne che il commissario Singleton non si sia reso moltopopolare? Lo conoscevo. È sempre stato alquanto irruente.»

«Già, i suoi modi bruschi non gli hanno mai fatto guadagnare molti amici, ma lui non se ne curava.»

«Parlatemi dell'omicidio.»

Il vecchio si curvò nelle spalle, facendosi minuscolo.

«Aveva rinunciato a esercitare pressioni sui monaci. Mi aveva chiesto dielencare tutte le possibili violazioni del diritto canonico, stavamo toccando ilfondo. Passava gran parte del tempo a spulciare i libri mastri e gli archivi.S'era fatto ansioso, doveva assolutamente trovare qualcosa da sottoporreall'attenzione di Lord Cromwell. Negli ultimi due giorni lo vidi di rado,poiché era impegnato a controllare i resoconti dell'economo.»

«Che cosa stava cercando?»

«Una qualunque imprecisione. Come ho già detto, stava toccando il fondo.Ma aveva un po' di esperienza di questa nuova contabilità italiana, quella incui si registrano il dare e l'avere.»

«Sì, la partita doppia. Be', forse non sapeva un granché di giurisprudenza, ma di certo la contabilità la conosceva piuttosto bene.»

«Già», sospirò. «Quella notte cenammo per conto nostro, come diconsueto. Singleton pareva essere d'umore più gaio. Disse che si sarebberitirato nella sua stanza per esaminare alcuni libri mastri che era riuscito asottrarre dall'ufficio dell'economo. L'economo era fuori quella notte… lanotte in cui…»

«L'economo è per caso un ometto grassoccio dagli occhi scuri? Loabbiamo visto in cortile, intento a discutere di denaro.»

«Esatto. Fratello Edwig. Di certo discuteva con il sacrista per i progetti direstauro. Fratello Edwig mi piace, è un uomo pratico. Non ama sperperare ildenaro. Ne servirebbero altri del suo stampo. L'amministrazione quotidianadel monastero è appannaggio esclusivo del priore Mortimus e di fratello

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Edwig, entrambi di manica assai stretta.» Bevve un altro sorso di vino.

«Che cosa accadde in seguito?»

«Lavorai per un'ora, poi recitai le mie preghiere e andai a letto.»

«E dormiste?»

«Sì. Ma fui svegliato di soprassalto verso le cinque. Udii dei rumori, poiqualcuno batté fragorosamente alla porta, proprio come ha fatto il priorepoc'anzi.» Rabbrividì. «Era l'abate accompagnato da una decina di monaci.L'abate pareva sconvolto, terrorizzato. Mi disse che il commissario eramorto, che qualcuno lo aveva ucciso e che dovevo seguirli immediatamente.

«Mi vestii e scesi con loro. Regnava una gran confusione, i monacifarfugliavano di porte chiuse e sangue, e udii qualcuno dire che era stata unapunizione divina. Si procurarono delle torce e ci dirigemmo verso le cucine,passando per gli alloggi dei monaci. Faceva terribilmente freddo lungoquell'infinito dedalo di corridoi bui, dove religiosi e servitori si guardavanoattorno con occhi sgranati. E poi aprirono quella porta. Buon Dio.» Con miasomma sorpresa, l'uomo abbozzò un rapido segno della croce.

«C'era odore di…» rise istericamente, «di macelleria. La stanza era pienadi candele, disposte ovunque sulle lunghe tavolate e sulle dispense. Calpestaiqualcosa, e il priore mi tirò di lato. Quando sollevai il piede, lo vidiimbrattato di sostanza vischiosa. Sul pavimento c'era una larga pozza diliquido scuro, ma da principio non compresi di che cosa si trattava.

«Poi vidi Robin Singleton steso prono al centro della chiazza, la vestemacchiata. Compresi subito che qualcosa non andava, ma sul momento imiei occhi non riuscirono a decifrare la scena. Poi mi resi conto che era statodecapitato. Mi guardai attorno e la vidi, la testa, che mi fissava da sotto lazangola. Solo allora capii che la pozza scura era sangue.» Chiuse gli occhi.«Buon Dio, ero terrorizzato.» Li riaprì, vuotò la coppa di vino e fece perprendere di nuovo la caraffa, ma io la coprii con una mano.

«Direi che per ora può bastare, mastro Goodhaps», aggiunsi con vocemite. «Proseguite.»

Gli occhi gli si riempirono di lacrime. «Pensai che lo avessero ucciso loro,pensai si fosse trattato di un'esecuzione, e che presto sarebbe toccato anche ame. Li guardai in viso, cercando il possibile boia. Avevano tutti un'aria

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talmente cupa. Poi quel certosino, con un orribile ghigno dipinto sul viso,gridò: 'Mia è la vendetta, disse il Signore'.»

«Ha detto proprio così?»

«Sì. Al che l'abate lo investì intimandogli di tacere, poi mi raggiunse.'Mastro Goodhaps', disse. 'Spiegateci come dobbiamo comportarci.' Alloracompresi che erano spaventati quanto me.»

«Posso dire una cosa?» azzardò Mark. Annuii.

«Quel certosino non potrebbe mai mozzare la testa a un uomo. Non neavrebbe la forza, né l'equilibrio necessario.»

«È vero», concordai e mi voltai nuovamente verso il vecchio. «Che cosa avete detto all'abate?»

«Lui voleva che ci rivolgessimo alle autorità civili, ma io sapevo che laprima cosa da fare era avvisare Lord Cromwell. Sapevo che quant'eraaccaduto avrebbe avuto delle implicazioni politiche. L'abate aggiunse che ilguardiano, il vecchio Bugge, aveva riferito d'aver incontrato Singletonqualche ora prima, nel corso della sua ronda notturna, e che lui gli avevadetto d'avere un appuntamento con uno dei monaci.»

«A quell'ora? E disse con chi?»

«No. A quanto pare Singleton lo congedò in malo modo.»

«Capisco. E poi?»

«Intimai ai monaci di mantenere il più assoluto silenzio. Ordinai chenessuna missiva lasciasse il monastero senza mia previa autorizzazione, espedii la mia affidandola al portalettere del villaggio.»

«Avete agito bene, mastro Goodhaps, in modo molto assennato.»

«Vi ringrazio.» Si asciugò gli occhi con la manica. «Ero spaventato amorte, signore. Tornai nella mia stanza e mi ci chiusi dentro. Sono spiacente,mastro Shardlake, ma ho perduto tutto il mio coraggio. So che avrei dovutocondurre delle indagini, ma… io sono soltanto un povero studioso.»

«Be', ora ci siamo noi. Ditemi, chi ha rinvenuto il cadavere?»

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«Il frate infermiere, fratello Guy. Quel monaco dalla pelle scura.»Rabbrividì. «Ha detto d'essere andato nelle cucine per preparare del lattecaldo da portare a un vecchio monaco malato. Lui ha la chiave. Ha aperto laporta esterna e ha attraversato il piccolo ingresso. Quando ha aperto la portadelle cucine, si è ritrovato nella pozza di sangue e ha dato l'allarme.»

«Quindi, solitamente, le cucine rimangono chiuse a chiave durante lanotte?»

Annuì. «Sì, per impedire che monaci e servitori vengano a rimpinzarsi di nascosto. I frati pensano solo a riempirsi la pancia, e vedrete da voi che sonoquasi tutti grassi.»

«La chiave delle cucine e l'appuntamento di cui il guardiano ha riferito:tutto riconduce a una persona interna al monastero. Ma nella vostra letteranon avete anche parlato della profanazione della chiesa e del furto d'unareliquia?»

«Esatto. Ci trovavamo tutti nelle cucine, quando uno dei monaci è venutoad annunciare che…» deglutì, «che sull'altare della chiesa era statosacrificato un gallo. In seguito hanno scoperto che la reliquia del buonladrone era stata rubata. I monaci sostengono sia stata opera d'un intruso che,incappato nel commissario in una delle sue peregrinazioni notturne, lo abbiaucciso.»

«Ma come avrebbe potuto un intruso avere accesso alle cucine?»

L'uomo si strinse nelle spalle. «Potrebbe aver pagato uno dei servitori perottenere una copia della chiave. Questo, almeno, è quanto crede l'abate,sebbene l'unico servitore ad averla sia il cuoco.»

«E che cosa mi dite della reliquia? Era di grande valore?»

«Quella mostruosità! Una mano inchiodata a un pezzo di legno. Eracustodita in una grossa teca d'oro tempestata di pietre preziose: credo sitrattasse di smeraldi autentici. Si dice sia in grado di curare le ossa rotte odeformate, ma non è altro che un'impostura per ingannare i creduloni.» Perun istante la sua voce si riempì dell'ardore dei riformisti. «I monaci sono piùpreoccupati per la reliquia che per l'assassinio di Singleton.»

«E voi che cosa ne pensate di tutta la faccenda?»

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«Non so davvero che cosa dire. I monaci parlano di adoratori del demonio,il cui intento era rubare la reliquia. Ma i frati ci odiano, il loro odio èpalpabile. Signore, ora che siete qui, potrei fare ritorno a casa?»

«Non ancora. Ma spero di potervi congedare presto.»

«Almeno non sarò più solo fra queste mura.»

Bussarono alla porta, e un servitore fece capolino dietro l'uscio.

«L'abate è ritornato, signore.»

«Molto bene. Mark, aiutami ad alzarmi. Sono tutto anchilosato.» Mi rimisiin piedi grazie a lui e diedi una rassettata alle vesti.

«Vi ringrazio, mastro Goodhaps, avremo occasione di parlare ancora. Inogni modo, che cosa ne è stato dei libri mastri che il commissario stavaesaminando?»

«L'economo se li è ripresi.» Il vecchio scosse il capo. «Come siamo potutigiungere a questo punto? Io non desideravo altro che la riforma della Chiesa;com'è possibile che al mondo accadano cose simili? Ribellioni, tradimenti,omicidi. A volte mi domando che senso abbia tutto questo.»

«Un senso c'è sempre, almeno nei misteri dell'uomo», dissi con fermezza.«Questo è quanto credo. Forza, Mark. Andiamo a incontrare il buon abate.»

Capitolo sei

Il servitore ci fece nuovamente strada al piano di sotto e ci feceaccomodare in una stanza spaziosa, le cui pareti erano tappezzate divariopinti arazzi fiamminghi, vecchi ma pregiati. Le finestre davano su unvasto cimitero punteggiato d'alberi, dove un paio di servitori stavarastrellando le ultime foglie autunnali.

«Il mio signore, l'abate, si sta cambiando d'abito. Vi raggiungerà frabreve.» L'uomo s'inchinò e uscì, lasciandoci al tepore del caminetto.

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Un'ampia scrivania disseminata di carte e pergamene dominava la stanza, con una sedia imbottita da un lato e qualche sgabello dall'altro. Sopra un vassoio d'ottone troneggiava il massiccio sigillo dell'abbazia, poggiato su un blocco di cera accanto a una caraffa di vino e alcune coppe d'argento. Lungola parete dietro la scrivania correvano degli scaffali carichi di libri.

«Non pensavo che gli abati vivessero in tanto lusso», osservò Mark.

«Oh, sì, e godono di alloggi privati. In origine vivevano insieme aiconfratelli, ma quando, secoli fa, la Corona ha cominciato a tassare le lorodimore, i religiosi hanno escogitato il trucco di assegnare agli abati dellerendite personali, legalmente distinte. Ora gli abati vivono agiatamente,lasciando gran parte delle proprie incombenze in mano ai priori.»

«Perché il re non modifica la legge, in modo che anche gli abati possanoessere tassati?»

«In passato i sovrani avevano bisogno del loro sostegno nella Camera deiPari. Ma ben presto il problema non sussisterà più», risposi.

«Dunque quel barbaro di uno scozzese ha in mano le redini di questoluogo?»

Girai dietro alla scrivania e curiosai fra gli scaffali, che ospitavano ancheuna raccolta stampata della legislazione inglese. «Piuttosto arrogante, eh?

Sembrava godere nel maltrattare quel novizio.»

«Quel ragazzo ha l'aria malata.»

«Già. E sono proprio curioso di sapere perché mai a un novizio siano stateassegnate le umili incombenze destinate alla servitù.»

«Pensavo che ai monaci fosse imposto di dedicare parte della loro giornataa lavori manuali.»

«Certo, così recita la regola benedettina. Ma sono secoli che i monaci diquest'ordine non si rimboccano le maniche. I servitori fanno tutto il lavoro.»

Presi il sigillo e lo esaminai alla luce delle fiamme. Era d'acciaiotemperato. Mostrai a Mark l'incisione di san Donato in vesti romane, chinosu un uomo disteso su una gerla, il braccio teso in segno di supplica. Era di

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squisita fattura, il panneggio delle vesti reso sin nei minimi dettagli.

«San Donato che resuscita il morto. Ho consultato il libro Vite dei santi prima di partire.»

«Aveva davvero il potere di ridare la vita? Come Cristo con Lazzaro?»

«Si dice che un giorno Donato incontrò un drappello di persone chescortavano un morto nella tomba. Un uomo stava infastidendo la vedova perun prestito che il defunto non gli avrebbe restituito. Il beato disse al mortod'alzarsi e regolare i propri conti. Il resuscitato s'alzò e dimostrò di aver giàonorato il suo debito. Poi si distese nuovamente, morto. Denaro, denaro…questa gente non sa pensare ad altro.»

Udimmo un rumore di passi, la porta si aprì e un uomo sulla cinquantina,alto e robusto, fece il suo ingresso. Sotto l'abito benedettino s'intravedevanodelle calzabrache di lana pregiata e scarpe dalle fibbie d'argento. Visorubicondo, naso aquilino d'impronta romana e lineamenti squadrati sotto ifolti capelli castani. La chierica, un minuscolo cerchio rasato, era solol'indispensabile concessione alla regola. Entrò sorridendo.

«Sono l'abate Fabian.» I modi patrizi e il tono vistosamente aristocraticonon riuscirono a celare una nota d'agitazione nella sua voce. «Benvenuti aScarnsea. Pax vobiscum.»

«Mastro Matthew Shardlake, commissario del vicario generale.» Nondiedi la formale risposta «e con il tuo spirito», poiché non tolleravo tutti queiridicoli orpelli latini.

L'abate annuì grave. I suoi occhi, d'un azzurro intenso, mi squadrarono dacapo a piedi come due saette, poi guizzarono di stupore non appenas'accorsero di che cosa tenevo in mano.

«Signore, vi prego di fare molta attenzione. Quello è il sigillo ufficiale delmonastero. Non è mai uscito da questa stanza. E, in linea teorica, solo ioavrei il diritto d'impugnarlo.»

«In quanto commissario regio, nulla mi è vietato in questo luogo, miosignore.»

«Oh, certamente, signore, certamente.» Mi seguì con lo sguardo mentreriponevo l'oggetto sulla scrivania. «Sarete affamati, dopo un viaggio tanto

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lungo; volete che faccia preparare qualcosa?»

«Più tardi, vi ringrazio.»

«Sono davvero dispiaciuto di avervi fatto attendere, ma avevo dellefaccende da sbrigare con l'amministratore dei nostri possedimenti diRyeover. C'è ancora molto da fare con i rendiconti del raccolto. Gradirestedel vino, forse?»

«Solo un goccio.»

Me ne versò una coppa, poi si voltò verso Mark. «Posso chiedere chi è costui?»

«Mark Poer, praticante e mio assistente.»

L'uomo levò un sopracciglio. «Mastro Shardlake, abbiamo questioni dellamassima serietà da discutere. Potrei suggerire di farlo in privato? Il ragazzopotrebbe attendervi negli alloggi che vi ho fatto preparare.»

«Non sono d'accordo, mio signore. Il vicario generale in persona harichiesto la presenza di mastro Poer. Egli deve essere sempre presente, ameno che io non ritenga altrimenti. Desiderate esaminare il mio mandato,ora?»

Mark rivolse all'abate un largo sorriso.

Questi si fece paonazzo in volto e chinò leggermente il capo. «Comepreferite.»

Passai il documento nelle sue mani inanellate. «Ho parlato con mastroGoodhaps», dissi mentre rompeva il sigillo. L'espressione del suo viso sicontrasse e il naso parve curvarsi in avanti, come se da quel foglio si levassel'odore di Cromwell in persona. Guardai fuori della finestra affacciata sulgiardino, dove alcuni servitori erano intenti a bruciare le foglie secche,levando un esile pennacchio di fumo bianco verso il cielo plumbeo.

Calava la sera.

L'abate esaminò il documento un istante, poi lo posò sullo scrittoio. Siprotese in avanti, congiungendo le mani.

«Quest'assassinio è l'evento più terribile che mai sia accaduto in questo

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luogo, assieme alla profanazione della chiesa. Sono davvero… sconvolto.»

Annuii. «Ha sconvolto anche Lord Cromwell. Egli non desidera che lavoce di quest'incidente si diffonda. Avete mantenuto l'accaduto sotto il piùstretto silenzio?»

«Assolutamente, signore. Ai monaci e ai servitori è stato detto che se neavessero fatto parola con qualcuno, ne avrebbero risposto al vicariogenerale.»

«Bene. Vi prego anche di fare in modo che tutta la corrispondenza in arrivo e in partenza sia sottoposta alla mia attenzione e approvazione. Ora, immagino che la visita del commissario Singleton non sia stata per voi una gradita sorpresa.»

L'abate sospirò nuovamente. «Che cosa posso dire? Due settimane fa horicevuto dal gabinetto di Lord Cromwell una lettera nella quale s'annunciaval'arrivo di un commissario per discutere di alcune questioni non megliospecificate. Al suo arrivo, il commissario Singleton mi comunicò chedesiderava la resa di questo monastero. Io ne rimasi alquanto sbalordito.»

Mi guardò dritto negli occhi, e vidi che dietro l'ansia del suo sguardo sicelava una scintilla di disprezzo. «Sottolineò che sperava in una resavolontaria, e pareva fosse disposto a ottenerla a qualsiasi costo, alternandopromesse di denaro a vaghe minacce riguardanti presunti illeciti, privi diqualsivoglia fondamento, vorrei aggiungere. Sull'insensato Atto di resa chevoleva costringermi a firmare c'era scritto che la nostra vita qui si fondava suuna falsa religione, colma di sciocche cerimonie romane», disse in tonooffeso. «Le nostre funzioni seguono alla lettera le ingiunzioni del vicariogenerale, e ogni confratello ha prestato giuramento, rinunciando all'autoritàpapale.»

«Non ne dubito», dissi. «Altrimenti ci sarebbero state gravi ripercussioni.»Notai che ben in vista sull'abito l'abate sfoggiava l'emblema d'unpellegrinaggio; era stato al santuario di Nostra Signora di Walsingham. Delresto, anche il sovrano vi si era recato in passato.

L'abate fece un respiro profondo. «Il commissario Singleton e io abbiamoavuto svariate discussioni perché io sostenevo che il vicario generale nonavesse alcun diritto legale d'ordinare la resa della casa. Evidenza che mastroGoodhaps, esperto di diritto canonico, non ha potuto contestare.»

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Non replicai, aveva ragione. «Forse potremmo passare all'esame dellecircostanze del delitto», dissi. «Questa, ora, è la questione più urgente.»

Il religioso annuì, cupo in viso. «Quattro giorni fa, nel pomeriggio, ilcommissario Singleton e io abbiamo avuto un'altra lunga e, temo, infruttuosadiscussione. Non lo rividi più vivo. Alloggiava in questo edificio, ma lui emastro Goodhaps avevano preso l'abitudine di cenare da soli. Andai adormire alla solita ora. Poi, alle cinque del mattino, fui svegliato da fratelloGuy, il frate infermiere, che aveva fatto irruzione nella mia stanza. Mi disseche aveva trovato nelle cucine il corpo del commissario Singleton, disteso inuna pozza di sangue. Lo avevano decapitato.» Il viso dell'abate si contrassein una smorfia di ripugnanza. «Lo spargimento di sangue in un luogo sacro èun abominio, signore. E poi c'è stata la scoperta della chiesa, quando imonaci si accingevano al mattutino.»

«E che cosa avete trovato?»

«Altro sangue. Il sangue di un galletto nero che giaceva, anch'essodecapitato, dinanzi all'altare. Temo abbiamo a che fare con la stregoneria,mastro Shardlake.»

«E una reliquia è scomparsa, se non vado errato.»

L'abate si morse il labbro. «La santissima reliquia di Scarnsea. Unica esacra, la mano del buon ladrone crocifisso con Cristo, inchiodata a unframmento della sua croce. Fratello Gabriel si è accorto della sua sparizionepiù tardi, quella stessa mattina.»

«Mi è stato riferito che era d'inestimabile valore. La teca d'oro in cui eracustodita non era tempestata di smeraldi?»

«Esatto. Ma è il suo contenuto a starmi più a cuore. Il pensiero che un oggetto tanto sacro possa essere caduto nelle mani di una strega…»

«Non è stata la stregoneria a mozzare la testa al commissario regio.»

«Alcuni dei confratelli lo pensano. Nelle cucine non ci sono strumenti ingrado di decapitare un uomo. Non è un'operazione semplice da eseguire.»

Mi protesi in avanti, poggiando una mano sul ginocchio. Una posizioneintesa a dare un po' di sollievo alla mia schiena, ma pur sempre d'effettominaccioso. «I vostri rapporti con il commissario Singleton non erano buoni.

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Mi avete detto che usava cenare nella sua stanza?»

L'abate Fabian spalancò le braccia. «In quanto emissario del vicario generale, è sempre stato trattato con ogni cortesia. È stata una sua scelta non sedere alla mia tavola. Ma vi prego», disse alzando appena il tono della voce, «lasciatemi ripetere che io aborro la sua morte, e la giudico esecrabile. A questo proposito, vorrei dare degna sepoltura ai suoi poveri resti mortali. La loro presenza è di grande angoscia ai confratelli, che temono il fantasma del defunto. Ma mastro Goodhaps ha insistito che il corpo fosse preservato per l'indagine.»

«Un consiglio alquanto assennato. Il mio primo compito sarà appuntoquello d'esaminarlo.»

L'abate mi scrutò guardingo. «Avete intenzione d'investigare su questodelitto da solo, senza il coinvolgimento delle autorità civili?»

«Esatto, e intendo farlo in fretta. Ma accetterò ogni vostra forma dicollaborazione e assistenza.»

Spalancò nuovamente le braccia. «Ma certamente. Tuttavia, per esserefranco, non saprei davvero da dove potreste cominciare. Mi pare un compitoimpossibile per un uomo solo. Soprattutto se, come sono certo, il colpevolesi nasconde in paese.»

«Che cosa ve lo fa pensare? Mi è stato riferito che il guardiano haincontrato il commissario Singleton la notte in cui è stato ucciso. Haaffermato che il commissario si stava recando a un appuntamento. E so chela porta delle cucine è sempre chiusa a chiave.»

L'abate si protese in avanti con aria grave. «Signore, questa è la casa diDio, votata all'adorazione di Cristo.» Chinò il capo nel menzionare il nomedi Nostro Signore. «Nel corso dei suoi quattrocento anni di vita, non è maiaccaduta una cosa simile. Ma nel peccaminoso mondo che vive oltre questemura un pazzo o, peggio, un seguace della stregoneria deve aver violato inostri confini con intenti profanatori. E il saccheggio della chiesa lo rendeevidente. Io credo che il commissario Singleton abbia sorpreso l'intruso, ogli intrusi, mentre si recava al suo appuntamento. E per quanto concerne lachiave, il commissario ne aveva una a disposizione. L'aveva richiesta alpriore Mortimus quello stesso pomeriggio.»

«Capisco. Avete idea di chi volesse incontrare?»

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«Vorrei tanto saperlo. Ma quell'informazione è morta con lui. Signore,ignoro quali violenti pazzi si aggirino oggigiorno per le strade del paese, madi certo so che metà degli abitanti di Scarnsea è dedita al contrabbando dilana con la Francia.»

«Affronterò la questione domattina, quando m'incontrerò con il giudice dipace locale, mastro Copynger.»

«È necessario il suo coinvolgimento?» Era chiaro che la cosa non glifaceva piacere.

«Il suo soltanto. Ditemi, da quanto tempo siete l'abate di questomonastero?»

«Da quattordici anni. Quattordici anni di totale serenità, fino a ora.»

«Ma un paio d'anni fa ci sono stati dei problemi, non è forse vero?» Arrossì. «Sì. Alcuni confratelli… sono caduti nel vizio. Il vecchio priore… ci sono stati alcuni episodi di depravazione, ma incidenti simili possono capitare anche nei luoghi più sacri.»

«Depravazione e illeciti.»

«Il vecchio priore è stato destituito e sospeso dall'ufficio sacerdotale. Ilpriore, come sapete, è un mio sottoposto, responsabile del benessere e delladisciplina dei confratelli. Ma era un'astuta canaglia, quello, e ha saputotenere i suoi loschi traffici ben nascosti. Ora, però, con fratello Mortimusabbiamo ristabilito la giusta disciplina. Persino il commissario Singleton hadovuto riconoscerlo.»

Annuii. «Ora, ditemi, ci sono sessanta servitori in questa casa, non ècosì?»

«Il nostro monastero è assai vasto.»

«E quanti monaci, una trentina?»

«Signore, non posso credere che uno dei miei servitori, e tantomeno unconfratello votato al servizio dell'Onnipotente, possa aver perpetrato unsimile scempio.»

«Per principio nessuno è escluso, mio signore. Dopotutto, il commissario

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Singleton era qui per negoziare la resa del monastero. E nonostante le pensioni graziosamente offerte da Sua Maestà siano alquanto generose, immagino che alcuni possano non aver accolto di buon grado la fine della loro vita in questo luogo.»

«Ai confratelli non era stata comunicata la ragione della sua visita.Sapevano soltanto che mastro Singleton era un emissario del vicariogenerale. Avevo chiesto al priore Mortimus di dire loro che c'erano deiproblemi con il titolo di proprietà di uno dei nostri possedimenti. Dietrospecifica richiesta del commissario Singleton. Solo i miei officiali, gliobedenziari anziani, erano a parte dei suoi propositi.»

«Di chi state parlando, per la precisione?»

«Oltre al priore Mortimus, si tratta di Gabriel, il sacrista, fratello Edwig, ilnostro economo, e fratello Guy, il frate infermiere. Sono i confratelli piùanziani della congregazione e vivono in questo monastero da moltissimotempo, eccezion fatta per fratello Guy, che si è unito a noi soltanto lo scorsoanno. Dalla notte del delitto, sono girate molte voci sul reale motivo dellavisita del commissario, ma io mi sono sempre attenuto alla versione dellaproprietà contesa.»

«Bene. Per il momento dobbiamo aderire a questa versione, sebbene laresa sia un argomento sul quale intendo ritornare.»

L'abate rifletté qualche istante, scegliendo con attenzione le parole.

«Signore, persino in queste terribili circostanze, io devo insistere sulrispetto dei miei diritti. L'Atto di dissoluzione delle case minori specificava achiare lettere l'esclusione dei monasteri maggiori. Non esistono le basi legaliper esigere una resa, a meno che la casa non venga riconosciuta colpevole diun'evidente violazione delle ingiunzioni, e non è il nostro caso. Non conoscoi motivi che spingono il vicario generale a rivendicare la proprietà di questomonastero. Ho saputo che la medesima richiesta è stata rivolta ad altre case,ma devo dirvi, come avevo già riferito a mastro Singleton, che io faccioappello alla protezione che la legge stessa mi offre.» Si appoggiò alloschienale, il viso paonazzo e le labbra serrate, in difficoltà eppuresprezzante.

«Vedo che avete una nutrita raccolta di leggi», osservai.

«Ho studiato giurisprudenza a Cambridge, molti anni or sono. Voi che

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siete avvocato, signore, dovreste sapere che l'osservanza della legge è labase della nostra società.»

«Lo è sicuramente, ma le leggi mutano. Sono stati promulgati dei nuoviatti, cui ne seguiranno altri.»

Mi guardò inespressivo. Sapeva bene che non ci sarebbero più statechiusure forzate dei monasteri fino a che nel paese fosse perdurata unasimile instabilità.

Fui io a rompere il silenzio. «Ora, mio signore, vi sarei grato se potestedisporre l'esame del corpo del povero Singleton che, come voi mi dite,attende cristiana sepoltura. Necessiterei anche di qualcuno che mi facessevisitare il monastero, ma forse per questo potremo attendere domattina, vistoche ormai sta calando la sera.»

«Certamente. Il corpo è stato sistemato in un luogo che, ne converrete, è ilpiù adatto e sicuro: l'infermeria. Vi farò immediatamente accompagnare dafratello Guy. Vi prego di credere che farò tutto ciò che è nelle mie possibilitàper aiutarvi, sebbene tema che ogni vostro sforzo risulterà vano.»

«Ve ne sono grato.»

«Bene. Ho fatto preparare per voi una delle camere degli ospiti al pianosuperiore.»

«Vi ringrazio, ma preferirei alloggiare vicino all'oggetto delle mie indagini. Avete delle stanze per gli ospiti nell'infermeria?»

«Be', sì… ma sono convinto che un rappresentante di Sua Maestàdovrebbe alloggiare vicino all'abate.»

«L'infermeria andrà benissimo», dissi con fermezza. «E avrò bisogno diun mazzo di chiavi completo, che apra le porte di tutti gli edifici interni almonastero.»

L'abate sorrise incredulo. «Ma… avete idea di quante porte ci siano qui, equante chiavi?»

«Sono sicuro che saranno moltissime. E di certo ci saranno dei mazzicompleti.»

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«Io ne ho uno, come pure il priore e il guardiano. Ma vengono usati di continuo.»

«Ne ho assolutamente bisogno, signore. Vi prego di provvedere.» Mialzai, soffocando un gemito di dolore per uno spasmo alla schiena. Mark sialzò a sua volta. L'abate Fabian ci imitò in preda allo sconforto, lisciandosile pieghe della veste. «Farò in modo che siate subito accompagnati ininfermeria.»

Lo seguimmo nell'androne, dove si congedò con un frettoloso inchino. Sospirai.

«Credete che vi darà le chiavi?» chiese Mark.

«Oh, penso proprio di sì. Teme l'autorità di Cromwell, ma conosce anchela legge. Se le sue origini sono davvero umili come Goodhaps ci haraccontato, l'essere divenuto abate di un così vasto monastero devesignificare tutto per lui.»

«Però il suo accento è aristocratico.»

«Gli accenti si apprendono, anche se con grande fatica. Quello di LordCromwell, per esempio, ha ancora un po' della cadenza di Putney, mentre iltuo sa un po' di fattoria.»

«M'è parso molto seccato del nostro rifiuto di alloggiare qui.»

«Infatti, proprio come lo sarà il vecchio Goodhaps. Ma non posso farciniente: non voglio trovarmi rinchiuso qui dentro sotto l'occhio vigiledell'abate, ho bisogno di sentirmi vicino al luogo del delitto.»

Qualche minuto dopo fummo raggiunti dal priore Mortimus, che portavauna gran quantità di chiavi tenute insieme da un anello di ferro. Ce n'eranopiù di trenta, alcune delle quali enormi, riccamente decorate, vecchie disecoli. Me le porse con un sorriso forzato.

«Vi prego di averne gran cura, signore. È l'unico mazzo di riserva chepossediamo.»

Lo passai a Mark. «Portale tu, ti spiace? Dunque esisteva un mazzo di

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riserva?»

Evitò di rispondere. «Mi è stato domandato di accompagnarvi ininfermeria. Fratello Guy vi sta aspettando.»

Uscimmo dalla casa e oltrepassammo le fucine ormai chiuse per la notte.

Una gelida notte senza luna. Ero esausto, e il freddo pareva penetrarmi finnelle ossa come una lama di pugnale. Passammo di fronte alla chiesa, dallaquale si levavano le note delle salmodie. Una splendida ed elaboratapolifonia, con un accompagnamento d'organo; niente a che vedere con glistonati gorgheggi cui ero stato abituato a Lichfield.

«Chi è il maestro del coro?» chiesi.

«Fratello Gabriel, il sacrista. È un uomo dai molti talenti.» Colsi una notasardonica nella voce del priore.

«Non è un po' tardi per i vespri?»

«Un poco. Ieri erano i Morti e i monaci sono rimasti in chiesa tutto ilgiorno.»

Scossi il capo. «Ogni monastero osserva degli orari propri, che sonosempre meno rigidi di quanto disponga la regola di san Benedetto.»

Il priore annuì serio. «E Lord Cromwell ha ragione quando dice che i monaci dovrebbero sempre dimostrarsi all'altezza della propria missione. Perquanto è in mio potere, io faccio in modo che sia così.»

Proseguimmo lungo il muro del chiostro che delimitava gli alloggimonacali ed entrammo nel vasto giardino che avevo visto qualche ora prima.Lì accanto, più ampia di quanto mi aspettassi, sorgeva l'infermeria. Il prioreaprì la serratura della massiccia porta, e noi lo seguimmo all'interno.

Ci ritrovammo in una sala oblunga, con i letti che correvano lungo lepareti, ben distanziati l'uno dall'altro, quasi tutti vuoti. Il numero dibenedettini s'era davvero fatto esiguo: soltanto nel momento della loromassima espansione, prima della Grande Pestilenza, avrebbero potuto averebisogno di un'infermeria tanto grande. Solo tre letti erano occupati, damonaci anziani in tenuta da notte. Nel primo sedeva un frate grasso erubicondo intento a mangiare frutta secca, che ci osservò incuriosito. L'uomo

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nel letto accanto non guardò verso di noi, e capii perché quando notai gliocchi lattei, accecati dalle cateratte. Nel terzo un monaco molto anziano, ilviso emaciato, ridotto a una maschera di rughe, giaceva in preda al delirio.Una figura con una cuffia bianca e la veste blu dei servitori era china su dilui, e gli asciugava premurosamente la fronte con un panno. Con mia sommasorpresa compresi che si trattava d'una donna.

Seduti a un tavolo, accanto a un piccolo altare, cinque o sei monacigiocavano a carte, le braccia fasciate dopo i salassi. Ci osservaronocircospetti.

La donna si voltò. Era giovane, sulla ventina. Era alta e slanciata, un fisicoprosperoso e un viso squadrato dai lineamenti marcati, gli zigomi sporgenti.Non era bella, ma di certo colpiva. Ci raggiunse, osservandoci conintelligenti occhi d'un azzurro intenso che abbassò pudica solo all'ultimomomento.

«Il nuovo commissario regio desidera vedere fratello Guy», disse il priorecon voce perentoria. «I signori alloggeranno qui, che venga preparata lorouna stanza.»

Per un istante, i due si scambiarono uno sguardo carico d'antipatia. Poi lagiovane annuì con una riverenza. «Sì, fratello.»

Si allontanò, scomparendo dietro una porta accanto all'altare. Aveva unportamento composto e sicuro di sé, cosa alquanto insolita per una fanciulladel popolo.

«Una donna all'interno del monastero», constatai. «È contrario alleingiunzioni.»

«Abbiamo una dispensa, come molte case religiose, che ci permette di darloro lavoro in infermeria. Il tocco gentile d'una donna esperta di medicina èassai apprezzato, sebbene dubito si possa ottenere della gentilezza dallemani di quella sfrontata. Ha modi insolenti, il frate infermiere non èabbastanza severo con lei.»

«Fratello Guy?»

«Fratello Guy di Malton - di Malton ma non da Malton, come avretemodo di vedere.»

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La giovane ritornò. «Se volete seguirmi, signori, vi accompagnerò neldispensario.» Parlò con accento locale, la voce morbida e insieme roca.

«Allora, vi lascio.» Il priore fece un inchino e se ne andò.

La fanciulla osservò l'abbigliamento di Mark, che per l'occasione si eramesso in ghingheri. Sotto il mantello imbottito di pelliccia portava unacasacca blu a coprire una tunica gialla, dalla quale spuntava la brachetta. Gliocchi di lei si spostarono sul suo viso; Mark attirava gli sguardi di moltedonne, ma l'espressione della giovane era differente: colsi un'inaspettatatristezza nei suoi occhi. Mark le fece un sorriso accattivante, e lei arrossì.

Le feci cenno con una mano. «Vi prego, fateci strada.»

La seguimmo in un angusto corridoio buio, lungo il quale si aprivano delleporte. Una era socchiusa, e all'interno intravidi un anziano monaco sedutonel letto.

«Alice, sei tu?» chiese l'uomo con voce lamentosa.

«Sì, fratello Paul», rispose lei con dolcezza. «Sarò subito da voi.»

«Il tremito ritorna.»

«Ora vi porto del vino tiepido.»

L'uomo sorrise, rassicurato, e la ragazza proseguì, fermandosi di fronte aun'altra porta. «Questo è il dispensario di fratello Guy, signori.»

Con un piede sfiorai una brocca di pietra posata sul pavimento fuori dellaporta. Con mia grande sorpresa mi resi conto che era tiepida, e mi chinai perosservarla meglio. La brocca era colma d'un liquido scuro e vischioso.

Annusai e balzai in piedi, lanciando alla fanciulla uno sguardo sgomento.

«Che cos'è?»

«Sangue, signore. Nient'altro che sangue. Il frate infermiere stasottoponendo i monaci ai salassi invernali. Il sangue lo conserviamo per leerbe, è un ottimo concime.»

«Non ho mai sentito una cosa simile. Pensavo che ai monaci fosse vietato versare del sangue, persino agli infermieri. Dei salassi dovrebbe occuparsene

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il cerusico.»

«Fratello Guy è medico, e per questo ha una dispensa, signore. Sostieneche nel posto da cui viene, conservare il sangue è una pratica assai comune.Vi domanda di pazientare ancora qualche istante. Ha appena cominciato asalassare fratello Timothy, e deve assicurarsi che tutto proceda bene.»

«D'accordo. Vi ringrazio. Vi chiamate Alice?»

«Alice Fewterer, signore.»

«Allora dite pure al vostro padrone che lo attenderemo. Non vogliamocerto che il suo paziente muoia dissanguato.»

La giovane si congedò con un inchino e si allontanò, il rumore dei tacchidi legno che riecheggiava sul pavimento lastricato.

«Una fanciulla davvero ben fatta», osservò Mark.

«Hai ragione. Strana occupazione, questa, per una ragazza. Penso proprioche la tua brachetta l'abbia assai divertita.»

«Odio i salassi», disse per cambiare argomento. «L'unico che ho fatto miha lasciato spossato per giorni. Ma dicono che servano a equilibrare gliumori.»

«Be', il Signore Iddio m'ha fatto d'umore melanconico e non credo che un salasso possa cambiarmi. Ora, vediamo che cosa abbiamo qui.» Sganciai il grosso mazzo di chiavi dalla cinta, scrutandole alla fioca luce di una lanternaa muro, fino a che non ne individuai una con la scritta INF. La provai e la porta s'aprì.

«Non dovremmo attendere, signore?» chiese Mark.

«Non abbiamo tempo per i convenevoli.» Presi la lanterna dalla parete.

«È la nostra occasione di scoprire qualcosa sul conto dell'uomo che harinvenuto il cadavere.»

La stanzetta era imbiancata a calce, assai ordinata, l'aria intrisa d'unintenso odore di spezie. Il lettino per i pazienti era ricoperto da un lindopanno bianco. Accanto ai ferri da chirurgo, dei piccoli fasci d'erbependevano appesi ad alcuni ganci. Su una delle pareti c'era una complessa

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carta astrologica, mentre sul muro opposto spiccava una grossa croce dilegno scuro in stile spagnolo, alla quale era crocifisso un Cristo d'alabastrodalle ferite vermiglie. Sotto un'alta finestra era posizionato uno scrittoio, sulquale erano meticolosamente disposte piccole pile di documenti fermati dapietre graziose. L'occhio mi cadde su alcune prescrizioni scritte in inglese ein latino.

Mi avvicinai agli scaffali e passai in rassegna vasetti e flaconi, tuttiaccuratamente etichettati con iscrizioni latine. Sollevai il coperchio di ungrosso barattolo e vi trovai delle sanguisughe. Quel luogo era esattamentecome ci si aspettava: c'erano calendule essiccate contro la febbre, aceto perle ferite profonde, polveri per il mal d'orecchie.

In cima all'ultimo scaffale notai tre libri. Un volume stampato di Galeno e uno di Paracelso, entrambi in francese. Il terzo, dalla copertina di pelle preziosamente decorata, era un manoscritto redatto in una strana lingua dai riccioli puntuti.

«Guarda qua, Mark.»

Il giovane guardò da dietro le mie spalle. «Una sorta di codice medico?»

«Non saprei.»

Pur avendo l'orecchio teso, non udii alcun rumore di passi, e trasalii nelsentire un educato colpo di tosse alle mie spalle.

«Vi prego di fare attenzione, signore», mi disse una voce dallo stranoaccento. «Quel libro ha per me un valore inestimabile. È un trattato dimedicina araba, e non figura sulla lista reale di testi proibiti.»

Ci voltammo. Un monaco alto, sulla cinquantina, con il viso scavato eaustero, ci guardava con occhi placidi e profondi. Con mia grande sorpresa,notai che aveva il volto scuro come legno di quercia. Mi era capitatod'incontrare degli uomini di colore a Londra, nei pressi del porto, manessuna di quelle creature mi aveva mai fissato dritto negli occhi.

«Vi sarei molto grato se poteste restituirmi quel volume», disse con voceblesa e gentile, rispettosamente ma con grande fermezza. «Fu dato in dono amio padre dall'ultimo emiro di Granada.»

Glielo porsi e lui mi ringraziò con un aggraziato inchino.

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«Mastro Shardlake e mastro Poer, suppongo?»

«Esatto. E voi siete fratello Guy di Malton?»

«Sì. Vedo che disponete della chiave del mio studio. Di solito solo la miaassistente Alice ha il permesso di entrarvi in mia assenza, per evitare che sifaccia disordine fra le erbe e le pozioni. Assumere una dose sbagliata diqueste polveri potrebbe rivelarsi letale, capite?» Il suo sguardo guizzò sugliscaffali. Arrossii mio malgrado.

«Ho fatto molta attenzione a non toccare nulla, signore.»

Accennò un inchino. «Molto bene. E in che modo posso essere utile alrappresentante di Sua Maestà?»

«Gradiremmo poter alloggiare qui. Avete delle stanze per gli ospiti?»

«Certo. Alice sta già provvedendo. Tuttavia, quest'ala dell'infermeria è ingran parte occupata dai monaci più anziani. Necessitano spesso d'assistenzanotturna, e potrebbero causarvi disturbo. Di solito gli ospiti trovano piùconfortevole alloggiare nella residenza dell'abate.»

«Noi preferiremmo rimanere qui.»

«Come desiderate. Posso fare altro per voi?» Parlò con grande rispetto ma,inspiegabilmente, quella domanda mi fece sentire come uno sciocco pazientecui viene chiesto di elencare i propri sintomi. Nonostante l'aspetto bizzarro,il frate infermiere era di certo un uomo di grande carisma.

«Se non ho frainteso, il cadavere del commissario è stato affidato allavostra custodia?»

«Esatto. Giace in una cripta del cimitero secolare.»

«Vorremmo esaminarlo.»

«Ma certamente. Nel frattempo, forse, gradirete rinfrescarvi e riposare unpoco dopo il lungo viaggio. Cenerete in compagnia dell'abate?»

«No, penso ci uniremo ai monaci in refettorio. Ma un'ora di riposo ci faràbene. A proposito di quel libro», aggiunsi, «siete saraceno di nascita?»

«Sono di Malaga, che ora si trova in Castiglia anche se in passato era parte

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dell'emirato di Granada. Quando Granada è caduta in mano spagnola, nel 1492, i miei genitori si sono convertiti al cristianesimo, ma hanno incontrato innumerevoli difficoltà. In seguito ci siamo trasferiti in Francia, a Lovanio, città internazionale, e le cose sono un po' migliorate. Ovviamente la loro madrelingua era l'arabo.» Sorrise garbato, ma i suoi occhi neri come il carbone erano vigili.

«Avete studiato medicina a Lovanio?» Ero sbalordito, trattandosidell'istituzione più prestigiosa d'Europa. «Dovreste prestare servizio allacorte di un nobile o di un monarca, non in un remoto monastero.»

«Avete ragione; ma essere un saraceno spagnolo ha i suoi svantaggi. Nelcorso degli anni sono rimbalzato dalla Francia all'Inghilterra come una dellepalline per la pallacorda del vostro re Enrico.» Sorrise ancora. «Sonorimasto a Malton, nello Yorkshire, per cinque anni, e ho mantenuto quelnome quando sono giunto qui. E se quanto si dice risponde a verità, prestosarò di nuovo di partenza.»

Ricordai che fratello Guy era uno dei monaci informati delle intenzioni diSingleton. Di fronte al mio silenzio, l'uomo annuì riflessivo.

«Dunque, vi accompagnerò nella vostra stanza e tornerò fra un'ora, inmodo che possiate esaminare il cadavere del commissario Singleton. Ilpoveretto merita una sepoltura cristiana.» Si fece il segno della croce,sospirando. «È già un'impresa ardua per l'anima di un uomo assassinatotrovare la pace, senza aver avuto la possibilità di confessare i propri peccatie senza aver ricevuto il sacramento dell'estrema unzione.»

Capitolo sette

Ci fu assegnata una stanza piccola ma confortevole, le pareti rivestite da pannelli di legno e della paglia fresca e profumata sul pavimento. Il fuoco crepitava nel camino, davanti al quale erano state disposte due sedie. Quando fratello Guy ci fece accomodare, trovammo la giovane Alice intentaa disporre delle salviette accanto a una brocca d'acqua calda.

«Pensavo avreste gradito rinfrescarvi, signori», disse la giovane con

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deferenza.

Le sorrisi. «Molto gentile da parte vostra.»

«Avevo davvero bisogno di riscaldarmi le ossa», le disse Mark con unlargo sorriso. Lei chinò il capo e fratello Guy gli rivolse uno sguardo dirimprovero.

«Grazie, Alice», disse. «Puoi andare.» Lei fece un inchino e uscì dalla stanza.

«Spero troverete la stanza di vostro gradimento. Ho già fatto sapereall'abate che cenerete in refettorio.»

«Perfetto. Vi ringrazio per il disturbo.»

«Per qualunque altra cosa, domandate pure ad Alice.» Lanciò a Mark unaltro sguardo affilato. «Ma vi prego di tenere a mente che la cura dei monacimalati la tiene sempre molto impegnata. Inoltre, fatta eccezione per qualchecuoca più anziana, è l'unica donna in questo luogo. Ed è sotto la miapersonale tutela.»

Mark arrossì. Io feci un inchino. «Lo ricorderemo, signore.»

«Vi ringrazio, mastro Shardlake. Vi lascio soli.»

«Vecchio bisbetico», borbottò Mark quando la porta si chiuse. «L'hosoltanto guardata, e a lei non è dispiaciuto affatto.»

«La ragazza è sotto la sua responsabilità.»

Mark osservò il nostro giaciglio, un alto letto padronale sotto il qualescivolava, montata su ruote, una branda di legno per il servitore. Estrasse lacuccetta e lanciò un'occhiata sconsolata alla dura asse di legno ricoperta daun sottile materasso di paglia, prima di sfilarsi la giacca e sedercisi sopra.

Io mi diressi verso l'anfora e mi detersi il viso con un po' d'acqua tiepida,lasciando che mi gocciolasse sul collo. Ero esausto; la testa mi girava comeun caleidoscopio, all'interno del quale si muovevano le facce e leimpressioni delle ultime ore. Gemetti. «Grazie a Dio siamo soli.» Mi sedettisulla seggiola. «Per tutti i fulmini, sono davvero distrutto.»

Mark levò lo sguardo, preoccupato. «La schiena vi fa molto male?» Sospirai.

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«Una notte di riposo mi rimetterà in sesto.»

«Siete sicuro, signore?» Esitò. «Abbiamo delle salviette, potremmo preparare un impacco… da applicare sulla schiena.»

«No!» sbottai. «Te l'ho già detto, starò benissimo!» Non sopportavo l'ideadi mostrare il mio dorso deforme. Lo permettevo solo al mio medico, esoltanto in casi d'estrema necessità. Mi alzai e andai alla finestra, affacciatasulla buia e deserta corte interna. Dopo qualche istante mi voltai. Mark miguardava, un misto di risentimento e preoccupazione dipinto in volto. Levaiuna mano in segno di scusa.

«Mi dispiace, non avrei dovuto alzare la voce.»

«Non era mia intenzione farvi arrabbiare.»

«Lo so, lo so. Sono stanco e inquieto, nient'altro.»

«Inquieto?»

«Lord Cromwell esige rapidi risultati, e io mi domando se sarò all'altezzadella sua fiducia. Avevo sperato di… non so, di trovare un monaco fanaticogià rinchiuso o, almeno, un chiaro indizio che potesse presto portare allascoperta del colpevole. Goodhaps non è stato d'alcun aiuto; è tantoterrorizzato da temere la propria ombra. E gli officiali paiono ossi piuttostoduri. Come se non bastasse, ci sono i vaneggiamenti di quel certosino cheblatera di stregoneria. Jesu, che pasticcio. L'abate, poi, è ben preparato inmateria di giurisprudenza; non stento a credere che Singleton abbiaincontrato delle difficoltà.»

«Non potete fare miracoli, signore.»

«Eppure Lord Cromwell li esige.» Mi distesi sul letto, gli occhi fissi alsoffitto. Solitamente essere alle prese con un nuovo caso mi procura unsenso di piacevole eccitamento, ma questa volta non riuscivo a trovare ilbandolo di quell'intricata matassa.

«È un luogo assai tetro, questo», disse Mark. «I corridoi di pietra scura,questi archi. L'assassino potrebbe nascondersi ovunque.»

«Già, ricordo quanto mi spaventasse il dedalo di corridoi pieni di echi aitempi della scuola, quando mi mandavano a fare una commissione. Tutte

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quelle porte oltre le quali non si poteva andare.» Provai a suonare piùincoraggiante. «Ma ora ho un mandato che mi garantisce ogni accesso.Questo è un luogo come qualunque altro, e presto sapremo orientarci.» Nonottenni risposta e, sentendolo respirare sonoramente, compresi che Mark siera addormentato. Chiusi gli occhi anch'io per quel che mi parve un istante,e fui svegliato da qualcuno che bussava forte alla porta.

Mark si svegliò di soprassalto, esclamando per lo spavento. Mi alzaisubito, sorprendentemente riposato da quel sonno involontario, la mente dinuovo all'erta. Andai ad aprire. Fratello Guy attendeva sull'uscio reggendouna candela che proiettava ombre bizzarre sullo scuro viso preoccupato. Miguardò serio.

«Siete pronto per esaminare il cadavere, signore?»

«Prontissimo.» Presi il mantello.

Nel vestibolo dell'infermeria incontrammo Alice, che portò una lampadaper il frate infermiere. Fratello Guy si gettò un pesante manto sulle spalle eci fece strada lungo un cupo corridoio dall'alto soffitto a volte.

«Faremo più in fretta passando per il chiostro», disse aprendo una portache dava sul cortile.

La corte era inaspettatamente assai graziosa, illuminata dalle numerosefinestre che rilucevano del bagliore delle candele, e tutt'intorno correva unporticato coperto, sostenuto da elaborati archi. Lì, tempo addietro, i monacistudiavano, seduti in piccoli banchetti esposti alle intemperie; ora, inun'epoca dai molli costumi, quello era diventato un luogo ideale perpasseggiare conversando. A ridosso di una colonna c'era il lavatorium,un'elaborata vasca di pietra usata per lavarsi le mani, dove una fontanellagorgogliava sommessa. Il delicato bagliore delle finestre della chiesaproiettava variopinti riflessi sul terreno. In quel fascio di luce danzavanoinsoliti granelli di polvere, ma da principio non compresi che avevaricominciato a nevicare. Il cortile si era già imbiancato. Fratello Guy ci fecestrada.

«Siete stato voi a scoprire il cadavere, se non sbaglio.»

«Sì. Alice e io ci stavamo occupando di fratello August, che aveva la

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febbre alta e soffriva molto. Volevo portargli del latte caldo, così mi recainelle cucine.»

«E quella porta è di norma chiusa a chiave?»

«Certo. Altrimenti la servitù, e temo anche i miei confratelli, vientrerebbero in continuazione. Io posseggo una chiave per le necessitàurgenti dei miei malati.»

«Erano le cinque del mattino?»

«Il campanile aveva appena suonato le ore.»

«Il mattutino era già iniziato?»

«No, noi lo cantiamo piuttosto tardi. Verso le sei.»

«La regola di san Benedetto lo vorrebbe a mezzanotte.»

L'uomo fece un sorriso gentile. «San Benedetto ha scritto la sua regola peri monaci italiani, signore, non per chi, come noi, è costretto a sopportare irigidi inverni inglesi. Il servizio viene comunque officiato, e giunge alleorecchie di Dio.»

Il religioso aprì un'altra porta e ci ritrovammo in un'ampia sala dalle paretiriccamente affrescate con scene bibliche. La stanza era punteggiata dasgabelli e sedie imbottite, un lungo tavolo disposto davanti a un fuocoacceso. L'aria calda e stantia era pervasa da un intenso odore di corpi. Lastanza ospitava una ventina di monaci. Alcuni chiacchieravano, altrileggevano, e quattro o cinque erano riuniti attorno a un tavolo per una partitaa carte. Ogni frate aveva accanto a sé un grazioso bicchierino di cristalloriempito d'un liquido verde, proveniente da una grossa bottiglia di liquorepoggiato sulla tavola dei giocatori. Mi guardai attorno in cerca del certosino,ma non notai alcun abito bianco fra tutte quelle vesti nere; anche fratelloGabriel, il sodomita dai capelli incolti, e Mortimus, il priore dallo sguardotagliente, mancavano.

Un giovane monaco dal viso smunto, spruzzato da ciuffi di peluria,doveva aver appena perso una partita, a giudicare dall'espressione infastiditache aveva dipinta in volto.

«Ci devi uno scellino, fratello», disse con voce allegra un frate alto e

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dall'aria cadaverica.

«Dovrete attendere. Mi toccherà chiedere un anticipo al tesoriere.»

«Niente più anticipi, fratello Athelstan!» Un vecchio paffuto seduto lìaccanto, il volto deturpato da un'escrescenza verrucosa su una guancia, agitòun dito nella sua direzione. «Fratello Edwig dice che con tutti gli anticipi chechiedi, spendi la tua paga prima ancora d'essertela guadagnata…»

Vedendomi s'interruppe, e i confratelli balzarono in piedi, salutandomicon un inchino. Uno di questi, un giovane tanto obeso che persino la chiericaera solcata da pieghe di grasso, fece cadere a terra il proprio bicchiere.

«Septimus, sei uno zuccone!» Il suo vicino gli sferrò una potentegomitata, e il grassone si guardò attorno, lo sguardo vacuo tipico deisemplici di mente. Il monaco dal volto deturpato si fece avanti, inchinandosidi nuovo in modo ossequioso.

«Sono fratello Jude, signore, l'elemosiniere del monastero.»

«Mastro Matthew Shardlake, commissario regio. Vedo che statetrascorrendo una piacevole serata.»

«Un po' di svago prima del vespro. Gradite un goccio di questo squisitoliquore, commissario? Viene dai conventi delle nostre sorelle francesi.»

Scossi il capo. «Ho ancora del lavoro da sbrigare», dissi severo. «Inorigine, i membri del vostro ordine usavano concludere le loro giornate conil silenzio.»

Fratello Jude esitò. «Era molto tempo fa, signore, nei giorni precedenti la Grande Pestilenza. Da allora il mondo ha accelerato la sua corsa precipitosa verso la fine.»

«Penso che il mondo inglese stia funzionando assai bene sotto re Enrico.»

«No, no…» si precipitò a dire. «Non intendevo…»

Il monaco alto che sedeva al tavolo da gioco ci raggiunse. «Perdonatefratello Jude, signore, egli parla senza riflettere. Io sono fratello Hugh, iltesoriere. Sappiamo bene di avere bisogno di correzione, commissario, el'accetteremo con gioia.» Fulminò il confratello con lo sguardo.

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«Bene. Questo semplificherà il mio compito. Fratello Guy, andiamo,abbiamo un cadavere da esaminare.»

Il giovane monaco obeso si fece avanti con passo incerto. «Perdonate lamia goffaggine, mio buon signore. Questa gamba mi fa molto soffrire,un'ulcerazione», disse rivolgendomi uno sguardo afflitto. Fratello Guy glimise una mano sulla spalla.

«Se seguissi la dieta che ti ho prescritto, Septimus, le tue povere gambenon dovrebbero sopportare un simile peso. Non c'è da stupirsi che se nelamentino.»

«Sono debole, fratello, non posso rinunciare alla carne.»

«Talvolta rimpiango che il Concilio Lateranense abbia abolito il divieto diconsumare carne. Ora scusaci, Septimus, ma abbiamo da fare. Sarai lieto disapere che il commissario Singleton riceverà presto degna sepoltura.»

«Sia lodato il Signore. Temevo di avvicinarmi al cimitero. Un corpo nonsepolto, un uomo che non ha confessato i propri peccati…»

«Sì, sì. Ora vai, è quasi l'ora del vespro.» Fratello Guy lo scostògentilmente di lato, e ci fece strada verso un'altra porta, che dava sulla notte.Dinanzi a noi si aprì una distesa di terreno piatto, punteggiato da lapidi espettrali sagome bianche, che presto compresi essere tombe di famiglia.Fratello Guy alzò il cappuccio per ripararsi dalla neve, che ora cadeva fitta.

«Dovete perdonare fratello Septimus», disse. «È una creatura semplice esventurata.»

«Non c'è da stupirsi che le gambe gli dolgano», osservò Mark. «A portaretutto quel peso.»

«I monaci trascorrono ogni giorno lunghe ore nel gelo della chiesa, mastroPoer, e un consistente strato di grasso non è poi così malsano. È il rimaneresempre in piedi a provocare ulcerazioni varicose. Non è una vita comoda, lanostra. E il povero Septimus non possiede l'acume necessario per capire checosa sia meglio per lui.»

Rabbrividii. «Andiamo, non è il clima adatto per le chiacchiere all'ariaaperta.»

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Tenendo alta la lampada, fratello Guy ci fece strada fra le pietre tombali.Gli domandai se, quando era giunto nelle cucine quel mattino, avesse trovatola porta chiusa a chiave.

«Sì», rispose. «Sono entrato dalla porta che dà sul chiostro, che di notte èsempre chiusa a chiave, poi ho attraversato il breve ingresso che conducenelle cucine. La cucina vera e propria non è mai chiusa, poiché l'unicoaccesso è dato da quel passaggio. Ho aperto la porta e ho messo il piede sudi una sostanza scivolosa. Abbassando la lampada, ho visto il corpodecapitato.»

«Anche mastro Goodhaps ha detto di essere scivolato. Dunque il sangueera liquido?»

Il frate infermiere rifletté un istante. «Sì, non si era ancora rappreso.»

«Quindi il delitto era stato appena compiuto?»

«Sì, doveva essere accaduto da poco.»

«E dirigendovi verso le cucine non avete scorto nessuno?»

«No.»

Fui soddisfatto di notare che la mia mente era di nuovo lucida e ricettiva.

«Chiunque abbia ucciso Singleton dev'essersi sporcato di sangue. Gli abiti, le calzature.»

«Io non ho visto nessuno. Ma confesso di non aver pensato a guardarmiattorno, ero sconvolto. In seguito, certo, quando l'intero monastero è statosvegliato, abbiamo trovato impronte insanguinate ovunque, di tutti coloroche erano entrati nelle cucine.»

Considerai un istante le sue parole. «In seguito l'assassino potrebbe essersirecato in chiesa, aver profanato l'altare e rubato la reliquia. Nessuno di voiha notato tracce insanguinate che attraversavano il chiostro fino allachiesa?»

Fratello Guy mi guardò, scuro in viso. «La chiesa era imbrattata di sangue,ma abbiamo creduto fosse quello del gallo sacrificato. Per quanto concerne ilchiostro, ha cominciato a piovere prima dell'alba e ha continuato per l'intera

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giornata. Le tracce saranno state tutte cancellate.»

«Che cosa avete fatto dopo aver rinvenuto il cadavere?»

«Sono andato subito dall'abate, ovviamente. Eccoci arrivati.»

Ci condusse nella più ampia delle cripte, un edificio a un solo piano suuna piccola altura, costruito nell'onnipresente pietra calcarea gialla. Achiuderlo una massiccia porta di legno, ampia appena da permettere ilpassaggio di una bara.

Sbattei gli occhi per far cadere i fiocchi di neve che si erano attaccati alleciglia. «Bene, mettiamoci al lavoro.» Il religioso estrasse una chiave e io feciun respiro profondo, rivolgendo una silenziosa preghiera a Dio affinchérendesse forte il mio stomaco normalmente assai delicato.

Dovemmo chinarci per entrare nella camera dal basso soffitto, con lepareti imbiancate a calce. Il freddo era pungente, il vento filtrava come unalama da una piccola finestra sbarrata. Nell'aria c'era il vago odore di morte,comune a tutte le tombe. Alla fioca luce della lampada, vidi che sulle paretierano allineati dei sarcofagi di pietra, i cui coperchi erano decorati dasculture raffiguranti i defunti, le mani congiunte sul petto in segno disupplica. Gli uomini, in gran parte, indossavano armature di secoli passati.

Fratello Guy posò la lampada a terra e si mise a braccia conserte, infilandole mani nelle lunghe maniche della tonaca per riscaldarle un poco.

«La cripta Fitzhugh», spiegò. «I membri di questa famiglia sono stati gli originari fondatori del monastero, e sono tutti sepolti qui. L'ultimo discendente ha perso la vita nelle guerre civili del secolo scorso.»

Il silenzio di quell'ambiente fu d'improvviso rotto da un fragoroso strepitometallico. Trasalii involontariamente, come pure fece fratello Guy, gli occhisgranati nel viso scuro. Mi voltai e vidi Mark chinarsi a raccogliere il mazzodi chiavi dell'abate.

«Chiedo venia, signore», bofonchiò. «Pensavo fossero ben strette.»

«Madre Santissima!» sbottai. «Fai più attenzione!» Le gambe mitremavano.

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Al centro della stanza troneggiava un grosso candelabro di metallocompleto di candele. Fratello Guy le accese usando la sua lampada, e neldorato bagliore che inondò la camera funebre ci condusse a un sarcofago dalcoperchio senza decorazioni né iscrizione.

«Questa tomba è l'unica a non avere un occupante permanente e mai ne avrà uno. L'ultimo erede maschio è deceduto a Bosworth al fianco di re Riccardo III.» Sorrise mestamente. «Sic transit gloria mundi.»

«Il corpo di Singleton è deposto lì dentro?» chiesi.

Il religioso annuì. «Si trova qui da quattro giorni, ma il freddo dovrebbeaverlo ben preservato.»

Feci un altro respiro profondo. «Allora togliamo il coperchio. Mark,aiutalo.»

Mark e fratello Guy sollevarono faticosamente la pesantissima pietra per posarla sulla tomba accanto. Da principio la lastra parve resistere ai loro sforzi, poi cedette tutta in una volta. In un istante la stanza fu invasa da un odore nauseante. «Non quanto mi aspettavo», mormorò il frate.

Fratello Guy guardò all'interno, facendosi il segno della croce. Io miavvicinai, appoggiandomi al sarcofago.

Il corpo era avvolto in un bianco panno di lana. Soltanto i piedi e ipolpacci erano scoperti, candidi come alabastro, le unghie lunghe egiallastre.

Dal collo era fuoriuscito un rivolo di sangue acquoso, e da sotto la testa, cheera stata posata accanto al corpo, si estendeva una chiazza di sangue piùscuro. Osservai il volto di Robin Singleton, cui mi ero contrapposto tempoaddietro in tribunale.

Era un uomo snello, sulla trentina, con capelli corvini e un lungo naso. Leguance livide erano spruzzate di una nera peluria, corta e ispida, e mi sentiirivoltare lo stomaco alla vista di quel capo posto su una pietra chiazzata disangue anziché sul collo. Dalla bocca socchiusa si intravedeva il biancoredei denti. Gli occhi di un azzurro intenso erano spalancati nella fissità dellamorte. Deglutendo, mi voltai e m'avvicinai alla finestrella sbarrata per unaboccata di fresca aria notturna. Cercando di soffocare un conato di bile,costrinsi una parte del mio cervello a riordinare ciò che avevo appena visto.

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Mark mi raggiunse.

«State bene, signore?»

«Certo.» Voltandomi, vidi fratello Guy a braccia conserte, composto, chemi scrutava meditabondo. Anche Mark era vagamente impallidito, maritornò al sarcofago per osservare la spaventosa testa mozzata.

«Bene, Mark, che cosa pensi delle modalità del decesso?» domandai.

Il giovane scosse il capo. «Come ci aspettavamo, l'uomo è statodecapitato.»

«Certo non pensavo fosse morto di malaria. Ma osservando il cadavere,possiamo trarre qualche particolare in più, non credi? Tanto per cominciare,direi che l'aggressore doveva essere per lo meno d'altezza medio-alta.»

Fratello Guy mi rivolse uno sguardo incuriosito. «Che cosa ve lo fapensare?»

«Be', prima di tutto, Singleton era molto alto.»

«Difficile a dirsi, senza la testa», disse Mark.

«Ho avuto occasione di incontrarlo in tribunale. Ricordo d'essere statocostretto a torcermi il collo per poterlo guardare in viso.» Mi costrinsi araggiungere il cadavere per osservarlo ancora. «Inoltre, vedete come il colloè stato tagliato di netto? Si appoggia perfettamente sulla pietra. Se almomento dell'aggressione Singleton e il suo assalitore erano entrambi inpiedi, il che sembra alquanto probabile, un uomo basso avrebbe dovutocolpire puntando verso l'alto, cioè inclinando l'arma, e il taglio non sarebberisultato così preciso.»

Fratello Guy annuì. «È giusto. Madre Santissima, signore, avete l'occhiod'un medico.»

«Vi ringrazio, anche se passare la vita a esaminare simili scempi non è unadelle mie massime aspirazioni. In ogni caso, ho già avuto modo d'osservareuna testa mozzata. Ne rammento la…» cercai la parola adatta, «meccanica.»Incontrai lo sguardo incuriosito del monaco e affondai le unghie nel palmodella mano, mentre ricordavo il giorno che tanto avrei voluto dimenticare.«E, visto che siamo in argomento, osservate la precisione del colpo sferrato:

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la testa è stata decapitata di netto, impresa ardua anche quando la vittima èinginocchiata e ha il capo sopra un ceppo.»

Mark osservò nuovamente e annuì ancora una volta. «Sì. Le scuri sonodifficili da maneggiare. Ho sentito dire che per Tommaso Moro un solocolpo non sia bastato. Ma se Singleton fosse stato chinato? Magari perraccogliere qualcosa da terra? O fosse stato costretto ad abbassarsi?»

Riflettei un istante. «Già. Ottima osservazione. In questa evenienza, però,il corpo avrebbe dovuto essere piegato. E fratello Guy se ne ricorderebbe.»Gli rivolsi uno sguardo indagatore.

«Era diritto», disse il monaco pensieroso. «Tutti noi abbiamo pensato alla difficoltà di decapitare un uomo a quel modo. Uno strumento di cucina non basterebbe allo scopo, nemmeno un grosso coltello. Per questa ragione alcuni dei miei confratelli temono si sia trattato di stregoneria.»

«Ma quale arma sarebbe in grado di mozzare in un sol colpo la testa di unuomo che si trovi in piedi?» chiesi. «Una scure? Non penso, è troppo spessa.Servirebbe una lama sottile e molto affilata, come quella d'una spada. Ineffetti, credo che soltanto una spada avrebbe potuto procurare un taglio cosìnetto. Che cosa ne pensi, Mark? Sei tu lo spadaccino, qui.»

«Penso abbiate ragione.» Rise nervoso. «Soltanto i membri delle famigliereali e della nobiltà hanno il privilegio di essere giustiziati con la lama d'unaspada.»

«Proprio perché una spada affilata assicura una rapida fine.»

«Come per Anna Bolena?» disse Mark.

Fratello Guy si fece il segno della croce. «La regina accusata distregoneria», disse pacato.

«Esattamente a quell'episodio stavo pensando», dissi a voce bassa. «L'unica decapitazione cui abbia mai assistito. Quella di Anna Bolena.»

Capitolo otto

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Uscimmo e aspettammo che fratello Guy chiudesse la cripta. La nevecadeva più fitta ora, un turbinio di grossi fiocchi candidi. Il terreno si era giàimbiancato.

«Per fortuna durante il viaggio il tempo è stato più clemente», disse Mark.

«Se non smette, però, avremo dei problemi per il ritorno. Forse dovremopartire via mare.»

Fratello Guy ci raggiunse e ci guardò serio. «Signore, domani vorremmodare degna sepoltura al povero commissario Singleton. Vorreitranquillizzare la comunità, e permettere alla sua anima di trovare finalmentela pace.»

«Dove avete intenzione di seppellirlo? Qui? Non aveva famiglia.»

«Nel cimitero laico. Se voi lo permettete.»

Annuii. «Molto bene. Ho visto abbastanza, la sua immagine s'è impressanella mia mente in modo sin troppo vivido.»

«Ne avete dedotto molto, signore.»

«Intuizioni puramente accademiche.» Stando accanto a fratello Guypercepii un lieve profumo, simile al legno di sandalo. Aveva sicuramente unodore migliore dei suoi confratelli.

«Riferirò all'abate che potremo disporre per il funerale», disse consollievo.

Le campane della chiesa rimbombarono, facendomi trasalire. «Non ho maiudito uno scampanio così fragoroso. L'ho notato anche prima.»

«Le campane sono troppo grandi per il campanile, è vero. Ma la loro storiaè davvero interessante. Provengono infatti dall'antica cattedrale di Tolosa.»

«E come mai sono giunte sin qui?»

«Hanno seguito un percorso travagliato. La cattedrale fu distrutta nel corsodell'attacco arabo di ottocento anni fa, e le campane prese come trofeo.Furono ritrovate a Salamanca quando la città venne riconquistata nel nomedi Cristo, e donate a Scarnsea per la fondazione del monastero.»

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«In ogni modo, penso che delle campane più piccole si adatterebberomeglio a questo luogo.»

«Ormai noi ci siamo abituati.»

«Dubito che io riuscirò a fare altrettanto.»

Abbozzò un rapido sorriso mesto. «Dovete biasimare i miei antenatiarabi.»

Raggiungemmo il chiostro proprio mentre i monaci stavano uscendo inprocessione dalla chiesa. Quella vista mi riportò vividamente alla memoriaun'immagine di molti anni prima: una trentina di monaci benedettini vestitidi nero, i cappucci sollevati e le mani infilate nelle ampie maniche perproteggersi dalla neve che cadeva silenziosa, procedevano nel bagliore dellevetrate illuminate di una chiesa. Uno spettacolo magnifico che, miomalgrado, mi commosse.

Fratello Guy ci ricondusse nella nostra stanza, promettendo di tornare di lìa poco per accompagnarci in refettorio. Ci scrollammo la neve dai mantelli,poi Mark estrasse il suo lettino e si sdraiò.

«Come pensate che uno spadaccino possa aver ucciso Singleton, signore?Credete gli abbia teso un agguato e lo abbia colpito alle spalle?»

Cominciai a disfare il mio bagaglio, ordinando libri e incartamenti. «Èpossibile. Ma che cosa ci faceva Singleton nelle cucine alle quattro delmattino?»

«Forse era lì che aveva il suo appuntamento.»

«Già, pare la spiegazione più plausibile. Qualcuno potrebbe averlo attiratolì con la promessa di un'informazione, per poi ucciderlo. O, per meglio dire,giustiziarlo. Questa faccenda ha il sapore di una vera e propria esecuzione.Accoltellarlo alle spalle sarebbe stato molto più semplice.»

«Aveva l'aria di essere un uomo vigoroso», disse Mark. «Anche se vederloridotto in quel modo non mi aiuta a immaginarlo bene.» Fece una risatastridula, e compresi che lo scempio aveva impressionato anche lui.

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«Robin Singleton era un genere d'avvocato che io detesto. Le sueconoscenze in materia legale erano scarse e confuse. In compenso eraprepotente e bugiardo, sempre pronto, all'occorrenza, a far scivolare qualchemoneta d'oro nella mano giusta. Ma non meritava d'essere ucciso in quelmodo orribile.»

«Non ricordavo che avete assistito all'esecuzione della regina AnnaBolena, signore.»

«Vorrei poterlo dimenticare anch'io.»

«Almeno ne avete tratto qualche insegnamento?»

Annuii tristemente e gli rivolsi un sorriso amareggiato. «Rammento undocente che ho avuto il primo anno agli Inns of Court, il dottor Hamptons.

Ci insegnò a comprendere che cosa fossero le prove. 'Nel corso diun'indagine', ci domandava sempre, 'quali sono le circostanze più rilevanti?Nessuna', ruggiva in risposta. 'Tutte le circostanze sono rilevanti, e ogni cosadeve essere esaminata da ogni possibile angolazione!'»

«Non dite così, signore. Rischieremmo di rimanere bloccati qui persempre.» Si stiracchiò con un gemito. «Potrei dormire per dodici ore filate,persino su questo vecchio tavolaccio.»

«Be', ma non possiamo, non ancora. Voglio incontrare la congregazione al completo in refettorio. Se vogliamo ottenere qualche risultato, dobbiamo imparare a conoscere questa gente. Forza, non c'è riposo per chi viene chiamato al servizio di Lord Cromwell.» Sferrai un calcio all'umile giaciglio,facendo scivolare Mark sotto il mio letto con un grido.

Fratello Guy ci condusse in refettorio attraverso un dedalo di bui corridoi,e poi su per una scala. Era un salone impressionante, con l'alto soffittosostenuto da massicce colonne e ampi archi a volta. Nonostante ledimensioni, gli arazzi alle pareti e la spessa stuoia sul pavimentoconferivano alla stanza un aspetto confortevole. In un angolo era sistematoun leggio magnificamente intagliato. Dei candelabri carichi di grossecandele diffondevano una calda luce su due tavoli apparecchiati con preziosestoviglie. Uno, preparato per sei, era posto proprio davanti al fuoco mentrel'altro, molto più lungo, stava più lontano. I servitori si affaccendavano

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avanti e indietro, portando caraffe di vino e zuppiere d'argento, dalle quali silevavano intensi aromi. Esaminai la posateria del tavolo più vicino al fuoco.

«Argento», notai rivolto a fratello Guy. «Come le stoviglie.»

«Quella è la tavola degli obedenziari, gli officiali anziani del monastero.Gli altri confratelli usano stoviglie in peltro.»

«Per la gente comune c'è il legno», osservai, mentre l'abate Fabian entravasvelto nella sala. I servitori interruppero le loro mansioni per inchinarsi,ricevendo in risposta benevoli cenni del capo. «L'abate, di certo, cenerà inpiatti d'oro», mormorai a Mark.

L'uomo ci raggiunse, rivolgendoci un sorriso tirato.

«Non mi era stato comunicato che desideravate cenare in refettorio. Avevofatto preparare del roast beef nei miei alloggi.»

«Vi ringrazio, ma ceneremo qui.»

«Come desiderate.» L'abate sospirò. «Avevo proposto a mastro Goodhapsdi unirsi a voi, ma rifiuta categoricamente di lasciare la sua stanza.»

«Fratello Guy vi ha riferito che ho dato l'autorizzazione per la sepoltura del commissario Singleton?»

«Sì, lo ha fatto. Darò l'annuncio prima di cena. La lettura di questa seratocca a me. In inglese, in conformità alle nuove ingiunzioni», aggiunsesolenne.

«Bene.»

Ci fu un po' di trambusto all'ingresso, poi i monaci cominciarono a sfilareall'interno del refettorio. I due officiali che avevamo già conosciuto, fratelloGabriel e fratello Edwig, si diressero assieme verso il loro tavolo, insilenzio. Una strana coppia, davvero: il sacrista alto e biondo, il capo chino,e l'economo bruno, che procedeva con passo alquanto sicuro. A loro siunirono il priore, i due officiali che avevo incontrato nella sala capitolare efratello Guy. Il resto della comunità prese posto alla tavolata più lunga. Fraloro scorsi il vecchio certosino, che mi lanciò uno sguardo velenoso. L'abatesi protese in avanti.

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«Ho saputo che fratello Jerome vi ha recato offesa. Mi scuso in sua vece. Isuoi voti gli impongono il silenzio durante i pasti.»

«Se ho ben compreso, è stato ospitato nella vostra casa dietro richiesta diun membro della famiglia Seymour.»

«Il nostro vicino, Sir Edward Wentworth. Ma la richiesta è partita dal gabinetto di Lord Cromwell.» Mi guardò di traverso. «Voleva che Jerome fosse sistemato in un luogo tranquillo e appartato. La sua parentela con la regina Jane avrebbe potuto essere fonte d'imbarazzo.»

Annuii. «Da quanto tempo si trova qui?»

L'abate guardò il viso corrucciato di Jerome. «Diciotto lunghi mesi.» Osservai la tavolata dei monaci, che mi sbirciavano con occhi diffidenti, come fossi una bestia rara. Notai che erano quasi tutti in là con gli anni, con poche facce giovani e soltanto tre novizi. Un monaco anziano, il capo tremante a causa di una paralisi, mi guardò facendosi un frettoloso segno della croce.

Poi la mia attenzione fu catturata da una figura che indugiava sulla soglia. Riconobbi il novizio che si era occupato dei cavalli al nostro arrivo. Ciondolava a disagio da un piede all'altro, tenendo qualcosa dietro la schiena. Il priore Mortimus, che aveva già preso posto a tavola, alzò lo sguardo.

«Simon Whelplay!» sbottò. «La tua penitenza non è ancora terminata.Niente cena per te questa sera. Vai a metterti nell'angolo.»

Il ragazzo chinò la testa e andò a sistemarsi nel cantuccio più lontano dalfuoco. Portò le mani avanti, e vidi che teneva in mano un copricapoappuntito marcato dalla lettera «M». Arrossendo, lo indossò. Gli altrimonaci lo notarono a stento.

«M?» chiesi.

«Per maleficium», disse l'abate. «Temo abbia infranto le regole. Ma viprego, accomodatevi.»

Mark e io prendemmo posto accanto a fratello Guy, mentre l'abate sidiresse al leggio. Notai che vi era deposta una Bibbia e fui compiaciuto nelconstatare che si trattava della versione inglese, e non della Vulgata latina,

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zeppa d'errori di traduzione e invenzioni.

«Fratelli», tuonò l'abate Fabian, «siamo tutti rimasti profondamente scossida quanto è accaduto di recente. Sono dunque lieto di dare il benvenuto alrappresentante del vicario generale, il commissario Shardlake, venuto quiallo scopo di far luce su questa triste faccenda. Avrà modo di parlare conmolti di voi, quindi vi prego sin d'ora di dare all'emissario di Lord Cromwelltutta la collaborazione che merita.»

Lo guardai diffidente: quelle parole celavano un doppio senso.

«Mastro Shardlake ha autorizzato la sepoltura del commissario Singleton,e il servizio funebre sarà celebrato dopodomani, al termine del mattutino.»Fra i commensali si levò un mormorio di sollievo. «E ora, la lettura di questasera. Apocalisse, capitolo 7: 'E dopo quelle cose vidi quattro angeli aiquattro angoli della terra…'»

Fui sorpreso della sua scelta, perché l'Apocalisse era il testo preferito dairiformisti più ferventi, bramosi di svelare al mondo i suoi violenti misteri. Ilpassaggio parlava della chiamata dei salvati nel Giorno del Giudizio. Lointerpretai come un affronto, poiché intendeva identificare la comunità diScarnsea con l'esercito dei giusti.

«'Essi sono coloro che sono passati attraverso la grande tribolazione ehanno lavato le loro vesti, rendendole candide con il sangue dell'Agnello'»,proseguì, e alla fine esclamò: «Amen», poi chiuse la Bibbia e se ne andò dalrefettorio con passo solenne. Di certo il suo roast beef lo stava aspettando insala da pranzo. Non appena fu uscito si levò fra i monaci un chiacchiericciosommesso, mentre un gruppetto di servitori fece il suo ingresso per servire lazuppa, un delizioso brodo di verdura, denso e riccamente speziato. Nonavevo pranzato e la mia attenzione rimase focalizzata per un minuto buonosulla scodella prima che potessi levare lo sguardo su Whelplay, ancoraimmobile come una statua nell'ombra. Dalla finestra alle sue spalle vidi chela neve cadeva ancora fitta. Mi voltai verso il priore, che mi sedeva di fronte.

«Il novizio non merita nemmeno un poco di questa magnifica zuppa?»

«Non per quattro giorni ancora. Deve rimanere in piedi in quell'angolodurante i pasti come parte della penitenza. Deve imparare. Mi credete tropposevero, signore?»

«Quanti anni ha il ragazzo? Non ne dimostra nemmeno diciotto.»

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«Ne ha quasi venti, sebbene non si direbbe tanto è pelle e ossa. Il suonoviziato è stato prolungato, perché ha avuto difficoltà nell'apprendere illatino, malgrado possieda discrete doti musicali. Assiste fratello Gabriel.Simon Whelplay ha bisogno d'imparare l'obbedienza. È stato punito, fra lealtre cose, per aver evitato i servizi in inglese. Quando impartisco unapenitenza, cerco sempre di dare una lezione esemplare che resti impressanella mente del colpevole come in quella di tutti gli altri.»

«P-parole sante, fratello priore», disse l'economo, annuendo con vigore.Mi sorrise, un sorriso freddo, un rapido squarcio sul viso paffuto. «Sonofratello Edwig, commissario, l'economo», si presentò mentre appoggiava ilcucchiaio d'argento nella scodella, che aveva rapidamente vuotato.

«Dunque voi siete il responsabile della gestione dei fondi del monastero?»

«Della loro r-riscossione e della loro g-gestione. Devo f-fare attenzioneche le spese non superino mai le entrate», aggiunse. La balbuzie non bastavaa soffocare l'autocompiacimento nella sua voce.

«Credo di avervi intravisto nella corte questo pomeriggio, discutevate di alcune opere di restauro, se non vado errato, con uno dei vostri confratelli.» Spostai lo sguardo sull'alto monaco dai capelli chiari che, in quell'occasione,aveva guardato Mark con occhi lascivi. Ora gli sedeva quasi di fronte, e non faceva che rivolgergli occhiate furtive, evitando, tuttavia, un contatto visivo diretto. Si accorse del mio, però, e si protese in avanti per presentarsi.

«Gabriel di Ashford, commissario. Sono sacrista, e anche maestro delcoro; mi occupo della chiesa, della biblioteca e della musica. Pochi comesiamo, ciascuno di noi ha dovuto assumersi più di un ufficio.»

«Un centinaio d'anni fa sareste stati quanti, almeno il doppio? E ho sentitoche la chiesa ha bisogno di restauri.»

«Proprio così, signore.» Fratello Gabriel si fece ancor più vicino, e quasirovesciò la zuppa a fratello Guy. «Avete visitato la nostra chiesa?»

«Non ancora. Ho in programma di farlo domani.»

«Abbiamo la chiesa normanna più bella della costa meridionale. Ha più diquattrocento anni, e non ha nulla da invidiare alle case benedettine diNormandia. Nel soffitto, però, s'è aperta una brutta crepa. Va assolutamenteriparata, ma dobbiamo usare la medesima pietra per farlo, perché si

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armonizzi con il resto dell'edificio…»

«Fratello Gabriel», lo interruppe brusco il priore. «Mastro Shardlake haquestioni ben più importanti cui pensare dell'architettura della nostra chiesa.E forse, per i suoi gusti, è persino troppo ricca», aggiunse eloquente.

«Di certo la nuova dottrina non rifiuta la bellezza architettonica, vero?»

«Solo quando incoraggia la congregazione a venerare l'edificio anzichéNostro Signore», risposi. «Poiché si tratterebbe d'idolatria.»

«Non intendevo nulla del genere», disse il sacrista con voce sincera.

«Volevo solo dire che in ogni grande edificio l'occhio dovrebbe soffermarsi sulla giustezza delle proporzioni, sull'armonia delle linee…»

Fratello Edwig lo guardò con una smorfia. «Ciò che il mio c-confratellointende dire è che per soddisfare le sue nozioni estetiche il monasterodovrebbe fare b-bancarotta, importando enormi blocchi di pietra c-calcareadalla Francia. Sarei davvero c-curioso di sapere come intenderebbe farli t-traghettare oltre la palude.»

«Il monastero non dispone forse di fondi sufficienti?» chiesi. «Ho lettoche le rendite fondiarie ammontano a ottocento sterline l'anno, e che gliaffitti sono in continuo aumento, come la povera gente ben sa a propriespese.»

In quel mentre i servitori tornarono, portando abbondanti porzioni di carpafumante e grosse marmitte di verdura. Fra di loro notai una donna, unavecchia dal naso adunco, e pensai che Alice dovesse sentirsi molto sola, sequella era la sua unica compagnia femminile. Mi rivolsi nuovamenteall'economo, che si era scurito in viso.

«La t-terra è stata venduta di recente, p-per svariate ragioni. E la sommache fratello Gabriel domanda supera di cinque volte i fondi che ogni annonoi d-destiniamo alle opere di restauro. Assaggiate una di queste magnifichec-carpe, signore. Sono state pescate nel nostro vivaio giusto questa mattina.»

«Ma non potreste ricavare il denaro necessario dalle eccedenze annualiche di certo avrete?»

«Vi ringrazio, signore. È precisamente quanto vado sostenendo», disse

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fratello Gabriel.

L'espressione accigliata dell'economo si fece ancora più minacciosa. Posò il cucchiaio, agitando le piccole mani paffute.

«Una gestione dei conti p-prudente ci impedisce di aprire un così ingente buco nelle entrate dei p-prossimi anni, signore, poiché i tassi d'interesse le prosciugherebbero in men che non si dica. La politica dell'abate si riflette in un b-b-bilancio…» Si fece paonazzo in viso per l'eccitazione del momento, perdendo il controllo della sua balbuzie.

«Equilibrato», concluse il priore con un aspro sorriso. Mi porse una carpae affondò il coltello nel pesce, aprendolo in due con entusiasmo. FratelloGabriel lo guardò torvo e bevve un sorso di delizioso vino bianco.

Mi strinsi nelle spalle. «In ogni modo, la questione non mi riguarda.»

Fratello Edwig posò la propria coppa. «Mi scuso per essermi t-tantoinfervorato. È un c-contrasto di vecchia data fra il sacrista e me.» E di nuovoun rapido squarcio gli attraversò il viso, lasciando intravedere dei dentibianchi.

Annuii gravemente in segno di comprensione, poi rivolsi lo sguardo allafinestra, oltre la quale la neve continuava a cadere, su un manto ormaispesso. Dalla finestra entrò un refolo di vento e, sebbene fossi seduto propriodi fronte al fuoco, sentii un brivido lungo la schiena. Nel suo angolo, ilnovizio diede un colpo di tosse. La testa abbassata sotto il cappello appuntitoera in ombra, ma notai che le gambe gli tremavano.

Il silenzio fu rotto da una voce stridente.

«Stolti! Non ci sarà nessuna nuova chiesa. Non avete ancora capito che ilmondo sta precipitando verso la fine? L'Anticristo è fra noi!» Il certosinos'era alzato per metà dalla panca. «Mille anni di devozione a Dio, in tuttequeste case di preghiera, stanno per volgere al termine. Presto non rimarrànulla, edifici vuoti e silenzio, silenzio che il diavolo riempirà dei suoiruggiti!» La voce s'era fatta un grido, mentre gli occhi feroci si posavano suciascuno dei presenti.

I monaci distolsero lo sguardo. Voltandosi sulla panca, fratello Jeromeperse l'equilibrio e cadde scompostamente, il volto contorto dal dolore.

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Il priore Mortimus si alzò e batté una mano sul tavolo. «Per tutti i santi!Fratello Jerome, allontanatevi immediatamente dal refettorio e tornate nellavostra cella finché l'abate non deciderà che cosa fare di voi. Portatelo via!» Ilmonaco seduto accanto sollevò il certosino prendendolo per le braccia, lomise in piedi senza tante cerimonie e lo trascinò fuori dal refettorio.

Mentre la porta si chiudeva alle loro spalle, un sospiro di sollievo collettivoriempì l'aria.

«Ancora le mie più sentite scuse a nome di tutta la comunità», mi disse ilpriore. Un mormorio d'assensi attraversò la tavolata. «Vi chiedo diperdonarlo soltanto in considerazione della sua malattia.»

«Chi crede sia l'Anticristo? Io, forse? Lord Cromwell, più probabilmente,o forse Sua Maestà il re?»

«No, signore, no.» Un brusio ansioso si levò dalla tavolata degliobedenziari. Il priore Mortimus strinse le labbra.

«Fosse per me, Jerome sarebbe messo alla porta domani stesso, a urlare la sua demenza per le strade fino a farsi rinchiudere nella Torre o al manicomio, perché è lì che dovrebbe stare. L'abate lo tiene qui solo perché ha bisogno dei favori di suo cugino. Sapete della parentela di Jerome con la regina defunta?» Annuii. «Ma questo è davvero troppo. Dovrà andarsene.» Levai una mano, scuotendo il capo. «I vaneggiamenti d'un folle non mi impressionano.» Percepii un palpabile senso di sollievo nei commensali. Abbassai nuovamente la voce, in modo che soltanto gli obedenziari potessero sentire. «Vorrei che fratello Jerome fosse fatto rimanere, potrei avere bisogno d'interrogarlo. Ma ditemi, ha riservato a mastro Singleton il medesimo trattamento?»

«Sì», rispose franco il priore. «Quando è arrivato, fratello Jerome lo haavvicinato in cortile e gli ha dato dello spergiuro e del bugiardo. Ma ilcommissario Singleton gli ha reso pan per focaccia, definendolo un bastardopagano.»

«Spergiuro e bugiardo. Accuse più specifiche degli insulti generici che hapoi rivolto a me. Mi domando che cosa intendesse.»

«Dio solo sa che cosa si agita nella mente di un folle.»

Fratello Guy si protese verso di me. «Sarà anche folle, commissario, ma

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non avrebbe mai potuto uccidere il commissario Singleton. L'ho avuto incura. Il suo braccio sinistro è completamente paralizzato, i legamentilacerati. Anche la gamba destra è ridotta male e, come avete potutoosservare, non ha più il senso dell'equilibrio. A stento riesce a rimanere inpiedi, figuriamoci impugnare un'arma per decapitare un uomo. Ho già avutomodo di curare le conseguenze della tortura, in Francia», aggiunse in tonopiù pacato, «ma non mi era ancora accaduto in Inghilterra. Ho saputo che sitratta d'una novità.»

«La legge la consente in casi d'estrema minaccia allo Stato», risposi,colpito. Sentii su di me gli occhi di Mark e ne compresi la delusione e latristezza. «Per quanto sia deplorevole», aggiunsi con un sospiro. «Ma oratorniamo al povero Singleton. È probabile che fratello Jerome sia troppomalato per commettere un omicidio, ma potrebbe essere stato un complice.»

«No, signore, mai, no», si levò un coro di voci attorno al tavolo. Sui volti degli officiali lessi la paura di poter essere collegati all'omicidio e al tradimento, e alle loro atroci conseguenze. Ma gli uomini, pensai, sono assai abili nel celare i loro reali pensieri. Fratello Gabriel si protese in avanti ancora una volta, il viso smunto tirato in una maschera d'inquietudine.

«Signore, qui nessuno condivide le idee di fratello Jerome e la suapresenza è una grande sventura. Noi desideriamo soltanto vivere in pace lanostra esistenza di preghiere, leali al sovrano e obbedienti alle forme diadorazione che egli ha dettato.»

«Questa volta, almeno, il mio confratello parla per tutti», aggiunsesonoramente l'economo. «Dico 'amen' a queste parole.»

Un coro di «amen» seguì lungo la tavolata.

Annuii in segno di riconoscenza. «Ciò non toglie che il commissarioSingleton sia morto. Dunque, ditemi, chi credete possa averlo ucciso?Fratello economo? Fratello priore?»

«G-gente di fuori», disse fratello Edwig. «Stava andando al suoappuntamento e d-deve averli sorpresi. Streghe, adoratori di Satana. Hannofatto irruzione in c-chiesa, l'hanno profanata e hanno rubato la nostrareliquia, poi sono incappati nel p-povero Singleton e lo hanno ucciso. Lapersona che doveva incontrare, di c-chiunque si trattasse, di certo ha preso p-paura per tutto quel trambusto.»

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«Mastro Shardlake ha ipotizzato che l'omicida potrebbe essersi servitod'una spada», aggiunse fratello Guy. «E gente simile non si servirebbe maid'una spada, per timore di essere scoperta.»

Mi rivolsi a fratello Gabriel. Sospirò profondamente, facendo correre ledita fra i riccioli selvaggi intorno alla chierica. «Nonostante la perdita dellamano del buon ladrone - una vera tragedia, una reliquia tanto preziosa delcalvario di Nostro Signore - tremo al pensiero di quel che il profanatorepotrebbe farne.» Era teso in viso. Mi ricordava uno di quei teschi che avevovisto nel gabinetto di Lord Cromwell, e riflettei nuovamente sull'immensopotere delle reliquie.

«Si sa di qualcuno in particolare che pratichi le arti magiche da questeparti?» chiesi.

Il priore scosse il capo. «Un paio di levatrici in paese, ma sono solovecchie che spacciano innocue pozioni d'erbe.»

«Chi può sapere con quali mezzi operi il demonio in questo mondo dipeccatori?» sussurrò fratello Gabriel. «La nostra benedetta esistenza ci tieneal riparo dai suoi malefici, ma fuori di queste mura…» Rabbrividì.

«E non dimentichiamo i servitori», aggiunsi. «Tutti e sessanta.»

«Soltanto una decina vive nel monastero», disse il priore. «E tutti gliedifici sono chiusi a chiave durante la notte, sorvegliati da mastro Bugge edal suo secondo, sotto la mia personale supervisione.»

«I servitori che vivono nel monastero sono i più anziani e fidati», aggiunsefratello Gabriel. «Quale motivo avrebbero mai potuto avere per uccidere unospite tanto illustre?»

«E che motivo avrebbe avuto un monaco, o un abitante del villaggio? Be',vedremo. Domattina scambierò due parole con alcuni di voi.» Gli sguardidiventarono afflitti.

I servitori ritornarono per portare via i piatti e sostituirli con coppe dipudding. La tavolata rimase in silenzio finché non se ne furono andati.

L'economo prese una cucchiaiata di dolce. «Ah, che bontà», disse. «Unvero toccasana in una notte tanto fredda.»

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D'improvviso s'udì uno schianto. Tutti trasalirono e si voltarono verso il novizio, che era svenuto. Fratello Guy s'alzò esclamando indignato, la veste fluttuante mentre si precipitava verso Simon Whelplay che giaceva esanime sulla spessa stuoia. Lo seguii con fratello Gabriel e poi fummo raggiunti dal priore, un'espressione seccata dipinta in volto. Il ragazzo era bianco come uncencio. Mentre fratello Guy gli sollevava delicatamente la testa, il giovane silamentò e riaprì piano gli occhi.

«Va tutto bene», disse fratello Guy con voce gentile. «Hai persoconoscenza. Ti sei fatto male?»

«La testa. Ho picchiato la testa. Domando perdono…» D'improvviso gliocchi gli si riempirono di lacrime, il mento sottile prese a tremare e ilragazzo cominciò a singhiozzare in modo penoso. Il priore sbuffò. Fuisorpreso nel vedere gli occhi di fratello Guy colmarsi di rabbia.

«Non c'è da sorprendersi che questo poveretto stia piangendo, fratellopriore! Quand'è stata l'ultima volta che ha consumato un pasto decente? Èridotto pelle e ossa.»

«Ha ricevuto pane e acqua. Sapete benissimo, fratello infermiere, che si tratta di una penitenza prevista dalla regola di san Benedetto…»

Fratello Gabriel gli si rivolse, furioso. «Il santo non intendeva certo farmorire di fame i servi del Signore! Avete fatto lavorare Simon come unoschiavo nelle stalle, per poi lasciarlo ore fuori al freddo.» Il pianto delnovizio si trasformò in un violento attacco di tosse, e il pallido viso avvampòd'improvviso, mentre il giovane cercava disperatamente di respirare. Il frateinfermiere auscultò con orecchio esperto il ronzio del suo petto.

«I polmoni sono colmi di muco. Voglio che sia immediatamente trasportato in infermeria!»

Il priore sbuffò nuovamente. «È forse colpa mia se questo ragazzo èfragile come il vetro? Il lavoro che gli ho assegnato era finalizzato arafforzarlo. Di questo ha bisogno…»

La voce di fratello Gabriel tuonò nel refettorio. «Date a fratello Guy l'autorizzazione di portare Simon in infermeria, o devo rivolgermi direttamente all'abate Fabian?»

«Portate via questo incapace!» sbottò il priore. Poi ritornò a tavola.

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«Mollezza! La mollezza e la mancanza di vigore segneranno la nostra fine!»Scrutò i monaci presenti con occhi minacciosi, mentre fratello Gabriel e ilfrate infermiere scortavano il novizio in preda a convulsi colpi di tosse fuoridal refettorio. Fratello Edwig si schiarì la voce.

«Fratello p-priore, penso che ora potremmo rendere grazie e alzarci. Èquasi l'ora della c-compieta.»

Il priore Mortimus recitò una frettolosa preghiera e gli officiali sialzarono, mentre il resto della comunità rimase in attesa che questi uscissero,prima di alzarsi da tavola.

Passandomi vicino, fratello Edwig mi si rivolse con fare untuoso.

«Mastro Shardlake, sono davvero d-desolato che la vostra cena sia statadisturbata per ben d-due volte. Increscioso, davvero increscioso. Vi chiedop-perdono a nome di tutti i miei confratelli.»

«Niente affatto, fratello. Più conosco la vita di Scarnsea, più informazioni netraggo per le mie investigazioni. A questo proposito, vi sarei grato se potesterendervi disponibile domani, con i registri contabili più recenti. Ci sono certe questioni, emerse dalle indagini del commissario Singleton, che vorrei discutere con voi.» Confesso che mi divertì osservare lo sconcerto dipinto sul viso dell'economo. Poi il religioso annuì, e io raggiunsi Mark, che guardava fuori della finestra. La neve cadeva ancora, soffocando ogni suono e rendendo indistinte le ricurve figure incappucciate che s'apprestavano ad attraversare il chiostro dirette verso la chiesa per la compieta, l'ultima funzione della giornata. Ancora una volta le campane presero a battere i loropossenti rintocchi.

Capitolo nove

Rientrati nella nostra stanza, Mark si distese nuovamente sulla sua branda.Ma sebbene io fossi stanco quanto lui, sentii il bisogno di riordinare leimpressioni su tutto quel che era accaduto durante la cena. Mi diressi versola brocca d'acqua e me ne spruzzai un po' sul viso, poi andai a sedermivicino al fuoco. Dalla finestra, giungevano deboli le note dei canti.

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«Ascolta», dissi. «La compieta. I monaci pregano Dio di vegliare sulleloro anime al termine della giornata. Be', che cosa pensi della santa comunitàdi Scarnsea?»

Gemette. «Sono troppo stanco per pensare.»

«Forza, è stato il tuo primo giorno in un monastero. Che cosa ne haitratto?»

Riluttante, si levò sui gomiti e assunse un'espressione assorta. I primi lievisegni sulla pelle liscia erano accentuati dalle ombre proiettate dalla candela.Un giorno, pensai, si sarebbero trasformati in rughe profonde, come le mie.

«Mi pare un mondo di contraddizioni. Da un lato sembrano vivere in ununiverso a parte. Le vesti nere, tutte quelle preghiere. Fratello Gabrielsostiene che sono separati dal mondo dei peccatori. Eppure, avete vistocome mi ha guardato ancora, quel cane? E poi tutti questi agi. Caminicrepitanti, arazzi, un cibo delizioso come non ne avevo mai assaggiato. E ilgioco delle carte, nemmeno fossero in una taverna.»

«Già. San Benedetto, come pure Lord Cromwell, sarebbero disgustati datutto questo lusso. L'abate Fabian si dà arie da gran signore… e lo è davvero,visto che, come molti abati, siede nella Camera dei Pari.»

«Penso che il priore non nutra una grande simpatia nei suoi confronti.»

«Il priore Mortimus si definisce un simpatizzante della Riforma, unoppositore delle agiatezze. Di certo è convinto che sia giusto accanirsicontro i propri subordinati. E pare goderne, direi.»

«Mi ricorda un paio dei miei insegnanti.»

«Gli insegnanti non infliggono punizioni che portino al collasso. Moltigenitori avrebbero avuto da ridire sul trattamento inferto a quel ragazzo. Aquanto pare, però, non ci sono tutori per i novizi, le vocazioni scarseggiano,e i ragazzi sono sotto il totale controllo del priore.»

«Il frate infermiere si è esposto per aiutare il giovane. Mi è parsa unabrava persona, sebbene sembri essere stato arrostito allo spiedo.»

Annuii. «Anche fratello Gabriel si è esposto. Ha minacciato di scavalcareil priore. Non riesco proprio a immaginare l'abate Fabian preoccuparsi per il

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benessere dei suoi novizi, ma se la brutalità del priore dovesse eccedere,sarebbe costretto a prendere provvedimenti per evitare degli scandali.

Be', ora li abbiamo conosciuti tutti, i cinque che erano a conoscenza del veromotivo della visita di Singleton. L'abate Fabian, il priore Mortimus, fratello Gabriel, fratello Guy. E, ovviamente, l'economo…»

«F-fratello Edwig», gli fece il verso Mark.

Sorrisi. «Inciamperà pure nelle parole, ma il suo potere è grande.»

«M'è parso viscido come una serpe.»

«Già, non piace neppure a me. Ma non bisogna farsi ingannare dalleapparenze. Il più abile imbroglione ch'io abbia mai incontrato aveva i modidi un vero nobiluomo. E poi, l'economo non era qui la notte dell'omicidio.»

«Ma perché mai uno di loro avrebbe dovuto uccidere Singleton? Ora Lord Cromwell ha un motivo in più per esigere la chiusura del monastero.»

«Forse il movente era personale. Forse Singleton aveva scoperto qualcosa.È rimasto qui piuttosto a lungo.»

«Mastro Goodhaps ha detto che stava esaminando i registri contabili ilgiorno in cui è stato ucciso.»

Annuii. «Già, ecco perché voglio vederli anch'io. Ma non faccio chepensare alle modalità dell'omicidio. Se qualcuno avesse voluto ridurlo alsilenzio, una coltellata sarebbe stata sufficiente. Perché profanare la chiesa,poi?»

Mark scosse il capo. «Mi chiedo dove l'assassino abbia nascosto la spada, sempre che sia stata usata una spada. E la reliquia. E i suoi abiti, di certo imbrattati di sangue.»

«Questo immenso labirinto deve offrire migliaia di nascondigli.» Rifletteiun istante. «D'altro canto, gran parte degli edifici è frequentata incontinuazione.»

«E i fabbricati annessi che abbiamo visto? Le fucine, il birrificio e via discorrendo?»

«Quelli in particolare. A mano a mano che impareremo a conoscere il

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monastero, dovremo tenere gli occhi ben aperti, in modo da individuare iluoghi che possono essere serviti allo scopo.»

Mark sospirò. «L'assassino potrebbe aver sotterrato la spada e gli abiti.

Ma se la neve non smette di cadere, non saremo mai in grado di scovare cumuli di terra fresca.»

«È vero. Be', domattina io comincerò con l'interrogare il sacrista el'economo, i due nemici fraterni. E vorrei che tu facessi una chiacchieratacon quella ragazza, Alice.»

«Ma fratello Guy mi ha fatto chiaramente capire che devo starle alla larga.»

«Ho detto che devi parlarle. Nient'altro. Non voglio guai con il frate infermiere. Però tu ci sai fare con le donne, e lei mi è sembrata intelligente. Di certo conosce moltissimi segreti.»

Mark mi guardò, visibilmente a disagio. «Non vorrei pensasse che… la stocorteggiando, quando cerco soltanto di ottenere delle informazioni.»

«Ottenere informazioni è il nostro preciso dovere. Non c'è affatto bisogno di metterle strane idee in testa. Se ci rivelerà qualcosa d'interessante, farò in modo che sia ricompensata. Potrei trovarle un altro lavoro. Una donna come lei non dovrebbe vivere in mezzo a questi monaci.»

Mark mi sorrise. «Allora piace anche a voi, signore. Avete notato che begli occhi ha?»

«Di certo non è una fanciulla comune», dissi con distacco.

«In ogni caso, non mi pare bello cercare di estorcerle delle informazioni.»

«Devi farci l'abitudine, Mark, se desideri lavorare al servizio della legge e dello Stato.»

«Sì, signore», disse con poca convinzione. «È solo che… non vorrei metterlain pericolo.»

«Non lo voglio neanch'io. Ma potremmo esserlo tutti.»

Rimase un istante in silenzio. «Pensate che l'abate possa aver ragione sullastregoneria? Questo, in effetti, spiegherebbe la profanazione della chiesa.»

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Scossi il capo. «Più ci penso, più mi convinco che l'omicidio sia stato premeditato. La profanazione potrebbe anche essere stata organizzata per sviare le indagini. Ma di certo l'abate preferirebbe di gran lunga che fosse stata perpetrata da un estraneo al monastero.»

«Nessun cristiano dissacrerebbe mai una chiesa a quel modo, papista o riformatore che fosse.»

«No, l'intera faccenda è un vero abominio.» Sospirai e chiusi gli occhi, sentendo i muscoli del viso cedere alla stanchezza. Ero troppo esausto per pensare. Risollevai le palpebre e vidi Mark che mi scrutava intensamente.

«Avete detto che il corpo del commissario Singleton vi ha ricordato la decapitazione della regina Anna Bolena.»

Annuii. «Che cosa terribile.»

«La rapidità della sua caduta ha lasciato tutti di stucco, l'anno passato. Sebbene non fosse molto amata.»

«Già. Il Corvo di Mezzanotte.»

«Dicono che la testa mozzata abbia provato a parlare.»

Levai una mano. «Non posso dir nulla a proposito, Mark. Ho assistito all'esecuzione in veste di funzionario statale. Forza, hai ragione tu, è ora di dormire.»

Mi guardò deluso ma non aggiunse altro, e andò a mettere qualche cepponel camino. Ci infilammo sotto le coperte. Dal mio letto potevo vedere chela neve cadeva ancora, perché i fiocchi si stagliavano davanti a una finestrailluminata. Evidentemente, alcuni dei monaci rimanevano in piedi fino atardi, e del resto i giorni in cui in inverno i religiosi si ritiravano prima delbuio, per poi alzarsi per la preghiera di mezzanotte, erano sepolti ormai datempo.

Nonostante la stanchezza, non riuscivo a prendere sonno, la menteaffollata da mille pensieri. Indugiai in modo particolare su Alice. In quelluogo eravamo tutti potenzialmente in pericolo, ma una donna sola corresempre maggiori rischi. Ero rimasto colpito dalla forza che le brillava negliocchi. Mi ricordava Kate.

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Così, sebbene fossi esausto, mi scoprii volare indietro di tre anni.

Kate Wyndham era la figlia di un mercante di stoffe londinese accusato difalso in bilancio dal proprio socio, un caso portato dinanzi alla corteecclesiastica perché si sosteneva che un contratto equivalesse a un patto fattocon Dio. In realtà, il socio era imparentato con un influente arcidiacono, maio riuscii a far trasferire il caso presso il regio tribunale, dove le accusefurono fatte cadere. Per ringraziarmi, il mercante, che era rimasto vedovo,m'invitò a cenare a casa sua, dove conobbi sua figlia.

Kate era fortunata: suo padre credeva che le donne meritasseroun'educazione che andasse oltre la semplice gestione dei conti domestici, elei era dotata di una mente alquanto vivace. Aveva anche un viso dolcissimoa forma di cuore, e folti capelli castani che le cadevano sulle spalle. Nonavevo mai conosciuto una donna con la quale potessi parlare su una baseparitaria, e lei adorava discutere di questioni legali, di tribunali, persino dellaChiesa, poiché l'esperienza del padre aveva trasformato entrambi in ferventiriformatori. Le serate trascorse a conversare con lei e suo padre, e più avantile lunghe passeggiate pomeridiane in campagna con lei, sono stati i giornipiù belli della mia vita.

Sapevo che per Kate ero solo un buon amico, tuttavia cominciai adomandarmi se il nostro rapporto non sarebbe potuto sfociare in qualcosa didiverso. Ero già stato innamorato prima di allora, ma non mi ero maidichiarato per timore di essere rifiutato a causa della mia deformità, ed erorisoluto ad attendere d'aver fatto fortuna, in modo da avere qualcosa daoffrire per compensare la mia totale mancanza di bellezza. Ma a Kate avreipotuto donare altre cose che sapevo avrebbe apprezzato: buonaconversazione, senso di cameratismo, una cerchia d'amici piacevoli.

Ancora oggi mi domando che cosa sarebbe accaduto se avessi rivelatoprima i miei sentimenti, prima che fosse troppo tardi. Una sera giunsi a casasua senza essere stato invitato, e la trovai in compagnia di Piers Stackville, ilfiglio di un socio del padre. All'inizio non me ne preoccupai poiché, sebbeneStackville fosse un adone dai modi artificiosamente raffinati, possedeva benpochi talenti. Poi, però, la vidi arrossire e sorridere leziosa ai suoi grossolaniapprezzamenti; la mia Kate s'era d'improvviso trasformata in una frivolasciocchina. Da quel momento in poi, parlò esclusivamente di Piers, di quelche faceva e diceva, con sospiri e sorrisi che mi laceravano il cuore.

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Alla fine, mi decisi a rivelarle i miei sentimenti, e lo feci in modo stolto eimpacciato, balbettando goffamente. Ma mi scontrai con un'espressioned'assoluta sorpresa.

«Matthew, pensavo volessi solo la mia amicizia, non ho mai udito unasola parola d'amore uscire dalle tue labbra. Mi hai taciuto molto.»

Le chiesi se fosse troppo tardi.

«Se me lo avessi domandato anche solo sei mesi fa…» disse tristemente.

«So bene che il mio aspetto non può suscitare passione.»

«Perché dici questo?» mi chiese con inatteso ardore. «Hai un bel viso ebuone maniere, ma pensi troppo alla tua infermità, nemmeno fossi l'unicouomo a soffrirne. Hai troppa commiserazione di te stesso, Matthew, e troppoorgoglio.»

«Allora…»

Scosse il capo, gli occhi colmi di lacrime. «È troppo tardi. Amo Piers. Staper chiedere la mia mano.»

Le dissi bruscamente che non era abbastanza per lei, che la noia l'avrebbeconsumata, ma lei rispose con impeto che avrebbe presto avuto dei figli euna bella casa di cui occuparsi. Non era forse quello il ruolo adatto a unadonna, secondo gli insegnamenti del Signore? Con il cuore infranto, miaccomiatai da lei.

Non la rividi mai più. Una settimana dopo, una febbre eruttiva s'abbattésulla città con la forza di un uragano. Centinaia furono le vittime, chemorirono in pochi giorni. L'epidemia non badò alle classi sociali, e falciòanche Kate e suo padre. Ricordo il loro funerale, del quale m'ero presocarico in quanto esecutore testamentario del vecchio, ricordo le casse dilegno calate lentamente nel terreno. Osservando Piers Stackville chino sullabara, il viso sconvolto, compresi che il suo amore per Kate non era inferioreal mio. Mi fece un cenno in segno di ringraziamento, e io risposi con unmesto sorriso. Ringraziai Iddio per essermi almeno liberato dalla falsadottrina secondo la quale le anime dei defunti devono sopportare le pene delpurgatorio. Sapevo che lo spirito puro di Kate avrebbe avuto la salvezza, eavrebbe riposato in eterno al fianco di Cristo.

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Mentre scrivo queste parole, ho ancora gli occhi pieni di lacrime. Propriocome accadde quella prima notte a Scarnsea. Lasciai che mi rigasserosilenziosamente le guance, soffocando i singhiozzi che, svegliando Mark, miavrebbero esposto a un notevole imbarazzo. Alla fine mi sentii purificato, emi addormentai.

Quella notte, tuttavia, l'incubo tornò. Da mesi non sognavo l'uccisionedella regina Anna, ma la vista del cadavere di Singleton ne scatenò ilricordo. Mi ritrovai nuovamente a Tower Green in una luminosa mattina diprimavera, una folla immensa assiepata attorno al patibolo ricoperto dipaglia. Io ero in prima fila: Lord Cromwell aveva ordinato a tutti i suoisottoposti di prendere parte all'esecuzione, schierandosi pubblicamente perla morte della regina. Lui mi stava accanto. Era salito al potere grazieall'influenza di Anna Bolena, e ora aveva formulato l'accusa d'adulterio chene avrebbe segnato la fine. Stava immobile, lo sguardo severo e accigliato,l'incarnazione di una rabbiosa giustizia.

Il ceppo era circondato da un consistente strato di paglia, e il sinistro boiaincappucciato, venuto dalla Francia, attendeva l'ordine, le braccia conserte.Cercai la spada che la regina aveva richiesto per assicurarsi una finemisericordiosa, ma non la vidi. Chinai il capo con deferenza, poiché mitrovavo fra alcuni degli uomini più importanti del paese: il Lord CancelliereAudley, Sir Richard Rich, il conte di Suffolk.

Rimanemmo tutti immobili come statue, in silenzio sebbene dalla follaalle nostre spalle si levasse un lieve brusio. C'è un melo a Tower Green. Erain fiore, e un merlo cinguettava appollaiato su uno dei suoi rami più alti,incurante di quella moltitudine. Lo osservai, invidiando la sua libertà.

Il vociare si fece più intenso, e la regina fece la sua apparizione, fra ledame di corte, un ciambellano con la cotta e alcune guardie dalle rossetuniche. La regina era dimagrita e smunta, le spalle ossute ricurve sotto unbianco mantello, i capelli raccolti in una cuffia. S'avvicinò al ceppovoltandosi continuamente, come attendesse l'arrivo d'un messaggero conl'ordine regio di sospensione della pena. Dopo nove anni di vita a corte,avrebbe dovuto sapere che il grande spettacolo ormai messo in moto non sisarebbe fermato. Giunta presso il patibolo, gli immensi occhi castanicerchiati da occhiaie profonde si guardarono attorno con furia selvaggia incerca, come avevo fatto anch'io, della spada.

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Nel mio sogno non c'è nessuno dei lunghi preliminari, nessuna infinitapreghiera, nessun discorso della regina che implora i presenti di pregare peril re. Nel mio sogno, la sovrana s'inginocchia rivolta alla folla, e comincia apregare. Odo ancora le sue flebili, stridenti grida: «Jesu, ricevi la mia anima!Signore Iddio abbi pietà di me!» Poi il boia si china e afferra una possentespada, celata sotto la paglia. Ecco dov'era, penso io, poi arretro e lancio ungrido mentre la spada fende l'aria con impressionante velocità e la testa dellaregina viene recisa con un grosso spruzzo di sangue. Mi sento travolto daun'ondata di nausea e chiudo gli occhi nel rumoroso vociare della folla, rottoda qualche occasionale «urrà». Li riapro nell'udire la formula di rito: «Cosìperiscono i nemici di Sua Maestà», quasi incomprensibile nel forte accentofrancese del boia. La paglia, come pure i suoi abiti, è imbrattata del sangueche ancora zampilla dal cadavere monco, poi l'uomo solleva la testagocciolante di Anna Bolena.

I papisti dicono che in quell'istante le candele nella chiesa di Dovers'accesero spontaneamente, e un gran numero di sciocche leggende similicircolano per il paese, ma io posso attestare che gli occhi della regina simossero, dopo la decapitazione, errando selvaggi sulla folla, mentre lelabbra s'aprirono come per dire qualcosa. Qualcuno strillò alle mie spalle, eudii un sussurro mentre i presenti, tutti agghindati con gli abiti della festa, sifacevano il segno della croce. In verità trascorsero in tutto trenta secondi, enon mezz'ora come è stato detto in seguito, prima che il movimentocessasse. Ma nel mio incubo rivivo sempre ciascuno di quei trenta secondi,implorando che quegli occhi spettrali si chiudano. Poi il boia gettò la testamozzata in una cassa per frecce che fungeva da bara e, nell'istante in cuiquesta cadde con un tonfo sordo, io mi svegliai con un grido. Qualcunobussava alla porta.

Rimasi disteso, il respiro affannato, mentre il sudore mi si gelava addosso.

Bussarono una seconda volta, poi udii la voce di Alice chiamarmi coninsistenza. «Mastro Shardlake! Commissario!»

Era notte fonda, il fuoco si stava ormai spegnendo e la camera eraghiacciata. Mark borbottò, rigirandosi sul suo pagliericcio.

«Che cosa c'è?» le risposi con voce tremante, mentre l'incubo che avevoavuto mi faceva battere ancora forte il cuore.

«Fratello Guy chiede di vedervi, signore.»

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«Solo un momento!» Mi alzai e accesi una candela dalle braci. Mark fecelo stesso, gli occhi ancora socchiusi, i capelli arruffati.

«Che cosa è successo?»

«Non lo so. Rimani qui.» Infilai le calzebrache e aprii la porta. La ragazzami attendeva, un grembiule bianco sopra la veste.

«Vi prego di perdonarmi, signore, ma Simon Whelplay è gravementemalato e domanda di parlarvi. Fratello Guy mi ha detto di venire asvegliarvi.»

«Molto bene.» La seguii lungo il corridoio gelato fino a una porta aperta.Udii delle voci: fratello Guy parlava a qualcuno in tono concitato. Raggiuntala soglia, vidi il novizio disteso su una branda. Il viso scintillante di sudore,parlava in preda al delirio, il respiro affannoso. Fratello Guy era sedutoaccanto al letto, e gli tamponava la fronte con un panno bagnato.

«Che cosa lo affligge?» non potei celare il mio nervosismo, poiché sapevoche quelli erano i sintomi della febbre eruttiva.

Il frate infermiere mi guardò, serio in volto. «Si tratta d'una congestionedei polmoni. Non c'è da stupirsi, esposto a quel freddo senza cibo. Ha lafebbre molto alta. Ma non fa che chiedere di voi. E si calmerà solo quandovi avrà parlato.»

Mi avvicinai al letto riluttante, per paura di prendere il contagio. Il ragazzomi fissò con occhi arrossati. «Commissario, signore», gracidò lamentoso.«Siete stato inviato qui per fare giustizia, non è vero?»

«Esatto, sono qui per indagare sulla morte del commissario Singleton.»

«Non è stato il primo», mormorò a fatica. «Non il primo. Io lo so.»

«Che cosa vuoi dire? Chi altri è morto?»

Una serie di convulsi colpi di tosse scossero il suo esile corpo, il mucogorgogliante nel petto. Si distese, esausto. Il suo sguardo cadde su Alice.

«Poverina, è una ragazza tanto buona. L'avevo messa in guardia delpericolo…» Scoppiò in lacrime, e i suoi spasmodici singhiozzi sitrasformarono in un altro attacco di tosse che pareva pronto a dilaniare la sua

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fragile struttura. Mi volsi verso Alice.

«Che cosa intende dire?» chiesi brusco. «Da che cosa vi ha messo inguardia?»

L'ombra dello sconcerto le scurì il viso. «Non capisco, signore. Non mi hamai messo in guardia. Prima di oggi ci eravamo rivolti la parola a stento.»

Guardai fratello Guy, che pareva ugualmente perplesso. Scrutò il ragazzo con occhi ansiosi.

«È molto malato, commissario. Ha bisogno di riposare.»

«No, fratello, devo fargli ancora qualche domanda. Avete idea di che cosa intendesse dire con quelle parole?»

«No, signore. Ne so quanto Alice.»

Mi feci più vicino al letto e mi chinai sul giovane.

«Simon, spiegami. Alice dice di non aver mai ricevuto alcun avvertimento…»

«Alice è buona», gracidò. «Dolce e gentile. Deve essere messa in guardia…» Riprese a tossire, e fratello Guy si frappose tra noi con fermezza.

«Devo domandarvi di lasciarlo, commissario. Pensavo che parlarvi lo avrebbe calmato, ma è in preda al delirio. Devo somministrargli una pozioneper farlo dormire.»

«Vi prego, signore», aggiunse Alice. «Per carità. Vedete da voi quanto sia malato.»

Mi allontanai dal ragazzo, che pareva essere sprofondato in uno stato d'esausto stordimento. «Le sue condizioni sono tanto gravi?» chiesi.

Il frate infermiere serrò le labbra. «Se la febbre non scenderà presto, morirà. Non avrebbero dovuto impartirgli una simile punizione», aggiunse adirato. «Ho riferito dell'incidente all'abate; verrà a visitare il giovane domattina. Questa volta il priore Mortimus si è spinto troppo oltre.»

«Devo scoprire che cosa intendeva. Tornerò domani, ma voglio essere avvisato se le sue condizioni dovessero peggiorare.»

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«Certamente. Ora vi prego di scusarmi, signore, devo andare a preparare un infuso d'erbe…»

Annuii, e il frate infermiere uscì dalla stanza. Rivolsi un sorriso ad Alice, cercando d'apparire rassicurante.

«Uno strano affare», dissi. «Non avete proprio idea di che cosa volesse dire?Prima ha sostenuto di avervi messa in guardia, poi che avrebbe dovuto farlo.»

«A me non ha mai detto nulla, signore. Quando lo abbiamo portato qui hadormito un poco, poi, quando la febbre è salita, ha cominciato a chiedere divoi.»

«Che cosa avrà voluto intendere quando ha detto che Singleton non è stato ilprimo?»

«Sul mio onore, davvero non saprei, signore», disse la fanciulla in tono ansioso. Mi voltai verso di lei e le parlai con voce gentile.

«Vi sentite esposta a qualche genere di pericolo, Alice?»

«No, signore.» Arrossì, e io fui sorpreso nel constatare la rabbia el'oltraggio che le avevano tinto le gote. «Di tanto in tanto sono stataavvicinata da certi monaci, ma li tengo a bada facendo affidamento sullaprotezione di fratello Guy e sul mio cervello. È solo un fastidio, non certo unpericolo.»

Annuii, colpito nuovamente dalla forza della sua personalità.

«Siete infelice qui?» le chiesi pacato.

Si strinse nelle spalle. «È un lavoro. E il mio padrone è una personabuona.»

«Alice, se posso esservi d'aiuto o se sentite d'avere qualcosa da dirmi, viprego di non farvi scrupoli. Non amo l'idea di sapervi in pericolo.»

«Vi ringrazio, signore», disse in tono prudente. Non aveva motivo di fidarsi di me più di quanto si fidava dei monaci. Ma forse con Mark si sarebbe aperta. Si voltò di nuovo verso il suo paziente, che aveva cominciato ad agitarsi in preda alla febbre, rischiando di scoprirsi.

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«Allora vi auguro la buona notte, Alice.»

La fanciulla, ancora intenta a calmare il novizio, mi rispose senza alzare losguardo. «Buona notte, signore.»

Ripercorsi il gelido corridoio. Passando davanti a una finestra, mi fermai eguardai fuori. La neve aveva infine smesso di cadere. Il suo spesso mantointonso, che scintillava candido e intatto sotto i raggi della luna, avevacoperto ogni cosa. Osservando quella terra desolata, punteggiata dalle scuresagome di antichi edifici, mi sentii in trappola, come se mi fossi trovatoabbandonato sulla luna.

Capitolo dieci

Quando mi svegliai, da principio non compresi dove mi trovavo. La lucedel giorno, più abbagliante di quella a cui ero abituato, inondava una stanzache non conoscevo. Poi tutto affiorò alla mente, e mi misi a sedere nel letto.Mark, che avevo ritrovato addormentato di ritorno dalla visita al novizio, eragià in piedi; aveva acceso il fuoco, s'era infilato le calzebrache e si stavarasando davanti a un catino d'acqua fumante. Dalla finestra vidi il mantonevoso punteggiato qua e là dalle impronte degli uccelli.

«Buon giorno, signore», mi disse facendo delle smorfie in un vecchiospecchio d'ottone.

«Che ore sono?»

«Le nove passate. Il frate infermiere c'informa di rivolgerci a lui per lacolazione. Vedendoci così stanchi, ci ha lasciati dormire.»

Scesi dal letto. «Non abbiamo tempo da sprecare dormendo! Sbrigati,finisci di rasarti e infilati la camicia.» Cominciai a vestirmi.

«Non vi rasate?»

«Dovranno accettarmi così come sono.» La mole del lavoro che ciattendeva m'invase la mente. «Forza. Voglio visitare questo luogo come sideve, e parlare con gli obedenziari. Tu dovrai trovare il modo di parlare a

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madamigella Alice. Poi fatti un giro per il monastero, e cerca dei possibilinascondigli per quella spada. Dobbiamo battere tutto il territorio il piùvelocemente possibile, abbiamo un nuovo problema.» Chiudendo lecalzebrache, gli raccontai della mia visita notturna a Whelplay.

«Un altro morto? Jesu. Questa matassa s'imbroglia sempre più.»

«Lo so. E abbiamo pochissimo tempo per districarla. Andiamo.» Percorremmo il corridoio fino allo studiolo di fratello Guy. Lo trovammo seduto allo scrittoio, intento a consultare il suo testo arabo.

«Ah, vi siete svegliati», disse con il suo morbido accento. Chiuse ilvolume con riluttanza e ci condusse in una stanzetta, dove delle erbependevano attaccate a ganci. Invitandoci a prendere posto, ci servì pane,formaggio e una caraffa di birra leggera.

«Come sta il vostro paziente?» chiesi.

«Questa mattina va un po' meglio, grazie a Dio. La febbre è calata e oradorme profondamente. L'abate verrà a fargli visita più tardi.»

«Ditemi, qual è la storia del novizio Whelplay?»

«È figlio d'un piccolo agricoltore che vive dalle parti di Tonbridge», dissefratello Guy con un mesto sorriso. «È di costituzione delicata, la vita deicampi è troppo dura per lui. Simili creature finiscono spesso in luoghi comequesto, ai quali Dio, probabilmente, li aveva destinati.»

«Un sicuro rifugio dal mondo?»

«Quelli come fratello Simon servono il Signore con le preghiere. Non èforse una condizione preferibile al disprezzo e ai maltrattamenti chericeverebbero fuori di qui? In ogni modo, date le circostanze, penso siadiscutibile affermare che in questo monastero ha trovato un rifugio.»

Lo guardai serio. «È vero, qui ha trovato il medesimo disprezzo e imedesimi maltrattamenti. Terminata la colazione, fratello Guy, gradirei miaccompagnaste dov'è stato rinvenuto il cadavere. Abbiamo già perdutomolto tempo, temo.»

«Certamente. Ma non potrò assentarmi a lungo, il mio paziente…»

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«Mezz'ora sarà sufficiente.» Bevvi un ultimo sorso di birra e mi alzai,gettandomi il mantello sulle spalle. «Mastro Poer rimarrà qui questa mattina,gli ho concesso un po' di riposo. Dopo di voi, fratello.»

Attraversammo la camerata dell'infermeria, dove Alice si stava prendendo cura di un vecchio monaco. Era l'uomo più anziano che avessi mai visto, e giaceva respirando lentamente e con grande fatica. Non avrebbe potuto essere più in contrasto con il suo vicino, un frate paffuto che sedeva nel lettofacendo un solitario a carte. Il paziente cieco s'era addormentato su una sedia. Il frate infermiere aprì la porta d'ingresso e subito indietreggiò perché quasi un piede di neve, accumulatasi davanti all'uscio, cadde all'interno.

«Dovremmo indossare delle soprascarpe, o c'inzupperemo i piedi.» Siscusò e mi lasciò a guardare fuori, il fiato una visibile condensa. Il cielo erad'un azzurro intenso, e l'aria la più immobile e fredda che avessi mairespirato. La neve aveva la soffice leggerezza degli inverni più rigidi, e siprospettava difficile da attraversare. Avevo portato il bastone poiché, dato ilmio precario equilibrio, sarei potuto facilmente cadere. Fratello Guy ritornòportando anche per me delle robuste soprascarpe di pelle.

«Dovrò farle avere ai monaci che lavorano fuori», disse. Le allacciammo esprofondammo nella neve fino ai polpacci, lo scuro viso di fratello Guystagliato su tutto quel biancore. La porta delle cucine era poco distante, enotai che i locali di servizio condividevano una parete con l'infermeria.Chiesi se ci fosse una porta comunicante.

«Esisteva un passaggio», disse, «ma è stato chiuso all'epoca della pestebubbonica, per contenere la diffusione del contagio, e non è mai statoriaperto. Una precauzione assai saggia.»

«La notte scorsa, quando ho visto quel ragazzo ho temuto che avessecontratto la febbre eruttiva. Ho visto quali sono le sue conseguenze, una cosaterribile. D'altro canto, so che è causata dall'aria insalubre della città.»

«Grazie al cielo, ho avuto a che fare con pochi casi d'epidemia. Più chealtro, mi trovo a dover affrontare le conseguenze di lunghe ore di preghierain una gelida chiesa. E quelle dovute all'età, ovviamente.»

«Avete un altro paziente, qui, che pare grave. Il vecchio.»

«Sì. Fratello Francis. Ha novantaquattro anni. È tanto vecchio da essereritornato bambino, e ora soffre di polmonite. Penso sia giunto quasi al

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termine del suo pellegrinaggio.»

«E che cos'ha quello grasso, sul fondo?»

«Ulcerazioni varicose, come fratello Septimus, ma più gravi. Gli ho praticato dei salassi, e ora si sta godendo un po' di riposo.» Sorrise gentile.

«Temo avrò delle difficoltà a rimetterlo in piedi. I pazienti lascianol'infermeria con riluttanza. Fratello Andrew è diventato un ospite fisso, lacecità lo ha colpito tardi e ha paura a uscire. Ha perso la sicurezza in sestesso.»

«Avete in cura molti monaci anziani?»

«Una decina. I miei confratelli tendono a essere piuttosto longevi. Quattro hanno passato l'ottantina.»

«Non mi sembra che i religiosi patiscano le fatiche e gli stenti della gente comune.»

«O forse la fede rinforza i loro corpi quanto le loro anime. In ogni modo, eccoci arrivati.»

Varcammo una massiccia porta di legno di quercia. Come mi aveva descrittola notte precedente, alle cucine e si accedeva passando per un breve corridoio. La porta era aperta e dall'interno mi arrivò un rumore di voci e l'acciottolio delle stoviglie. Avvicinandoci, fui raggiunto da un intenso aroma di pane infornato. Dentro, alcuni servitori erano intenti a preparare il pranzo. La cucina era ampia, all'apparenza pulita e ben organizzata.

«Dunque, fratello, quando siete giunto qui quella notte, dove avete trovatoil corpo?»

Il frate infermiere avanzò qualche passo sotto gli sguardi incuriositi della servitù.

«Proprio qui, vicino alla tavola. Il cadavere era prono, le gambe verso la porta. La testa era finita laggiù.» Indicò una tinozza di ferro con l'iscrizione BURRO. Seguii il suo sguardo, come pure fecero i servitori. Uno di loro si fece il segno della croce.

«Dunque doveva aver appena varcato la soglia, quand'è stato colpito»,

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riflettei ad alta voce. Nel punto dov'era caduto c'era una grossa credenza; l'aggressore poteva essersi nascosto dietro il mobile, poi, al passaggio di Singleton, doveva essere balzato fuori per colpirlo. Feci qualche passo e roteai il bastone in aria, facendo trasalire un servitore che indietreggiò. «Sì, c'è spazio sufficiente per un ampio movimento del braccio. Suppongo sia andata così.»

«Con una lama affilata e un braccio robusto, sì, sarebbe possibile», concordò fratello Guy, pensieroso.

«Sempre che si possieda una certa abilità, e che si sia capaci di maneggiare una grossa spada.» Osservai i servitori presenti. «Chi è il capocuoco?»

Un uomo barbuto, con indosso un grembiule macchiato, si fece avanti conun inchino. «Ralph Spenlay, signore.»

«Siete il responsabile delle cucine, mastro Spenlay, possedete una chiavedi questi locali?»

«Sì, commissario.»

«E la porta che dà sul cortile è l'unica via d'accesso?»

«Sì, signore.»

«La porta vera e propria delle cucine è chiusa?»

«Non ce n'è bisogno. Si può entrare solo dal cortile.»

«Chi altri ha le chiavi?»

«Il frate infermiere, signore, l'abate e il priore. E mastro Bugge ilguardiano, ovviamente, per le sue ronde notturne. Nessun altro. Io vivoall'interno del monastero, apro i locali la mattina e li chiudo la sera.Chiunque voglia entrare deve venire da me. Per evitare furti di provviste,capite. Non importa che si tratti del cibo dei monaci. Be', in più diun'occasione, ho visto fratello Gabriel aggirarsi per il corridoio con farefurtivo, come non aspettasse altro che un nostro momento di distrazione persgraffignare qualcosa. Ed è un officiale…»

«Che cosa accade in caso di vostra assenza o malattia, se qualcuno

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desidera avere accesso a questi locali?»

«Dovrebbero domandare il permesso a mastro Bugge o al priore.» Sorrise.«Ma nessuno ama recare disturbo, se non è strettamente necessario.»

«Vi ringrazio, mastro Spenlay, mi siete stato di grande aiuto.» Mi diressiverso la porta, e uscendo infilai un dito in una ciotola di crema perassaggiarla. Il cuoco mi guardò seccato.

«Davvero deliziosa. Non vi disturberò oltre, fratello Guy. Ora vorreiscambiare due parole con l'economo, se foste tanto gentile da indicarmi lastrada.»

M'incamminai seguendo le sue indicazioni, la neve che scricchiolava sottoi miei passi. La corte era molto più tranquilla, la folla di gente e cani delgiorno precedente era svanita. Più ci pensavo, più mi convincevo che solo unesperto spadaccino poteva possedere la sicurezza necessaria per balzare allespalle di Singleton e mozzargli la testa. Nessuna delle persone che avevoincontrato m'era parsa in possesso di simili doti. L'abate era di costituzionerobusta, come fratello Gabriel, ma l'arte della scherma era privilegio deigentiluomini, non certo di una congregazione religiosa. Pensando a Gabriel,mi tornarono alla mente le parole del cuoco. Mi avevano lasciato perplesso,il sacrista non mi sembrava il genere d'uomo incline a rubacchiare del cibodalla cucina.

Osservai il cortile innevato. La strada per Londra era impraticabile, quindiio e Mark eravamo probabilmente imprigionati in quel luogo assieme a unassassino. Mi resi conto d'essermi inconsciamente diretto verso il centrodella corte, il più possibile lontano dalle zone in ombra. Era stranocamminare da solo in quel candido silenzio, sotto quelle alte mura, e non fusenza un senso di sollievo che scorsi Bugge presso il cancello, intento aspalare un sentiero con l'aiuto di un servitore.

Nell'udirmi avvicinare, il guardiano alzò lo sguardo, il viso paonazzo perlo sforzo. Il suo compagno, un giovane tarchiato con il volto deturpato daescrescenze verrucose, sorrise nervosamente e fece un inchino. Avevanoentrambi lavorato sodo, ed emanavano un odore terribile.

«Buon giorno, signore», disse Bugge in tono untuoso. Di certo gli erastato ordinato di trattarmi con rispetto.

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«Tempo spietato, eh?»

«Potete ben dirlo, signore. Anche quest'anno l'inverno è arrivato inanticipo.»

«Dato che ci siamo incontrati, vorrei domandarvi delle vostre rondenotturne.»

L'uomo annuì, appoggiandosi sul badile. «Perlustriamo l'intero monastero due volte per notte, alle nove e alle tre e mezzo. Io o David, qui presente, facciamo un giro completo e controlliamo tutte le porte.»

«E i cancelli? Di notte sono chiusi?»

«Li chiudiamo ogni sera alle nove. E li riapriamo alle nove del mattinoseguente, dopo la prima. Nemmeno un cane potrebbe entrare di notte.»

«E figuriamoci un gatto», aggiunse il ragazzo. Aveva l'aria sveglia: potevaessere brutto, ma di certo non era uno sciocco.

«I gatti s'arrampicano», suggerii. «Come le persone.»

Un lampo di collera attraversò il volto del guardiano. «Non un muro altododici piedi, non è possibile. Lo avete visto anche voi, signore, non ci sonoappigli; nessuno potrebbe scalarlo.»

«La cinta è sicura lungo tutto il perimetro del monastero?»

«Fatta eccezione per il retro. Lì, a tratti, il muro s'è sgretolato, ma dà apicco sulla palude. È impossibile guadarla, soprattutto durante la notte. Chici ha provato è scomparso nel fango.» Levò una mano e la lasciò ricadere.

«Pluf.»

«Se il posto è inespugnabile, perché montare la guardia?»

Mi si avvicinò. Indietreggiai per il puzzo, ma lui non sembrò prendersela amale. «Gli uomini sono peccatori, signore, persino in questo luogo.» I suoimodi divennero confidenziali. «I costumi erano molli al tempo del vecchiopriore. Quando il priore Mortimus arrivò al monastero ordinò delle rondenotturne, e chiunque fosse stato trovato fuori della propria stanza sarebbestato segnalato alla sua attenzione. Ed è quello che faccio. Senza timori néfavoritismi.» Sorrise compiaciuto.

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«E che mi dite dell'omicidio del commissario Singleton? Avete notatonulla che possa indicare un'effrazione?»

«No, signore, vi giuro che tutto era come doveva essere fra le tre e trenta ele quattro e trenta. Quel giro di controllo l'ho fatto di persona. Come diconsueto, ho controllato la porta delle cucine che dà sulla corte, ed erachiusa. Però ho visto il commissario.» Annuì con aria solenne.

«Già, mi è stato riferito. E dove?»

«Durante la ronda. Stavo attraversando il chiostro, quando ho vistomuoversi qualcosa e ho dato il chi va là. Era mastro Singleton, vestito ditutto punto.»

«Che cosa doveva fare a quell'ora?»

«Disse d'avere un appuntamento, signore.» Sorrise, compiaciuto di tantaattenzione. «Mi disse che se avessi incontrato uno dei monaci diretto da lui,avrei dovuto lasciarlo andare.»

«Dunque stava andando a un appuntamento!»

«Direi di sì. Ed era anche piuttosto vicino alle cucine.»

«Che ora era?»

«Direi un quarto passate le quattro. Avevo quasi terminato il mio giro.» Annuii, guardando alle nostre spalle. «La chiesa è chiusa di notte?»

«No, signore, mai. Ma ci sono passato prima di controllare il chiostro, edera tutto normale. Sono rientrato nel mio alloggio alle quattro e mezzo. Ilpriore Mortimus m'ha donato un piccolo orologio», disse con orgoglio, «e iocontrollo sempre l'ora. Ho dormito un po', lasciando David di guardia, poi,alle cinque, sono stato svegliato da quel terribile grido d'allarme.»

«Dunque il commissario Singleton stava per incontrarsi con uno deimonaci. A quanto pare, il suo assassino.»

L'uomo esitò. «Io ho detto solo che nessuno può essere entratodall'esterno, nient'altro.»

«Non impossibile, ma di certo improbabile, sono d'accordo con voi.»Annuii. «Vi ringrazio, mastro Bugge, mi siete stato di grande aiuto.» Puntai

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il bastone avanti a me e mi voltai, lasciandoli nuovamente al loro lavoro.

Ritornato sui miei passi giunsi alla porta verde che contrassegnaval'ufficio contabile. Entrando senza bussare, mi ritrovai in una stanza che miricordava il mondo da cui venivo: pareti imbiancate a calce sulle qualicorrevano mensole cariche di registri contabili, inframmezzate da porzioni dimuro spoglio ricoperte di liste e conti. Due monaci lavoravano seduti adaltrettanti scrittoi. Uno, intento a contare delle monete, era più anziano, gliocchi cisposi. L'altro, chino su un registro, lo sguardo accigliato, era ilgiovane frate barbuto che aveva perso a carte la notte precedente. Alle lorospalle c'era un forziere chiuso dal più grosso lucchetto che avessi mai visto;doveva trattarsi dei fondi dell'abate.

Nel vedermi entrare, i due monaci balzarono in piedi. «Buon giorno»,dissi. Il fiato si addensò in una nuvola di condensa perché la stanza non erariscaldata. «Cerco fratello Edwig.»

Il giovane monaco indicò con lo sguardo una porta interna. «FratelloEdwig è con l'abate…»

«Là dentro? Allora li raggiungo.» Aprii l'uscio, ignorando la sua manolevata in un timido gesto di protesta, e mi ritrovai di fronte a una scala.Portava a un piccolo pianerottolo, dove una finestra s'affacciava sulpaesaggio innevato. Di fronte c'era una porta, dietro la quale udivo vociare.

Provai a origliare, ma non riuscii a comprendere nulla. Aprii ed entrai.

L'abate Fabian si stava rivolgendo a fratello Edwig con voce irritata.

«Dovremmo chiedere di più. Non gioverebbe alla nostra condizione cederloper meno di trecento…»

«Ho bisogno di quel d-denaro nei miei forzieri adesso, signor abate. Se è disposto a p-pagare quel terreno in contanti, dovremmo accettare!» Malgrado la balbuzie, l'economo parlava con grande determinazione. L'abateFabian si voltò, a disagio.

«Oh, mastro Shardlake…»

«Signore, questa è una c-conversazione riservata», sbottò l'economo, il

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viso colmo d'ira.

«Temo che in mia presenza non esista riservatezza. Se bussassi a ogniporta prima d'entrare, chissà cosa potrei perdermi.»

Fratello Edwig si frenò, agitando le mani da meticoloso burocrate qual era. «No, certamente, vogliate p-perdonarmi. Stavamo d-discutendo delle finanzedel monastero, di certi terreni che siamo costretti a vendere per far fronte ai c-costi delle opere di restauro, una que-que…» Il suo viso avvampò nuovamente, mentre lottava con le parole.

«Una questione che esula dalle vostre investigazioni», concluse l'abate conun sorriso.

«Fratello economo, c'è un problema della massima importanza di cui gradirei discutere con voi.» Mi accomodai a uno scrittoio in legno di querciafornito di molti cassetti, l'unico mobile in quella stanzetta, eccezion fatta per altri scaffali carichi di registri.

«Sono al vostro servizio, signore, ditemi pure.»

«Mastro Goodhaps mi ha riferito che il giorno in cui è morto ilcommissario Singleton stava esaminando un registro avuto dalla vostracontabilità. Registro che in seguito è scomparso.»

«Non è s-scomparso, signore. È stato restituito al nostro ufficio.»

«Speravo poteste dirmi di quale registro si trattava.»

L'uomo rifletté un istante. «Non ricordo. C-credo si trattasse del libromastro dell'infermeria. Abbiamo registri d-distinti per ciascuno dei nostriuffici - la sacrestia, l'infermeria e via d-discorrendo -, che confluiscono tuttinel rendiconto globale del monastero.»

«Suppongo esista una nota dei registri consultati dal commissario Singleton.»

«Sono certo d-di sì.» Si accigliò, visibilmente irritato. «Ma in più di un'occasione il c-commissario ha sottratto dei registri senza avvisare né me né il mio assistente, c-costringendoci a passare intere giornate a caccia di ciòche aveva p-prelevato senza permesso.»

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«Quindi non esiste alcuna registrazione effettiva di ciò che ha esaminato?»

L'economo aprì le braccia. «C-come potrebbe, visto che il ccommissario usava servirsi da solo? Sono spiacente…»

Annuii. «E ora nell'ufficio contabile è tutto in ordine?»

«Grazie al cielo.»

Mi alzai. «Molto bene. Vi prego di far recapitare nei miei alloggi i registri contabili degli ultimi dodici mesi. Di tutti gli uffici.»

«Tutti quanti?» L'economo non avrebbe potuto essere più sbalordito, nemmeno se gli avessi ordinato di spogliarsi e sfilare nudo nella neve.

«Significherebbe il c-caos, il lavoro della contabilità non potrebbeccontinuare…»

«Sarà solo per una notte. Due al massimo.»

Parve pronto a ribattere, ma l'abate Fabian prese la parola.

«Dobbiamo cooperare, Edwig. I registri vi saranno recapitati non appena possibile, commissario.»

«Molto obbligato. Ora, signor abate, la notte scorsa ho fatto visita al quello sfortunato novizio. Il giovane Whelplay.»

Il religioso annuì serio. «Già. Fratello Edwig e io ci recheremo da lui più tardi.»

«Ma ho i c-conti mensili delle elemosine da rivedere», protestò l'economo.

«Ciononostante, in quanto officiale più anziano dopo il priore Mortimus, sei tenuto ad accompagnarmi.» Sospirò. «Visto che fratello Guy ha denunciato il fatto…»

«Una denuncia assai grave», dissi. «Pare che il ragazzo abbia rischiato la vita…»

L'abate Fabian levò una mano. «Siate pur certo che andrò a fondo della faccenda.»

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«Posso domandarvi, mio signore, che cosa ha fatto con esattezza il ragazzo per meritare una simile punizione?»

Le spalle dell'abate s'irrigidirono per la tensione. «Francamente, mastro Shardlake…»

«Ve ne prego…»

«Il ragazzo mal sopporta le innovazioni religiose. La messa in inglese, peresempio. È molto devoto alla funzione in latino, alle salmodie. E teme cheanche queste verranno presto tradotte nella nostra lingua…»

«Un timore insolito per un ragazzo tanto giovane.»

«È musicalmente molto dotato. Assiste fratello Gabriel con i canti delle funzioni. Ha molto talento, ma a volte esprime opinioni che non gli competono. Le ha manifestate apertamente nella sala capitolare, sebbene in quanto novizio gli sarebbe vietato…»

«Mi auguro non abbia pronunciato parole sediziose, come fratello Jerome.»

«Nessuno dei miei monaci, e ripeto nessuno, farebbe mai una cosa simile, signore», disse l'abate con sincera convinzione. «E fratello Jerome non fa parte della nostra comunità.»

«Molto bene. Dunque, a Simon Whelplay è stato imposto di lavorare nellestalle, ed è stato messo a pane e acqua. Una punizione assai dura.»

L'abate arrossì. «Non è stata la sua unica mancanza.»

Riflettei un istante. «Assiste fratello Gabriel, avete detto. Se non ho capitomale, fratello Gabriel ha dubbi trascorsi.»

L'abate giocherellò nervosamente con la manica della veste. «SimonWhelplay m'ha rivelato in confessione di… certe brame carnali. Neiconfronti di fratello Gabriel. Ma si tratta di peccati di pensiero, signore,null'altro. Fratello Gabriel non ne è neppure a conoscenza. È rimasto purodal… dall'incidente di due anni fa. Il priore Mortimus sorveglia la comunitàcon occhio vigile, molto vigile.»

«Non avete un tutore per i novizi, vero? Il numero delle vocazioni è

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troppo esiguo?»

«Sono andate riducendosi in tutte le case, da generazioni, sin dalla GrandePestilenza», disse l'abate in tono di cortese ragionevolezza. «Ma con larinascita della vita religiosa sotto la guida del sovrano, forse i monasteri netrarranno beneficio, e le vocazioni aumenteranno…»

Mi chiesi se davvero credesse a quel che stava dicendo, se fosse davverotanto cieco.

La nota supplichevole nella sua voce mi fece comprendere che era così;pensava davvero che i monasteri potessero sopravvivere. Diedi uno sguardoall'economo; aveva preso una carta dal suo scrittoio e la stava esaminando,estraniandosi dalla conversazione.

«Chi mai può dire che cosa porterà l'avvenire?» Mi voltai verso la porta.

«Ci sono molto obbligato, signori. La furia degli elementi mi attende, cosìcome la chiesa… e fratello Gabriel.» Lasciai l'abate alle sue ansie el'economo alle partite doppie.

Mentre attraversavo il chiostro, fui colto da un fastidioso dolore chem'impose una visita alle latrine. Fratello Gabriel me le aveva indicate lanotte precedente. Esisteva una scorciatoia che passava per il retrodell'infermeria e attraversava il cortile fino alla costruzione che le ospitava.

Passai nuovamente per l'infermeria e uscii nella corte cinta su tre lati.Notai che era stato scavato un canaletto di scolo che correva sotto unapiccola stanza per il bagno annessa all'infermeria e sotto le latrine, in mododa servire entrambe. Non potei che ammirare l'ingegnosità degli architettidel monastero. Poche case, persino a Londra, disponevano di similidispositivi, e talvolta pensavo con orrore a che cosa sarebbe accaduto se ilpozzo nero che avevo in giardino avesse tracimato.

I polli razzolavano con rauche strida nel cortile, dal quale la neve era statain gran parte spalata. Un paio di maiali facevano capolino dalla recinzione diun porcile di fortuna. Alice stava dando loro da mangiare, versando unsecchio di pastone dentro al trogolo. La raggiunsi. I miei bisogni corporalipotevano attendere qualche istante.

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«Avete un gran daffare, vedo. I maiali oltre ai pazienti.»

La giovane sorrise deferente. «Sì, signore. Il lavoro d'una domestica nonha mai fine.»

Guardai oltre il recinto, domandandomi se la paglia e il fango del porcilepotessero nascondere qualcosa; in quel caso, però, quelle creature dal mantoscuro l'avrebbero di certo riportata alla luce. Avrebbero potuto divorare levesti intrise di sangue, ma non una spada o una reliquia. Osservai il cortile.«Vedo solo galline. Non avete dei galli?»

La fanciulla scosse la testa. «No, signore. Il povero Jonas è morto. Uccisosull'altare. Era un bell'animale, con un incedere tutto impettito che mi facevamolto divertire.»

«È vero, sono creature assai comiche. Dei piccoli sovrani che s'aggiranocon fare solenne fra i propri sudditi.»

Alice sorrise. «Jonas era proprio così. Ogni volta che lo avvicinavo, i suoiocchietti cattivi mi guardavano con aria di sfida. Sbatteva le ali con fogastridendo, ma era tutta scena. Bastava avvicinarsi un passo di più permetterlo in fuga.» Con mia sorpresa, i suoi grandi occhi azzurri s'eranoriempiti di lacrime. Evidentemente era una fanciulla di buon cuore, oltre chedi grande coraggio.

«Quella profanazione è stata davvero un gesto malvagio», dissi.

«Povero Jonas.» Scosse la testa e fece un respiro profondo.

«Ditemi, Alice, quando vi siete accorta della sua scomparsa?»

«La mattina in cui è stato ritrovato il cadavere.»

Mi guardai attorno. «Non c'è altro accesso alla corte, tranne l'infermeria ele latrine?»

«No, signore.»

Annuii. Un altro indizio sfavorevole ai monaci e alla loro servitù. Una fittaagli intestini mi spinse a non indugiare oltre. Con riluttanza, mi scusai e midiressi a passo svelto verso la latrina.

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Non ero mai stato in una latrina monastica. Ai tempi della scuola aLichfield scherzavamo sempre su quello che i monaci facevano in queiluoghi appartati, ma trovai la latrina di Scarnsea piuttosto ordinaria. Lepareti di pietra della stanza oblunga erano spoglie e c'era poca luce, poiché lefinestre erano molto alte. Appoggiata a uno dei muri correva una lungapanca con una serie di buchi circolari, e alla sua estremità c'erano tre cabineseparate per gli obedenziari. Fu lì che mi diressi, oltrepassando un paio dimonaci seduti sulla panca comune. Uno era il giovane dell'ufficio contabile.Il confratello seduto accanto a lui s'alzò per inchinarsi, guardandomiimbarazzato mentre cercava di sistemarsi l'abito, poi si rivolse al vicino.

«Hai intenzione di rimanere qui l'intera giornata, Athelstan?»

«Lasciami in pace, ho una colica.»

Entrai in una delle cabine, chiusi la porta con il chiavistello e mi sedetti,con grande sollievo. Ripensai ad Alice. Se il monastero fosse stato chiuso,sarebbe rimasta senza lavoro. Mi chiesi che cosa avrei potuto fare peraiutarla; forse avrei potuto trovarle un altro posto in città. Mi rattristavavedere una donna del suo stampo in un luogo simile, ma con tutta probabilitàera d'origini molto umili. Come si era intristita per la morte di quel volatile!Scossi il capo di fronte alla mia debolezza, alla luce soprattutto di quantoavevo detto a Mark.

Ma qualcosa mi strappò ai miei pensieri. Alzai la testa e trattenni ilrespiro. Fuori della cabina qualcuno si muoveva piano, ma io avevo udito ilsuo passo felpato, il rumore del cuoio sulla pietra. Con il cuore in gola, fuigrato al senso del pericolo che mi aveva tenuto all'erta. Chiusi le calzebrachee m'alzai in silenzio, allungando la mano verso il pugnale. Appoggiai unorecchio alla porta. Udii respirare: qualcuno, là fuori, era come meappoggiato all'uscio.

Mi morsi un labbro. Il giovane monaco se n'era probabilmente già andato;forse ero rimasto solo. Devo confessare che il pensiero che l'assassino diSingleton potesse avermi teso un agguato mi mise in agitazione.

La porta della cabina si apriva verso l'esterno. Con estrema cautela sfilai ilchiavistello, feci un passo indietro e le sferrai un calcio con tutta la forza cheavevo. La porta si spalancò, e un grido di spavento si levò nell'aria. Erafratello Athelstan, che si stava sbracciando nel tentativo di mantenerel'equilibrio. Con mio grande sollievo mi accorsi che aveva le mani vuote.

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Avanzai con il pugnale levato, mentre il giovane mi guardava con gli occhisgranati.

«Che cosa stavate facendo?» sbottai. «Vi ho sentito muovervi di soppiattoqua fuori!»

Deglutì, facendo tremolare il prominente pomo d'Adamo.

«Nulla di male, signore! Stavo per bussare, lo giuro!»

Era bianco come un cencio. Abbassai la lama. «Perché? Che volevate?» Spostò ansiosamente lo sguardo sulla porta del dormitorio. «Avevo bisogno di parlarvi in segreto, signore. Quando vi ho visto entrare, ho aspettato che fossimo soli.»

«Parlarmi? A che proposito?»

«Non qui, ve ne prego», disse incalzante. «Potremmo essere disturbati. Viprego, signore, potete raggiungermi al birrificio? Si trova accanto alle stalle.A quest'ora del mattino è deserto.»

Lo scrutai meglio. Pareva sull'orlo del collasso.

«Molto bene. Ma porterò con me il mio assistente.»

«Ma certo, signore, come desiderate…» Fratello Athelstan s'interruppe nelvedere l'alta e sottile figura di fratello Jude apparire sulla soglia della latrina,poi si allontanò con passo frettoloso.

L'elemosiniere, che con tutta probabilità s'era preso una pausa dalponderare quali sontuosi pasti spettassero ai confratelli quel giorno, milanciò un'occhiata strana. Fece un inchino, entrò in una delle cabine e serrò ilchiavistello con violenza. In quell'istante mi resi conto che tremavo comeuna foglia, dalla testa ai piedi.

Capitolo undici

Feci qualche respiro profondo per riprendere il controllo e mi precipitai in

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infermeria. Mark era seduto in sala da pranzo e parlava con Alice, che nelfrattempo era tornata e stava lavando le stoviglie. Pareva allegra e a suoagio, e non mostrava alcuna delle riserve che aveva avuto nei miei confronti.Provai una fitta di gelosia.

«Ti sono concessi dei giorni di riposo?» le stava chiedendo Mark.

«Mezza giornata la settimana. Quando non abbiamo molto da fare, fratelloGuy mi lascia anche una giornata intera.»

Entrai trafelato e i due giovani si voltarono a guardarmi. «Mark, devoparlarti.»

Mi seguì nella nostra stanza, e gli raccontai di fratello Athelstan.

«Vieni con me. Porta la spada. Non ha l'aria pericolosa, mi pare più chealtro un'astuta serpe, ma non si può mai sapere.»

Tornammo alla corte principale, dove Bugge e il suo assistente stavanoancora spalando la neve, e superammo le stalle. Lanciai uno sguardo oltre laporta aperta: un garzone stava ammucchiando il fieno sotto lo sguardo deicavalli, il cui respiro si condensava nell'aria gelida. Quello non era proprio illavoro adatto a un ragazzo di salute cagionevole come Whelplay.

Aprii la porta del birrificio. L'ambiente era caldo. Da una porta lateralesocchiusa s'intravedeva un fuoco crepitante, una scala conducevaall'essiccatoio ubicato al piano di sopra. La sala principale, piena di tini ebotti, era deserta. Con la coda dell'occhio scorsi qualcosa muoversi al pianodi sopra e trasalii. Alzai lo sguardo e mi accorsi che erano solo delle gallineappollaiate fra i travicelli.

«Fratello Athelstan», chiamai con un sonoro bisbiglio. Udimmo un tonfoalle nostre spalle, e Mark mise subito mano alla spada, quando l'esile figuradel monaco fece capolino da dietro una botte. S'inchinò.

«Commissario. Grazie d'essere venuto.»

«Spero sia una questione della massima importanza per essere venuto adisturbarmi in un simile momento. Siamo soli?»

«Sì, signore. Il birraio è fuori, aspetta che il luppolo essicchi.»

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«Quelle galline non rischiano di guastare la birra? Insozzano ovunque.»

Sorrise a disagio, gingillandosi con la barbetta. «Il birraio sostiene chediano corposità alla bevanda.»

«Dubito che la gente sarebbe della stessa opinione», osservò Mark. Fratello Athelstan s'avvicinò, fissandomi con occhi penetranti. «Signore, conoscete quel passaggio delle ingiunzioni di Lord Cromwell dove si dice che un monaco può presentare una lamentela direttamente agli emissari del vicario generale, senza rivolgersi prima al proprio abate?»

«Certo. Avete una lamentela da espormi?»

«Direi piuttosto un'informazione.» Fece un respiro profondo. «So cheLord Cromwell è alla ricerca d'irregolarità nella gestione delle case religiose.Ho saputo, signore, che gli informatori ricevono una ricompensa.»

«Solo se l'informazione si rivela utile.» Lo studiai. Nel mio lavoro avevospesso a che fare con gli informatori, e mai come in quegli anni la loronauseante specie si era moltiplicata. Era possibile che quella notte Singletondovesse incontrarsi proprio con fratello Athelstan? D'altro canto, avevo lanetta sensazione che quel giovane non avesse mai vestito prima i panni dellaspia. Ambiva alla ricompensa, ma aveva paura.

«Ho pensato… ho pensato che ogni informazione sulle malefatte di questoluogo avrebbe potuto aiutarvi a identificare l'assassino del commissarioSingleton.»

«Che cos'avete da dirmi?»

«I monaci più anziani, signore, gli obedenziari. A loro non piacciono lenuove ingiunzioni di Lord Cromwell. I sermoni in inglese, l'irrigidimentodelle regole. Li ho uditi discutere, signore, nella sala capitolare. Seduti abisbigliare fra loro, prima degli incontri con il resto della congregazione.»

«E che cosa avete sentito?»

«Li ho sentiti dire che chi ha imposto le ingiunzioni non conosce o non si cura della vita religiosa. L'abate, fratello Guy, fratello Gabriel e il mio superiore, fratello Edwig, la pensano tutti allo stesso modo.»

«E il priore Mortimus.»

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Athelstan si strinse nelle spalle. «Lui si lascia portare dalla marea.»

«Non è il solo. Fratello Athelstan, avete mai sentito gli obedenziariesprimersi a favore del papa, contro il divorzio di Sua Maestà o contro lostesso Lord Cromwell?»

Esitò. «No. Ma io… io potrei dire d'averlo sentito, se questo potesse esservi d'aiuto.»

Risi. «E pensate che qualcuno vi crederebbe, vedendovi strascicare i piedicon lo sguardo basso? Io non credo proprio.»

Si toccò nuovamente la barba. «Se posso rendermi utile in qualunque altromodo, signore», bofonchiò. «Sarei felice di poter servire Lord Cromwell.»

«Perché mai, fratello Athelstan? Non siete soddisfatto della vita checonducete qui?»

Il suo viso s'adombrò. Un viso debole e infelice.

«Lavoro nell'ufficio contabile per fratello Edwig. È un padrone moltoduro.»

«Perché? Che cosa fa?»

«Mi fa sgobbare come uno schiavo. E se i conti non tornano anche di unsolo centesimo, mi rende la vita un inferno, costringendomi a ricominciaretutto daccapo. Ho commesso un piccolissimo errore e ora mi fa rimanerenell'ufficio notte e giorno. Adesso non c'è, altrimenti non avrei mai osatoallontanarmi tanto a lungo.»

«E così», dissi, «perché il vostro padrone punisce le vostre mancanze, voisiete disposto a mettere fratello Gabriel e tutti gli altri nei guai con LordCromwell, nella speranza che questi possa rendere più sopportabile la vostraesistenza?»

Mi guardò confuso. «Ma lui non desidera forse che i monaci forniscanoinformazioni, signore? Io volevo solo rendermi utile.»

Sospirai. «Sono qui per indagare sulla morte del commissario Singleton,fratello. Se avete delle informazioni da darmi a tale proposito, sono prontoad ascoltarvi. In caso contrario state perdendo il vostro tempo.»

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«Sono dolente.»

«Andate, ora.» Parve sul punto di aggiungere qualcosa, ma ci ripensò elasciò il capanno a passo svelto. Calciai una delle botti, e risi amareggiato.

«Dio, che creatura! Be', questo non ci porta a nulla.»

«Informatori. Non valgono il disturbo che creano.» Mark balzò di latoimprecando, perché una delle galline gli aveva chiazzato la veste con i suoiescrementi.

«Già, sono come quelle galline, non gli importa dove vanno a cadere ipropri escrementi.» Passeggiai su e giù per il locale. «Jesu, quel furfante miha davvero spaventato. Pensavo si trattasse dell'assassino.»

Mark mi guardò serio. «Confesso che non mi sento sicuro a restare soloqui dentro. Ho paura della mia stessa ombra. Forse dovremmo rimanereinsieme, signore.»

«No, abbiamo troppo da fare. Torna all'infermeria. Pare che tu e Aliceandiate piuttosto d'accordo.»

Mi sorrise compiaciuto. «Mi ha raccontato della sua vita.»

«Molto bene. Ora devo andare da fratello Gabriel. Forse mi racconteràdella sua. Suppongo che tu non abbia ancora avuto il tempo di dareun'occhiata in giro.»

«No, signore.»

«Be', vedi di trovarlo. Fatti dare un paio di soprascarpe da fratello Guy.»Lo guardai serio. «Ma bada a fare molta attenzione.»

Mi fermai di fronte alla chiesa. Nel vedere uno dei garzoni di cucinaarrancare faticosamente nella neve, le povere calzebrache di lana zupped'acqua, fui grato per le soprascarpe che il frate infermiere mi avevaprestato.

Studiai la facciata dell'edificio. La cornice in pietra attorno al maestosoportale di legno, alto una ventina di piedi, era riccamente decorata da mostrie gargoyle intesi a tener lontano gli spiriti maligni. La chiesa del monastero,

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al pari delle grandi cattedrali, aveva lo scopo d'impressionare. La promessad'una preghiera per le anime del purgatorio o di una cura miracolosadispensata da una reliquia avrebbero avuto molto più peso in quel contesto.Aprii il pesante portale e scivolai all'interno, nel riecheggiante silenzio.

Tutto intorno, gli ampi archi a volta della navata s'innalzavano per quasicento piedi, sostenuti da vivaci colonne rosse e nere. Il pavimento eraricoperto di piastrelle gialle e blu. L'occhio veniva subito attratto dall'altaparete divisoria fra la navata e il coro, il jubé, riccamente decorata dalleeffigi dei santi. Nella parte più alta, illuminate dalle candele, erano stateposte le statue di Giovanni Battista, della Vergine e di Nostro Signore. Unagrande finestra al limitare estremo della chiesa, intesa a catturare la lucemattutina proveniente da oriente, era dipinta con motivi geometrici gialli earancioni. Inondava la navata con una calda luce ambrata, densa di pace emistero, mitigando quel caleidoscopio di colori. Chi l'aveva costruita sapeva,senza dubbio, come creare un'atmosfera.

Percorsi lentamente la navata. Lungo le pareti correvano delle statue disanti e dei piccoli reliquiari, che custodivano bizzarri oggetti deposti su lettidi raso e illuminati dal bagliore delle candele. Un servitore si spostava conpasso misurato da un altarino all'altro, sostituendo quelle che s'eranoconsumate. Mi fermai a osservare le cappelle laterali, ciascuna con lapropria statua e le proprie candele. Mi resi conto che quegli antri, con glialtari protetti da inferriate, le statue e i feretri, potevano essere ottiminascondigli.

Molte erano occupate da monaci intenti a intonare messe private. Le classipiù abbienti, terrorizzate dalle pene del purgatorio, sottraevano grosse fettedelle loro fortune a mogli e figli destinandole ai monaci perché dicesseromesse fino al Giorno del Giudizio. Quanti giorni di remissione poteva valereuna messa da quelle parti? A volte ne venivano promessi cento, altre mille.Chi non aveva risorse, invece, era lasciato a soffrire fino a quando a Diofosse piaciuto. Purgatorio spilladanaro, lo chiamavamo noi riformatori.Sentire quelle salmodie in latino suscitò in me un impaziente moto di rabbia.

Mi fermai dinanzi al jubé e alzai lo sguardo. Il mio respiro condensato sidissolse nell'aria tinta di giallo. Sul lato opposto una rampa di scale incassatanella parete dava accesso alla parte superiore della parete divisoria.

Lassù una stretta balaustra correva lungo tutta la lunghezza della chiesa, esopra quella ringhiera le pareti s'inarcavano verso l'interno, convergendo

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nella grande volta del soffitto. A sinistra notai una profonda crepa, chiazzatad'umidità, che correva dal soffitto fin quasi a terra. Le chiese normanne,ricordai, non erano solide quanto apparivano; le pareti potevano ancheessere spesse venti piedi, ma erano soggette a letali infiltrazioni.

Nel punto in cui l'abscissione correva lungo la parete, i blocchi di pietra, elo strato di stucco che li univa, erano scoloriti, e sul pavimento sottostantes'era accumulato un mucchietto di polvere. Notai che nella parete sopra ilparapetto erano scavate delle nicchie, che contenevano, a intervalli regolari,una serie di statue con la stessa rappresentazione di san Donato chino sulcadavere che avevo visto sul sigillo del monastero.

La crepa aveva attraversato anche una delle nicchie, e la statua che vi eraospitata era stata rimossa e ora giaceva, rovinata, sul parapetto. Un'enormestruttura di funi e pulegge era stata montata, le corde assicurate alla paretedietro la balaustra si lanciavano nel vuoto, scomparendo nell'oscuritàdell'alto campanile.

Dalle funi pendeva un canestro di legno grande abbastanza da conteneredue uomini. Presumibilmente quell'ingegnoso sistema permetteva alcanestro di muoversi avanti e indietro, rendendo così possibile la rimozionedella statua. Stratagemma brillante ma pericoloso perché per effettuarelavori di restauro adeguati ci sarebbe stato bisogno d'un ponteggio. Mal'economo aveva ragione nel sostenere che un restauro completo sarebbestato enormemente costoso. D'altro canto, però, l'erosione del ghiaccio edell'acqua non avrebbe fatto che ampliare la crepa, finendo, presto o tardi,per minare l'intera struttura. Con gli occhi dell'immaginazione vidi quelmaestoso edificio crollare sotto il suo stesso peso.

Eccezion fatta per le preghiere sussurrate nelle cappelle laterali, la chiesaera silenziosa. Poi mi giunse all'orecchio un lieve vociare, seguii quel suonoe giunsi a una porta socchiusa, dalla quale filtrava la luce delle candele.

Riconobbi la voce profonda di fratello Gabriel.

«Ho tutti i diritti di chiedere come sta», diceva stizzito.

«Se continui ad aggirarti per l'infermeria, la gente riprenderà a malignare»,ribatté il priore in tono brusco. Un istante dopo apparve sulla soglia, il visorubicondo corrucciato. Quando s'accorse di me, trasalì lievemente.

«Cercavo il sacrista. Speravo potesse mostrarmi la chiesa.»

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Il priore m'indicò la porta aperta con un cenno. «Troverete fratello Gabriellì dentro, signore. Sarà lietissimo di lasciare il tepore del suo studiolo conquesto freddo. Buona giornata.» Fece un rapido inchino e se ne andò, e isuoi passi riecheggiarono sonoramente nel silenzio.

Il sacrista era seduto a una scrivania cosparsa di spartiti musicali, in unostudiolo zeppo di libri. Una statua della Vergine Maria era appoggiata controuna parete, il naso rotto, conferendo a quella gelida stanza senza finestre unaspetto deprimente. Sopra l'abito nero, fratello Gabriel portava un pesantemantello. Pareva inquieto; aveva un viso duro, lungo e ossuto, ma la boccatendeva rigidamente verso il basso e gli occhi erano segnati da profondeborse. Nel vedermi entrare si alzò, forzando un sorriso.

«Commissario. Mastro Shardlake. In che modo posso esservi d'aiuto?»

«Speravo poteste mostrarmi la chiesa, fratello sacrista, e la scena dellaprofanazione.»

«Come desiderate, signore.» Il tono della sua voce era riluttante,nondimeno mi raggiunse e mi ricondusse nel corpo centrale dell'edificio.

«Vi occupate della musica, fratello, nonché della manutenzione dellachiesa?»

«Esatto, e della biblioteca. Posso mostravi anche quella, se lo desiderate.»

«Vi ringrazio. Se ho ben compreso, il novizio Whelplay era un vostro assistente.»

«Prima d'essere mandato a congelare nelle stalle», disse fratello Gabrielcon voce aspra. Soffocando la rabbia, aggiunse in tono più mite: «Ha moltotalento, sebbene forse pecchi d'entusiasmo». Mi guardò con occhi ansiosi.«Perdonate la mia domanda, ma voi alloggiate nell'infermeria, vero?Potreste dirmi come sta?»

«Fratello Guy lo crede fuori pericolo.»

Mostrandomi la chiesa, si fece d'umore più allegro, e mi raccontò in tonovivace la storia di ciascuna statua, spiegandomi anche l'architetturadell'edificio e la lavorazione dei vetri colorati delle finestre. Parlandosembrava dimenticare le sue preoccupazioni e non parve badare al fatto che,in quanto riformatore, io potessi non approvare ciò che andava mostrandomi.

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L'impressione che di lui m'ero fatta - quella di un uomo ingenuo e spirituale- si rafforzò. Ma simili caratteristiche potevano anche sfociare nel fanatismo,e di nuovo notai la sua robusta costituzione. Aveva lunghe dita delicate, mapolsi massicci e forti, in grado d'impugnare una spada con grande facilità.

«Vestite l'abito da molto tempo?» gli domandai.

«Ho preso i voti all'età di diciannove anni. Non ho conosciuto altra vitache questa. E non desidero altro.»

Si fermò davanti a un'ampia nicchia contenente un piedistallo di pietra, sulquale era disteso un panno nero e nient'altro. Tutt'intorno era appoggia- taun'enorme quantità di bastoni, stampelle e altri congegni utilizzati daglistorpi; notai anche uno di quei pesanti sostegni che si fanno portare aibambini gobbi nella speranza di poterli raddrizzare. Anch'io ne avevoindossato uno, ma nel mio caso non era servito.

Fratello Gabriel sospirò. «Qui era custodita la mano del buon ladrone. Unaperdita incalcolabile, ha curato molti sfortunati.» Pronunciando quelleparole, come sempre accadeva in quei casi, posò gli occhi sulla mia schiena,poi distolse lo sguardo e indicò la pila di grucce.

«Tutti quegli oggetti sono stati portati nel corso degli anni da personecurate dalla reliquia. Non avendone più bisogno le hanno lasciate come exvoto.»

«Per quanto tempo la reliquia è rimasta nella vostra chiesa?»

«Giunse dalla Francia con i monaci fondatori del monastero nel 1087. Erarimasta in Francia per secoli, e prima ancora aveva trascorso secoli aRoma.»

«Suppongo che la teca che la conteneva fosse d'inestimabile valore. Oro e smeraldi.»

«Sapete, la gente era disposta a pagare per poterla toccare. Rimasero tuttimolto delusi quando le ingiunzioni vietarono l'esposizione delle reliquie apagamento.»

«Doveva essere piuttosto grossa.»

Annuì. «Ne abbiamo un'illustrazione in biblioteca, se desiderate vederla.»

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«Con molto piacere, vi ringrazio. Ditemi, chi ne ha scoperto lasparizione?»

«Sono stato io, come per l'altare profanato.»

«Vi prego, raccontatemi che cosa accadde.» Mi appoggiai a uncontrafforte sporgente. La schiena andava molto meglio, ma non desideravorimanere in piedi troppo a lungo.

«Mi alzai come sempre verso le cinque, e venni a preparare la chiesa per il notturno. Di notte ci sono solo poche candele accese davanti alle statue, così quando entrai con il mio assistente, fratello Andrew, non ci accorgemmo di nulla. Ci dirigemmo verso il coro. Andrew accese le candele degli stalli e io aprii i corali sulle preghiere di quella mattina. Nell'accendere le candele fratello Andrew vide un rivolo di sangue sul pavimento e mi chiamò. La traccia portava…» sospirò rabbrividendo «…al presbiterio. Là, sul tavolo davanti all'altare maggiore, giaceva un gallo nero con la gola tagliata. Che Dio abbia pietà di noi, delle piume nere imbrattate di sangue erano state deposte proprio sull'altare, con una candela accesa su ciascun lato in segno di beffa satanica.» Si fece nuovamente il segno della croce.

«Vi spiacerebbe indicarmi il luogo esatto, fratello?»

Esitò. «La chiesa è stata riconsacrata, ma io non credo sia saggio riviverequegli eventi di fronte all'altare.»

«Ciononostante, mi vedo costretto a insistere…»

Con passo riluttante mi condusse oltre una porta che dal jubé portava neglistalli del coro. Mi tornò in mente l'osservazione di mastro Goodhaps,secondo il quale i monaci erano rimasti più turbati dalla profanazione chedall'assassinio.

Il coro ospitava due file di banchi, anneriti dal tempo e riccamente intagliati,posti gli uni di fronte agli altri sopra un pavimento di piastrelle. Fratello Gabriel indicò per terra. «La chiazza di sangue era lì. La traccia portava qui dentro.» Lo seguii attraverso il presbiterio, dov'era l'altare maggiore, ricoperto da una tovaglia bianca, davanti a un dossale magnificamente intagliato e decorato con lamine d'oro. L'aria era intrisa d'un forte odore d'incenso. Fratello Gabriel indicò due ornati candelabri d'argento poggiati sul tavolo dell'altare, al centro del quale venivano disposti la patena e il calice per la messa.

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«Era lì.»

Io ritengo che la messa dovrebbe essere una cerimonia di grandesemplicità, recitata in una lingua che tutti capiscano, in modo da dare allagente la possibilità di riflettere sul proprio rapporto con Dio, piuttosto cheuna fonte di distrazione, con i suoi magnifici ornamenti e gli orpelli dellalingua latina. Forse per quella ragione, o forse a causa di quanto eraaccaduto, fatto sta che l'immagine di quell'altare riccamente decorato mitrasmise un non so che di demoniaco, tanto che ne rabbrividii. Non sitrattava della sensazione d'un crimine comune, né quella d'un peccatucciofurtivo, ma dell'opera stessa del Maligno. Accanto a me, il sacrista osservavala scena con un'espressione afflitta. «Vesto quest'abito da vent'anni», disse.«Nei giorni invernali più bui e freddi ho guardato quest'altare durante ilmattutino, e qualunque peso avessi sul cuore si dissolveva al primo raggio disole che entrava dalla finestra a oriente. Mi sentivo pervaso da una promessadi luce, dalla promessa di Dio. Ma ora non sarò più in grado di contemplarel'altare senza che quella scena riaffiori alla mia mente. È stata opera deldemonio.»

«Be', fratello», dissi in tono pacato, «l'esecutore era umano, ed è miopreciso compito trovarlo.» Mi diressi nuovamente nel coro, dove presi postoin uno degli stalli, facendo cenno a fratello Gabriel di sedere accanto a me.

«Quando avete scoperto questo abominio, fratello sacrista, che cosa avetefatto?»

«Ho detto che dovevamo avvisare il priore. Ma in quell'istante preciso laporta delle scale che conducono al dormitorio s'è aperta di schianto e uno deiconfratelli è venuto a comunicarci, pieno di sgomento, che il commissarioera stato ucciso. Abbiamo lasciato la chiesa insieme.»

«E non vi siete accorti che la reliquia era scomparsa?»

«No. Quello è avvenuto in seguito. Pressappoco alle undici, sono passatodavanti all'altarino e l'ho trovato vuoto. Ma di certo dev'essere accadutonello stesso momento.»

«Forse. Anche voi siete entrato dalle scale che collegano il dormitorio allachiesa. Quella porta viene tenuta chiusa?»

«Certo. Sono stato io ad aprirla.»

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«Così, chiunque abbia profanato la chiesa deve per forza essere entratodall'ingresso principale, che invece rimane aperto?»

«Sì. È nostra convinzione che la servitù e i visitatori, così come i monaci,debbano essere liberi di entrare in chiesa a piacimento.»

«E voi siete arrivato poco dopo le cinque. Ne siete certo?»

«Seguo la stessa prassi ormai da otto anni.»

«Dunque l'intruso ha operato nella semioscurità, spargendo il sangue diquel volatile e, probabilmente, rubando la reliquia. Sia la profanazione sial'omicidio di Singleton sono stati perpetrati fra le quattro e un quarto,quando Bugge ha incontrato il commissario, e le cinque, quando voi sietegiunto in chiesa. Chiunque sia stato, ha agito con gran rapidità. Ciò significache doveva essere a conoscenza del tracciato della chiesa.»

Il religioso mi ascoltò con vivo interesse. «Esatto.»

«E la gente del villaggio non va a sentir messa nelle chiese dei monasteri.Inoltre, quando degli estranei prendono parte a particolari processioni ovengono a pregare dinanzi alle reliquie, non è concesso loro di recarsi dietroil jubé, no?»

«No. Soltanto i monaci possono recarsi nel coro e di fronte all'altare.»

«Dunque, solo un monaco potrebbe conoscere questa prassi nonché iltracciato della chiesa. O uno dei vostri servitori, come quell'uomo che siaggira per la chiesa accendendo le candele.»

Mi guardò, serio in volto. «Geoffrey Walters ha settant'anni ed è sordo. Iservitori che si occupano della chiesa sono con noi da anni. Li conosco bene,e nessuno di loro potrebbe mai aver compiuto un simile gesto.»

«Allora, non ci resta che spostare l'attenzione su uno dei religiosi. L'abateFabian e il vostro amico economo sono convinti che sia opera d'un intruso.Ma io non la penso così.»

«Io invece lo ritengo possibile», disse esitante.

«Proseguite.»

«Quest'autunno, quando mi svegliavo al mattino, dalla finestra della mia

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stanza m'è capitato talvolta di notare delle luci fuori nella palude. Penso chele attività di contrabbando siano riprese.»

«Anche l'abate ha parlato di contrabbandieri. Io credevo, però, che lapalude fosse assai pericolosa.»

«Lo è. Ma i contrabbandieri conoscono delle piste che corrono dall'isolettache ospita i resti della chiesa dei fondatori fin verso il fiume. In questo modocaricano le loro imbarcazioni di lana di frodo proveniente dalla Francia. Ditanto in tanto l'abate si lagna con le autorità locali, ma queste non paionointeressate. Alcuni dei funzionari probabilmente traggono profitto da similicommerci.»

«Dunque una persona a conoscenza di questi sentieri sarebbe potutaentrare e uscire dal monastero quella notte?»

«È possibile. Le mura di cinta in quel punto sono in pessime condizioni.»

«Avete riferito all'abate di quelle luci?»

«No. Come vi ho detto, oramai ha capito che è inutile presentar lamentele.E io ero troppo confuso per pensare in modo lucido, ma ora…» I suoi occhis'accesero d'una brama ardente. «Forse questa è la risposta. Quegli uominisono dei fuorilegge, dei peccatori, e un peccato può portarne un altro, fino agiungere persino alla blasfemia…»

«L'intera comunità sarebbe ben lieta di far ricadere la colpa altrove, nesono certo.»

Si voltò, fissandomi negli occhi. «Mastro Shardlake, forse voi consideratele nostre preghiere e la nostra devozione per le reliquie dei santi delleinsensate cerimonie d'un manipolo d'uomini che conduce un'esistenzaprivilegiata, sulle spalle di un mondo sofferente.»

Inclinai il capo.

Lui proseguì con improvvisa determinazione. «La nostra vita dicontemplazione e preghiera è intesa ad avvicinarci a Cristo, alla sua luce,allontanandoci dai peccati del mondo. Ogni preghiera, ogni messa è per noiun tentativo d'accostarci a lui; ogni statua, ogni rituale e ogni frammento divetro colorato è una testimonianza della sua gloria, che ci distoglie dallamalignità della terra.»

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«Rispetto il vostro credo, fratello.»

«So che la nostra esistenza è più agiata di quanto non dovrebbe, e che inostri abiti caldi e il cibo non sono quelli che san Benedetto intendeva. Ma ilnostro proposito è sempre lo stesso.»

«Cercare la comunione con Dio?»

Si voltò e mi guardò intensamente. «Non è facile. Chi sostiene il contrarioha torto. L'umanità peccatrice è pervasa dagli impulsi malvagi disseminatidal demonio. Non crediate che i monaci ne siano immuni, signore. Talvoltapenso che più grande è la nostra aspirazione d'avvicinarci a Dio, più ildiavolo cerca di tentare le nostre menti, spingendole verso il male. E piùgrande dovrà essere la nostra lotta per respingerlo.»

«E vi viene in mente nessuno che possa essere stato indotto a commettereun omicidio?» chiesi pacato. «Ricordatevi che parlo in nome del vicariogenerale e, tramite lui, in quello del capo supremo della Chiesa, il sovrano.»

Mi guardò dritto negli occhi. «Non posso pensare a nessuno, in questacomunità, capace d'un simile gesto. In caso contrario, ne avrei già avvertitol'abate. Ve lo ripeto, io sono convinto che sia stato qualcuno di fuori.»

Annuii. «Tuttavia ho sentito parlare di altre profanazioni tombali, misbaglio forse? Lo scandalo scoppiato sotto il precedente priore. E piccolipeccati, come voi ben dite, possono condurre a violazioni più gravi.»

Avvampò. «C'è una grossa differenza fra quel genere di mancanze equanto è avvenuto qui la passata settimana. E ciò di cui parlate è accadutomolto tempo fa.» S'alzò d'improvviso e fece qualche passo.

Lo raggiunsi. Il viso era teso, la fronte sudata nonostante il freddo.

«Non direi sia trascorso poi molto, fratello. L'abate m'ha spiegato che lapunizione di Simon Whelplay è stata in parte causata da un certo genere disentimenti che il giovane prova nei confronti di un altro monaco. Voi.»

Si voltò, animato da un'improvvisa foga. «È solo un bambino! Non possoessere ritenuto responsabile per i pensieri peccaminosi della sua debolemente. Finché il giovane non lo ha confessato al priore Mortimus, io non neero neppure a conoscenza, altrimenti avrei io stesso posto fine allaquestione. E sì, ho giaciuto con altri uomini, se è questo cui alludete, ma mi

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sono confessato e ho fatto penitenza, senza più ricadere nel peccato. Ecco,commissario, ora sapete tutto di me. So che l'ufficio del vicario generaleapprezza molto questo genere di storie.»

«Io cerco soltanto la verità. Non turberei mai il vostro animo per purodiletto.»

Parve sul punto d'aggiungere qualcosa, ma s'interruppe e fece un respiroprofondo. «Desiderate visitare la biblioteca, ora?»

«Sì, ve ne sarei grato.»

Ripercorremmo la navata. «In ogni modo», dissi dopo qualche istante disilenzio, «ho visto la profonda crepa sulla fiancata della chiesa. Richiederàdi certo una grossa mole di lavoro. Il priore approverà le spese?»

«No. Fratello Edwig sostiene che qualsiasi programma d'intervento debba rientrare nelle rendite annuali che abbiamo a disposizione. Ma quelle basteranno a malapena a impedire che il danno peggiori.»

«Capisco.» Se così era, pensai, perché mai fratello Edwig e l'abatediscutevano del bisogno di capitale ricavabile dalla vendita dei terreni?

«Chi si occupa di conti è sempre convinto che meno denaro si spendemeglio è», continuai filosoficamente. «E non fa che mettere soldi da parte,finché tutto non gli crolla addosso.»

«Per fratello Edwig risparmiare è un dovere sacro», disse pungente.

«Né lui né il priore mi son parsi molto inclini alla carità.»

Mi lanciò un'occhiata tagliente, ma non aggiunse altro e uscimmo dallachiesa.

Il freddo biancore della luce esterna mi fece lacrimare gli occhi. Il solebrillava ormai alto e luminoso, anche se privo di calore. Altri sentieri eranostati aperti nella neve e tutti parevano essere tornati alle quotidianeincombenze, un andirivieni d'abiti scuri che si stagliavano su quella candidadistesa.

L'edificio della biblioteca, posto accanto alla chiesa, era

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sorprendentemente vasto. La luce filtrava dalle alte finestre, illuminandoscaffali ricolmi di libri. I tavoli di consultazione erano deserti, fattaeccezione per un novizio che si lambiccava il cervello su un pesante volume,e un vecchio monaco che, seduto in un angolo, copiava alacremente unmanoscritto.

«Non sono in molti a dedicarsi allo studio», commentai.

«La biblioteca è sovente vuota», si rammaricò fratello Gabriel. «Quando siha bisogno di consultare un libro, generalmente lo si porta nella propriacella.» Raggiunse il monaco anziano. «Come procede, Stephen?»

Il vecchio alzò lo sguardo, strizzando gli occhi. «Lentamente, fratello Gabriel.» Diedi un'occhiata al suo lavoro; stava copiando un'antica Bibbia, i caratteri e le illustrazioni traboccanti d'intricati dettagli, i colori ancor vividi sulla spessa pergamena dopo tanti secoli. La copia che il monaco ne aveva fatto, invece, era piuttosto scadente, le lettere disordinate e irregolari, i colorieccessivamente sgargianti. Fratello Gabriel gli diede un colpetto sulla spalla.«Nec aspera terrent, fratello», disse, prima di rivolgersi a me.

«Vi mostro l'illustrazione della mano di Barabba.»

Il sacrista mi fece strada su per una scala a chiocciola fino al pianosuperiore, dov'erano stipati altri libri e antichi volumi, ammassati su scaffaliricoperti da uno spesso strato di polvere.

«La nostra raccolta. Alcuni dei testi sono riproduzioni di opere greche e romane, realizzate ai tempi in cui la copia era considerata un'arte. Soltanto cinquant'anni fa, i tavoli al piano di sotto sarebbero stati gremiti di fratelli miniatori. Ma con l'avvento della stampa nessuno più desidera opere illustrate, accontentandosi di povere copie scritte con orribili caratteri squadrati.»

«Forse i libri stampati sono meno belli a vedersi, ma ora la parola delSignore può essere portata a un maggior numero di persone.»

«Ma può essere compresa da tutti?» rispose il monaco con foga. «Senzal'arte e le illustrazioni che suscitino timore e reverenza?» Prese un vecchiovolume da uno scaffale e lo aprì, tossendo per la nuvola di polvere che vi siera levata. Delle creaturine maliziose danzavano dipinte fra le righe d'untesto greco.

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«Si crede sia una copia dell'opera perduta di Aristotele, Sulla commedia»,disse. «Un falso, ovviamente, italiano, del tredicesimo secolo, nondimeno difattura straordinaria.» La richiuse, volgendo l'attenzione su un enormevolume sul quale erano poggiate delle carte arrotolate. Le prese e io cercai diaiutarlo prendendone una a mia volta. Ma, con mia grande sorpresa, lui mela strappò dalle mani.

«No! Non toccate!»

Lo guardai perplesso. Il religioso arrossì.

«Perdonatemi, signore… io… io non vorrei che vi sporcaste gli abiti dipolvere.»

«Che cosa sono?»

«Vecchie piante del monastero. Lo scalpellino le consulta di tanto intanto.» Estrasse il volume sottostante. Era molto pesante, e il monaco losollevò con grande fatica. Lo poggiò su di un tavolo e lo aprì con estremacautela.

«Questo testo illustra i tesori del monastero. Ha più di duecento anni.»Vidi le illustrazioni a colori delle statue esposte in chiesa e del leggio delrefettorio. Ciascuna illustrazione recava le misure dell'oggetto rappresentatoe un commento in latino. Le pagine centrali riportavano l'immagine a colorid'una grossa teca quadrata, incastonata di pietre preziose. Oltre un pannellodi vetro, su un cuscino color porpora era deposto un frammento di legnoscuro. Una mano umana vi era fissata con un grosso chiodo che netrapassava il palmo, tanto avvizzita dal tempo da mostrare ogni singolotendine. Dalle misure riportate, il reliquiario doveva avere una superficie didue piedi quadrati per un piede di profondità.

«Sono dunque questi gli smeraldi», dissi. «Notevoli. La teca potrebbeessere stata rubata per il suo grande valore?»

«Sì. Anche se un cristiano che si abbassasse a compiere un simile gesto perderebbe la propria anima immortale.»

«Ho sempre creduto che i ladri crocifissi con Cristo avessero le manilegate, non inchiodate, in modo da prolungare la loro agonia. Questomostrano le pitture sacre.»

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Sospirò. «Nessuno conosce la verità. I vangeli dicono che Nostro Signore siamorto per primo, ma del resto era già stato sottoposto a orribili torture.»

«Ecco il potere fuorviante di statue e dipinti», dissi. «Siamo di fronte a unparadosso, non è così?»

«Che cosa intendete, signore?»

«Quella mano apparteneva a un ladro. E ora la sua reliquia, per vedere laquale la gente era disposta a pagare prima che la pratica fosse condannatacome usura, viene rubata a sua volta.»

«Sarà pure un paradosso», mi rispose fratello Gabriel pacato, «ma per noi resta una tragedia.»

«Un uomo da solo sarebbe stato in grado di trasportarla?»

«A Pasqua veniva portata in processione da due uomini. Una personadotata di grande forza forse avrebbe potuto farlo, ma non sarebbe andatalontano.»

«Fino alla palude, forse?» Annuì. «Forse.»

«Allora credo sia giunto il momento di andare a dare un'occhiata là fuori,se foste così gentile da indicarmi la via.»

«Certamente. C'è un cancello sul retro.»

«Vi ringrazio, fratello Gabriel. La vostra biblioteca è davveroaffascinante.»

Mi accompagnò fuori e indicò il cimitero. «Seguite il sentiero che corre là inmezzo, passate oltre il frutteto e il vivaio e vi troverete al cancello. La neve sarà alta, però.»

«Ho le soprascarpe. Be', ci vedremo di certo più tardi a cena. Allorapotrete di nuovo incontrare il mio giovane assistente.» Sorrisi allusivo. Ilsacrista arrossì e abbassò la testa.

«Ah, sì… certo…»

«Orbene, fratello, vi ringrazio per l'aiuto e la franchezza. Vi auguro unabuona giornata.» Annuii e lo lasciai. Quando mi voltai, lo vidi ritornare

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lentamente verso la chiesa, il capo chino.

Capitolo dodici

Oltrepassai le fucine e svoltai per un cancelletto che dava sul cimiterosecolare. Alla luce del giorno pareva più piccolo. Le lapidi della gente delvillaggio, che aveva pagato per esservi sepolta, e quelle dei visitatori cheerano morti nel monastero giacevano sotto una spessa coltre di neve. C'eranoanche tre ampie tombe di famiglia simili a quella dei Fitzhugh che avevamovisitato la notte precedente. Al limitare del camposanto dei filari d'alberi dafrutto levavano i propri rami spogli al cielo.

Quelle cripte, pensai, sarebbero state dei nascondigli perfetti. Mi fecistrada verso la più vicina, sganciando il mazzo di chiavi dell'abate dallacinta. Le passai in rassegna, le dita irrigidite dal freddo, fino a che ne trovaiuna della misura giusta.

Entrai in ciascuna delle cripte, ma nelle bianche tombe marmoree nonc'era nascosto nulla. I pavimenti di pietra erano ricoperti di polvere, inviolatada tempo immemorabile. Una di queste apparteneva a un eminente membrodella famiglia Hasting, il cui antico nome era stato spazzato via dalle guerrecivili. Tuttavia coloro che riposavano in quel luogo sarebbero stati ricordati,riflettei ripensando alle messe private dette dai monaci. Nomi ricordati invuote salmodie, giorno dopo giorno. Scossi il capo e m'avviai nuovamenteverso il frutteto, dove corvi affamati gracchiavano sugli scheletrici ramidegli alberi. Arrancando fra le pietre tombali, fui lieto di avere con me il miobastone.

Oltrepassai il portello che dava accesso al frutteto e mi feci strada fra glialberi carichi di neve. Tutto era silenzioso e immoto. Lì, all'aria aperta, sentiifinalmente di poter pensare.

Mi pareva strano, dopo tanti anni, di ritrovarmi in un monastero. Ai tempidi Lichfield non ero altro che un giovane storpio senza importanza. Ora eroinvestito dei poteri di commissario di Lord Cromwell, e godevo di granderispetto. E tuttavia, ora come allora, mi sentivo isolato, solo, disprezzato. Lasola differenza era il terrore che incutevo fra quelle mura, ma sapevo bene di

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dover gestire con cautela la mia autorità, perché quando gli uomini hannopaura si chiudono come ricci.

La conversazione con fratello Gabriel mi aveva depresso. Il monacoviveva nel passato, in un mondo di libri illustrati, di antiche salmodie, distatue silenti. Suppongo fosse l'universo in cui cercava rifugio dalle continuetentazioni. Rammentai l'espressione d'angoscia che gli aveva attanagliato ilvolto quando lo avevo costretto a raffrontarsi con la propria storia. Nel corsodella mia carriera avevo incontrato molti bugiardi millantatori e canagliedisoneste e, lo confesso, era stato per me un piacere interrogarle edistruggere i loro castelli di bugie, mentre mi guardavano con occhi sgranatie bocche spalancate. Ma estorcere disgustosi peccati da un uomo comefratello Gabriel non era una cosa di cui poter andar fiero. Dopotutto, sapevofin troppo bene che cosa voleva dire essere emarginato e disprezzato.

Ricordai come il continuo scherno dei compagni mi avesse portato apregare mio padre di ritirarmi da quella scuola di religiosi per educarmiprivatamente. Ma aveva risposto che se mi avesse concesso di ritirarmi dalmondo, non avrei più trovato la forza di affrontarlo. Era un uomo severo,poco incline alla compassione, e lo fu ancor meno dopo la morte di miamadre. Forse mio padre aveva ragione, eppure quella mattina mi trovai adomandarmi se, al successo materiale, non avrei preferito una vita di ritiratacontemplazione. In tutta risposta non ottenni altro che far riaffiorare bruttiricordi.

Superai una fila di colombaie, oltre le quali era visibile un largo stagnocinto da un canneto. C'era un vivaio ittico nel quale sfociava un fiumiciattoloprima di riversarsi in un piccolo canale di scolo che passava sotto le muraposteriori, a poca distanza. Lì accanto si ergeva un massiccio cancello dilegno. I monasteri, ricordai, venivano sempre costruiti accanto a corsid'acqua, che portassero con sé i rifiuti della casa. I primi monacis'intendevano d'idraulica e di certo avevano ideato un qualche meccanismoin grado di deviare gli scarichi per evitare d'insudiciare il vivaio. Rimasi aosservare quel luogo, appoggiandomi al bastone e rimproverandomi per imiei cupi pensieri. Ero in missione per indagare su un omicidio, non perrievocare passati dolori.

Avevo fatto dei progressi, ma davvero esigui. Dei cinque officiali anziania conoscenza della missione di Singleton, nessuno m'aveva datol'impressione di covare nel cuore un odio tanto selvaggio da spingerlo acommettere un simile delitto, esponendo l'avvenire del monastero a un

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pericolo persino maggiore. Tuttavia l'animo di quegli uomini era difficile dapenetrare, e in Gabriel almeno avevo letto grande tormento e disperazione.

Accantonai l'idea che Singleton fosse stato ucciso per aver scopertoqualcosa di compromettente sul conto di uno dei monaci. Pareva l'ipotesi piùplausibile, eppure non mi sembrava quadrare con l'efferatezza del suoomicidio. Sospirai. Forse sarei stato costretto a interrogare ogni monaco eogni servitore del monastero, e mi depressi al pensiero di quanto tempo cisarebbe voluto. Prima fossi riuscito ad allontanarmi da quello sventuratomausoleo, meglio sarebbe stato; e Lord Cromwell premeva perché trovassiuna soluzione. Ma come Mark aveva detto, non potevo fare miracoli. Dabuon uomo di legge, avrei dovuto perseverare. E come prima cosa avreidovuto verificare se la palude poteva fornire una via d'accesso al monastero.«I dettagli», mormorai mentre affondavo nella neve. «Ogni più piccolodettaglio.»

Raggiunsi il vivaio ittico e mi chinai a osservarlo. Era ricoperto da unsottile strato di ghiaccio, ma il sole ormai alto mi permise di distinguere lescure sagome delle carpe che guizzavano nell'acqua invasa dalle canne.

Rialzandomi, la mia attenzione fu attratta da un fievole baluginiogiallastro sul fondo. Meravigliato, mi protesi nuovamente in avanti. Daprincipio non riuscii più a scorgere ciò che avevo intravisto fra le canne ecredetti d'aver preso un abbaglio, ma poi lo rividi. M'inginocchiai nella neve,rabbrividendo per il gran freddo, e scrutai in profondità. C'era qualcosa, unachiazza gialla sul fondo. La teca era d'oro, e le else di molte spade preziosesono decorate con inserti dorati. Valeva la pena andare a fondo dellaquestione. Non m'allettava l'idea di affrontare subito quelle gelide acque,quindi decisi che sarei ritornato più tardi con Mark. Mi alzai, scrollai la nevedalle vesti, mi avvolsi nuovamente nella cappa e mi diressi al cancello.

Nel muro di cinta diroccato notai qualche rabberciatura alla buona.Sganciai il mazzo di chiavi dalla cinta e trovai quella che s'adattava all'anticae massiccia serratura. Il cancello s'aprì cigolando su uno stretto sentiero checorreva lungo il muro, mentre il terreno degradava verso la palude. Non miero reso conto che fosse tanto vicino all'acquitrino. In alcuni punti il sentieroera stato ingoiato dal pantano che era arrivato a lambire il muro di cinta,erodendolo e forzandone la ricostruzione, ancora più raffazzonata. Un uomodotato di una certa agilità avrebbe potuto, in effetti, arrampicarsi su quella

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superficie irregolare. «Dannazione», borbottai, non potendo più eliminarenemmeno quella possibilità.

Osservai la palude. Ricoperta dalla neve e spezzata qua e là da fitti cannetie pozze d'acqua ghiacciata, s'estendeva per mezzo miglio fino all'ampio lettodel fiume, il cielo azzurro riflesso nelle sue acque gelate. Oltre il fiume, ilterreno tornava a salire gradualmente fino a perdersi nel boscoso orizzonte.Tutto era immobile, con due uccelli marini come unico segno di vita.L'istante in cui li guardai, questi spiccarono il volo levando tristi richiami nelfreddo cielo.

A metà strada fra il fiume e dove mi trovavo s'ergeva un vasto poggio, un'isola nella palude. Sulla sua sommità, un cumulo di basse rovine. Dovevatrattarsi del luogo menzionato da fratello Gabriel, il primo insediamento monacale. Incuriosito, il bastone ben saldo in pugno, feci un passo fuori del sentiero. Con mia sorpresa il terreno sotto la neve era fermo. Posai anche l'altra gamba e mossi un passo. Ancora una volta, la terra mi parve compatta.Ma era solo una zolla d'erba ghiacciata e d'improvviso il piede la infranse, sguazzando nella soffice poltiglia. Lanciai un grido e lasciai cadere il bastone. Sentii la gamba affondare lentamente nel fango denso, la melma mischiata all'acqua gelida filtrò nelle soprascarpe, inzuppandomi i piedi.

Agitai le braccia spasmodicamente cercando di mantenere l'equilibrio, eper un attimo temetti di finire con la faccia nel fango. La gamba sinistra eraancora sulla terra ferma, così mi ritrassi con forza, terrorizzato all'idea cheanche questa potesse infrangere uno strato di fango ghiacciato, facendomiprecipitare in un baratro ignoto. Ma il terreno resse e fui in grado, sudandoper lo sforzo e la paura, di estrarre lentamente l'altra gamba, imbrattata difango nero. Dall'acquitrino si levò un gorgoglio di risucchio accompagnatoda un odore nauseabondo. Mi ritrassi e mi lasciai cadere al suolo con untonfo, il cuore in gola. Il bastone giaceva nella palude dov'era caduto, manon cercai di recuperarlo. Osservando la gamba ricoperta di fangopuzzolente, mi maledissi per la mia stupidità. Mi sarebbe piaciuto vedere lafaccia di Lord Cromwell se lo avessero informato che il suo commissarioscelto aveva sfidato i misteri di Scarnsea solo per finire annegato in unafetida palude.

«Sei un idiota», dissi a voce alta.

Udii un rumore alle mie spalle e mi voltai di scatto. Il cancello nel muro dicinta era aperto e fratello Edwig mi fissava stupito, un caldo mantello sopra

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la veste.

«Mastro Shardlake, state b-bene?» Si guardò attorno nel brullo paesaggioe comprese che stavo parlando da solo.

«Sì, fratello Edwig.» Mi alzai faticosamente in piedi, rendendomi contod'aver fatto una pessima figura, inzaccherato di fango com'ero. «Solo unpiccolo incidente. Ho rischiato di cadere nella palude.»

Il monaco scosse il capo. «Non d-dovreste avventurarvi per questi luoghi,signore. Sono assai p-pericolosi.»

«Me ne sono accorto. Ma che cosa ci fate voi qui, fratello? Non c'è lavoroper il vostro ufficio contabile quest'oggi?»

«Ho accompagnato l'abate in visita al giovane novizio. Volevo schiarirmi le idee. Talvolta vengo qui a fare una p-passeggiata.»

Lo guardai incuriosito. Non mi pareva il genere d'uomo a cui piacessevagare per frutteti innevati.

«Amo venire qui e osservare il fiume. È c-così rilassante.»

«A patto che si badi a dove si mettono i piedi.»

«Ehm… già. Volete che vi accompagni al m-monastero, signore? Sietetutto sporco di fango.»

Cominciavo a tremare. «No, ce la faccio. Ma avete ragione, è tempo dirientrare.»

Oltrepassammo di nuovo il cancello e ci facemmo faticosamente stradaverso il convento. Cercai di procedere più svelto che potevo, la gambainzuppata ormai ridotta a un blocco di ghiaccio.

«Come sta il novizio?»

Il religioso scosse il capo. «Pare sia sulla via della guarigione, ma non sipuò mai sapere con queste febbri polmonari. L'inverno p-passato l'ho avutaanch'io; ho dovuto interrompere il lavoro per d-due intere settimane.»

«E che opinione vi siete fatto sul modo in cui il priore ha trattato SimonWhelplay?»

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Scosse di nuovo il capo, irrequieto. «È d-difficile a dirsi. La disciplina ènecessaria.»

«Allora dovremmo forse mandare il vento secondo i panni?»

«La gente ha bisogno di certezze, ha b-bisogno di sapere che seccommetterà un errore sarà p-punita.» Mi guardò. «Voi non c-credete,signore?»

«Alcuni apprendono con più difficoltà di altri. M'era stato detto di non addentrarmi in questo acquitrino, e io l'ho fatto lo stesso.»

«Ma il vostro è stato uno sbaglio, signore, non un p-peccato. E se alcuniimparano con difficoltà, motivo in più per dar loro una b-bella lezione. Quelragazzo, poi, è di salute cagionevole. Avrebbe c-comunque finito conl'ammalarsi, presto o tardi.» Parlò con voce austera.

Alzai un sopracciglio. «Pare che voi vediate il mondo in bianco e nero,fratello.»

Sembrò sorpreso. «Ma certo, signore. Bianco e nero. Peccato e virtù. Dioe demonio. Le leggi sono chiare, sta a noi rispettarle.»

«Ma ora le leggi vengono dal sovrano, non più dal papa.»

Fratello Edwig mi guardò serio. «Sì, signore, e d-dobbiamo seguirle.» Le sue parole, notai, non concordavano con quanto fratello Athelstan sosteneva di avergli sentito dire. «M'è stato riferito, fratello economo, che voi non eravate al monastero la notte in cui il commissario Singleton è stato ucciso.»

«Esatto. Possediamo dei t-terreni a Winchelsea. Non ero convinto deiconti dell'amministratore, e ho c-cavalcato fin là per accertarmene dipersona. Mi sono assentato per tre notti.»

«E che cosa avete scoperto?»

«Ero convinto che ci stesse imbrogliando. Ma si trattava solo d'un bbanaleerrore di calcolo. Tuttavia l'ho cacciato. Chi non sa fare di c-conto non puòessermi d'aiuto.»

«Siete partito solo?»

«Ho portato c-con me uno dei miei assistenti, il vecchio fratello William,

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c-che avete incontrato nel nostro ufficio.» Mi rivolse uno sguardo eloquente.«E mi trovavo a casa dell'amministratore la notte in cui il ccommissarioSingleton è stato ucciso. Che D-Dio l'abbia in gloria», aggiunseipocritamente.

«Avete molte incombenze», dissi. «Ma perlomeno potete contare sullacollaborazione dei vostri assistenti. Il vecchio e il ragazzo.»

Il monaco mi guardò con occhi taglienti. «Già, sebbene il ragazzo sia piùd'incomodo c-che altro.»

«Davvero?»

«Non ha testa per i c-conti, niente affatto. Gli ho ordinato di raccogliere iregistri c-che m'avete domandato, dovrebbero esservi recapitati al piùppresto.» Rischiò di scivolare, e lo afferrai per un braccio.

«Vi ringrazio, signore. Madre Santissima, questa neve!»

Per il resto del tragitto, fratello Edwig fece molta attenzione a dovemetteva i piedi, e raggiungemmo il monastero senza quasi proferire parola.Giunti nella corte, ci separammo; lui fece ritorno al suo lavoro e io midiressi all'infermeria. Avevo bisogno di mangiare qualcosa. Pensaiall'economo: un piccolo burocrate presuntuoso ossessionato dalleresponsabilità finanziarie. Nondimeno un uomo fedele al monastero.Sarebbe stato pronto ad appoggiare la disonestà per difenderlo, o per luiavrebbe significato oltrepassare la linea di confine fra bianco e nero? Eradecisamente antipatico, ma, come avevo detto a Mark la notte precedente,l'antipatia non bastava a farne un assassino più di quanto la simpatia perfratello Gabriel non potesse assicurargli l'innocenza. Sospirai. Era difficileessere obiettivo con quella gente.

Aprii la porta dell'infermeria, dove tutto pareva tranquillo. La stanza era deserta. Il vecchio malato giaceva silenzioso nel suo giaciglio, il monaco cieco dormicchiava sulla sedia e il letto del religioso grasso era vuoto; forse fratello Guy era riuscito a fargli accettare l'idea che fosse giunto per lui il momento d'andarsene. Il fuoco crepitava nel camino, diffondendo un piacevole tepore, e io ne approfittai per andare a riscaldarmi qualche istante.

Me ne stavo immobile, osservando il vapore levarsi dai miei calzoni

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bagnati, quando udii dei rumori. Rumori confusi, rotti, urla, grida,l'infrangersi di stoviglie. I suoni si fecero più vicini. Con stupore vidispalancarsi la porta che dava sulle stanze dei malati e scaturirne un grovigliodi figure affannate: Alice, Mark, fratello Guy e, al centro, un'esile figura conindosso una camicia da notte bianca che si liberò dalla loro presa es'allontanò barcollando. Riconobbi Simon Whelplay, ma era molto diversodallo spettro moribondo che avevo visto la notte precedente. Il viso rubizzo,gli occhi fissi e sgranati, la schiuma alla bocca. Sembrava voler direqualcosa ma riusciva solo ad ansimare, sopraffatto da conati di vomito.

«Per tutti i santi del paradiso, che sta accadendo?» gridai rivolto a Mark.

«Ha perso il senno, signore!»

«Inseguitelo! Acciuffatelo!» intimava fratello Guy a gran voce. Congrande determinazione fece un cenno ad Alice che si scostò di lato, aprendole braccia. Mark e fratello Guy seguirono il suo esempio accerchiando ilnovizio, che s'era fermato e si guardava attorno con occhi selvaggi. Ilmonaco cieco s'era svegliato e voltava la testa a destra e a sinistra con fareansioso, la bocca spalancata. «Che cosa c'è?» chiese con voce tremante.

«Fratello Guy?»

Allora accadde una cosa spaventosa. Whelplay si accorse di me ed'improvviso si curvò, imitando la mia distorta andatura. Non solo, tese lebraccia e cominciò ad agitarle avanti e indietro, dimenando le dita in segnodi scherno. Un atteggiamento che adotto quando sono particolarmenteagitato, così almeno mi ha riferito chi mi ha visto in tribunale. Ma comepoteva Whelplay conoscere un simile particolare? Mi trovai a tornare con lamente ai giorni della scuola e confesso che osservando quel ragazzobarcollare chino e gesticolante mi si drizzarono i capelli sulla testa.

Mark gridò, facendomi tornare in me. «Aiutateci! Prendetelo, signore, perpietà, o riuscirà a uscire!» Sussultai e aprii le braccia, avvicinandomi alnovizio. Accostandomi lo guardai negli occhi, degli occhi terribili, le follipupille dilatate che mi fissavano senza riconoscermi, persino mentreeseguiva la sua derisoria imitazione. Ripensai a quanto fratello Gabrielaveva detto sull'intervento di forze sataniche, e pensai con orrore che ilragazzo fosse posseduto.

Ci stringemmo tutti e quattro attorno al giovane, ma questi, con un

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improvviso scarto di lato, riuscì a dileguarsi attraverso una porta socchiusa.

«È andato nella stanza da bagno!» gridò fratello Guy. «Non ha via d'uscita. Fate attenzione, il pavimento è scivoloso.» Si precipitò al suo inseguimento, Alice alle sue spalle. Mark e io ci guardammo, poi ci affrettammo a raggiungerli.

La stanza era buia, tranne un pallido raggio di lattea luce che filtrava daun'alta finestra per metà ostruita dalla neve. Era una stanzetta quadrata con ilpavimento di piastrelle e una vasca interrata al centro. Spazzole e raschiatoierano appoggiati in un angolo, l'aria intrisa d'uno stagnante odore muffito dipelle non lavata. Udii rumore d'acqua corrente e, abbassando lo sguardo, vidiche il fiumiciattolo finiva effettivamente in un canale di scolo in fondo allastanza. Simon Whelplay era là, tremante, rannicchiato in un angolo. Rimasisulla soglia mentre fratello Guy lo avvicinava da un lato, Mark e Alicedall'altro. Alice tese un braccio verso il giovane.

«Vieni, Simon, sono Alice. Non vogliamo farti del male.» Non potei fare ameno d'ammirare il suo coraggio. Poche donne si sarebbero accostate a unasimile apparizione con altrettanta fermezza.

Il novizio si voltò, il viso deformato in un'espressione di sofferenza. Perun istante la fissò senza vederla, poi il suo sguardo si posò su Mark, che lestava accanto. Puntò un dito ossuto e gridò con una voce fessa e roca, quasiirriconoscibile: «Stai lontano! Tu, un emissario del demonio, celato dietroquelle preziose vesti! Ora li vedo, i diavoli che turbinano nell'aria comegranelli di polvere. Sono ovunque, persino qui!» Si coprì gli occhi con lemani, poi vacillò e d'improvviso cadde in avanti nella vasca. Sentii le ossadel braccio spezzarsi, quando colpì il pavimento di piastrelle. Poi rimaseimmobile, disteso sopra il canale di scolo, mentre l'acqua ghiacciata gligorgogliava attorno.

Fratello Guy si chinò. Rimanemmo in attesa sul bordo, mentre il religiosovoltava il corpo del ragazzo. Aveva gli occhi rovesciati, in macabrocontrasto con il pallore livido del volto. Il frate infermiere gli tastò il collo esospirò. Levò lo sguardo su di noi. «È morto.»

Si alzò e fece il segno della croce. Alice si lasciò sfuggire un gemito, pois'accasciò fra le braccia di Mark, scoppiando in frenetici singhiozzi.

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Capitolo tredici

Mark e fratello Guy estrassero con cautela il corpo di Simon dalla vasca elo riportarono in infermeria. Fratello Guy lo prese per le braccia, mentreMark, pallido come un cencio, sollevò le gambe cerulee. Li seguii assiemead Alice che, dopo il breve sfogo, s'era ripresa e aveva assunto il solito farecomposto.

«Che cosa sta accadendo?» Il monaco cieco s'era alzato in piedi, agitandole mani dinanzi a sé, pietoso nel suo terrore. «Fratello Guy? Alice?»

«È tutto a posto, fratello», disse Alice in tono rassicurante. «C'è stato unincidente, ma ora è passato.»

Il cadavere fu disteso nel gabinetto di fratello Guy, sotto il crocifisso spagnolo. Il religioso lo coprì con un lenzuolo, il viso teso.

Feci un respiro profondo. La mia mente ancora vacillava, non solo per lasconvolgente morte del novizio. Quello che era accaduto m'aveva scosso nelprofondo. Gli echi dei miei infantili tormenti esercitavano su di me ungrande potere anche quando non venivano scatenati da eventi tanto orribili estrani.

«Fratello Guy», dissi, «prima di ieri non avevo mai incontrato il ragazzo,eppure quando m'ha visto m'è parso che… che si stesse prendendo gioco dime, imitando la mia postura ricurva e alcuni gesti che talvolta faccio intribunale, agitando le mani. M'è parso di percepire il tocco del d-demonio.»Furioso con me stesso, mi ritrovai a balbettare come l'economo.

Il religioso mi guardò a lungo con occhi indagatori. «Credo d'avere unaspiegazione per quanto è accaduto, ma spero di sbagliare.»

«Che cosa intendete? Siate chiaro», sbottai, mio malgrado, in tono irritato.

«Ho bisogno di riflettere», mi rispose altrettanto bruscamente. «Ma prima, commissario, dobbiamo avvisare l'abate Fabian.»

«Molto bene.» M'aggrappai allo spigolo della scrivania, perché le gambeavevano preso a tremarmi in modo incontrollabile. «Attenderemo il vostroritorno in cucina.»

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Alice ci accompagnò nella stanzetta dove avevamo fatto colazione.

«State bene, signore?» chiese Mark ansioso. «Tremate.»

«Sì, sì.»

«Ho un infuso d'erbe in grado di calmare il corpo dopo una violentaemozione», disse Alice. «Valeriana e aconito. Se volete ve ne preparo unatazza.»

«Vi ringrazio.» La giovane non si scompose, ma tutt'a un tratto illividì.

Forzai un sorriso. «Vedo che quanto è accaduto ha colpito anche voi. Piùche comprensibile. Pareva che quella povera creatura fosse posseduta daldemonio.»

Fui sorpreso del moto di stizza che le avvampò il viso. «Non temo idemoni, signore, a meno che non siano come i mostri umani che hannotormentato quel povero ragazzo. La sua vita è stata spezzata prima ancora dicominciare, e questo dolore non ci abbandonerà mai.» S'interruppe,rendendosi conto di essersi spinta troppo oltre. «Vado subito a prepararvi latisana», disse in fretta, e corse via.

Guardai Mark stupito. «Che schiettezza.»

«Conduce un'esistenza molto dura.»

Giocherellai con l'anello del lutto che portavo al dito. «Non è la sola inquesta valle di lacrime.» Lo guardai. È innamorato, pensai.

«Le ho parlato, come m'avete chiesto.»

«Dimmi», lo incoraggiai. Avevo bisogno di cancellare il ricordo di quantoera appena avvenuto.

«È giunta al monastero diciotto mesi fa. Viene da Scarnsea, suo padre èmorto giovane e lei è stata allevata dalla madre, una levatrice, espertad'erbe.»

«Dalla madre, perciò, le viene la sua competenza.»

«Stava per sposarsi quando il suo promesso, un boscaiolo, è morto in unincidente. Non c'è molto lavoro in paese, ma lei è riuscita a trovare un posto

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come assistente di uno speziale a Esher, un conoscente della madre.»

«Dunque ha viaggiato. Ero sicuro che non fosse una contadina.»

«Conosce bene le campagne circostanti. Le ho parlato della palude. Mi hadetto che ci sono sentieri che l'attraversano, se si sa dove cercarli. Le hochiesto se poteva mostrarceli e mi ha detto di sì.»

«Potrebbe esserci d'aiuto.» Gli dissi ciò che fratello Gabriel mi avevaraccontato dei contrabbandieri, della mia perlustrazione e dell'incidente. Glimostrai la gamba sporca di fango. «Se esistono dei sentieri, è bene servirsid'una guida attenta. Dio, che giornata spaventosa.» La mano che avevoposato sul tavolo stava tremando, e io non riuscivo a fermarla. Anche Markstentava a riprendere colore. Rimanemmo in silenzio per un istante, silenzioche sentii improvvisamente di dover colmare.

«Pare che voi due abbiate fatto una lunga chiacchierata. Com'è che Alice èfinita qui?»

«Quando lo speziale è morto - era molto anziano - lei ha fatto ritorno aScarnsea, ma poco dopo ha perso anche la madre. La casa dove viveva sitrovava su un terreno in concessione feudale, e il proprietario se l'è ripreso.Così Alice si è ritrovata sola. Non sapeva che fare, poi qualcuno le ha dettoche il monaco infermiere stava cercando un assistente laico. Nessuno inpaese voleva lavorare per lui - lo chiamano il gigante nero - ma lei nonaveva scelta.»

«Ho l'impressione che non nutra molta ammirazione per i nostri piiconfratelli.»

«Dice che alcuni di loro sono uomini lascivi, che cercano sempre diapprofittarsi di lei. Lo stesso priore pare le abbia causato delle noie.»

«Dio, se parla con franchezza», commentai.

«È arrabbiata, signore. Il priore l'ha molestata sin dal suo arrivo.»

«Già, ho notato quanto lo disprezzi. Che vergogna, quell'uomo è un veroipocrita: condanna i peccati altrui, e poi corre dietro alle gonne delledomestiche. L'abate ne è a conoscenza?»

«Lei lo ha detto a fratello Guy, che è riuscito a farlo smettere. L'abate

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interviene di rado in queste faccende; apprezza la rigida disciplina impostadal priore e gli lascia carta bianca. Pare che tutti i monaci lo temano, e quelliaccusati di sodomia sono troppo terrorizzati per farsi avanti.»

«E i risultati della sua disciplina sono sotto gli occhi di tutti.» Mark si passò una mano sulla fronte. «Già», concordò cupamente.

Riflettei un istante. «È stato poco leale da parte di madamigella Aliceparlare a questo modo con l'assistente del commissario. È di federiformista?»

«Non credo. Ma non vede motivo per coprire le malefatte di quelli chel'hanno importunata. È molto schietta, ma di buon cuore. Ha speso parole digrande ammirazione per fratello Guy. Le ha insegnato molto, dice, e l'haprotetta da chi intendeva crearle delle noie. Ed è anche molto legata aivecchi di cui si prende cura.»

Lo guardai meditabondo. «Non affezionarti troppo alla ragazza», dissipacato. «Lord Cromwell esige la resa del monastero, e noi potremmo esserequelli che la butteranno di nuovo in mezzo a una strada.»

Mark si accigliò. «Sarebbe molto crudele. E poi non è una ragazza. Haventidue anni, è una donna. Non c'è nulla che si possa fare per lei?»

«Potrei tentare.» Meditai un istante. «Dunque il fratello infermiere laprotegge. Mi chiedo se lei sarebbe disposta a fare altrettanto.»

«Intendete dire che fratello Guy potrebbe voler celare dei segreti?»

«Non saprei.» Mi alzai e raggiunsi la finestra. «Mi sento girare la testa.»

«Avete detto d'aver avuto l'impressione che il novizio v'imitasse», esitò Mark.

«A te non è parso?»

«Non vedo come avrebbe potuto sapere…»

Deglutii. «…Come gesticolo quando faccio le mie arringhe in tribunale?Non me lo spiego neppure io.» Rimasi a guardare fuori della finestra,mordicchiandomi l'unghia del pollice, fino a che non vidi apparire in cortilefratello Guy in compagnia dell'abate e del priore. Le tre figure passarono

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rapide sotto la finestra, levando piccole nubi di neve. Qualche istante piùtardi, udimmo vociare nella stanza in cui era stato deposto il cadavere.Sentimmo rumore di passi, e i tre monaci entrarono in cucina. Mi sedetti,scrutandoli in viso, uno dopo l'altro. Il volto bruno di fratello Guy erainespressivo. Quello del priore Mortimus era rubizzo, colmo di rabbia e dipaura. L'abate pareva essersi chiuso in se stesso; sembrava essersi fatto piùpiccolo, più grigio.

«Commissario», disse pacato, «sono mortificato che abbiate dovutoassistere a una scena tanto orribile.»

Feci un respiro profondo. Avrei pagato per non dover esercitare la miaautorità su quei miserabili, ma non avevo scelta.

«Già», dissi. «Ho scelto d'alloggiare nell'infermeria alla ricerca di un po' di pace e tranquillità durante lo svolgimento delle mie indagini, e mi sono imbattuto in un giovane intirizzito e affamato, che ha perso il senno e ha trovato la morte.»

«Era posseduto!» Il priore parlò con voce dura e aspra, senza più un velodi sarcasmo. «Ha lasciato che la sua mente s'offuscasse al punto tale darenderla facile preda del diavolo, nelle ore di maggior debolezza. Horicevuto la sua confessione, gli ho inflitto una penitenza per mortificarlo, maho agito troppo tardi. Questo è il potere del demonio.» Strinse le labbra e mifissò negli occhi. «È ovunque, e tutte queste spaccature fra cristiano ecristiano ci distolgono dal vederlo!»

«Il ragazzo ha detto d'aver visto i demoni turbinare nell'aria come granellidi polvere», dissi. «Lo ritenete possibile?»

«Suvvia, signore, persino il più fervente dei riformisti non può negare ilfatto che il mondo pulluli degli emissari del Maligno. Non si dice forse cheLutero stesso abbia scagliato una Bibbia contro un demone nella suastanza?»

«Talvolta, però, simili visioni possono essere generate da un'encefalite.»

Guardai fratello Guy, che annuì.

«È vero», concordò l'abate. «La Chiesa ne è a conoscenza da centinaia di anni. Dobbiamo indagare a fondo la questione.»

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«Ah, non c'è nulla su cui indagare», sbottò il priore con rabbia. «SimonWhelplay ha aperto l'anima al diavolo, un demone lo ha preso e lo ha spintoa gettarsi nella vasca, uccidendosi come i maiali di Gadareni che si sonogettati dal dirupo. La sua anima ora è all'inferno, per quanto io abbia tentatodi salvarla.»

«Non credo sia morto per la caduta», disse fratello Guy.

Lo guardammo tutti con sorpresa. «Come puoi dirlo?» chiese il prioresprezzante.

«Perché non ha battuto la testa», rispose il frate infermiere pacato.

«Allora come…»

«Ancora non lo so.»

«In ogni modo», dissi trapassando il priore con lo sguardo, «pare sia statogravemente indebolito da un eccesso di disciplina.»

Il priore rispose al mio sguardo con baldanza. «Signore, il vicario generaleintende riportare l'ordine nei monasteri. E ne ha ben donde. Le passatenegligenze hanno esposto le anime di noi tutti a gravi pericoli. Se ho fallitocon Simon Whelplay è perché non sono stato abbastanza severo; o forse ilsuo cuore era già infetto. Ma concordo pienamente con Lord Cromwellquando afferma che solo tramite una rigida disciplina otterremo la riformadegli ordini religiosi. Non rimpiango ciò che ho fatto.»

«Che cosa ne pensate, signor abate?»

«È possibile che in questo caso la tua severità sia andata troppo oltre,Mortimus. Fratello Guy, tu e il priore v'incontrerete per discutere dellafaccenda. Istituiremo un comitato d'investigazione. Sì, un comitato.» Ilsuono di quella parola parve rassicurarlo.

Fratello Guy sospirò sonoramente. «Prima voglio esaminare i suoi poveriresti.»

«D'accordo», disse l'abate. «Procedi pure.» Sembrò riacquistare la propriafiducia, e si rivolse a me. «Mastro Shardlake, fratello Gabriel è venuto aparlarmi. Ricorda d'aver intravisto delle luci nella palude, durante le nottiprecedenti l'uccisione del commissario Singleton. Credo che i

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contrabbandieri del luogo potrebbero essere i responsabili del delitto. Gentesenzadio: quando si è abituati a infrangere i comandamenti delle leggi,infrangere quelli del Signore non è difficile.»

«Già, sono stato alla palude. Affronterò la questione domani con ilgiudice; è una delle piste che intendo seguire.»

«Credo che troverete lì la soluzione.»

Non risposi. L'abate proseguì. «Per il momento, ritengo sia meglio dire aiconfratelli che Simon è morto a causa della malattia. Se voi siete d'accordo,commissario.»

Riflettei un istante. Non desideravo diffondere altro panico. «Molto bene.»

«Dovrò scrivere alla sua famiglia. Comunicherò loro la stessa cosa…»

«Già, è di certo preferibile all'idea che il figlio stia bruciando all'inferno,come ha suggerito il priore», sbottai, improvvisamente disgustato daentrambi. Il priore Mortimus fece per ribattere, ma l'abate lo precedette.

«Su, Mortimus, andiamo. Dobbiamo dare disposizioni perché vengascavata un'altra fossa.» S'inchinò congedandosi, seguito dal priore che milanciò un ultimo sguardo di sfida.

«Fratello Guy», chiese Mark. «Che cosa credete abbia ucciso il ragazzo?»

«Lo scoprirò presto. Ma dovrò sezionarlo.» Alzò le spalle. «Non è uncompito semplice quando si conosceva la vittima. Ma dev'essere fattosubito, prima che subentri il rigor mortis.» Chinò il capo e chiuse gli occhiun momento, in preghiera, poi fece un respiro profondo. «Vogliatescusarmi.»

Annuii e il frate infermiere uscì, poi i suoi passi riecheggiarono lenti versoil dispensario. Mark e io ci sedemmo, rimanendo in silenzio per qualcheistante. Le sue guance cominciavano a riprendere colore, ma era ancorapallido come non lo avevo mai visto. Io sentivo ancora un senso distordimento, sebbene il tremore almeno fosse cessato. Alice ci raggiunseportando una tazza fumante.

«Ecco l'infuso, signore.»

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«Vi ringrazio.»

«E sono arrivati per voi due contabili carichi di registri.»

«Che? Ah, già. Mark, puoi assicurarti che siano portati nel nostroalloggio?»

«Sì, signore.» Aprì la porta per andare, e mi giunse alle orecchie il rumored'una sega proveniente dal dispensario. La porta si richiuse, e io abbassai losguardo sollevato. Bevvi un sorso della tisana di Alice. Aveva un saporeintenso, muschiato.

«È ottimo per i traumi, signore, riequilibra gli umori.»

«È molto gradevole. Vi ringrazio.»

Rimase in piedi davanti a me, le mani giunte in grembo. «Signore, volevoscusarmi quanto ho detto poc'anzi. Ho parlato a sproposito.»

«Non ha importanza. Eravamo tutti molto scossi.»

Esitò. «Di certo penserete che io sia strana, signore, perché ho detto chenon temo l'opera dei demoni, dopo tutto ciò che abbiamo visto.»

«Al contrario. Troppe sono le persone disposte a vedere lo zampino deldemonio in qualunque cosa non riescano a comprendere. Io stesso ho reagitoa quel modo, ma penso che fratello Guy abbia un'altra spiegazione in mente.Sta esaminando il cadavere.»

La giovane si fece il segno della croce.

«Sebbene», proseguii, «non dobbiamo dimostrarci ciechi di fronteall'operato di Satana.»

«Io credo…» S'interruppe.

«Continuate. Sentitevi pure libera di confidarvi. Sedete, vi prego.»

«Vi ringrazio.» Si sedette, fissandomi con i suoi occhi azzurri perspicaci eguardinghi. Notai la sana compattezza della sua carnagione chiara.

«Io credo che il demonio operi nel mondo attraverso la cattiveria degliuomini, la loro avidità, la crudeltà e l'ambizione, non possedendoli o

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facendoli impazzire.»

Annuii. «Lo credo anch'io, Alice. In tribunale ho avuto modo di vederemolte delle brutture che avete menzionato. Non solo fra gli accusati. E viassicuro che chi le esibiva non era certo pazzo.» Il viso di Lord Cromwellm'apparve d'improvviso davanti agli occhi, con impressionante vividezza.

Alice annuì tristemente. «Quel genere di male è ovunque. Talvolta mi pareche la bramosia del denaro e del potere possa trasformare gli uomini in leonifamelici, a caccia d'una preda da divorare.»

«Ben detto. Ma in quale luogo una fanciulla tanto giovane può aver incontrato simili nefandezze?» chiesi gentile. «Qui, forse?»

«Io osservo il mondo, e rifletto su ciò che vedo.» Si strinse nelle spalle.

«Più di quanto sia consono a una donna, forse.»

«No, no. Dio ha concesso la ragione alle donne come agli uomini.» Sorrise amaramente. «Pochi qui condividerebbero le vostre opinioni, signore.»

Bevvi un altro sorso della calda pozione, che rilassava i miei muscolistanchi. «È davvero buona. Mastro Poer mi decantava poc'anzi la vostraabilità nell'arte della guarigione.»

«Vi ringrazio. Come ho detto, mia madre era una levatrice.» Il suo visos'adombrò un istante. «Per alcuni in paese questo significa occuparsi dimagia nera, invece lei non ha fatto altro che raccogliere conoscenza. Unaconoscenza trasmessale da sua madre, che l'aveva ricevuta dalla sua. Lospeziale domandava spesso il suo consiglio.»

«E voi ne siete diventata l'assistente.»

«Sì. Mi ha insegnato molto. Ma poi è morto e io ho fatto ritorno a casa.»

«Casa che avete perso.»

«Già. Il proprietario l'ha fatta demolire, trasformando il nostro piccoloappezzamento in pascolo per le pecore.»

«Che peccato. Queste recinzioni a favore dei proprietari terrieri sono larovina delle nostre campagne. Lord Cromwell intende occuparsene.»

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Mi guardò incuriosita. «Lo conoscete? Lord Cromwell?» Annuii. «Sì. Si puòdire che sia al suo servizio da molti anni.»

Mi scrutò a lungo, incuriosita, poi abbassò lo sguardo e rimase in silenzio, lemani in grembo. Mani irruvidite dal lavoro, ma che non avevano perduto la loro grazia.

«Così alla fine siete approdata qui.»

Levò il capo. «Sì. Fratello Guy è una brava persona, signore. Io… io speroche voi non pensiate male di lui a causa del suo strano aspetto, signore.Alcuni lo fanno.»

Scossi il capo. «Devo guardare molto più a fondo, se voglio sperared'essere un buon investigatore. Sebbene debba confessare d'essere rimastosbalordito quando l'ho visto per la prima volta.»

Rise inaspettatamente, lasciando intravedere per un istante i denti bianchie regolari. «Per me è stato lo stesso, signore. Ho creduto che il suo viso fossestato intagliato nel legno, e che poi gli fosse stata data la vita. Mi ci sonovolute settimane prima di riuscire a considerarlo un uomo come tutti gli altri.Mi ha insegnato davvero molto.»

«Forse un giorno potrete mettere a frutto tutta questa conoscenza per voistessa. So di speziali donne a Londra. Ma sono perlopiù vedove, e di certovoi prenderete marito.»

Si strinse nelle spalle. «Forse, un giorno.»

«Mark m'ha detto del vostro promesso. Mi rincresce.»

«Già», bisbigliò. I suoi occhi s'erano fatti di nuovo guardinghi. «Pare chemastro Poer vi abbia raccontato tutto di me.»

«Noi… be', abbiamo bisogno di sapere quanto più possibile sugli abitantidel monastero, come voi di certo comprenderete.» Le feci quel che speravofosse un sorriso rassicurante.

S'alzò di nuovo e s'avvicinò alla finestra. Quando si voltò parve tesa, come se avesse preso una decisione.

«Signore, se io mi decidessi a darvi delle informazioni, mi garantireste

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massima discrezione? Non posso permettermi di perdere il mio lavoro…»

«Certo, Alice, avete la mia parola.»

«I contabili di fratello Edwig vi hanno detto d'avervi portato tutti i registricontabili, vero?»

«Esatto.»

«Ma non è vero, signore. Non vi hanno portato il registro che ilcommissario Singleton stava esaminando il giorno della sua morte.»

«Come lo sapete?»

«Perché tutti i libri che hanno portato sono marroni. Quello che aveva ilcommissario aveva la copertina blu.»

«Dite davvero? Come fate a saperlo?»

Esitò. «Mi promettete davvero di non farne parola con nessuno?»

«Certo, ve lo prometto. Vorrei che riusciste a fidarvi di me, Alice.»

Fece un respiro profondo. «Il pomeriggio della morte del commissarioSingleton io ero andata in paese per alcune commissioni. Sulla via delritorno incontrai il giovane assistente dell'economo, fratello Athelstan, e ilcommissario di fronte all'ingresso dell'ufficio contabile.»

«Fratello Athelstan?»

«Esatto. Il commissario Singleton stringeva fra le mani un voluminosoregistro blu, e stava rimproverando fratello Athelstan. Non si preoccupòd'abbassare la voce vedendomi passare.» Fece un sorrisino sardonico.

«Dopotutto, sono solo una domestica.»

«E che cosa diceva?»

«'L'economo pensava forse di tenermelo nascosto, infilato in uno dei suoicassetti?' Ricordo le sue esatte parole. Fratello Athelstan balbettò qualchescusa, dicendo che non gli era permesso rovistare nel gabinetto privatodell'economo in sua assenza, e il commissario replicò che lui aveva il dirittodi andare ovunque, e che quel registro avrebbe gettato nuova luce sul

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bilancio annuale.»

«Che cosa rispose fratello Athelstan?»

«Nulla. Era spaventato a morte, pareva un cane bastonato. Il commissarioSingleton disse che avrebbe esaminato il registro, e se ne andò. Ricordoancora l'espressione trionfante che aveva dipinta in viso. Fratello Athelstanrimase attonito qualche istante. Poi si accorse della mia presenza. Mi guardòinfuriato, entrò nell'ufficio e sbatté la porta.»

«E non avete più sentito nulla in proposito?»

«No, signore. Era quasi sera quand'è successo, e poi ho saputo che ilcommissario era morto.»

«Vi ringrazio, Alice», dissi. «Ci siete stata di grande aiuto.» M'interruppi,scrutandola in viso. «In ogni modo, mastro Poer mi ha riferito che aveteavuto delle noie con il priore.»

Il suo viso s'accese di nuova fierezza. «All'inizio ha cercato di approfittaredella mia posizione. Ma ora è tutto risolto.»

Annuii. «Siete molto schietta, Alice, e per questo vi ammiro. Vi prego divenire subito da me, se pensate di sapere qualcosa che possa aiutare le mieindagini. E se doveste aver bisogno di protezione, io ve la darò. Cercherò dirintracciare questo registro, ma vi assicuro che non farò il vostro nome.»

«Vi ringrazio, signore. E ora, con il vostro permesso, devo raggiungerefratello Guy.»

«Macabro compito davvero per una fanciulla.»

Si strinse nelle spalle. «È parte dei miei doveri, e comunque sono abituataalla vista della carne morta. Mia madre componeva i corpi dei morti, giù inpaese.»

«Il vostro stomaco è più forte del mio, Alice.»

«Già, la vita m'ha lasciato ben poche delle qualità di una fanciulla»,commentò con improvvisa amarezza.

«Non intendevo dir questo.» Levai una mano in segno di protesta. Cosìfacendo, sfiorai la tazza con il gomito, rischiando di versarla. Ma Alice, che

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era ritornata al tavolo ed era in piedi di fronte a me, l'afferrò con grandeprontezza.

«Vi ringrazio. Cielo, che mano lesta.»

«Fratello Guy fa cadere sempre tutto in infermeria. E ora, signore, con ilvostro permesso.»

«Ma certo. E grazie ancora per avermi parlato dell'economo.» Sorrisi.

«So bene che un commissario regio incute un certo timore.»

«No, signore. Voi siete diverso.» Mi guardò seria per un istante, poi sivoltò svelta e lasciò la stanza.

Sorseggiai l'infuso, che piano piano mi riscaldò. Anche il pensiero cheAlice pareva fidarsi di me mi pervase di piacevole tepore. Se l'avessiconosciuta in un contesto differente, se non fosse stata una domestica…

Pensai a quanto m'aveva detto prima d'andarsene. In che modo ero«diverso»? Singleton, supposi, doveva averle dato l'impressione che tutti icommissari regi fossero baldanzosi tiranni, ma c'era forse dell'altro? Nonpotevo davvero immaginare che lei fosse attratta da me come io m'eroscoperto attratto da lei. Mi resi conto d'averle rivelato che Mark m'avevariferito ogni sua parola. Questo, forse, avrebbe minato la sua fiducia nel miogiovane assistente, pensiero che, compresi non senza inquietudine, mi davaun certo piacere. Mi accigliai, poiché la gelosia era un peccato mortale, erivolsi la mente a quello che la fanciulla m'aveva detto sul registro contabile.Una pista davvero interessante.

Dopo qualche minuto Mark riapparve. Mentre riapriva la porta, fuisollevato nel constatare che il rumore della sega era cessato.

«Ho controllato i registri, signore. Diciotto voluminosi tomi. Gli uominidell'economo si sono molto lamentati, dicendo che abbiamo gettato il lorolavoro nello scompiglio.»

«Al diavolo il loro lavoro. Hai chiuso a chiave la stanza?»

«Sì, signore.»

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«Hai per caso notato se fra i registri ce n'è uno rilegato in blu?»

«Sono tutti marroni, signore.»

Annuii. «Penso di sapere perché fratello Edwig abbia dato del filo datorcere al giovane Athelstan. C'è qualcosa che ha evitato di dirci. Dovremofare un'altra chiacchierata con il nostro buon amico, potrebbe essereimportante…» M'interruppi, vedendo arrivare fratello Guy tirato in viso.Sotto il braccio portava un grembiule macchiato di sangue che gettò dentrouna cesta in un angolo.

«Commissario, posso scambiare due parole con voi in privato?»

«Certamente.»

Mi alzai e lo seguii. Temevo mi avrebbe mostrato il corpo del poveroWhelplay, ma con mio grande sollievo mi condusse all'esterno. Il solecominciava a tramontare, proiettando un roseo bagliore sull'orto imbiancato.Fratello Guy si fece strada fra le piante, finché giunse davanti a un grossocespuglio.

«So che cosa ha ucciso il povero Simon. Non s'è trattato di possessionedemoniaca. La postura distorta e il convulso movimento delle mani nonavevano nulla a che vedere con voi. Gli spasmi sono caratteristici. Comepure la perdita della voce e le visioni.»

«Caratteristici di che cosa?»

«Veleno estratto dalle bacche di quest'arbusto.» Scrollò dalla neve i rami,dai quali pendeva ancora qualche annerita foglia morta. «Belladonna. Laletale ombra della notte, come viene chiamata da queste parti.»

«È stato avvelenato?»

«La belladonna non ha un odore intenso, ma è molto caratteristico. L'housata per anni, la conosco bene. Ne ho trovate tracce nell'intestino delpovero Simon. E nei sedimenti ritrovati nella tazza d'idromele caldo cheaveva accanto al letto.»

«Come è potuto accadere? Quando?»

«Questa mattina, senza alcun dubbio. I sintomi iniziali sono molto rapidi.

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È colpa mia. Se io o Alice non lo avessimo lasciato solo…» Si passò unamano sulla fronte.

«Non potevate prevedere una simile evenienza. Chi altri è rimasto solocon lui?»

«Fratello Gabriel è venuto a fargli visita ieri sera tardi, dopo che voi vieravate ritirato, e ancora questa mattina. Pareva molto turbato, gli ho dato ilpermesso di pregare per il ragazzo. Poi sono venuti l'abate e l'economo.»

«Già. Sapevo della loro visita.»

«E questa mattina, quando sono andato a controllarlo, ho trovato il prioreMortimus.»

«Il priore?»

«Era in piedi accanto al letto, e guardava il ragazzo con occhi inquieti. Hopensato temesse le conseguenze della sua spietata punizione.» Serrò lelabbra. «Il succo di belladonna è dolce, e l'odore è troppo lieve perché lo sinoti nell'idromele.»

«Viene usata anche come medicinale, non è vero?»

«In piccole dosi dà sollievo in caso di costipazione, e ha svariati altriutilizzi. Ne ho una modica quantità in infermeria, la prescrivo spesso. Moltidei monaci ne fanno uso. Le sue proprietà sono ben note.»

Riflettei un istante. «La notte scorsa Simon aveva cominciato a dirmiqualcosa sul fatto che la morte del commissario Singleton non era stata laprima. Era mia intenzione interrogarlo ancora questa mattina, al suorisveglio.» Esitai. «Voi o Alice avete forse riferito a qualcuno quanto avevadetto?»

«Io no, e di certo neppure Alice. Ma potrebbe essere stato lo stesso Simona uno dei suoi visitatori, in preda al delirio.»

«Qualcuno voleva farlo tacere per sempre.»

Il religioso si morse un labbro e annuì gravemente.

«Povero ragazzo», dissi. «E io credevo che si stesse prendendo gioco dime.»

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«Di rado le cose sono come appaiono.»

«In questo luogo meno che mai. Ditemi, fratello, perché m'aveteraccontato tutto questo invece di riferirlo direttamente all'abate?»

Mi guardò tetro. «Perché l'abate era fra i visitatori. Voi siete l'autorità, mastro Shardlake, e sono convinto che vogliate scoprire che cos'è accaduto, per quanto sospetti che le nostre idee in materia di religione differiscano parecchio.»

Annuii. «Per il momento vi ordino di non rivelare ad alcuno quanto miavete appena detto. Devo valutare con estrema cautela come procedere.»Guardai fratello Guy per vedere come avrebbe reagito a un mio comando,ma il religioso si limitò a fare un debole cenno con il capo. Poi abbassò losguardo sulla mia gamba, incrostata di fango.

«Avete avuto un incidente?» mi chiese.

«Sono caduto nella palude, ma ne sono venuto fuori.»

«Il terreno è molto pericoloso laggiù.»

«Non credo che qui sia molto meglio. Venite, rientriamo o ci buscheremouna polmonite.» Lo precedetti. «È strano che la paura suscitata in me daisuoi bizzarri gesti abbia condotto a una simile scoperta.»

«Almeno il priore Mortimus non potrà più dire che Simon bruciaall'inferno.»

«Già. Penso che ne rimarrà deluso.» A patto che non sia lui stessol'assassino, pensai. Digrignai i denti. Se non mi fossi fatto persuadere daAlice e fratello Guy a rimandare la mia conversazione con Simon la notteprecedente, non solo avrei avuto la sua versione completa e sarei giunto ascoprire l'identità dell'assassino, ma il ragazzo sarebbe sopravvissuto. Oraavevo due omicidi sui quali investigare. E se, come il giovane novizio miaveva rivelato in preda al delirio, la morte di Singleton non era stata laprima, allora erano tre.

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Capitolo quattordici

Avevo sperato di recarmi a Scarnsea quel pomeriggio, ma s'era fattotroppo tardi. Nell'ultimo bagliore del tramonto m'incamminai nuovamenteverso la dimora dell'abate per parlare a Goodhaps.

Trovai il vecchio che attingeva generosamente alla caraffa di vino. Non glidissi che il novizio era stato assassinato, ma solo che aveva ceduto allamalattia. Goodhaps non parve interessato. Gli chiesi che cosa sapesse delregistro che Singleton stava esaminando poco prima di morire. Singleton,disse, gli aveva riferito solo d'aver messo le mani su un nuovo librocontabile che sperava gli sarebbe potuto tornare utile. Il vecchio bofonchiòin tono irritato che Robin Singleton non lo metteva mai a parte di nulla,sfruttandolo solo per spulciare testi giuridici. Lo lasciai al suo vino.

Mi diressi verso l'infermeria, camminando nel vento freddo e pungenteche mi penetrava come un pugnale. Le campane ripresero il loro fracasso peri vespri, e io pensai che chiunque possedesse delle informazioni era arischio: il vecchio Goodhaps, Mark, io stesso. Forse avevamo a che fare conun fanatico, ma di certo non era guidato solo dall'impulso. E se avesse avutoin mente d'avvelenarmi la cena, o cercato d'alleggerirmi del peso della testacome aveva fatto con Singleton? Rabbrividii e strinsi il mantello attorno alcollo.

Il pavimento della nostra stanza era disseminato di libri. Mark era sedutovicino al camino, lo sguardo perso fra le fiamme. Non aveva ancora accesole candele, ma il bagliore del fuoco danzava sul suo viso turbato. Mi sedettidi fronte a lui, gustando la possibilità di riposare le mie povere ossa davantial tepore delle fiamme.

«Mark», dissi, «abbiamo un nuovo mistero da svelare.» Gli raccontai ciòche fratello Guy m'aveva rivelato. «Ho trascorso la vita a decifrare misteri,ma in questo luogo sembrano moltiplicarsi, e farsi sempre più orribili.» Mipassai una mano sulla fronte. «E biasimo me stesso per la morte di quelgiovane. Se solo avessi insistito a parlargli, la notte scorsa, se avessi cercatodi sapere. E là, in infermeria, quando ha cominciato a contorcere il poverocorpo agitando in aria le mani, ho pensato solo che si stesse prendendo gioco

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di me.» Ero travolto da un improvviso senso di colpa.

«Non potevate sapere che cosa sarebbe accaduto, signore», disse Markesitante.

«Ero stanco, e mi sono lasciato persuadere a rimandare il colloquio. LordCromwell mi ha detto di badare alla sostanza. Ed eccoci qui, quattro giornidopo, senza risposte e con un'altra morte sulle spalle.»

Mark si alzò e accese le candele dal fuoco del camino. Mi sentiid'improvviso travolto da un'ondata di rabbia per la mia debolezza, ma lamorte del novizio m'aveva devastato. Speravo che la sua anima avessetrovato la pace eterna al cospetto di Dio. Se avessi creduto che le preghierepotevano aiutare i defunti, avrei pregato per il suo spirito.

«Non dovete cedere, signore», disse Mark imbarazzato, mentre sistemavale candele sul tavolo. «Abbiamo la nuova pista dell'economo da seguire.Potremmo fare qualche passo in avanti.»

«La notte dell'omicidio l'economo non era al monastero. Ma no», forzai un sorriso, «non cederò. Non oserei anche volendo, sono in missione per conto di Lord Cromwell.»

«Mentre eravate in chiesa, ho colto l'occasione per andare a dareun'occhiata ai fabbricati annessi. Avevate ragione, sono molto trafficati. Lestalle, la fucina e la dispensa sono tutte frequentate di continuo. Non possodavvero immaginare che siano servite da nascondigli per oggetti tantovoluminosi.»

«Le cappelle laterali della chiesa, invece, meriterebbero una secondaispezione. E sulla strada verso la palude mi sono imbattuto in qualcosad'interessante.» Gli raccontai del bagliore dorato sul fondo del vivaio ittico.

«Quello sarebbe un bel posto per nascondere delle prove.»

«Allora dobbiamo accertarcene, signore. Vedete, abbiamo delle tracce daseguire. La verità verrà a galla.»

Risi cupamente. «Oh, Mark, si vede che non sei un assiduo frequentatoredella corte di Sua Maestà. Ma fai bene a incoraggiarmi.» Giocherellai con unfilo che pendeva dalla fodera della sedia. «Sto cedendo alla tristezza.

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Da mesi le mie condizioni di spirito sono pessime, ma qui sono peggiorate.Sono d'umore altalenante. Troppa bile nera inquina i miei organi. Forsedovrei consultare fratello Guy.»

«Questo luogo di certo non stimola il buon umore.»

«No. E ti confesso che temo sia anche pericoloso. Ci stavo giustopensando fuori, in cortile. Un rumore di passi, il fruscio di una lama chefende l'aria…» Alzai lo sguardo su di lui. I suoi tratti infantili erano turbatidall'inquietudine, e io ero consapevole del peso che la nostra missione avevacaricato sulle sue spalle.

«Lo so. Questo luogo così silenzioso, non fosse per il frastuono di quellecampane che fanno ghiacciare il sangue nelle vene.»

«Be', stare sul chi vive non ci farà certo male. Sono lieto di sentirti prontoad ammettere le tue paure. È una cosa positiva, da vero uomo, di gran lungapreferibile alle spacconerie giovanili. Dal canto mio, dovrò scrollarmi didosso questa tetraggine. Stanotte pregherò Dio perché mi doni la forza diandare avanti.» Lo guardai con improvvisa curiosità. «E tu, per cosapregherai?»

Si strinse nelle spalle. «Ho perso l'abitudine di pregare prima dicoricarmi.»

«Non dovrebbe essere una semplice abitudine, Mark. Ma non temere, nonintendo farti la predica.» Mi alzai faticosamente. Ero stanco, e la schiena eratornata a dolermi. «Forza, al lavoro, abbiamo tutti quei registri dacontrollare. Dopo cena affronteremo fratello Edwig.»

Accesi altre candele, e disponemmo i registri sul tavolo. Aprii il primo, pagine fitte di numeri e illeggibili scarabocchi. Mark mi guardava con occhi seri.

«Signore, credete che Alice possa essere in pericolo per quanto ci hadetto? Se Simon Whelplay è stato ucciso perché c'era il rischio che rivelasseun segreto, a lei potrebbe capitare lo stesso.»

«Lo so. Prima chiederò spiegazioni all'economo circa il registroscomparso, meglio sarà. Ho promesso ad Alice che non l'avrei esposta inalcun modo.»

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«È una donna coraggiosa.»

«E di grande fascino, eh?»

Arrossì e s'affrettò a cambiare argomento. «Fratello Guy ha detto che ilnovizio ha ricevuto quattro visite?»

«Esatto, le visite dei quattro officiali anziani, tutti al corrente dellamissione di Singleton. Le loro e quelle di fratello Guy.»

«Ma è stato proprio fratello Guy a dirvi che Simon era stato avvelenato.»

«Ciò nonostante, devo essere cauto, non posso concedergli la mia totalefiducia. Be', ora diamoci ai conti. Il tuo lavoro alle Aumentazioni dovrebbeaverti abituato ai libri contabili dei monasteri.»

«Certamente, m'è capitato spesso di doverli verificare.»

«Bene. Allora controlla questi, e dimmi se trovi qualcosa che non va.Qualunque voce di spesa che sembri troppo alta, o che non torni. Prima,però, chiudi la porta a chiave. Buon Dio, la paranoia di Goodhaps dev'esserecontagiosa.»

Ci mettemmo al lavoro. Era un compito noioso. Le partite doppie sonoassai complesse, se non si è esperti contabili, ma a quanto pareva non c'eranulla d'anomalo in quei registri. I proventi del monastero derivanti dallevendite dei terreni e dal monopolio sulla produzione della birra eranoconsistenti; le spese contenute per le paghe dei monaci e le elemosine eranobilanciate da esosi esborsi soprattutto per la dimora dell'abate. Risultava unavanzo di circa cinquecento sterline, una somma ingente ma non inconsuetaper le case religiose, aumentata dalle recenti vendite di alcune terre.

Lavorammo fino a che le campane squarciarono l'aria ghiacciata,annunciando la cena. Mi alzai e presi a fare avanti e indietro per la stanza,strofinandomi gli occhi affaticati. Mark si stirò le braccia con uno sbadiglio.

«Non sembra esserci nulla di strano. Un monastero florido, molto più ricco delle case minori che controllavo di solito.»

«Già. C'è molto oro dietro questi conti. Che cosa può aver mai scoperto Singleton in quel registro? Forse i bilanci sono sin troppo in ordine; forse queste cifre sono state create ad hoc per i revisori, mentre quello scomparso

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mostra i dati reali. Se l'economo sta frodando l'Erario, la sua colpa sarebbe alquanto grave.» Chiusi il libro contabile che stavo consultando con un tonfo. «Per ora basta così, è meglio raggiungere i nostri santi confratelli.» Loguardai serio. «E assicurati che il nostro cibo provenga solo dal piatto di portata.»

Attraversammo il chiostro fino al refettorio, i monaci che s'inchinavano alnostro passaggio. Nel compiere questo gesto, uno di loro perse l'equilibrio ecadde, scivolando sulla neve e aprendo un sentiero con il proprio corpo.

La cena fu assai mesta. Fratello Jerome era assente, presumibilmenterinchiuso da qualche parte, dietro ordine del priore. L'abate Fabian avevasolennemente annunciato dal pulpito che il novizio Whelplay era decedutoper la malattia, scatenando un fiume d'esclamazioni turbate e di appelli allapietà di Dio. Il priore, notai, fu il bersaglio di occhiate colme di livore, inmodo particolare da parte dei tre novizi, che sedevano assieme all'estremitàpiù lontana del tavolo comune. Udii uno dei monaci, un tale grasso con tristiocchi cisposi, maledire borbottando gli uomini privi di carità, nondistogliendo mai lo sguardo dal priore Mortimus, che sedeva guardandodritto davanti a sé con sguardo severo.

L'abate intonò una lunga preghiera funebre in latino, cui la congregazionerispose con fervore. Per l'occasione cenò al tavolo degli obedenziari, doveera stato servito un abbondante quarto di manzo. Ci furono smorzati tentatividi conversazione, e l'abate commentò che non aveva mai visto tanta neve innovembre. Fratello Jude, l'elemosiniere, e fratello Hugh, il tesoriere con ilviso butterato di cisti che avevo incontrato nella sala capitolare, sichiedevano senza grande entusiasmo se la legge accollasse alle autoritàlocali il dovere di ripulire dalla neve la strada che portava al monastero. Solofratello Edwig s'animò parlando con preoccupazione delle tubature dellalatrina che stavano congelando e del costo della loro riparazione quando, algiungere della bella stagione, sarebbero scoppiate per il caldo. Presto,pensai, ti darò io qualcosa di cui preoccuparti. Fui sorpreso dalla foga delmio sentimento, e me ne rimproverai perché non è opportuno lasciare chel'antipatia nei confronti di un sospettato ottenebri la mente.

Ma qualcun altro, quella sera, era in preda a emozioni persino più fortidella mia. Fratello Gabriel aveva a stento toccato cibo. Apparve devastatodalla notizia della morte di Simon, e rimasi profondamente scosso quando,

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levato il capo d'improvviso, rivolse a Mark uno sguardo di desiderio cosìintenso, di passione tanto bruciante da farmi rabbrividire. Mi rallegrai delfatto che Mark stesse prestando attenzione al proprio piatto e non se nepotesse accorgere.

Fu un sollievo quando, finalmente, fu recitata la preghiera diringraziamento e tutti sfilarono fuori della sala. S'era alzato il vento, che cisollevava contro piccole onde di neve. Feci cenno a Mark di attendere sullasoglia, mentre i monaci alzavano i loro cappucci e uscivano con passofrettoloso nella notte.

«Andiamo a fare due chiacchiere con l'economo. Hai con te la spada?» Annuì.

«Bene. Tienici una mano sopra, mentre gli parlo, rammentagli chicomanda. Ma dove si sarà cacciato?»

Attendemmo qualche istante, ma fratello Edwig non si fece vedere.Rientrammo nel refettorio. Udii il suo farfugliare, e lo trovai chino sul tavolodei monaci, dove fratello Athelstan sedeva con aria affranta. L'economoindicava con foga un documento.

«Questo c-conto è sbagliato», diceva. «Hai alterato le cifre dei pagamenti per il luppolo.» Agitò rabbiosamente in aria una ricevuta, poi, accorgendosi della nostra presenza, s'inchinò e ci rivolse il solito falso sorriso.

«Commissario, buona sera. Spero non abbiate rinvenuto irregolarità neimiei r-registri.»

«Non in quelli che mi avete consegnato. Posso scambiare due parole convoi, per favore?»

«Ma certo. Vi prego di d-darmi soltanto un istante.» Tornò a rivolgersi alsuo assistente. «Athelstan, è più che evidente che hai alterato una cifra nellac-colonna di sinistra per celare il fatto che i tuoi conti non tornavano.» Notaiche quando era arrabbiato, il suo difetto di pronuncia svaniva quasicompletamente.

«Solo di un centesimo, fratello economo.»

«Un centesimo è un centesimo. Controllerai tutte le entrate finché nonl'avrai rintracciato. Tutte e duecento. Non accetterò altro c-che un bilancio

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veritiero. Ora vai.» Levò un braccio e il giovane monaco ci passò accantocon passo frettoloso.

«Perdonatemi, c-commissario, ma ho a che fare con delle teste di legno.»

Feci cenno a Mark di sorvegliare l'ingresso, e lui obbedì, mano alla spada. L'economo lo guardò perplesso.

«Fratello Edwig», dissi in tono severo. «Mi trovo costretto ad accusarvidell'occultamento di un registro contabile, un registro dalla copertina blu,che avete tentato di celare all'attenzione del precedente commissario regio,del quale siete rientrato in possesso dopo la sua morte e la cui esistenzaavete taciuto anche a me. Che cosa avete da dire a riguardo?»

Rise. Non era raro che l'accusato d'un crimine tanto grave ridesse per disorientare il proprio accusatore.

«Per tutti i santi del paradiso, signore», tuonai. «Vi state forse prendendo gioco di me?»

Alzò le mani per muovere un'obiezione. «No, signore, vi domando per- dono, ma… vi sbagliate, si tratta d'un malinteso. È stata forse quella Fewterer a riferirvi una c-cosa simile? Ma certo, fratello Athelstan m'ha detto che quella piccola vipera lo aveva visto discutere con il c-commissario Singleton.»

Lo maledissi mentalmente. «Come sono venuto a saperlo non vi riguarda. Sto ancora aspettando la vostra risposta.»

«Ma c-c-certo.»

«Ed evitate di tartagliare e incespicare sulle parole per guadagnar tempo e inventare una delle vostre bugie.»

Sospirò e giunse le mani. «C'è stato un malinteso con il commissario Singleton, che riposi in pace. Aveva domandato di vedere i nostri libri c-c-c…»

«Libri contabili, sì.»

«…come avete fatto voi, signore, e io glieli ho c-consegnati come li ho consegnati a voi. Ma, come v'ho già detto, lui aveva l'abitudine d'entrare

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spesso nel mio ufficio di sua iniziativa, quand'era chiuso, nel tentativo di scoprire c-chissà che. Non nego affatto il suo diritto, signore, è solo che così facendo ha creato molta confusione. Il giorno precedente la sua uccisione, s'avvicinò ad Athelstan mentre stava c-chiudendo l'ufficio, agitando in aria un registro, come di certo la ragazza vi ha riferito. Lo aveva p-preso dall'ufficio.» Aprì le braccia. «Ma, signore, non si trattava d'un registro ufficiale. Conteneva solo qualche appunto, p-previsioni d'entrata che avevo calcolate qualche tempo fa, come di certo anche Singleton si sarà avveduto, esaminandolo. Posso mostrarvelo, se lo desiderate.»

«Lo avete prelevato dalla dimora dell'abate dopo la sua morte, senza farne parola ad anima viva.»

«No, signore, non è così. I d-domestici dell'abate lo hanno trovato nella sua stanza, quando l'hanno vuotata, hanno riconosciuto la mia c-calligrafia e me lo hanno restituito.»

«Ma nel corso della nostra precedente conversazione, m'avete detto chenon eravate sicuro di quale registro il commissario Singleton avesse preso.»

«Lo avevo d-dimenticato. Quel registro non ha la benché minimaimportanza. Posso farvelo avere, signore, cosicché p-possiate sincerarvenevoi stesso.»

«No. Verremo con voi a prenderlo.» Esitò.

«Ebbene?»

«Ma certo.»

Lo seguimmo attraverso il chiostro, mentre Mark illuminava il camminocon un lume. Fratello Edwig aprì la porta del suo ufficio, e c'inerpicammo super le scale fino al gabinetto privato. Aprì un cassetto della scrivania e netrasse un libro dalla copertina blu.

«Eccolo, signore. Guardate pure.»

Diedi un'occhiata. In effetti, il registro non era suddiviso in ordinatecolonne come gli altri che avevo visto, ma conteneva soltanto scarabocchi equalche computo aritmetico.

«Per ora lo prendo io.»

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«Ma certamente. P-posso comunque domandarvi, essendo questo unufficio privato, di avvisarmi prima di p-prendere altri registri? Per evitareulteriore confusione.»

Ignorai la sua richiesta. «Vedo registrato qui che il monastero gode di un'ingente eccedenza, ben più cospicua di quella dell'anno passato. Le vendite dei terreni hanno portato nei vostri forzieri nuovo capitale. Perché dunque respingere la proposta di restauro della chiesa avanzata da fratello Gabriel?»

Mi guardò serio. «Fratello Gabriel spenderebbe fino all'ultimo ccentesimoin opere di restauro. Lascerebbe andare t-tutto il resto in rovina. L'abate glidarà il denaro che chiede, ma d-dobbiamo mercanteggiare, o si prenderàtutto quanto. Questione di trattative.»

La sua versione era plausibile. «Molto bene», dissi. «È tutto, per ora. Ah,un'ultima cosa. Avete menzionato Alice Fewterer. La fanciulla gode dellamia particolare protezione, e se qualcosa di male dovesse accaderle, voiverrete all'istante posto agli arresti e portato a Londra per rispondernedinanzi a un tribunale.» Mi voltai e uscii dalla stanza.

«Questione di trattative, certo», dissi mentre rientravamo in infermeria.

«È infido come una serpe.»

«Ma non può aver ucciso Singleton. Non era al monastero. E un ingordograssone come lui non avrebbe mai avuto la forza di mozzargli la testa.»

«Però potrebbe aver ucciso Simon Whelplay. Forse più di un monaco ècoinvolto in questa faccenda.»

Di nuovo nella nostra stanza, esaminammo il nuovo registro. Come l'economo ci aveva annunciato, non pareva contenere altro che scarabocchi eannotazioni sparse, tutte scritte nella sua ordinata calligrafia, che risalivano amolti anni addietro, a giudicare dall'inchiostro sbiadito delle prime pagine. Lo gettai di lato, strofinandomi gli occhi affaticati.

«Forse il commissario Singleton s'era convinto d'aver scoperto qualcosache in realtà non esisteva.»

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«No. Non credo. Stando a quanto Alice ci ha detto, le sue accuse eranoalquanto specifiche. Ha affermato che il registro avrebbe gettato nuova lucesul bilancio annuale del monastero.» Inveii contro me stesso, battendo unpugno nel palmo: «Ma dove ho il cervello? E se l'economo possedesse piùd'un registro dalla copertina blu? Questo potrebbe essere quello sbagliato!»

«Potremmo tornare subito nel suo ufficio e metterlo a soqquadro.»

«No. Sono esausto. Ci penseremo domani. Ora riposiamo, ci attende unagiornata densa d'impegni. Dobbiamo prendere parte al funerale di Singleton,e poi ci recheremo a Scarnsea, in visita al giudice di pace Copynger.

Voglio anche parlare con Jerome, e dare un'occhiata al vivaio.»

Mark gemette. «Non esiste riposo per gli emissari di Lord Cromwell.Almeno, però, tutti questi impegni terranno lontana la paura.»

«Con un po' di fortuna. E ora me ne andrò a dormire. Prega perché sifaccia qualche progresso domani.»

L'indomani mattina ci svegliammo di buon'ora, alle prime luci dell'alba.Mi alzai e mi diressi alla finestra per grattare via il sottile strato di ghiaccioche s'era formato all'interno del vetro. Il sole levante proiettava le proprierosee dita di luce sulla neve bianca. Una scena di notevole bellezza, mad'altrettanta sterilità.

«Nessun segno di disgelo.» Mi voltai e vidi che Mark s'era diretto verso ilcamino, scarmigliato, una scarpa in mano, e si guardava attorno conespressione perplessa.

«Che cosa è stato? M'è parso di sentire un rumore.»

«Io non ho sentito nulla.»

«Come dei passi. Sono certo d'averlo udito.» Scuro in viso, Mark aprì confoga la porta. Non c'era nessuno.

Mi sedetti di nuovo sul letto; la schiena indolenzita mi doleva. «Cominci aimmaginarti le cose. Questo luogo ti turba. E muoviti a vestirti, qualcunopotrebbe arrivare.»

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«Signore, vi assicuro che ho sentito qualcosa. M'è parso venisse da fuori.» Rifletté un istante, poi raggiunse la credenza che fungeva da armadio. Spalancò le ante, ma al suo interno trovò solo polvere e sterco di topo.

Non appena ci sedemmo per la colazione, ricevemmo la visita dell'abate,avvolto in una pelliccia per ripararsi dal freddo, le guance rubiconde. Era incompagnia di mastro Goodhaps, che si guardava attorno con inquieti occhicisposi, il naso gocciolante.

«Porto tristi notizie», esordì l'abate Fabian con il consueto tonoaltisonante. «Dobbiamo rinviare l'inumazione del commissario.»

«E come mai?»

«I domestici non sono ancora riusciti a scavare una fossa sufficientementeprofonda. Il terreno è duro come il ferro, e ora c'è da scavare anche la tombadel povero Simon, nel cimitero dei religiosi. Siamo dunque costretti acelebrare entrambe le funzioni domani.»

«Non c'è altra scelta. I due funerali saranno officiati insieme?»

L'uomo esitò. «Simon era un religioso, dovremo celebrare una funzionedistinta. Le ingiunzioni lo consentono…»

«Non ho obiezioni.»

«Mi domandavo, signore, come procedono le vostre indagini. Il fratelloeconomo ha urgente bisogno di rientrare in possesso dei suoi registri,temo…»

«Dovrà attendere, non ho ancora terminato di esaminarli. E questa mattina sono diretto in paese, per incontrarmi con il giudice.»

L'abate annuì vigorosamente. «Benissimo. Sono certo, signore, chetroverete l'omicida del povero commissario Singleton in città, fracontrabbandieri e furfanti.»

«Quando tornerò, gradirei conferire con fratello Jerome. Dove si trova?Non ho più visto il suo viso allegro.»

«È in isolamento, come penitenza per la sua condotta. Devo mettervi in

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guardia, commissario, che se gli parlerete non riceverete altro che insulti.

Non ha freni.»

«Li tollererò in considerazione della sua follia. Intendo vederlo non appena sarò rientrato da Scarnsea.»

«I vostri cavalli potrebbero incontrare delle difficoltà. Il vento della scorsanotte ha alzato grossi cumuli di neve. Uno dei nostri carri ha dovuto far marcia indietro.»

«Vuol dire che andremo a piedi.»

«Anche questo potrebbe rivelarsi difficile. È quanto ho provato a spiegare a mastro Goodhaps…»

Il vecchio fece udire la voce. «Signor commissario, sono venuto a domandarvi se domani, dopo il funerale, potrò fare ritorno a casa. Di certo non c'è altro ch'io possa fare qui. Se mi fosse permesso di raggiungere il paese, potrei trovar posto in una diligenza, altrimenti potrei prendere una stanza in una locanda, in attesa che le strade siano di nuovo agibili.»

Annuii. «Molto bene, mastro Goodhaps, ma temo dovrete sostare a Scarnsea fino a che il tempo non migliorerà.»

«Andrà benone, signore, vi ringrazio!» Il vecchio sorrise radioso.

«Fate pure ritorno a Cambridge, ma non lasciatevi scappare una sillaba di quanto è accaduto qui.»

«Non chiedo di meglio che poter dimenticare.»

«E ora, Mark, mettiamoci in cammino. Signor abate, durante la nostraassenza gradirei che voi mi procuraste altri documenti. Gli atti di cessione ditutte le terre vendute negli ultimi cinque anni…»

«Tutti? Dovremo andarli a cercare…»

«Esatto, tutti quanti. Voglio poter dare la mia parola di aver ricevuto da voi gli atti di ciascuna vendita…»

«Provvederò immediatamente, signore, se questo è il vostro desiderio.»

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«Bene.» Mi alzai. «E ora mettiamoci in marcia.»

L'abate s'inchinò e uscì dalla stanza, seguito a passo svelto dal vecchio Goodhaps.

«M'è parso preoccupato.»

«Per le vendite dei terreni?»

«Già. Se esistono delle irregolarità nei bilanci, queste possono derivaresolo dall'aver occultato le entrate di quelle vendite. Solo in questo modopossono aver raccolto somme di denaro tanto ingenti. Stiamo a vedere concosa se ne uscirà.»

Uscimmo dalla cucina. Passammo davanti al dispensario di fratello Guy, elanciammo un'occhiata all'interno. Mark mi afferrò per un braccio.

«Guardate! Che cosa gli è accaduto?»

Fratello Guy giaceva a faccia in giù sul pavimento sotto il grossocrocifisso, le braccia tese in avanti. I raggi del sole scintillavano sullachierica bruna. Per un attimo fui colto dal panico, poi udii il mormorio dipreghiere latine, lievi ma colme di zelo. Passammo oltre, e ancora una voltami dissi che dovevo riporre con cautela la fiducia in quel moro spagnolo. Luisi fidava di me, ed era di certo la persona più gradevole che avessi incontratoin quel luogo. Ma vederlo disteso prono sul pavimento a rivolgere ardentisuppliche a un pezzo di legno mi fece capire che anche lui, come i suoiconfratelli, era imbrigliato nella rete di antiche eresie e superstizioni controle quali io combattevo.

Capitolo quindici

Il freddo era di nuovo pungente e il cielo terso. Durante la notte il ventoaveva spazzato via grossi cumuli di neve, sgombrando quasi interamentealcune parti del cortile. Oltrepassammo il cancello. Voltato l'angolo, scorsiBugge, il guardiano, affacciato fra le sbarre, ma quando si accorse della miapresenza ritirò subito la testa. Tirai un sospiro di sollievo.

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«Grazie a Dio ci siamo sottratti a tutti quegli sguardi indiscreti.» Osservaila strada sulla quale, come nella corte, il vento aveva disegnato onde di neve.L'intero paesaggio, persino l'acquitrino, era d'un candore accecante, spezzatoqua e là da scheletri d'alberi, dai giunchi della palude e, all'orizzonte, dalgrigiore del mare. Fratello Guy m'aveva procurato un nuovo bastone, alquale mi appoggiai con presa salda.

Arrancammo per un'ora attraverso quell'arido paesaggio prima chescorgessimo Scarnsea. Il paese era pressoché deserto, e alla luce del solenotai, come il giorno del mio arrivo, che gran parte degli edifici era inrovina.

«Cerchiamo Westgate Street», dissi appena entrammo nella piazza. Nelporticciolo una barca era stata tirata in secca, e un funzionario vestito di neroera intento a controllare le balle di tessuto bianco che questa trasportava,mentre due uomini del luogo se ne stavano lì a battere i piedi per il freddo.In mare aperto, presso la bocca del fiume che attraversava la palude, sistagliava la sagoma d'una grossa imbarcazione.

«Il doganiere», osservò Mark.

«Probabilmente intendono portare i tessuti in Francia.»

Svoltammo in una strada di case nuove e ben costruite. Sulla soglia diquella più grande era scolpito lo stemma della cittadina. Bussai, e ladomestica benvestita che venne ad aprirmi confermò che eravamo giunti allacasa del giudice Copynger. Fummo condotti in un grazioso salotto con sediedi legno imbottite e una credenza che ostentava una gran quantità distoviglie decorate in oro.

«Se la passa bene», osservò Mark.

«Puoi ben dirlo.» Attraversai la stanza per osservare da vicino il ritrattod'un uomo dall'aria severa, con i capelli chiari e una barba appuntita.

«Molto bello. Dipinto in questa stessa stanza, a giudicare dallo sfondo.»

«Allora dev'essere ricco…» Vedendo aprirsi la porta Mark s'interruppe, el'originale del ritratto, un uomo alto di costituzione robusta, sulla quarantina,fece la sua apparizione. Era avvolto in una veste marrone bordata dizibellino, lo sguardo severo. Mi strinse la mano con fermezza.

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«Mastro Shardlake, quale onore. Sono Gilbert Copynger, giudice di pacedel paese e fedelissimo servitore di Lord Cromwell. Conoscevo il poverocommissario Singleton; ringrazio il Signore per la vostra venuta. Quelmonastero è un covo di eretici corrotti.»

«Qualcosa non va in quel luogo, questo è certo.» Indicai Mark. «Il mioassistente.»

Fece un breve cenno del capo. «Venite nel mio studio. Gradiretesicuramente qualcosa da bere. Il diavolo in persona deve averci inflittoquesto tempaccio. Avete sofferto il freddo nel monastero?»

«I monaci hanno focolari in ogni stanza.»

«Oh, non ne dubito, signore. Non ne dubito.»

Ci condusse in una stanza accogliente che dava sulla strada, e sgombrò iseggiolini di fronte al fuoco, disseminati di documenti. «Lasciate che viversi una coppa di vino. Perdonate il disordine, ma le carte che ricevo daLondra… la legge dei poveri… la paga per le prestazioni…» sospirò. «Ed èmio dovere redigere rapporti su qualunque pettegolezzo sedizioso. Grazie alcielo, non se ne sentono molti qui a Scarnsea, ma talvolta i miei informatorise li inventano, e io mi vedo costretto a indagare su parole che non sono maistate pronunciate. In ogni modo, questo significa che la gente comprende didover agire con cautela.»

«I sonni di Lord Cromwell saranno più tranquilli, sapendo che esistonouomini fidati come voi nelle contee.» Copynger annuì grave al complimento.Bevvi un sorso di vino. «Eccellente, signore, vi ringrazio. Ora, il tempostringe. Ci sono questioni sulle quali gradirei avere dei chiarimenti.»

«Farò tutto il possibile. L'assassinio di mastro Singleton è stato un insulto all'autorità del sovrano. Grida vendetta.»

Avrebbe dovuto essermi di sollievo poter parlare con un riformista comeme, ma confesso che Copynger non mi suscitava grande simpatia. Era veroche i giudici di pace erano oberati di un'ingente mole di lavoro provenienteda Londra, che andava a sommarsi ai loro doveri giudiziari, ma di certo netraevano grandi vantaggi, come l'agiatezza di Copynger dimostrava. A parermio, una simile ostentazione stonava con i suoi modi pii e seriosi. Ma quelloera il genere d'uomo nuovo che l'Inghilterra stava forgiando.

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«Ditemi», chiesi, «che opinione ha la gente dei monaci?»

«Li disprezza per quelle sanguisughe che sono. Non fanno nulla perScarnsea, scendono in città solo se ne hanno bisogno e sono sprezzanti comeil demonio. Distribuiscono la carità con eccessiva parsimonia, e per averequel poco che sono disposti a dare i poveri devono andare a piedi fino almonastero in giorni stabiliti. Il pesante fardello del sostentamento degliindigenti, dunque, ricade quasi tutto sulle spalle dei cittadini.»

«Non hanno un monopolio sulla produzione della birra?»

«E fanno prezzi da strozzini. Oltretutto la loro birra è di pessima qualità, eil birrificio una sorta di pollaio, zeppo d'escrementi di gallina.»

«Già, me ne sono accorto. Deve essere davvero orribile.»

«Ma nessun altro ha il permesso di venderla.» Spalancò le braccia. «E poispremono le loro terre fino all'ultima goccia. Non venite a dirmi che imonaci sono proprietari terrieri di buon cuore. Le cose sono addiritturapeggiorate da quando fratello Edwig è diventato economo; scuoierebbe unapulce, per succhiarle quel poco grasso che ha addosso.»

«Già, ne sono convinto. Parlando delle finanze del monastero, aveteriportato a Lord Cromwell che alcune delle terre in loro possesso sono statesvendute.»

Mi guardò con aria mortificata. «Temo di non avere dettagli più precisi.Mi sono giunte all'orecchio delle voci, ma ora che s'è diffusa la notizia delleindagini, i grandi proprietari fanno molta attenzione a tenermi all'oscuro deiloro affari.»

Annuii. «E di chi si tratta?»

«Sir Edward Wentworth, imparentato con i Seymour, è il più potente deidintorni. Ed è in stretti rapporti con l'abate. Vanno a caccia insieme. Fra gliaffittuari s'è sparsa voce che il monastero avrebbe venduto in segreto le sueterre proprio a Lord Wentworth, e che ora l'amministratore dell'abateriscuota gli affitti per suo conto, ma io non ho modo di verificarlo, perché lafaccenda esula dalla mia autorità.» Si scurì in viso. «E i possedimenti delmonastero sono ovunque, persino fuori della contea. Sono dolente,commissario. Se i miei poteri fossero più ampi…»

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Riflettei un momento. «È probabile che io stia forzando un po' i limiti delmio mandato, ma visto che ho l'autorità d'investigare su tutte le questioniconcernenti il monastero, penso potrei estenderla a comprendere an- che levendite dei loro terreni. Che cosa accadrebbe se riavviaste la vostra inchiestasu queste basi, invocando il nome di Lord Cromwell?»

Sorrise. «Un'indagine in suo nome li farebbe scappare a gambe levate.Vedrò che cosa posso fare.»

«Vi ringrazio. Potrebbe essere molto importante. In ogni modo, mi pared'aver inteso che Sir Edward sia il cugino di fratello Jerome, il vecchiocertosino che vive nel monastero.»

«Esatto, Wentworth è un papista di vecchia data. M'è giunta voce che ilcertosino parli apertamente di tradimento. Fosse per me lo avrei già fattoimpiccare al campanile.»

Riflettei un istante. «Ditemi, se voi doveste davvero far impiccare fratelloJerome, come reagirebbe la gente qui in paese?»

«Farebbe i salti di gioia. Come ho già detto, i monaci non sono ben visti.Questa è una cittadina povera e loro non fanno che peggiorare le già miserecondizioni della popolazione. Il porto s'è talmente interrato da non poteressere attraversato neppure da una barca a remi.»

«Me ne sono accorto. Ho sentito che alcuni si sono dati al contrabbando.

A parere dei monaci, sfruttano le paludi dietro il monastero per raggiungereil fiume. L'abate Fabian mi ha detto di aver sporto varie lamentele, ma pareche le autorità cittadine non le abbiano prese in considerazione.»

D'improvviso gli occhi di Copynger s'accesero d'una luce guardinga.

«L'abate direbbe qualunque cosa pur di creare scompiglio. È una questionedi risorse, signore: non disponiamo che d'un funzionario di dogana, e nonpuò certo perlustrare quelle paludi ogni notte.»

«A detta di uno dei monaci, di recente c'è stata una certa attività. L'abate ha suggerito che dei contrabbandieri potrebbero essersi intrufolati nel monastero e aver ucciso Singleton.»

«Sta cercando di depistare le indagini, signore. C'è una lunga tradizione di

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contrabbando in questi luoghi, contrabbando di tessuti verso la Francia, supescherecci che guadano le paludi. Ma perché mai un contrabbandiereavrebbe dovuto desiderare la morte d'un emissario di Sua Maestà? Non eracerto qui per investigare su quei traffici, no?» Colsi una scintilla dipreoccupazione nei suoi occhi.

«No, nient'affatto. Come non lo sono io, a meno che quel genere d'attivitànon risulti rilevante nell'uccisione di mastro Singleton. Io credo chel'assassino sia qualcuno interno al monastero.»

Parve sollevato nell'udire quelle parole. «Se ai proprietari terrieri fosseconcesso di recintare più terre per il pascolo delle pecore, il paese netrarrebbe gran giovamento, e la gente non si vedrebbe costretta a darsi alcontrabbando. Sono troppi i piccoli fattori che si dedicano alla tessitura.»

«Contrabbando a parte, la città è fedele? Niente frange estremistiche,diciamo, nessun atto di stregoneria nei dintorni? Vi è giunta voce dellaprofanazione del monastero?»

Scosse il capo. «Nulla. Lo saprei, pago ben cinque informatori. Molta gente non ama le nuove disposizioni, ma non protesta. Le maggiori lamentele riguardano l'abolizione delle feste dei santi, ma solo perché in quei giorni non si lavorava. E non ho mai sentito di riti di magia nera nei dintorni.»

«Nessun predicatore folle? Nessuno che legga nella Bibbia misterioseprofezie delle quali si sente portavoce?»

«Come quegli anabattisti tedeschi che eliminerebbero i ricchi per gestirnei beni in comune? Dovrebbero essere messi tutti al rogo. Ma qui non esistenulla del genere. L'anno passato c'è stato l'apprendista di un mastro ferraioche predicava l'avvento del Giorno del Giudizio, ma lo abbiamo messo allagogna, e poi lo abbiamo scacciato. È finito in prigione, dove merita d'essere.Predicare in inglese è una cosa, ma permettere che la Bibbia ottenebri lamente di servitori e contadini porterà solo danni all'Inghilterra.»

Sollevai un sopracciglio. «Siete fra coloro che consentirebbero la letturadella Bibbia soltanto alle classi agiate?»

«Una teoria che offre molti spunti di riflessione, signore.»

«Be', i papisti non la consentirebbero a nessuno. Ma torniamo a parlare delmonastero. Ho letto che quel luogo ha una lunghissima lista di misfatti. Atti

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peccaminosi fra i monaci.»

Copynger sbuffò con disprezzo. «Sono certo che continuino ancora. Ilsacrista, fratello Gabriel, era uno di loro, ed è ancora lì.»

«Nessuno del paese vi è stato coinvolto?»

«No. Ma quel luogo pullula di fornicatori e sodomiti. Le domestiche diScarnsea hanno dovuto subire i loro sudici approcci. Nessuna donna sotto latrentina è mai riuscita a lavorare al monastero, non fino a quella giovanescomparsa.»

«Davvero?»

«Già. Si trattava di un'orfana dell'ospizio per i poveri andata a lavorare peril frate infermiere. Due anni or sono. Tornava ogni tanto in paese in visita,poi improvvisamente non l'abbiamo più vista. Furono fatte delle indagini, eil priore Mortimus affermò che la giovane aveva rubato delle coppe d'oro edera fuggita. Joan Stumpe, che gestisce l'ospizio, era convinta che le fosseaccaduto qualcosa. Del resto, quella donna è una vecchia pettegola, e nonsiamo riusciti a trovare alcuna prova.»

«Lavorava per il frate infermiere?» s'inserì Mark, una nota d'inquietudinenella sua voce.

«Sì. Il gigante nero, lo chiamiamo. Verrebbe da pensare che tutti gliinglesi abbiano un'occupazione, per dar lavoro a un uomo di quel genere.»

Riflettei un istante. «Sarebbe possibile parlare a comare Stumpe?»

«Dovrete prendere le sue parole con le dovute riserve. Ma la trovereteall'ospizio. Domani è giorno d'elemosina al monastero, e di certo lei si stapreparando.»

«Allora dobbiamo sbrigarci», dissi alzandomi. Copynger chiamò undomestico perché ci portasse i mantelli.

«Signore», disse Mark al magistrato mentre attendevamo le cappe.«Anche ora c'è una ragazza che lavora per il frate infermiere, una certa AliceFewterer.»

«Oh, già, ricordo.»

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«Ho saputo che ha dovuto cercarsi un'occupazione perché la terra dellasua famiglia le è stata sottratta per metterla a pascolo. So che i giudici dipace hanno potere di supervisione sulle norme che disciplinanol'appropriazione privata delle terre comuni, e mi domandavo se tutto fossestato fatto a dovere. Non si può fare nulla per lei?»

Copynger inarcò un sopracciglio. «So per certo che è stato fatto tutto inmodo assolutamente legale, giovanotto, perché la terra è mia e sono stato ioa reclamarla. La famiglia della ragazza godeva di un vecchio diritto d'uso,decaduto con la morte della madre. Avevo bisogno di abbattere quella casa etrasformare la terra in pascolo, perché mi fruttasse qualcosa.»

Lanciai a Mark uno sguardo allarmato. «Sono certo che abbiate fatto tuttonel migliore dei modi, signore», dissi lusinghiero.

«La cosa che porterebbe maggior profitto a questa città», disse Copynger,gelando Mark con lo sguardo, «sarebbe chiudere il monastero, scacciarequella combriccola e abbattere tutti quegli edifici traboccanti d'idoli. E se lacittà si troverà a dover sostenere il fardello d'un mucchio di fannullonidisoccupati, sono certo che mastro Cromwell concorderà sulla giustezza diaffidare parte delle terre del monastero ai cittadini più eminenti.»

«A proposito di Lord Cromwell, ha sottolineato l'importanza di nondivulgare quanto è accaduto.»

«Non ne ho fatto parola con anima viva, signore, e nessuno dei monaci èsceso in città.»

«Bene. All'abate è stato detto lo stesso. Ma alcuni dei servitori del monastero avranno delle conoscenze qui a Scarnsea.»

L'uomo scosse il capo. «Non direi. Stanno sempre fra di loro e la gente diqui disprezza quegli zotici tanto quanto i monaci.»

«Ma presto o tardi la notizia verrà a galla. È nella natura delle cose.»

«Sono certo che risolverete questa faccenda molto presto», disse. Poisorrise, arrossendo. «Devo confessarvi che è per me un vero onoreincontrare qualcuno che conosca Lord Cromwell. Raccontatemi, signore,com'è di persona? Si dice sia un uomo di polso, nonostante le sue umiliorigini.»

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«Potete ben dirlo, giudice, un uomo di polso nelle parole e nelle azioni.Ah, ecco i nostri mantelli.» E con queste parole chiusi il discorso. Ero stancodei suoi modi servili.

L'ospizio dei poveri sorgeva al limitare del paese, un lungo edificio inrovina. Sulla strada incontrammo un piccolo drappello di uomini intenti aspazzare la neve sotto l'occhio vigile d'un sorvegliante. Indossavano vestigrigie, sulle quali era ricamato lo stemma della città, troppo leggere per ilrigore dell'inverno. Nel vedere Copynger inchinarono il capo.

«Sono mendicanti», osservò il giudice. «Il sorvegliante del repartomaschile dell'ospizio è assai bravo a trovar loro delle occupazioni oneste.»

Entrammo nell'edificio, non riscaldato e tanto umido da far squamarel'intonaco delle pareti. Nella sala sedevano alcune donne impegnate a cucireo filare, mentre in un angolo una matrona paffuta di mezz'età era intenta ariordinare un grosso mucchio di stracci, aiutata da un gruppetto di bambinipelle e ossa. Copynger la raggiunse, le parlò e questa ci condusse in uncantuccio accogliente dove si presentò come Joan Stumpe, la sorvegliantedei bambini.

«Come posso aiutarvi, signori?» Aveva un viso rugoso e gentile, ma gliocchi castani erano scaltri.

«Mastro Shardlake ha ricevuto incarico d'indagare su alcune questioniriguardanti il monastero», le disse Copynger. «Vorrebbe sapere che cosa neè stato della giovane Stonegarden.» La donna sospirò. «Povera orfana.»

«La conoscevate?» le chiesi.

«L'ho cresciuta. Fu abbandonata nella corte di questo stesso edificiodiciannove anni or sono. Ancora in fasce.»

«Qual era il suo nome?»

«Orphan era il suo nome, signore. Non abbiamo mai scoperto l'identità deigenitori, così il sorvegliante degli uomini le ha dato come cognomeStonegarden, giardino di pietra, poiché era stata trovata in cortile.»

«Capisco. Ed è cresciuta sotto la vostra protezione?»

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«Io sono responsabile di tutti i bambini. Molti muoiono in tenera età, maOrphan era forte, e cresceva robusta. Mi aiutava con le faccende, era sempreallegra e molto volenterosa…» D'improvviso la vecchia distolse lo sguardo.

«Su, proseguite», disse Copynger spazientito. «Ho già avuto modo di dirviche siete troppo tenera con questi bambini.»

«Spesso è concessa loro solo una breve sosta su questa terra», rispose ladonna con foga. «Perché non dovrebbero trarne qualche beneficio?»

«Meglio andare in pezzi in paradiso che tutti interi all'inferno», disse Copynger brutalmente. «Gran parte di quelli che sopravvivono finiscono perdiventare ladri o mendicanti. Proseguite.»

«Al compimento dei sedici anni, è stato deciso che lei dovesse trovarsi unlavoro fuori dell'ospizio. Un gran peccato, poiché aveva un pretendente, ilfiglio del mugnaio, e se fosse stato dato loro tempo sufficiente, di certo sisarebbero sposati.»

«Era una bella ragazza?»

«Sì, signore. Esile, capelli biondi e un visetto dolce e gentile. Uno deivolti più graziosi che io abbia mai visto. Ma il sorvegliante degli uomini haun fratello che lavora nel monastero; ci disse che il monaco infermierecercava un assistente, così gli fu mandata lei.»

«E tutto questo quando è accaduto, comare Stumpe?»

«Due anni fa. Il giorno di riposo tornava sempre in visita, ogni venerdì,immancabilmente. Mi era molto affezionata, come io lo ero a lei. Non lepiaceva stare al monastero, signore.»

«Perché no?»

«Non voleva dirmelo. Io insegno ai bambini a non criticare mai i padroniperché non ne viene mai nulla di buono. Ma vedevo che era spaventata.»

«Di che cosa?»

«Non lo so. Ho provato a scoprirlo, ma lei non s'è mai aperta. Da principiolavorava con il vecchio fratello Alexander e poi, alla sua morte, è arrivatofratello Guy. Lei lo temeva, temeva il suo strano aspetto. Il fatto è che smise

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di vedere Adam, il figlio del mugnaio. Lui venne persino a trovarla, ma leimi chiese di mandarlo via.» Mi guardò con occhi taglienti. «E quando unacosa simile accade, sovente significa che una donna è stata vittima d'unabuso.»

«Avete mai notato lividi o escoriazioni?»

«No, ma ogni volta che veniva a trovarmi, pareva sempre più depressa.Poi, un giorno, pressappoco sei mesi dopo che aveva cominciato a lavorareal monastero, saltò un venerdì di visita, e quello successivo.»

«Vi sarete preoccupata?»

«Certo. Decisi di recarmi al monastero e scoprire che cosa le fosseaccaduto.»

Annuii. Non era difficile immaginarla marciare con passo risoluto fino alcancello del monastero e pretendere udienza.

«Da principio non vollero farmi entrare, mai io rimasi lì a far baccano,finché andarono a chiamare il priore Mortimus. Quel barbaro. Mi disse cheOrphan aveva rubato due calici d'oro dalla chiesa ed era scomparsa.»

Copynger inclinò il capo. «Potrebbe anche essere vero, sono cose chesuccedono spesso con questi bambini.»

«Non Orphan, signore, era una buona cristiana.» Comare Stumpe sirivolse a me. «Ho domandato al priore perché non ne fossi stata avvisata, elui mi rispose che lui non sapeva nulla dei contatti che la giovane aveva inpaese. Minacciò persino di sporgere denuncia nei suoi confronti, se non mene fossi andata. Io l'ho riferito a mastro Copynger, ma lui mi ha spiegato chesenza una prova del misfatto non c'era nulla che potesse fare.»

Il magistrato si strinse nelle spalle. «Non ce n'erano. E se i monaciavessero sporto denuncia ufficiale, avrebbero avuto un vantaggio neiconfronti della città.»

«Che cosa credete sia potuto accadere alla ragazza, comare Stumpe?»

La donna mi guardò dritto negli occhi. «Non lo so, signore, ma temo ilpeggio.»

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Annuii lentamente. «Tuttavia il giudice Copynger non ha torto: senzaprove ha le mani legate.»

«Lo so, ma la conoscevo bene. Non era da lei rubare e darsi alla fuga.»

«Nemmeno se fosse stata in preda alla disperazione…»

«In quel caso sarebbe venuta da me, piuttosto che rischiare il collo per un furto. E invece negli ultimi diciotto mesi non abbiamo saputo più nulla di lei. Nulla.»

«Molto bene. Vi ringrazio, comare Stumpe, per il tempo che mi avetededicato.» Sospirai. Un altro sospetto senza prove concrete.

La vecchia ci accompagnò nell'atrio, dove i bambini intenti a smistare straccici guardarono con pallidi visini avvizziti. Il puzzo malsano che si levava dai quei vecchi cenci impregnava l'intero salone.

«Che cosa stanno facendo i vostri protetti?» le chiesi.

«Frugano fra gli stracci che la gente ci ha donato in cerca di qualcosa daindossare domani. È giorno d'elemosina al monastero. Sarà una duracamminata con questo tempo.»

Annuii. «Già, avete ragione. Vi ringrazio ancora, comare Stumpe.» Giuntosulla soglia mi voltai; la donna aveva già fatto ritorno fra i bambini,aiutandoli a spulciare quei mucchi fetidi.

Il giudice Copynger ci invitò a pranzo, ma io rifiutai dicendo chedovevamo far ritorno al monastero. Ci mettemmo in cammino, la neve chescricchiolava sotto i nostri passi.

«Non siamo più in tempo per pranzare al monastero», disse Mark dopo unpoco.

«Già. Cerchiamo una taverna.»

Ne trovammo una dall'aria decorosa proprio dietro la piazza. L'oste ci fecestrada verso un tavolo che dava sul molo, e io ebbi modo d'osservare ancorala barca vista in precedenza che, carica di balle di stoffa, remava lentamentelungo il canale, verso un bastimento che l'attendeva.

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«Per tutti i fulmini», disse Mark. «Muoio di fame.»

«Già, anch'io. Ma dovremo fare a meno della birra. Sapevi che la regolaoriginale di san Benedetto prevedeva un solo pasto durante l'inverno? Solola cena. La regola era stata creata per il clima italiano, ma all'inizio fumantenuta tale e quale anche in Inghilterra. Te lo immagini, dover pregareper ore e ore ogni giorno, in inverno, con un solo pasto sullo stomaco! Maovviamente, con il passare degli anni i monasteri si sono arricchiti, e i pastisono diventati due, e poi tre, con carne e vino…»

In quel mentre, l'oste ci portò due porzioni di pasticcio di coniglio, e perun po' mangiammo in silenzio.

«Che cosa credete sia accaduto a quella ragazza?» mi chiese Mark dopoqualche minuto.

Sospirai. «Jesu solo lo sa. Le piste da seguire sono così tante, non fanno che moltiplicarsi. Avevo sperato che Copynger potesse dirci qualcosa di più. Be',ora sappiamo che delle donne sono state molestate al monastero. E da chi? Dal priore Mortimus che ha importunato anche Alice? Da altri? Per quanto concerne quella Orphan, Copynger ha ragione. Non ci sono prove che non sia veramente fuggita in seguito a un furto, e l'affetto che la vecchia nutre nei suoi confronti potrebbe aver falsato il suo giudizio. Non abbiamo nulla cui appigliarci.»

«Che cosa pensate del giudice Copynger?»

«È un riformatore. Credo che ci aiuterà.»

«Parla di vera religione, di monaci sfruttatori, eppure conduce una vitaagiata, privando la gente comune della propria terra.»

«Non piace nemmeno a me. Tuttavia non avresti dovuto domandargli diAlice. Devi saper rimanere al tuo posto. Lui è la nostra unica fonteattendibile d'informazioni, e non voglio irritarlo. Abbiamo già fatto qualchepasso avanti, anche se speravo di ottenere più informazioni sulle vendite deiterreni che potessero essere ricollegate ai registri dell'economo.»

«M'è parso che il giudice Copynger sapesse più di quanto non ci abbiadetto sui traffici clandestini.»

«È ovvio. Riceve compensi sottobanco. Ma non è questo il motivo della

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nostra visita. Concordo con lui su un punto: l'assassino è interno al convento, non viene da Scarnsea. I cinque obedenziari anziani sono tutti sufficientemente alti e robusti per riuscire a sbarazzarsi di Singleton, tranne fratello Edwig. E chiunque fra loro potrebbe aver ucciso il novizio. Questo, ovviamente, se quanto fratello Guy ci ha raccontato della belladonna risponde a verità.»

«Perché mai dovrebbe mentire?»

Di nuovo m'apparve davanti agli occhi il volto di Simon Whelplay,quando estraemmo il suo cadavere dalla vasca. Il pensiero che fosse statoavvelenato per impedirgli di parlare continuava a riaffacciarsi insistente,tormentandomi per il senso di colpa.

«Non so», risposi. «Ma non posso fidarmi di niente e di nessuno.Avrebbero tutti da perdere dalla chiusura del monastero. Chi mai darebbelavoro a fratello Guy, con la faccia che si ritrova? L'abate è troppo attaccatoalla sua posizione. E fratello Edwig? Forse sta nascondendo del denaro inprevisione della chiusura della casa, sebbene avrebbe bisogno del sigillodell'abate sui documenti di vendita dei terreni.»

«E il priore Mortimus?»

«C'è poco da stare allegri con lui. E per quanto riguarda fratello Gabriel, sono certo che l'antica serpe della tentazione lo visiti ancora. Da quando siamo arrivati, non ti ha mai tolto gli occhi di dosso. Suppongo abbia stretto dei legami con alcuni dei monaci, anche se non con il povero Whelplay, ma poi sei arrivato tu, un giovane di bell'aspetto dalle ricche vesti, e lui ha avutoocchi solo per te.»

Mark allontanò il piatto, corrucciato. «Potreste trascurare i dettagli,signore?»

«Per gli uomini di legge i dettagli sono fondamentali, per quanto sordidipossano essere. Dietro una maschera di gentilezza Gabriel nasconde uncuore tormentato, e gli uomini tormentati si comportano in modo folle eirrazionale. Se i recenti atti di sodomia di cui è stato accusato si rivelasseroveritieri, rischierebbe la forca. I rudi interrogatori di Singleton potrebberoaverlo gettato nel panico, soprattutto se intende proteggere qualcuno. E poic'è Jerome. Voglio proprio sapere che cos'ha da dire. M'incuriosisce il fattoche abbia definito Singleton bugiardo e spergiuro.»

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Mark non rispose. Teneva ancora il broncio. «Oh, sveglia!» sbottaiirritato. «Che importanza vuoi che abbia se il sacrista brama il tuo deretano?È molto poco probabile che riuscirà ad averlo.»

Una scintilla di rabbia gli accese lo sguardo. «Non pensavo a me, signore, ma ad Alice. La ragazza scomparsa lavorava per fratello Guy.»

«Ci ho pensato anch'io, non credi?»

Si protese in avanti sul tavolo. «Non sarebbe meglio, o almeno più sicuro,arrestare gli obedenziari e Jerome per sospetto omicidio? Potremmo portarlia Londra e farli parlare.»

«Su quali basi? E con quali mezzi, la tortura? Credevo disapprovassi simili metodi.»

«Certo che li disapprovo. Ma sottoporli soltanto a un duro interrogatorio?»

«E che cosa accadrebbe se ci sbagliassimo, e l'assassino non fosse affattouno di loro? Come potremmo tener segreto un simile arresto di massa?»

«Ma il tempo stringe, e di certo il pericolo è più che mai in agguato.»

«Pensi forse non lo sappia?» sbottai, colto da un'ira improvvisa. «Peròcomportarci da tiranni non ci farà giungere alla verità. Singleton ci haprovato e guarda com'è finito. I nodi si sbrogliano un poco alla volta, nontirando con foga, e credimi, il nodo che abbiamo fra le mani è intricato comepochi. Ma lo districheremo. Ne sono certo.»

«Mi spiace, signore. Non intendevo mettere in dubbio…»

«Oh, dubita pure, Mark», dissi irritato. «Ma dubita con senno.» La rabbia miaveva animato, così mi alzai, gettando qualche spicciolo sulla tavola.

«Forza, andiamo. Stiamo sprecando il pomeriggio, e io devo scambiarequattro chiacchiere con un vecchio certosino folle.»

Capitolo sedici

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Ritornammo verso il monastero quasi senza parlare, sotto un cielo cheancora una volta si stava rapidamente rannuvolando. Ero adirato con mestesso per il mio sfogo, ma avevo i nervi a fior di pelle e l'ingenuità di Markm'aveva irritato. Tuttavia mi ero scoperto acceso da un nuovo sentimento diferma risoluzione, e avevo preso a camminare con passo svelto finché noninciampai in un cumulo di neve e Mark dovette sostenermi, gesto che feceaumentare ancor più la mia ira. Avvicinandoci alle mura del monastero silevò un vento pungente che alzò nuove, fitte cortine di neve.

Bussai alla porta di Bugge senza troppe cerimonie; l'uomo apparvepulendosi la bocca con la manica sudicia.

«Vorrei parlare con fratello Jerome. Immediatamente, per favore.»

«Fratello Jerome è sotto la custodia del priore, che è in chiesa per lasesta.» Fece un cenno in direzione dell'edificio da cui si levava il flebilesuono d'un canto liturgico.

«Allora andatelo a chiamare!» replicai brusco. Il villano s'allontanò borbottando, e noi rimanemmo in attesa, avvolgendoci nelle cappe già imbiancate di neve. Poco dopo Bugge riapparve, accompagnato dal priore Mortimus, un'espressione d'ira dipinta sul volto paonazzo.

«Desiderate vedere Jerome, commissario? È forse accaduto qualcosa digrave che possa giustificare l'interruzione delle mie preghiere?»

«È solo che non ho tempo da perdere. Dove si trova?»

«A causa degli insulti che vi ha rivolto è stato rinchiuso nella sua cella, neldormitorio.»

«In questo caso, vi prego di condurci da lui. Desidero interrogarlo.»

Ci fece strada verso il chiostro. «Tremo al pensiero di quel che potrà dire,andandolo a istigare nella sua stessa tana. Se avete intenzione d'accusarlo dialto tradimento, ci farete un grande favore.»

«Davvero? Allora non ha proprio nessun amico in questo luogo?»

«Direi proprio di no.»

«Sono in molti a non avere amici qui. Il novizio Whelplay, per esempio.»

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Il priore mi guardò freddo. «Ho provato a insegnare a Simon Whelplay lacontrizione dello spirito.»

«Meglio in pezzi in paradiso che tutti interi all'inferno», mormorò Mark.

«Che cosa?»

«Una frase che il magistrato ci ha detto questa mattina. In ogni modo, hosaputo che ieri avete fatto visita a Simon.»

Arrossì. «Sono andato a pregare per la sua anima. Non volevo morisse,soltanto che si liberasse da ciò che lo possedeva.»

«Persino a costo della vita?»

Si fermò a guardarmi con un'espressione infastidita.

«Non volevo morisse! Non è stata colpa mia, era posseduto. Posseduto. Lasua morte non è dipesa da me, e non me ne assumerò la responsabilità!»

Lo scrutai in volto. Era forse andato a pregare al capezzale del novizio mosso da un senso di colpa? No, conclusi, il priore Mortimus non era tipo damettere in discussione la giustezza dei propri atti. Era strano, ma la brutale sicurezza che ostentava mi ricordava il radicalismo di certi luterani che avevo conosciuto. E senza dubbio doveva aver escogitato una sorta di sofisma intellettuale che gli permetteva di molestare le giovani domestiche senza causare turbamenti alla propria coscienza.

«Fa freddo», dissi. «Fateci strada.»

Senza aggiungere altro, ci condusse nel dormitorio, un lungo edificio adue piani che fronteggiava il chiostro. Dei pennacchi di fumo si levavano dainumerosi camini. Non ero mai entrato nel dormitorio di un monastero primad'allora. Sapevo, per averlo letto nel Comperta, che le ampie cameratecomuni dei primi benedettini erano state da tempo suddivise in confortevolicelle singole, e ne ebbi conferma in questo luogo. Attraversammo un lungocorridoio con molte porte. Alcune erano aperte, e potei intravedere al lorointerno caldi fuochi e comodi letti. Il tepore era assai piacevole. Il prioreMortimus si fermò davanti a una porta socchiusa.

«Normalmente è chiusa a chiave, per essere sicuri che lui non se ne vada azonzo per il monastero.» Aprì la porta, spingendola. «Jerome, il

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commissario è venuto per vederti.»

L'austerità della cella di fratello Jerome non aveva nulla a che fare conl'agio di quelle che avevo intravisto passando. Nessun fuoco crepitante nellospoglio focolare e, fatta eccezione per un crocifisso sopra il letto, le paretiimbiancate a calce erano nude. Il vecchio certosino sedeva sul letto, incalzebrache; il torso scheletrico era curvo e ritorto attorno alle spalle,annodato e gibboso come il mio, ma riportava i segni della tortura, non delladeformità. Fratello Guy era chino su di lui con un panno, intento a lavare leinnumerevoli minuscole piaghe che gli deturpavano la pelle. Alcune eranoarrossate, altre gialle di pus. Da una brocca d'acqua si levava un intensoodore di lavanda.

«Fratello Guy», dissi. «Mi dispiace interrompere le vostre medicazioni.»

«Ho quasi terminato. Ecco, fratello, questo dovrebbe lenire le ferite piùinfette.»

Il certosino mi guardò in cagnesco, prima di rivolgersi al frate infermiere.«La mia camicia pulita, per favore.»

Fratello Guy sospirò. «Questa camicia ti ha molto indebolito. Potresti almeno inumidirne i crini, per renderla più morbida.» Gli porse un cilicio grigio intessuto di crine, i cui peli neri, cuciti sul lato interno della stoffa, spuntavano rigidi. Fratello Jerome se la infilò, poi indossò a fatica l'abito bianco. Fratello Guy raccolse la brocca, ci fece un inchino e uscì. Fratello Jerome e il priore si scambiarono uno sguardo carico di disprezzo.

«Di nuovo a mortificarti il corpo, Jerome?»

«Per i miei peccati. Ma non traggo alcun piacere dalla mortificazionealtrui, fratello priore, a differenza di qualcuno.»

Il priore Mortimus lo guardò con ripugnanza, poi mi porse la sua chiave.

«Quando avrete finito, consegnate la chiave a Bugge», disse, poi si voltò euscì rapido, sbattendo la porta alle sue spalle. Mi resi improvvisamenteconto che eravamo confinati in uno spazio chiuso con un uomo i cui occhisprizzavano odio, stagliati su un viso pallido ed emaciato. Mi guardaiattorno, in cerca di un posto su cui sedermi, ma non c'era altro che il letto,così rimasi in piedi, appoggiandomi sul bastone.

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«Ti duole la schiena, gobbo?» mi chiese d'improvviso.

«Un lieve fastidio. Abbiamo fatto una lunga camminata nella neve.»

«Conoscete il detto secondo il quale toccare un nano porti fortuna etoccare un gobbo sventura? Sei uno scherzo della natura, commissario, e losei due volte, poiché la tua anima è contorta e infetta come quella di tutti gliuomini di Cromwell.»

Mark si fece avanti. «Per tutti i santi del paradiso, signore, avete la linguaavvelenata.»

Gli feci cenno di tacere e rimasi immobile a fissare Jerome negli occhi.

«Perché m'insultate, Jerome da Londra? Dicono siate pazzo. È vero? Lafollia sarebbe la vostra arma di difesa, dovessi trascinarvi in catene allaTorre con l'accusa di tradimento?»

«Non mi difenderei affatto, gobbo. Sarei lieto di diventare ciò che avreidovuto già essere da tempo, un martire della Chiesa di Dio. Sputo sul nomedi re Enrico e sulla sua usurpazione dell'autorità papale.» Rise amareggiato.«Persino Lutero ripudia re Enrico, lo sapevi? Dice che Junker Heinz finiràcon il mettersi al posto di Dio.»

Mark rimase senza fiato. Quelle parole sarebbero bastate a firmare la suacondanna a morte.

«Allora il vostro spirito sarà dilaniato dalla vergogna per aver prestatogiuramento, riconoscendo la supremazia del sovrano», dissi pacato.

Jerome prese la stampella e s'alzò dolorosamente dal letto. Sistemò lagruccia sotto il braccio e prese a camminare piano avanti e indietro per lacella. Quando parlò di nuovo, il tono della sua voce s'era fatto più quieto, maduro come il ferro.

«Esatto, gobbo. Vergogna e paura per la mia anima eterna. Conosci il nome della mia famiglia? Te lo hanno riferito?»

«So che siete imparentato con la regina Jane, riposi in pace.»

«Non riposerà affatto in pace. Brucerà all'inferno per aver sposato un rescismatico.» S'avvicinò nuovamente e mi affrontò. «Vuoi che ti racconti

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come sono finito qui? Vuoi che ti esponga il mio caso, mastro avvocato?»

«Sì, ditemi. Vi ascolterò.» Presi posto sul duro giaciglio. Mark rimase inpiedi, mano alla spada, mentre Jerome si trascinava lentamente su e giù perla stanza.

«Ho abbandonato le frivolezze del mondo all'età di vent'anni. La miacugina di secondo grado, ora defunta, non era ancora nata e non l'ho maiconosciuta. Ho vissuto per più di trent'anni nella pace della Certosa diLondra; un luogo santo, non come questa casa, frivola e corrotta. Era unrifugio, un luogo consacrato a Dio nel cuore della città profana.»

«Luogo in cui indossare il cilicio era imposto dalla regola.»

«Per non dimenticare mai che la carne è fonte di peccato e corruzione.Tommaso Moro visse con noi per quattro anni. Da quel momento in poiindossò sempre il cilicio, persino sotto la toga, quando divenne LordCancelliere. Lo aiutò a rimanere umile e fermo di fronte alla morte, quandos'oppose al matrimonio del sovrano.»

«E prima ancora, quando sempre nelle vesti di Lord Cancelliere metteva alrogo ogni eretico sul quale riusciva a mettere mano. Ma voi avete perso lavostra, di fermezza, fratello Jerome.»

S'irrigidì, e quando si voltò ero pronto a un nuovo sfogo. Ma la sua vocerimase calma.

«Quando il re impose il giuramento a tutti i membri delle case religioseperché riconoscessero la sua supremazia a capo della Chiesa, soltanto noicertosini rifiutammo, sebbene sapessimo a che cosa andavamo incontro.» Miscrutò con penetranti occhi di brace.

«Già. Tutte le case hanno prestato il giuramento, tranne la vostra.»

«Eravamo quaranta, e ci vennero a prendere uno per uno. Il prioreHoughton rifiutò per primo, e fu interrogato da Cromwell in persona.Sapevi, commissario, che quando padre Houghton gli disse chesant'Agostino aveva posto l'autorità della Chiesa al di sopra delle Scritture,Cromwell gli rispose che non si curava affatto della Chiesa, e che Agostinopoteva dire quel che voleva?»

«Aveva ragione. L'autorità delle Scritture è superiore a quella di

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qualunque dottrina.»

«E l'opinione del figlio di un taverniere è superiore a quella disant'Agostino?» Jerome rise amaramente. «Quando fu chiaro che non sisarebbe sottomesso, il nostro venerabile priore fu dichiarato colpevole ditradimento e giustiziato a Tyburn. Io c'ero; vidi squarciare il suo corpo permano del boia quand'era ancora vivo. Ma non si trattò della solita sagradell'impiccagione, quel giorno la folla lo guardò morire in silenzio.»

Lanciai un'occhiata a Mark, che teneva gli occhi fissi su Jerome, il visoturbato.

Il certosino proseguì. «Il tuo padrone non ha avuto miglior fortuna con ilsuccessore del priore Houghton. Il vicario Middlemore e gli obendenziarianziani ancora s'opponevano al giuramento, così anche loro vennero condottia Tyburn. Questa volta dalla folla si levarono grida di protesta contro il re.Cromwell non voleva certo rischiare di scatenare una rivolta, quindi cercò difar pressione sul resto di noi perché prestassimo giuramento. Affidò adalcuni dei suoi stessi uomini la gestione della casa, sui cui cancelli furonoinchiodate le braccia decomposte del priore Houghton. Ci affamarono,dileggiarono le nostre funzioni religiose, stracciarono i nostri libri,c'insultarono. Uno dopo l'altro isolarono quelli fra noi che potevano creareloro noie e li destinarono a una casa più remissiva, o li fecero piùsemplicemente sparire.»

S'interruppe e posò per un istante il braccio buono sul letto. Lo guardai.

«Ho sentito di simili storie», dissi. «Banali dicerie.»

L'uomo m'ignorò e riprese a camminare. «Dopo la ribellione al Nord dellascorsa primavera, il re perse la pazienza con noi. Ai confratelli sopravvissutifu imposto di giurare, pena il trasferimento a Newgate dove sarebbero statilasciati morire di fame. Dieci vi furono deportati, furono incatenati in unasudicia cella e lasciati senza cibo. Alcuni sopravvissero per settimane…»S'interruppe d'improvviso. Si coprì il viso con le mani, e rimase in piedi adondolare da una gamba all'altra, singhiozzando in silenzio.

«Ho saputo di queste voci», Mark sussurrò. «Si dice siano menzogne…»

Gli feci cenno di tacere. «Anche se fosse vero, fratello Jerome, voi nonpotevate trovarvi con loro. Eravate già qui.»

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Si voltò dandomi le spalle, si asciugò il viso con la manica e si mise aguardare fuori della finestra, appoggiandosi con tutto il peso sulla gruccia.

Dal cielo turbinava un mare di candidi fiocchi che parevano dover seppellireil mondo.

«Sì, gobbo, io sono stato fra quelli portati via di nascosto. Avevo vistoarrestare i miei superiori, sapevo com'erano morti, ma nonostante le nostrequotidiane umiliazioni, noi confratelli ci davamo continuo sostegno.All'epoca ero vigoroso, mi gloriavo della mia forza.» Rise, un suono rotto eisterico.

«Un mattino, i soldati vennero a cercarmi, e mi portarono alla Torre. Erametà maggio, l'anno scorso, Anna Bolena era stata condannata a morte edera cominciata la costruzione di un enorme patibolo. Lo vidi. Fu allora chela paura s'impossessò di me. Mentre le guardie mi trascinavano nelle segrete,capii che la mia fermezza avrebbe potuto abbandonarmi.

«Mi portarono in un'ampia stanza sotterranea, dove mi legarono a unasedia. In un angolo vidi la ruota, le corde, due corpulente guardie in attesadell'ordine di mettere in funzione gli ingranaggi. C'erano altre due personenella stanza, che mi guardavano da dietro uno scrittoio. Uno era Kingston, ilguardiano della Torre. L'altro, lo sguardo torvo e ripugnante, era il tuopadrone, Cromwell.»

«Il vicario generale in persona? Non vi credo.»

«Lascia che ti riporti ciò che mi disse. 'Fratello Jerome Wentworth, nonfarmi perdere tempo. Dimmi senza giri di parole se hai intenzione diriconoscere la supremazia regia.'

«Dissi che non avrei giurato. Ma il cuore mi martellava nel petto come se volesse uscire da me, seduto davanti a quell'uomo, con gli occhi fiammeggianti come l'inferno, poiché il diavolo stesso mi guardava tramite loro. Come puoi guardarlo in viso, commissario, conoscendo la sua natura?»

«Basta così. Proseguite.»

«Il tuo padrone, il consigliere dall'immensa saggezza, fece un cenno rivolto alla ruota. 'Vedremo', disse. 'Fra poche settimane Jane Seymour diventerà regina d'Inghilterra. Il re non può tollerare che suo cugino rifiuti di prestare giuramento. Né può vedere il tuo nome fra quelli dei giustiziati per

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tradimento. In entrambi i casi, creeresti grande imbarazzo, fratello Jerome. Dunque, non ti resta che giurare di tua sponte, o ci costringerai a forzarti.' Accennò nuovamente alla ruota.

«Ripetei che non avrei prestato giuramento, ma la voce mi tremava. Luimi scrutò un istante e sorrise. 'Invece penso che lo farai', affermò. 'MastroKingston, ho poco tempo. Preparatelo.'

«Kingston fece un cenno alle due guardie, queste mi presero e mi spinserobrutalmente sulla ruota, facendomi mancare il respiro. Mi legarono mani epiedi, le braccia sopra la testa.» La voce di Jerome si fece un sussurro.«Accadde tutto molto in fretta. Nessuna delle due guardie proferì parola.

«Udii uno scricchiolio quando misero in moto la ruota, e dopo fui laceratoda un dolore alle braccia intenso come non ne avevo mai provato. Milogorava dentro.» S'interruppe, massaggiandosi delicatamente la spallastraziata, gli occhi vuoti. Perso nel ricordo della propria agonia, parevaessersi dimenticato della nostra presenza. Accanto a me, Mark accennò unimbarazzato movimento.

«Gridavo. Ma non me ne accorsi, da principio. Poi la ruota s'arrestò. Eroancora in preda al tormento ma la marea…» fece fluttuare le braccia in su ein giù, «la marea s'era abbassata. Alzai lo sguardo e vidi Cromwell sopra dime, che mi fissava negli occhi.

«'Giura adesso, fratello', disse. 'Vedo che il tuo spirito è debole. E il dolorenon cesserà fino a quando non avrai giurato. Questi sono uomini capaci, nonti lasceranno morire, e il tuo corpo già straziato presto sarà così distrutto dafar sì che il dolore di questo momento non ti abbandoni mai più. Non c'èvergogna nel prestare giuramento quando si è portati a farlo per questastrada.'»

«State mentendo», dissi al certosino. Ma ancora una volta lui m'ignorò.

«Gridai che avrei sopportato il dolore, come Cristo sulla croce. Lui sistrinse nelle spalle e fece un cenno agli aguzzini, che questa voltaazionarono entrambe le ruote. I muscoli delle gambe si strapparono e quandosentii il femore dislocarsi lentamente urlai che avrei giurato.»

«Un giuramento estorto con la violenza di certo non è valido agli occhidella legge», disse Mark.

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«Per amor di Dio, taci!» sbottai. Jerome trasalì, si ricompose e poi sorrise.

«È stato un giuramento fatto davanti a Dio, uno spergiuro, e io sonoperduto. Sembri un giovane di buon cuore. Non dovresti accompagnarti aquesto gobbo eretico.»

Lo fissai intensamente negli occhi. In verità, il vigore della sua storia mi aveva scosso; ma dovevo tenere la situazione in pugno. Mi alzai, mi misi a braccia conserte e lo affrontai.

«Fratello Jerome, sono stanco dei vostri insulti e delle vostre fandonie.Sono venuto qui per discutere dell'orribile assassinio di Robin Singleton. Loavete definito uno spergiuro e un bugiardo, ho dei testimoni. Vorreiconoscere il motivo delle vostre parole.»

La bocca di Jerome si contorse in una sorta di ghigno.

«Hai idea di che cosa sia la tortura, eretico?»

«E voi sapete che cosa sia l'omicidio, monaco? E da te non voglio piùsentire una parola, Mark Poer», aggiunsi.

«Mark», ripeté Jerome con un cupo sorriso. «Di nuovo quel nome. Be', il tuoassistente somiglia all'altro Mark.»

«Quale altro Mark? Di che cosa andate blaterando ora?»

«Te lo devo dire? Mi hai ordinato di smetterla di raccontar fandonie, masono certo che questa t'interesserà. Posso sedermi? Sento molto dolore.»

«Non voglio più sentire un solo insulto, né parole sediziose.»

«Niente offese, te lo prometto, né parole di tradimento. Solo la verità.»

Annuii, e il vecchio si sedette nuovamente sul letto, aiutandosi con lagruccia. Si grattò il petto, sussultando sotto il cilicio. «Ho notato che ilracconto della ruota ti ha turbato, avvocato, ma quello che stai per udire saràancora peggio. L'altro ragazzo di nome Mark era un certo Mark Smeaton. Lohai già sentito nominare?»

«Ma certo. È il musico che ha confessato l'adulterio con la regina Anna, eper questo è stato giustiziato.»

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«Già, confessò», annuì Jerome. «Per lo stesso motivo per cui io hoprestato giuramento.»

«Come potete affermarlo?»

«Te lo racconterò. Dopo ch'ebbi prestato giuramento in quell'orribilesegreta, il guardiano mi disse che sarei stato fatto alloggiare per qualchetempo nella Torre, in modo da potermi riprendere. Intanto mia cuginaavrebbe fatto in modo che venissi accettato a Scarnsea come pensionante. AJane Seymour sarebbe stato detto che avevo giurato. Lord Cromwell, nelfrattempo, aveva perduto interesse per me; il mio giuramento era andato adaumentare la pila delle sue carte.

«Fui trasportato a braccia in una cella sotterranea in un corridoio buio eumido. Mi depositarono su un vecchio pagliericcio sul pavimento e milasciarono solo. La mia mente era totalmente sconvolta per quello che avevoappena fatto. L'odore d'umidità che si levava da quel materasso marcio midava il voltastomaco, così in qualche modo riuscii a mettermi in piedi e miavvicinai alla porta, nella quale si apriva una finestrella a sbarre. Mi ciappoggiai per respirare l'aria più fresca del corridoio, e pregai implorando ilperdono per le mie azioni.

«Poi udii un rumore di passi, dei singhiozzi, qualcuno che piangeva.Apparvero altre guardie che trascinavano un giovane, proprio dell'età del tuoassistente, con un bel visino come il suo o addirittura più dolce, rigato dallelacrime. I suoi abiti raffinati erano laceri, e i suoi grandi occhi spaventatiguizzavano selvaggiamente tutto intorno. Mi guardò con espressioneimplorante, poi fu condotto via, e udii aprirsi la porta della cella accanto.

«'Datevi un contegno, mastro Smeaton', disse una delle sentinelle. 'Questanotte la passerete qui, e domani sarà tutto finito, non sentirete nulla',aggiunse in tono quasi compassionevole.» Jerome rise nuovamente,mostrando i grigi denti guasti. Quella risata mi diede i brividi. Il suo viso sidistorse per un istante, poi l'uomo proseguì il suo racconto.

«La porta della cella si chiuse con un tonfo e il rumore di passi s'allontanò.Allora udii una voce.

«'Padre! Padre! Siete un prete?'

«'Sono un monaco certosino', risposi. 'Siete il musico accusato d'adulteriocon la regina?'

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«Il giovane cominciò a singhiozzare. 'Fratello, io non ho fatto nulla! Mi hanno accusato di aver giaciuto con lei, ma non è vero.'

«'Dicono che avete reso piena confessione', replicai.

«'Fratello, mi hanno condotto nella casa di Lord Cromwell e mi hannodetto che se non avessi confessato mi avrebbero legato una corda attorno alcollo e l'avrebbero stretta fino a farmi uscire gli occhi dalle orbite!' Parlavacon voce delirante, quasi gridando. 'Lord Cromwell, invece, ha ordinato lorodi mettermi alla ruota perché non restassero segni. Padre, sto soffrendodolori atroci, ma voglio vivere. Mi giustizieranno domani!' S'interruppe, e loudii singhiozzare.»

Jerome rimase seduto in silenzio, lo sguardo distante.

«Il dolore alla gamba e alle spalle stava peggiorando, e non avevo la forza dimuovermi. Mi sostenni con il braccio buono alle sbarre e mi appoggiai, quasi privo di sensi, alla porta, prestando orecchio ai singhiozzi di Smeaton. Un poco alla volta il giovane si calmò e mi chiamò nuovamente, la voce tremante.

«'Fratello, ho firmato una falsa confessione che segnerà la fine per la regina. Andrò all'inferno?'

«'Se ti è stata estorta con la tortura, Dio non ti condannerà. Una falsa confessione non è un giuramento fatto davanti a Dio', aggiunsi amareggiato.

«'Fratello, temo per la mia anima. Ho commesso peccato con molte donne,mi è stato facile.'

«'Se sei intimamente pentito, il Signore ti accorderà il perdono.'

«'Ma io non mi pento, fratello.' Rise con voce isterica. 'È stato un grande piacere. Non voglio morire e non conoscere più una simile delizia.'

«'Devi pensare alla tua anima', lo esortai. 'Devi pentirti realmente, o sarai condannato alle fiamme eterne.'

«'Ad attendermi ci sarà il purgatorio.' Riprese a singhiozzare, ma io fui colto da una forte vertigine. Ero troppo debole per parlare oltre, così mi trascinai di nuovo verso il pagliericcio maleodorante. Non sapevo che ora fosse; non entrava luce in quella cella, tranne quella delle torce lungo il

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corridoio. Dormii per un poco. Due volte fui svegliato dal rumore delle guardie che portavano dei visitatori nella cella di Smeaton.»

Gli occhi di Jerome guizzarono a incontrare i miei per un istante, poiscivolarono via. «Entrambe le volte lo sentii piangere in modo straziante.Poi, più tardi, mi svegliai, vidi una sentinella passare assieme a un prete eudii prolungati mormorii, sebbene non saprei dire se Smeaton abbiaconfessato sinceramente i propri peccati, salvando la propria anima.M'abbandonai nuovamente al sonno e, con mio grande dolore, mi risvegliaiin un totale silenzio. Anche senza finestre capii che era mattina, quindi quelgiovane non c'era più, era morto.» Mi trafisse ancora una volta con il suosguardo. «Sappi, allora, che il tuo padrone ha estorto una falsa confessioneda un innocente, per poi ucciderlo. È un sanguinario.»

«Avete raccontato questa storia a qualcun altro?» chiesi.

Fece uno strano sorriso, quasi una smorfia. «No. Perché avrei dovuto?»

«Che cosa intendete dire?»

«Non ha importanza.»

«Sbagliate, ha molta importanza, dal momento che io sono convinto che tutta questa storia sia un ordito di menzogne.»

Non fece altro che stringersi nelle spalle.

«Molto bene. Ma Robin Singleton? Perché lo avete chiamato spergiuro etraditore?»

Ancora una volta fece quello strano sorriso selvaggio. «Perché era laverità. Era uno strumento di quel mostro, Cromwell, proprio come lo sei tu.

Siete tutti spergiuri, e tradite l'obbedienza che dovreste al pontefice.»

Feci un respiro profondo. «Jerome da Londra, un solo uomo, a parer mio,avrebbe potuto odiare il commissario, o l'ufficio che rappresentava, tanto daordire una congiura per ucciderlo, e quell'uomo siete voi. La vostra infermitàvi ha impedito di perpetrare l'odioso atto di vostro pugno, ma sareste di certoin grado d'indurre qualcuno con l'inganno a farlo per voi. Sappiate che viritengo responsabile della sua morte.»

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Il certosino raggiunse la gruccia e di nuovo di levò a fatica. Appoggiò lamano destra sul cuore; tremava lievemente. Mi guardò dritto negli occhi, ilsorriso ancora sulle labbra, un sorriso misterioso che mi dava i brividi.

«Il commissario Singleton era un uomo crudele, un eretico, e io sono lietoche sia morto e che la sua morte possa turbare i sonni di Lord Cromwell. Magiuro sulla mia anima, dinanzi a Dio e di mia sponte, che non ho avuto partenell'uccisione di Robin Singleton, e giuro altresì che non conosco nessuno inquesta casa di deboli stolti che possa aver avuto lo stomaco di farlo. Ecco,ho risposto alle tue accuse. E ora sono stanco, voglio dormire.» Si sedette sulletto e si mise disteso.

«Molto bene, Jerome da Londra. Ma non finisce qui.» Feci cenno a Markdi dirigersi verso la porta. Uscimmo, chiusi a chiave e c'incamminammonuovamente lungo il corridoio sotto lo sguardo dei monaci, appena rientratidalla sesta, che ci scrutavano dalle celle aperte. Stavamo per raggiungere laporta che dava sul chiostro, quando questa fu aperta di schianto da fratelloAthelstan, l'abito ricoperto di una bianca coltre. Vedendoci, il monacotrasalì.

«Dunque, fratello, ho scoperto la ragione dei vostri screzi con fratelloEdwig. Avete lasciato incustodito il suo gabinetto privato.»

Il religioso prese a ciondolare da un piede all'altro, mentre dalla barba radaalcune gocce di neve disciolta cadevano sulla stuoia. «È vero, signore.»

«Quest'informazione mi sarebbe stata più utile delle vostre storie disegrete congiure. Che cosa è accaduto?»

Il giovane mi guardò, spaventato. «Nulla d'importante, signore. Entrai inufficio per sbrigare del lavoro e trovai il commissario Singleton al piano disopra, nel gabinetto di fratello Edwig, intento a esaminare un registro. Loimplorai di non prenderlo, o almeno di permettermi di registrarne l'uscita,perché sapevo che fratello Edwig si sarebbe adirato con me, ma lui non mibadò. Quando fratello Edwig tornò lo informai dell'accaduto, e lui mirimproverò dicendo che avrei dovuto badare con più attenzione aimovimenti del commissario.»

«Dunque era arrabbiato.»

«Molto, signore.» Abbassò il capo.

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«Sapevate che cosa conteneva il registro preso dal commissario?»

«No, signore, io mi occupo solo dei libri mastri che sono in ufficio. Nonso quali registri fratello Edwig custodisca nel suo gabinetto.»

«Perché non me ne avete parlato?»

Ciondolò nuovamente da un piede all'altro. «Avevo paura, signore. Paurache se voi aveste domandato spiegazioni a fratello Edwig, lui avrebbe capitoche avevo parlato. È un uomo molto duro, signore.»

«E voi siete molto stupido. Lasciate che vi dia un consiglio, fratelloAthelstan. Un buon informatore deve essere pronto a rivelare ciò di cui è aconoscenza, persino a rischio della propria vita. Altrimenti nessuno si fideràmai di lui. E ora sparite dalla mia vista.»

Il giovane svanì lungo il corridoio con passo svelto. Mark e io ciavvolgemmo nelle nostre cappe e uscimmo nella bufera. Osservai il chiostroimbiancato.

«Misericordia, che tempo da lupi! Volevo andare a dare un'occhiata alvivaio ittico, ma ora è impossibile. Forza, rientriamo in infermeria.»

C'incamminammo a fatica verso il nostro alloggio, Mark era cupo emeditabondo. Nella cucina dell'infermeria trovammo Alice, intenta a bolliredelle erbe.

«Avete l'aria infreddolita, signori. Gradireste una bella coppa di vinocaldo?»

«Vi ringrazio, Alice», dissi. «Ci farebbe davvero piacere.»

Di nuovo nella nostra stanza, Mark prese un cuscino e si sedette davanti alfuoco. Io mi distesi sul letto.

«Jerome sa qualcosa», dissi placido. «Non è coinvolto nell'omicidio, o nonavrebbe giurato, ma sa sicuramente qualcosa. L'ho capito dal suo stranosorriso.»

«Le torture gli hanno sconvolto la mente, non credo sappia ciò che dice.»

«No. È consumato dalla rabbia e dalla vergogna, ma non ha perduto il senno.»

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Mark fissò il fuoco con occhi vaghi. «Allora è vero ciò che ha detto sulconto di Mark Smeaton? Che Lord Cromwell lo ha torturato, costringendoloa rendere una falsa confessione?»

«No.» Mi morsi un labbro. «Io non lo credo.»

«Voi non volete credere», obiettò Mark con voce pacata.

«No! E non credo neppure che Lord Cromwell abbia assistito alle torturedi Jerome. È una menzogna. L'ho incontrato nei giorni che precedetterol'esecuzione di Anna Bolena. Era sempre al fianco del sovrano, non avrebbeavuto il tempo di recarsi alla Torre. E non si sarebbe mai comportato aquella maniera, mai. Jerome se lo è inventato.» Mi resi conto d'aver chiuso ipugni.

Mark mi guardò. «Signore, non vi è parso evidente, dal tono del suoracconto, che stesse dicendo la verità?»

Esitai. Le parole del certosino erano, in effetti, cariche di una terribilesincerità. Era stato torturato, non c'erano dubbi in proposito. Ma potevadavvero essere stato costretto a giurare da Lord Cromwell in persona? Nonpotevo credere una cosa simile del mio padrone, come non potevo crederealla storia del suo coinvolgimento nelle torture di Mark Smeaton. Presuntetorture, pensai fra me e me. Mi passai una mano fra i capelli.

«Ci sono persone abilissime nel far sembrare vere delle falsità. Ricordo unuomo affrontato in tribunale che si spacciava per un orafo iscritto alla gilda.Era riuscito a ingannare persino la corporazione…»

«Ma non è lo stesso, signore…»

«Non posso credere che Lord Cromwell abbia potuto creare delle provefalse contro Anna Bolena. Dimentichi che lo conosco da anni, Mark; èarrivato al potere proprio grazie alle simpatie riformiste della defunta regina.

È stata la sua mecenate. Perché mai avrebbe dovuto costruire prove false perdistruggerla?»

«Forse perché quello era il volere del re, e Lord Cromwell sarebbedisposto a tutto pur di non perdere il proprio potere. Questo si vocifera alleAumentazioni.»

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«No», ripetei con fermezza. «Quel monaco maligno ci ha raccontato una storia sediziosa. Storia che farai meglio a non far uscire da questa stanza.»

Mi guardò con occhi duri. Per la prima volta, il suo sguardo mi mise adisagio. Alice entrò con due coppe di vino fumante. Me ne porse una con unsorriso, poi lanciò a Mark un'occhiata che mi parve carica d'un differentesignificato. Provai una fitta di gelosia.

«Vi ringrazio, Alice», dissi. «Proprio quel che ci voleva. Abbiamo appenaterminato di parlare con fratello Jerome, e avevamo bisogno di tirarci un po'su.»

«Davvero, signore?» Non parve granché interessata. «Io l'ho visto solo unpaio di volte. Dicono sia pazzo.» Fece una riverenza e uscì. Mi voltai versoMark, che sedeva con lo sguardo perso fra le fiamme.

«Signore», disse esitante. «C'è una cosa di cui desidero parlarvi.»

«Sì? Dimmi.»

«Quando faremo ritorno a Londra - se mai riusciremo a lasciare questoluogo - io non voglio più rientrare alle Aumentazioni. Ho deciso. Non riescopiù a sopportarlo.»

«Sopportare che cosa? Spiegati.»

«La corruzione, l'avidità. Le persone che non fanno che assillarci persapere quali monasteri stiano per chiudere. Scrivono lettere di supplica,giungono fino alla nostra porta vantando legami con Lord Rich, promettendodi servire fedelmente Rich o Cromwell in cambio di terre.»

«Lord Cromwell, Mark…»

«E gli alti funzionari non fanno che speculare su chi sarà il prossimogentiluomo a finire sulla forca, e a chi saranno ceduti i suoi averi. Odio tuttoquesto, signore.»

«Che cosa ti ha suscitato simili pensieri? Sono state le parole di Jerome?Temi di subire la stessa sorte di Mark Smeaton?»

Mi guardò dritto negli occhi. «No, signore. Ho tentato più volte dispiegarvi ciò che provo per questo lavoro.»

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«Mark, ascoltami. Anch'io non apprezzo alcune delle cose che stanno accadendo. Ma… tutto ha uno scopo. Il nostro è di ottenere un reame nuovo,più pulito.» Mi alzai e lo raggiunsi, aprendo le braccia. «Prendi le terre dei monasteri, per esempio. Hai visto che genere di posto è questo: monaci grassi come maiali, dediti a ogni genere d'eresia, che vivono alle spalle d'unapovera cittadina, tutti devozione e preghiera in apparenza, ma pronti a pugnalarsi l'un l'altro alla prima occasione, e farebbero lo stesso con la giovane Alice o con te. Ben presto, però, tutto questo cesserà, com'è giusto che sia. È una vergogna.»

«Alcuni di loro non sono malvagi. Fratello Guy…»

«È l'istituzione a essere marcia. Ascolta: se Lord Cromwell riuscirà amettere quelle terre nelle mani del sovrano allora, certo, alcune verrannoassegnate ai suoi sostenitori. È insito nella natura stessa del mecenatismo,nei meccanismi della nostra società, è inevitabile. Ma i guadagni sarebberoingenti, e consentirebbero al sovrano di rendersi indipendente dalParlamento. Ascolta, tu hai molto a cuore le condizioni della povera gente,non è così?»

«Certo, signore. È una vergogna. Persone come Alice private della propriaterra in ogni angolo del paese, uomini senza più padrone costretti amendicare per le strade…»

«Esatto. È una vergogna. L'anno passato Lord Cromwell ha proposto alParlamento un disegno di legge inteso a dare un aiuto concreto alla poveragente, progetto che prevedeva la costruzione di ricoveri per gli invalidi e larealizzazione di grandi opere pubbliche come strade e canali per dare lavoroagli indigenti. Il Parlamento ha bocciato la sua proposta, perché la piccolanobiltà non era disposta a pagare le imposte sul reddito necessarie al suofinanziamento. Ma con le ricchezze di questi monaci nei forzieri reali ilsovrano non avrà più bisogno del Parlamento. Potrà così costruire scuole, efare in modo che ogni chiesa abbia una copia della Bibbia in inglese.Immagina: lavoro per tutti, la parola di Dio diffusa in ogni luogo. Per questole Aumentazioni sono di vitale importanza!»

Mark sorrise mesto. «Voi non credete, come mastro Copynger, che lalettura della Bibbia dovrebbe essere concessa solo alle classi più agiate? Hosentito che Lord Rich pensa lo stesso. Mio padre non è ricco, non gli sarebbepermesso leggerla. E nemmeno a me.»

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«Un giorno lo sarai. In ogni modo, no, non sono d'accordo con Copynger.E Rich è una canaglia. Cromwell ha bisogno di lui, ma farà in modo che nonacquisti maggior potere. Le cose si aggiusteranno.»

«Lo credete davvero, signore?»

«Per forza. Per forza. Hai bisogno di riflettere, Mark, e hai bisogno dipregare. Io non posso… non posso dubitare, non adesso. La posta in gioco ètroppo alta.»

Mark ritornò al caminetto. «Sono dolente d'avervi turbato, signore.»

«Allora credi alle mie parole.»

Rimanemmo a lungo in silenzio, mentre il sole tramontava. Ma non erauna quiete serena, la nostra. Ero lieto d'aver parlato a Mark con tanto ardore,e credevo in tutto ciò che avevo detto sull'avvenire ch'ero convinto stavamocostruendo. Tuttavia, seduto in quella stanza, le parole di Jerome mitornarono alla mente, assieme al suo volto, e il mio istinto d'avvocato midisse che non aveva mentito. Ma se tutto ciò che m'aveva raccontato eravero, allora stavamo costruendo la Riforma su un ordito di menzogne eatroci brutalità. E io vi avevo contribuito. Rimasi inorridito. Poi un pensierovenne a confortarmi. Se la pazzia di Jerome fosse stata reale, allora potevaessere giunto a credere nel frutto della sua malata fantasia. Avevo già uditodi simili casi. Cercai di convincermi che quella fosse l'unica rispostapossibile. E poi dovevo smettere di torturarmi a quel modo, avevo bisognodi riposare e liberare la mente per la giornata che mi attendeva. È questo ilmodo in cui gli uomini di coscienza trovano conforto dai propri dubbi.

Capitolo diciassette

Mark mi svegliò, scuotendomi; dovevo essermi addormentato.

«Signore, c'è fratello Guy.»

Il frate infermiere era vicino al letto e mi guardava. Mi sollevai conpremura.

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«Porto un messaggio, commissario. L'abate ha rintracciato gli atti divendita dei terreni che gli avete richiesto, e ha della corrispondenza chevorrebbe spedire. Sta arrivando.»

«Vi ringrazio, fratello.» Il religioso mi fissava intensamente,giocherellando con la corda che gli cingeva la veste.

«Sto per recarmi alla funzione notturna per Simon Whelplay.Commissario, sento che dovrei informare l'abate dei miei sospettid'avvelenamento.»

«Non ancora. Il suo assassino non sa che sospettiamo, e questo mi dà un vantaggio.»

«Ma che cosa dovrò dire riguardo alla sua morte? L'abate vorrà di certodelle spiegazioni.»

«Ditegli che non siete sicuro.»

Si passò una mano sulla tonsura. Quando riprese a parlare, la voce s'erafatta inquieta.

«Ma, signore, la conoscenza delle cause del suo decesso dovrebbe guidarele nostre preghiere. Dovremmo chiedere al Signore di ricevere l'anima di unuomo ucciso, non di uno malato. Inoltre, è morto senza confessare i propripeccati, questo solo basterebbe a mettere in pericolo il suo spirito.»

«Dio vede tutto. Se il ragazzo sarà accettato in paradiso oppure no dipenderàsolo dalla Sua volontà.»

Il frate infermiere parve pronto a ribattere, ma proprio in quel momentol'abate fece il suo ingresso. Il suo anziano servitore lo seguiva portando unagrossa borsa a tracolla. L'abate Fabian, grigio e stanco, ci scrutò con occhiaffaticati. Fratello Guy fece un inchino al superiore e ci lasciò.

«Commissario, vi ho portato gli atti dei quattro terreni venduti l'annoscorso. E della corrispondenza, lettere che riguardano la gestione delmonastero e alcune missive personali dei monaci. Avevate domandatod'esaminare tutta la posta in uscita.»

«Vi ringrazio. Appoggiate pure la sacca sul tavolo.»

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L'uomo esitò, stringendosi nervosamente le mani. «Posso chiedere comesono andate le cose in città? Avete fatto progressi? I contrabbandieri…»

«Qualche progresso, sì. Le piste da seguire sembrano moltiplicarsi, signorabate. Questo pomeriggio ho anche incontrato fratello Jerome.»

«Voglio sperare che non sia stato…»

«Oh, m'ha insultato di nuovo, naturalmente. Penso che per ora sia megliotenerlo rinchiuso.»

L'abate diede un colpo di tosse. «Ho ricevuto anch'io una missiva», disseesitante. «L'ho messa assieme alle altre; è di un vecchio amico, monaco aBisham. Egli ha delle conoscenze alla prioria di Lewes. Dicono che sianostati negoziati i termini di resa con il vicario generale.»

Sorrisi sarcastico. «I monaci d'Inghilterra dispongono di canali dicomunicazione privati, è sempre stato così. Ebbene, mio signore, penso dipoter affermare che Scarnsea non sia l'unica casa dal torbido passato cheLord Cromwell desideri chiudere.»

«La nostra non è una casa peccaminosa, signore.» Un lieve tremore minòla sua profonda voce. «Le cose andavano bene prima dell'arrivo delcommissario Singleton!» Lo fissai con occhi colmi di sdegno. Lui si morseun labbro e deglutì sonoramente. Mi resi conto che era un uomo terrorizzato,sull'orlo della disperazione. Percepii il suo confuso senso d'umiliazione nelvedere che tutto il suo mondo rischiava di crollare attorno a lui.

Levò una mano. «Mi spiace, mastro Shardlake, perdonatemi. Per mequesti sono momenti difficili.»

«Ciò nonostante, mio signore, dovreste badare a quel che dite.»

«Mi scuso ancora.»

«Molto bene.»

L'uomo si ricompose. «Mastro Goodhaps partirà domattina, signore, dopoi funerali del commissario Singleton. La funzione notturna comincerà fraun'ora, e sarà seguita dalla veglia. Vi unirete a noi?»

«Veglierete su entrambi i defunti? Il commissario e Simon Whelplay?»

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«No, poiché uno di loro era laico e l'altro religioso. Officeremo duefunzioni distinte. I confratelli si divideranno fra le due veglie.»

«E veglieranno per tutta la notte, alla luce di candele benedette, per scacciaregli spiriti maligni?» Esitò. «È la tradizione.»

«Una tradizione disapprovata dal sovrano nei Dieci articoli sulla religione.L'uso delle candele è concesso per i defunti solo a ricordo della grazia diNostro Signore. Il commissario Singleton non avrebbe voluto che allecandele del proprio funerale venissero attribuiti superstiziosi poteri.»

«Rammenterò il provvedimento ai confratelli.»

«E per quanto concerne le voci giunte da Lewes, tenetele per voi.» Gli fecicenno di andare, e lui obbedì. Lo guardai uscire, meditabondo.

«Credo di avergli fatto capire chi comanda», dissi a Mark. Fui percorso daun brivido freddo. «Misericordia, sono distrutto.»

«Mi ha fatto pena», disse Mark.

«Credi che sia stato troppo duro? Ricordi con quale arroganza ci ha accoltiquando siamo arrivati qui? Devo imporre la mia autorità; potrà non esserepiacevole, ma è necessario.»

«Quando gli rivelerete le vere cause della morte del novizio Whelplay?»

«Domani intendo perlustrare il vivaio, in seguito valuterò il da farsi.Potremmo anche andare a dare un'occhiata a quelle cappelle laterali. Forza,ora dobbiamo esaminare le lettere e gli atti di vendita. Poi prenderemo partealla veglia per il povero Singleton.»

«Non ho mai assistito a una funzione notturna.»

Raggiunsi la scrivania, aprii la borsa e rovesciai sul tavolo una granquantità di lettere e documenti. «Dovremmo dimostrarci rispettosi, ma nonho alcuna intenzione di partecipare a una nottata di vaneggiamenti sulpurgatorio. Vedrai di che stranezza si tratta.»

Non c'era nulla di compromettente in quelle lettere; le missive riguardantiil monastero erano d'ordinaria amministrazione, acquisto di luppolo per il

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birrificio e questioni simili. Le poche lettere personali dei monaci alleproprie famiglie menzionavano la morte di un novizio a causa d'unapolmonite contratta per la rigidità dell'inverno, la stessa spiegazione chedava l'abate nella comunicazione formalmente melliflua indirizzata aigenitori del ragazzo. Di nuovo mi sentii trafitto dal senso di colpa per lamorte di Simon.

Esaminammo gli atti dei terreni. I prezzi parevano adeguati per degliappezzamenti arabili, e non c'erano prove di lotti svenduti per ingraziarsi ifavori dei signori dei dintorni. Ne avrei parlato con Copynger, ma ebbiancora la netta sensazione che fosse stata presa molta cura per far sì che iconti del monastero risultassero in ordine, almeno in superficie. Passai ledita sui rossi sigilli in calce a ogni atto, con impressa l'immagine di sanDonato che resuscita il defunto.

«Solo l'abate può imprimere il sigillo sui documenti», meditai a bassavoce.

«Chiunque altro verrebbe accusato di contraffazione», osservò Mark.

«Ricordi che abbiamo visto il sigillo sul suo scrittoio, il giorno del nostroarrivo? Sarebbe stato più sicuro tenerlo chiuso da qualche parte, masuppongo che l'abate ami metterlo ben in mostra, come simbolo della suaautorità. 'Vanità delle vanità, tutto è vanità.'» Stirai le braccia. «Non credoche ceneremo in refettorio questa sera, sono troppo stanco. Se vuoi puoi fartidare qualcosa dal frate infermiere. Per me del pane e formaggio sarà più chesufficiente.»

«Va bene.» Uscì dalla stanza, e io rimasi seduto a riflettere. Dal nostrobattibecco alla taverna, percepivo nella voce di Mark un nuovo riserbo, unacerta distanza. Presto o tardi avrei dovuto sollevare nuovamente la questionedel suo avvenire. Avevo l'obbligo d'impedirgli di gettare al vento lapossibilità d'una sicura carriera; un obbligo contratto non solo nei confrontidi Mark ma anche in quelli di suo padre, e del mio.

Non vedendolo tornare dopo dieci minuti cominciai a spazientirmi; ero piùaffamato di quanto pensassi. Mi alzai dal letto e andai a cercarlo. Dalla portasocchiusa della cucina vidi una luce, e un suono lieve e indistinto mi giunseall'orecchio. Una donna singhiozzava.

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Spalancai la porta. Alice sedeva al tavolo, la testa fra le mani. I folticapelli castani scompigliati le coprivano il viso. Piangeva piano, un mesto eaccorato lamento. Si accorse della mia presenza e alzò lo sguardo. Il viso eragonfio e arrossato, la marcata regolarità dei suoi lineamenti s'era comedissolta. Fece per alzarsi, asciugandosi le lacrime con una manica, ma io lafermai con un cenno della mano.

«No, no, state pure, Alice. Vi prego, che cosa vi tormenta?»

«Non è nulla, signore.»

«Qualcuno vi ha forse turbata? Raccontatemi, ve ne prego. È forse colpadi fratello Edwig?»

«No, signore.» Mi guardò con occhi perplessi. «Perché dovrebbe?»

Le raccontai della mia conversazione con l'economo, e di come avesseintuito la fonte delle mie informazioni. «Ma non temete, Alice, gli ho dettochiaramente che siete sotto la mia personale tutela.»

«Non è questo, signore. È solo che…» chinò il capo, «mi sento sola,signore. Sola al mondo. Non potete capire che cosa si provi.»

«Invece penso di sì. Sono anni che non vedo la mia famiglia. Abitanofuori Londra. Ho solo mastro Poer con me. So di godere d'una posizione diprestigio, ma anch'io talvolta mi sento solo.» Le sorrisi tristemente. «Ma voinon avete proprio nessuno? Nessun amico a Scarnsea che potete andare atrovare?»

Si accigliò, giocherellando con un filo che le pendeva dalla manica.

«Mia madre è stata l'ultima della famiglia. I Fewterer non erano molto amatiin città, la gente diffida sempre delle guaritrici.» Il tono della sua voce sifece amaro. «Si servono tutti di persone come mia madre e mia nonna percurare i propri malanni, ma non provano nessuna gratitudine. Una volta,quando il giudice Copynger era giovane, si rivolse a mia nonna per dellecoliche allo stomaco di cui non riusciva a liberarsi. Lei lo curò, ma lui non sidegnò neppure di salutarla incontrandola per strada, dopo il fatto. E l'aiutoricevuto non gli ha neppure impedito di prendersi la nostra casa, alla mortedi mia madre. Sono stata costretta a vendere tutto il nostro mobilio, in mezzoal quale ero cresciuta, perché non avevo dove depositarlo.»

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«Mi dispiace davvero. Simili soprusi dovrebbero finire.»

«Dunque non vado più a Scarnsea. Nei giorni di riposo rimango qui, aguardare i libri di fratello Guy. Mi sta insegnando a leggere.»

«Bene, allora vuol dire che un amico lo avete.» La giovane annuì. «Sì, è un uomo di buon cuore.»

«Ditemi, Alice, avete mai sentito parlare di una ragazza che ha lavoratoqui prima di voi, una certa Orphan?»

«Ho sentito dire che ha rubato delle coppe d'oro ed è fuggita. Ma non labiasimo.»

Decisi di non dirle nulla dei sospetti di comare Stumpe, non volevoturbarla oltre. Fui travolto dall'irresistibile desiderio d'alzarmi e stringerla alpetto per placare il dolore della nostra comune solitudine, ma lo soffocai.

«Forse anche voi potreste andarvene», suggerii timidamente. «Lo avetegià fatto una volta, quando siete andata a bottega dallo speziale a… Esher,dico bene?»

«Lo farei volentieri, se solo potessi, ancor più dopo quanto è accaduto inquesti ultimi dieci giorni. Qui non ci sono altro che vecchi aridi, senza unbriciolo d'amore per questa vita di contemplazione. E ancora mi domandocontro che cosa il povero Simon intendesse mettermi in guardia.»

«Già, me lo domando anch'io.» Mi avvicinai a lei. «Forse potrei fare qualcosa per voi. Ho delle conoscenze in città e a Londra.» Mi guardò incuriosita. «Sono sinceramente rammaricato per la vostra situazione, e vorrei potervi aiutare. Non dovreste sentirvi…» mi sentii arrossire «in… in debito nei miei confronti, ma se voleste accettare l'aiuto di un vecchio e brutto gobbo, sarei felice di potervelo offrire.»

La curiosità nei suoi occhi si fece più intensa. Poi si scurì in viso. «Perchévi definite vecchio e brutto, signore?»

Mi strinsi nelle spalle. «Sono vicino ai quaranta, Alice, e il mio aspetto…be', tutti mi hanno sempre definito tale.»

«Non è così, signore», disse con foga. «Giusto ieri fratello Guy notavacome i vostri lineamenti posseggano una rara combinazione di raffinatezza e

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malinconia.»

Sollevai un sopracciglio, sorpreso. «Spero che fratello Guy non abbia lemedesime inclinazioni di Gabriel», dissi ironico.

«No, niente affatto», disse Alice con subitaneo ardore. «E voi nondovreste disprezzarvi a questo modo, signore. Non ci sono già sufficientisofferenze al mondo?»

«Mi spiace.» Risi nervosamente. Fui sopraffatto da un piacevoleimbarazzo nell'udire quelle parole. Alice si sedette, guardandomi con occhitristi, e mio malgrado mi ritrovai ad allungare una mano per sfiorare la sua.Poi le campane presero a suonare i loro rintocchi fragorosi, facendosobbalzare entrambi. Lasciai cadere la mano e ridemmo tutti e dueimbarazzati. In quel momento la porta s'aprì e Mark entrò in cucina. Alices'alzò di scatto e raggiunse una delle credenze; intuii che non volessemostrargli il viso bagnato di lacrime.

«Sono spiacente di averci messo tanto, signore», disse tenendo lo sguardofisso sulla schiena di Alice. «Sono andato al bagno e poi mi sono fermatonella camerata dell'infermeria. Fratello Guy si sta occupando del vecchiomonaco, pare sia peggiorato.»

«Fratello Francis?» Alice si voltò immediatamente. «Allora vogliatescusarmi, signori, ma devo raggiungerlo.» S'allontanò svelta, mentre l'ecodei suoi passi moriva lungo il corridoio. Mark sembrava preoccupato.

«Stava piangendo, signore? Che cosa le è capitato?»

Sospirai. «Solitudine, Mark, solo solitudine. Ora vieni, quelle infernalicampane annunciano la veglia.»

Attraversando la camerata dell'infermeria, vedemmo Alice e fratello Guychini sul capezzale del vecchio religioso. Fratello Andrew, il monaco cieco,era come sempre seduto sulla sua sedia, e muoveva la testa a destra e asinistra, nel tentativo di cogliere i movimenti di Alice e del frate infermiere.Sentendoci avvicinare, fratello Guy levò lo sguardo.

«Sta deperendo», disse piano. «Pare che presto dovrò perderne un altro.»

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«È la sua ora.» Ci voltammo tutti nell'udire le parole del monaco cieco.

«Povero Francis, ha vissuto quasi cent'anni e ha visto il mondo avvicinarsisempre più alla sua fine. Ha assistito alla venuta dell'Anticristo, comepredetto dalle Scritture. Lutero, e Cromwell, il suo agente.»

Compresi che non si era accorto della mia presenza. Fratello Guy s'alzò discatto per raggiungerlo, ma io lo fermai posandogli una mano sul braccio.

«No, fratello, lasciatemi ascoltare.»

«Ci sono visite?» chiese il monaco cieco, girando gli occhi lattei su di me.«Conoscevate fratello Francis, signore?»

«No, fratello. Io sono un… visitatore.»

«La sua consacrazione risale ancora all'epoca della guerra fra York eLancaster, pensate un po'. Mi ha raccontato che allora c'era un monaco, qui aScarnsea, vecchio come lo è lui adesso, che aveva conosciuto i religiosi cheavevano abitato questo monastero ai tempi della Grande Pestilenza.»

Sorrise dolcemente. «Quelli devono essere stati giorni gloriosi. Il monasteroospitava più di cento fratelli, una folla di giovani aspirava a vestire l'abito.Questo vecchio raccontò a Francis che la pestilenza sterminò metà dellacongregazione in una sola settimana. Suddivisero il refettorio, perché isopravvissuti non sopportavano più la vista dei tavoli vuoti. Il mondo interone fu colpito, e mosse un altro passo verso la sua distruzione.» Scosse latesta. «Ora che la fine è vicina, tutto è vanità e corruzione. Presto Cristoverrà per giudicare i vivi e i morti.»

«Calmati, fratello», mormorò Guy con voce ansiosa. «Calma.»

Guardai Alice, ma lei abbassò lo sguardo. Scrutai il monaco malato, chegiaceva ormai quasi privo di conoscenza, un'espressione placida sul visorugoso.

«Vieni, Mark», dissi piano. «È ora di andare.»

C'infagottammo e uscimmo. La gelida notte era serena, e le vetrate dellachiesa brillavano del fioco bagliore delle candele.

Di notte l'edificio aveva un aspetto misterioso. Sembrava un'immensa

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caverna, il tetto perso nell'echeggiante oscurità. La luce delle candelepunteggiava le effigi dei santi lungo le pareti, mentre due più vaste oasisfavillanti brillavano da dietro il jubé nel coro e in una delle cappelle laterali.Fu là che condussi Mark, intuendo che a Singleton fosse stato riservata unacollocazione meno appariscente.

La bara aperta era posata su un tavolo, circondata da una decina dimonaci, ciascuno con una grossa candela in mano. Una scena strana avedersi, con quelle figure incappucciate nell'oscurità, i volti illuminati dalbasso.

Avvicinandomi scorsi fratello Athelstan, che abbassò prontamente il capo.Fratello Jude e fratello Hugh si scostarono per farci posto.

La testa di Singleton era stata posta sulle spalle, fermata da un ceppo dilegno posto fra questa e l'estremità della bara. Gli occhi e la bocca eranostati chiusi e, non fosse stato per la linea rossa attorno al collo, poteva quasisembrare che fosse deceduto per cause naturali. Feci per abbassarmi, ma miscostai immediatamente perché dal cadavere si levava un puzzo nauseante,che si mescolava all'odore stantio dei monaci. Singleton era morto da unasettimana, e fuori della cripta la carne s'era decomposta in fretta. Annuiigravemente ai religiosi, e indietreggiai di qualche passo.

«Me ne vado a dormire», dissi a Mark. «Tu puoi rimanere, se lo desideri.»

«Vengo con voi. È uno spettacolo assai triste.»

«Gradirei rivolgere i miei ossequi al cadavere di Simon Whelplay. Ma inquanto laici dubito che saremmo i benvenuti.»

Mark annuì e ci voltammo per andarcene. Da dietro il jubé si levava ilcantilenare d'un salmo latino, il 94, mi parve di riconoscere. Quello chechiedeva al Signore di mostrarsi e fare giustizia.

Per quanto fossi esausto, non riuscii a riposare. La schiena mi torturava enon potei che assopirmi fra fitte e spasmi. Anche Mark non trovava pace,gemendo e borbottando in sogno. Solo alle prime luci dell'alba riusciifinalmente a cadere in un sonno profondo, ma un'ora più tardi Mark venne asvegliarmi, già vestito di tutto punto.

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«Che Dio abbia misericordia», brontolai. «È ormai giorno fatto?»

«Sì, signore.» C'era ancora una nota di distacco nella sua voce. Alzandomi con fatica, fui percorso da una fitta alla schiena. Non ne potevo più.

«Niente rumori questa mattina?» chiesi. Non intendevo prendermi giocodi lui, ma cominciavo a essere infastidito dal modo in cui le mie paroleparevano scivolargli addosso, come l'acqua sulle penne di un'anatra.

«A dire il vero, penso d'aver sentito qualcosa poco fa», disse freddamente.«Ma ora è cessato.»

«Ho riflettuto su quanto ci ha detto ieri Jerome. Sai bene che è pazzo. Èpossibile che sia giunto a credere realmente alle storie che racconta, e questole fa sembrare… plausibili.»

Mark incontrò il mio sguardo. «Io non sono affatto sicuro che sia pazzo,signore. La sua anima è in grande agonia.»

Avevo sperato che Mark accettasse la mia spiegazione. Sebbene allora nonlo capissi, avevo bisogno di essere rassicurato.

«Be', in ogni modo», dissi pungente, «ciò che ha raccontato non ha alcuna attinenza con la morte di Singleton. Poteva anche trattarsi d'un sotterfugio per celare quello che sa. Dobbiamo sbrigarci.»

«Sì, signore.»

Mi rasai e mi vestii, e nel frattempo Mark scese a fare colazione.Raggiungendolo in cucina, lo udii parlare con Alice.

«Non dovrebbe farvi lavorare tanto», le stava dicendo.

«Il lavoro mi rafforza», rispose Alice con una nota di spensieratezza nellavoce che non le avevo mai sentito. «Un giorno avrò le braccia robuste comele tue.»

«Ma questo non si addice a una signora.»

Colto da una fitta di gelosia, tossii ed entrai. Mark era seduto a tavola, eguardava Alice sorridente, mentre questa era intenta a disporre l'una accantoall'altra delle giare di pietra. Sembravano davvero molto pesanti.

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«Buongiorno. Mark, porteresti queste lettere all'abate? Digli che per il momento terrò gli atti di vendita con me.»

«Certamente.» Mi lasciò con Alice, che portò a tavola pane e formaggio.Quella mattina sembrava d'umore più sereno, e non fece alcun riferimentoalla conversazione della notte precedente, chiedendomi soltanto se avevoriposato bene. Fui un po' deluso dalla formalità della sua domanda, poiché leparole che m'aveva rivolto la sera prima mi avevano fatto battere il cuore,sebbene fossi lieto d'aver ritratto la mano; la situazione era già abbastanzacomplicata.

Fratello Guy entrò. «Il vecchio fratello August ha bisogno della sua tazza,Alice.»

«Subito.» Fece un inchino e ci lasciò. Le campane ripresero a suonarerumorosamente, rimbombandomi nel cervello.

«Il funerale del commissario Singleton avrà inizio fra mezz'ora.»

«Fratello Guy», dissi, improvvisamente imbarazzato. «Posso domandarviun parere medico?»

«Certamente. Farò tutto ciò che è in mio potere.»

«La schiena mi sta dando delle noie. La lunga cavalcata per arrivare sinqui deve avermi fatto male, e la schiena mi duole dove… dove sporge.»

«Desiderate che vi visiti?»

Feci un respiro profondo. Non sopportavo il pensiero che un estraneovedesse la mia deformità, ma il dolore non accennava a placarsi, ecominciavo a temere d'essermi causato un danno irreversibile. «Sì», ammisie presi a sfilarmi il farsetto.

Fratello Guy si posizionò alle mie spalle e mi posò le sue dita fredde sullaschiena per tastare i muscoli rattrappiti. Brontolò.

«Ebbene?» chiesi ansioso.

«I vostri muscoli sono contratti dagli spasmi. Sono molto contratti. Manon ci sono danni alla spina dorsale. Con il tempo, e molto riposo, il doloredovrebbe cessare.» Venne a mettersi di fronte a me, e mi scrutò con uno

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sguardo freddo e professionale mentre mi rivestivo.

«La schiena vi procura spesso forti dolori?»

«A volte», dissi brevemente sedendomi di fronte a lui. «Ma non c'è moltoche si possa fare.»

«Siete sottoposto a una grande tensione. Questo certo non aiuta.»

Brontolai. «Da quando sono giunto qui non riposo bene. Ma non c'è dasorprendersene, vero?»

I suoi grandi occhi castani studiavano il mio viso. «Prima stavate bene?»

«Sono d'umore assai malinconico. In questi ultimi mesi la malinconia èaumentata, temo che l'equilibrio dei miei umori si stia incrinando.»

Annuì. «Penso che abbiate affaticato troppo la mente. È comprensibile,dopo tutto ciò cui avete assistito qui al monastero.»

Rimasi in silenzio un istante. «Non posso fare a meno di sentirmiresponsabile per la morte di quel ragazzo.» Non era mia intenzioneconfidarmi con lui, ma fratello Guy era molto abile nel persuadere la gente aparlare.

«Se qualcuno deve essere ritenuto responsabile per quanto è accaduto, quello sono io. È stato avvelenato mentre era sotto la mia tutela.»

«Quel che è accaduto vi ha spaventato?» gli chiesi.

Si strinse nelle spalle. «Chi potrebbe mai volermi fare del male? Sonosoltanto un vecchio moro.» Si zittì per un attimo. «Venite in infermeria. Houn infuso che vi darà un po' di sollievo. Semi di finocchio, luppolo e un paiod'altri ingredienti.»

«Vi ringrazio.» Lo seguii nel suo studio, e andai a sedermi sul tavolo,mentre lui selezionava le erbe e metteva l'acqua a bollire sul fuoco. Notai lacroce spagnola appesa sulla parete di fronte, e mi ricordai di come lo avevovisto il giorno prima, disteso ai suoi piedi.

«È un ricordo della vostra terra?»

«Sì, mi ha accompagnato in tutti i miei viaggi.» Dosò le erbe e le mise

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nell'acqua. «Quando sarà pronta bevetene un sorso, non di più, altrimentidormirete l'intera giornata.» S'interruppe. «Sono onorato che vi fidiate dellemie prescrizioni.»

«Mi fido di voi in quanto medico, fratello Guy.» M'interruppi. «Penso chenon abbiate gradito quando ho detto ieri riguardo la veglia funebre.»

Chinò lievemente il capo. «Ho compreso il vostro ragionamento. Voicredete che Dio sia indifferente a qualsiasi forma di preghiera.»

«Io credo che la salvezza giunga attraverso la grazia del Signore. Nonsiete forse d'accordo? Suvvia, dimentichiamo la mia posizione di ufficialeper un istante e parliamo liberamente, da studiosi.»

«Studiosi e nient'altro? Ho la vostra parola?»

«Sì, vi do la mia parola. Per tutti i santi del paradiso, quell'intruglio ha unodore nauseante.»

«Ha bisogno di qualche minuto d'infusione.» Si mise a braccia conserte.

«Comprendo bene perché l'Inghilterra abbia sentito il bisogno d'innovazionireligiose. La Chiesa s'è molto corrotta. Ma sarebbe bastata una riformasimile a quella spagnola. Oggi migliaia di frati spagnoli sono all'opera perconvertire gli infedeli delle Indie, patendo terribili privazioni.»

«Non riesco davvero a immaginare i frati inglesi fare altrettanto.»

«Neppure io. Ma la Spagna ha dimostrato che riformare è possibile.»

«E come ricompensa ha ottenuto dal papa d'avere una propriaInquisizione.»

«Temo che la Chiesa inglese non verrà riformata, ma distrutta.»

«Ma che cosa verrà distrutto? L'autorità papale, la falsa dottrina delpurgatorio?»

«Gli Articoli sulla religione promulgati dal sovrano ammettono l'esistenzadel purgatorio.»

«È una chiave di lettura. Io credo, invece, che il purgatorio siaun'invenzione. Quando si muore, la salvezza ci giunge soltanto attraverso la

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grazia di Dio. Le preghiere dei vivi non hanno la benché minima influenza.»

Il religioso scosse il capo. «Martin Lutero sostiene che la salvezza nondipende dalla fede, perché la predeterminazione divina stabilisce, primaancora che un'anima venga al mondo, se questa sarà salvata o condannataalla dannazione eterna. A me pare una dottrina assai crudele.»

«È vero, questa è l'interpretazione luterana di san Paolo. Io, e molti altri,sosteniamo che sia in errore.»

«Ma se ognuno fosse libero di dare la propria interpretazione della Bibbia,non si rischierebbe di diffondere crudeli teorie come questa in tutto ilmondo? Non si giungerebbe a una nuova Babele, al caos?»

«Dio ci guiderà.»

Mi fissò in silenzio. I suoi occhi scuri erano velati da… tristezza?Disperazione? Era difficile leggere nell'animo di fratello Guy.

«Allora voi eliminereste ogni cosa?»

Annuii. «Sì, esatto. Ditemi, fratello, credete anche voi, come il vecchiofratello Paul, che il mondo stia scivolando verso la propria fine, verso ilGiorno del Giudizio?»

«Questo è il fulcro della dottrina della Chiesa sin dall'alba dei tempi.»

Mi protesi in avanti. «Ma dev'esserlo per forza? Il mondo non potrebbeinvece trasformarsi per divenire come Dio lo vuole?»

Fratello Guy giunse le mani. «La Chiesa cattolica è stata spesso l'unico barlume di civilizzazione in questo mondo. Le sue dottrine e i suoi rituali hanno spinto gli uomini alla fratellanza con i propri simili sofferenti e con tutti i defunti cristiani. E li spronano verso la carità: Jesu sa bene di quante sollecitazioni abbiamo bisogno. La vostra dottrina, invece, insegna a ogni uomo a cercare la propria salvezza individuale attraverso la preghiera e la Bibbia. Ma, così facendo, la carità e la fratellanza vanno perdute.»

Rammentai la mia giovinezza, il grasso prete ubriacone che mi avevadetto che non avrei mai potuto prendere i voti. «La Chiesa ha dimostrato benpoca carità nei miei confronti, quand'ero ragazzo», dissi amareggiato.

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«Io cerco Dio nel mio cuore.»

«E riuscite a trovarlo?»

«Una volta sì, mi ha visitato.»

Il frate infermiere sorrise mesto. «Sapete, fino a oggi un uomo di Granadao di qualsiasi altra parte d'Europa poteva entrare in una chiesa inglese esentirsi subito a casa, udire le medesime preghiere latine, trovare conforto.Ma una volta scomparsa quella fratellanza internazionale, chi mai potràtenere a freno le liti fra sovrani? Che cosa ne sarà di uomini come me,abbandonati a loro stessi in una terra ostile? M'è capitato, scendendo aScarnsea, che i bambini del villaggio mi gettassero addosso della spazzatura.Che cosa scaglieranno, quando non ci sarà più il monastero a proteggermi?»

«Avete un'opinione alquanto mediocre dell'Inghilterra», commentai.

«Un'opinione realistica dell'umanità, direi. Oh, conosco bene la vostravisione delle cose. Voi riformatori rinnegate il purgatorio, le messe per idefunti, le reliquie, tutto ciò che i monasteri, al contrario, incarnano. Dunquei monasteri debbono essere distrutti, me ne rendo conto.»

«E voi vorreste impedirlo?» gli rivolsi uno sguardo pungente.

«Come potrei? È già stato deciso. Ma temo che senza la Chiesa universalea unirci, verrà il giorno, su questa terra, in cui persino la fede in Dio saràscomparsa. Il denaro soltanto verrà venerato, e lo Stato, ovviamente.»

«È forse sbagliato essere fedeli alla propria nazione e al proprio sovrano?»

Prese la pozione, disse una rapida preghiera e versò l'infuso in unaboccetta di vetro. Poi mi rivolse uno sguardo severo.

«Nell'adorare la propria appartenenza nazionale, gli uomini adorano lorostessi a scapito del prossimo, e questa non è una cosa buona.»

«Non avete compreso i nostri intenti. Noi perseguiamo l'idea d'unacomunanza cristiana.»

«Vi credo, ma temo che le cose prenderanno una strada diversa.» Mi porsela boccetta e un cucchiaio. «Questa è la mia opinione di studioso. Ericordate: solo un cucchiaio.»

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Ingoiai con una smorfia; il sapore era amaro come l'odore lasciavapresagire. Il lento scampanio che aveva fatto da sottofondo alla nostraconversazione si fece più intenso. Il campanile suonava le otto.

«È ora d'andare», disse fratello Guy. «La funzione sta per cominciare.» Presila boccetta e lo seguii lungo il corridoio. Osservando i lanosi riccioli neri chegli coronavano la testa, mi trovai a concordare con lui su un punto: se i monasteri fossero stati dissolti, lui non avrebbe più avuto un rifugio sicuro inInghilterra. Non gli sarebbe rimasto altro da fare che sperare nell'autorizzazione d'andare all'estero, in un monastero spagnolo o francese. E avrebbe potuto non ottenerla, visto che quei paesi ora erano nostri nemici. Se il monastero fosse caduto, fratello Guy avrebbe avuto da perdere più di chiunque altro.

Capitolo diciotto

I monaci sfilarono in chiesa, preceduti dall'abate. Fratello Guy mi lasciòper raggiungere i confratelli. Fra gli ultimi arrivati scorsi il priore Mortimuse fratello Edwig affrettarsi attraverso il cortile del chiostro dall'ufficio dellacontabilità. Mi ricordai di quello che Goodhaps aveva detto: erano loro acomandare nel monastero. Eppure non avevo visto segni d'amicizia fra i duereligiosi. Il priore calciava la neve marciando svelto, mentre il piccoloeconomo gli trotterellava dietro, cercando di stare al passo. Mark miraggiunse con il vecchio Goodhaps al suo fianco.

«Buon giorno, mastro Shardlake. Pensate nevicherà?» mi chiese ansiosolanciando occhiate al cielo che s'era di nuovo rannuvolato. «Vorrei mettermiin marcia non appena terminata la funzione.»

«La strada per Scarnsea è transitabile. Ora venite, o faremo tardi.»

Li precedetti verso la chiesa. I monaci in fila avevano raggiunto gli stallidel coro dietro il jubé, e li sentivo tossire e rumoreggiare. Dal nostro lato, labara di Singleton, ancora aperta, era stata posata su alcune sedie. Poco più inlà, la seconda bara giaceva circondata dalle candele. L'abate s'accostò allabara di Singleton, ma non troppo; il puzzo di carne in decomposizione erainsostenibile.

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«Se voleste prendere posto accanto alla bara durante il canto funebre», cidisse solenne, «al termine della funzione potreste aiutare a trasportarla finoal cimitero. Il priore Mortimus si è offerto come quarto portatore. Sempreche, ehm…» lanciò una veloce occhiata alla mia gobba, «che siate in gradodi reggere il peso.»

«Non sono un invalido», dissi pungente, sebbene il solo pensiero di fareda necroforo mi desse i brividi.

«Io non posso», se ne uscì mastro Goodhaps a gran voce. «Soffro d'artritealle spalle, rimarrei costretto a letto per una settimana…»

«Molto bene, mastro Goodhaps», disse l'abate stancamente. «Troverò unmonaco che vi sostituisca.»

Per la prima e ultima volta, scambiai uno sguardo complice con l'abatedietro le spalle del vecchio. Poi lui s'inchinò e si diresse verso il jubé, mentrenoi prendemmo posto dietro la bara di Singleton. Goodhaps tossì e affondòil naso in un fazzoletto.

La funzione ebbe inizio. Quella mattina, per quanto mi trovassi seduto dietrola maleodorante cassa d'un uomo ucciso, fui cullato dal magnifico canto polifonico dei monaci. I salmi e le letture in latino estratte dal libro di Giobbe mi commossero nel profondo.

E tu dici: «Che cosa sa Dio?

Può giudicare attraverso la caligine? Fitte nubi gli fanno velo e non vede E sulla volta dei cieli passeggia».

Nubi fittissime, pensai, ero ancora immerso nella nebbia. No, così nonandava proprio, dov'era finita la mia determinazione? E poi mi venne inmente un particolare che non avevo considerato in precedenza. Mark eGoodhaps mi sedevano accanto, il vecchio ancora con il fazzoletto al naso,mentre Mark guardava dritto davanti a sé, perso nei suoi pensieri. Gli diediun colpetto per richiamare la sua attenzione.

«Alice sarà in infermeria questa mattina?» sussurrai.

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«Suppongo di sì.»

«Bene.» Mi voltai verso Goodhaps. «Vorrei ci foste anche voi, prima dipartire.» L'uomo mi guardò con occhi smarriti.

Rivolsi nuovamente l'attenzione al servizio funebre. La salmodiaprocedette con cadenza altalenante, fino a scemare in un silenzio conclusivo.I monaci sfilarono fuori del coro e un servo, che aveva atteso in chiesa, siprecipitò a chiudere il coperchio della bara. Guardai per l'ultima volta il duroviso di Singleton e d'improvviso lo rividi in tribunale, le parole di fuoco, gliimpetuosi movimenti del braccio, l'ardore dell'arringa. Poi il coperchio fuabbassato e il suo volto scomparve nelle tenebre eterne. Il priore e unrobusto monaco di mezza età ci raggiunsero, e insieme sostenemmo il pesodella cassa. Nel sollevarla sentii qualcosa muoversi al suo interno. Mark sivoltò verso di me, gli occhi sgranati.

«La testa», sussurrai. «Dev'essere scivolata.»

Portammo la bara fuori dalla chiesa, con l'orribile consapevolezza dellatesta e del ciocco di legno che si muovevano liberi al suo interno, seguiti daimonaci in processione. Camminando lungo la navata, vidi fratello Gabrielchino in fervente preghiera sulla cassa del novizio Whelplay. Quando glipassammo accanto, levò lo sguardo e ci osservò con occhi persi e colmi didisperazione.

Le campane a morto squarciavano l'aria, e noi procedemmo nella nevefino al cimitero secolare, dov'era stata scavata la fossa, una spaccatura brunanel candore di quel paesaggio. Diedi uno sguardo al priore Mortimusaccanto a me; i duri lineamenti erano tesi da un'inconsueta ansietà.

I servitori attendevano, vanghe alla mano; presero la bara e la calarononella fossa. Leggeri fiocchi di neve presero a cadere silenziosi nel grigioredel mattino, impolverando la terra smossa, mentre venivano recitate leultime preghiere e l'acqua santa veniva spruzzata sulla cassa. Quando iservitori cominciarono a gettare le prime zolle sulla bara, i monaci sfilaronodi nuovo verso la chiesa. Li seguii, e il priore mi raggiunse.

«Non vedono l'ora di togliersi da questo freddo. Se, come me, avesserodovuto montare la guardia durante l'inverno…» Scosse il capo.

«Davvero?» chiesi con interesse. «Eravate soldato?»

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«Vi sembro tanto rude? No, mastro Shardlake, un tempo ero assistentedello sceriffo a Tonbridge. Lo aiutavo ad arrestare i malfattori, e di notte erodi ronda a caccia di ladri. Durante il giorno, invece, insegnavo in una scuola.Vi sorprende il fatto che sia stato uno studioso?»

Inclinai il capo. «Un poco, ma solo perché coltivate modi alquanto duri.»

«Non li coltivo, ci sono nato.» Sorrise sardonico. «Vengo dalla Scozia, enoi scozzesi non abbiamo la grazia degli inglesi. Eccezion fatta per lebattaglie non abbiamo granché, a dire il vero, almeno non nella città diconfine in cui sono nato. Lassù la vita è una continua lotta, signori che fannorazzie di bestiame combattendo fra loro e contro voi inglesi.»

«Che cosa vi ha portato in Inghilterra?»

«I miei genitori furono uccisi che io ero ancora un ragazzo. La nostrafattoria fu depredata… oh, da uno scozzese, non da un inglese.»

«Mi dispiace.»

«All'epoca studiavo alla scuola dell'abbazia di Kelso. Volevo andarmenevia, lontano, e i religiosi mi pagarono gli studi in un istituto inglese. Devotutto alla Chiesa.» I suoi occhi beffardi s'erano fatti stranamente seri. «Gliordini religiosi si trovano fra il mondo e lo spietato caos, commissario.»

Un altro rifugiato, pensai, un altro beneficiario della comunitàinternazionale di fratello Guy.

«Che cosa vi ha spinto a prendere i voti?»

«Ero stanco del mondo, commissario, della gente. Il mondo è popolato dimalfattori. Criminali stolti e avidi. Per ognuno di loro che riuscivo adarrestare e a mandare sulla forca, una dozzina era ancora a piede libero. Ah,l'uomo è una creatura scellerata, lontana dalla grazia, cui è difficile imporrela disciplina più che a una muta di cani. Ma in un monastero, almeno, ladisciplina del Signore può essere fatta rispettare.»

«E questa è la vostra vocazione sulla terra? Imporre la disciplina agliuomini?»

«Non è forse anche la vostra? Non vi sentite anche voi oltraggiatodall'assassinio di un essere umano? Non siete forse qui per trovare e punire il

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suo uccisore?»

«La morte del commissario vi ha oltraggiato?»

Si fermò, guardandomi fisso negli occhi. «È un ulteriore passo verso il caos. Voi pensate sia un uomo spietato, ma credetemi, la mano del demonio è assai lunga, e persino all'interno della Chiesa c'è bisogno di uomini al par mio che la tengano a bada. Come le leggi del sovrano aspirano a mantenere l'ordine nel mondo secolare.»

«Che cosa accade quando le leggi del mondo e quelle della Chiesa entranoin conflitto», gli chiesi, «come sta di recente accadendo?»

«In questo caso, mastro Shardlake, prego perché venga trovata unasoluzione, in modo che la Chiesa e il principe possano tornare a collaborarein armonia, poiché la loro lotta presta il fianco al demonio.»

«Allora fate che la Chiesa non sfidi il volere del principe. Bene, devoandare all'infermeria. Vi lascio, dovrete sicuramente tornare in chiesa. Per ilfunerale del povero novizio Whelplay», aggiunsi in tono allusivo.

L'uomo rispose al mio sguardo. «Pregherò perché a quel povero ragazzos'aprano le porte del paradiso, malgrado tutti i suoi peccati.»

Allontanandomi dal priore mi misi a osservare Goodhaps, che procedevavacillando al braccio di Mark. Mi chiesi se sarebbe stato in grado d'arrivarefino in città e mettere in atto la sua fuga.

Nella camerata dell'infermeria, Alice si stava ancora prendendo amorevolecura del vecchio monaco morente. L'uomo aveva ripreso conoscenza, e lafanciulla gli stava facendo mangiare qualche cucchiaio di semolino.Accudire quell'anziano aveva donato al suo viso una nuova, gentiledelicatezza. Le domandai di venire con noi nella piccola cucinadell'ospedale. Dissi loro di attendere, e andai a prendere il registro chel'economo m'aveva dato. Quando tornai e lo mostrai davanti ai loro occhi,mi guardarono tutti con grande curiosità.

«A detta dell'economo, questo è il registro sul quale il povero Singletonaveva messo le mani la notte stessa del suo omicidio. Ora, mastro Goodhapse Alice Fewterer, desidero che lo esaminiate entrambi e che mi diciate se lo

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avete mai visto prima d'ora. Noterete una grossa macchia di vino rosso sullacopertina. In chiesa m'è venuto in mente che chiunque abbia già visto questoregistro dovrebbe ricordare anche la macchia.»

Goodhaps mi raggiunse e prese il libro mastro, rigirandolo fra le mani.

«Ricordo che il commissario stava esaminando un registro dalla copertinablu. Potrebbe trattarsi proprio di questo. Ma non saprei, non ricordo conprecisione.»

«Permettete?» Alice s'avvicinò e prese il libro a sua volta. Studiò lacopertina, rigirò il volume fra le mani, e poi disse in tono deciso: «Non èquesto».

Ebbi un tuffo al cuore. «Ne siete certa?»

«Il registro che fratello Edwig diede al commissario non era macchiato.Lo avrei notato: l'economo è un grande amante dell'ordine e della pulizia.»

«Sareste disposta a giurarlo in un'aula di tribunale?»

«Certo, signore.» Parlò con voce pacata ma seria.

«Allora ho la certezza che l'economo abbia tentato di depistarmi.» Annuiigravemente. «Molto bene. Vi ringrazio ancora, Alice. Prego tutti voi di nonrivelare nulla di quanto è stato detto ora.»

«Io non sarò neppure qui», disse Goodhaps con aria compiaciuta. Guardai fuori della finestra, la neve aveva smesso di cadere. «Già, mastro Goodhaps, penso sia arrivato il momento che vi mettiate in marcia. Mark, forse potresti accompagnare il dottore in città?»

Il vecchio s'animò. «Vi ringrazio, signore. Un braccio cui appoggiarmi è il benvenuto, e ho diversi bagagli presso la dimora dell'abate. C'è anche il mio cavallo, se potesse essere ricondotto a Londra quando il tempo lo permetterà…»

«Certo, certo. Mark, mi raccomando, fai più in fretta che puoi. Abbiamodel lavoro da sbrigare.»

Mark aiutò il vecchio a rimettersi in piedi. «Addio, commissario», disseGoodhaps. «Spero sarete al sicuro in questo luogo malefico.» E sulla scia di

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quel benaugurante commiato se ne andò. Feci ritorno alla mia stanza enascosi il registro sotto le coperte. Ero soddisfatto. Avevo fatto un passoavanti. Come prossima mossa, sarei andato a ispezionare la chiesa e il vivaioittico. Mi chiesi quanto ci avrebbe messo Mark a ritornare da Scarnsea; dasolo, poco più di un'ora, ma con il vecchio… Forse stavo rammollendomi,ma non mi piaceva l'idea di Goodhaps che arrancava nella neve, solo ecarico di bagagli.

Decisi di andare nelle stalle; i cavalli non venivano portati all'aperto daparecchi giorni. Uscii nuovamente e mi feci strada verso le scuderie, dove ungiovane stalliere, intento a spazzare, mi assicurò che gli animali erano inbuone condizioni. In effetti, sia Chancery sia Redshanks avevano unbell'aspetto e furono lieti di vedermi, dopo tanto tempo trascorso al coperto.Accarezzai il lungo muso latteo di Chancery.

«Ti piacerebbe fare un giro, vecchio mio?» dissi affettuosamente. «No,meglio annoiarsi qui dentro che vagare là fuori. Ci sono cose peggiori chestare chiuso in una stalla.»

Il giovane mi passò accanto, guardandomi incuriosito.

«Non parli mai ai tuoi cavalli?» gli chiesi. Il ragazzo bofonchiò qualcosad'incomprensibile e ritornò alle sue mansioni.

Salutai gli animali e mi diressi lentamente verso l'infermeria. Uscito, notaiche una parte della corte era stata ripulita dalla neve. Sul terreno spazzatoerano stati tracciati con il gesso quadrati di diverse misure, e alcuni monacierano impegnati in un gioco che consisteva nel saltellare qua e là secondo illancio d'un dado. Bugge li stava osservando, appoggiato alla vanga. Nelvedermi arrivare, i monaci interruppero lo svago e si spostarono da un lato,ma io feci loro cenno di proseguire. Conoscevo quel gioco dai tempi diLichfield, un'elaborata combinazione di campana e tiro dei dadi comune atutte le case benedettine.

Mentre ero fermo a osservarli, fratello Septimus, l'ingenuo monaco obesoche fratello Guy rimproverava per la dieta sconsiderata, apparve barcollante,sbuffando e arrancando nella neve.

«Vieni a giocare con noi, Septimus», lo chiamò uno dei confratelli,suscitando un'ondata di risa.

«Oh, no, no, non posso, finirei per cadere.»

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«Vieni, questa è la versione semplice. Un bicchier d'acqua anche per unozuccone come te.»

«Oh, no… no.»

Uno dei monaci lo afferrò per il braccio e lo trascinò, nonostante leproteste, nel bel mezzo del campo di gioco, dove i confratelli gli avevano giàfatto spazio. Ridacchiavano tutti, persino Bugge. Non passò neppure unminuto che Septimus scivolò su uno strato di ghiaccio e cadde, atterrandosul fondoschiena con un lamento. I confratelli esplosero in una sonora risata.

«Aiutatemi», gemette fratello Septimus.

«Sembra uno scarafaggio a gambe all'aria! Forza, scarafaggio, rimettiti inpiedi!»

«Tiriamogli delle palle di neve!» gridò qualcuno. «Vedrete se non sialza!»

I monaci cominciarono a bersagliare il disgraziato confratello che, fra ilpeso e i suoi problemi di salute, non riusciva a rialzarsi. Iniziò allora a urlaree a contorcersi come una tartaruga arenata.

«Fermatevi!» gridai. «Fratelli, vi prego, smettete!»

I religiosi continuarono a colpirlo, incuranti di me. Il loro non era certouno scherzo di buon cuore. Mi domandai se fosse il caso d'intervenire conpiù fermezza.

«Fratelli! Ora basta!»

I monaci lasciarono cadere le palle di neve, vedendo l'imponente figura difratello Gabriel farsi avanti, cupo in viso.

«È forse questo un esempio di fratellanza cristiana? Dovreste vergognarvidi voi stessi! Aiutatelo ad alzarsi!» Due dei monaci più giovani s'affrettaronoad andare in soccorso al povero Septimus, ansante e scosso.

«In chiesa! Tutti quanti! La prima inizia fra dieci minuti!» Il sacristarimase stupito nel notarmi fra gli spettatori. Mentre i religiosi sidisperdevano, mi raggiunse.

«Sono dolente, commissario. Talvolta i monaci possono essere

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indisciplinati come scolaretti.»

«Me ne sono accorto.» Ricordai la conversazione avuta con fratello Guy.

«Nemmeno un briciolo di fratellanza cristiana nel loro gesto.» GuardaiGabriel con occhi nuovi, comprendendo che la sua nomina fra gli officialidel monastero aveva la sua ragion d'essere: era capacissimo di esercitareautorità e forza morale, quand'era necessario. Poi, proprio sotto i miei occhi,questo potere parve dissolversi dal suo viso, che fu travolto dalla tristezza.

«Cercare vittime e capri espiatori pare essere una regola universale, noncredete? Specialmente in tempi di difficoltà e tensione. Come ho già avutomodo di dire, signore, persino i monaci non sono immuni alle astuzie deldemonio.» Fece un rapido inchino e seguì i confratelli in chiesa.

Io ripresi la strada verso l'infermeria, passando di nuovo attraverso lacamerata. Ero affamato e feci una sosta in cucina per prendere una mela. Maqualcosa attirò il mio sguardo fuori della finestra. Un vistoso spruzzoscarlatto sulla candida neve. Raggiunsi la finestra, e le gambe mi ressero astento.

Alice giaceva supina nel giardino, un vaso rotto al suo fianco. Il sanguesotto di lei emanava ancora un tiepido vapore.

Capitolo diciannove

Mugolai, portando un pugno alla bocca. Simon Whelplay era morto peravermi parlato; non poteva essere toccata la stessa sorte anche ad Alice. Miprecipitai nella corte, implorando con tutte le mie forze - sebbenesolitamente mi facessi scherno dei miracoli - che i miei occhi potesseroessersi ingannati.

La ragazza giaceva scompostamente, faccia a terra, accanto al sentiero.

Il sangue tutt'intorno era così abbondante che per un terribile istante pensaifosse stata decapitata come Singleton. Mi costrinsi a guardare più da vicino;era intera. Evitando i cocci del vaso m'inginocchiai accanto a lei. Le posaiuna mano sul collo per sentire le pulsazioni, e lanciai un'esclamazione di

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sollievo nell'udire che il cuore le batteva forte in petto. Al tocco della miamano, Alice si mosse, lamentandosi. Spalancò gli occhi, il cui intensoazzurro si stagliava sul viso imbrattato di sangue.

«Alice! Oh, grazie al cielo, siete viva. È un miracolo!» Mi chinai e la presifra le braccia, singhiozzando per la gioia, sentendo in lei il calore della vita eil battito del suo cuore.

La fanciulla mi premette le braccia sul petto. «Signore, che cosa fate, no…» la lasciai, e lei si mise seduta, vacillando.

«Perdonatemi, Alice», dissi, confuso e imbarazzato. «È stato un gestodettato dal sollievo, vi credevo morta. Però non muovetevi, siete gravementeferita. Ma dove?»

Lei abbassò lo sguardo sull'abito imbrattato di vermiglio, osservandosi constupore, poi portò una mano alla testa. Il suo viso s'addolcì e, con miasomma sorpresa, si mise a ridere.

«Non sono ferita, signore, solo un po' frastornata. Sono scivolata sulla neve e sono caduta.»

«Ma..»

«Trasportavo una brocca piena di sangue. I salassi, ricordate? Non è ilmio.»

«Oh!» M'appoggiai al muro dell'infermeria, quasi stordito per il sollievo.

«Di solito andiamo a rovesciarlo in giardino, ma fratello Guy ha dettod'attendere il disgelo, così stavo andando a portarlo nella rimessa.»

«Sì, sì, comprendo.» Risi mesto. «Ho fatto la figura dell'idiota.» Abbassai lo sguardo sul mio farsetto macchiato di sangue. «E mi sono rovinato il vestito.»

«Ve lo pulirò io, signore.»

«Mi spiace di… ehm… avervi stretta a quel modo. Non avevo cattiveintenzioni.»

«Lo so, signore», disse lei imbarazzata. «A me spiace d'avervi tantoallarmato. Non ero mai scivolata prima, ma i sentieri si sono ghiacciati. Vi

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ringrazio per le vostre premure.» Chinò il capo.

M'accorsi che si era come rannicchiata in se stessa, e ne dedussi, con grande delusione, che il mio abbraccio non era stato gradito.

«Rientriamo», dissi. «Dovreste stendervi un poco, dopo una così brutta caduta. Vi sentite stordita?»

«No, sto bene.» Non prese il braccio che le offrivo. «Penso che dovremocambiarci entrambi.» S'alzò, gocciolante di neve insanguinata, e la seguiiall'interno. Poi lei tornò in cucina e io nella mia stanza. Mi cambiai,lasciando gli abiti macchiati sul pavimento. Andai a sedermi sul letto, inattesa del ritorno di Mark. Sarei potuto andare da Alice per domandarle che imiei vestiti fossero lavati, ma mi sentivo imbarazzato e riluttante.

L'attesa mi sembrò eterna. Udii nuovamente le campane a morto, lontano;ora i funerali di Simon Whelplay erano terminati. Mi maledissi per non averlasciato partire Goodhaps da solo. Volevo andare al vivaio, e avevo ideatoun piano per incastrare fratello Edwig.

Udii delle voci. Insospettito, andai ad aprire la porta. Dei mormoriigiungevano dalla cucina. Mark e Alice stavano parlando. M'incamminailungo il corridoio.

La veste di Alice giaceva sul lavatoio, dov'era stata pulita. Lei indossavasoltanto una bianca sottoveste, ed era fra le braccia di Mark. Non stavanoridendo, il viso di lei contro il suo collo era colmo di tristezza, e anche Markaveva un'espressione seria, come se il suo fosse solo un abbraccio diconforto. Mi videro e si separarono di scatto, allarmati. Scorsi il movimentodei suoi seni pieni e sodi sotto la veste, i turgidi capezzoli contro la stoffa, edistolsi lo sguardo.

«Mark Poer», dissi pungente, «ti ho domandato di far presto. Abbiamo dellavoro da sbrigare.»

Il giovane arrossì. «Mi spiace, signore, io…»

«E voi, Alice, è questo che chiamate pudore?»

«Non ho abiti di ricambio», mi rispose con disprezzo. «E questo è l'unicoposto in cui posso lavarlo.»

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«Allora avreste dovuto chiudervi a chiave. Mark, andiamo.» Inclinai ilcapo e lui mi seguì lungo il corridoio.

Giunti nella nostra stanza, lo affrontai. «T'ho già detto che non devi amoreggiare con lei. Ma mi pare ovvio che le vostre conversazioni siano andate ben oltre quel che immaginavo!»

«In questi giorni ci siamo incontrati ogni volta che c'è stato possibile.» Miaffrontò con audacia. «Sapevo che non avreste approvato. Ma al cuore non sicomanda.»

«Proprio com'è accaduto con la dama di corte della regina. Questa storia avrà la stessa conclusione?»

Mark arrossì. «È molto diverso», sbottò. «I miei sentimenti per madamigellaFewterer sono più che onorevoli! Provo per lei quello che non ho mai provato per nessuna donna. Dite pure quel che volete, ma è così. Non abbiamo fatto nulla di male, ci siamo solo abbracciati e baciati, come voi avete ben visto. La caduta l'aveva turbata.»

«Madamigella Fewterer? Dimentichi che Alice non è una madamigella, èuna domestica.»

«Questo non ha impedito a voi di stringerla fra le braccia, quand'è caduta.Ho visto come la guardate, signore. L'ammirate anche voi!» Mosse un passoverso di me, il viso contratto da un'improvvisa rabbia. «Voi siete geloso!»

«Per l'amor del cielo!» gridai. «Sono stato troppo tenero con te. Dovreicacciarti all'istante e spedirti dritto a Lichfield, a zappare la terra!»

Non disse nulla. Mi sforzai di placare la mia ira.

«Dunque, tu credi che io sia un povero storpio folle di gelosia. Sì, Alice èuna fanciulla attraente, lo ammetto. Ma noi siamo qui perché abbiamo uncompito serio da svolgere. Che cosa penserebbe Lord Cromwell se sapesseche passi il tuo tempo ad amoreggiare con una servetta, eh?»

«Nella vita non esiste soltanto Lord Cromwell», mormorò.

«Ah, davvero? Perché non vai a dirglielo? E non è tutto. Che cosaintenderesti fare, portare Alice a Londra con te? Dici di non voler tornarealle Aumentazioni, è dunque un'esistenza da servitore quella cui aspiri?»

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«No.» Esitò, abbassando lo sguardo.

«Ebbene?»

«Pensavo che forse voi mi avreste voluto come assistente, signore, comepraticante. Vi ho già assistito in passato, e voi vi eravate detto contento dime…»

«Uno scribacchino?» dissi incredulo. «Lo scribacchino d'un avvocato? Èquesto il massimo delle tue ambizioni?»

«Non è un buon momento per chiedervelo, lo so», disse imbronciato.

«Misericordia, non esiste un buon momento per una simile richiesta! Midisonoreresti con tuo padre, e disonoreresti anche te stesso per la mancanzadi un'onesta ambizione. No, Mark, non farò mai di te il mio assistente.»

Mi rispose con improvviso ardore. «Per uno che non fa che parlare di comunione cristiana e del benessere degli indigenti, avete una scarsa considerazione della povera gente!»

«Il mondo ha bisogno d'una gerarchia sociale. Non siamo tutti allo stessolivello, e Dio non ha mai disposto altrimenti.»

«L'abate sarebbe d'accordo con voi. Come pure il giudice Copynger.»

«Basta, stai andando troppo oltre!» gridai. Rimase a guardarmi in silenzio,celandosi dietro la sua tipica maschera d'impassibile furia. Lo additai confare perentorio.

«Fai bene attenzione. Sono appena riuscito a ottenere un po' della fiduciadi fratello Guy. Mi ha rivelato che cosa è accaduto a Simon Whelplay. Pensisi sarebbe comportato allo stesso modo se lui, invece del sottoscritto, avesseassistito alla scena di poco fa? Quella ragazza è sotto la sua protezione.»

Rimase ancora in silenzio.

«Le tue civetterie con Alice devono finire all'istante. Mi hai capito? E ticonsiglio di riflettere con molta attenzione sul tuo avvenire.»

«Sì, signore», bofonchiò freddamente. Avrei avuto voglia dischiaffeggiarlo.

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«Prendi il mantello. Andiamo a esaminare il vivaio. Di ritorno, passere- mo per le cappelle laterali.»

«È come cercare un ago in un pagliaio», disse Mark scontroso. «Le provepotrebbero essere state sepolte.»

«Non ci vorrà più di un'oretta. Forza. E spero per te che tu sia abituatoall'acqua gelata», aggiunsi maligno. «Sarà molto più freddo dell'abbraccio diquella fanciulla.»

C'incamminammo in silenzio. Ero furioso; furioso per la scapestratainsolenza di Mark e furioso con me stesso, perché ciò che aveva detto sullamia gelosia era vero. Vederlo stringere Alice fra le braccia, dopo che io erostato appena respinto, mi aveva ferito. Lo guardai di traverso. Prima Jerome,ora Alice. Come riusciva questo ragazzo testardo e autoindulgente a farmisentire sempre in torto?

Passando di fronte alla chiesa, vedemmo i monaci entrarvi nuovamente, infila per due. Simon era stato sepolto nel cimitero religioso, maevidentemente un altro servizio sarebbe stato officiato per lui, sebbene nonce ne fossero stati per Singleton. Pensai amaramente che Simon sarebbestato grato di ricevere un decimo di quanto il Signore aveva donato a Markcon tanta generosità.

Arrivati al cimitero secolare, lui si fermò d'improvviso. «Guardate», disse.«È strano.» Indicò la tomba di Singleton, con la bruna terra che si stagliavasul candore del paesaggio. La neve appena caduta aveva steso la suapolverosa coltre tutt'intorno tranne che sulla tomba.

La raggiungemmo e osservammo disgustati. Sulla sepoltura era stato versatoun liquido viscoso, scintillante al pallido sole. Mi chinai, vi intinsi un dito e lo portai al naso. Sbuffai irritato.

«Sapone! Qualcuno ha coperto la tomba di sapone. Per impedire all'erba dicrescere. La neve s'è sciolta.»

«Per quale ragione?»

«Non sai che l'erba non cresce sulla tomba dei peccatori? Quand'eroragazzo, una donna venne impiccata con l'accusa d'infanticidio. La famiglia

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di suo marito ricoprì di nascosto la tomba con del sapone in modo che nullapotesse crescervi, proprio come hanno fatto qui. Un atto di vera infamia.»

«Chi può essere stato?»

«Come posso saperlo? Madre mia, ordinerò all'abate Fabian di portarlitutti qui perché la ripuliscano sotto la mia personale supervisione… anzi,sotto la tua: sarà per loro un'umiliazione più grande.»

Procedemmo poi faticosamente attraverso il cimitero e oltre il frutteto,sprofondati in quasi un piede di neve. Un sole acquoso si rifletteva nel fiumee sul vivaio.

Mi feci strada fra i giunchi gelati. Il ghiaccio s'era ispessito, ed era statocoperto da un leggero strato di neve fresca. Chinandomi e aguzzando bene lavista, tuttavia, potevo ancora scorgere un oggetto che brillava fioco nellostagno.

«Mark, vedi quel mucchio di pietre dove il muro è stato rabberciato?Prendine una grossa e rompi il ghiaccio.»

Sospirò, ma il mio sguardo severo lo convinse a fare quanto gli avevochiesto. Mi allontanai. Mark sollevò un masso e lo gettò al centro dellaghetto. Udimmo un terribile frastuono che non mancò di darmi una certasoddisfazione, e dovetti scansarmi per evitare un grosso spruzzo d'acquamisto a schegge di ghiaccio. Lasciai che l'acqua si fermasse, poi mi avvicinaicon cautela alla riva, mi misi carponi e scrutai verso il fondo. I pesci,disturbati, nuotavano frenetici tutto intorno.

«Ecco… ecco, proprio là, riesci a vedere? Un barlume dorato?»

«Mi pare di sì», concordò Mark. «Si, c'è qualcosa. Volete che provi arecuperarlo? Se prendo il vostro bastone e voi mi reggete per l'altro braccio,potrei riuscire a ripescarlo.»

Scossi il capo. «No. Voglio che tu ci entri.»

Mi guardò incredulo. «L'acqua è quasi ghiacciata.»

«L'assassino di Singleton potrebbe aver gettato là dentro anche le sue vestiinsanguinate. Forza, non sarà profondo più di due o tre piedi.Sopravviverai.»

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Per un attimo pensai si sarebbe rifiutato, ma poi serrò le labbra e si chinòper sfilarsi il mantello, le soprascarpe e infine gli stivali. Alle costosecalzature di pelle un bagno non avrebbe certo fatto bene. Si fermò unmomento, tremante, i piedi e le gambe quasi dello stesso candore della neve.Poi fece un respiro profondo ed entrò nell'acqua, gridando per la suatemperatura gelida.

Pensavo gli sarebbe arrivata al massimo fino alle cosce, invece, dopoappena qualche passo, lo vidi sprofondare con un urlo fino al petto. Dellegrosse bolle di gas maleodorante cominciarono a eruttare tutto intorno,talmente stomachevoli che, mio malgrado, dovetti arretrare d'un passo.

Mark rimase nell'acqua, annaspando, finché il puzzo si dissolse.

«C'è almeno un piede di fango… puah!» disse senza fiato.

«Già», risposi. «Certo. Il limo del fiume finisce sul fondo. Vedi niente? Ciarrivi?»

Il giovane mi fulminò con lo sguardo, poi, brontolando, si chinò facendo sparire il braccio sott'acqua. Cercò a tentoni. «Sì… c'è qualcosa… è affilata…» Il braccio riapparve. In pugno stringeva una massiccia spada, l'impugnatura decorata in oro. La gettò sulla riva, e io ebbi un tuffo al cuore.

«Ben fatto!» sussurrai. «Ora… vedi se riesci a trovare dell'altro.»

Si chinò nuovamente, immergendosi fino alla spalla e formando lenteonde concentriche che andavano a morire sulla sponda ghiacciata.

«Jesu, com'è fredda. Aspettate… sì, c'è qualcos'altro… qualcosa dimorbido… della stoffa, credo.»

«Gli abiti dell'assassino!»

S'alzò, tirando con tutte le forze, poi perse l'equilibrio e gridando finì sottola superficie, mentre un'altra figura balzò fuori dell'acqua. Una figuraumana, vestita con una tunica. Rimasi impietrito. Il torso parve fluttuarenell'aria per un istante, i capelli avviluppati attorno al viso, per poi ricaderecon uno spruzzo fra i giunchi.

Mark riaffiorò, e prese a gridare per il grande spavento, annaspando versola riva. Issandosi sulla sponda, crollò sulla neve, mentre le grida scemarono

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in singhiozzi, gli occhi sgranati quanto i miei alla vista di quella figura nelcanneto. Era il corpo d'una donna, grigio e decomposto, vestito con abiti dadomestica. Le orbite erano vuote e una bocca senza labbra si apriva su scuridenti serrati. Delle ciocche di capelli, simili a code di ratto, le venavano ilviso.

Mark si mise in piedi, tremante. Si fece il segno della croce, una, due volte, esi mise a pregare in latino.

«È tutto finito», dissi rassicurante, la rabbia svanita. «È tutto finito.» Glimisi una mano sulla spalla, tremava come una foglia. «Doveva giacere sottoil limo. Si sono sviluppati dei gas, e tu li hai smossi. Ma sei al sicuro, quellapovera creatura non può farci del male.» Eppure persino la mia vocetremava di fronte a quello spaventoso spettacolo.

«Vieni, o ti buscherai una polmonite. Su, infilati gli stivali.» Obbedì, eparve calmarsi un poco.

Ma qualcos'altro era emerso dal fondo dello stagno; un grosso pezzo distoffa marrone, gonfiato dai gas. Lo raggiunsi con il bastone, temendo unsecondo cadavere, invece era solo l'abito di un monaco. Lo trascinai a riva elo distesi sulla sponda. Era imbrattato di macchie scure, forse di sanguecongelato. D'improvviso mi tornò alla mente la grossa carpa che avevamomangiato a cena la sera del nostro arrivo, e rabbrividii.

Mark fissava ancora il cadavere, gli occhi colmi d'orrore. «Chi è?»balbettò.

Feci un respiro profondo. «Temo che abbiamo ritrovato OrphanStonegarden.» Osservai la spaventosa testa, un teschio rivestito di pelleingrigita. «'Un visetto dolce e gentile', ha detto comare Stumpe. 'Uno deivolti più graziosi ch'abbia mai visto.' Dunque questo intendeva SimonWhelplay, quando ha cercato di mettere in guardia Alice. Lui sapeva.»

«Quindi i morti salgono a tre.»

«Prego il Signore perché questo sia l'ultimo.» Mi costrinsi a raccogliere latunica. La voltai e rimasi allibito nel vedere una piccola arpa cucita sullastoffa. L'avevo già vista, era l'emblema del sacrista.

«È di fratello Gabriel», dissi con voce strozzata.

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Capitolo venti

Dissi a Mark di correre ad avvertire l'abate, più veloce del vento in mododa riscaldarsi il sangue nelle vene. Lo osservai farsi faticosamente stradanella neve, poi mi voltai di nuovo verso lo stagno. Delle bolle fangose silevavano ancora a muoverne la superficie. Mi domandai se anche la reliquiapotesse trovarsi là sotto, forse assieme ai calici che la ragazza era stataaccusata d'aver rubato.

Mi costrinsi ad avvicinarmi al cadavere. Legata al collo portava una sottilecatenina d'argento, e dopo un istante d'esitazione mi chinai e la presispezzandone facilmente le maglie fra le dita. Dalla catena pendeva unpiccolo ciondolo con la grezza immagine d'un uomo, con un pesante fardellosulle spalle. La infilai in tasca e presi la spada. Era un'arma preziosa, laspada d'un nobiluomo. Sulla lama era stampigliato il marchio del fabbro chel'aveva forgiata: J.S.1507, e sotto c'era l'effigie d'una costruzione squadratacon quattro torri puntute.

Andai a sedermi sul cumulo di pietre accanto al muro. Il freddo e lospavento mi fecero però ben presto gelare le dita di mani e piedi, dunquem'alzai e mi misi ad agitare le braccia e a battere i piedi per riattivare lacircolazione.

Feci avanti e indietro, mentre la neve scricchiolava sotto i miei passi,riflettendo sui possibili significati di quelle scoperte finché nella mia mentele tessere di quell'intricato mosaico presero a ordinarsi. Poco dopo, udii dellevoci provenire dal frutteto, e vidi Mark avvicinarsi a passo svelto,accompagnato da due scure figure incappucciate, l'abate e il priore. Il prioreMortimus portava un grosso lenzuolo. L'abate Fabian s'avvicinò a osservarela macabra scoperta con occhi colmi d'orrore. Si fece il segno della croce emormorò una preghiera. Il priore raggiunse il cadavere e lo osservò condisgusto. Poi il suo sguardo si posò sulla spada.

«La donna è stata uccisa con quella?» sussurrò.

«Non credo. Però presumo che questa sia la spada che ha uccisoSingleton. Il vivaio è stato usato come nascondiglio in più di un'occasione.»

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«Di chi è il cadavere?» chiese l'abate, con voce inquieta.

Lo guardai senza scompormi. «Ho saputo di una precedente assistente delfrate infermiere scomparsa un paio d'anni or sono. Una fanciulla di nomeOrphan Stonegarden.»

Il priore guardò nuovamente il cadavere. «No», lo udii mormorare. Nellasua voce percepii rabbia, dolore e sconcerto. «Lei… lei è scappata», disse.

«Era una ladra…»

Ci voltammo, udendo delle voci alle nostre spalle. Fummo raggiunti daquattro servitori che portavano una barella. L'abate fece un cenno al prioreMortimus, e questi gettò il lenzuolo sul corpo. L'abate si avvicinò.

«Il monastero è in subbuglio. Mastro Poer è stato visto arrivare di corsaalla mia abitazione, poi io ho mandato i miei servitori a prendere unabarella… Ma, vi prego, non diffondiamo la notizia, diciamo soltanto che sitratta di una persona affogata nel vivaio, non di quella ragazza…»

«Per il momento», concordai. Prima che i servitori ci raggiungessero,nascosi la spada nel saio. Gli uomini esitarono, facendosi il segno dellacroce. «Mark, aiutali», dissi. Notai che s'era tolto i vestiti zuppi d'acqua eora, sotto il mantello, portava la veste blu dei domestici. Li aiutò adistendere la figura avvolta nel lenzuolo sulla lettiga e i quattro lasollevarono senza fatica; era leggera come una piuma.

«Portate la barella in infermeria», dissi. Seguimmo i servitori inprocessione. Lanciai un paio di occhiate verso il priore, ma lui distolse losguardo. Dal corpo cadevano gocce d'acqua sporca che chiazzavano la neve.

Nel frutteto una piccola folla di monaci e servitori ronzava agitandosi quae là come uno sciame d'api. Il priore gridò loro rabbiosamente di tornare alleproprie occupazioni, e questi si dispersero lanciando occhiate alla barellaricoperta dal lenzuolo. Fratello Guy ci raggiunse.

«Di chi si tratta? Ho sentito che qualcuno è affogato nel vivaio.»

Mi rivolsi ai servitori. «Portate il cadavere in infermeria perché fratelloGuy possa esaminarlo. Mark, accompagnali. E prendi questo, mettilo nella

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nostra stanza.» Gli porsi l'abito fradicio. «Attento alla spada», mormorai.

«È molto affilata.»

«Dovrò dire qualcosa ai confratelli», disse il priore.

«Dite soltanto che nello stagno è stato rinvenuto un cadavere. Ora, signorabate, vorrei scambiare due parole con voi.» Feci un cenno in direzione deisuoi appartamenti.

Ancora una volta, l'uomo andò a sedersi dietro la scrivania ricoperta daun'infinità di documenti, il sigillo dell'abbazia appoggiato sul blocco di cerarossa. Il suo viso pareva essere invecchiato di secoli nell'arco di pochi giorni,mentre il piglio sicuro aveva lasciato posto alla grigia spossatezza dellapaura.

Appoggiai la spada sullo scrittoio. Lui la guardò con disgusto. Poi presi lacatenina e gliela mostrai. «La riconoscete, signore?»

Si protese in avanti e la osservò. «No, non l'ho mai vista prima d'ora. Eraforse sul… sul…»

«Sul cadavere? Sì. E la spada?»

Scosse il capo. «Non abbiamo spade qui.»

«Non vi chiederò se riconoscete il cadavere, sarebbe impossibile. Dunque,non mi resta che domandare a comare Stumpe se conosce il medaglione.»

L'uomo mi guardò con orrore. «La donna che si occupa dell'ospizio?

Deve essere coinvolta? Non nutre una grande simpatia nei nostri confronti.»

«E ne avrà ancora meno se verrà fuori che la sua protetta è stata uccisa egettata nel vostro vivaio. M'ha riferito che la ragazza era scontenta del suolavoro qui. Che cosa potete dirmi a questo proposito?»

Per tutta risposta, l'uomo affondò il viso fra le mani. Pensai si sarebbemesso a singhiozzare, ma non lo fece. Sollevò la faccia e mi fissò.

«Non è buona norma permettere a delle fanciulle di lavorare nelle case

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monastiche. In questo concordo con Lord Cromwell. Ma fratello Alexander,il predecessore di fratello Guy, stava invecchiando e aveva bisogno diassistenza. Ci fu mandata quella giovane, ed egli volle prenderla con sé.»

«Forse gradiva il suo aspetto, ho saputo che era molto graziosa.»

L'abate tossicchiò. «Non fratello Alexander. Invero, pensai fosse piùsicuro così che se avesse avuto un assistente maschio. A quell'epoca le visitenon erano ancora cominciate, e… ehm…»

«Capisco. Un'epoca in cui i ragazzi dovevano guardarsi il fondoschiena.

Ma fratello Guy era già qui, quando la fanciulla è scomparsa, non è forse vero?»

«Sì. Fratello Alexander fu denunciato nella visita del vescovo. Ne rimasedistrutto, e morì d'un attacco di lì a poco. Quindi, fratello Guy prese il suoposto.»

«Dunque, chi può aver molestato la fanciulla? Qualcuno dev'essere purstato.»

L'abate scosse il capo. «Commissario, avere una giovane in giro per ilmonastero è una tentazione assai forte. Le donne sono tentatrici, basti pesaread Adamo ed Eva. E i monaci sono fatti di carne…»

«Per quanto ne so, la fanciulla non ha tentato nessuno ma è stata, invece, vittima di fastidi e molestie. Quindi vi domando ancora una volta, che cosa sapete?»

Il religioso lasciò cadere le spalle. «Fratello Alexander si lamentò piùvolte. Disse che un giovane monaco di nome Luke, che lavora in lavanderia,aveva… molestato la giovane.»

«Intendete dire che la prese con la forza?»

«No, no, no. Non osò tanto. Convocai fratello Luke e gli vietai di vederela giovane. Ma questi ebbe nuovamente modo di molestarla, dunque gli dissiche se non avesse smesso all'istante, sarei stato costretto a cacciarlo.»

«Nessun altro? Fra gli obedenziari, per esempio?»

Mi guardò con occhi colmi di terrore. «Ci furono delle accuse nei

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confronti di fratello Edwig e del priore Mortimus. Per… aver fatto degliapprezzamenti pesanti. E anche in quel caso io… io li misi in guardia.»

«Fratello Edwig?»

«Sì.»

«E i vostri avvertimenti hanno sortito l'effetto desiderato?»

«Io sono l'abate, signore», disse con un velo della sua vecchia boria. Esitò.«Non può essere che la giovane si sia affogata di sua sponte, in preda alla…disperazione?»

«Però è corsa la voce che avesse rubato due calici e si fosse data allafuga.»

«È quanto abbiamo pensato quando le coppe sono sparite dalla chiesa incoincidenza con la sua scomparsa. Ma… non potrebbe essersi pentita del suogesto, averle gettate nello stagno e poi essersi affogata?»

«Voglio che il vivaio sia dragato, ma l'eventuale rinvenimento dei duecalici non proverà nulla. Il suo assassino potrebbe averli presi e gettati nellaghetto assieme al cadavere per depistare le indagini. La faccenda dovràessere investigata a fondo, signore. Forse dovremo coinvolgere le autoritàlocali, nella persona del giudice Copynger.»

Il religioso chinò il capo e rimase seduto in silenzio per un istante.

«È tutto finito, non è così?» disse d'improvviso con voce sommessa.

«Che cosa intendete?»

«La nostra vita qui. La vita monastica in Inghilterra. Non ho fatto cheilludermi, vero? La legge non ci salverà. Anche se scopriremo chel'assassino del commissario Singleton è qualcuno del paese.»

Non risposi.

L'abate prese una carta dalla scrivania, la mano che gli tremava appena.

«Poc'anzi ho avuto modo di riesaminare la bozza dell'Atto di resa che ilcommissario Singleton m'aveva sottoposto.» Citò: «'Siamo convinti che gliusi e costumi che noi e altri seguaci della nostra falsa dottrina abbiamo

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lungamente praticato consistono d'ottuse cerimonie e di taluni riti di retaggioromano e d'altri potentati.' Da principio pensai che Lord Cromwell aspirasseai nostri beni e alle nostre ricchezze, e che questo paragrafo fosse a puroappannaggio dei riformatori.» Alzò lo sguardo. «Ma da quanto ho saputodalla prioria di Lewes… si tratta d'una clausola ordinaria, non è così? Tuttele case sono destinate a soccombere. E quanto è accaduto qui ha segnato lafine di Scarnsea.»

«Tre persone sono andate incontro a una morte orribile», dissi. «Eppuresembrate preoccuparvi solo della vostra sopravvivenza.»

Mi guardò colmo di stupore. «Tre? No, signore, solo due. Una soltanto, sela ragazza si fosse suicidata…»

«Fratello Guy è convinto che Simon Whelplay sia stato avvelenato.»

L'abate si scurì in viso. «Allora, avrebbe dovuto parlarmene. Sono un suosuperiore.»

«Gli avevo domandato io di non farne parola con nessuno per un po'.»

Mi fissò dritto negli occhi. Quando parlò nuovamente, la sua voce s'erafatta un flebile sussurro.

«Avreste dovuto vedere questa casa soltanto cinque anni fa, prima deldivorzio del sovrano. Una vita regolata, sicura. Preghiera e devozione, loscorrere delle stagioni immutabile da tempi immemorabili. I benedettini mihanno donato una vita che il mondo mi avrebbe negato; il figlio d'uncommerciante navale che diviene abate…» Abbozzò un debole sorriso.

«Non piango solo per me stesso, commissario; ma per la tradizione, per lavita. Sono già due anni che l'ordine ha cominciato a mostrare segni dicedimento. Prima condividevamo le medesime credenze, i medesimipensieri, ma le riforme hanno portato dissidi e discordia. E ora anchel'omicidio. La dissoluzione», sussurrò. «La dissoluzione.» Due grosselacrime gli si formarono agli angoli degli occhi. «Firmerò l'Atto di resa»,disse pacato.

«Del resto non ho alternative, non è così?» Scossi il capo lentamente.

«Otterrò la pensione che il commissario Singleton m'aveva promesso?»

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«Sì, signore, avrete la vostra pensione. Mi domandavo quando saremmoarrivati a questo momento.»

«Prima, però, dovrò ottenere il consenso formale dei miei confratelli.Sono l'amministratore fiduciario di tutti i loro beni, capite?»

«Aspettate ancora. Vi dirò io quando potrete dare la comunicazione.»

Annuì, interdetto, chinando nuovamente il capo per nascondere le lacrime.Lo guardai. Il premio che Singleton aveva cercato di ottenere con tanto zelomi era caduto fra le mani, gli omicidi avevano fatto crollare l'abate. E oracredevo di sapere chi fosse l'assassino, chi li avesse uccisi tutti.

Trovai fratello Guy nel dispensario. Mark gli stava seduto accanto su unosgabello, con le vesti da servitore ancora addosso. Il frate infermiere stavapulendo delle lame ricoperte di chiazze verdastre in una ciotola d'acqua. Ilcadavere giaceva sul tavolo, coperto dal lenzuolo, cosa di cui fui grato.

Mark era pallido, e persino gli scuri tratti del frate infermiere mostravanoun diffuso lividore, come se avesse della cenere sotto la pelle.

«Ho esaminato il corpo», disse pacato. «Non ne ho la certezza assoluta, ma dall'altezza, dal colore dei capelli e dalla struttura ossea direi che potrebbe trattarsi della giovane Orphan. Comunque posso dirvi com'è morta. Ha il collo spezzato.» Scostò il lenzuolo, esponendo l'orribile cranio. Lo fece ruotare lentamente, permettendomi di vedere che le vertebre che lo univano alle spalle erano dislocate. Soffocai un conato di vomito.

«Allora è stata uccisa.»

«Se fosse caduta nel laghetto non si sarebbe mai procurata una similefrattura. Mastro Poer mi ha detto che il fondo del vivaio è rivestito di unospesso strato di fango.»

Annuii. «Vi ringrazio, fratello. Mark, quegli altri oggetti che abbiamorinvenuto sono nella nostra stanza? Abbiamo una visita da fare. Ti seiportato un cambio d'abiti?»

«Sì, signore.»

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«Vai a metterli. Non dovresti andartene in giro vestito come undomestico.»

Mark ci lasciò, e io presi il suo posto sullo sgabello. Il frate infermiere chinòil capo.

«Prima Simon Whelplay avvelenato sotto il mio naso, ora sembra cheanche la mia povera assistente sia stata uccisa. E io che la credevo unaladra.»

«Per quanto tempo è rimasta con voi?»

«Non a lungo, qualche mese appena. Si dava parecchio da fare, ma eramolto riservata, sempre cupa in viso. Penso avesse fiducia in fratelloAlexander e in nessun altro. All'epoca, mi dedicavo anima e corpo allariorganizzazione dell'infermeria, fratello Alexander l'aveva lasciata in unpessimo stato. Le ho prestato meno attenzione di quanto avrei dovuto.»

«Non vi ha mai parlato delle indesiderate attenzioni che i monaci leriservavano?»

I suoi lineamenti si contrassero. «No. Ma un giorno la trovai che sidivincolava dalla presa di uno dei confratelli, nel corridoio di fronte alla suaporta. Occupava quella che ora è la stanza di Alice, alla fine del vestibolo. Ilmonaco tentava d'abbracciarla, rivolgendole pesanti apprezzamenti.»

«Di chi si trattava?»

«Fratello Luke, l'assistente del lavandaio. Lo scacciai e riferiidell'incidente all'abate, sebbene Orphan non volesse alzare un vespaio.L'abate Fabian disse che avrebbe parlato con Luke. Mi confidò che non erala prima volta. Dopo quell'episodio, la ragazza diventò più socievole,nonostante fosse ancora molto silenziosa. Ma poco dopo scomparve.»

«Nessun altro l'aveva molestata, che voi sappiate?»

«Io non vidi nessuno. Ma, come vi ho detto, lei non aveva molta fiducia inme.» Sorrise mesto. «Penso non riuscisse ad abituarsi allo strano colore dellamia pelle. Ma non c'è da sorprendersi, trattandosi d'una giovane dicampagna.»

«Dopodiché, Alice prese il suo posto.»

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«Sì, e io decisi di guadagnarmi la sua fiducia sin dal primo giorno. E credodi esserci riuscito.»

«Voi vi occupate anche di fratello Jerome. Quale credete sia il suo statomentale?»

Mi scrutò guardingo. «Quello d'un uomo che, nel bene o nel male, ha consacrato la propria esistenza a perseguire alti ideali, vivendo una vita di privazioni, e che è stato torturato con l'accusa d'averli traditi. La sua mente ègravemente disturbata, ma lui non è folle, se è questo che intendete.»

«Be', a me pare una follia tormentare un corpo già devastato indossandoun cilicio. Ditemi, parla mai della sua prigionia nella Torre?»

«No. Mai. Ma è stato deplorevolmente torturato. Questo ve lo possoassicurare.»

«Me ne ha parlato, ma io credo si sia inventato tutto solo per irritarmi.»

Fratello Guy non mi rispose. Mi alzai, ma in quel momento uno spasmolancinante mi attanagliò la schiena. Sussultai, aggrappandomi al tavolo.

«Che cosa avete?»

Respirai profondamente. «Devo essermi storto qualcosa alzandomi. Ildolore impiegherà giorni a svanire.» Sorrisi amaramente. «Voi e iosappiamo bene che cosa significa essere considerati dei diversi, eh, fratello?Ma almeno il vostro aspetto è un fenomeno naturale, non vi causa sofferenzafisica. Ed esiste un luogo dov'è considerato normale.»

Mark s'era cambiato la camicia e il farsetto e sedeva sul mio letto.

«Stai bene?» gli chiesi con voce burbera vedendolo contratto. Annuì. «Sì, signore. Quella povera creatura…»

«Lo so. Mi spiace averti coinvolto in una simile situazione. È stato unbrutto colpo, davvero. Non avevo idea…»

«No. Nessuno poteva sapere…»

«Mark, dobbiamo accantonare le nostre divergenze. Abbiamo un fine

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comune da perseguire: trovare il crudele assassino che si nasconde quidentro.»

Mi fissò intensamente. «Certo, signore. Come potete dubitarne?»

«Non ne dubito, no. Ascolta, ho riflettuto. L'unica ragione per cui latonaca di Gabriel può essere stata gettata nel vivaio è perché era imbrattatadi sangue. L'assassino deve averla indossata per uccidere Singleton, e poi sen'è sbarazzato assieme alla spada.»

«Già. Ma… fratello Gabriel, un assassino?» Scosse il capo.

«Perché no? Non potrebbe esserlo? Pensavo lo disprezzassi per la suapederastia!»

«Infatti, è così.» Rifletté un istante. «Eppure non posso credere che sia unassassino. Pare un uomo mosso da forti passioni, se così si possono definire,ma non lo credo capace di fare del male a qualcuno intenzionalmente. E nonlo credo animato dall'audacia necessaria per sferrare un simile colpo.»

«Oh, quando vuole sa diventare audace eccome. E le passioni che lomuovono sono forti davvero. Violente oserei dire. E dove ci sono amoriviolenti, possono nascere anche violenti odi.»

Mark scosse il capo. «Non può essere. Vi prego di credermi, signore, nonpensate male di me, ma io sono davvero convinto che fratello Gabriel nonsia un assassino.»

«Ho provato compassione per quell'uomo, persino simpatia. Ma non possiamo giudicare sulla base delle nostre sensazioni. Dobbiamo seguire unalogica ferrea. Come possiamo essere certi che un uomo sia o non sia capace d'omicidio, conoscendolo appena? In questo posto, poi, dove tutti i nostri sensi sono inquieti e distorti dal pericolo?»

«Comunque, lui sembra d'indole tanto… gentile.»

«Potremmo anche accusare fratello Edwig, spinti dal disprezzo verso lasua natura calcolatrice e disumana. Anche lui è un lussurioso, a quanto pare.Ma questo non basta per accusarlo d'omicidio. No, dobbiamo accantonare lenostre emozioni.»

«Come vorreste che io facessi con Alice?»

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«Non è il momento d'affrontare questo discorso. Ora, vuoiaccompagnarmi da fratello Gabriel?»

«Certamente. Voglio che l'assassino venga assicurato alla giustizia,signore.»

«Bene. Allora prendi la spada. La tua, non quella che abbiamo rinvenutonello stagno. Però porta la tonaca. Strizzala nel catino, prima. Vediamo dirisolvere questa faccenda.»

Capitolo ventuno

Il cuore mi martellava nel petto, ma la mente era lucida. Mezzogiorno erapassato da un pezzo, e il sole basso pareva aggrapparsi a un cielo fosco. Eraun grande sole rosso d'inverno, di quelli che si possono guardare senzacoprirsi gli occhi come se fosse stato privato di tutto il suo fuoco.

Fratello Gabriel era in chiesa. Sedeva nella navata, in compagnia delvecchio monaco miniatore che avevo incontrato in biblioteca, intento aesaminare una grossa pila di antichi volumi. Sentendoci avvicinare, i duealzarono il capo, e lo sguardo inquieto di Gabriel si posò ora su di me ora suMark.

«Altri antichi tomi, fratello?» chiesi.

«Sono i libri per le funzioni, signore, con le annotazioni musicali. Nessunoli stampa, quindi dobbiamo copiarli quando iniziano a sbiadire.»

Ne presi uno. Le pagine erano di pergamena; le parole latine eranocontrassegnate foneticamente, inframmezzate da annotazioni musicali scrittein rosso, con salmi e preghiere differenti per ogni giorno del calendario,l'inchiostro sbiadito da lunghi anni d'utilizzo. Lo lasciai cadere sulla panca.

«Ho qualche domanda da farvi, fratello.» Mi rivolsi al monaco anziano.

«Potreste lasciarci soli?»

Il vecchio annuì e s'allontanò con passo svelto.

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«Qualcosa non va?» chiese il sacrista, con voce tremante.

«Allora, non avete saputo? Parlo del corpo rinvenuto nel vivaio.» L'uomo sgranò gli occhi. «Ho avuto molto da fare. Torno ora dalla biblioteca, dove sono andato a chiamare fratello Stephen. Un corpo, avete detto?»

«Crediamo sia della ragazza scomparsa due anni or sono. Una certaOrphan Stonegarden.»

L'uomo rimase a bocca aperta. Fece per alzarsi, ma si dovette risedere.

«Aveva il collo spezzato. Pare sia stata uccisa e poi gettata nel laghetto.Abbiamo trovato anche una spada, probabilmente quella che ha ucciso ilcommissario Singleton. E poi questo.» Feci un cenno a Mark, che mi passòl'abito. Gli mostrai l'emblema. «La vostra tonaca, fratello Gabriel.»

Rimase seduto, attonito.

«È vostra, no?»

«Sì, sì, è la mia. Deve trattarsi di… di quella che mi è stata rubata.»

«Rubata?»

«Due settimane fa ho mandato la tonaca in lavanderia, ma non mi è maistata restituita. Ho chiesto spiegazioni, ma mi hanno detto che era andatapersa. Capita, di tanto in tanto, che i servitori rubino le nostre tonache. Levesti invernali sono di lana pregiata. Però, vi prego, signore, non crederetecerto che…»

Mi protesi verso di lui. «Gabriel di Ashford, io credo che voi abbiateucciso il commissario Singleton. Lui conosceva il vostro passato, e deveaver scoperto una vostra recente malefatta per la quale sareste potuto finiresulla forca. Per questo lo avete ucciso.»

«No.» Scosse il capo. «No!»

«Avete nascosto la spada e la vostra veste insanguinata gettandole nelvivaio, che sapevate essere un buon nascondiglio, perché lo avevate giàusato per occultare il cadavere di quella povera ragazza. Ma perché uccidereSingleton in modo tanto teatrale, fratello Gabriel? E perché uccidere anchela fanciulla? Eravate geloso della simpatia che nutriva per lei fratello

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Alexander? Il vostro compare sodomita? E anche il novizio Whelplay, l'altrovostro amichetto. Lui sapeva che cos'era capitato alla giovane, non è così?Ma non vi avrebbe tradito, lui. Non fino alla fine, quando ha cominciato adelirare nella malattia, così voi lo avete avvelenato. Da allora sembrateturbato come foste in lotta con la vostra coscienza. Non è forse così,fratello?»

Il religioso s'alzò e mi affrontò, aggrappandosi allo schienale del suosedile mentre prendeva un profondo respiro. Lo sguardo di Mark si posòsulla spada.

«Siete un commissario regio», disse con voce tremante, «ma le vostrearringhe sembrano quelle d'un avvocato da quattro soldi. Io non ho uccisonessuno.» Prese a urlare. «Nessuno! Sono un peccatore, ma non ho infrantonessuna delle leggi del nostro sovrano in questi ultimi due anni! Potetedomandare a chiunque al monastero e anche in paese. Non troverete nulla!Nulla!» La voce riecheggiò nella chiesa.

«Calmatevi, fratello», dissi in tono misurato. «E rispondetemi in modocortese.»

«Fratello Alexander non era un amico né un nemico; era un vecchiosciocco e indolente. Per quanto concerne il povero Simon», fece un sospiroche pareva un gemito, «sì, aveva stretto amicizia con la giovane all'inizio delsuo noviziato, penso si sentissero entrambi perduti e minacciati qui dentro.Gli dissi che non avrebbe dovuto mescolarsi alla servitù, che non ne sarebbevenuto nulla di buono. Ma lui mi confidò che la ragazza gli aveva confessatod'essere stata molestata…»

«Da chi?»

«Non volle dirmelo, lei gli aveva fatto giurare che avrebbe mantenuto ilsilenzio. Almeno una mezza dozzina di monaci avrebbero potuto esserecolpevoli. Gli dissi che non doveva farsi immischiare in simili faccende eche avrebbe dovuto convincere la fanciulla a confidarsi con fratello Guy, cheera stato appena nominato frate infermiere, alla morte di fratello Alexander.Morto di vergogna», aggiunse amareggiato.

«E poi la ragazza scomparve.»

Uno spasmo gli contrasse il viso. «Come tutti, credevo fosse scappata.»Mi guardò con occhi freddi, e proseguì con una nuova intonazione, gelida e

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misurata. «Bene, commissario, vedo che avete creato un'ipotesi che vifornisce una soluzione. Dunque, forse ora qualcuno verrà pagato per direfalsa testimonianza e mandarmi alla forca. Pare sia una prassi comune,oggigiorno. So bene che cosa è accaduto a Tommaso Moro.»

«No, fratello Gabriel, non ci saranno false testimonianze. Scoprirò iostesso le prove di cui avrò bisogno.» Mi avvicinai. «Ma fate attenzione, sieteil sospettato numero uno.»

«Io sono innocente.»

Lo guardai dritto negli occhi per un istante, poi arretrai. «Non vi faròarrestare subito, ma non dovrete lasciare il monastero. Se cercherete difuggire, considererò il vostro gesto un'ammissione di colpa. M'avetecapito?»

«Non fuggirò.»

«Vi prego di restare a mia completa disposizione, potrei aver bisogno diinterrogarvi ancora. Andiamo, Mark.»

Mi alzai e mi diressi verso l'ingresso, lasciando fratello Gabriel ai suoilibri. Appena fuori della chiesa feci un gesto di stizza.

«Pensavo d'averlo in pugno.»

«Lo ritenete ancora colpevole?»

«Non so. Credevo che se lo avessi affrontato apertamente e lui fosse statocolpevole, sarebbe crollato. In ogni caso», scossi il capo, «nascondequalcosa, ne sono certo. Mi ha dato dell'avvocato da quattro soldi, e forse losono, ma se vent'anni di tribunale m'hanno insegnato qualcosa, è proprio acapire quando un uomo sta nascondendo la verità. Vieni.»

«Dove?»

«In lavanderia. Possiamo verificare la sua storia e incontrare questo Luke,due piccioni con una fava.»

La lavanderia era ubicata in un ampio annesso, accanto alla dispensa.Dalle grate di ventilazione si levava un denso vapore, e c'era un viavai di

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servitori carichi di ceste di biancheria. Aprii la massiccia porta di legno edentrai. Mark se la richiuse alle spalle.

All'interno faceva molto caldo, e c'era buio. Da principio non vidi altroche un vasto ambiente lastricato di pietra, disseminato di cesti e catini. PoiMark esclamò: «Jesu!» Fu allora che li vidi.

La stanza pullulava di cani, tutti i bastardi che avevo visto gironzolare perla corte il giorno del nostro arrivo, prima che cominciasse a nevicare.L'intero ambiente era impregnato dell'odore acre del loro piscio. Gli animalisi levarono lentamente sulle zampe, e due di loro s'avvicinarono ringhiando,il pelo irto, i gialli denti digrignati. Mark sfoderò piano la spada, e io strinsiforte in pugno il bastone.

Da dietro una porta interna si levavano dei rumori, e io pensai di gridare,ma essendo cresciuto in campagna sapevo bene che così facendo avreiaizzato quelle bestie, spingendole ad attaccare. Serrai i denti, eravamo neiguai. Strinsi il braccio di Mark con la mano libera. Lo avevo spinto versol'orrore dello stagno, e ora questo.

Udimmo uno scricchiolio e la porta alle nostre spalle s'aprì; ci voltammo escorgemmo fratello Hugh sulla soglia, una ciotola di frattaglie nelle manipaffute. Vedendoci, rimase a bocca aperta. Lo guardammo disperati, quindil'uomo si riebbe dalla sorpresa e s'affrettò a chiamare i cani.

«Brutus, Augustus! Qui! Subito!» Gettò le interiora sul pavimento dipietra. I cani lo guardarono, poi guardarono noi, e alla fine, uno dopo l'altro,si diressero verso il cibo. Il capobranco rimase immobile, ringhiando perqualche istante ancora, poi si voltò e raggiunse gli altri. Tirai un sospiro disollievo. Fratello Hugh ci fece cenno d'affrettarci.

«Qui dentro, signori, vi prego. In fretta, ora che stanno mangiando.»

Aggirando le belve affamate, lo seguimmo nella stanza accanto. Luichiuse la porta e tirò il chiavistello. Ci ritrovammo in una lavanderia piena divapore. Sotto la supervisione di due monaci, dei servitori erano intenti alavorare chini su calderoni di biancheria che bolliva al fuoco o a strizzare ilbucato con delle presse. Ci levammo i mantelli sotto i loro sguardiincuriositi. Ero completamente madido di sudore, come pure Mark che,aggrappato allo spigolo d'un tavolo, respirava a fatica; era pallido e temevosarebbe svenuto, ma dopo un attimo le guance ripresero colore. Mi voltai

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tremante verso fratello Hugh, che ciondolava agitato da un piede all'altro,torcendo le mani.

«Oh, signori, commissario, ringrazio Iddio di essere arrivato al momentogiusto.» Pronunciando il nome di Nostro Signore chinò la testa, imitato datutti i presenti.

«Ve ne siamo grati, fratello. Però quei cani non dovrebbero trovarsi qui,potrebbero sbranare qualcuno.»

«Ma signore, conoscono tutti quanti; si sono comportati a quel modo soloperché per loro siete degli estranei. L'abate ha detto di tenerli qui finché iltempo non cambia.»

Mi asciugai il sudore dalla fronte. «Molto bene, fratello tesoriere. Siete voiil responsabile della lavanderia?»

«Sissignore. Come posso esservi d'aiuto? L'abate ha detto di fare tutto ciòche è nelle nostre possibilità per assistervi. Ho saputo che qualcuno èaffogato nel vivaio.» Gli occhi arrossati brillavano di curiosità.

«Il priore farà un annuncio al proposito. Io sono qui per farvi unadomanda, fratello. C'è un tavolo?»

L'uomo ci condusse in un angolo della stanza, lontano dagli altri. Fecicenno a Mark di stendere la veste di fratello Gabriel, e indicai l'emblemacucito sul petto.

«Fratello Gabriel mi ha riferito di aver perso questa tonaca un paio disettimane fa. Ve ne ricordate?»

Confesso che sperai in una smentita, ma il religioso si affrettò ad annuire.«Sì, signore. L'abbiamo cercata ovunque. Il fratello economo non sopportache le cose spariscano, per questa ragione io tengo un registro.»

Scomparve nel vapore, ritornando con un libro mastro. «Vedete, signore, ho segnato l'arrivo dell'abito, e qui c'è la nota che ne certifica la scomparsa.» Esaminai la data. Tre giorni prima dell'uccisione di Singleton.

«Dov'è stata ritrovata, mio signore?» chiese.

«Non ha importanza. Chi avrebbe potuto avere l'opportunità di rubarla?»

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«Durante il giorno siamo pieni di lavoro, signore. E di notte questi localisono chiusi a chiave, ma…»

«Ebbene?»

«Le chiavi dei locali sono andate perse. Può essere stata… be', unaleggerezza del mio assistente.» Sorrise nervosamente, facendo correre unamano sulle cisti che aveva in viso. «Fratello Luke, vieni subito qui!»

Mark e io ci guardammo, mentre un monaco alto e molto robusto sulla trentina ci raggiunse. Aveva i capelli rossi, lineamenti marcati e un'espressione burbera.

«Sì, fratello?»

«Da quando lavori qui hai già perso due mazzi di chiavi, non è così,Luke?»

«Mi sono scivolate di tasca», rispose imbronciato.

«Cose che accadono agli sventati», concordai. «Quand'è stata l'ultima volta che avete perso una chiave?»

«La passata estate.»

«E prima d'allora? Da quanto tempo lavorate nella lavanderia?»

«Quattro anni, signore. L'altra volta è stata un paio d'anni fa.»

«Vi ringrazio, fratello Hugh. Vorrei scambiare due parole con fratello Luke in privato. Dove possiamo andare?»

Fratello Luke si guardò attorno, ansioso, mentre il tesoriere, piuttosto seccato, ci condusse in un'anticamera dove i panni erano stesi ad asciugare.

Quando il suo superiore si fu allontanato affrontai il giovane con vocesevera.

«Sapete che cos'è stato ritrovato nello stagno?»

«Ho sentito parlare di un cadavere, signore.»

«Il cadavere di una donna che noi riteniamo sia Orphan. Ci è stato riferito

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che voi la importunavate.»

I suoi occhi si colmarono d'orrore, poi si gettò improvvisamente in ginocchio, afferrando l'orlo della mia veste con grosse dita arrossate.

«Non sono stato io, signore. Mi sono soltanto divertito un po' con lei, nient'altro! E non sono stato il solo! Quella ragazza era una svergognata, mi tentava!»

«Lasciatemi andare! E guardatemi negli occhi.»

Il giovane sollevò lo sguardo, stando ancora in ginocchio. Mi chinai verso di lui.

«Voglio la verità. Sulla vostra vita. È stata lei a tentarvi, o siete stato voi a molestarla?»

«Lei… era una donna, signore. Il solo vederla era una tentazione! La sua immagine mi riempiva la testa, non facevo che pensare a lei. Satana l'ha messa sul mio cammino per tentarmi, ma mi sono confessato. Ho confessato i miei peccati!»

«Non m'importa nulla delle vostre confessioni. L'avete molestata anchedopo che l'abate vi aveva messo in guardia, non è così? Fratello Guy hadovuto lamentarsi di voi una seconda volta!»

«Ma dopo quell'episodio non ho più fatto nulla! L'abate aveva minacciatodi cacciarmi! Per il sangue di Nostro Signore, da quel momento l'ho lasciatain pace! Ve lo giuro!»

«L'abate non ha passato la faccenda nelle mani del priore?»

«No, il priore…»

«Ebbene? Forza, parlate.»

«Lui… condivideva la mia stessa colpa, come pure fratello Edwig.»

«Ah, sì? E ce n'erano altri? Chi ha reso la vita di quella ragazza tantomiserevole, poco prima della sua fine?»

«Non lo so, signore. Lo giuro, lo giuro, dopo la minaccia dell'abate non misono più avvicinato all'infermeria. Madre Santissima…»

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«Madre Santissima!» sbottai. «Dubito che persino Lei sarebbe al sicurodalle vostre grinfie, dovesse fare ritorno sulla terra. E ora andatevene, sparitedalla mia vista!»

Il monaco balzò in piedi e fuggì nella lavanderia, sotto il mio sguardotorvo.

«Lo avete spaventato a morte», disse Mark con un ghigno sardonico.

«Non è difficile con quel genere di codardi. Il priore e l'economo, eh?Guarda, lì c'è una porta, possiamo uscire evitando i cani.»

Tornati fuori, sentii delle voci alle mie spalle e mi voltai.

«Per l'amor di Dio, che cosa c'è adesso?»

Un piccolo drappello s'era assiepato a guardare una processione direttaverso la cancellata. Due monaci stavano portando una statua di san Donatoin vesti romane, le mani giunte dinanzi a sé, un'espressione pia dipinta involto. L'allampanata figura di fratello Jude, l'elemosiniere, la seguiva,portando una borsa di pelle. A chiudere la processione l'economo in persona,l'abito coperto da un manto invernale, le mani inguantate. Si dirigevano allospiazzo sottostante la guardiola, dove Bugge era pronto ad aprire i cancelli.

«Giorno d'elemosina», disse Mark.

Raggiungemmo la cancellata che Bugge aveva già aperto. Al di fuori, lafolla osservava immobile la statua trasportata dai monaci. Fratello Judeprese la borsa e parlò.

«Osservate! L'immagine del nostro patrono, il pio e santissimo Donato,sacrificatosi agli infedeli! Nel nome della sua infinita benevolenza, vi vienefatto dono di questa elemosina. Pregate il santo per la remissione dei vostripeccati!»

Assiepati nella neve c'era una cinquantina d'adulti, vecchie vedove,mendicanti e storpi, alcuni vestiti solo di poveri stracci, il volto violaceo peril freddo. Attorno alla paffuta figura di comare Stumpe, invece, eranoraccolti dei bambini dal viso smunto. Malgrado il freddo, l'odore che silevava da quella moltitudine era spaventoso. Alle parole del religioso, quel

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mare di miserabili, faticosamente giunto dal paese a un miglio di distanza, sichinò facendosi un segno della croce. Non appena giunsi al suo fianco, ilmonaco si zittì improvvisamente.

«Che cosa state facendo?» sbottai.

«Sto solo… solo distribuendo le elemosine, signore.»

«Voi state domandando a queste povere anime di adorare un pezzo dilegno.»

Fratello Edwig ci raggiunse a passo svelto. «Soltanto in ricordo dellabbontà del santo, commissario.»

«Ha intimato loro esplicitamente di pregare quella statua! L'ho sentito conqueste orecchie! Portatela via, subito!»

I monaci abbassarono la statua e s'affrettarono a ricondurla in chiesa.Fratello Jude, profondamente scosso, fece segno perché fossero portate leceste, suscitando l'ilarità dei presenti.

L'elemosiniere parlò di nuovo, con voce agitata. «Venite avanti, ecco levostre elemosine e qualcosa da mangiare.»

«Non spingete», gridò Bugge mentre i bisognosi cominciavano a sfilare. Aciascuno venne data una monetina d'argento, la più misera del reame, equalcosa presa dalle ceste: mele, pagnotte e sottilissime fette di pancetta.

Fratello Edwig si mise al mio fianco. «Non vo-volevamo far nulla di malec-con la statua, signore. È un'antica cerimonia, non abbiamo ppensato allesue implicazioni. Faremo subito ammenda.»

«Sarà meglio per voi.»

«D-distribuiamo le elemosine ogni mese. La regola lo p-prevede. È l'unicomodo che questa gente ha di mangiare un po' di c-carne.»

«Viste le vostre laute entrate, pensavo che i fondi per i poveri fossero piùcospicui.»

Un accesso d'improvvisa rabbia scurì il volto di fratello Edwig. «QuandoLord Cromwell vorrebbe accaparrarsi tutti i nostri beni per distribuirli fra isuoi sostenitori? Questa voi la chiamate carità?» Sputò quelle parole senza la

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minima esitazione, poi si voltò e si allontanò a passo svelto. La folla miguardò incuriosita, mentre i monaci proseguivano a distribuire le loromiserie e la borsa dell'elemosiniere tintinnava, vuotandosi lentamente.

Sospirai. La rabbia alla vista di quello spettacolo aveva fatto emergere ilmeglio di me, e ora tutti sapevano che c'era un commissario regio almonastero. Quello sfogo m'aveva prosciugato di tutte le energie, tuttaviaraggiunsi comare Stumpe, ferma in attesa che si esaurisse la fila degli adulti.Nel vedermi, fece un inchino.

«Buon giorno, signore.»

«Un momento, signora, ve ne prego.»

Ci distanziammo dai bambini. Lei mi guardò incuriosita.

«Vorrei mostravi questo, ditemi se lo riconoscete.» Di spalle alla folla,estrassi la catenina d'argento che il cadavere portava al collo. La donnal'afferrò con un grido.

«Il ciondolo di san Cristoforo! L'ho regalato a Orphan quando è venutaqui! Allora l'avete trovata…» Vedendo la mia espressione, le parole lemorirono sulle labbra.

«Mi spiace», dissi con gentilezza. «Il suo cadavere è stato rinvenuto nelvivaio del monastero questa mattina.»

Pensavo avrebbe pianto, e invece la vecchia si limitò a serrare i pugni.

«Com'è morta?»

«Aveva il collo spezzato. Mi rincresce.»

«Avete trovato il responsabile? Chi è stato?» La voce rotta si fece unflebile stridio. I bambini si guardavano attorno, ansiosi.

«Non qui, signora, vi supplico. La notizia non deve ancora trapelare.Troverò il colpevole, ve lo giuro.»

«Vendicatela, in nome di Dio, vendicatela.» Con un nodo in gola, comare Stumpe cominciò a singhiozzare piano. Le posai una mano sulla spalla, gentilmente.

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«Non dite nulla, ancora. La notizia verrà annunciata dal giudice Copynger.Guardate, gli adulti hanno terminato. Fatevi forza.»

L'ultima elemosina destinata agli adulti era stata data, e la gente s'era giàmessa in cammino per fare ritorno in città, una nera fila di figure cenciose,come corvi stagliati sulla neve. Comare Stumpe annuì, fece un respiroprofondo e accompagnò i bambini al cancello. Ritornai alla guardiola, doveMark m'attendeva. Temevo che la donna sarebbe potuta crollare, inveceincoraggiò i bambini a farsi avanti con voce ferma. Fratello Edwig erascomparso.

Capitolo ventidue

Entrai nella chiesa buia con passo leggero, chiudendo piano il portone allemie spalle. Il jubé era illuminato dalla luce delle candele, e alle orecchie migiungevano le voci salmodianti dei monaci che intonavano un inno. Lafunzione serale dei vespri.

Dopo aver lasciato comare Stumpe, avevo detto a Mark di andare dall'abate a ordinargli di assicurarsi che fratello Gabriel non lasciasse il monastero e che venisse organizzata la pulizia della tomba di Singleton. Avevo anche disposto il dragaggio del vivaio per l'indomani mattina. Mark s'era mostrato riluttante a impartire ordini all'abate Fabian, ma io gli avevo detto che se intendeva farsi strada nel mondo, avrebbe dovuto abituarsi ad affrontare anche i potenti. Era uscito senza ulteriori commenti, i modi di nuovo distanti.

Io ero rimasto in camera, avevo bisogno di riflettere in solitudine. Presiposto davanti al fuoco mentre fuori calava la sera. Stanco com'ero, però, misarei di certo addormentato al tepore crepitante delle fiamme, così mi alzai eandai a sciacquarmi il viso.

La conferma del lavandaio che la tonaca di fratello Gabriel fosse statarubata era stata per me una cocente delusione. Comunque, ero ancoraconvinto che il religioso nascondesse qualcosa. Le parole di Mark miriaffiorarono alla mente: Gabriel non aveva nulla del brutale, barbaroassassino che avrebbe dovuto essere per commettere quegli omicidi.

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Barbaro, pensai; dove avevo già sentito quel termine? Ricordai; con quellaparola comare Stumpe aveva etichettato il priore Mortimus.

Le campane squarciarono l'aria con il loro fragore; i monaci sarebberorimasti in chiesa per un'ora. Questo, pensai, mi dava l'opportunità di imitare ipassi di Singleton, cosa che avrei dovuto fare già da tempo: perquisirel'ufficio contabile mentre fratello Edwig era assente. Nonostante laspossatezza e il peso dell'inquietudine, mi resi conto di sentirmi meglio, lamente più attiva. Presi un'altra dose della pozione di fratello Guy.

Mi feci lentamente strada lungo la buia navata, invisibile ai religiosi chepregavano dietro il jubé. Accostai il viso a una delle finestrelle aperte nellapietra, create in modo da dare ai laici della congregazione uno squarcio sulfascinoso mistero della messa officiata dall'altro lato.

Fratello Gabriel dirigeva il coro, apparentemente assorto nella musica.Non potei che ammirare la maestria con la quale accompagnava il canto deiconfratelli, in un'altalenante e armonica melodia, mentre gli occhi sispostavano ora sulle mani del primo cantore, ora sugli spartiti posati suileggii. L'abate era presente, il viso cupo alla luce delle candele. Rammentaiil suo ultimo disperato sospiro: «Dissoluzione».

Fra i monaci scorsi fratello Guy e, con mia grande sorpresa, Jerome al suofianco, il candido abito certosino stagliato sulle nere vesti dei benedettini.Con tutta probabilità gli permettevano di seguire le funzioni religiose.Mentre li osservavo, fratello Guy si chinò sul leggio e voltò una pagina per ilcertosino storpio. Gli sorrise, e fratello Jerome lo ringraziò con un cenno delcapo. Mi resi conto che fratello Guy, con la sua devota austerità, potevaessere uno dei pochi a Scarnsea a godere dell'approvazione di Jerome. Eranoforse amici? Non mi era parso quando avevo assistito alla medicazione dellesue ferite. Posai lo sguardo sul priore Mortimus, e notai che non stavacantando, lo sguardo fisso davanti a sé. Ricordai che la vista del cadaveredella povera fanciulla lo aveva colmato d'orrore e di rabbia. Fratello Edwig,al contrario, cantava a pieni polmoni, affiancato da fratello Athelstan edall'altro vecchio assistente.

«Quale di loro?» sussurrai fra me e me. «Quale di loro? Signore, guida lamia povera mente.»

Non percepii alcuna ispirata risposta. Talvolta, in quei giorni didisperazione, mi sembrava che Dio non ascoltasse le mie preghiere. «Ti

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prego, fa' che non si compiano altri delitti», supplicai a bassa voce prima diuscire.

Il cortile del chiostro era deserto. Infilai la chiave contrassegnata dalladicitura TESORERIA nella serratura dell'ufficio contabile. Il freddo umidodi quel locale mi diede i brividi, tanto che mi strinsi nel mantello. Tuttopareva in ordine: le scrivanie, gli scaffali lungo le pareti, il forziereappoggiato contro il muro di fronte. Una candela era accesa sul tavolo, lapresi e mi diressi verso il baule. Ne cercai la chiave e lo aprii.

L'interno era suddiviso in scomparti pieni di borse, ciascuna con il tagliodelle monete contenute e il loro ammontare riportato su cartellini. Presi lasacca contenente le monete d'oro, angeli, mezzi angeli e i noble. Ne aprii unpaio a caso e ne contai le monete, verificando il totale segnato sullatarghetta. Tutto tornava, e le cifre registrate nel forziere coincidevano con iltotale dei conteggi. Richiusi il baule. Una somma ingente, pari a quantoavrei trovato in qualsiasi ufficio contabile d'Inghilterra, ma assai più sicura,perché penetrare in un monastero era più difficile che forzare la camerablindata d'una bottega.

Presi la candela e aprii la porta che dava sulle scale. Giunto in cima, mifermai. L'ufficio contabile era un po' più alto degli altri edifici, e durante ilgiorno dalla finestra sulle scale era possibile vedere il chiostro, il vivaioittico e oltre, fino alla palude. Mi chiesi se la mano del buon ladrone potessegiacere sul fondo dello stagno; lo avrei scoperto l'indomani mattina.

Entrai del sancta sanctorum dell'economo. Posai la candela sullo scrittoioe cominciai a spulciare alcuni dei libri mastri accatastati lungo le pareti diquella claustrofobica stanza priva di finestre; erano resoconti di gestioneordinaria, risalenti a molti anni addietro. La scrivania era ordinarissima,carte e calamai disposti con geometrico rigore. Fratello Edwig parevaossessionato da una maniacale precisione.

Lo scrittoio aveva due capienti cassetti. Provai chiave dopo chiave, finchétrovai quella che li apriva. Il primo conteneva un paio di testi latini. Li presi:la Summa contra gentiles e la Stimma theologiae di Tommaso d'Aquino. Liosservai con disgusto; dunque fratello Edwig aveva un debole per l'anticascolastica ormai screditata del santo italiano. Come se fosse possibileprovare l'esistenza di Dio con la logica, quando solo nella fede si trovano le

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risposte. Ma capivo bene come la sua mente arida potesse sentirsi attrattadagli sterili sillogismi dell'aquinate. Riposi i libri e aprii il secondo cassetto,che ospitava una pila di libri mastri. Sorrisi sardonico: tutti con la copertinablu. «Grazie, Alice», mormorai. Tre dei quattro registri erano come quelloche l'economo mi aveva dato, zeppi di conti e annotazioni degli anni passati.Avevano tutti la copertina macchiata di vino, e con mia somma delusionecontenevano solo altri scarabocchi. Ne rigirai uno tra le mani, guardando lemacchie. Fratello Edwig doveva aver bevuto del vino quel giorno,rovesciandolo sui testi. Chissà quale disappunto nel vedere gli intonsi fruttidel suo operato ridotti a quel modo.

L'ultimo dei libri mastri, quello dalla copertina immacolata, conteneva leregistrazioni delle vendite dei terreni fatte negli ultimi cinque anni. Il cuoreprese a battermi forte in petto, il corpo carico d'un improvviso eccitamento.Lo posai sulla scrivania e presi la candela con mano tremante, dando uncolpo di tosse per il fumo che si era sollevato dallo stoppino. Dettagli degliappezzamenti venduti, nomi dei compratori, prezzi e date. Esaminai il piùrecente. A quanto pareva l'anno precedente si erano concluse quattro grossevendite che non erano state registrate sui registri contabili del monastero.Ammontavano a un totale di quasi mille sterline, una somma enorme. Una diqueste transazioni, la più cospicua, era stata fatta con un parente di Jerome.Ecco in che cosa doveva essere incappato Singleton, pensai consoddisfazione.

Riflettei un istante, poi presi carta e calamaio e copiai rapidamentel'ammontare delle entrate. Copynger avrebbe potuto confermarmi la realeconclusione delle vendite. Non avrei più accettato le fandonie e itemporeggiamenti di fratello Edwig; questa volta lo avrei messo spalle almuro.

Riposi i libri e feci silenziosamente avanti e indietro per la stanza,riflettendo. Il priore - ma anche l'abate, in quanto custode del sigillomonacale che autenticava gli atti di compravendita - erano forse coinvoltientrambi in atti fraudolenti? Sapevano di certo che se il monastero avesseaccettato la resa e fossero giunti gli ufficiali delle Aumentazioni, i loromisfatti sarebbero stati smascherati. O forse fratello Edwig era riuscito amettere le mani sul sigillo all'insaputa dell'abate? Sarebbe stato facile. Edov'era finito il denaro? I proventi di quelle vendite costituivano un'altraminiera d'oro. Rimasi a guardare le coste dei vecchi registri allineati lungo lepareti, meditabondo.

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Poi qualcosa attrasse il mio sguardo. La fiamma della candela vacillava.Mi resi conto che c'era corrente nella stanza; la porta alle mie spalle era stataaperta. Mi voltai lentamente. Fratello Edwig era sulla soglia, e mi fissava.Lanciò una rapida occhiata allo scrittoio, che ero lieto d'avere richiuso. Poigiunse le mani e parlò.

«Non avevo idea che foste qui, c-commissario. Mi avete messo paura.»

«Sono sorpreso che non abbiate urlato.»

«Lo stupore è stato t-troppo grande.»

«La mia carica mi garantisce accesso illimitato, lo sapete. Ho deciso divenire a controllare alcuni dei vostri registri. M'ero appena messo all'opera.»M'aveva forse visto alla scrivania? No, altrimenti mi sarei accorto primadella corrente d'aria.

«Temo stiate solo p-perdendo il vostro tempo con vecchi resoconti.»

«Me ne sono accorto.»

«Sono felice d'avervi incontrato, signore», disse con il consueto sorrisettoprivo d'allegria. «Volevo domandarvi p-perdono per il mio sfogo di questamattina. Mi sono irritato per l'interruzione della cerimonia. Sperosinceramente che non vorrete tener c-conto di parole dette in un momento dirabbia sconsiderata.»

Riposi il registro, inclinando il capo di lato. «So che molti la pensanocome voi, anche se non osano ammetterlo. Ma siete in torto. Il denaro cheentra nelle casse dello Scacchiere viene usato dal sovrano a beneficio dellacomunità.»

«Davvero, signore?»

«Ne dubitate forse?»

«In quest'epoca consumata dall'avidità? Non si dice forse che la ccupidigianon è mai stata tanto combattuta, né tanto potente? Gli amici del sovranopremeranno per la sua b-benevolenza. E chi può fare i conti in tasca a unre?»

«Dio. Dio ha posto le ricchezze della sua gente nelle mani del sovrano.»

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«Ma i sovrani hanno altre p-priorità», disse fratello Edwig. «Vi prego di nonfraintendermi, non è mia intenzione c-criticare re Enrico.»

«Non sarebbe affatto saggio.»

«Parlo in generale. Molti di loro amano sperperare d-denaro. Ho visto conquesti miei occhi quanto ne viene sprecato per gli eserciti, p-per esempio.»

Gli occhi del religioso brillavano d'una luce insolita per lui, un'urgenza aparlare che lo rendeva più umano.

«Davvero?» lo incoraggiai. «Quand'è accaduto, fratello?»

«Mio padre era ufficiale p-pagatore, signore. Ho trascorso l'infanzia alseguito dell'esercito, e ne ho imparato l'arte. Vent'anni fa ho c-combattutocontro la Francia nell'esercito di re Enrico.»

«Quando gli spagnoli lo hanno ingannato, promettendo di sostenerlo perpoi abbandonarlo a se stesso?»

Annuì. «Tutto in nome della g-gloria e della conquista. Ho visto glieserciti razziare la Francia, ho p-passato l'infanzia in mezzo a file di soldatimorti, corpi in putrefazione, prigionieri impiccati. Ho anche preso p-parteall'assedio di Therouanne, signore.»

«La guerra è una cosa terribile», concordai. «Per quanto molti la ritenganouna nobile arte.»

Annuì con vigore. «E i preti erano sempre in mezzo ai feriti, impartendol'estrema unzione e cercando di ricucire ciò che l'uomo aveva d-dilaniato.

Fu allora che decisi di p-prendere i voti, per mettere il mestiere che avevoappreso da mio padre a servizio della Chiesa.» Mi fece un altro sorriso, unsorriso nel quale intravidi un barlume di vita, ma che era anche colmo disarcasmo. «Ho la fama di essere un uomo malvagio, non è c-così?»

Mi strinsi nelle spalle.

«A parer mio, ogni moneta assicurata alla C-Chiesa è una moneta data aDio, invece che al mondo dei peccatori. Riuscite a comprendere? Serve asostenere la p-preghiera e la carità. I poveri non p-posseggono nulla, fuorchéle nostre elemosine. Dobbiamo distribuirle, ce lo impone la nostra fede.»

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«Mentre per i re è una scelta, scelta che possono decidere di nonprendere?»

«Esatto. Come il compenso che riceviamo per recitare le messe per iddefunti, signore. È una cosa buona agli occhi di Dio, aiuta le anime delpurgatorio e dà merito a chi le ha d-domandate.»

«Ancora il purgatorio. Ma ci credete davvero?»

Annuì vigorosamente. «Esiste eccome, signore, e negandolo ci esponiamo alrischio di infinite sofferenze. E non ha forse senso, che Dio soppesi i nostri meriti e i nostri peccati, proprio come io faccio con i miei conti?»

«Dunque il Signore Iddio sarebbe un capace contabile?»

Annuì. «Il più capace. Il purgatorio esiste davvero, si trova sotto i nostripiedi. Non avete dunque sentito parlare dei grandi vulcani in Italia, dove lefiamme del purgatorio eruttano fin sulla terra?»

«E voi lo temete?»

Annuì con un lento cenno del capo. «Credo che dovremmo temerlo tutti.»Si fermò, ricomponendosi e scrutandomi in viso. «Perdonatemi, ma i Dieciarticoli non negano l'esistenza del p-purgatorio.»

«No, infatti. Ciò che avete detto non è proibito. Ed è assai interessante.

Ma non stavate anche suggerendo che il comportamento del sovrano, in quanto capo della Chiesa, fosse irresponsabile?»

«Ve l'ho detto, signore, io p-parlavo in generale, e ho parlato della Chiesa,non del papa. Con il dovuto rispetto, le mie v-vedute non sono eretiche.»

«Avete ragione. E ora ditemi: data la vostra esperienza nell'esercito,sapreste usare una spada?»

«Com'è stato fatto per uccidere il commissario Singleton?» Sollevai un sopracciglio.

«L'ho dedotto da quanto ho sentito sull'aspetto del c-cadavere, di ritornodal mio viaggio. Ho visto molti uomini decapitati da ragazzo. Ma horinnegato quel mondo, una volta d-diventato adulto. Ho visto spargere fintroppo sangue in vita mia.»

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«La vita d'un monaco ha i suoi aspetti negativi, però, non è così? Il voto di castità, per esempio, deve essere assai duro da rispettare.» La sua compostezza vacillò. «C-che cosa intendete?»

«Oltre all'omicidio del commissario, mi trovo a dover indagare sulla morted'una giovane fanciulla.» Gli dissi del cadavere rinvenuto nello stagno. «Èstato fatto il vostro nome, fra quelli dei suoi molestatori.»

Il religioso si sedette allo scrittoio, chinando il capo in modo danascondere l'espressione del volto. «La castità è assai dura», disse pacato.«Non p-pensiate ch'io goda degli istinti che mi pervadono, come fanno altri.Odio quelle demoniache passioni. Intaccano l'edificio di un'esistenzacconsacrata a Dio, costruita al prezzo d'innumerevoli sforzi. Lo ammetto,signore, ho d-desiderato quella ragazza. Ma sono un uomo timido: ogni voltache lei mi respingeva con d-dure parole io me ne andavo. Ma tornavosempre. Lei pareva tentarmi, come la b-bramosia della gloria tenta gliuomini alla guerra.»

«È stata lei a tentare voi?»

«Non poteva fare altrimenti. Era una donna, e che cosa fanno le d-donnese non tentare gli uomini?» Fece un respiro profondo. «Si è tolta la vita?»

«No. Qualcuno le ha spezzato il collo.»

L'uomo scosse il capo. «Non sarebbe mai d-dovuta venire qui. Le donnesono strumenti del d-demonio.»

«Fratello Edwig», dissi pacato. «Voi potete pure definirvi timido, ma iocredo che siate l'uomo più spietato del monastero. E ora vi lascio, avrete dicerto del lavoro da sbrigare.»

Rimasi un istante sul pianerottolo, per riordinare i miei pensieri. Mi eroconvinto che Gabriel fosse l'assassino e che avesse ucciso in preda a violentepassioni. Ma se il registro che avevo trovato era quello scoperto daSingleton, allora fratello Edwig aveva un valido movente per desiderare lamorte del mio predecessore. Però, pur restando colpevole di frode, la nottedell'omicidio non si trovava al monastero.

Feci per scendere al piano di sotto, quando una luce proveniente dalla

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palude attirò il mio sguardo. Due bagliori gialli, lontani, all'orizzonte.Improvvisamente ricordai d'aver incontrato fratello Edwig il giorno in cuiavevo ispezionato l'acquitrino. E se si desiderava portar via del denaro, a chirivolgersi se non a degli esperti contrabbandieri? Ripresi fiato e mi precipitaiin infermeria.

Alice sedeva nella cucina, intenta a pulire delle erbe. Mi guardò per unistante con freddezza, poi si costrinse a sorridermi.

«State preparando una delle pozioni di fratello Guy?»

«Sì, signore.»

«Mastro Poer ha fatto ritorno?»

«È nella vostra stanza, signore.»

La distaccata ostilità dei suoi modi mi rattristò. Mark, dunque, dovevaaverle riferito ciò che gli avevo detto.

«Sono stato nell'ufficio contabile. Ho scorto delle luci nella palude da unafinestra sulle scale. Mi domandavo se i contrabbandieri potessero essersirimessi all'opera.»

«Non saprei, signore.»

«Avete detto a mastro Mark che ci avreste mostrato i sentieri attraversol'acquitrino.»

«Certo, signore», disse con voce cauta.

«Sono molto ansioso di vederli. Potreste accompagnarmici domani?» Esitò. «Ho delle faccende da sbrigare per conto di fratello Guy, signore.»

«E se gli parlassi io?»

«Come desiderate.»

«E… ci sono un paio di questioni di cui vorrei discutere con voi, Alice. Io vorrei esservi amico, lo sapete, no?»

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Distolse lo sguardo. «Se fratello Guy dirà che devo accompagnarvi, lo farò.»

«Allora andrò a domandarglielo», risposi con la stessa freddezza. Ritornai nella mia stanza, ferito e arrabbiato. Entrai, e vi trovai Mark che guardava tristemente fuori della finestra.

«Ho chiesto ad Alice di mostrarmi le piste attraverso la palude», dissi senza preliminari. «Ho appena intravisto delle luci all'orizzonte. Deduco dal suo comportamento che tu le abbia riferito il mio ordine di lasciarla in pace.»

«Le ho riferito che trovate sconveniente che ci frequentiamo.»

Tolsi il mantello e mi lasciai cadere sulla sedia. «Infatti, è così», confermai. «Hai impartito i miei ordini all'abate?»

«La tomba del commissario Singleton sarà ripulita domattina, e il vivaio verrà prosciugato.»

«Vorrei che seguissi tu queste operazioni. Io andrò alla palude con Alice, da solo. E prima che tu dica qualcosa di cui potresti pentirti, le ho domandato di accompagnarmi perché penso che quei contrabbandieri possano avere a che fare con le nostre investigazioni. In seguito andrò in città, da Copynger.» Gli raccontai quanto avevo scoperto nel gabinetto di fratello Edwig.

«Desidererei tanto trovarmi fra gente normale», disse evitando il mio sguardo. «Qui dentro non incontriamo altro che ladri e canaglie.»

«Hai riflettuto su quanto ci siamo detti circa il tuo avvenire a Londra?»

«No, signore.» Si strinse nelle spalle. «Anche là è pieno di ladri e canaglie.»

«Allora potresti andare a vivere sopra un albero, fra gli uccelli, così non verresti contaminato dal mondo che ti circonda», dissi brusco. «Prenderò un'altra dose della pozione di fratello Guy e farò un sonnellino fino all'ora dicena. È stata la giornata più lunga e faticosa della mia vita.»

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Capitolo ventitré

In refettorio, quella sera, regnava un'atmosfera alquanto mesta. L'abateaveva chiesto d'osservare il silenzio durante il pasto, invitando lacongregazione a pregare per l'anima della sconosciuta il cui corpo era statorinvenuto nel vivaio. I monaci parevano tesi e preoccupati, e mi rivolgevanoocchiate colme di paura. Era come se la dissoluzione menzionata dall'abateavesse già cominciato a permeare l'intero monastero.

Mark e io tornammo in infermeria in silenzio. Da quando gli avevo vietatodi corteggiare Alice, i modi del mio giovane assistente erano tornati a farsidistaccati. Giunti nella nostra stanza, mi lasciai cadere sulla poltrona, mentreMark andò a mettere nuova legna nel camino. Gli avevo raccontato del mioincontro con fratello Edwig, e continuavo a ripensarci.

«Se Copynger prenderà a indagare subito sulla faccenda, avremo unarisposta per dopodomani. Se anche solo una di quelle vendite saràconfermata, potremo formalmente accusare fratello Edwig di frode. Unmovente molto valido per un omicidio.»

Mark si sedette sui cuscini di fronte al mio sedile, il volto accesod'interesse. Nonostante i nostri disaccordi, era bramoso quanto me di metterele mani sul colpevole. Volli ancora una volta servirmi della sua mentevivace per riordinare le idee, e fui lieto di sentirlo parlare con ritrovatoentusiasmo.

«Torniamo sempre al fatto che fratello Edwig non si trovava al monasteroquella notte, signore. E non c'era neppure quando Singleton riuscì a sottrarreil registro dal suo ufficio.»

«Lo so. Solo Athelstan ne era a conoscenza e, a quanto pare, non ne hafatto parola ad anima viva.»

«L'omicida potrebbe essere, allora, proprio Athelstan?»

«Quel ragazzo ti sembra capace di mozzare la testa di un uomo, anzi, di uncommissario regio? No. Ricordi con quanto terrore mi ha avvicinato peroffrirmi i suoi servigi? Non avrebbe il coraggio di far del male a unamosca.»

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«Non potrebbe trattarsi di una reazione emotiva scaturita proprio dalla suapersonalità?» commentò Mark con una nota di sarcasmo.

«Va bene. Forse con fratello Gabriel mi sono lasciato trascinare. Eppuretutto pareva combaciare alla perfezione. Tuttavia, nel formulare un giudiziodobbiamo anche tenere conto del carattere di una persona, e Athelstan èvisibilmente debole.»

«Comunque, perché dovrebbe importargli se fratello Edwig finisce sullaforca o se il monastero chiude? Non mi sembra animato da una grandedevozione.»

«Già. E poi c'è il problema della spada. Vorrei tanto capire da dove viene.A Londra potrei facilmente risalire al fabbro che l'ha forgiata, grazie almarchio sulla lama. Potrei rivolgermi alla gilda dei fabbri ferrai. Ma la neveci ha intrappolati in questo luogo sperduto.»

«Signore, e se Singleton avesse raccontato a qualcuno della sua scoperta, equesti avesse deciso di ucciderlo? L'abate, forse. Del resto, quei documentiavevano il suo sigillo.»

«Già. Sigillo che però lui lascia incustodito sulla scrivania, dove chiunque potrebbe prenderlo in sua assenza.»

«Il priore Mortimus, allora? È un uomo abbastanza spietato per potercommettere un omicidio, no? E non ci è stato forse detto che il monastero ènelle sue mani e in quelle di fratello Edwig?»

«Quei due complici in un atto criminoso? Chissà. Devo avere la rispostadi Copynger.» Sospirai. «Quant'è che siamo partiti da Londra? Unasettimana? Mi sembra una vita.»

«Soltanto sei giorni.»

«Vorrei tanto poter tornare. Ma con questa neve ci vorrebbero giornianche solo per inviare un messaggio. Maledizione, dovrà pur smettere,presto o tardi.»

«Speriamo.»

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Poco dopo, Mark si sistemò sulla sua branda. Io rimasi seduto a fissare lalegna ardente. Attraverso le finestre che si stavano nuovamente ricoprendod'un sottile strato di ghiaccio, udii le campane annunciare la compieta.Nonostante tutto quel che era accaduto, nonostante l'incubo che incombevasul monastero, le funzioni venivano ancora officiate regolarmente.

Pensai a Lord Cromwell che a Londra attendeva una mia risposta. Avreidovuto cercare di inviargli un messaggio il più presto possibile, fosse anchesolo per comunicargli che non avevo ancora delle risposte ma due omicidi inpiù sui quali indagare. Davanti agli occhi mi apparve il suo viso incollerito,nelle orecchie le sue imprecazioni, il suo interrogarsi sulla mia lealtà. Ma seCopynger avesse confermato le vendite dei terreni, avrei potuto far arrestarefratello Edwig per frode. Già mi vedevo interrogarlo nella prigione diScarnsea, ammanettato in una cella buia, e trovai quel pensiero piacevole.Però subito ne fui disturbato, comprendendo come il disprezzo che provavonei suoi confronti e la prospettiva di poter esercitare la mia autorità su di luiavessero evocato nella mia mente cattivi pensieri. Fui pervaso dal senso dicolpa e mi ritrovai a riflettere su Mark e Alice.

Quanta sincerità c'era nelle mie motivazioni riguardo ai due giovani?Tutto ciò che avevo detto a Mark circa la differenza di classe e l'obbligo neiconfronti della sua famiglia d'impegnarsi per raggiungere una posizione disuccesso nella vita era vero. Eppure sapevo che il tarlo della gelosia si erainsinuato nella mia mente. Li rividi abbracciati in cucina e chiusi subito gliocchi, quando un'altra visione si fece strada prepotente: Alice cheabbracciava me al posto di Mark.

L'indomani mattina mi svegliai più riposato di quanto non fossi mai statonel corso di quella settimana. La prescrizione di fratello Guy mi aveva datoun gran sollievo. Dopo colazione scrissi una lettera al giudice Copynger e laconsegnai a Mark.

«Portala a Scarnsea immediatamente, con la richiesta di rispondermi entrodomani.»

«Credevo voleste incontrare il giudice di persona.»

«Voglio andare alla palude, finché il tempo regge.» Alzai lo sguardo alcielo, che si era nuovamente rannuvolato. «Comunica all'abate che la pulizia

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della tomba di Singleton potrà iniziare al tuo ritorno. È stato organizzato losvuotamento del vivaio ittico?»

«È possibile deviare il fiume in un canale di scolo. A quanto pare i monacirimuovono il fango dal laghetto ogni dieci anni.»

«Quand'è stata l'ultima volta?»

«Tre anni fa.»

«Dunque il cadavere sarebbe potuto rimanere là sotto per molti anniancora. Ma non per sempre.»

«Forse l'assassino ha dovuto sbarazzarsene in fretta.»

«Già. E, comunque, aspettiamo di vedere il vivaio, prima di fare altreconsiderazioni. Una giornata densa d'impegni la tua», aggiunsi nel tentativodi rompere il ghiaccio. Quel tentativo, però, parve farlo chiudere ancor piùin se stesso.

«Sì, signore», disse pacato, e uscì dalla stanza.

Diedi una scorsa all'ennesimo fascio di corrispondenza che l'abate miaveva recapitato, poi andai a cercare Alice. Mi sentivo nervoso ed eccitato alpensiero di vederla, proprio come un ragazzino. Fratello Guy mi disse cheera in lavanderia a stendere il bucato, e nell'attesa uscii in cortile per vederecom'era il tempo. Le nubi erano alte, e mi fecero sperare in una tregua.

Fui strappato dalla contemplazione del cielo da alcune voci concitate.Vicino alla guardiola due persone stavano lottando. Una era vestita di nero,l'altra in bianco. Mi precipitai verso di loro. Jerome era in balia del prioreMortimus, che lo stringeva con presa sicura, mentre tentava di afferrare unacarta che il vecchio certosino stringeva in mano. Nonostante la suainfermità, Jerome si difendeva con ardore. Lì accanto, Bugge teneva unbimbetto scalpitante per il collo della camicia.

«Dammelo, bastardo!» ringhiò il priore. Jerome cercò di ficcarsi il foglioin bocca ma l'altro gli fece uno sgambetto che lo fece cadere di schiena nellaneve. Il religioso si chinò, gli strappò la carta di mano e si rialzò, il respiroaffannato.

«Che cosa sta succedendo?» tuonai.

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Prima che il priore potesse rispondere, Jerome si rimise faticosamente inpiedi e gli sputò addosso. Il priore fece un verso disgustato e gli sferrò unimprovviso calcio. Il vecchio cadde con un lamento, e s'accasciò dolorantenella neve smossa. Il priore Mortimus agitò nell'aria una lettera.

«Guardate, commissario, stava cercando di spedire questa di nascosto!» Presi la missiva e ne lessi l'intestazione. «È indirizzata a Sir Thomas Seymour!»

«Non è forse un membro del consiglio regio?»

«Esatto, ed è il fratello della defunta regina.» Lanciai uno sguardo aJerome che, ancora a terra, ci guardava con occhi colmi di disprezzo, comeuna belva catturata. Poi aprii la lettera. Quel che vi lessi mi fece accapponarela pelle. Si rivolgeva a Seymour chiamandolo cugino, si definiva prigionieroin una casa di corruzione nella quale un commissario regio era stato ucciso,e diceva di doverlo informare circa alcune malefatte perpetrate da LordCromwell. Poi raccontava nuovamente del suo incontro in prigione conMark Smeaton e delle torture che Cromwell aveva inflitto al giovanemusico.

Mi trovo ora confinato qui da un altro dei commissari di Cromwell, ungobbo dallo sguardo bieco. Vi scrivo questa lettera nella speranza chepotrete usarla contro Cromwell, il braccio destro del demonio. Il popolo loodia e lo odierà ancor più quando questa storia sarà resa pubblica.

Strinsi il foglio in pugno. «Come ha fatto a uscire dalla sua stanza?»

«È scomparso dopo la prima, e sono venuto a cercarlo. Nel frattempo ilbuon vecchio Bugge ha ricevuto la visita di questo ragazzino dell'ospizio,che gli ha detto di dover ritirare qualcosa da uno dei monaci. Bugge si èsubito insospettito e non gli ha permesso d'entrare.» Il guardiano annuìsoddisfatto, sempre bloccando il bambino con presa sicura. Il piccolo avevarinunciato alla lotta, e fissava Jerome, disteso nella neve, con occhi colmi diterrore.

«Chi ti ha mandato?» gli chiesi.

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«È venuto un servitore con un biglietto», disse con voce tremula. «C'erascritto che dovevo venire a prendere una lettera da spedire a Londra.»

«Addosso gli ho trovato questo», disse Bugge. Aprì la mano libera emostrò un anello d'oro.

«È vostro?» chiesi a Jerome. L'uomo voltò il capo.

«Quale servitore, ragazzo? Rispondi, ti sei già cacciato in guai seri.»

«Il signor Grindstaff, eccellenza, che lavora in cucina. L'anello serviva perpagare me e la diligenza postale.»

«Grindstaff!» sbottò il priore. «Porta i pasti a Jerome, e si è sempreopposto alle nuove ingiunzioni. Lo caccerò questa sera stessa… a meno chevoi non vogliate applicare misure più severe, commissario.»

Scossi il capo. «Assicuratevi che fratello Jerome rimanga chiuso nella sua cella. Non dovreste permettergli di uscire nemmeno per le funzioni, avete visto che cosa ha combinato!» Mi rivolsi a Bugge. «Lasciate andare il ragazzo.»

Bugge lo spinse al cancello e lo buttò in strada con una spinta.

«Alzati, tu», gridò il priore a Jerome.

Il vecchio provò a rimettersi in piedi, ma perse l'equilibrio e caddenuovamente. «Non ci riesco, barbaro incivile.»

«Aiutatelo», ordinai a Bugge. «Rinchiudetelo nella sua cella.» Ilguardiano alzò Jerome di forza e lo trascinò via in malo modo.

«Cromwell ha molti nemici!» mi gridò Jerome mentre veniva allontanato.«Giustizia sarà fatta!»

Mi rivolsi al priore. «C'è un posto dove possiamo parlare?»

Mi condusse attraverso il chiostro interno, fino a una stanza riscaldata dalcrepitante tepore delle fiamme. Una caraffa di vino era posata su unoscrittoio disseminato di carte, e il priore ne versò due coppe.

«È la prima volta che Jerome trova modo di scomparire dopo una funzione?»

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«Sì. È sempre sotto stretta sorveglianza.»

«Esiste la possibilità che sia riuscito a inviare una lettera prima d'oggi?»

«Non da quando è stato confinato, il giorno del vostro arrivo. Ma primad'allora… potrebbe averlo fatto.»

Annuii, mordicchiandomi un'unghia. «D'ora in avanti, la sorveglianzadovrà essere rafforzata. Questa lettera costituisce un fatto grave. LordCromwell dovrebbe esserne avvisato all'istante.»

Mi guardò con occhi calcolatori. «Non potreste riferire anche a LordCromwell che un monaco fedele al sovrano ha impedito la spedizione dellamissiva?»

«Vedremo», risposi freddamente. «C'è un'altra questione di cui vorreidiscutere con voi. Orphan Stonegarden.»

Annuì lento. «Già, ho saputo che vi siete informato sul suo conto.»

«Ebbene? È stato fatto il vostro nome.»

Si strinse nelle spalle. «Anche i vecchi celibatari sono fatti di carne. Erauna bella ragazza, e ho provato a sedurla. Non lo nego.»

«Voi siete il responsabile della disciplina di questa casa, e giusto ieri miavete detto che la disciplina è l'unico mezzo che il mondo possiede per nonsoccombere al caos.»

L'uomo si spostò sulla sedia, nervoso. «Un piccolo incidente con unaservetta non è paragonabile alle passioni innaturali che contaminano irapporti fra monaci», commentò pungente. «Non sono perfetto, nessuno lo èa eccezione dei santi, e anche fra loro ci sono delle eccezioni.»

«Alcuni vi crederebbero un ipocrita, priore Mortimus.»

«Oh, suvvia, commissario, non lo sono forse tutti gli uomini? Nonintendevo farle del male e lei, comunque, mi ha subito rifiutato, ma quelpederasta di fratello Alexander non ha esitato a fare rapporto all'abate. Mi èspiaciuto per lei, in seguito», aggiunse in tono più pacato. «Vagava per ilmonastero come un fantasma. Io non le ho più rivolto la parola.»

«Sapete se qualcuno l'ha posseduta con la forza? Comare Stumpe pare

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esserne convinta.»

«No.» Il suo viso s'adombrò. «Non lo avrei mai tollerato.» Sospiròsonoramente. «È stato orribile vederla ieri. L'ho riconosciuta all'istante.»

«Anche comare Stumpe.» Mi misi a braccia conserte. «Fratello priore, ivostri nobili sentimenti mi stupiscono alquanto. Soprattutto ora che vi hovisto prendere a calci uno storpio.»

«Le responsabilità che gli uomini hanno sulla terra sono assai gravose, e quelle d'un monaco lo sono ancor di più. I religiosi hanno degli obblighi verso Dio e tentazioni cui resistere.»

«Anche Alice è stata oggetto delle vostre attenzioni, ho saputo.»

Rimase in silenzio un istante. «Non sono stato rude con lei, sapete?Orphan, intendo. Quando mi ha respinto, io non ho insistito.»

«Altri lo hanno fatto, però. Fratello Luke, per esempio.» M'interruppi.

«E fratello Edwig.»

«Già. Fratello Alexander fece rapporto anche a loro, mentre la natura deisuoi peccati, ben più gravi dei nostri, non era ancora stata scoperta»,aggiunse maligno. «L'abate parlò con fratello Luke e fratello Edwig, eordinò loro di lasciare in pace la ragazza. Come fece con me. Non capitaspesso che mi dia degli ordini, ma in quell'occasione lo fece.»

«Mi è stato riferito, in effetti, che la direzione di questo luogo è postainteramente nelle vostre mani e in quelle di fratello Edwig.»

«Qualcuno deve pur occuparsene, visto che l'abate Fabian pare piùinteressato alle battute di caccia con la nobiltà locale. Noi ci occupiamodelle noiose incombenze necessarie al buon funzionamento del monastero.»

Mi domandai se fosse il caso di accennare alle vendite dei terreni pervedere come avrebbe reagito. Ma no, pensai, non avrei dovuto mettere lorola pulce nell'orecchio finché non fossi stato in possesso di prove certe.

«Non ho mai creduto che avesse rubato quelle coppe e fosse fuggita,sapete?» disse in tono pacato.

«Ma è quanto avete detto a comare Stumpe.»

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«L'abate Fabian c'impose di attenerci a quella versione, fu molto fermo inproposito. Spero troverete chi l'ha gettata là sotto», aggiunse tetro. «Equando l'avrete trovato, non mi spiacerebbe passare cinque minuti solo conlui.»

Lo fissai in viso, un viso colmo di giusta indignazione. «Ne sono certo»,dissi freddo. «E ora vogliate scusarmi, sono atteso e s'è fatto tardi.»

Alice mi attendeva nella cucina dell'infermeria, un paio di grossesoprascarpe ai piedi e una vecchia mantella di lana sul tavolo. «Avretebisogno di qualcosa di più caldo», dissi. «Farà un gran freddo là fuori.»

«Basterà», mi rispose avvolgendosela attorno alle spalle. «Era di miamadre, e l'ha riscaldata per trenta lunghi inverni.»

Ci dirigemmo al cancello sul retro del monastero, seguendo il sentiero cheMark e io avevamo percorso il giorno avanti. Non lo avevo notato prima, malei era di un buon pollice più alta di me. Molti uomini lo erano, a causa dellamia schiena ricurva, ma ero abituato a guardare una donna negli occhi.Cercai di capire che cosa, in Alice, potesse aver attratto sia Mark sia me,perché la sua non era certo una bellezza convenzionale, così pallida e schiva.Del resto le bellezze bionde e svampite non mi avevano mai attratto; era illuccichio nello sguardo d'uno spirito forte che aspiravo a trovare. Nelcomprenderlo, il cuore prese a battermi forte in petto.

Passammo oltre la tomba di Singleton, che ancora si stagliava bruna sullacandida neve. Alice era silenziosa e distante proprio come lo era stato Mark.Trovarmi nuovamente di fronte a una simile taciturna insolenza m'irritò, poiriflettei che, del resto, i modi di esprimere scontento nei confronti di chidetiene il potere sono limitati.

Attraversando il frutteto, dove uno stormo di corvi affamati gracchiavaappollaiato sugli alberi spogli, provai a intavolare una conversazione. Lechiesi com'era stato per lei trascorrere l'infanzia nella palude.

«Nella casa accanto alla nostra vivevano due bambini. Due fratelli, Noel eJames. Giocavamo insieme. La loro era una famiglia di pescatori dagenerazioni; conoscevano tutti i sentieri nella palude, tutti gli appigli perrestare saldamente con i piedi per terra. Il padre era anche uncontrabbandiere. Ora sono tutti morti, la loro barca è scomparsa in una

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terribile tempesta cinque anni or sono.»

«Mi spiace.»

«Chi vive di pesca mette in conto simili evenienze.» Si voltò, animata daun improvviso ardore. «Se la gente di qui contrabbanda stoffa con la Franciain cambio di vino, è solo perché è molto povera.»

«Non mi interessa perseguire i contrabbandieri, Alice. Mi stavo solo domandando se fosse possibile che del denaro di dubbia provenienza, e magari la stessa reliquia rubata, potessero aver preso questa strada.»

Arrivammo dal lato opposto del vivaio. Poco più in là, alcuni servitori,sotto la supervisione di uno dei monaci, stavano lavorando a una piccolachiusa nel fiume, e notai che il livello dell'acqua nel laghetto era già calato.

«Fratello Guy mi ha raccontato di quella povera ragazza», disse Alicestringendosi nella mantella. «Ha detto che occupava il mio posto.»

«È vero. Ma quella povera creatura non aveva amici, fatta eccezione perSimon Whelplay. Voi, invece, avete chi vi protegge.» Colsi una certainquietudine nel suo sguardo, e sorrisi rassicurante. «Ebbene, ecco ilcancello. Ho la chiave.»

Lo attraversammo, e di nuovo mi ritrovai a spaziare con lo sguardosull'immacolata distesa della palude, il fiume all'orizzonte e, nel mezzo,l'isolotto con gli edifici in rovina.

«La prima volta che sono venuto qui, ho rischiato di caderenell'acquitrino», osservai. «Siete certa che esista una pista sicura? Comeriuscite a orientarvi con tutta questa neve?»

«Vedete quegli alti canneti?» li indicò con un dito. «È solo questione di trovare quelli giusti, e tenersi sempre a debita distanza. Non è tutta palude qui attorno, ci sono delle zone di terraferma, e i giunchi sono una sorta di segnale.» Uscì dal sentiero e saggiò la compattezza del terreno. «Di certo ci sono croste di ghiaccio; dovrete fare attenzione a evitarle.»

«L'ho imparato a mie spese.» Mossi un passo esitante e sorrisi nervoso.

«Avete la vita di un commissario regio nelle vostre mani.»

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«Saprò prendermene cura, signore.» Fece avanti e indietro lungo ilsentiero, valutando dove fosse meglio attraversare e poi, avvertendomi diseguire esattamente i suoi passi, s'inoltrò nella palude.

Procedeva con passo sicuro, ma lento, fermandosi spesso per verificare ipunti di riferimento. Ammetto che all'inizio ero piuttosto nervoso, mivoltavo continuamente, consapevole della crescente distanza che ci separavadal monastero e dell'impossibilità di ricevere soccorsi, nel caso in cui uno dinoi fosse caduto. Ma Alice pareva molto sicura di sé. Talvolta, il terreno eraben fermo, in altre occasioni dell'untuosa acqua scura saliva a riempire ledepressioni dei nostri passi. La marcia mi sembrò lenta, e fu con grandestupore che, alzando lo sguardo, scoprii che eravamo quasi giunti all'isolotto,le rovine a poco più di cinquanta piedi di distanza. Alice si fermò.

«Dobbiamo arrivare là sopra, da dove parte un altro sentiero che porta giùal fiume. Però quella pista è più pericolosa.»

«Be', cominciamo a raggiungere l'isolotto.»

Poco dopo mettemmo piede sulla terraferma. L'isolotto emergeva soltantodi qualche piede dalla palude, ma bastava per avere una chiara visuale delmonastero alle nostre spalle e del fiume, placido e grigio. All'orizzontes'intravedeva il mare, e un vento pungente trasportava l'odore di salsedine.

«Dunque i contrabbandieri sfruttano questa pista?»

«Sì, signore. Alcuni anni fa, dei funzionari doganali di Rye ne braccaronoqualcuno fin qui, ma persero la strada. Due di loro sprofondarono nellapalude, scomparendo senza lasciare traccia.» Seguii il suo sguardo sullabianca distesa e rabbrividii, poi perlustrai il poggio. Era più piccolo diquanto m'aspettassi, gli edifici in rovina poco più d'un cumulo di macerie.Uno di questi, pur essendo senza tetto, manteneva quasi intatte le pareti, e alsuo interno notai i resti d'un fuoco, un pezzetto di terra ricoperto di ceneredove la neve s'era sciolta.

«Di recente qualcuno è stato qui», dissi smuovendo le ceneri con la vagasperanza di ritrovare la reliquia o dell'oro nascosto, ma non c'era nulla. Alicemi osservava silenziosa.

La raggiunsi e mi guardai attorno. «I primi monaci insediati devono aver condotto un'esistenza dura. Mi chiedo perché abbiano scelto proprio questo luogo; forse perché era sicuro.»

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«Si dice che la palude si sia espansa gradualmente, a mano a mano che labocca del fiume si riempiva di sedimenti.» Non pareva granché interessata.

«Questo panorama sarebbe perfetto per un quadro. Io dipingo, sapete, quando trovo un po' di tempo.»

«Gli unici dipinti che ho visto io sono quelli sui vetri della chiesa. I colorisono belli, ma le figure hanno sempre un che d'irreale.»

Annuii. «Questo perché non c'è proporzione né senso della distanza,mancano di prospettiva. Ma i pittori contemporanei provano a mostrare lecose come stanno, e nelle loro opere intendono raffigurare la realtà.»

«Davvero, signore?» La sua voce era ancora fredda e distante. Tolsi laneve dalla rovina d'un antico muro e mi sedetti.

«Alice, vorrei parlarvi. Di mastro Poer.» Lei mi guardò inespressiva.

«So che si è molto affezionato a voi, e credo che il suo sentimento sia onesto.»

Nell'udire queste parole, la giovane si rianimò. «Allora, signore, perché gliimpedite di vedermi?»

«Il padre di Mark è il fattore delle terre di mio padre. Non che mio padresia ricco, ma io ho avuto la fortuna di farmi strada grazie agli studi digiurisprudenza, fino al gabinetto di Lord Cromwell.» Pensai si sarebbeimpressionata, ma la sua espressione non mutò.

«Mio padre ha dato la propria parola a quello di Mark che, sotto la mia guida, il giovane si sarebbe fatto una posizione a Londra. Io ho compiuto il mio dovere; ma non è stato tutto merito mio, la sua mente vivace e i modi garbati hanno giocato un ruolo importante.» Diedi un colpetto di tosse.

«Sfortunatamente, ci sono stati dei problemi. Mark si è visto costretto a lasciare il proprio posto…»

«So tutto della dama di corte, signore. Mark me lo ha raccontato.»

«Oh, davvero? Allora non capite che questa missione rappresenta per luil'ultima possibilità di riconquistare ciò che ha perso? Se saprà coglierla,potrà fare una dignitosa carriera e garantirsi un avvenire sicuro e prospero, il

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che significa che dovrà trovarsi una moglie di rango. Alice, voi siete unagiovane deliziosa. Foste stata figlia d'un mercante londinese, le cosesarebbero state diverse. Be', se così fosse stato, avreste avuto anche me comepretendente.» Non intendevo dirle quelle parole, ma non potei farne a meno.Lei si accigliò, confusa. Feci un profondo respiro. «In ogni modo, Markdeve pensare al proprio avvenire. Non può mettersi a corteggiare unadomestica. È dura, lo so, ma queste sono le regole che la società c'impone.»

«Allora la società è malvagia», disse lei con un freddo moto di rabbia.

«L'ho capito ormai da tempo.»

Mi alzai. «È il mondo che Dio ha voluto per noi e, nella buona o nellacattiva sorte, a noi sta accettarlo. Volete tarpargli le ali, volete che Markrinunci al proprio avvenire? Perché se lo incoraggerete, è questo cheaccadrà.»

«Non farei mai nulla per ostacolarlo», ribatté con foga. «Non farei nullacontro i suoi desideri.»

«Ma forse ciò che lui desidera finirebbe per danneggiarlo.»

«Sta a lui deciderlo. Sebbene, visto che non ci è permesso parlarci, Marknon possa dirmi nulla.»

«Siete dunque disposta a mettere a repentaglio il suo futuro? Davvero?»

Mi scrutò in viso tanto intensamente da mettermi a disagio come mainessuna donna in vita mia. Dopo qualche istante sospirò. «A volte mi pareche tutti quelli che amo debbano essermi strappati. Ma forse questo è ildestino d'una serva», aggiunse amareggiata.

«Mark m'ha detto che avevate uno spasimante, un taglialegna che è mortoin un incidente.»

«Se non fosse morto ora vivrei una vita sicura a Scarnsea, visto cheoggigiorno i proprietari terrieri non pensano ad altro che a far abbattere glialberi. E invece mi ritrovo qui.» Gli occhi le si riempirono di lacrime, cheasciugò con rabbia. Avrei desiderato stringerla fra le braccia e consolarla,ma sapevo bene che non era il mio abbraccio quello che lei voleva.

«Mi spiace. È nella natura delle cose che si perdano coloro che amiamo.

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Alice, è probabile che il monastero avrà vita breve. Io potrei forse trovarviun lavoro in città, attraverso il giudice Copynger. Con tutta probabilità loincontrerò domattina. Non dovreste restare in questo luogo pericoloso.»

Lei si asciugò le lacrime e mi guardò con occhi strani, carichi disentimento. «Già, questo luogo mi ha mostrato quanto sia radicata laviolenza nel cuore degli uomini. È davvero spaventoso.» Ho ancora quellosguardo davanti agli occhi, mentre scrivo queste righe, e rabbrividisco alricordo di quanto accadde in seguito.

«Lasciate che vi aiuti a lasciarlo.»

«Forse, signore, ma sarà difficile rispettare quell'uomo. D'altronde, ormaiil monastero mi fa orrore.»

«Già. Per me è lo stesso.»

«Signore, fratello Guy mi ha riferito che nel vivaio sono state rinvenutealtre cose assieme al cadavere di quella ragazza. Posso domandarvi di checosa si tratta?»

«Solo una tonaca, indizio che non si è rivelato utile come avevo sperato, e una spada. Ho ordinato di dragare lo stagno, per vedere se c'è dell'altro.»

«Una spada?»

«Sì. Credo sia l'arma che ha ucciso il commissario Singleton. Ha ilmarchio di chi l'ha forgiata, ma dovrei tornare a Londra per rintracciarlo.»

«Non partite, signore, ve ne prego», disse con inatteso ardore. «Non lasciateci. Signore, imploro il vostro perdono per la mia impertinenza, ma vi scongiuro di non andare. La mia sicurezza dipende dalla vostra presenza al monastero.»

«Temo stiate sopravvalutando i miei poteri», dissi cupo. «Non sonoriuscito a salvare Simon Whelplay. E in ogni modo non vedo proprio comepotrei partire con questa neve. C'impiegherei almeno una settimana, e nonho tutto questo tempo.»

Il suo viso si colmò di sollievo. Mi arrischiai ad avvicinarmi e le diedi unbuffetto sulla mano. «Sono commosso nel vedere quanta fiducia riponiate inme.»

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Lei sottrasse il braccio, ma sorrise. «Forse siete voi ad averne troppo pocain voi stesso, signore. Forse in altre circostanze, senza Mark…» Lasciò lafrase in sospeso, chinando la testa con fare pudico. Confesso di aver avuto ilcuore in gola. Rimanemmo sull'isolotto in silenzio per qualche istante.

«Penso sia meglio rientrare», dissi, «piuttosto che tentare di raggiungere ilfiume. Attendo un messaggio dal giudice. E, Alice, vi prometto che riusciròa fare qualcosa per voi. Comunque… grazie per le vostre parole.»

«Grazie a voi per il vostro aiuto.» Mi rivolse un rapido sorriso, poi si voltòe mi fece nuovamente strada attraverso la palude. Il viaggio di ritorno fu piùsemplice, non dovendo far altro che seguire le orme lasciate all'andata.Camminai alle sue spalle guardandole la nuca, e fui quasi sul puntod'allungare una mano e sfiorarla. Non soltanto i monaci sapevano rendersiridicoli e comportarsi da ipocriti, pensai.

Giunti in infermeria, Alice mi lasciò dicendo di avere delle faccende dasbrigare. Fratello Guy era intento a fasciare la gamba del monaco obeso.Alzò lo sguardo.

«Siete tornato. Avete l'aria infreddolita.»

«È così. Alice mi è stata di grandissimo aiuto.»

«Dormite meglio?»

«Molto meglio, grazie alla vostra ottima pozione. Avete visto Mark?»

«Ci siamo incrociati giusto un attimo fa. Si stava dirigendo nella vostrastanza. Prendete la pozione ancora per qualche giorno», mi disse mentre miallontanavo, non sapendo se riferire a Mark la mia conversazione con Alice.Giunsi alla stanza e aprii la porta.

«Mark, sono stato…» m'interruppi, guardandomi attorno. La stanza eradeserta. Poi udii una voce che pareva scaturire dal nulla.

«Signore, aiutatemi!»

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Capitolo ventiquattro

«Aiuto!»

Percepii il terrore della voce smorzata di Mark. Mi guardai intorno,disorientato, poi notai che la credenza era stata leggermente spostata.Sbirciai dietro e vidi una porta aprirsi nei pannelli di legno. Con difficoltàriuscii a spostare ancora un po' il mobile.

«Mark! Sei lì dentro?»

«Sono bloccato! Aprite, signore! In fretta, potrebbe tornare!»

Girai la vecchia maniglia rugginosa. La serratura scattò e la porta s'aprì,rilasciando una zaffata d'aria stantia. Mark balzò fuori dall'oscurità, gli abitiimpolverati e in disordine. Scrutai un istante nel buio, poi lo guardai.

«Per tutti i santi del paradiso, che cosa è successo? Chi potrebbe tornare?»

Mark fece qualche profondo respiro affannoso. «Quando sono entrato misono chiuso la porta alle spalle, ma poi ho scoperto che non poteva essereriaperta dall'interno. Ero in trappola. Nel pannello è stato scavato un buco;qualcuno ci stava davvero spiando. Vi ho visto entrare da quel forellino e hochiamato aiuto.»

«Dimmi che cosa è successo, dall'inizio.» Almeno, pensai, quello spavento lo aveva strappato al suo malumore. Mark si sedette sul letto.

«Dopo che siete uscito, sono andato a discutere con il priore Mortimusdello stagno. Lo stanno prosciugando proprio in questo momento.»

«Già, l'ho notato.»

«Sono rientrato a prendere le soprascarpe. Le stavo giusto infilando,quando ho sentito nuovamente dei rumori.» Mi guardò con occhi sfrontati.

«Sapevo di avere ragione.»

«Le tue orecchie sono più acute del tuo ingegno, visto come ti sei chiusolà dentro. Prosegui.»

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«Mi sembrava che quei rumori provenissero dalla credenza, così hopensato di spostarla e ho scoperto questa porta. Sono entrato con unacandela.

C'è un passaggio, e io intendevo scoprire dove conducesse. Ho chiuso laporta, nel caso in cui fosse entrato qualcuno, ma la corrente ha spento lacandela, lasciandomi al buio. Ho dato una spallata, ma non è servito.»Arrossì. «Mi vergogno, ma non avevo neppure la spada. Poi, nell'oscurità,ho scorto un puntino luminoso e ho scovato un forellino scavato nelpannello.» Indicò un buchino sul mobile. Mi alzai e andai a esaminarlo:guardando l'armadio lo si sarebbe scambiato per il foro di un chiodo.

«Per quanto sei rimasto chiuso là dentro?»

«Non molto. Ringraziando il cielo voi siete giunto dopo pochi minuti.Siete andato alla palude?»

«Sì. Ho trovato i resti di un accampamento di contrabbandieri e le cenerid'un fuoco. Ho anche parlato con Alice, ti spiegherò più tardi.» Accesi duecandele dal fuoco del caminetto e gliene porsi una. «Bene, vogliamoritentarci?»

Il giovane fece un profondo respiro. «Sì, signore.»

Chiusi la porta della stanza, onde evitare visite sgradite, poi scivolammodietro il mobile e aprimmo la porta. Dietro si snodava un lungo e strettocorridoio.

«Fratello Guy ci ha detto che un tempo c'era un passaggio che collegava l'infermeria alla cucina», dissi ricordando le parole del religioso. «Chiuso all'epoca della pestilenza.»

«Ma questo è stato usato molto più di recente.»

«Già.» Dall'interno scorsi il puntino luminoso scavato nel legno. «Di quisi gode di una perfetta visione della stanza. Pare essere stato aperto direcente.»

«Fratello Guy ha scelto per noi questa stanza.»

«Già. Stanza in cui chiunque poteva spiarci e origliare le nostre conversazioni.» Mi voltai verso la porta. Quel tipo di serratura poteva essere

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aperto solo dall'esterno. «Facciamo le cose per bene, questa volta.» Socchiusi la porta e infilai un fazzoletto fra questa e il muro, in modo che non potesse richiudersi.

C'incamminammo lungo il passaggio angusto, che correva parallelo almuro dell'infermeria. Una parete era costituita dai pannelli in legnodell'infermeria, l'altra dalla pietra degli edifici claustrali, punteggiata aintervalli regolari dai resti di bracci portalampada.

A un certo punto il corridoio fece una svolta a destra e sfociò in unastanza. Entrammo e ci guardammo attorno, alla luce delle candele. Citrovavamo in una segreta, di forma quadrata e senza finestre. Degli antichiferri erano fissati alle pareti, e un cencio sopra una tavola di legno in unangolo segnava i resti d'un giaciglio. Illuminai i muri. Nella pietra eranostate incise delle parole. Lessi una frase scavata in profondità. Frater Petrustristissimus. 1339. «Fratello Pietro. Mi chiedo cos'abbia commesso.»

«C'è un'uscita», disse Mark, raggiungendo una massiccia porta. Mi chinaia guardare nella serratura, ma vidi solo oscurità. Appoggiai l'orecchio sullegno, ma non udii nulla.

Girai lentamente la maniglia e scoprii che i cardini erano stati oliati da poco.Ci trovammo dietro un altro mobile che era stato allontanato dalla parete quanto bastava per far passare una persona. L'armadio dava su un corridoio lastricato di pietra. Poco distante c'era una porta, socchiusa, da cui trapelavano un vociare sommesso e il tintinnio delle stoviglie.

«È il passaggio per le cucine», sussurrai. «Torniamo dentro, presto, primache qualcuno ci veda.»

Scivolai dietro l'armadio dopo Mark e mi chinai per chiudere la porta,dando un lieve colpo di tosse per l'umidità. D'improvviso, una mano miserrò la bocca e l'altra mi si posò sulla schiena ricurva. Le candele sispensero. Poi Mark mi sussurrò all'orecchio: «Fate silenzio, signore. Staarrivando qualcuno!»

Annuii, e Mark mi liberò dalla sua presa. Non sentivo nulla, quel ragazzoaveva davvero l'udito d'un pipistrello. Un attimo più tardi, il bagliore di unacandela apparve da dietro l'angolo, illuminando una figura incappucciata chesi guardava attorno nella cella, il volto magro e scuro. Entrammo nel fasciodi luce della candela di fratello Guy, e il monaco trasalì.

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«Jesu, signori, che cosa ci fate qui?»

«Potremmo farvi la stessa domanda, fratello. Come siete entrato? Lanostra porta era chiusa a chiave.»

«E io l'ho aperta. Ho ricevuto la notizia che lo stagno è stato prosciugatoed ero venuto ad avvisarvi, ma non ho ricevuto risposta. Per quanto nesapevo potevate essere morti entrambi, così sono entrato usando la miachiave e ho visto quella porta aperta.»

«In questi giorni mastro Poer non ha fatto che udire dei rumori proveniredalla parete, e ha scoperto questa porta. Siamo stati spiati, fratello. Ci aveteassegnato una stanza con un passaggio segreto. Perché?» Parlai in tono duro.Mio malgrado avevo cominciato a considerare fratello Guy come un amico.Mi maledissi per la debolezza che avevo dimostrato nell'avvicinarmi tanto auno dei sospettati.

Il monaco s'irrigidì. La fiamma della candela vacillò, creando bizzarrieffetti di luce sul lungo naso e sugli scuri, affilati lineamenti. «Avevodimenticato che quella porta si trovasse nella vostra stanza. Signore, questopassaggio non viene più usato da quasi duecento anni.»

«È stato usato questa mattina! E voi ci avete assegnato una stanza nellaquale è stato aperto un foro per spiarci!»

«Non è la sola», disse placido. Lo sguardo calmo, ora teneva la candelasaldamente in mano. «Non avete notato? Questo passaggio corre dietro ipannelli di legno che rivestono le pareti dell'infermeria, dietro tutte le stanzeche danno su quel corridoio.»

«Ma il buco è stato scavato solo dietro la nostra. I visitatori sono ospitatiin questa camera, di solito?»

«Quelli che non alloggiano nella dimora dell'abate. Di solito si tratta dimessi, o degli officiali delle nostre terre che vengono a fare rapporto.»

Indicai la celletta umida con un gesto della mano. «E, in nome di Dio, potreste spiegarmi che cos'è quest'orribile luogo?»

Il monaco sospirò. «Questa è l'antica prigione del monastero. Quasi tuttele case religiose ne sono dotate; in passato gli abati le usavano perimprigionare i confratelli che avevano commesso peccati gravissimi. Il

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diritto canonico riconosce ancora loro questo potere, ma nessuno vi fa piùricorso.»

«No, certo, non in quest'epoca dai costumi tanto molli.»

«Qualche mese fa il priore Mortimus ha domandato se la vecchia segretaesistesse ancora; intendeva riportarla in uso. Io gli dissi che, per quanto nesapevo, la prigione c'era ancora. L'ultima volta che sono entrato qui è statoquando ho preso servizio al monastero, e un vecchio servitore me l'hamostrata. Pensavo però che la porta fosse stata sigillata.»

«Be', non lo era. Dunque il priore vi ha interrogato sull'esistenza di questo luogo, eh?»

«Esatto», mi rispose con voce aspra. «Pensavo avreste approvato, ilvicario generale pare intenzionato a rendere la nostra esistenza la più dura ecrudele possibile.»

Lasciai che fra noi cadesse un istante di silenzio. «Fate attenzione a ciò che dite in presenza di testimoni, fratello.»

«Già. Viviamo in un mondo pieno di nuove meraviglie, in cui il sovranod'Inghilterra manda un uomo alla forca solo per aver espresso un'opinione.»Si sforzò di riprendere il controllo di sé. «Sono dolente. Tuttavia, mastroShardlake, nonostante la nostra chiacchierata teologica sulle nuoveingiunzioni, tutti qui sentono l'enorme peso dell'ansia e della paura. Io vogliosoltanto vivere in pace, commissario. Lo desideriamo tutti.»

«Non tutti, fratello. Qualcuno potrebbe aver usato questo passaggio perintrufolarsi nelle cucine e uccidere il commissario Singleton. Il che significache non avrebbe avuto bisogno di una chiave.»

«Alice è stata a vegliare fratello James per tutta la notte. Nessuno potrebbeessere passato di qui senza che noi ce ne accorgessimo.»

Presi la sua candela e l'alzai a illuminargli il volto. «Ma voi avreste potuto,fratello.»

«Vi giuro sul sangue di Nostro Signore Gesù Cristo che non sono statoio», si difese con ardore. «Sapete che io sono un medico, il mio giuramentom'impone di proteggere la vita, non di distruggerla.»

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«Chi altri era a conoscenza di questo passaggio? Avete appena detto che ilpriore lo ha menzionato. Quando?»

Il religioso si passò una mano sulla fronte. «Ha portato la questionedavanti al consiglio degli obedenziari: io, l'abate, il priore Mortimus, fratelloEdwig e fratello Gabriel. C'erano anche fratello Jude, l'elemosiniere, efratello Hugh, il tesoriere. Il priore Mortimus, come sempre, aveva sollevatola questione della disciplina, che a parer suo andava rafforzata. Disse cheaveva sentito parlare di una vecchia cella, da qualche parte dietrol'infermeria. Suppongo non parlasse sul serio.»

«Chi altri potrebbe esserne a conoscenza?»

«Ai novizi appena arrivati al monastero viene detto che esiste una vecchiacella nascosta, per spaventarli, ma credo che nessuno conoscesse la suaesatta ubicazione. E io me n'ero scordato, finché voi non l'avete men-zionata il giorno del vostro arrivo. Ve l'ho detto, credevo fosse statasbarrata!»

«Dunque tutti sapevano della sua esistenza. Che cosa mi dite del vostro amico, fratello Jerome?»

L'uomo aprì le braccia. «Che cosa intendete? Non è mio amico.»

«Ieri vi ho visto aiutarlo con il messale, durante la funzione.»

Fratello Guy sospirò. «È un fratello in Cristo, nonché un povero storpio.Siamo giunti al punto in cui aiutare uno zoppo a voltare le pagine d'un librobasta per essere accusati? Non vi credevo quel genere d'uomo, mastroShardlake.»

«Io cerco un omicida», dissi brusco. «Tutti gli obedenziari sono sotto lamia personale sorveglianza, voi incluso. Dunque, chiunque abbia preso parteal consiglio può aver ricordato questo luogo e deciso di scovare ilpassaggio.»

«Suppongo di sì.»

Mi guardai nuovamente attorno in quell'umida cella. «Andiamo. Questoposto è malsano per le mie povere ossa.»

Ripercorremmo il passaggio in silenzio, con fratello Guy che ci precedeva.

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Arrivati alla porta, mi chinai per recuperare il fazzoletto. Nel farlo, scorsi unfioco scintillio reso visibile dal bagliore della candela. Grattai appena lasuperficie del pavimento di pietra con un'unghia.

«Che cosa c'è?» chiese Mark.

Avvicinai il dito agli occhi. «Che Dio abbia misericordia, allora di questosi trattava», bisbigliai. «Sì, ma certo, la biblioteca.»

«Che cosa succede?»

«Più tardi.» Mi pulii la mano sulla veste. «Andiamo, o finirò congelato.»

Raggiunta la nostra stanza, congedai fratello Guy e andai a scaldarmi lemani davanti al fuoco.

«Maledizione, quel posto era gelido.»

«Mi ha sorpreso udire fratello Guy criticare il vicario generale.»

«Ha criticato la politica del sovrano, ma per commettere tradimentoavrebbe dovuto opporsi alla sua autorità religiosa. Nell'impeto del momento,ha detto quello che tutti pensano in questo luogo.» Sospirai. «No, in quelpassaggio ho trovato una traccia, ma conduce a qualcun altro.»

«A chi?»

Lo guardai, lieto di notare che il suo malumore pareva essersi dileguato.

«Più tardi. Andiamo, dobbiamo raggiungere in fretta il vivaio. Abbiamobisogno di vedere se quelle acque celano altri segreti.»

Lasciammo la stanza e ci dirigemmo ancora una volta verso il frutteto,dove un piccolo drappello di servitori stava attorno allo stagno, delle lunghepertiche in mano. Con loro c'era il priore Mortimus, che vedendoci arrivaredisse: «Abbiamo deviato il corso del fiume, commissario, e l'acqua è statadrenata. Ma dovremo far presto, o inonderà il terreno presso il canale discolo».

Annuii. Lo stagno era vuoto, il grigio fondo fangoso incrostato daframmenti di ghiaccio. Mi rivolsi ai servitori.

«Uno scellino a chiunque ritrovi qualcosa là sotto!»

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Due servitori si fecero avanti e si calarono esitanti nel limo, sondando ilterreno con i pali. Dopo qualche tempo uno dei due mi chiamò, mostrandomiciò che aveva trovato. Due calici d'oro.

Avevo sperato nel ritrovamento della reliquia, ma le ricerche non cifruttarono altro che un vecchio sandalo. Alla fine i servitori si arrampicaronofuori del bacino, e l'uomo che aveva ritrovato le coppe venne a portarmele.Gli diedi il suo compenso e mi voltai verso il priore, che aveva lo sguardofisso sui due calici.

«Sono proprio loro, non c'è alcun dubbio.» Sospirò sonoramente.

«Commissario, ricordate, se doveste trovare l'uomo che ha ucciso quellapovera ragazza, concedetemi di rimanere solo con lui.» Si voltò e andò via.Guardai Mark sollevando un sopracciglio.

«Gli dispiace davvero tanto per la morte di quella ragazza?» mi chiese.

«Non c'è fine alle bizzarrie che regnano nelle profondità dell'animoumano. Forza, ora tocca alla chiesa.»

Capitolo venticinque

C'incamminammo faticosamente verso il monastero e quandoraggiungemmo la corte fui costretto a fermarmi per riprendere fiato.

«La traccia trovata in quel passaggio ci riconduce a fratello Gabriel. Pareche, in fin dei conti, non ci abbia raccontato tutto. Andiamo a cercarlo,dovrebbe essere in chiesa. Quando gli parlerò, voglio che tu stia lontano.Non chiedermi nulla, ho i miei motivi.»

«Come desiderate, signore.» Capii subito che quel mistero lo aveva offesodi nuovo, ma la segretezza era parte integrante del piano che avevoelaborato. Ero rimasto stupito della scoperta fatta nel passaggio, ma nonpotei fare a meno di provare un senso di soddisfazione nel pensare che i mieisospetti su Gabriel non fossero poi così infondati.

La giornata era ancora nuvolosa, la chiesa buia. Nessuna preghiera

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sussurrata si levava dalle cappelle laterali, per i monaci doveva essere l'oradi svago. Distinsi la figura di fratello Gabriel al centro della navata. Stavasupervisionando il lavoro d'un servitore, intento a lucidare una grossa placcadi metallo incassata nel pavimento.

«Il verderame sta venendo via.» La sua profonda voce riecheggiò nell'aria.Lo raggiungemmo. «La formula di Guy funziona.»

«Fratello Gabriel», lo interruppi. «Sono dolente di dover allontanare in continuazione i vostri servitori, ma temo di dovervi parlare ancora.»

Il religioso sospirò e fece cenno all'uomo di lasciarci. Lessi l'iscrizionelatina incisa sulla placca.

«Dunque il primo abate è sepolto qui?»

«Si. La lavorazione di questa placca è raffinata.» Lanciò un'occhiata aMark, che se ne stava in disparte come io gli avevo ordinato, poi si rivolsenuovamente a me. «Sfortunatamente, si tratta di una lega di rame, mafratello Guy ha inventato una pozione che riesce a pulirla.» Parlavarapidamente, in modo nervoso.

«Avete delle giornate davvero dense d'impegni, fratello. Responsabiledella musica e delle opere d'arte della chiesa.» Alzai lo sguardo allapasserella e vidi la statua di san Donato ai cui piedi erano stati deposti degliattrezzi, e la cesta degli operai assicurata alle funi che correvano fin dentro ilcampanile. «I lavori non proseguono. State ancora discutendo con fratelloEdwig?»

«Sì. Ma di certo non è questo il motivo della vostra visita», rispose convoce spazientita.

«No, fratello. Ieri vi ho esposto il mio pensiero, il pensiero di un avvocatoda quattro soldi, come l'avete definito voi.»

«Io non sono un assassino», ribadì.

«Se c'è una cosa che noi avvocati da quattro soldi impariamo ad affinare,tuttavia, è l'istinto di scovare le verità tenute nascoste.»

Il religioso non ribatté nulla, limitandosi a fissarmi negli occhi.

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«Lasciate che vi esponga un altro pensiero, allora, una serie disupposizioni, e se sbaglio voi sarete libero d'interrompermi in qualsiasimomento. Siete d'accordo?»

«Non so che trucco abbiate in mente.»

«Nessun trucco, ve lo prometto. Permettetemi di partire da un consigliodegli obedenziari di qualche mese fa. Il priore Mortimus menziona lavecchia segreta del monastero, e un passaggio che conduce dall'infermeriaalle cucine.»

«Sì… sì, lo ricordo.» Il respiro s'era fatto più rapido.

«La proposta non ebbe alcun seguito, ma accese una scintilla nella vostra mente. Io credo che vi siate recato in biblioteca e abbiate trovato le vecchie piantine del monastero. Le ho viste quando mi avete mostrato quei locali; ricordo che non avete voluto che io le toccassi. Penso abbiate trovato quel passaggio, fratello, e penso che abbiate aperto un forellino nella parete di quella che ora è la nostra stanza. Il cuoco ha affermato di avervi trovato ad aggirarvi furtivo attorno alle cucine, dove ora so essere l'imboccatura di quelpassaggio.»

Il monaco s'inumidì le labbra secche.

«Non mi contraddite, fratello?»

«Io… io non so di che cosa stiate parlando.»

«Davvero? Mark ha udito dei rumori nella nostra stanza, e io l'ho preso ingiro dicendo che doveva essere un topolino. Oggi, però, Mark ha ispezionatola nostra stanza e ha scoperto la porta e il forellino nella parete. Mi sonodomandato chi potesse averci spiato da lì, ho persino sospettato del frateinfermiere, ma poi ho scoperto qualcosa a terra, proprio sotto il buco nelmuro. Qualcosa che luccicava. E ho compreso che l'uomo che ci avevaosservati non intendeva spiare le nostre mosse. Aveva un altro interesse.»

Fratello Gabriel emise un gemito che parve scaturirgli dalle profonditàdelle viscere. Si accasciò su se stesso come una marionetta cui avesserotagliato i fili.

«Nutrite una vera passione per i giovani, fratello Gabriel. Passione chepare avervi consumato, se vi ha spinto al punto di spiare Mark Poer quando

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si veste la mattina.»

Vacillò, tanto che credetti sarebbe svenuto. Appoggiò una mano contro ilmuro per riprendere l'equilibrio. Quando mi guardò, il suo volto cadavericosi accese d'un cupo rossore.

«È vero», sussurrò. «Jesu, perdonami.»

«Mio Dio, dev'essere stato davvero strano trovarsi nell'oscurità di quellatriste, antica cella, in preda all'eccitazione.»

«Vi prego… vi prego», disse levando una mano. «Non diteglielo, nonditelo al ragazzo.»

Mi avvicinai a lui. «Allora fate il nome di chi avete cercato di proteggere.Quel corridoio è un passaggio segreto per le cucine, dove il miopredecessore è stato assassinato.»

«Non ho mai voluto che le cose andassero in questo modo», sibilò conimprovviso ardore. «La bellezza maschile mi attrae ormai da tempoimmemorabile, sin da quando ho posato per la prima volta lo sguardosull'effigie di san Sebastiano che avevamo nella nostra chiesa. Diventò perme un'ossessione come quella che gli altri ragazzi sviluppavano per il senodella statua di sant'Agata. Ma loro potevano sposarsi, mentre io sono rimastosolo con… questo. Mi sono rifugiato qui dentro per rifuggire le tentazioni.»

«In un monastero?» chiesi incredulo.

«Già.» Rise desolato. «Oggigiorno i giovani più vigorosi non prendonopiù i voti, così i monasteri ospitano povere creature, come Simon, che nonsono in grado d'affrontare il mondo. Non provavo alcun desiderio per lui, eneppure per il vecchio Alexander. Ho peccato con altri uomini, ma soltantopoche volte in questi ultimi anni, e mai più dopo la visita. Grazie allapreghiera e al lavoro ho imparato a dominare i miei istinti. Ma qui almonastero capitano ogni tanto dei visitatori: i sovrintendenti delle nostreproprietà nella contea, dei messi… Così, talvolta mi capita di… di vederequalche giovane tanto bello da infiammarmi il cuore, e allora non sono piùpadrone delle mie azioni.»

«E di solito i visitatori occupano la nostra stanza?»

Chinò il capo. «Quando il priore ha menzionato il passaggio, mi sono

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chiesto se corresse dietro la stanza degli ospiti. Avete ragione, ho consultatole vecchie piantine. Che Dio abbia pietà di me, ho aperto il foro nella pareteper poter spiare le loro nudità.» Rivolse nuovamente lo sguardo a Mark, maquesta volta con l'espressione adirata d'un animale braccato.

«Poi siete arrivato voi, con lui. Dovevo vederlo, è talmente bello, è larisposta a… alla mia ricerca. Ha una bellezza ideale.» Prese a parlare infretta, quasi farfugliando. «Mi sono introdotto nel passaggio quando pensavovi sareste svegliati. Che Dio m'aiuti, ero lì ieri, e il giorno in cui il poveroSimon è stato sepolto. E ci sono ritornato stamattina, non ho saputo resistere.Oh, che cosa sono diventato? Può un uomo umiliarsi più di così agli occhi diDio?» Chiuse il pugno e se lo portò alla bocca, mordendolo con tanta forzada farlo sanguinare.

Mi venne in mente che, così facendo, Gabriel aveva visto anche la miaschiena deforme, dalla quale Mark, mostrando grande delicatezza, avevasempre distolto lo sguardo. Non fu un pensiero piacevole.

Mi protesi in avanti. «Ascoltate, fratello. Mark non sa ancora nulla. Ma voi dovete confessare tutto ciò che sapete sugli omicidi, tutto ciò che sinora mi avete taciuto.»

Abbassò il pugno sanguinante e mi guardò allibito.

«Ma, commissario, non ho altro da dirvi. Il mio segreto era la vergogna.Tutto ciò che vi ho raccontato è vero, non so nient'altro. L'unica ragione percui ho usato quel passaggio era…» Fece un respiro profondo. «Volevo sologuardare.»

«Nient'altro?»

«Nient'altro, lo giuro. Potessi fare qualcosa per aiutarvi a svelare questiorribili misteri, Dio m'è testimone, lo farei.»

Si appoggiò nuovamente al muro, oppresso dall'insostenibile pesodell'onta. Fui colto da un moto di rabbia al pensiero che, ancora una volta,avevo seguito una traccia che conduceva a un punto morto. Scossi il capo,sbuffando incollerito.

«Diamine, fratello Gabriel, mi avete reso la vita difficile. Vi credevol'assassino.»

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«Signore, so che ordinerete la chiusura del monastero. Ma vi prego, nonservitevi di quanto sapete sul mio conto. Non usate i miei peccati persegnare la fine di Scarnsea.»

«Signore Iddio, state ingigantendo la portata dei vostri peccati. Se questacasa verrà chiusa, sarà per ben altre ragioni. Mi dispiace soltanto che unuomo debba sprecare la propria esistenza per una simile forma d'idolatria.Siete la creatura più sciocca della terra.»

Il religioso chiuse gli occhi imbarazzato, poi li riaprì e lo vidi mormorareuna preghiera. D'un tratto spalancò la bocca, e gli occhi, ancora levati alcielo, sembrarono uscirgli dalle orbite. Sconcertato, feci per avvicinarmi alui. Ma, senza lasciarmi neppure il tempo di muovere un passo, Gabriel sivoltò e, con un grido, si lanciò verso di me a braccia spalancate.

Ciò che accadde in seguito è scolpito nella mia memoria con tantapotenza, che la mano mi trema mentre scrivo. Mi diede un violento spintone,scagliandomi sul pavimento con un tonfo che mi tolse il respiro. Per unattimo pensai che fosse impazzito e che intendesse uccidermi. Poi vidiqualcosa precipitare dall'alto in una nuvola di polvere, e una grossa figura dipietra si abbatté nel punto esatto in cui mi trovavo poco prima, travolgendoil povero Gabriel. L'ho ancora nelle orecchie, il frastuono della pietra che sischianta al suolo e il raccapricciante scricchiolio delle sue ossa rotte.

Mi levai sui gomiti e rimasi a terra come istupidito, la bocca spalancata, afissare i resti della statua di san Donato sopra il sacrista, il cui bracciosporgeva in una pozza di sangue. La testa della statua si era staccata ed erarotolata ai miei piedi, guardandomi con un'espressione di compassionevolecordoglio, candide lacrime dipinte sotto gli occhi.

Poi udii la voce di Mark lanciare un grido raggelante.

«Spostatevi di lì!»

Alzai lo sguardo. Il basamento sul quale era posata la statua vacillava inbilico sulla balaustra, a cinquanta piedi d'altezza. Mi allontanai arrancandoappena un attimo prima che il piedistallo si schiantasse al suolo. Mark miafferrò per un braccio e mi aiutò a rialzarmi, il viso d'un cadaverico pallore.

«Lassù!» gridò poi.

Seguii il suo sguardo. Una nera figura percorreva la balaustra, diretta

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verso il presbiterio.

«Mi ha salvato.» Non riuscivo a distogliere gli occhi dai poveri resti delsacrista. «Mi ha salvato!»

«Signore», mormorò Mark agitato. «Lo abbiamo in pugno. L'unica via di fuga sono le scale ai lati del jubé.»

Cercai di riprendermi dallo spavento, e osservai gli scalini di pietra. «Sì,hai ragione. Hai capito chi era?»

«No. Ho visto solo una tonaca con il cappuccio alzato. Si è diretto versol'abside. Se lo seguiamo su per le scale, uno da ciascun lato, potremosbarrargli la strada. Lo prenderemo, non può scappare. Ce la fate, signore?»

«Sì. Dammi solo una mano ad alzarmi.»

Mark mi aiutò a rimettermi in piedi. Sfoderò la spada e io afferrai ilbastone, respirando profondamente per cercare di placare il battito del miocuore atterrito. «Procederemo in parallelo, così da non perderci mai divista.»

Mark annuì e corse rapido verso la scala di destra. Distolsi lo sguardo dalcadavere di Gabriel, e presi quella a sinistra.

Salii lentamente. Il cuore mi martellava tanto in petto da farmi pulsare lagola, mentre bianche scintille mi balenavano davanti agli occhi. Tolsi ilpesante mantello e lo posai sui gradini. Il freddo mi gelava le ossa, ma senzala cappa avevo maggiore libertà di movimento.

Le scale portavano sulla stretta piattaforma di maglie metalliche checorreva tutt'intorno alla chiesa. Guardando in basso, scorsi il baluginio dellecandele sull'altare e davanti alle cappelle dei santi, e il cumulo di pietra sottoil quale si allargava la grossa chiazza di sangue. La piattaforma non era largapiù di tre piedi, solo una ringhiera di ferro a proteggere dal salto. Poco piùavanti gli attrezzi dello scalpellino giacevano disordinati accanto al grovigliodi funi, assicurate alla cesta che ciondolava nel vuoto da un sistema di rivettipiantati nel muro. Mi guardai attorno, maledicendo l'oscurità. Tutte lefinestre si trovavano sotto la balaustra, dalla quale giungeva soltanto unfioco chiarore. Non vedevo bene, ma scorsi una figura nell'ombra, ne erocerto. Procedetti con cautela lungo la passerella, chinandomi per passaresotto le funi.

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Qualche passo più avanti la passerella si congiungeva all'estremità deljubé. Questo attraversava la navata in tutta la sua larghezza di sette piedi, ereggeva le statue che poco prima avevo osservato da terra. Da laggiùm'erano parse alquanto piccole, ma ora, scorgendo le loro sagomenell'oscurità, capii che erano a grandezza naturale.

Prestando attenzione a mantenermi sempre saldamente attaccato allaringhiera, oltrepassai il jubé. La passerella scricchiolava traballando sotto imiei passi. Mi dissi che lo scalpellino e i suoi operai la usavano in tuttasicurezza, ma non potei fare a meno di chiedermi se la caduta della statuaavesse potuto indebolirla.

Dall'altra parte della navata scorsi Mark che procedeva lentamente inparallelo. Alzò la spada, e io gli feci cenno con il bastone. L'assassinodoveva essere ormai in trappola. Strinsi forte il bastone. Le gambe avevanopreso a tremare in modo fastidioso.

Proseguii, lo sguardo fisso nell'oscurità. Nulla. Nemmeno un suono.Avvicinandosi all'abside, la passerella curvava a semicerchio, e pochi istantidopo Mark e io ci ritrovammo a faccia a faccia, a cinquanta piedi didistanza, alle due estremità opposte del presbiterio. E fra noi il nulla. Ilgiovane mi guardò incredulo.

«È passato di qui, l'ho visto», gridò.

«E allora dov'è finito? Qui non c'è nessuno. Devi esserti sbagliato,probabilmente è sceso dall'altra parte, verso la porta.» Mi voltai a scrutare lavia che avevo appena percorso, dove la passerella si perdeva nel buio.

«Vi giuro sulla mia vita che l'ho visto venire per di qua. Lo giuro.»

«Va bene.» Feci un profondo respiro. «Manteniamo la calma. Se è andatodall'altra parte, è ancora in mano nostra. Nessuno è sceso per le scale, loavremmo sentito. Facciamo il giro.»

«Forse dovremmo scendere. Uno di noi potrebbe andare a chiamare aiuto.»

«No, è impossibile tenere d'occhio entrambe le scale da soli. Questo postoè troppo grande.»

Ripercorremmo la passerella, diretti verso l'estremità opposta della chiesa.Scrutare in quell'oscurità mi aveva affaticato gli occhi. Oltrepassai il jubé

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con le sue statue e notai qualcosa d'insolito, ma da principio non ci feci caso.Poi ebbi un lampo: fra le tre statue di san Giovanni Battista, di NostroSignore e della Vergine Maria, ce n'era una quarta.

Mi voltai a controllare, sentii fendere l'aria e qualcosa colpì la pareteaccanto a me. Un pugnale cadde tintinnando ai miei piedi. Allora capii chequello che avevo scambiato per una statua era un uomo in carne e ossa.Riuscii a scorgere la sua sagoma nel buio, mentre procedeva lungo lapasserella aggrappandosi alla ringhiera. Lo rincorsi, ma inciampai in unadelle maglie metalliche e caddi. Per un istante mi ritrovai in bilico aguardare nel vuoto, poi riuscii faticosamente a rimettermi in piedi. La figuraera svanita. Udii dei passi scendere precipitosamente le scale.

«Mark!» gridai. «Da questa parte! Sta fuggendo!»

Mark però era troppo lontano, e quando raggiunse di corsa la scalaall'estremità opposta della chiesa, il monaco era già sceso. Udii scalpicciarein lontananza e mi affrettai giù per le scale, ma quando vidi Mark appariredall'altro lato sentii la porta della chiesa chiudersi con un tonfo cheriecheggiò nella navata.

«Era sul jubé, in mezzo alle statue!» gridai. «Hai visto chi era? È statoveloce come un fulmine.»

«No, signore, quando vi ho raggiunto era già sceso.» Osservò il jubé.

«Dev'essersi arrampicato mentre salivamo le scale. Per tutti i fulmini, c'è voluto un gran coraggio a stare lassù senza ringhiera né appigli.»

«Puntava sul fatto che, in quanto riformatori, non avremmo fatto caso allestatue. È riuscito a farla franca.» Osservai il pugnale che avevo raccolto sulballatoio. Un'affilata lama senza decorazioni. Nessun indizio. Pestai unpugno contro la parete, provocandomi una dolorosa fitta che risalì lungo ilbraccio.

«E Gabriel, signore? Non lo credevate l'assassino? Che cosa avete trovatoin quel passaggio segreto?»

Esitai. «Mi sbagliavo. Non nascondeva nessun segreto. E ora ho un altro cadavere sulla coscienza», aggiunsi alzando lo sguardo adirato al soffitto della chiesa. «Ma giuro che questo sarà l'ultimo.»

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Capitolo ventisei

Feci chiamare i quattro obedenziari sopravvissuti in chiesa. L'abateFabian, il priore Mortimus, fratello Edwig e fratello Guy ci raggiunsero nellanavata, mentre dei servitori rimuovevano i grossi frammenti di pietra dalcadavere di Gabriel. Stranamente, scoprii di poter sopportare quell'orribilevista, grazie a una sensazione di ovattato trauma che aveva pervaso la miamente. Osservai le reazioni degli officiali anziani: fratello Guy e il prioreMortimus mostrarono un contegno impassibile, fratello Edwig fece dellesmorfie di disgusto, l'abate Fabian si allontanò colto da un conato di vomito.

Ordinai loro di accompagnarmi nello studiolo di fratello Gabriel, dove piledi libri da copiare erano accatastate sul pavimento. Chiesi loro dove sitrovassero i monaci al momento della disgrazia.

«Ovunque», rispose il priore Mortimus. «È l'ora di svago. Ma pochisaranno usciti con questo tempo, probabilmente sono tutti nelle loro celle.»

«E Jerome? È al sicuro?»

«Rinchiuso nella sua cella da ieri.»

«E voi quattro, dove eravate?»

Fratello Guy rispose che lui era nel dispensario a studiare, da solo; ilpriore Mortimus era nel suo ufficio, solo anch'esso. Fratello Edwig miassicurò che i suoi due assistenti avrebbero potuto confermare la suapresenza in contabilità, mentre l'abate Fabian riferì che stava discutendo coni suoi amministratori. Mi sedetti, osservandoli a uno a uno: non potevofidarmi neppure di coloro che avevano un alibi, perché chi glielo avevafornito poteva esservi stato costretto con la forza. Lo stesso valeva per glialibi che i monaci si fornivano vicendevolmente. Avrei potuto interrogareogni religioso e ogni servitore della casa, ma quanto ci avrei impiegato, e ache cosa sarebbe servito? D'improvviso fui pervaso da un senso d'impotenza.

«Dunque Gabriel vi ha salvato la vita?» chiese il priore, rompendo ilsilenzio.

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«Esatto.»

«Ma perché?» chiese ancora. «Con il dovuto rispetto, signore, perchéavrebbe dovuto sacrificare la sua vita per voi?»

«Non credo ci sia da stupirsi. Io penso fosse stato portato a credere che lasua vita avesse ben poco valore.» Fissai il priore con disprezzo.

«Allora spero che questa sua generosità possa aiutarlo nel momento del giudizio. Molti erano i peccati che gli pesavano sulla coscienza.»

«Forse agli occhi di Dio non avevano poi tanta importanza.»

Qualcuno bussò alla porta, con esitazione, e il viso spaventato di unmonaco fece capolino.

«Chiedo venia, è giunta una missiva del giudice Copynger per ilcommissario. Il messo dice che si tratta di questione urgente.»

«Molto bene. Signori, vi prego di aspettarmi qui. Mark, vieni con me.»

Attraversando nuovamente la navata, notammo che il corpo di Gabriel erastato rimosso. Due servitori erano intenti a ripulire il pavimento di pietra edall'acqua bollente si levavano pennacchi di vapore, mentre i due uominilavavano le chiazze di sangue. Quando aprimmo le porte della chiesa, citrovammo di fronte un mare di facce, monaci e servitori, che mormoravanoansiosi. Grigie nuvole di fiato fuoriuscivano da almeno una cinquantina dibocche. Scorsi fratello Athelstan che si guardava attorno con attonitostupore, e fratello Septimus che si torceva le mani. Nel vederci, fratello Judedisse agli astanti di fare largo. Attraversammo la folla, preceduti dal frateche era venuto ad avvisarci. Davanti alla guardiola, Bugge ci attendeva conuna lettera in mano, gli occhietti pungenti colmi di curiosità.

«Il messo ha riferito che era questione della massima urgenza,commissario, spero perdonerete l'interruzione. È vero che fratello Gabriel haperso la vita in un incidente avvenuto in chiesa?»

«No, mastro Bugge, nessun incidente. È morto per salvarmi da unassassino.» Presi la lettera e mi allontanai, fermandomi al centro della corte.Solo allora sentii di essere a distanza di sicurezza da pareti e finestre.

«La notizia farà il giro del monastero in meno di un'ora», disse Mark.

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«Benone. Non è più tempo di segreti.» Ruppi il sigillo e lessi le pocherighe. Mi morsi un labbro, ansioso.

«Copynger ha cominciato la sua indagine. Ha convocato Sir Edward e unaltro proprietario terriero della zona nominato in quel registro. Questi glihanno risposto che erano bloccati nelle loro tenute dalla neve, ma se unmesso ha potuto raggiungerli quella era per forza una scusa. Così Copyngerli ha mandati di nuovo a chiamare. Mezzucci per guadagnare tempo. Dicerto nascondono qualcosa.»

«Ora potremo interrogare fratello Edwig.»

«Non voglio che quella viscida anguilla mi venga ancora a parlare di contie scarabocchi. Voglio affrontarlo con le prove in mano. Ma per questodovremo aspettare domani, o il giorno dopo ancora.» Ripiegai la missiva.«Mark, chi poteva sapere che questa mattina avevamo in progetto di andarein chiesa? Io te l'ho detto al vivaio. Ricordi?»

«Con noi c'era anche il priore Mortimus, ma se ne stava andando.»

«Forse ha l'udito fino come il tuo. Il punto è che nessun altro ne era alcorrente. Supponiamo, per esempio, che qualcuno si sia arrampicato lassùper tendermi un agguato.»

Mark rifletté un istante. «Ma come poteva sapere che voi sareste passatoproprio sotto quei blocchi di pietra?»

«Hai ragione. Oh, Dio, ho la mente confusa.» Mi massaggiai la fronte.

«Va bene. E se il nostro assassino si fosse trovato lassù per un altro motivo?Potrebbe aver colto l'occasione di liberare il mondo della mia presenzavedendomi passare di lì, non credi?»

«Ma perché arrampicarsi fin lassù? Non ci sono nemmeno lavori in corso.»

«Chi altri era a conoscenza dei progetti di restauro, a parte fratello Gabriel?»

«Il priore Mortimus è responsabile della gestione quotidiana del monastero.»

«Penso dovremo scambiare quattro chiacchiere con lui.» M'interruppi, e

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infilai la lettera nella busta. «Prima, però, c'è qualcosa che debbo dirti.»

«Sì, signore.»

Lo guardai serio. «Ricordi la lettera che hai portato a Copynger circa le vendite dei terreni? Gli ho anche domandato d'informarsi se ci sono imbarcazioni in partenza per Londra. Con questa neve ci vorrebbe almeno una settimana per attraversare il Weald, ma in seguito all'incidente di Jeromeho davvero bisogno di parlare con Cromwell. Ho pensato che forse era possibile partire via mare, e avevo ragione; un bastimento salperà questo pomeriggio con un carico di luppolo. Dovrebbe raggiungere Londra in due giorni, per rientrare subito dopo aver scaricato. Se il tempo regge, starò via solo quattro giorni. Non posso perdere questa occasione. E voglio che tu sia presente qui.»

«Ma dovrete partire immediatamente.»

Feci avanti e indietro per il cortile. «Non ho altra scelta. Il sovrano non sa nulla di quanto è accaduto in questo luogo. Se Jerome fosse riuscito a far uscire dell'altra corrispondenza, e questa fosse giunta nelle mani del re, Cromwell potrebbe trovarsi in serie difficoltà. Non vorrei partire, ma devo. E c'è dell'altro. Si tratta della spada.»

«Quella rinvenuta nel vivaio?»

«Sì. Reca impresso il marchio del fabbro. Spade di quel genere vengonofatte solo su ordinazione. Se riesco a rintracciare il fabbro ferraio che l'haforgiata, dovrei riuscire a scoprire a chi era destinata. Per il momento èl'unica pista che abbiamo.»

«Oltre a quella di fratello Edwig, quando avremo le prove delle vendite.»

«Già. Però non riesco davvero a immaginare fratello Edwig con un complice. È troppo indipendente.»

Mark esitò. «Fratello Guy potrebbe aver ucciso Singleton. È magro, ma haun fisico prestante, ed è molto alto.»

«Potrebbe anche essere, ma perché proprio lui?»

«Il passaggio segreto, signore. Quella notte potrebbe essere scivolato dinascosto dietro al mobile per raggiungere le cucine. Non avrebbe avuto

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bisogno della chiave.»

Mi massaggiai nuovamente la fronte. «Ognuno di loro potrebbe esserecolpevole. Le prove che abbiamo si prestano a svariate ipotesi. Mi servequalcosa di più concreto e prego Iddio di riuscire a trovarlo a Londra. Ma hobisogno che tu rimanga qui. Voglio che ti trasferisca negli alloggi dell'abate.Controlla la corrispondenza, e tieni gli occhi ben aperti.»

Mi lanciò un'occhiata diffidente. «Volete che stia lontano da Alice.»

«Ti voglio lontano dalle parti comuni, come il vecchio Goodhaps. Prendila sua stanza, è un luogo raffinato per un giovane della tua età.» Sospirai.

«E sì, preferirei saperti lontano da Alice. Le ho parlato, le ho spiegato che il suo interesse per te potrebbe danneggiare il tuo avvenire.»

«Non ne avevate alcun diritto, signore», disse con improvvisa veemenza.

«Io solo posso decidere della mia vita.»

«No, Mark, ti sbagli. Hai degli obblighi verso la tua famiglia e verso il tuostesso futuro. Ti ordino di trasferirti negli alloggi dell'abate.»

Gli occhi che avevano ammaliato il povero Gabriel si fecero di ghiaccio.

«Ho visto bene gli sguardi bramosi che anche voi le avete rivolto», mi disse con disprezzo.

«Io so domare le mie passioni.»

Mi squadrò da capo a piedi. «Voi non avete scelta.»

Lo guardai in cagnesco. «Dovrei mandarti via a calci per la tua insolenza.Vorrei non dover aver bisogno della tua presenza qui, mentre sono via, manon ho scelta. Ebbene, farai come ti ho detto?»

«Farò tutto ciò che posso per aiutarvi a catturare l'uomo che ha uccisotutte queste persone. Si merita di finire sulla forca. Ma non posso farvipromesse per l'avvenire, nemmeno a rischio di farmi cacciare.» Prese fiato.

«Ho intenzione di domandare la mano di Alice.»

«In questo caso, potrei vedermi costretto ad allontanarti», risposi placido.

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«Maledizione, non dipende da me, ma come posso chiedere a LordCromwell di riprendere a servizio un uomo sposato con una domestica?

Sarebbe impossibile.»

Il giovane non rispose. In cuor mio sapevo che, nella più malauguratadelle ipotesi, anche dopo quel che mi aveva detto lo avrei accettato comeassistente, e avrei trovato per lui e Alice una stanza a Londra. Ma nonvolevo rendergli le cose troppo facili. Risposi al suo sguardo con altrettantafreddezza.

«Prepara i miei bagagli», ordinai brusco. «E sella Chancery. Penso che lastrada sia abbastanza buona per giungere in paese a cavallo. Andrò subitodal priore, poi partirò per Londra.» Mi allontanai. Avrei gradito la suacompagnia con il priore, ma dopo quanto era accaduto credetti fosse megliostare lontani.

Gli obedenziari erano ancora nello studio di fratello Gabriel, scoraggiaticome non mai. Fui sorpreso di notare quanta freddezza regnasse fra loro:l'abate nella sua fragile boriosità, fratello Guy nell'austera solitudine, ilpriore e l'economo, alle cui mani era affidato il buon funzionamento dellacasa, per nulla amici. Un povero esempio di fratellanza spirituale, davvero.

«Vi comunico, fratelli, che sono diretto a Londra. Ho bisogno di farerelazione a Lord Cromwell sull'accaduto. Sarò di ritorno fra pressappococinque giorni, e in mia assenza Mark Poer agirà in mia vece.»

«Come pensate di riuscire a star via soltanto cinque giorni?» chiese ilpriore. «Si dice che la neve sia giunta fino a Bristol.»

«Viaggerò via mare.»

«Di che cosa dovete discutere con Lord Cromwell?» domandò l'abatenervoso.

«Faccende private. Ora, ho dato notizia della morte di fratello Gabriel. Eho deciso che il cadavere di Orphan Stonegarden debba venire consegnato acomare Stumpe per la sepoltura. Vi prego di provvedere.»

«Ma in questo modo in città tutti sapranno che la giovane è morta qui.»

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L'abate era accigliato come se trovasse difficile comprendere quel che stavaaccadendo.

«Esatto. Le cose sono andate troppo oltre per mantenere il riserbo.» L'uomo sollevò il capo e mi guardò con una scintilla della passata arroganza.

«Devo protestare, mastro Shardlake. Credo che per prendere una similedecisione, di portata tanto estesa intendo, si sarebbe dovuta chiedere la miaopinione, in quanto abate di questa casa.»

«Quei giorni sono morti per sempre, signore», dissi brusco. «E ora poteteandare, tutti tranne voi, priore.»

Gli officiali sfilarono fuori dello studiolo, e l'abate mi lanciò un ultimosguardo d'assente perplessità. Mi misi a braccia conserte e affrontai il priore,attingendo alle mie ultime energie mentali.

«Riflettevo, fratello, su chi poteva essere a conoscenza della miaintenzione di andare in chiesa. Voi eravate allo stagno, quando l'hocomunicato al mio assistente.»

L'uomo rise, incredulo. «Vi avevo già lasciato.»

Lo scrutai in viso, ma non vi lessi altro che rabbioso stupore. «Già, è vero.Allora la persona che ha spinto la statua non stava attendendo me, ma eraanimata da un'intenzione diversa. Chi poteva avere motivo di arrampicarsilassù?»

«Nessun altro, almeno fino all'approvazione dei lavori di restauro.»

«Gradirei che mi accompagnaste sul ballatoio per dare un'altra occhiata.»Avevo in mente la reliquia scomparsa e l'oro che doveva essere nascosto daqualche parte, se non mi ero sbagliato circa la vendita di quei terreni.Potevano essere stati nascosti lassù? Era forse questa la ragione per la qualel'assassino si trovava sulla balaustrata?

«Come desiderate, commissario.»

Feci strada fino alle scale e salii. Quando giungemmo sulla passerella, ilcuore prese a battermi forte in petto. Sotto di noi, i servitori pulivano ancora,strizzando stracci vermigli in secchi pieni d'acqua. Di questo erano capaci gliuomini. Fui colto da un improvviso senso di nausea e mi aggrappai alla

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ringhiera.

«State bene?» mi chiese il priore, qualche passo più indietro. Mi resi contod'essere solo con un uomo più forte di me: avrei dovuto chiedere a Mark diaccompagnarmi.

Lo tenni lontano con un cenno. «Sì, sì. Procediamo.»

Osservai il mucchietto di utensili posati ai piedi della statua caduta, e lacesta degli operai sospesa nel vuoto.

«Quand'è stato fatto l'ultimo lavoro?»

«Le funi e la cesta sono state issate due mesi or sono, in modo che glioperai potessero raggiungere la statua, che si trovava in una posizionepericolosa, rimuoverla e valutare l'entità della crepa. Quella cesta sospesamossa da corde è un sistema davvero ingegnoso; è stata ideata dalloscalpellino. I lavori erano appena iniziati, quando fratello Edwig ne ordinò lasospensione. E non aveva torto: Gabriel non avrebbe mai dovuto cominciareprima che i progetti fossero approvati. E fratello Edwig ha voluto dargli unalezione.»

Osservai le funi. «Un compito davvero pericoloso.»

Il priore si strinse nelle spalle. «Un ponteggio sarebbe stato più sicuro, ma v'immaginate l'economo approvare una simile spesa?»

«Fratello Edwig non vi piace», azzardai noncurante.

«È un furetto grassoccio che racimola ogni moneta che riesce a trovare.»

«Chiede spesso la vostra opinione sulla gestione delle finanze delmonastero?» Lo scrutai attentamente, ma lui si strinse nelle spalle.

«L'unica opinione che domanda è quella dell'abate, nonostante ci facciasprecare una gran quantità di tempo facendoci registrare ogni nonnulla.»

«Capisco.» Mi voltai e alzai lo sguardo al campanile. «Come si arriva alle campane?»

«Dalla chiesa parte un'altra scala che vi sale direttamente. Vi ci possoportare, se lo desiderate. Dubito che i lavori riprenderanno, per il momento.Facendosi uccidere, Gabriel non l'ha avuta vinta.»

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Alzai un sopracciglio. «Priore Mortimus, come spiegate tantacommozione per la morte di quella fanciulla e nessun dolore per la perdita diun confratello con il quale avete lavorato tanti anni?»

«Ve l'ho già spiegato, gli obblighi d'un monaco in questa vita sono diversida quelli di una donna.» Mi trafisse con uno sguardo affilato. «E uno diquesti impone di non essere un pervertito.»

«Sono lieto che non siate un giudice dei regi tribunali, fratello priore.»

Scendemmo nuovamente nella navata e il priore mi condusse, oltre unaporta, a una lunga scala a chiocciola che portava fino alle campane. Fu unalunga salita, e giunsi senza fiato al piccolo pianerottolo sul quale si aprivaun'altra porta. Da una finestra senza vetri si godeva una vertiginosa vista sulmonastero e oltre, i campi innevati e la foresta da un lato, le grigie acque delmare dall'altro. Doveva essere il punto più alto della zona. Un ventoghiacciato soffiava lamentoso, scompigliando i capelli.

«È laggiù.» Varcammo una soglia e ci ritrovammo in una stanza nuda, conil pavimento di legno, dove alcune grosse funi pendevano fino a terra. Alzailo sguardo e intravidi le scure sagome delle campane attraverso un bucocircolare che si apriva al centro del soffitto, cinto da una ringhiera.Affacciandomi, vidi il pavimento della chiesa sottostante: eravamo talmentein alto che i servitori ci apparvero come minuscole formiche. La cestaciondolava venti piedi sotto di noi, gli attrezzi e i secchi appena visibili,sotto un largo panno bianco. Le funi attraversavano il foro aperto nel legno,assicurate a rivetti ancora più grossi di quelli che avevo visto in precedenza.

«Non fosse per questa barriera, il suono delle campane assorderebbe i campanari», osservò il priore. «Devono tapparsi le orecchie.»

«Lo immagino, riescono quasi ad assordare da terra.» Notai una rampa discale di legno. «Quelle conducono in cima al campanile?»

«Sì, vengono usate dai servitori per le pulizie.»

«Saliamo. Dopo di voi.»

Giungemmo nella stanza sovrastante, quella delle campane. Eranodavvero enormi, ciascuna più larga d'un uomo, fissate al tetto con massicci

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anelli. Ma quella camera non riservava ulteriori sorprese. Mi avvicinai allecampane, facendo attenzione a non sporgermi troppo perché la ringhierasottostante era assai bassa. Quella più vicina era decorata da incisioni che nericoprivano l'intera superficie, e mostrava una grossa placca, scritta in unalingua strana.

«Arrancado de la barriga del infiel, año 1059», lessi a voce alta.

«Strappata dal ventre dell'infedele», tradusse il priore. Trasalii; non m'eroaccorto che si fosse avvicinato tanto.

«Commissario», disse. «Vorrei domandarvi una cosa. Avete visto l'abate, poco fa?»

«Sì.»

«È un uomo distrutto, non più all'altezza della carica che ricopre. Quandogiungerà il momento di sostituirlo, Lord Cromwell avrà bisogno di un uomoduro, fedele. So che è alla ricerca di sostenitori all'interno dei monasteri.»Mi lanciò uno sguardo eloquente.

Scossi il capo, sorpreso. «Priore Mortimus, siete davvero convinto chequesta casa continuerà a esistere? Dopo tutto quel che è successo?»

Mi guardò sbalordito. «Ma certo… la nostra vita qui… non può finiredavvero. Non ci sono leggi che possano costringerci alla resa. C'è chisostiene che i monasteri saranno chiusi, ma di sicuro non sarà permesso. Nodi certo.» Mosse un altro passo verso di me, facendomi retrocedere contro laringhiera e travolgendomi con il suo disgustoso puzzo stantio. Il cuore presea battermi all'impazzata.

«Priore Mortimus», dissi. «Vi prego di allontanarvi.» L'uomo mi fissò dritto negli occhi, poi arretrò.

«Commissario», disse con ardore. «Io potrei salvare questa casa.»

«L'avvenire del monastero è una questione che devo discutere con LordCromwell e nessun altro.» Avevo la bocca asciutta. Per un terribile istanteavevo temuto che intendesse spingermi nel vuoto. «Ho visto abbastanza.Non è stato nascosto niente qui dentro. Andiamo.»

Scendemmo in silenzio. Mai come in quel momento fui lieto di trovarmi con

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i piedi per terra.

«Ora vi metterete in viaggio?» chiese il priore.

«Sì. Ma Mark Poer farà le mie veci.»

«Quando parlerete a Lord Cromwell, gli riferirete quanto vi ho detto, signore? Ve ne prego. Io potrei essere l'uomo che fa al caso suo.»

«Ho molte questioni di cui discutere con lui», dissi bruscamente. «E ora, vogliate scusarmi.»

Mi voltai e mi diressi a passo svelto verso l'infermeria. Il trauma della morte di Gabriel mi aveva infine attanagliato; la testa mi girava e quando entrai nella mia stanza avevo le gambe tremanti. Mark non c'era, ma aveva preparato un paniere con i miei documenti, del cibo e una camicia di ricambio. Lo spinsi di lato e mi sedetti sul letto, lasciandomi andare a un tremito che mi avvinse dalla testa ai piedi. D'un tratto mi ritrovai a singhiozzare in modo irrefrenabile, e non soffocai le lacrime. Piansi per Gabriel, per Orphan, per Simon, persino per Singleton. E per il mio terrore.

Mi calmai e andai a sciacquarmi il viso con un po' d'acqua, quando udiibussare alla porta. Speravo fosse Mark, venuto a salutarmi, invece era Alice,che fissò incuriosita il mio volto arrossato.

«Signore, il vostro cavallo è pronto. È ora di scendere in paese, se non vorrete perdere il bastimento.»

«Vi ringrazio.» Presi il paniere e mi alzai. Lei s'avvicinò.

«Signore, vorrei non doveste partire.»

«Alice, non ho scelta. A Londra potrei trovare alcune risposte in grado di far cessare quest'orrore.»

«La spada?»

«Sì, la spada.» Feci un respiro profondo. «Mentre sarò via, evitate d'uscirea meno che non sia strettamente necessario. Restate qui.»

Non rispose. Mi affrettai ad andarmene per paura che, se fossi rimasto ancora un istante, avrei potuto dire qualcosa di cui mi sarei pentito. Lei mi guardò con occhi impenetrabili. All'ingresso, il garzone di stalla mi

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attendeva con Chancery, che vedendomi nitrì, muovendo la coda lattea. Lo carezzai, lieto che almeno lui mi salutasse con affetto. Montai in sella con la consueta difficoltà e mi diressi al cancello, che Bugge mi aveva aperto. Mi fermai e mi voltai a guardare il cortile imbiancato senza sapere il perché. Poifeci un cenno a Bugge e m'incamminai sulla strada per Scarnsea.

Capitolo ventisette

Il viaggio verso Londra fu tranquillo. Il vento era favorevole e il piccolocargo, un'imbarcazione a due alberi, risalì il canale sfruttando una fortecorrente. In mare aperto il freddo era ancora più intenso, fra onde plumbee eun cielo grigio. Rimasi per tutto il tempo nella mia piccola cabina,avventurandomi fuori solo quando il puzzo di luppolo diventavainsopportabile. Il barcaiolo era un uomo burbero di poche parole, e il suoaiuto un giovane pelle e ossa; entrambi soffocarono i miei tentativi diconversazione sulla vita a Scarnsea. Sospettavo che il barcaiolo fosse unpapista perché, salendo sul ponte, una volta lo avevo sorpreso a mormorarepreghiere sgranando un rosario, che subito si era ficcato in tasca.

Passammo due notti in mare aperto e io dormii bene, avvolto nelle copertee nel mantello. La pozione di fratello Guy mi aveva enormemente aiutato,ma trovandomi lontano dal monastero avevo compreso quanto fosseoppressiva quell'atmosfera di trambusto e costante paura. Trovai piuttostonormale che, in simili condizioni, io e Mark avessimo litigato; forse, quandotutto fosse finito avremmo potuto sanare i nostri dissapori.

Pensai a Mark, che di certo si era già stabilito nella dimora dell'abate. Disicuro avrebbe ignorato i miei ordini di non vedere Alice. Ero preoccupatoper la loro incolumità, ma mi dissi che se Mark fosse rimasto dall'abate, purcon qualche visita in infermeria, e Alice si fosse occupata dei propri doveri,nessuno avrebbe avuto ragione di far loro del male.

Giungemmo a Billingsgate nel pomeriggio del terzo giorno di viaggio,dopo una breve sosta nell'estuario del Tamigi per aspettare che cambiasse lamarea. Le sponde del fiume erano ricoperte di neve, ma la coltre non era altacome a Scarnsea. Dal ponte distinsi un poltiglioso strato di ghiacciosull'estremità della proda. Seguendo il mio sguardo, il barcaiolo mi parlòquasi per la prima volta da quando eravamo salpati.

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«Può essere che il Tamigi geli ancora, come successe l'inverno scorso.»

«È probabile.»

«Ricordo bene l'anno passato, signore, quando il re e la corte cavalcaronosulle sue acque ghiacciate. Lo avete visto?»

«No, ero in tribunale. Io sono avvocato.»

Ricordavo, tuttavia, il racconto che Mark me ne aveva fatto. Lavorava alleAumentazioni, all'epoca, quando giunse voce che il sovrano intendevaattraversare il fiume ghiacciato con la corte al gran completo, da Whitehallfino al Greenwich Palace, per le celebrazioni natalizie e voleva che gliimpiegati di Westminster si unissero alla processione. Pura strategia politica,ovviamente: era stata firmata una tregua con i ribelli del Nord e il loro capo,Robert Aske, era a Londra per parlamentare con il monarca grazie a unsalvacondotto. Il re voleva mostrare ai londinesi che la ribellione nonavrebbe interferito con le sue celebrazioni. Mark non si stancava mai diraccontare di come tutti gli impiegati fossero stati costretti a recarsi sullesponde del fiume, quasi con i documenti di lavoro ancora in mano, forzandoi cavalli riluttanti a sfilare sul ghiaccio.

Il suo destriero tentò di sbalzarlo di sella al passaggio del sovrano, unuomo massiccio che montava un possente cavallo da guerra, la minutaregina Jane accanto a lui sul suo palafreno, seguiti dalle dame e dainobiluomini di corte, e a chiudere dai servitori di palazzo. Mark e gli altrifunzionari furono costretti a unirsi alla lunga carovana che procedeva sulghiaccio fra grida d'incitamento, cavalli e carrozze malsicuri sulla scivolosasuperficie, sotto lo sguardo di mezza Londra. I funzionari erano staticonvocati solo per contribuire allo spettacolo, e furono fatti tornareattraverso il London Bridge quella notte stessa. Rammentai d'avernediscusso con Mark mesi dopo, in seguito all'arresto di Aske per altotradimento.

«Si dice sarà giustiziato a York», Mark mi aveva detto.

«Era un ribelle.»

«Ma gli era stato assicurato un salvacondotto; era persino stato invitato acorte per le celebrazioni natalizie.»

«'Circa regna tonat'», dissi, citando Wyatt. «Attorno ai troni si scatena la

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tempesta.»

Il cargo rollò improvvisamente, la marea stava cambiando. Il barcaiolovirò, portandosi al centro del fiume, e presto apparvero l'imponente guglia diSt. Paul e la candida distesa di diecimila tetti innevati.

Avendo lasciato Chancery a Scarnsea, una volta sbarcato mi diressi a piediverso casa nell'incipiente tramonto. La spada rinvenuta nello stagno mibatteva fastidiosamente contro la gamba. L'avevo messa nella guaina diMark, che era troppo piccola, e inoltre io non ero abituato a portare armi.

Questa volta ritrovarmi nel trambusto di Londra fu per me un gransollievo; ero un gentiluomo come tanti, invece del bersaglio di odi e paure.La vista della mia abitazione mi rasserenò il cuore dolente, come pure ilbenvenuto di Joan. Non ero atteso, e per cena la donna poté servirmi soltantodella povera carne di pollo e una vecchia pecora bollita, ma non ci badai,tanta era la contentezza di sedere nuovamente alla mia tavola. Dopomangiato andai subito a dormire, poiché avevo a disposizione solo unagiornata a Londra e mille cose da fare.

La mattina seguente uscii di casa presto, prima ancora della pallida albainvernale, a cavallo d'un vecchio ronzino che andava d'ambio. Al mio arrivo,gli uffici di Cromwell a Westminster erano già un brulicare d'attività a lumedi candela. Comunicai al capoufficio Grey che dovevo parlare con urgenzaal vicario. L'uomo increspò le labbra, lanciando un'occhiata al santuario diCromwell.

«È in compagnia del duca di Norfolk.»

Alzai un sopracciglio. Il duca era il capo della fazione antiriformista, unacerrimo nemico di Cromwell nonché un borioso aristocratico; fui dunquesorpreso che si degnasse di fargli visita nel suo gabinetto privato.

«La mia è una questione della massima importanza, Grey. Vi prego diriferirgli che ho assoluto bisogno di incontrarlo oggi stesso.»

Il funzionario mi guardò incuriosito. «State bene, mastro Shardlake?Avete l'aria stanca.»

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«Sto benone. Ma ho bisogno di vedere Lord Cromwell. Ditegli che attenderòdi essere convocato a suo comodo.»

Grey sapeva che non avrei mai disturbato il suo padrone senza un validomotivo. Bussò nervosamente alla porta ed entrò, riapparendo qualche minutodopo per dirmi che Lord Cromwell mi attendeva alle undici nella sua dimoradi Stepney. Mi sarebbe piaciuto fare una capatina in tribunale per sentire leultime novità dai miei colleghi e respirare una boccata d'aria familiare, maaltre questioni meritavano la mia attenzione. Sistemai la spada e cavalcaifino alla Torre di Londra.

Da principio avevo pensato di rivolgermi alla gilda dei fabbri ferrai, masapevo bene che le corporazioni vivevano in un burocratico mare di carte, lacui segretezza era tanto gelosamente preservata che mi ci sarebbe potutavolere l'intera giornata per ottenere delle informazioni. Poi avevo ricordatoche qualche mese prima, nel corso di una funzione, avevo incontratol'armiere della Torre, un tale di nome Oldknoll, che aveva la fama di essereil miglior esperto d'armi di tutta l'Inghilterra. Anche lui era un uomo diCromwell.

Il mandato di commissario mi assicurò l'accesso alla Torre, e fu così chemi ritrovai ad attraversarne i cancelli, sotto le mura incombenti. Attraversaiil ponte ricoperto di ghiaccio che dava sul fossato ed entrai nell'immensafortezza, dove la White Tower svettava sugli edifici minori che le sorgevanoattorno. Non mi era mai piaciuto quel luogo; il mio pensiero andava sempreai molti che vi erano entrati senza uscirne vivi.

I leoni nel regal serraglio ruggivano in attesa del pasto, e un paio disentinelle dalle cotte oro e vermiglie si precipitarono portando grossi panieritraboccanti di frattaglie. Quello spettacolo mi fece rabbrividire, rievocandoalla memoria l'incontro con i cani del monastero.

Lasciai il ronzino nelle stalle e percorsi la scalinata fino alla White Tower.All'interno, nel viavai di soldati e funzionari scorsi due sentinelle chetrascinavano con fare brusco un vecchio dallo sguardo folle e dalla camiciastracciata verso le scale che scendevano alle segrete. Mostrai il mio mandatoe fui condotto da Oldknoll.

L'armiere era un soldato dal viso burbero. Levò lo sguardo da un fascio di

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documenti che stava esaminando e mi fece cenno d'accomodarmi.

«Per tutti i fulmini, mastro Shardlake, in che mare di carta navighiamooggigiorno. Spero non siate qui per portarmene dell'altra.»

«No, mastro Oldknoll, sono venuto per sfruttare la vostra competenza, sevorrete assistermi. Sono in missione per conto di Lord Cromwell.»

L'uomo mi prestò la massima attenzione. «Allora farò quanto è in miopotere per aiutarvi. Sembrate alquanto affaticato, signore, se possopermettermi.»

«Già, me lo dicono tutti. E avete ragione. In ogni modo, ho bisogno disapere chi ha forgiato questa.» Sfoderai la spada, porgendogliela concautela. L'uomo si chinò a esaminare il marchio, mi lanciò un'occhiatasbigottita, poi guardò ancora, con maggior attenzione.

«Dove l'avete trovata?»

«Nel vivaio ittico di un monastero.»

L'armiere raggiunse la porta e la chiuse piano, prima di posare la spada sultavolo.

«Sapete chi l'ha fatta?» chiesi.

«Oh, certamente.»

«È ancora vivo?»

«È morto diciotto mesi fa.»

«Ho bisogno di sapere tutto quanto è possibile su quest'arma. Tanto percominciare, che cosa significano quelle lettere e quel simbolo?»

L'uomo tirò un respiro profondo. «Vedete il piccolo castello impresso qui?Indica che il fabbro ha appreso la sua arte a Toledo, in Spagna.»

Sgranai gli occhi. «Dunque il proprietario potrebbe essere spagnolo?»

Scosse la testa. «Non necessariamente. Molti stranieri vanno a Toledo perimparare l'arte della fabbricazione delle armi.»

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«Anche gli inglesi?»

«Fino all'introduzione delle innovazioni religiose. Ora gli inglesi non sonopiù i benvenuti in quella terra. Ma per tornare a noi, chi studia a Toledoprende l'Alcazar, la fortezza moresca, come simbolo da imprimere sullaspada che presenta alla gilda. Ed è proprio ciò che ha fatto quest'uomo.Quelle sono le sue iniziali.»

«J.S.»

«Esatto.» Mi guardò lungamente. «John Smeaton.»

«Che Dio abbia misericordia! Un parente di Mark Smeaton, l'amante dellaregina Anna?»

«Suo padre. Questa spada deve essere quella che ha forgiato per guadagnarsi l'ingresso nella corporazione. Nel 1507, pressappoco.»

«Non sapevo che il padre di Smeaton fosse un fabbro.»

«È così che ha cominciato. Ed era molto abile. Ma qualche anno fa ebbe un incidente e perse due dita. Non avendo più la forza necessaria per lavorare il ferro, divenne falegname. Aveva una piccola bottega dalle parti diWhitechapel.»

«Ed è morto?»

«Il suo cuore non ha retto, è morto due giorni dopo l'esecuzione del figlio.Ricordo che si parlò della bottega, poiché non aveva nessuno cui lasciarel'attività. Suppongo sia stata chiusa.»

«Ma doveva avere dei parenti. Questa spada è preziosa, doveva far parte della sua eredità.»

«Già.»

Respirai profondamente. «Dunque, la morte di Singleton è collegata a Mark Smeaton. Ma certo, Jerome doveva saperlo. Per questo mi ha raccontato quella storia», riflettei a voce alta.

«Non vi seguo, signore.»

«Devo scoprire a chi è andata la spada dopo la morte di John Smeaton.»

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«Potreste recarvi a casa sua. Come molti artigiani, viveva sopra la bottega.I nuovi proprietari l'avranno acquistata dagli esecutori testamentari.»

«Vi ringrazio, mastro Oldknoll, mi siete stato d'enorme aiuto.» Presi la spada e la infilai nella guaina. «Ora devo andare, sono atteso alla dimora di Lord Cromwell.»

«Lieto d'esservi stato utile. E, mastro Shardlake, se vedete Lord Cromwell…»

Era sempre così, quando la gente sapeva che ero diretto da Cromwell mi domandava immancabilmente qualche favore.

«Solo… se ne avrete l'occasione, potreste domandargli, se possibile,d'inviarmi meno documenti? Ho dovuto trascorrere ogni notte diquest'ultima settimana a stilare infiniti rendiconti sulle armi, e so per certoche ai suoi uffici dispongono già di queste informazioni.»

Sorrisi. «Vedrò quel che posso fare. Ma pare essere la tendenza dei nostritempi, ed è difficile andare contro corrente.»

«Finiremo con l'affogare in questo mare di cartacce», disse afflitto.

La dimora di Lord Cromwell a Stepney era un'imponente magione dimattoni rossi, che lui stesso s'era fatta costruire qualche anno addietro. Oltrealla moglie e al figlio, la casa ospitava anche una decina dei giovani figli deisuoi clienti, della cui educazione s'era fatto carico.

Vi ero già stato in precedenza, era come una corte in miniatura conservitori, precettori, funzionari e un costante flusso di ospiti. Un vecchiocieco, scalzo nella neve, chiedeva la carità a mani tese. Sapevo che LordCromwell aveva disposto che i servitori distribuissero delle elemosine sulretro della proprietà, nel tentativo di guadagnarsi le simpatie degli indigentidi Londra. Quello spettacolo rievocò in me lo spiacevole ricordo delladistribuzione delle elemosine al monastero.

Portai il cavallo nelle stalle e fui accompagnato in casa da Blitheman, ilmaggiordomo, un uomo di grande affabilità. Lord Cromwell era in leggeroritardo, mi disse offrendomi una coppa di vino.

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«Vi ringrazio molto.»

«Ditemi, signore, gradireste vedere il leopardo di Lord Cromwell? Il miosignore ama mostrarlo agli ospiti. È chiuso in una gabbia nel giardino sulretro.»

«Ho saputo del suo recente acquisto. Vi ringrazio.»

Blitheman mi fece strada attraverso l'affaccendata magione, fino a uncortile che si apriva sul retro della casa. Non avevo mai visto un leopardo,nonostante avessi sentito parlare di quelle magnifiche creature maculate checorrevano più veloci del vento. Uscimmo, Blitheman sorrideva compiaciuto.D'un tratto le mie narici furono invase da un puzzo orribile, e mi ritrovai aguardare fra le sbarre metalliche in una gabbia di pressappoco venti piediquadrati, con il pavimento di pietra punteggiato da bocconi di carne. Al suointerno, un grosso gatto si muoveva furtivo avanti e indietro. La pellicciadorata era maculata da chiazze nere, e tutto, nell'agile struttura muscolosa diquell'animale, trasudava selvaggia potenza. Non appena si accorse di noi, labelva si voltò con un ruggito, mostrando enormi zanne gialle.

«Una bestia davvero impressionante», commentai.

«Al mio signore è costata quindici sterline.»

Il leopardo si accovacciò, osservandoci con qualche occasionale ruggito.

«Come si chiama?» chiesi.

«Oh, non ha nome, Dio non vorrebbe mai che si desse un nome cristiano aun simile mostro.»

«Povera creatura, deve sentire un gran freddo.»

Un giovane in livrea apparve sulla soglia e mormorò qualche parolaall'orecchio di Blitheman.

«Lord Cromwell è arrivato», mi comunicò. «Venite, vi attende nel suostudio.»

Lanciando un'ultima occhiata al feroce leopardo, seguii Blithemanall'interno. Pensai che, come lui, anche il mio padrone aveva la fama diessere una belva, e mi chiesi se, acquistando una simile creatura, non avesse

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inteso lanciare un deliberato messaggio.

Lo studio di Lord Cromwell era la versione in miniatura del gabinetto diWestminster, disseminato di tavoli sommersi da carte. Di norma erapiuttosto buio, ma quel giorno la luce del sole, riflessa dalla neve ingiardino, proiettava un bianco lucore sulle linee del suo volto, sedutocom'era dietro la scrivania. Quando fui annunciato, mi guardò con occhiostili, la bocca tesa, il mento sporgente per la rabbia.

«Pensavo di ricevere prima tue notizie», disse freddamente. «Nove giorni.E la faccenda non è neppure risolta, lo capisco dal tuo sguardo.» Notò laspada. «Misericordia, osi portare un'arma in mia presenza?»

«No, mio signore», dissi, affrettandomi a sganciarla dalla cinta. «È unadelle prove, dovevo portarla.» La deposi su un tavolo, accanto a una copiaillustrata della Bibbia, aperta sull'immagine di Sodoma e Gomorra arse dallefiamme. Gli raccontai quant'era accaduto: la morte di Simon e Gabriel, lascoperta del cadavere di Orphan Stonegarden, l'offerta di resa dell'abate, imiei sospetti sulle vendite dei terreni e, infine, la lettera di Jerome, che glimostrai. Mi ascoltò senza battere ciglio, come di consueto, poi abbassò losguardo sulla missiva. Al termine del mio racconto, si lasciò sfuggire unverso carico di disprezzo.

«Per tutti i santi del paradiso, è peggio d'un manicomio. Spero che quandotornerai laggiù troverai ancora vivo quel ragazzino che ti porti appresso. Hospeso non poche energie per persuadere Rich a riprenderselo; voglio sperareche non andranno sprecate.»

«Pensavo di dover far rapporto direttamente a voi, mio signore. Inparticolar modo, alla luce del contenuto di quella lettera.»

Lui grugnì il suo disappunto. «Avrebbero dovuto ricordarmi la presenza diquel certosino. Grey mi sentirà. Fratello Jerome avrà quel che merita.

Ma le lettere che scrive a Edward Seymour non mi riguardano. L'interafamiglia Seymour sta cercando d'ingraziarsi i miei favori, ora che la regina èmorta.» Si protese in avanti. «Queste morti irrisolte, tuttavia, mipreoccupano. Non bisogna farne parola con nessuno, non voglio che inegoziati con le altre case religiose possano esserne danneggiati. La prioriadi Lewes è sul punto di arrendersi.»

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«Stanno cedendo?»

«Ne ho avuto notizia ieri, la resa sarà firmata questa settimana. Per questomotivo mi sono incontrato con Norfolk, stavamo prendendo accordi sullaspartizione delle terre. Il sovrano pare essere d'accordo.»

«Deve trattarsi d'un bottino cospicuo.»

«Infatti. I possedimenti nel Sussex andranno a me, e quelli del Norfolk alduca. La prospettiva di ottenere delle terre porta sempre i nemici a sedere altavolo delle trattative.» Scoppiò in una feroce risata. «Sistemerò mio figlioGregory nella raffinata dimora dell'abate, e farò di lui un ricco possidente.»S'interruppe, e i suoi occhi tornarono a farsi di ghiaccio. «Cerchi didistrarmi, Matthew, di mettermi di buon umore?»

«No, signore. So di aver proceduto con molta lentezza, ma questafaccenda è il mistero più intricato e pericoloso che mai mi sia trovato adaffrontare…»

«Qual è l'importanza di quella spada?»

Gli raccontai del suo rinvenimento e della conversazione che avevo avutocon Oldknoll. Si accigliò. «Mark Smeaton. Non lo credevo capace di creareproblemi anche dalla tomba.» Lord Cromwell girò attorno allo scrittoio eprese la spada. «Che arma pregiata, avrei voluto averne una simile quandosono partito soldato per l'Italia, in gioventù.»

«Dev'esserci un legame fra Smeaton e le uccisioni.»

«Uno c'è», disse. «Fra Smeaton e la morte di Singleton, almeno. Lavendetta.»

Rifletté un istante, poi si voltò con uno sguardo gelido. «Quanto sto perdirti non dovrà uscire da questa stanza.»

«Sul mio onore.»

Ripose la spada e cominciò a fare avanti e indietro per lo studio, le mani chiuse dietro la schiena, la nera veste fluttuante fra le gambe.

«Quando l'anno scorso il sovrano ha deciso di mettersi contro AnnaBolena, io ho dovuto agire in fretta. La mia reputazione era sempre stata

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legata alla sua figura, la fazione papista avrebbe fatto qualunque cosa perchéla sua caduta fosse anche la mia, e il re stava cominciando a prestare loroorecchio. Così compresi che avrei dovuto essere io a liberare il re della suascomoda presenza. Mi segui?»

«Sì, sì, certo.»

«Decisi di dirgli che era un'adultera, il che significava che poteva esseregiustiziata per tradimento, senza addentrarsi in scomode questioni religiose.Ma avevo bisogno di prove, e di un processo pubblico.»

Rimasi a guardarlo in silenzio.

«Chiamai a raccolta un manipolo di uomini fidati, e assegnai a ciascuno diloro uno degli amici della sovrana di mia scelta: Norris, Weston, Brereton,Rochford, il fratello della sovrana… e Smeaton. Il loro compito era diestorcere loro una confessione, o almeno di trovare qualcosa che potessesembrare una prova del loro adulterio. A Singleton affidai l'indagine suSmeaton.»

«Montò un caso contro di lui?»

«Smeaton pareva essere il soggetto più semplice da plagiare; era solo unragazzo. E così fu. Confessò l'adulterio dopo una sola seduta di tortura allaTorre. Era la stessa ruota usata per quel certosino, che deve di certo averloincontrato, perché tutto ciò che dice d'aver sentito da Smeaton corrisponde averità.» Il tono della sua voce si fece più riflessivo.

«E uno dei visitatori che il certosino dice d'aver visto giungere nella cellaquella notte dev'essere stato Singleton in persona. Doveva assicurarsi che nelsuo discorso sul patibolo - una tradizione di cui ci si dovrebbe liberare - ilragazzo non ritrattasse. Gli fu ricordato che se avesse dimenticato anche unasola parola, suo padre ne avrebbe pagato le conseguenze.»

Fissai il mio signore negli occhi. «Dunque quanto dice la gente è vero? Laregina Anna e gli uomini accusati con lei erano innocenti?»

Cromwell si voltò verso di me. La livida luce del sole gli illuminò il voltoe parve privare il suo sguardo d'espressione, mentre mi osservava accigliato.

«Ma certo che erano innocenti. Nessuno può dirlo con certezza, ma tutti losanno. Anche i giurati al processo sapevano. Persino il sovrano sospettava,

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sebbene non potesse ammetterlo neppure a se stesso, per timore d'irritare lapropria coscienza. Maledizione, Matthew, sei proprio ingenuo per essere unavvocato. Hai l'innocenza dei riformatori, ma sei privo del loro fuoco. Èpreferibile l'ardore senza l'innocenza, come per me.»

«Credevo che le accuse fossero fondate. Quante volte l'ho sostenuto…»

«Meglio fare come hanno fatto tutti e tenere la bocca chiusa sull'intera faccenda.»

«Forse sapevo, nel profondo», sussurrai. «In un remoto angolo del mio cuore che Dio non ha raggiunto.»

Cromwell mi guardò spazientito.

«Dunque Singleton è stato ucciso per vendetta», dissi dopo un istante.

«Qualcuno lo ha ucciso nello stesso modo in cui è stata giustiziata AnnaBolena. Ma chi?» Un'idea mi balenò alla mente. «Chi è stato il secondovisitatore di Smeaton? Jerome mi ha parlato d'un prete e di altre duepersone.»

«Mi farò portare la documentazione raccolta da Singleton, per vedere che cosa aveva scoperto sulla famiglia di Smeaton. Te la farò consegnare a casa fra due ore. Nel frattempo, tanto per cominciare, vai a casa di Smeaton. Domani tornerai a Scarnsea?»

«Sì, il cargo parte prima dell'alba.»

«Dovessi scoprire qualcosa prima della tua partenza, fammelo sapere. E, Matthew…»

«Sì, mio signore?»

Aveva gli occhi nuovamente colmi d'una feroce, possente rabbia. «Fai inmodo di trovare l'assassino. Ho taciuto questa faccenda al sovrano troppo alungo. Quando lo informerò, dovrò avere il nome del colpevole. E fai anchein modo che l'abate apponga il sigillo sull'Atto di resa. Voglio sperare chealmeno su quel fronte tu abbia ottenuto dei risultati.»

«Sì, mio signore.» Esitai. «Quando avremo in mano la resa, che cosa ne sarà del monastero?»

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Lord Cromwell sorrise tetro. «Ciò che è successo a tutte le altre case. All'abate e ai monaci saranno concesse delle pensioni. I servitori avranno quel che meritano e poi dovranno cavarsela da soli, manica di avidi zotici. Quanto al monastero, ti confiderò che ho intenzione d'inviare un ingegnere per la demolizione; gli farò radere al suolo la chiesa e tutti gli edifici claustrali. E quando tutte le terre dei monasteri saranno nelle mani del sovrano e saremo liberi di darle in affitto, inserirò una clausola nei contratti che imporrà ai nuovi locatari l'obbligo di abbattere ogni edificio monastico. Anche se si limiteranno a togliere il piombo dai tetti e permetteranno ai locali di sfruttare le pietre per farne altre costruzioni, il risultato sarà lo stesso. Delle loro secolari buffonate non rimarrà più alcuna traccia, fatta eccezione per qualche cumulo di rovine, come monito del potere regio.»

«Ma ci sono anche alcune pregevoli costruzioni.»

«Un nobiluomo non può certo andare ad abitare in una chiesa», disseCromwell spazientito. Poi strinse gli occhi. «Non starai passando alla causapapista, vero, Matthew Shardlake?»

«Mai», risposi.

«Allora va'. E non deludermi questa volta. Ricorda che come ti ho creatoposso distruggerti.» Mi fissò nuovamente con occhi crudeli.

«Non vi deluderò, mio signore.» Presi la spada e me ne andai.

Capitolo ventotto

Lasciai Westminster in preda a una grande confusione. Scorsimentalmente i nomi di tutti i religiosi del monastero, a caccia di un possibilecollegamento con la famiglia Smeaton. Poteva John Smeaton averconosciuto fratello Guy in Spagna trent'anni prima? Se all'epoca studiava daapprendista, allora lui e il frate infermiere dovevano avere la stessa età.

Mentre facevo questi ragionamenti, a un tratto una plumbea afflizione micalò sul cuore. Avevo creduto Thomas Cromwell incapace di compiere lespietate efferatezze che gli erano state attribuite dopo la morte di Anna

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Bolena. E ora con tutta tranquillità lui ammetteva che erano fondate. Ma nonera stato Cromwell a spingermi verso queste false credenze. Era solo colpamia.

Il cavallo procedeva lentamente lungo la strada, evitando le pozzeghiacciate che la punteggiavano, ma giunto a metà di Fleet Street si fermò eprese a scrollare il muso, ansioso. Poco più avanti una piccola folla bloccavail cammino. Guardando sopra le teste, scorsi due uomini del conestabilelottare con un giovane apprendista. Il ragazzo opponeva una feroceresistenza, inveendo contro i propri assalitori.

«Voi siete le forze di Babilonia, arrestate i figli eletti del Signore! I giustiprevarranno, i potenti saranno distrutti!»

Le guardie gli legarono le braccia dietro la schiena e lo trascinarono via,recalcitrante.

«Sta' pur certo, fratello! Gli eletti del Signore trionferanno!»

Fui raggiunto da un altro cavaliere e quando mi voltai riconobbi i trattisardonici di Pepper, il collega incontrato il giorno in cui mi era stata affidatala missione a Scarnsea.

«Ehilà, Shardlake!» mi salutò amabile. «Hanno catturato l'ennesimopredicatore folle, eh? Un anabattista, a quanto pare. Vorrebbero accaparrarsitutti i nostri beni, sai?»

«C'è stata un'altra retata di predicatori eretici? Mi sono assentato per qualchegiorno.»

«Si parla di anabattisti, e il re ha ordinato di arrestare tutti i sospetti. Nemanderà anche qualcuno al rogo. Sono più pericolosi dei papisti.»

«Oggigiorno non si può più stare sicuri.»

«Cromwell ha colto l'occasione per organizzare una retata generale.Tagliaborse, truffatori, predicatori eretici. Con un tempo simile si sarannorifugiati tutti nelle loro topaie, e lui li sta stanando a uno a uno. E ne ha bendonde. Ricordi la vecchia con quel volatile parlante?»

«Certo. Mi pare passato un secolo.»

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«Avevi ragione, sai? È venuto fuori che l'uccello si limita a ripetere leparole che gli vengono insegnate. Sono giunti un paio di bastimenti carichidi quelle creature, l'ultima moda in città. Sembra che vadano a ruba. Lavecchia è stata accusata di frode, probabilmente si guadagnerà qualchefrustata. Ma dove sei stato, al calduccio davanti al fuoco, con un tempacciosimile?»

«No, Pepper, sono stato in missione per conto di Lord Cromwell.»

«Ho sentito che starebbe già cercando una nuova consorte per il sovrano»,mi disse, a caccia di pettegolezzi. «Si parla di un matrimonio con i realitedeschi, gli Hesse o i Cleves. Una simile mossa ci legherebbe ai luterani.»

«Io non so nulla a riguardo. Come ti ho detto, ho avuto molto da fare.»

L'uomo mi guardò con invidia. «Ti tiene molto impegnato, eh? Credi cheavrà qualche lavoretto anche per me?»

Sorrisi sarcastico. «Sì, Pepper, credo proprio di sì.»

Giunto a casa, smistai la corrispondenza che la notte prima avevo solodegnato d'un rapido sguardo, esausto com'ero. Alcune missive erano diclienti che aspettavano ansiosi risposte sui loro pendenti. C'era anche unalettera di mio padre. Quell'anno il raccolto era stato scarso, i profittisarebbero stati esigui, e lui stava pensando di destinare una maggior quantitàdi terreno a pascolo. Sperava che i miei affari prosperassero e che Mark sistesse facendo onore alle Aumentazioni - non gli avevo menzionato ildisgraziato incidente. Aggiunse che nelle campagne sarebbero stati chiusialtri monasteri. Il padre di Mark ne era lieto, perché questo avrebbesignificato più lavoro per il figlio.

Posai la lettera e rimasi seduto a fissare il fuoco. Pensai alle torture subite da Mark Smeaton, al fatto che non aveva commesso alcun crimine. E a Jerome, cui era toccata la stessa sorte. Non ci si poteva stupire del suo odio verso l'autorità che io incarnavo. Dunque, tutto ciò che mi aveva raccontato era vero. Di certo doveva sapere del legame che univa Singleton e Smeaton, altrimenti perché riferirmi quella storia? Eppure si era detto convinto che nessuno nel monastero fosse responsabile dell'omicidio di Singleton. Provai a ricordare le sue esatte parole, ma ero troppo stanco.

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All'improvviso i miei pensieri furono interrotti. Qualcuno stava bussando alla porta. Era Joan.

«È appena giunta una lettera, signore. Da Lord Cromwell.»

«Grazie, Joan.» Presi il grosso plico e lo voltai. Era contrassegnato dalla dicitura «Massima segretezza».

«Signore», Joan mi si rivolse esitante. «Posso domandarvi una cosa?»

«Certamente.» Le sorrisi, vedendo l'ansia dipinta sul suo viso paffuto.

«Mi stavo chiedendo, signore, se state bene. Sembrate turbato. E mastro Mark… è al sicuro laggiù, sulla costa?»

«Lo spero vivamente», dissi. «Non so dire che cosa sarà di lui, però; mi haconfidato di non voler ritornare alle Aumentazioni.»

La donna annuì. «Non mi sorprende.»

«Davvero, Joan? Io sono rimasto alquanto stupito.»

«Mi ero accorta che non era felice. Se mi consentite, ho sentito che è un luogo orribile, traboccante di avidità.»

«Forse. Ma non è l'unico. Se ci rinchiudessimo tutti in casa davanti al fuoco, ci trasformeremmo presto in un popolo di mendicanti, non ho forse ragione?»

«Mastro Mark è diverso, signore», obiettò lei.

«Diverso in che senso? Suvvia, Joan, ti ha forse ammaliata, come fa con tutte le donne?»

«No, signore», disse. «Ma forse i miei occhi lo vedono meglio dei vostri. La sua indole è di una gentilezza rara in giovani di tanta bellezza, l'ingiustizia lo fa soffrire. Mi chiedo se non abbia volutamente cercato di causare la propria disgrazia con quella ragazza, per fuggire da Westminster. È mosso da altissimi ideali, signore, e a volte credo siano persino troppi, per riuscire a sopravvivere in questo mondo spietato.»

Sorrisi tristemente. «E pensare che credevo di essere io quello con i nobili ideali. 'E il velo mi fu tolto dagli occhi.'»

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«Che cosa, signore?»

«Niente, niente. Oh, Joan… grazie per l'interessamento.»

Ritornai alla busta con un sospiro. Conteneva degli appunti scritti daSingleton e delle lettere indirizzate a Cromwell, nelle quali il commissarioillustrava i progressi delle sue indagini su Mark Smeaton. Si evincevachiaramente che era stato elaborato un piano spietato per intrappolare ilgiovane musico con delle false prove, in modo da poterlo giustiziare.Asserire che la regina avesse giaciuto con qualcuno di origini tanto umiliavrebbe fatto grande scalpore, affermava Singleton, dunque era importantefarlo cadere nella rete. Parlava di Smeaton con disprezzo, definendolo unacreatura sciocca, un agnellino da portare al macello. Pregai perché la suaanima fosse salva in paradiso.

Trovai una nota di Singleton sulla famiglia del giovane. La madre eramorta, e gli era rimasto soltanto il padre; nessun altro parente maschio infamiglia. John Smeaton aveva una sorella maggiore che viveva da qualcheparte in campagna, ma avevano litigato e non si vedevano da anni. Singletonaveva riferito a Cromwell che la mancanza di parenti influenti permettevaloro di gestire il ragazzo a piacimento.

Riposi la lettera. Ricordai il funerale di Singleton, la vista della bara che sichiudeva, e confesso che ora ne ero lieto. Chiesi che mi fosse preparato uncavallo. Era tempo di andare a Whitechapel. Ero felice di uscirenuovamente, di avere un proposito da perseguire. Avevo bisogno dischiarirmi le idee.

Capitolo ventinove

Fu una lunga cavalcata quella fino a Whitechapel, ben oltre le mura diLondra. Era un'area che si stava sviluppando in fretta, zeppa di povericannicci ricoperti d'argilla e fango. Nell'aria immobile flebili pennacchi difumo si levavano da centinaia di camini. Qui la rigidità dell'inverno era benpiù di una seccatura; osservando i volti smagriti e affamati della gente,

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pensai che per alcuni quella sarebbe stata la goccia che avrebbe fattotraboccare il vaso. I loro pozzi alla buona erano di certo gelati, come dedussivedendo molte donne portare catini d'acqua dal fiume. Mi ero cambiatod'abito, indossando quanto di più umile possedessi, perché in quei luoghi igentiluomini non erano benvisti.

Smeaton aveva aperto la sua attività in una delle vie migliori della zona,sede di svariate altre botteghe. Le carte di Singleton dicevano che avevavissuto in una costruzione a due piani accanto a una fucina, che non ebbidifficoltà a rintracciare. Non era più la bottega d'un falegname; lo scuro chene chiudeva l'ingresso era stato inchiodato e dipinto. Legai il ronzino a unpalo e picchiai alla fragile porta.

Venne ad aprirmi un giovane vestito di stracci, con arruffati capelli corvinia incorniciare un viso pallido ed emaciato. Mi chiese che cosa volessi senzaparticolare interesse, ma quando gli rivelai di essere un commissario di LordCromwell, si scostò subito di lato, scuotendo il capo.

«Non abbiamo fatto niente, signore. Non c'è niente qui che possainteressare Lord Cromwell.»

«E infatti non siete accusato di nulla», dissi bonariamente. «Ho delledomande da farvi, tutto qui. Riguardo al precedente proprietario di questabottega, John Smeaton. Ci sarà una ricompensa per coloro che miaiuteranno.»

Mi guardava ancora con occhi dubbiosi, ma m'invitò a entrare. «Scusate lecondizioni di questo posto, signore», bofonchiò. «Ma non ho lavoro.»

In effetti si trattava di un ambiente misero. Le tracce del suo recente passato di laboratorio erano ben visibili: il locale consisteva di un'unica, lunga stanzadal soffitto basso, le pareti di mattoni annerite da anni di fuliggine. Il banco di un falegname ora serviva da tavola. Faceva freddo; il focolare era alimentato da qualche pezzetto di carbone pietroso che emanava tanto fumo quanto calore. A eccezione del banco, in quella stanza c'erano solo un paio di sedie malandate e un povero pagliericcio sul pavimento. Attorno al flebilefuoco tre bambini sedevano stretti alla propria madre, che cullava un neonato in preda alla tosse. Mi rivolsero tutti espressioni imbronciate e indifferenti. La stanza era buia perché la sola fonte di luce era una finestra che si apriva sul retro, ora che l'ingresso della bottega era stato chiuso con le assi. L'aria era intrisa dell'odore di fumo e urina, e il cuore mi si riempì di

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gelida tristezza.

«Vivete qui da molto?» chiesi all'uomo.

«Diciotto mesi, dalla morte del proprietario. L'uomo che ha acquistato labottega ci ha affittato questa stanza. Al piano di sopra vive un'altra famiglia.Il padrone è mastro Placid, signore, vive nello Strand.»

«Sapete chi era il figlio del vecchio proprietario?»

«Sì, signore. Mark Smeaton, l'amante della regina puttana.»

«Suppongo siano stati gli eredi di Smeaton a vendere la bottega a mastro Placid. Sapete di chi si tratti, per caso?»

«Una donna anziana. Quando ci siamo trasferiti qui, abbiamo trovato unmucchio con gli averi di mastro Smeaton: alcuni abiti, una coppa d'argento euna spada…»

«Una spada?»

«Sì, signore. Era tutto accatastato laggiù.» Indicò un angolo della stanza.

«L'uomo di mastro Placid ci disse che la sorella di John Smeaton sarebbevenuta a prenderli. Ci intimò di non toccare nulla o saremmo stati buttatifuori.»

«E noi non lo facemmo», aggiunse la donna accanto al focolare. Ilbambino diede un violento colpo di tosse e lei se lo strinse al petto. «Buono,Timordidio.»

Soffocai un moto di entusiasmo. «E la vecchia, è arrivata?»

«Sì, signore, qualche settimana dopo. Veniva dalla campagna, pareva adisagio in città. Era accompagnata dal proprio avvocato.»

«Ne ricordate il nome?» lo incalzai. «O da dove veniva? Forse da un luogo chiamato Scarnsea?»

L'uomo scosse la testa. «Mi spiace, signore, ma non ricordo. Era piccola distatura, passata la cinquantina, i capelli grigi. Ci rivolse solo poche parole.Presero gli averi del fratello e se ne andarono.»

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«Ricordate il nome dell'avvocato?»

«No, signore. Aiutò la donna portandole la spada. Lei disse che avrebbedesiderato avere un figlio maschio cui poterla donare.»

«Molto bene. Vorrei che osservaste la mia spada - no, non temete, vogliosolo mostrarvela - e mi diceste se potrebbe trattarsi di quella presa dallavecchia.» La deposi sul banco. Il giovane la guardò, raggiunto dalla mogliecon il piccolo in braccio.

«Sembra proprio quella», disse lei. Mi guardò con occhi indagatori.

«L'abbiamo tolta dal fodero, signore, ma solo per vedere com'era fatta, nonl'abbiamo rovinata. Riconosco l'elsa dorata, e quei segni sull'impugnatura.»

«Una bella spada davvero», aggiunse l'uomo.

Inguainai l'arma. «Vi ringrazio entrambi, le vostre informazioni mi sonostate molto utili. Mi spiace che vostro figlio sia malato.» Feci per dargli unacarezza, ma la donna alzò una mano a fermarmi.

«Non toccatelo, signore, è pieno di pidocchi. Non smette mai di tossire. Fafreddo, e ne abbiamo già perduto uno. Buono, Timordidio.»

«Un nome inconsueto.»

«Il nostro parroco è un fervente riformatore, signore, e ha battezzato lui tutti i nostri figli. Dice che ci aiuterà avere figli con nomi così. Su, bambini, venite qui.» Gli altri tre si alzarono sulle deboli gambine, rivelando pance gonfie infestate dai vermi, mentre il padre li indicava a uno a uno.

«Zelo, Perseveranza e Dovere.»

Annuii. «Si meritano sei centesimi ciascuno, e qui ci sono tre scellini peril vostro disturbo.» Contai le monete che avevo in borsa. I bambini leafferrarono avidi; il padre e la madre quasi non credevano a tanta fortuna.

Travolto da un'improvvisa emozione, mi voltai e uscii in fretta, montai acavallo e m'allontanai.

L'immagine pietosa di quella famiglia mi ossessionava, e fu un gran

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sollievo rivolgere il pensiero a quello che avevo scoperto. Non capivo. Lapersona che aveva ereditato la spada, la sola ad avere un movente per lavendetta, era una donna anziana? Non c'erano donne sopra la cinquantina almonastero, tranne un paio di vecchie domestiche, delle megere alte eallampanate che non corrispondevano per nulla alle parole del giovane.L'unica a somigliare a quella descrizione era comare Stumpe. E nessunavecchina bassa avrebbe mai potuto sferrare un simile colpo a Singleton.Tuttavia le carte che lui aveva redatto erano chiare in proposito: non c'eranoparenti maschi.

Perso nei miei ansiosi pensieri, non mi ero reso conto che il cavallo stavaproseguendo a casaccio, dirigendosi verso il fiume. Non mi sentivo ditornare a casa, e lasciai che il ronzino si avvicinasse alla riva. Annusai l'aria.Era la mia immaginazione o il gelo stava finalmente allentando la suamorsa?

Oltrepassai un accampamento montato su un appezzamento nevoso diterra incolta. Era un gruppo di mendicanti che probabilmente sperava ditrovare del lavoro occasionale sulle banchine. Avevano costruito un capannocon dei pezzi di legno trasportati dalla corrente, e delle tele di sacco eranostate ammucchiate attorno a un fuoco. Al mio passaggio mi guardarono conocchi ostili, e uno scarno cane randagio dal pelo chiaro mi corse incontroabbaiando. Il cavallo scrollò il muso e nitrì, e uno degli uomini richiamòl'animale. Mi allontanai in fretta, accarezzando il ronzino pertranquillizzarlo.

Giungemmo sulla riva; le barche venivano tirate in secca per scaricarne ilcontenuto. Un paio di marinai erano scuri come fratello Guy. Fermai ilcavallo. Una grossa caracca oceanica era giunta al molo, la prua squadratadecorata da una sirena nuda parecchio volgare. Degli uomini portavano cestee casse fuori dalla stiva, e mi chiesi da quale remoto angolo del globoprovenissero. Levando lo sguardo sugli imponenti alberi e sul reticolo delsartiame, fui sorpreso nel notare dei filamenti di nebbia avviluppati alla cimadell'albero maestro. Delle volute di bruma risalivano il fiume, e l'aria si erafatta più tiepida.

Il ronzino mostrava ancora segni di nervosismo, così mi voltai e miaccinsi a ritornare, percorrendo una via di magazzini. Poi mi fermai. Da unadi quelle costruzioni di legno si levava una gran confusione, urla e grida inlingue misteriose. Fu strano udire quei suoni esotici riempire l'aria brumosa.Incuriosito, scesi da cavallo, lo legai e mi diressi al deposito, dal quale

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fuoriusciva un puzzo intenso.

Oltre la porta aperta, una scena spaventosa mi si parò davanti. Ilmagazzino era zeppo di uccelli imprigionati in tre enormi gabbie di ferro,ciascuna alta come un uomo. I volatili erano simili a quello esibito dallavecchia che Pepper mi aveva ricordato. Ce n'erano a centinaia, di ognimisura e colore: rosso e verde, oro, blu e giallo. Versavano tutti incondizioni pietose: le ali erano state malamente mozzate, alcune finoall'osso, e le estremità mutilate erano ricoperte di pus; molti erano malati, lepiume rade, i corpi incrostati. Per uno che si attaccava con le zampe allesbarre della gabbia, un altro giaceva morto fra cumuli di escrementi secchi.Ma la cosa più straziante era il loro stridio. Alcune di quelle povere bestielanciavano flebili gridi pietosi, come a chiedere di porre fine alle lorosofferenze, mentre altre gridavano a pieni polmoni in una gran varietà dilingue. Latino, inglese e idiomi che non comprendevo. Due di loro, appesialle sbarre a testa in giù, non facevano che urlare: «Un buon vento», mentreun terzo rispondeva: «Maria, mater dolorosa» nel tipico accento di Devon.

Rimasi impietrito a quell'orrido spettacolo, poi una ruvida mano sullaspalla mi riscosse dal torpore nel quale ero sprofondato. Mi voltai e vidi unmarinaio dal farsetto chiazzato di grasso, lo sguardo sospettoso.

«Che ci fate qui?» chiese brusco. «Se siete venuto per comprare dovete rivolgervi all'ufficio di mastro Fold.»

«No… no, ero solo di passaggio, ho sentito dei rumori e mi sonodomandato da dove provenissero.»

Il marinaio mi sorrise con una smorfia. «La Torre di Babele, eh, quandoDio confuse la lingua degli uomini? Nah, nient'altro che questi volatili, ilnuovo trastullo dei gentiluomini di Londra.»

«Sono in condizioni davvero pietose.»

«Ce ne sono a migliaia dove li abbiamo presi. Alcuni muoiono durante il viaggio. Altri moriranno per il freddo, sono bestie delicate. Però sono belle, eh?»

«Dove li avete presi?»

«Nell'isola di Madeira. Laggiù c'è un mercante portoghese che ne hacompreso il valore. Dovreste vedere alcuni degli articoli che tratta, signore;

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pensate che carica interi bastimenti di schiavi negri dell'Africa da vendere aicoloni brasiliani.» Rise mostrando dei denti d'oro.

Fui colto dalla disperata urgenza di fuggire dalla fredda aria puzzolente diquel magazzino. Mi congedai e mi allontanai in fretta. Gli stridii di queivolatili, i loro soprannaturali simulacri delle voci umane, mi seguirono lungola strada fangosa.

Attraversai nuovamente le mura della City ed entrai a Londra, ched'improvviso si era fatta grigia e nebbiosa, mentre il ghiaccio che andavasciogliendosi gocciolava da ogni grondaia. Fermai il ronzino sotto unachiesa. In genere ascoltavo messa almeno una volta la settimana, ma eranoormai trascorsi più di dieci giorni dalla mia ultima visita. Avevo bisogno diun conforto spirituale; smontai di sella, legai il cavallo ed entrai.

Era una di quelle ricche chiese della City frequentate dai mercanti. Molticommercianti londinesi avevano abbracciato la fede riformista, e non c'eranocandele a illuminare quell'ambiente. Le effigi dei santi dipinte sul jubé eranostate cancellate, e sostituite dai versi biblici.

La chiesa era vuota. Passai dietro il jubé. L'altare era stato spogliato dellesue decorazioni, la patena e il calice deposti su un tavolo disadorno. Unacopia della nuova Bibbia era incatenata al leggio. Presi posto in uno stallo,rassicurato da quell'ambiente a me tanto familiare, così diverso da quello delmonastero di Scarnsea.

Poi mi accorsi che non tutti i passati arredi erano stati tolti. Da dovesedevo, scorsi una tomba del secolo precedente. Ospitava due feretri dipietra, posti l'uno sopra l'altro. Su quello superiore era scolpita l'effigie d'unricco mercante lussuosamente vestito, ben pasciuto e con una folta barba.Quello inferiore, invece, rappresentava un cadavere essiccato, le preziosevesti nient'altro che cenci divorati dal tempo. Quest'ultima immagine recavail motto: «Così sono ora; così sono stato. Così sono ora, così tu sarai».

Osservando il cadavere di pietra fui colto dall'improvvisa visione delcorpo putrefatto della povera Orphan che emergeva dalle acque del vivaio,seguita da quella dei gracili bambini nell'ex bottega di Smeaton. Ebbi lanauseante sensazione che la nostra riforma non avrebbe ottenuto altrorisultato che cambiare i nomi di bambini affamati, da quelli dei santi a

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Timordidio e Zelo. Ricordai con quanta naturalezza Cromwell mi avevarivelato la falsificazione delle prove per condannare a morte degli innocenti,e le parole di Mark quando mi aveva raccontato degli avidi seguaci diCromwell che frequentavano le Aumentazioni per accaparrarsi le terremonacali. Il nuovo mondo che andavamo creando non era la comunanzacristiana che avevamo sognato, e non lo sarebbe mai stata. Non era per nullamigliore di quello che l'aveva preceduto, dominato dal potere e dalla vanità.Ricordai i variopinti uccelli mutilati che stridevano furiosamente gli unicontro gli altri, e mi parve di vedere la corte del sovrano, dove papisti eriformatori ciarlavano agitandosi e lottando per il predominio.

Nella mia ostinata cecità, mi ero rifiutato di comprendere quanto avevodavanti agli occhi. Quanto noi uomini temiamo il caos del mondo el'immensità della vita eterna. Così formuliamo congetture che possanospiegarne i terribili misteri, convincendoci di porci al sicuro in questomondo e nell'altro.

E poi compresi che un altro ottenebrato ragionamento mi aveva impeditodi scorgere la verità su quanto era accaduto a Scarnsea. Mi ero imbrogliatonella matassa di supposizioni sul presunto funzionamento delle cose delmondo, ma sopprimerne anche una sola equivaleva a sostituire uno specchioperfetto con uno dall'immagine deformante. Rimasi a bocca aperta. Avevocapito chi aveva ucciso Singleton e perché, e a quel punto tutto fu chiaro.Compresi d'avere poco tempo. Per qualche istante ancora rimasi seduto, inpreda a un attonito stupore, il respiro affannoso. Poi mi alzai, uscii aprecipizio dalla chiesa, recuperai il ronzino e cavalcai più veloce del ventoper ritornare nel luogo in cui, se avevo ragione, si trovava l'ultima tessera diquell'intricato mosaico: la Torre.

Era ormai buio, quando attraversai nuovamente il fossato, gli edificiilluminati dalla luce delle torce. Mi precipitai da Oldknoll. Lo trovai ancoranella sua stanza, intento a copiare informazioni da un documento all'altro.

«Mastro Shardlake! Spero che la vostra giornata sia stata proficua. Piùdella mia, almeno.»

«Devo parlare con il carceriere responsabile delle segrete. Potrestecondurmici subito? Non ho tempo da perdere.»

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L'uomo capì che si trattava di una questione della massima importanza.

«Vi ci porterò immediatamente.» Raccolse un grosso mazzo di chiavi e mifece strada, prendendo la torcia a una sentinella di passaggio. Mi domandòse fossi mai stato nelle segrete prima d'allora.

«Mai, sono lieto di dire.»

«Sono luoghi tetri. E non le ho mai viste trafficate tanto quanto in questoperiodo.»

«Già. Mi domando dove arriveremo.»

«A un paese pieno di criminali senzadio, ecco dove. Papisti e predicatorifolli. Dovrebbero finire tutti sulla forca.»

Scendemmo una stretta scala a chiocciola. L'aria lì era umida e pungente.Sulle pareti crescevano verdi escrescenze, imperlate da grosse gocce d'acquasimili al sudore. Ci trovavamo ora sotto il livello del fiume.

In fondo alle scale giungemmo a un cancello di ferro, attraverso il quale intravidi una stanza cieca illuminata dalle fiamme d'una torcia, nella quale un manipolo di uomini sedeva attorno a un tavolo disseminato di carte. Una sentinella con addosso la livrea della Torre ci raggiunse e Oldknoll le parlò attraverso le sbarre.

«Questo è un commissario del vicario generale. Ha immediato bisognod'incontrare il carceriere capo Hodges.»

La guardia aprì il cancello. «Per di qua, signore. È molto impegnato; oggiabbiamo imprigionato un gran numero di anabattisti sospetti.» Ci condusseal tavolo, dove un uomo alto e sottile controllava dei documenti assieme aun'altra sentinella. Su entrambi i lati della stanza c'erano massicce porte dilegno con finestrelle a sbarre. Da una di queste si levava una voce tonante,che recitava versetti della Bibbia.

«'Badate io sono contro di loro, dice il Signore degli eserciti, e brucerò icarri e la spada divorerà i giovani leoni…'»

Il carceriere alzò la testa. «Chiudi quella bocca! Vuoi essere frustato?» Lavoce ammutolì e l'uomo si rivolse a me: «Perdonate, signore, sto cercando dismistare le delazioni di questi nuovi prigionieri. Alcuni saranno interrogati

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da Lord Cromwell domani, e non vorrei presentargli quelli sbagliati».

«Ho bisogno di avere delle informazioni circa un prigioniero che è statoqui diciotto mesi fa», dissi. «Ricordate Mark Smeaton?»

L'uomo alzò un sopracciglio. «Non è facile dimenticare quell'episodio,signore. La regina d'Inghilterra nella Torre.» S'interruppe, perso nei ricordi.«Sì, Smeaton si trovava quaggiù la notte precedente la sua esecuzione.

Avevamo ricevuto istruzioni di separarlo dagli altri prigionieri, perchédoveva ricevere delle visite.»

Annuii. «Robin Singleton venne per assicurarsi che non ritrattasse la confessione. Ma ci furono altri visitatori. I loro nomi sono stati registrati?» Ilcarceriere scambiò un'occhiata complice con Oldknoll e rise. «Oh, sì, signore. Oggigiorno tutto viene registrato, non è così, Thomas?»

«Almeno due volte.»

Il carceriere diede un ordine a uno dei suoi uomini, che qualche minutopiù tardi tornò con un voluminoso registro. Il carceriere lo aprì.

«Il 16 maggio 1536.» Fece correre il dito lungo la pagina. «Sì, Smeatonera nella cella ora occupata da quel folle.» Fece un cenno verso la porta dallaquale erano giunte le declamazioni bibliche.

«I suoi visitatori?» chiesi spazientito, raggiungendolo e sbirciando dadietro le spalle. Lui si scostò quasi impercettibilmente, mentre controllavaancora una volta il libro. Forse in passato un gobbo gli aveva portatosfortuna.

«Vedete, ecco Singleton, giunto alle sei. Un altro visitatore segnato come'parente' alle sette e 'il prete' alle otto. Si tratta del cappellano della Torre,fratello Martin. Venne a confessarlo prima dell'esecuzione. Accidenti a quelFletcher, non faccio che ripetergli di scrivere sempre i nomi.»

Feci correre un dito lungo la pagina, leggendo i nomi degli altriprigionieri. «Jerome Wentworth detto Jerome da Londra, monaco dellacertosa di Londra. Già, c'era anche lui. Ma ho bisogno di sapere del parente,mastro Hodges, con la massima urgenza. Chi è Fletcher, una delle vostreguardie?»

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«Esatto, e non ama la burocrazia. Non è molto bravo a scrivere.»

«È di servizio oggi?»

«No, signore, è in licenza per il funerale del padre, su nell'Essex. Nontornerà fino a domani pomeriggio.»

«Riprenderà servizio domani?»

«All'una.»

Mi morsi il pugno chiuso. «Sarò già per mare a quell'ora. Datemi dellacarta e un pennino.»

Scribacchiai due biglietti e li porsi a Hodges. «In questo chiedo a Fletcherdi riferire tutto ciò che ricorda di quel visitatore, ogni più piccolo dettaglio.Sottolineategli che questa informazione è di vitale importanza, e chedomandi aiuto se non è in grado di scrivere. Quando avrà fatto, voglio che larisposta venga immediatamente recapitata agli uffici di Lord Cromwell,accompagnata da quest'altra lettera. In questa domando a Lord Cromwell difornire il suo messo più veloce, perché la risposta di Fletcher mi siaconsegnata a Scarnsea. Le strade saranno disastrose con il disgelo, ma unbuon cavaliere potrà arrivare a destinazione assieme alla mia nave.»

«La porterò da Lord Cromwell io stesso, mastro Shardlake», disseOldknoll. «Mi farà bene cambiare un po' aria.»

«Mi scuso per Fletcher», disse Hodges. «Ma oggigiorno navighiamo in unmare di carte, e talvolta il lavoro non viene eseguito a dovere.»

«Assicuratevi solo che io riceva la risposta che cerco, mastro Hodges.» Mi voltai e Oldknoll mi condusse fuori delle segrete. Salendo le scale, udimmo l'uomo nella cella di Smeaton gridare nuovamente la sua litania d'ingarbugliate citazioni bibliche, che furono presto interrotte da un colpo secco e un grido.

Capitolo trenta

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Fui fortunato, perché nel viaggio di ritorno avemmo il vento a favore. Unavolta in mare aperto, la nebbia si diradò e l'imbarcazione fu sospinta lungo ilCanale da una leggera brezza di sud-est. La temperatura s'era alzata di alcunigradi e, dopo il freddo pungente dell'ultima settimana, il tempo pareva quasitiepido. Il barcaiolo trasportava un carico di stoffa lavorata e attrezzi diferro, ed era di umore più allegro.

Avvicinandoci a terra, la sera del secondo giorno, la fascia costiera miapparve avvolta da una leggera bruma. Il cuore prese a martellarmi in petto.Avevo trascorso gran parte del viaggio perso nelle mie riflessioni. Ora quelche avrei fatto dipendeva dal messaggero che avrebbe dovuto raggiungermida Londra. Ed era giunto il momento di fare un'altra chiacchierata conJerome. Un pensiero che avevo cercato di soffocare negli ultimi due giorni siaffacciò prepotente: Mark e Alice erano sani e salvi?

La nebbia nascondeva ogni cosa, mentre navigavamo attraverso la paludeper raggiungere il molo di Scarnsea. Il barcaiolo mi domandò con voceesitante se non fosse troppo disturbo per me prendere il raffio e spingere labarca lontano dalla banchina, in caso ci fossimo avvicinati troppo, e ioaccettai. Un paio di volte rischiammo di rimanere bloccati nel denso fango,attraverso il quale scorrevano rigagnoli di neve disciolta. Fui lieto diraggiungere il molo. Il barcaiolo mi aiutò a scendere sulla terraferma,ringraziandomi per l'assistenza, e forse finì con il pensare bene di almeno uneretico riformatore.

M'incamminai verso la casa di Copynger. L'uomo si era appena messo atavola per cena con la moglie e i figli, e m'invitò a unirmi a loro, ma iodeclinai, dicendo che dovevo tornare subito al monastero. Allora micondusse nel suo accogliente studiolo.

«È accaduto qualcosa al monastero in mia assenza?» domandai nonappena il magistrato si chiuse la porta alle spalle.

«No, signore.»

«Sono tutti sani e salvi?»

«Sì, per quanto ne so. Però ho delle notizie da darvi sulla vendita di queiterreni.» Frugò in un cassetto della scrivania e prese un atto di cessionescritto su una pergamena. Esaminai l'arzigogolata calligrafia e il sigillo

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monacale di cera rossa, ben impresso in calce. L'atto cedeva unconsiderevole appezzamento di terra arabile sull'altro lato dei Downs a SirEdward Wentworth per una somma di cento sterline.

«Un prezzo troppo basso», disse Copynger, «per un appezzamento diquelle dimensioni.»

«E che non è stato registrato nelle entrate ufficiali del monastero.»

«Avete dunque trovato la vostra canaglia, signore.» Sorrise soddisfatto.

«Alla fine sono andato di persona da Sir Edward, in compagnia delconestabile. L'uomo si è spaventato perché ha compreso che avevo la facoltàd'arrestarlo, nonostante tutta la sua boria. M'ha consegnato l'atto di cessionein mezz'ora, continuando a lagnarsi che aveva acquistato quelle terre inassoluta buona fede.»

«Con chi aveva trattato la vendita?»

«Credo che il suo amministratore abbia trattato con l'economo. Sapete,fratello Edwig ha il controllo assoluto di tutte le finanze del monastero.»

«Ma l'abate doveva apporre il sigillo sull'atto. O lo ha fatto qualcun altroal suo posto?»

«Esatto. Inoltre l'accordo sanciva che la vendita dovesse rimanere segreta per qualche tempo, e intanto gli affittuari avrebbero come sempre pagato le pigioni al monastero, poi fratello Edwig le avrebbe passate a Sir Edward.»

«Gli atti di cessione segreti non sono di per sé illegali. Ma nascondere unatransazione ai funzionari del sovrano lo è.» Arrotolai la pergamena e lainfilai nella borsa a tracolla. «Avete fatto un ottimo lavoro. Ve ne sonograto. Proseguite con le vostre indagini e continuate a non farne parola connessuno.»

«Ho ordinato a Wentworth di mantenere il silenzio sulla mia visita,minacciandolo di denunciarlo agli uffici di Lord Cromwell. Terrà la boccachiusa.»

«Bene. Io procederò non appena avrò ricevuto una lettera che attendo daLondra.»

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Copynger tossì. «Visto che siete qui, signore, comare Stumpe hadomandato di voi. Le ho detto che sareste stato di ritorno questo pomeriggio,e lei si è accampata nella mia cucina. Non se ne andrà finché non vi avràparlato.»

«Molto bene, posso concederle qualche minuto. Un'altra cosa, di quantiuomini disponete?»

«Il conestabile, il suo assistente e i miei tre informatori. Ma ci sono buoniriformatori in città, sui quali posso contare in caso di bisogno.» Mi guardòcon occhi indagatori. «Prevedete guai?»

«Spero di no. Ma ho intenzione di procedere presto a degli arresti. Potrestedisporre perché i vostri uomini si rendano disponibili? E che la prigione delpaese sia pronta ad accogliere nuovi ospiti?»

L'uomo annuì, sorridente. «Sarò lieto di accogliere degli ospiti religiosi. E,signore», aggiunse con un'occhiata eloquente, «quando questa faccenda saràconclusa, riferirete a Lord Cromwell del mio operato? Ho un figlio che haquasi l'età per recarsi a Londra.»

Sorrisi, amareggiato. «Credo che una mia raccomandazione avrebbe benpoco peso in questo momento.»

«Oh.» Parve assai deluso.

«E ora è il momento di parlare con comare Stumpe.»

«Non vi spiace incontrarla in cucina? Non voglio che m'insudici il tappetocon le sue scarpe sporche.»

Mi condusse in cucina, dove scacciò un paio di domestiche curiose e milasciò solo con la donna.

La vecchia giunse dritta al sodo. «Mi spiace di rubarvi del tempo, signore, ma ho un favore da domandarvi. Abbiamo sepolto Orphan nel cimitero dellachiesa due giorni fa.»

«Sono lieto che il suo povero corpo abbia finalmente trovato pace.»

«Ho provvisto al funerale di persona, ma non ho più soldi per la lapide.Ho notato, signore, che vi siete sinceramente interessato a lei, e mi

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domandavo se… se poteste regalarmi uno scellino per una lapideeconomica.»

«E per una più costosa?»

«Due, signore. Vi farò mandare una ricevuta.»

Contai due scellini. «Questa missione mi sta trasformando in unelemosiniere, ma la fanciulla deve avere una pietra tombale come si deve.Però non darò un centesimo perché vengano recitate delle messe.»

La donna sbuffò. «Orphan non ha bisogno di messe, quelle non servono aniente. La mia piccola è già al sicuro al fianco di Nostro Signore.»

«Parlate da riformatrice, comare.»

«Lo sono, signore, e ne vado fiera.»

«In ogni modo», aggiunsi noncurante, «siete mai stata a Londra?»

La donna mi guardò perplessa. «No, signore. Non sono mai andata più inlà di Winchelsea.»

«E non avete parenti nella capitale?»

«Tutta la mia famiglia vive nei dintorni.»

Annuii. «Come pensavo. Non preoccupatevi, comare.» La congedai epassai a dare un rapido saluto a Copynger, che si era fatto un po' più freddodopo aver saputo che non godevo più dei favori di Cromwell. Lo stalliere miportò Chancery e mi avviai lungo la strada che conduceva al monastero.

Mi parve che la temperatura si fosse alzata ancora, mentre procedevolentamente nel buio, il terreno scivoloso per la neve che si stava sciogliendo.Tutt'intorno a me udivo il gorgogliante gocciolare dell'acqua che correva agettarsi nella palude. Dopo un po' dovetti smontare di sella e condurre ilcavallo a piedi, tirandolo per le briglie: l'idea che Chancery procedesse inquell'oscuro pantano non mi piaceva affatto. Infine, le mura del monastero ele finestre illuminate della guardiola di Bugge baluginarono nella nebbia. Ilguardiano mi venne subito incontro, portando una torcia.

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«Siete tornato, signore. È pericoloso cavalcare là fuori di notte.»

«Non avevo tempo da perdere.» Condussi Chancery attraverso il cancello.«È forse giunto un messo con una lettera per me, Bugge?»

«No, signore, non è arrivato nessuno.»

«Dannazione. Attendo un uomo da Londra. Non appena arriva avvertitemisubito, giorno o notte che sia.»

«Sì, signore. Non mancherò.»

«E fino a mio nuovo ordine, nessuno, e ripeto nessuno, deve lasciare lemura del monastero. Chiaro? Se qualcuno vi domanda di uscire, mandateloda me.»

Il guardiano mi guardò incuriosito. «Se questi sono i vostri ordini,commissario.»

«Lo sono.» Feci un respiro profondo. «È accaduto qualcosa in questigiorni, Bugge? Stanno tutti bene? Mastro Poer?»

«È tutto tranquillo, signore. Mastro Poer si trova negli alloggi dell'abate.» Mi guardò in modo penetrante, gli occhi che brillavano alla luce della torcia.«Ma gli altri si sono dati daffare.»

«Che cosa intendete dire? Parlate chiaramente.»

«Fratello Jerome. Ieri è uscito dalla sua cella. È scomparso.»

«Volete dire che è fuggito?»

Bugge rise maligno. «Non potrebbe fare molta strada, e dal mio cancellonon è passato di certo. No, è nascosto da qualche parte dentro le mura. Ilpriore lo stanerà presto.»

«Buon Dio, avevo insistito tanto che fosse tenuto sotto strettasorveglianza!» Digrignai i denti. Ora non potevo più interrogarlo sulvisitatore di Mark Smeaton; tutto dipendeva ormai dall'arrivo del messo.

«Lo so, signore, ma non viene più fatto nulla a dovere. Il servitoreresponsabile ha dimenticato di chiudere la sua porta a chiave. Sapete,signore, hanno tutti paura, l'uccisione di fratello Gabriel è stata l'ultima

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goccia. E si dice che il monastero presto sarà chiuso.»

«Davvero?»

«Be', non ci sarebbe da stupirsi, no? Dopo tutti questi omicidi e le voci dialtri conventi finiti nelle mani del sovrano. Che cosa ne pensate voi,signore?»

«Maledizione, Bugge, credete davvero che abbia tempo di discutere dipolitica con voi?»

L'uomo mi guardò desolato. «Scusate, signore. Non intendevo essereimpertinente. Ma…» S'interruppe.

«Ebbene?»

«Si dice che con la chiusura dei conventi i monaci riceveranno dellepensioni, ma i servitori saranno buttati in mezzo alla strada. Io ho quasisessant'anni, signore, non ho famiglia né altre occupazioni. E a Scarnsea nonc'è lavoro.»

«Non posso fare molto, Bugge», risposi in tono più gentile. «Ditemi, ilvostro assistente è qui?»

«David, signore? Sì.»

«Fategli portare Chancery nelle stalle, vi spiace? Io vado subito neglialloggi dell'abate.»

Osservai il ragazzo condurre Chancery attraverso la corte, procedendo conattenzione nella fanghiglia nevosa. Ricordai la conversazione avuta conCromwell. Bugge e tutti gli altri sarebbero stati cacciati, costretti a chiedereil sussidio di povertà nel caso non avessero trovato un altro lavoro. Mi vennein mente il giorno in cui ero stato all'ospizio, davanti al quale dei mendicantierano intenti a spalare la neve. Per quanto poco mi piacesse Bugge, non mipiaceva nemmeno l'idea di vederlo costretto a un simile lavoro, il suoadorato scampolo di potere svanito per sempre. Ne sarebbe morto di sicuro.

All'improvviso sentii un rumore e mi voltai, brandendo la spada di JohnSmeaton. Scorsi una figura nella nebbia, appena visibile contro un muro.

«Chi va là?» gridai brusco.

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Fratello Guy si fece avanti, il cappuccio alzato sul volto scuro. «MastroShardlake», disse con il suo inconfondibile accento. «Dunque sieteritornato?»

«Che cosa ci fate qui fuori al buio, fratello?»

«Avevo bisogno d'una boccata d'aria. Ho trascorso l'intera giornata con ilvecchio fratello Paul. È morto un'ora fa.» Si fece il segno della croce.

«Mi dispiace.»

«Era arrivata la sua ora. Alla fine sembrava tornato fanciullo. Parlava delleguerre civili del secolo passato, di York e di Lancaster. Ha assistito allarestaurazione di re Enrico VI.»

«Ora abbiamo un sovrano forte.»

«Nessuno lo può negare.»

«Ho saputo che Jerome è fuggito.»

«Sì, il suo guardiano ha dimenticato di chiudere a chiave la porta. Ma lotroveranno, persino in un luogo tanto vasto. Non è in condizioni di rimanerenascosto. Pover'uomo, è più debole di quanto non sembri, e una nottepassata all'addiaccio minerà ancora di più la sua fragile salute.»

«Alice sta bene?»

«Sì, è al sicuro. Abbiamo lavorato sodo. Ora che il tempo va cambiando,si ammalano tutti per quelle orribili esalazioni palustri.»

«Ditemi, fratello, siete mai stato a Toledo?» Lui si strinse nelle spalle.

«Quand'ero bambino la mia famiglia non faceva che spostarsi da una cittàall'altra. Siamo giunti nella sicura terra di Francia che io avevo dodici anni.Sì, ricordo che siamo stati a Toledo per un po'. Ricordo il grande castello, ilrumore del ferro battuto in quelle che sembravano migliaia di fucine.»

«Non avete mai conosciuto degli inglesi laggiù?»

«Inglesi? Non ricordo. Ma non sarebbe stato strano. All'epoca c'eranomolti inglesi in Spagna. Ora, ovviamente, non ne è rimasto neppure uno.»

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«Già, la Spagna è diventata nostra nemica.» Mi avvicinai, scrutando l'uomo dritto negli occhi castani. Occhi, tuttavia, che trovai impenetrabili. Mi strinsinel mantello. «Devo lasciarvi, fratello.»

«Volete che vi faccia preparare la stanza in infermeria?»

«Vedremo. In ogni modo, fatela riscaldare. Buona notte.» Lo lasciai e midiressi verso l'abitazione dell'abate. Oltrepassai i fabbricati annessi,guardandomi attorno nervoso, in cerca del bianco riverbero della veste delcertosino. Che cosa aveva in mente di fare Jerome?

Il vecchio servitore dell'abate venne ad aprirmi. Mi disse che il suopadrone era in casa, in riunione con il priore, e che mastro Mark era nellasua stanza. Mi condusse al piano superiore, in quella che era stata la cameradi Goodhaps, ora liberata dal vino e dall'odore di uomo vecchio e pocopulito. Mark lavorava seduto a un tavolo, sul quale erano disseminate unagran quantità di lettere. Notai che i suoi capelli si erano fatti lunghi; avrebbedovuto far visita al barbiere, una volta tornato a Londra, se intendeva esseredi nuovo alla moda.

Mi rivolse un rapido saluto, gli occhi freddi e guardinghi. Ero certo cheavesse trascorso quanto più tempo possibile in compagnia di Alice, durantela mia assenza.

«Stai controllando la corrispondenza dell'abate?»

«Sì, signore, pare tutto in ordine.» Mi guardò circospetto. «Come sonoandate le cose a Londra? Avete scoperto qualcosa sulla spada?»

«Ho trovato alcuni indizi. Ho condotto altre indagini e sono in attesa d'unmesso da Londra. Per fortuna Lord Cromwell non è parso preoccuparsi dellalettera di Jerome. Ma ho saputo che è fuggito.»

«Il priore lo ha cercato in lungo e in largo assieme a due giovani monaci.Ieri li ho aiutati per un po', ma del certosino nemmeno l'ombra. Il priore è sututte le furie.»

«Lo immagino. E che mi dici delle voci che circolano sulla chiusura deimonasteri?»

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«A quanto pare un tale di Lewes di passaggio alla locanda ha rivelato chela prioria si è arresa al sovrano.»

«Cromwell m'aveva detto che ormai era questione di ore. Probabilmenteha inviato alcuni agenti a diffondere la notizia nelle campagne, in modo daspaventare le altre case. Ma questo genere d'informazioni sono l'ultima cosadi cui ho bisogno qui. Cercherò di rassicurare l'abate, di convincerlo che perScarnsea potrebbe esserci ancora una speranza.» La freddezza del suosguardo si fece più intensa; odiava le menzogne. Rammentai le parole diJoan sui suoi nobilissimi ideali.

«Ho ricevuto una lettera da mio padre», gli dissi. «Il raccolto è stato scarso, ahimè. Il tuo spera nella chiusura di tutti i monasteri, perché ci sarà più lavoro per le Aumentazioni.» Mark non commentò, ma incontrò il mio sguardo con occhi gelidi e mesti.

«Vado a far visita all'abate», gli dissi. «Per il momento, tu resta qui.»

L'abate Fabian era seduto alla scrivania con il priore. Pareva si trovasserolì già da un pezzo: il viso dell'abate era più stravolto che mai e quello delpriore Mortimus era una paonazza maschera di collera. Vedendomi entrare,si alzarono entrambi.

«Mastro Shardlake, signore, ben tornato», disse l'abate. «Spero che ilvostro viaggio sia stato proficuo.»

«Per il momento Lord Cromwell non pare preoccuparsi della lettera diJerome. Ma mi è giunta voce che quella canaglia è fuggita dalla sua cella.»

«Ho messo il monastero a soqquadro per stanare quel vecchio balordo», disse il priore. «Non so dove si sia ficcato, ma di certo non può aver scavalcato le mura o essere sfuggito alla sorveglianza di Bugge. Dev'essere qui da qualche parte.»

«Animato da chissà quali intenzioni.»

L'abate sospirò. «Appunto di questo stavamo discutendo, signore. Forseaspetta l'occasione buona per fuggire. Fratello Guy è convinto che il suostato di salute non gli permetterà di resistere a lungo in questo freddo, senzacibo.»

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«O magari attende di giocare un brutto tiro a qualcuno. Al sottoscritto, peresempio.»

«Prego perché così non sia», disse l'abate.

«Ho ordinato a Bugge di vietare a tutti l'uscita dal monastero per iprossimi giorni. Provvedete perché la comunità ne sia informata.»

«E per quale ragione, signore, se è lecito?»

«Precauzione. Ora, ho saputo che circolano voci sulla prioria di Lewes, eche tutti si dicono convinti che anche questa sia prossima alla caduta.»

«Me lo avete detto voi stesso», disse l'abate sospirando di nuovo.

Inclinai il capo. «Lord Cromwell mi ha riferito che non ci sono certezzeper il momento. Sono stato precipitoso.» Nel mentire, mi sentii avvinto dallamorsa del senso di colpa. Ma era necessario. C'era una persona in particolareche non desideravo agisse in modo precipitoso.

Il viso dell'abate Fabian si rianimò, e una scintilla di speranza accese gliocchi del priore.

«Allora il monastero non sarà chiuso?» chiese l'abate. «Abbiamo una speranza?»

«Diciamo che parlare di dissoluzione è ancora prematuro, e deve esserescoraggiato.»

L'abate si protese in avanti. «Forse potrei darne comunicazione ai fratelliin refettorio. Si cena fra una mezz'ora. Potrei dire loro… che la chiusuradella nostra casa non è stata ancora decisa.»

«Buona idea.»

«Farete bene a preparare un discorso», gli suggerì il priore.

«Già, certo.» L'abate prese carta e calamaio. Posai lo sguardo sul sigillomonacale, al suo solito posto sullo scrittoio.

«Ditemi, signore, la porta di questa stanza viene lasciata aperta di solito?»

Lui alzò lo sguardo. «Sì.»

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«E trovate sia saggio? Chiunque potrebbe entrare di nascosto e apporre ilsigillo del monastero su qualsivoglia genere di documento.»

L'abate mi guardò, confuso. «Ma ci sono sempre dei domestici di servizio. Anessuno è permesso entrare qui.»

«A nessuno?»

«Tranne gli obedenziari.»

«Certamente. Bene, ora vi lascio. Ci rivedremo a cena.»

Ancora una volta osservai i monaci sfilare in refettorio. Ripensai alla seradel mio arrivo: Simon Whelplay con il cappello puntuto in testa tremavanell'angolo della finestra, mentre fuori la neve cadeva fitta. Ora, invece,attraverso quella stessa finestra vedevo l'acqua gocciolare dalle stalattiti dighiaccio che pendevano all'esterno, mentre fra la neve caduta si aprivanoscure chiazze di terra.

I monaci parevano tesi, curvi nelle loro vesti, e mi rivolgevano sguardid'ansiosa ostilità. Vedendo Mark passarmi di fronte diretto al suo posto, loafferrai per un braccio.

«L'abate sta per fare l'annuncio che questo monastero non sarà confiscatodal sovrano, per ora», sussurrai. «È importante. Fra i monaci c'è un uccellinoche non voglio far scappare dal nido; non ancora.»

«Sono stanco di tutto questo, signore.» Si sciolse dalla mia presa e andò asedersi. La sua palese maleducazione mi fece avvampare d'ira. L'abateFabian riordinò i propri appunti poi, le guance rubiconde accese di nuovaluce, comunicò ai confratelli che le voci sulla chiusura di tutti i monasterierano infondate. Lord Cromwell in persona aveva detto che non c'eral'intento di perseguire la resa di San Donato al momento, nonostante gliefferati omicidi che, ovviamente, erano ancora oggetto di severeinvestigazioni. Aggiunse che, appunto per quella ragione, nessuno dovevalasciare le mura del monastero.

Le reazioni dei confratelli furono diverse. Alcuni, specialmente i piùanziani, tirarono un sospiro di sollievo. Altri parevano più dubbiosi. Lanciaiun'occhiata alla tavola degli obedenziari. Quelli più giovani - fratello Jude e

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fratello Hugh - sembravano sollevati, e lessi della speranza negli occhi delpriore Mortimus. Fratello Guy, invece, scosse appena la testa e fratelloEdwig si limitò ad accigliarsi.

I domestici servirono la cena: una densa zuppa di verdure, seguita dastufato di montone alle erbe. Feci molta attenzione a essere servito dal piattodi portata comune, e che nessuno si avvicinasse alle pietanze mentre mivenivano portate in tavola. Avevamo da poco cominciato a cenare, quando ilpriore Mortimus, che si era già concesso due coppe di vino, si rivolseall'abate.

«Ora che siamo al sicuro, signore, dovremmo procedere alla nomina d'unnuovo sacrista.»

«Vergogna, Mortimus, il povero Gabriel è stato sepolto appena tre giorni fa.»

«Ma dobbiamo. Qualcuno dovrà pur occuparsi di discutere del restaurodella chiesa con l'economo, eh, fratello Edwig?» Levò la coppa d'argento alconfratello, ancora cupo in viso.

«A p-patto che venga nominato qualcuno di più ragionevole, checomprenda che le nostre c-casse non possono permettersi spese ingenti.»

Il priore Mortimus si rivolse a me: «Quando si tratta di soldi, il nostroeconomo è l'uomo più accorto d'Inghilterra. È per questo che non ho ancoracapito perché eri tanto contrario all'utilizzo di un ponteggio, Edwig. Non sipuò sperare di ottenere buoni risultati usando solo funi e pulegge».

L'economo arrossì, ritrovandosi al centro dell'attenzione.

«Va bene. Approverò l'utilizzo d'un p-ponteggio.»

L'abate scoppiò in una sonora risata. «Be', fratello, hai discusso su questopunto con Gabriel per mesi interi. Persino quando ti ha detto che qualcunopoteva rimetterci la vita, non hai battuto ciglio. Che cosa t'è capitato?»

«Era una q-questione di trattative.» L'economo abbassò lo sguardo,fissando con cipiglio il proprio piatto. Fratello Mortimus prese un'altracoppa di quel forte vino e si rivolse a me, rubizzo in viso.

«Conoscete la storia di fratello Edwig e i sanguinacci, commissario?» Il

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priore parlò a gran voce, suscitando l'ilarità dell'intero refettorio. Il visoscoraggiato dell'economo avvampò.

«Suvvia, fratello Mortimus», disse l'abate con indulgenza. «Dov'è finita latua carità fraterna?»

«Ma questa è, per l'appunto, una storia di carità! Due anni or sono, ilgiorno fissato per le elemosine, non avevamo carne da distribuire ai poveri.Avremmo dovuto sgozzare un maiale, ma fratello Edwig non volevanemmeno sentirne parlare. All'epoca fratello Guy era appena arrivato fra noi.Praticava salassi ai confratelli, e ne conservava il sangue per concimare ilsuo giardino. Leggenda vuole che Edwig suggerì di mescolare quel sanguealla farina, per farne dei sanguinacci da dare ai poveri; quei disgraziati non sisarebbero mai accorti che non era sangue di maiale. E tutto per risparmiare!»Scoppiò in una chiassosa risata.

«Questa storia è falsa», disse fratello Guy. «L'ho detto un'infinità divolte.»

Osservai fratello Edwig. Aveva smesso di mangiare e se ne stava ricurvosul piatto, il cucchiaio stretto in mano. D'improvviso lo gettò sulla tavola e sialzò, gli occhi scuri accesi di collera.

«Stolti!» gridò. «Pazzi blasfemi! Il solo sangue di cui dovrebbe importarviè quello del Nostro Salvatore, Gesù Cristo, che beviamo durante laComunione, quando il vino si trasforma! L'unico sangue che tiene insieme ilmondo!» Strinse i pugni paffuti, il viso rosso d'ira, la balbuzie svanita.

«Stolti, non ci saranno più messe. Perché vi attaccate a dei fili d'erba?Come potete credere alla bugia che il monastero sarà risparmiato, quandoavete saputo quello che sta accadendo in tutto il paese? Pazzi! Pazzi! Il re vidistruggerà tutti!» Picchiò i pugni sul tavolo, poi si voltò e uscì dalrefettorio. Sbatté la porta, lasciandoci in preda a un gelido silenzio.

Feci un respiro profondo. «Priore Mortimus, io questo lo chiamotradimento. Vi prego di dar ordine che fratello Edwig venga posto sottocustodia.»

Il priore mi guardò atterrito. «Ma, signore, non ha detto nulla contro lasupremazia del sovrano.»

Mark si protese verso di me, inquieto. «Signore, di certo quelle non erano

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parole sediziose.»

«Vi chiedo di fare come vi ho ordinato.» Fissai l'abate Fabian negli occhi.

«Provvedi subito, Mortimus, per l'amor del cielo.»

Il priore serrò le labbra, ma si alzò da tavola e uscì con passo fermo.Rimasi seduto un istante a riflettere, il capo chino, consapevole di tutti glisguardi puntati su di me. Poi mi alzai, facendo cenno a Mark di seguirmi.Raggiunsi la porta del refettorio giusto in tempo per scorgere il priore che sidirigeva verso l'ufficio contabile, seguito da un gruppo di servitori muniti ditorce.

D'improvviso, mi sentii posare una mano sul braccio. Mi voltai. EraBugge, sul viso l'immagine stessa della solerzia.

«Signore, il messaggero è giunto.»

«Che cosa?»

«Il cavaliere da Londra è qui. Non ho mai visto un uomo così imbrattatodi fango.»

Rimasi immobile un istante a osservare il priore Mortimus che bussavaalla porta della contabilità. Non riuscivo a decidere se raggiungerlo o andaredal messo. Fui colto da un senso di vertigine e la vista mi si offuscò. Feci unrespiro profondo e mi voltai verso Bugge, che mi guardava perplesso.

«Andiamo», dissi e lo precedetti verso la guardiola.

Capitolo trentuno

Il messo era seduto davanti al fuoco nel casotto di Bugge. Nonostantefosse inzaccherato dalla testa ai piedi, riconobbi un giovane portalettere cheavevo visto negli uffici di Cromwell. Il vicario generale era già a conoscenzadel contenuto di quella lettera, dunque.

Il messo si alzò tremante, esausto com'era, e mi fece un inchino.

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«Mastro Shardlake?»

Annuii, troppo agitato per parlare.

«Ho il compito di consegnarvi questa missiva personalmente.» Mi porseun foglio sul quale era impresso il sigillo della Torre. Mi voltai di spalle,ruppi il sigillo e lessi le tre righe che questa conteneva. Era come avevosupposto. Mi sforzai di darmi un contegno e mi rivolsi a Bugge, che miguardava traboccante di curiosità. Il messo era tornato a sedersi.

«Mastro guardiano», dissi. «Quest'uomo ha affrontato un viaggio lungo efaticoso. Fate in modo che gli venga dato qualcosa da mangiare e una stanzacalda per la notte.» Poi mi rivolsi al messo. «Come vi chiamate?»

«Hanfold, signore.»

«Domattina potrei avere una risposta da portare a Londra, Hanfold. Buonanotte. Avete fatto un buon lavoro.»

Lasciai la guardiola, infilando il foglio in tasca, e mi diressi a passo sveltoverso il cortile esterno. Ora che sapevo che cosa dovevo fare, eroattanagliato dall'angoscia.

Mi fermai. C'era qualcosa. Un'ombra in movimento colta con la codadell'occhio. Mi voltai con un impeto tale che rischiai di scivolare nel fango.Era stato accanto alla fucina del fabbro, ne ero certo, ma ora non vedevonulla.

«Chi va là?» gridai brusco.

Non ebbi risposta, nemmeno un suono, tranne il ritmico gocciolio dellaneve disciolta che cadeva dai tetti. La nebbia era ancora più fitta.Avviluppava gli edifici, dissolvendone i contorni e creando aloni d'un giallocupo attorno alle finestre illuminate. Con l'orecchio teso, mi diressi ininfermeria.

Il letto di fratello Paul era stato disfatto, il religioso cieco sedeva lìaccanto, a testa china. Quello più grasso dormiva. Non si vedeva nessunaltro nella camerata. Anche il dispensario di fratello Guy era vuoto;dovevano essere ancora tutti in refettorio. L'arresto di Edwig doveva avercausato un grande scompiglio.

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Percorsi il vestibolo, oltrepassai quella che era stata la mia stanza e midiressi verso la camera di Alice. Da sotto la porta filtrava una striscia di luce.Bussai e aprii.

La trovai seduta su di una branda nella stanzetta priva di finestre, intenta a riempire di vestiti un grosso paniere di cuoio. Quando levò lo sguardo, lessi la paura nei suoi grandi occhi azzurri. Il duro viso squadrato era afflitto. Percepii una profonda disperazione.

«Avete intenzione di partire?» dissi sorprendendomi della normalità dellamia voce.

Lei non rispose, ma rimase seduta, stringendo i manici della borsa.

«Ebbene, Alice?» Ora la voce mi tremava. «Alice Fewterer, la cui madreda ragazza si chiamava Smeaton?»

La giovane arrossì, ma ancora non proferì parola.

«Oh, Alice, darei il mio braccio destro perché tutto questo non fossevero.» Feci un respiro profondo. «Alice Fewterer, vi dichiaro in arresto nelnome di Sua Maestà per l'efferato omicidio del commissario RobinSingleton.»

Allora parlò, la voce rotta dall'emozione. «Non omicidio. Giustizia. Hofatto giustizia.»

«Ai vostri occhi, forse. Dunque ho ragione, Mark Smeaton era vostro cugino?»

La fanciulla alzò lo sguardo. Strinse gli occhi come se stesse calcolandoqualcosa. Poi parlò con una tale pacata ferocia che spero di non udire maipiù dalla bocca d'una donna.

«Più di un cugino. Eravamo amanti.»

«Che cosa?»

«Suo padre, il fratello di mia madre, partì alla volta di Londra per cercarefortuna che era solo un ragazzo. Mia madre non lo perdonò mai per averabbandonato la famiglia, ma quando l'uomo che dovevo sposare morì decisidi raggiungerlo a Londra, per quanto mia madre cercasse d'impedirmelo. Qui

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non c'era lavoro.»

«E vi prese in casa sua?»

«John Smeaton e sua moglie erano delle brave persone. Brave persone. Miaccolsero e mi trovarono da lavorare nella bottega d'uno speziale. Questo èaccaduto quattro anni fa, Mark era già un musico di corte all'epoca.Ringrazio Dio che mia zia sia morta di febbre eruttiva, almeno le furisparmiato ciò che successe dopo.» Gli occhi le si riempirono di lacrime,ma lei li asciugò e poi li puntò sul mio viso. Intravidi di nuovo una scintillacalcolatrice accenderle lo sguardo, sguardo che non riuscivo a penetrare.

«Ma voi di certo lo saprete già, commissario…» Non avevo mai uditotanto disprezzo concentrato in una sola parola. «Altrimenti non sareste qui.»

«Fino a mezz'ora fa non avevo nessuna certezza. La spada mi ha condottoa John Smeaton - ora capisco perché insistevate tanto che non andassi aLondra, quel pomeriggio al vivaio - ma all'inizio non feci il collegamento.Ero rimasto sorpreso dalla notizia che John Smeaton non aveva alcunparente di sesso maschile, e che tutti i suoi averi erano andati a una vecchiasignora… vostra madre?»

«Sì.»

«Ho passato in rassegna il nome di tutti gli abitanti di questa casa,chiedendomi chi potesse avere avuto la forza e la destrezza necessarie perdecapitare un uomo, ma anche a Londra non ho fatto alcun progresso. Poi misono domandato: e se John Smeaton avesse avuto un'altra parente, donna?

Per tutto questo tempo ho sempre supposto che l'assassino fosse un uomo,ma poi ho capito che non c'era ragione per escludere una giovane donnarobusta. E questo mi ha condotto a voi», conclusi tristemente. «Il messaggioche ho appena ricevuto mi ha dato la conferma che una giovane donna hafatto visita a Mark Smeaton la notte prima che fosse giustiziato. E ladescrizione corrisponde a voi.» La guardai e scossi il capo. «Avetecommesso un peccato molto grave, mia cara.»

Ancora una volta mi parlò in tono calmo, nonostante la sua vocetrasudasse amarezza. «Davvero? Peggiore di quello che ha commesso lui?»

Mi meravigliai di tanto autocontrollo, di tanta freddezza.

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«Ho saputo che cosa è stato fatto a Mark Smeaton», dissi. «Jerome me l'haaccennato. Ho saputo a Londra il resto della storia.»

«Jerome? Che c'entra lui?»

«Jerome era prigioniero nella cella accanto a quella di vostro cugino, lanotte della vostra visita. Quand'è venuto qui, deve avervi riconosciuta. Comepure Singleton. Per questo Jerome lo ha chiamato bugiardo e spergiuro. E,ovviamente, quando mi ha detto che nessun uomo in questo luogo potevaaver fatto una cosa simile, intendeva sfidarmi con la sua contorta ironia.»

«Non mi ha mai detto nulla», disse pensierosa. «Avrebbe dovuto. Sonocosì pochi quelli che conoscono la verità. Che conoscono il male fatto dagente come voi.»

«Non conoscevo la verità sul conto di Mark Smeaton, Alice, e neppuresulla regina. Avete ragione. Ciò che è accaduto è stato orribile e crudele.»

Gli occhi le si accesero di speranza. «Allora lasciatemi andare, signore. Daquando vi conosco non avete fatto che sorprendermi. Non siete il bruto chemi aspettavo. Io ho soltanto fatto giustizia. Vi prego, lasciatemi andare.»

«Non posso», dissi con tristezza. «Avete pur sempre commesso unomicidio. Devo prendervi in custodia.»

Mi guardò supplichevole. «Signore, se tenete un poco a me, vi prego,ascoltatemi.»

Sospettavo che intendesse guadagnare tempo, ma non la interruppi. Mistava offrendo la risposta che avevo tanto cercato.

«Mark Smeaton veniva a trovare i genitori ogni volta che gli era possibile. Era passato dal coro del cardinale Wolsey alla dimora di Anna Bolena, diventando il suo musico privato. Povero Mark, si vergognava delle proprie origini, lo splendore della corte gli aveva fatto girare la testa. Lo aveva sedotto, come voi vorreste che seducesse Mark Poer.»

«Non accadrà mai. Dovete già saperlo.»

«Mark mi portò a vedere i maestosi palazzi di Greenwich e Whitehall, manon volle mai farmici entrare nemmeno dopo che diventammo amanti. Midisse che potevamo incontrarci solo in segreto. Ma io ero felice. E poi, un

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giorno, tornai dal mio lavoro alla bottega dello speziale e trovai RobinSingleton scortato da una truppa di soldati a casa di mio zio, ormai rimastovedovo. Singleton gridava, cercando di estorcergli la confessione che ilfiglio aveva giaciuto con la regina. Quando capii che cosa stava accadendocorsi da Singleton e lo colpii, e i soldati dovettero allontanarmi con laforza.» Mi guardò scura in viso. «Quella fu la prima volta in cui compresiquanta rabbia custodissi nel cuore. Capii anche che John Smeaton non avevadetto loro della relazione che avevo con suo figlio, né che ero sua cugina,altrimenti di sicuro avrebbero arrestato anche me per costringermi alsilenzio.

«Il mio povero zio morì due giorni dopo l'esecuzione di Mark. Io assistettial processo, e vidi il terrore che attanagliava la giuria. Non ci furono maidubbi sul verdetto. Provai ad andare in visita a Mark alla Torre, ma non mipermisero di vederlo fino a che uno dei carcerieri ebbe pietà di me, la notteprecedente l'esecuzione. Lo tenevano in catene in quel luogo orribile, i suoipreziosi vestiti ridotti a nient'altro che stracci.»

«Lo so. Jerome me lo ha detto.»

«Quando Mark fu arrestato, Singleton disse che se avesse confessatod'aver giaciuto con la regina avrebbe ottenuto la grazia del sovrano. Mirivelò che era convinto che la legge lo avrebbe protetto, visto che non avevafatto nulla di male. Che ingenuo!» Rise amaramente. «La legge ingleseviene fatta applicare con la gogna e nelle segrete! Lo torturarono fino a cheil suo mondo non fu altro che dolore. Così confessò, e loro gli concesserodue settimane di vita da storpio per il processo, prima di tagliargli la testa. Ioc'ero, ero fra la folla. Gli avevo promesso che il mio viso sarebbe statal'ultima cosa che avrebbe visto.» Chiuse gli occhi. «Ci fu tanto sangue. Unfiume che spruzzò nell'aria. C'è sempre tanto sangue.»

«Sì, avete ragione.» Ricordai Jerome dire che Smeaton aveva confessatodi essere andato con molte donne: l'immagine che Alice aveva di lui eraidealizzata, ma non potevo certo dirle la verità.

«E poi Singleton è apparso qui.»

«Già. Potete immaginare come mi sono sentita il giorno in cui l'hoincontrato nella corte assieme all'assistente dell'economo? Sapevo dellavisita d'un commissario, ma non potevo immaginare che fosse lui…»

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«E allora avete deciso d'ucciderlo.»

«Avevo sognato di uccidere quell'uomo malvagio così tante volte…Dovevo farlo, nient'altro. Giustizia doveva essere fatta.»

«La giustizia è rara in questo mondo.»

Il suo viso s'indurì. «Questa volta è stata fatta», ribadì.

«E Singleton non vi riconobbe?»

Lei rise. «No. Vide in me solo una domestica che trasportava un sacco,sempre ammesso che mi abbia notata. Ero arrivata da più di un anno, daquando lo speziale di Londra mi aveva licenziata perché ero imparentata congli Smeaton. Mia madre aveva ricevuto la lettera d'un avvocato ed era andataa Londra a ritirare i pochi beni che erano appartenuti a mio zio. Io erorimasta qualche, tempo con lei prima di entrare qui dentro, ma poi lei eramorta - il cuore non aveva retto, come per mio zio - e Copynger mi avevasfrattata.»

«Ma la gente del paese non sapeva dei vostri legami con gli Smeaton?»

«Mio zio se n'era andato trent'anni prima, e mia madre aveva cambiatonome dopo sposata. Quel cognome fu dimenticato, e io non l'ho mai volutoricordare. In paese raccontai la storia dello speziale di Esher.»

«Avete tenuto la spada, però.»

«Un ricordo. Nelle lunghe sere d'inverno mio zio amava mostrarci alcunemosse di scherma. Imparai qualche nozione sull'equilibrio, sui passi, sugliangoli di forza. Quando vidi Singleton capii subito che l'avrei usata.»

«Mio Dio, signora, siete dotata d'un temibile coraggio.»

«Fu facile. Non avevo le chiavi d'accesso alle cucine, ma ricordavo lastoria del vecchio passaggio.»

«E lo trovaste.»

«Sì, cercando con cura in ogni stanza. Allora scrissi un biglietto anonimoa Singleton, facendomi passare per un informatore e chiedendogli unincontro segreto nel cuore della notte. Gli dissi d'avere un grande segreto darivelargli.» Allora sorrise, d'un sorriso che mi diede i brividi.

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«Lui avrebbe sicuramente pensato che si trattasse d'un monaco.»

Il sorriso svanì. «Sapevo che si sarebbe sparso molto sangue, così andai inlavanderia e rubai una tonaca. Avevo trovato una chiave per quei locali nelcassetto del tavolo della mia stanza, quand'ero arrivata.»

«La chiave che fratello Luke aveva perduto mentre molestava OrphanStonegarden. Evidentemente la giovane doveva averla conservata.»

«Povera ragazza. Fareste meglio a cercare il suo assassino, invece diquello di Singleton.» Mi fissò dritto negli occhi. «Fratello Guy e io cistavamo prendendo cura dei monaci anziani; gli dissi che avevo bisogno diriposare un po'. Poi indossai l'abito, presi la spada e percorsi il passaggiosegreto fino alle cucine. Fu talmente facile. Mi nascosi accanto alla credenzae quando vidi entrare il commissario lo colpii.» Sorrise con spaventosocompiacimento. «Avevo affilato la spada, e bastò un colpo solo.»

«Proprio come la regina Anna Bolena.»

«Proprio come Mark», puntualizzò, scurendosi in volto. «Così tantosangue. Avevo sperato che il suo sangue avrebbe potuto lavare la mia rabbia,e invece… In sogno, il viso di mio cugino mi appare ancora.»

Allora gli occhi le si accesero e tirò un gran sospiro di sollievo, mentrequalcuno da dietro mi afferrò il polso, facendo cadere a terra il mio pugnale.Abbassai lo sguardo e vidi uno stiletto puntato alla gola.

«Jerome?» chiesi con voce roca.

«No, signore», mi rispose la voce di Mark. «Non gridate.» Il coltellopremeva sulla carne. «Andate a sedervi su quel letto. Muovetevilentamente.»

Attraversai piano la stanza e raggiunsi la branda. Alice si alzò e siavvicinò a Mark, cingendolo con un braccio.

«Pensavo non saresti più tornato. Ma sono riuscita a trattenerlo.»

Mark chiuse la porta, poi rimase a fissarmi, il pugnale sempre puntatocontro di me; gli sarebbe bastato un attimo per balzare in avanti e aprirmiuno squarcio in gola. Il gelo nel suo sguardo era svanito, ma aveva gli occhipieni di determinazione. Lo guardai.

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«Eri tu in cortile un attimo fa? Mi hai seguito?»

«Sì. Chi altri sa la verità, signore?» Mi chiamava ancora signore. Mivenne quasi da ridere.

«Il messo era uno dei servitori di Lord Cromwell, dunque Cromwell sa giàtutto. Ma tu sai che cosa ha fatto Alice?»

«Me lo ha detto il primo giorno che abbiamo giaciuto insieme, quando voi siete partito per Londra. Le dissi che voi siete astuto, così avevamo stabilito di partire questa sera. Se foste arrivato solo poche ore più tardi, non ci avreste più trovati. Come vorrei fosse andata così.»

«Non c'è via di fuga, ora. Non in Inghilterra.»

«Ma noi non rimarremo in Inghilterra. Una barca ci aspetta sul fiume perportarci in Francia.»

«I contrabbandieri?»

«Esatto», disse Alice in tono pratico. «Vi ho mentito. I miei amicid'infanzia non sono affogati, e ci aiuteranno volentieri. C'è un bastimentofrancese in mare aperto che attende un cargo dal monastero per domani, maci hanno mandato una barca a prenderci stasera stessa.»

Rimasi sbalordito. «Dal monastero? Sapete chi lo manda, o di che cosa sitratti?»

«Non m'importa.»

«Mark, tu sai che cosa trasporta il cargo?»

«No.» Si morse un labbro. «Mi spiace, signore, ma ora per me contanosolo Alice e la nostra fuga.»

«Sei un traditore», gli dissi. «Hai ingannato il tuo sovrano e hai ingannatome. E io che ti consideravo un figlio.»

Mi guardò quasi compatendomi. «Non sono vostro figlio, signore. E nonho mai sposato la vostra religione. Lo avreste compreso se aveste ascoltatociò che dicevo, invece di trattarmi come una cassa di risonanza per le vostreopinioni.»

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«Non meritavo questo da parte tua. E neppure da parte vostra, Alice.»

«Chi può mai sapere che cosa meritiamo?» disse Mark con improvvisafuria. «Non c'è giustizia né ordine in questo mondo, e ve ne accorgeresteanche voi, se non foste tanto cieco. Dopo quanto Alice mi ha raccontato, neho la certezza. Io partirò con lei, l'ho deciso quattro giorni fa.» Eppure,mentre parlava scorsi in lui un lampo di vergogna, segno che l'affetto che lolegava a me non era del tutto svanito.

«Partirai con una donna capace di profanare una chiesa? Perché siete statavoi, Alice, non è vero? Avete messo il gallo sgozzato sull'altare dopol'omicidio di Singleton per confondere le acque?»

«Sì», disse. «Sono stata io. Ma se ci credete papisti sbagliate di grosso.Siete tutti uguali, riformatori e papisti; modellate pensieri da imporre allapovera gente, pena la morte, mentre lottate per il potere, le terre e il denaro,le sole cose che v'interessano davvero.»

«A me non interessano.»

«Forse no. Voi avete un cuore gentile e non vi ho mentito volentieri. Maquando si tratta di vedere quello che sta accadendo in Inghilterra, siete ciecocome un gattino appena nato.» La pietà si mescolava alla rabbia nella suavoce. «Dovreste vedere il mondo con gli occhi della gente comune, maquelli del vostro stampo non lo faranno mai. Pensate davvero che potrebbeimportarmi della Chiesa dopo quanto ho visto? Ho provato più dolore nelsacrificare quel gallo che nel profanare l'altare.»

«E ora, che cosa accadrà?» domandai. «Dovrò morire?»

Mark deglutì. «No, a meno che non ci costringiate.» Poi il giovane sirivolse ad Alice. «Possiamo legarlo, imbavagliarlo e metterlo nell'armadio.Lo cercheranno, ma non penseranno mai di guardare qui dentro. FratelloGuy quando si accorgerà della tua scomparsa?»

«Gli ho detto che mi sarei coricata presto. Non lo noterà fino a domattina alle sette. Ma per quell'ora noi saremo già in mare aperto.»

Mi sforzai di riflettere. «Mark, ti prego, ascoltami. Stai dimenticandofratello Gabriel, Simon Whelplay e Orphan Stonegarden.»

«Non c'entro nulla con la loro morte!» disse Alice con foga.

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«Lo so. Avevo pensato che gli omicidi potessero essere stati commessi dadue complici, ma mai avrei immaginato due assassini distinti. Mark, pensa aquello che hai visto. Il cadavere di Orphan Stonegarden rinvenuto nellostagno, Gabriel schiacciato come un insetto, Simon spinto alla pazzia dalveleno. Mi hai aiutato, mi sei sempre rimasto al fianco. Permetterai dunqueall'assassino di farla franca?»

«Avevamo intenzione di lasciarvi un biglietto per spiegarvi che Aliceaveva ucciso Singleton.»

«Ti prego d'ascoltarmi. Fratello Edwig è stato arrestato?»

Mark scosse il capo. «No. Vi ho seguito fino alla porta del refettorio, e houdito Bugge dire che c'era un messaggio. Quindi vi ho seguito allaguardiola, e vi ho visto ritornare all'infermeria. Poi il priore Mortimus èvenuto a dirmi che fratello Edwig non si trovava in contabilità, e neppurenella sua cella. Pare si sia dato alla fuga. Ecco perché ci ho messo tanto,Alice.»

«Non deve scappare», dissi con ardore. «Ha venduto delle terre senzal'autorizzazione dell'abate, sospetto, e ha un migliaio di sterline nascoste daqualche parte. Quella barca è per la sua fuga. Certo, ha cercato di guadagnartempo fino al suo arrivo. Per questa ragione ha ucciso il novizio Whelplay,perché temeva che il giovane avrebbe raccontato all'abate di OrphanStonegarden, e che questi lo avrebbe fatto mettere agli arresti.»

Mark abbassò il pugnale, gli occhi colmi di sorpresa. Avevo catturato lasua attenzione.

«È stato fratello Edwig a uccidere la ragazza?»

«Sì! Poi ha provato a uccidere anche me in chiesa. Con questa neve, cisarebbero voluti giorni o settimane, prima che giungesse un mio sostituto, elui avrebbe avuto tutto il tempo di fuggire. Dividerete quella barca con unassassino.»

«Ne siete certo?» chiese Mark.

«Sì. Sul conto di fratello Gabriel mi ero sbagliato, ma questa volta è vero.Pensa a ciò che mi hai detto sul cargo in partenza dal monastero. Edwig è unassassino e un abile truffatore. In tutta coscienza, non puoi permettere chescappi.»

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Per un istante lo vidi vacillare.

«Siete assolutamente certo che fratello Edwig abbia ucciso la ragazza?»s'intromise Alice.

«Certissimo. Doveva trattarsi di uno degli obedenziari che avevano fattovisita a Simon Whelplay. Il priore Mortimus e fratello Edwig avevano giàalle spalle un passato di molestatori; Mortimus ha infastidito anche voi,invece fratello Edwig no… perché temeva di perdere il controllo comeaveva fatto con Orphan.»

Mark si morse un labbro. «Alice, non possiamo permettere che la passiliscia.»

Lei mi guardò disperata. «M'impiccheranno o, più probabilmente, mimanderanno al rogo. Mi accuseranno di stregoneria, per quel che ho fatto algallo.»

«Ascolta», disse Mark. «Quando raggiungeremo la nave, diremo loro dinon attendere oltre e di salpare questa notte stessa. Così fratello Edwig nonriuscirà a fuggire con il suo malefico oro, e i contrabbandieri non rimarrannoin attesa d'un feroce assassino.»

«Sì», disse lei con ardore. «Possiamo fare così.»

«Ma lui sarà ancora a piede libero», dissi io.

Mark fece un respiro profondo. «Sta a voi catturarlo, signore. Sonodolente.»

«Dobbiamo andare», disse Alice con urgenza. «La marea cambieràpresto.»

«È ancora presto. L'orologio dell'abbazia segna le otto, ci vorrà ancoramezz'ora prima che la marea si alzi. Abbiamo tutto il tempo di guadare lapalude.»

«Guadare la palude?» chiesi sconcertato.

«Certo», disse Alice. «Fino all'estuario.»

«Ma non potete!» urlai. «Non avete visto il tempo? La neve si è quasicompletamente sciolta, la palude sarà un'immensa distesa di fango. Ho

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risalito il canale questo pomeriggio, so quel che dico! Non ce la farete mai,dovete credermi!»

«Conosco bene quei sentieri», si ostinò Alice. «Troverò di sicuro lastrada.» Dai suoi occhi, però, traspariva un velo d'incertezza.

«Mark, in nome di Dio, credimi, firmerete la vostra condanna a morte!»

Il ragazzo fece un respiro profondo. «Alice conosce bene la palude. E nonci aspetta comunque la morte, se rimaniamo qui?»

Sospirai. «Lasciala andare. Lascia che scappi e si assuma i suoi rischi.Non dirò nulla del tuo coinvolgimento, lo giuro. Maledizione, ti sto dicendoche sono disposto a diventare vostro complice, a mettere la mia vita inpericolo per entrambi! Ma non attraversare la palude!»

Alice lo guardò disperata. «Mark, non lasciarmi. So che possiamofarcela.»

«Ti dico che è impossibile! Non avete idea di che cosa sia divenuta la palude!»

Mark fissava ora uno ora l'altra, il volto attanagliato dall'agoniadell'indecisione. Ripensandoci oggi, comprendo quanto fosse giovane,troppo giovane per decidere del suo destino e di quello di Alice in un soloistante. Poi il suo viso s'irrigidì, e mi sentii mancare il cuore.

«Ora dobbiamo legarvi, signore. Cercherò di non farvi male. Alice, dov'èla tua veste da notte?»

Lei sfilò l'indumento da sotto il cuscino e Mark lo tagliò in lunghe striscecon il pugnale.

«Stendetevi prono, signore.»

«Mark, per l'amor del cielo…»

Il giovane mi afferrò per la spalla e mi legò le braccia dietro la schiena,poi le gambe, prima di voltarmi sul dorso.

«Mark, non andare…»

Furono le ultime parole che gli dissi, poiché poi lui mi chiuse la bocca con

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un pezzo di stoffa, facendomi quasi soffocare. Alice spalancò le antedell'armadio e mi depositarono al suo interno. Mentre Mark lo chiudeva, sifermò a guardarmi.

«Aspetta. La schiena potrebbe fargli male.»

Alice lo osservò impaziente, ma lui prese un cuscino dal letto e me losistemò dietro le spalle. «Mi spiace», sussurrò. Poi si voltò e chiuse l'anta,lasciandomi nell'oscurità. Un istante più tardi, udii la porta esterna chiudersipiano.

Soffocai un conato di vomito, sapendo che avrei rischiato di morire. Miappoggiai al cuscino, respirando profondamente dal naso. Alice aveva dettoche fratello Guy non l'aspettava nel dispensario fino alle sette del mattinodopo. Mi aspettavano ancora undici ore chiuso là dentro.

Capitolo trentadue

Due volte nel corso di quella lunga notte mi parve d'udire delle gridalontane. Dovevano essere i monaci che stavano cercando Mark, me e fratelloEdwig. A un certo punto dovevo essere riuscito ad addormentarmi, poichésognai Jerome che, chino su di me imprigionato, rideva follemente. Misvegliai di soprassalto nella fitta oscurità della credenza, i polsi legatisempre più doloranti.

Rimasi sveglio ancora per qualche ora prima di sentire dei passi nellastanza. Raccolsi le poche energie che mi erano rimaste e calciai l'antadell'armadio. Poco dopo questo si aprì. L'improvvisa luce del mattino mi ferìgli occhi, e scorsi fratello Guy che mi fissava con la bocca stretta in un «oh»di meraviglia. In maniera assai poco pertinente, pensai fosse fortunato aessere arrivato alla sua età con una simile dentatura.

Poi il monaco mi slegò e mi aiutò a rimettermi in piedi, dicendomi dimuovermi piano per non danneggiare la schiena indolenzita con movimentitroppo bruschi. Mi condusse nella mia stanza, dove fui lieto di potermisedere davanti al fuoco, perché morivo di freddo. Gli raccontai tutto, equando apprese che Alice era l'assassina di Singleton si lasciò cadere sul

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letto con un gemito.

«E dire che sono stato io a parlarle del passaggio, quand'è arrivata qui.Cercavo d'intavolare una conversazione, mi sembrava tanto sola e sperduta.»

«Edwig non è stato ancora trovato?»

«No, è svanito nel nulla, come Jerome. Potrebbe essere fuggito. Bugge halasciato per un po' la guardiola incustodita ieri notte, quando c'è stata tuttaquella baraonda. O forse è uscito dal retro, verso la palude. Però non hoancora capito perché abbiate tanto insistito nel volerlo arrestare. Avetesentito parole ben peggiori delle sue da quando siete giunto al monastero.»

«Ha ucciso Gabriel, Simon e forse anche Orphan. E ha rubato un'ingentequantità d'oro.»

Fratello Guy rimase sbalordito, poi si prese la testa fra le mani. «Jesu, che cosa è mai diventata questa casa, per aver alimentato tanta violenza?»

«In un'epoca diversa Alice non sarebbe stata considerata un'assassina. EdEdwig non sarebbe mai riuscito a perpetrare le sue frodi, se la situazionefosse stata più stabile. La domanda che vi siete posto potrebbetranquillamente essere estesa all'intera Inghilterra. E io ho contribuito a tuttoquesto.»

Mi fissò con attenzione. «L'abate Fabian ha avuto un crollo ieri notte.Dopo che avete ordinato l'arresto di fratello Edwig. Pare non riesca più amuoversi né a parlare; se ne sta seduto nel suo studio, lo sguardo perso nelvuoto.»

Sospirai. «Non è mai stato in grado di affrontare questa situazione. Fratello Edwig si è impossessato del suo sigillo e lo ha apposto sugli atti di vendita di quei terreni. Ha imposto massima segretezza ai compratori, e loro devono averne dedotto che l'abate fosse d'accordo.» Mi alzai a fatica.

«Fratello Guy, dovete aiutarmi. Ho bisogno di raggiungere la palude. Devocapire se Mark e Alice sono riusciti a raggiungere la barca.»

Lui tentò di convincermi che non ero in condizione di spostarmi, ma ioinsistei e allora mi aiutò a rimettermi in piedi. Presi il bastone e uscimmo.

Sul monastero incombeva un cielo denso di nuvole, l'aria mite e umida. La

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corte era punteggiata di pozzanghere e mucchi di fango, la neve ormaisciolta.

I passanti indaffarati si fermarono nel vedermi procedere zoppicando. Ilpriore Mortimus mi corse incontro. «Commissario! Vi credevamo morto,come Singleton. Dov'è il vostro assistente?»

Raccontai succintamente quant'era accaduto, circondato da una folla sbalordita di monaci e servitori. Ordinai al priore Mortimus di mandare a chiamare Copynger: se Edwig era fuggito, avremmo dovuto setacciare la campagna circostante per ritrovarlo.

Non so come, riuscii ad attraversare il frutteto. La schiena era un'agonia,mi sentivo mancare. Infine, però, raggiungemmo le mura posteriori. Aprii ilcancello e lo attraversammo.

Mi ritrovai a scrutare un lago ampio mezzo miglio. L'intera palude eraricoperta d'acqua, il fiume una rapida corrente che scivolava al centro d'unadistesa che arrivava quasi a lambire i nostri piedi. Lo specchio d'acqua erapoco profondo, non più di un piede sopra il fango, a giudicare dai giunchi,ma il morbido terreno paludoso doveva essersi saturato.

«Guardate!» disse fratello Guy, indicando delle impronte impresse nelfango presso il cancello, due più grandi e le altre più piccole. Scendevano finsulla sponda e svanivano nell'acqua. «Jesu. L'hanno attraversata.»

«Non possono aver percorso più d'un centinaio di iarde», sussurrai.

«Con la nebbia, l'oscurità e tutta quest'acqua.»

«Che cos'è? Laggiù?» Fratello Guy indicò un oggetto che galleggiavapoco distante.

«È una lampada! Uno dei piccoli candelieri dell'infermeria. Devono averloportato con loro. Oh, Dio.» Mi afferrai al frate infermiere per sostenermi, alpensiero che Mark e Alice fossero sprofondati da qualche parte in quelpantano inondato. Fratello Guy mi fece premurosamente sedere sulla riva, eio respirai a fondo per ritornare in me. Alzai di nuovo lo sguardo e vidi ilreligioso sussurrare una preghiera in latino, le mani giunte, gli occhi fissisulla lampada che galleggiava leggera sulla superficie dell'acqua.

Non appena mi fui ripreso, mi ricondusse in infermeria. Lì insisté perché

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mi riposassi e mangiassi qualcosa, facendomi sedere in cucina e servendomidi persona. Il cibo mi rinvigorì il corpo, sebbene sentissi il cuore pesantecome un macigno. Non riuscivo a togliermi Mark dalla testa; lo rivedevoscherzare allegro nel corso del viaggio che ci aveva condotti lì; litigare conme nella nostra stanza; stringere Alice fra le braccia in cucina. Mi sarebbemancato immensamente.

«C'erano solo due serie d'impronte che attraversavano il cancello»,osservò fratello Guy dopo un po'. «Non sembra che Edwig sia passato di là.»

«Non lui», risposi amaramente. «Lui dev'essere fuggito dal cancello,approfittando dell'assenza di Bugge.» Serrai i pugni. «Ma lo scoverò,dovesse essere l'ultima cosa che faccio.»

Bussarono alla porta, e il priore Mortimus apparve, il viso tetro.

«Avete mandato a chiamare Copynger?» chiesi.

«Sì, dovrebbe raggiungerci presto. Ma, commissario, abbiamo trovato…»

«Edwig?»

«No. Jerome. È in chiesa. Dovreste venire a vedere.»

«Siete ancora troppo debole», disse fratello Guy, ma io respinsi la suamano e afferrai il bastone. Seguii il priore nella chiesa, davanti alla quale siera assiepata una piccola folla. L'elemosiniere stava di guardia, vietando achiunque di entrare. Il priore si fece strada fra la gente.

All'interno non udii altro che il rumore d'acqua gocciolante e un lievesinghiozzo, un lamento. Seguii il priore Mortimus lungo l'ampia navatadeserta, le nicchie illuminate nell'eco dei nostri passi, finché giungemmo allacappelletta che ospitava la reliquia del buon ladrone. Le grucce e i bastonideposti alla base del piedistallo erano sparpagliati sul pavimento. In quelmomento notai che il plinto era cavo, e racchiudeva spazio sufficiente pernascondere un uomo. Rannicchiato al suo interno c'era Jerome, un oggettostretto in mano. L'abito bianco era sudicio e stracciato e dal suo corpo silevava un puzzo nauseante. L'uomo piangeva pietosamente.

«L'ho trovato mezz'ora fa», disse il priore. «Si era nascosto lì sotto, dietroalle stampelle. Lo stavo cercando in chiesa, quando mi sono ricordato diquel nascondiglio.»

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«Che cos'ha lì? È forse?…»

Il priore annuì. «La reliquia. La mano del buon ladrone.»

M'inginocchiai dinanzi a Jerome, percorso da dolorosissime fitte alla schiena. Il religioso stringeva fra le mani una grossa teca quadrata, tempestata di pietre preziose che scintillavano alla luce delle candele. Al suointerno, appena visibile, una sagoma scura.

«Fratello», dissi in tono gentile. «Siete stato voi a prendere la reliquia?»

Per la prima volta da quando ci conoscevamo, Jerome mi parlò con vocepacata. «Sì. È tanto importante per noi, per la Chiesa. Ha curato moltissimepersone.»

«Dunque, l'avete presa approfittando del trambusto seguito alla morte di Singleton.»

«L'ho nascosta qui sotto per salvarla, per salvarla.» La strinse più forte.

«So che cosa vorrebbe fare Cromwell. Distruggere quest'oggetto sacro cheDio ci ha donato come segno del suo perdono. Quando mi hanno rinchiuso,ho capito che avreste potuto trovarla, e io dovevo proteggerla. Ora è perduta,perduta. Non posso resistere oltre, sono così stanco», concluse con vocemesta ma determinata. Scosse il capo e fissò il vuoto.

Il priore Mortimus si avvicinò e gli mise una mano sulle spalle. «Forza,Jerome, è tutto finito. Dammi la reliquia e vieni via con me.» Con miagrande sorpresa il certosino non oppose alcuna resistenza. Uscìfaticosamente dalla nicchia, prendendo la propria stampella, e baciò ilreliquiario prima di posarlo con grande cautela sul pavimento.

«Lo riporterò nella sua cella», disse il priore. Annuii. «Sì, è meglio.»

Osservai il certosino allontanarsi con passo strascicato. Se Jeromem'avesse detto d'aver visto Alice in visita a Mark Smeaton il giorno del suointerrogatorio, invece di fare tanti misteri, avrei potuto arrestarla subito, erisolto quell'omicidio avrei potuto smascherare quelli di fratello Edwig. Inquesto modo Mark non sarebbe morto, e neppure Gabriel. Eppure nonprovavo rabbia nei suoi confronti; mi sentivo come prosciugato d'ogni

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emozione.

M'inginocchiai nuovamente e scrutai la reliquia sul pavimento. La teca erad'oro finemente lavorato, e le pietre incastonate erano gli smeraldi più grossiche avessi mai visto. Attraverso il vetro distinsi la sagoma di una mano,fermata su un pezzo di legno nero da un grosso chiodo, disposta sopra uncuscino di velluto purpureo. Malgrado fosse brunita e avvizzita dal tempo, lasua forma era ancora riconoscibile, al punto che si vedevano alcuneformazioni callose sulle dita. Poteva davvero trattarsi della mano del ladroche era morto sulla croce al fianco di Cristo? Picchiettai sul vetro, e per unfolle istante sperai che tutti i dolori che mi affliggevano il corpo potesserosvanire, che la mia gobba potesse sciogliersi e la mia schiena diventarenormale come quella del povero Mark, che tanto avevo invidiato. Ma nulladi tutto ciò accadde, e udii solo il rumore del dito contro il reliquiario.

E poi, con la coda dell'occhio, distinsi un lieve bagliore dorato piovere dalcielo. Qualcosa colpì tintinnando il pavimento, girò su se stessa e poi sifermò. La osservai. Era una moneta d'oro, un noble con l'effigie di re Enrico.

Alzai lo sguardo. Mi trovavo sotto il campanile, quindi sulla mia testac'era l'intrico di funi e pulegge su cui si era scherzato durante la cena la seraprecedente. Ma qualcosa era cambiato. Il cesto degli operai non c'era più.Era stato issato fino alle campane.

«È lassù!» sussurrai. Dunque era lì che aveva nascosto l'oro, in quellacesta. Avrei dovuto ispezionarla con più attenzione, quando ero salitoassieme al priore Mortimus. Un nascondiglio astuto. Ecco spiegata laragione dell'interruzione dei lavori.

La prima volta che ero salito là sopra avevo provato una gran paura, maora mi sentii animato da una furia selvaggia e determinata, e bruciai le scalesenza badare alle fitte di protesta che il mio corpo mi lanciava. Le emozioninon erano dunque morte in me, s'erano solo assopite. Ero sostenuto da unarabbia mai provata prima. Raggiunsi il pianerottolo che ospitava le funi dellecampane. Lì trovai la cesta, vuota e rovesciata, e qualche altra moneta sparsasul pavimento. Fissai i gradini che conducevano alle campane, disseminatianch'essi di monete d'oro. Pensai che chiunque si nascondesse in quellastanza doveva essere salito al piano di sopra, udendomi arrivare. Lo avreiscovato lassù?

Salii i gradini con molta cautela, stringendo il bastone in pugno. Girai la

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maniglia della porta e mossi rapido un passo indietro, aprendola con il legno.Fui previdente, perché in quello stesso istante una figura calò una torciaspenta proprio dove avrei dovuto trovarmi io. La clava improvvisata colpì ilbastone e io intravidi il viso dell'economo, paonazzo e furioso, gli occhi fissie sgranati.

«Vi ho scoperto, fratello Edwig», gridai. «So del vostro cargo per laFrancia! Vi dichiaro in arresto nel nome di Sua Maestà per furto eomicidio!»

L'uomo sparì dalla mia vista e udii i suoi passi correre sulle tavole dilegno, insieme a un tintinnio metallico.

«È tutto finito», urlai nuovamente. «Non avete via di scampo!» Salii gliultimi gradini e guardai dentro, nel tentativo di scorgerlo, ma da dove mitrovavo vedevo solo il pavimento e le immense campane oltre la ringhiera.Delle altre monete si rovesciarono al suolo.

Ci trovavamo in un'impasse; lui non avrebbe potuto fuggire, ma anch'ioero intrappolato. Se avessi deciso di ritirarmi e scendere, mi sarei esposto aun attacco dall'alto, e l'uomo che avevo sempre considerato unimpiegatuccio spilorcio s'era ormai rivelato capace di qualsiasi gesto. Entraidunque nella stanza, agitando il bastone a casaccio.

Fratello Edwig si trovava all'altro capo del locale, dietro le campane. Sifece avanti, due grossi panieri di cuoio legati attorno al collo. Mosse unpasso e questi tintinnarono. Aveva il respiro affannoso, la torcia stretta nellamano destra, le nocche bianche e tese.

«Qual era il vostro piano, fratello?» lo provocai. «Prendere il denaro dellevendite e fuggire in Francia per cominciare una vita nuova?» Mi avvicinaicercando di distrarlo, ma l'uomo era guardingo più d'un gatto e agitò latorcia con fare minaccioso.

«No!» Se ne rimase immobile, gridando con la furia d'un bambinoingiustamente accusato. «No! Questa è la mia chiave d'accesso al paradiso!»

«Che cosa?»

«Lei non faceva che rifiutarmi, e poi il demonio m'ha riempito l'animo dirabbia e io l'ho uccisa! Avete idea di quanto sia facile uccidere qualcuno,commissario?» Rise selvaggiamente. «Ho assistito a troppe morti da

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bambino, morti che hanno aperto il mio cuore a Satana, che da sempreriempie i miei sogni di sangue!»

Era paonazzo in viso, le vene del collo sporgenti nel delirio. Aveva persoil controllo; se fossi riuscito a coglierlo di sorpresa, ad avvicinarmi quantobastava alle campane…

La balbuzie era svanita mentre urlava. «Il papa, l'unico vicario di NostroSignore sulla terra, consente l'acquisto delle indulgenze per la remissione deipeccati! Ve l'ho già detto, Dio stila un bilancio delle nostre anime, crediti edebiti! E io gli porterò un dono tale ch'Egli non potrà far altro cheaccogliermi alla sua destra! Porto quasi mille sterline alla Chiesa di Francia,mille sterline strappate al vostro sovrano eretico! È un'opera meritoria agliocchi di Dio!»

«Quel denaro vi comprerà anche il perdono per quel che avete fatto aSimon e a Gabriel?»

Mi puntò contro la torcia. «Whelplay aveva intuito ciò che avevo fatto alla ragazza, e ve lo avrebbe spifferato. Doveva morire, dovevo completare la mia opera! E voi sareste dovuto morire al posto di Gabriel, uccello del malaugurio, il Signore ne terrà conto!»

«Siete pazzo!» gridai. «Vi farò rinchiudere in manicomio, come monito diquel che la religione perversa può fare agli uomini!»

Improvvisamente il monaco afferrò la torcia con entrambe le mani e mi siavventò contro. I pesanti panieri rallentarono la sua corsa, altrimentim'avrebbe di certo raggiunto prima che io mi scostassi di lato. Poi si voltò eattaccò ancora. Io mi difesi alzando il bastone, ma lui riuscì a farlo volar viacon la torcia. Ora Edwig era fra me e la porta. Avanzò lentamente, agitandola clava, e io arretrai contro la bassa ringhiera che mi separava dallecampane e dal salto nel vuoto. Il monaco aveva ripreso il controllo di sé;vidi quei malvagi occhi neri calcolare la distanza fra noi e la balaustra.

«Dov'è il vostro ragazzo?» mi domandò con un ghigno malefico. «Non ècon voi a proteggervi, oggi?» Poi mi si scagliò contro e mi sferrò un colposul braccio che avevo alzato per difendermi. La spinta mi scaraventòall'indietro, sulla bassa ringhiera.

Rivivo ancora quella caduta nei miei sogni, la sensazione di contorcerminel vuoto cercando appigli inesistenti. Ho ancora nelle orecchie il grido

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trionfante di fratello Edwig. Ma alla fine colpii con le braccia una dellecampane e istintivamente mi ci aggrappai, reggendomi con la forza delladisperazione ai suoi decori metallici. Avevo temporaneamente interrotto lacaduta, ma avevo le mani sudate, e presto mi sentii scivolare.

Poi trovai un appiglio con il piede. Mi appiattii contro la campana,abbracciandone la sommità. Mi ci attaccai con tutte le forze, ma i mieimovimenti la fecero oscillare. Colpì la compagna e un frastuono assordanteriecheggiò per il campanile, mentre l'impatto metallico minacciava di farmiperdere la presa. Mentre la campana oscillava all'indietro, io riuscii amantenermi attaccato come un'ostrica. Scorsi allora fratello Edwig posare ipanieri al suolo per raccogliere le monete che aveva perso, il malevolosguardo sempre su di me. Sapeva che la mia resistenza era agli sgoccioli.

A quel punto dalla chiesa si levò un flebile vociare: i monaci dovevanoessere accorsi, sentendo l'inatteso scampanio. Non osai abbassare losguardo. La campana oscillò ancora, provocando un rintocco completo chequasi mi assordò. La vibrazione dell'impatto rischiò di farmi scivolare.

Poi compii un gesto disperato, sapendo che l'alternativa era una mortecerta. Con un solo movimento lasciai la presa, mi voltai nell'aria e puntai ilpiede sulla campana per proiettarmi verso la ringhiera, raccomandandol'anima a Dio in quel che pensavo sarebbe stato il mio ultimo pensiero sullaterra.

Colpii il parapetto con il diaframma, e mi sentii mancare il respiro.L'impatto mi scosse nel profondo, ma riuscii lo stesso ad afferrare labalaustra per issarmi poi sul pianerottolo. In che modo, non lo sapreispiegare.

Fatto sta che mi ritrovai steso a terra, la schiena e le braccia doloranti,mentre dall'altra parte della stanza Edwig raccoglieva inginocchiato unamanciata di monete, fissandomi con furiosa perplessità. Il fragore dellecampane che ci risuonava nelle orecchie faceva vibrare le tavole delpavimento.

Infilate le monete in uno dei panieri, il monaco si alzò con un balzo,precipitandosi verso la porta. Mi scagliai su di lui, puntando dritto agliocchi. Il religioso si liberò dalla mia presa, ma il peso dell'oro lo sbilanciò.Barcollò verso la ringhiera, come avevo fatto io poco prima. Colpendo laringhiera si chinò e i panieri scivolarono via nel vuoto. Con un grido, Edwig

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si protese e afferrò la corda che li legava assieme. Riuscì ad arrestare lacaduta, ma al prezzo del proprio equilibrio. Per un istante rimase contro laringhiera, le braccia spalancate, e se avesse lasciato le borse avrebbe potutosalvarsi, ma non lo fece. Poi il peso dei panieri lo trascinò giù e lui cadde,sbattendo contro la campana e scomparendo nel vuoto con un grido difurioso terrore, come se nell'ultimo istante di vita si fosse reso conto che sisarebbe presentato al Creatore senza il suo prezioso dono. Mi precipitaiverso il parapetto e lo vidi volare, la veste fluttuante in una pioggia dimonete luccicanti. La folla sottostante si allontanò impaurita, e fratelloEdwig colpì il suolo in un'esplosione di sangue e oro.

Mi sporsi oltre la ringhiera, ansante e sudato, per osservare la gente chelenta circondava il corpo. Alcuni guardavano i poveri resti dell'economo,altri levavano lo sguardo a dove mi trovavo io. Con mio sommo disgusto,vidi anche monaci e servitori mettersi carponi per afferrare con aviditàquante più monete possibile.

Epilogo

Febbraio 1538, tre mesi dopo

Entrando nella corte del monastero, vidi le grandi campane che erano statesganciate dal campanile e ora giacevano in attesa d'essere fuse. Erano apezzi, enormi schegge di metallo decorato accatastate le une sulle altre.

Gli anelli che le reggevano dovevano essere stati segati, e le campanelasciate cadere sul pavimento della chiesa. Dovevano aver provocato unfrastuono inimmaginabile.

Poco distante, accanto a un grosso mucchio di carbone, era stata costruitauna fornace di mattoni; una squadra di uomini sul tetto della chiesa gettavaal suolo grossi pezzi di piombo che altri raccoglievano e gettavano fra lefiamme.

Cromwell non s'era sbagliato; il pugno di rese ottenute all'inizio di

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quell'inverno aveva persuaso le altre case monastiche dell'inutilità dellaresistenza, e ora non passava giorno senza che un monastero venissedissolto. Presto non ne sarebbero più rimasti. In tutta l'Inghilterra gli abatiottenevano laute pensioni, mentre i confratelli incassavano laici sussidi dipovertà o si ritiravano vivendo delle proprie misere prebende.

La confusione era totale. Alla locanda di Scarnsea avevo saputo chequando i monaci avevano lasciato il monastero, tre mesi prima, un gruppettodi quelli troppo vecchi o malati per spostarsi si era stabilito lì, rifiutandosid'andarsene una volta rimasti senza denaro. Il conestabile e i suoi uominierano stati costretti a buttarli in mezzo alla strada. Fra loro c'erano il giovanemonaco obeso con la gamba ulcerata e il povero, stupido Septimus.

Quando re Enrico VIII fu messo a conoscenza di quant'era accaduto a SanDonato, ordinò che il monastero fosse raso al suolo. Portinari, l'ingegnereitaliano di Cromwell, stava terminando proprio in quei giorni la demolizionedella prioria di Lewes, dopodiché si sarebbe occupato di Scarnsea. M'eragiunta voce che fosse assai capace. A Lewes era riuscito a erodere lefondamenta in modo da far crollare l'intera struttura della chiesa in un solcolpo, svanita in un'enorme nube di polvere. A Scarnsea si diceva fosse statauna vista magnifica e spaventosa al tempo stesso, e tutti aspettavano conansia che lo spettacolo fosse ripetuto.

Era stato un inverno duro, e intanto i funzionari delle Aumentazioniavevano preceduto la squadra di demolizione per prelevare tutti gli oggetti divalore, compresi il piombo nei tetti e il bronzo delle campane. Fu proprio unuomo delle Aumentazioni che mi fermò al cancello e controllò il miomandato. Bugge e gli altri servitori erano già stati cacciati da tempo.

Mi ero stupito nel ricevere da Cromwell il mandato di sovrintendere ilavori a Scarnsea. Ci eravamo sentiti poco dalla mia breve visita di rapportoa Westminster il passato dicembre. Mi aveva detto che il sovrano si eramolto adirato quando aveva saputo che i crimini e gli omicidi commessi inuna casa religiosa gli erano stati taciuti per settimane, e che l'assistente delnuovo commissario era fuggito con un'assassina. Forse il sovrano avevafatto la ramanzina al suo primo ministro, come avevo saputo essere suaconsuetudine; sta di fatto che Cromwell m'aveva trattato con fare brusco,congedandomi senza neppure un ringraziamento. Evidentemente, avevoperso il suo favore.

Sebbene mantenessi il titolo formale di commissario, non c'era più

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bisogno di me alle Aumentazioni, e io mi domandai se Cromwell non avessepensato di farmi tornare sulla scena di quegli orribili crimini comepunizione. Non me ne sarei affatto stupito.

Il giudice Copynger, ora amministratore regio delle terre sottratte almonastero, se ne stava poco distante, in compagnia di uno degli uomini,intento a consultare dei progetti. Mi avvicinai a lui, oltrepassando un paio difunzionari che ammucchiavano in cortile pile di libri presi dalla biblioteca,pronti ad accendere un rogo.

Copynger mi strinse calorosamente la mano. «Commissario, come state?Il tempo è migliorato dall'ultima volta che siete stato qui.»

«Lo vedo, lo vedo. La primavera è alle porte, sebbene dal mare spiriancora un vento decisamente freddo. Come vi trovate nella dimoradell'abate?»

«Proprio a meraviglia. L'abate Fabian l'ha mantenuta in ottimo stato.Quando avremo abbattuto il monastero, godrò di una magnifica vista sulCanale.» Indicò il cimitero religioso, dove degli uomini erano impegnati aestirpare le lapidi. «Vedete, laggiù farò costruire un recinto per i mieicavalli; ho comperato le stalle dei monaci a un buon prezzo.»

«Spero non stiate usando per quel lavoro gli uomini delle Aumentazioni,Sir Gilbert», dissi con un sorriso. Il titolo gli era stato conferito a Natale,Copynger era stato sfiorato sulla spalla dalla spada del sovrano in persona;Cromwell aveva bisogno di uomini leali nelle contee, ora più che mai.

«No, no, quelli sono i miei uomini, pagati dal sottoscritto.» Mi lanciòun'occhiata altezzosa. «Mi è spiaciuto che non abbiate accettato di esseremio ospite durante il vostro soggiorno.»

«Questo luogo è troppo pieno di spiacevoli ricordi per me. Mi trovo meglio in città, spero comprenderete.»

«Ma certo, signore, comprendo.» Annuì con condiscendenza. «Ma piùtardi voglio sperare che cenerete in mia compagnia. Vorrei mostrarvi iprogetti del mio architetto. Una volta che gli edifici principali saranno statidemoliti, trasformeremo alcuni dei fabbricati annessi in ovili. Sarà un bellospettacolo, eh? Ormai mancano solo pochi giorni.»

«Lo sarà certamente. Se volete scusarmi.» M'inchinai e lo lasciai,

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avvolgendomi nel mantello per ripararmi dal vento.

Entrai negli edifici claustrali. All'interno, il portico del chiostro era sporcoe fangoso, a causa del passaggio di tutti quegli operai. Il supervisore delleAumentazioni si era stabilito nel refettorio, dove degli uomini portavano allasua attenzione un fiume di stoviglie e statue dorate, preziosi crocifissi earazzi, piviali e albe, persino la biancheria e le coperte da letto dei monaci -tutto quello che poteva essere venduto all'asta che si sarebbe tenuta di lì adue giorni.

Mastro William Glench sedeva in un refettorio spogliato del propriomobilio ma zeppo di casse e bauli, un fuoco crepitante alle spalle, intento adiscutere ogni entrata nel suo enorme registro con un notaio. Era un uomoalto e magro, occhialuto e pignolo; durante l'inverno le Aumentazioniavevano assunto un esercito di funzionari simili a lui. Mi presentai e Glenchsi alzò per fare un inchino, dopo aver preso attenta nota sul suo grossoregistro.

«Sembrate aver organizzato ogni cosa alla perfezione», dissi.

L'uomo annuì vigorosamente. «Ogni cosa, signore, fino al pentolame dellecucine.» I suoi modi mi fecero per un istante pensare a Edwig; soffocai unbrivido.

«Vedo che vi state preparando a bruciare i libri. È davvero necessario?

Non potrebbero esservene di valore?»

Il funzionario scosse il capo con fermezza. «No, signore. Tutti i libridevono essere distrutti, sono strumenti del culto papale. Non ce n'è unoscritto nell'onesta lingua inglese.»

Mi voltai e aprii un baule a caso. Conteneva arredi sacri. Presi un caliced'oro preziosamente intarsiato. Era uno di quelli che Edwig aveva gettato nelvivaio assieme al corpo di Orphan, per far credere alla fuga d'una ladra.

Lo guardai con attenzione.

«Quelli non saranno venduti», disse Glench. «Tutto l'oro e l'argento saràportato alla Torre per essere fuso. Sir Gilbert ha cercato di acquistarnequalche pezzo. Sostiene che siano finemente decorati, il che può ancheessere vero, ma restano pur sempre ninnoli delle cerimonie papiste. E lui

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dovrebbe ben saperlo.»

«Già», dissi. «Dovrebbe.» Riposi il calice nel baule.

Due uomini entrarono con una grossa cesta di vimini e il notaio prese avuotarla degli abiti che conteneva. «Questi dovranno essere puliti», disseirritato. «Frutteranno di più.»

Percepii l'impazienza di Glench di tornare al lavoro. «Vi lascio alle vostreincombenze, ora. Assicuratevi di non dimenticare nulla», aggiunsi, godendoper un istante dell'espressione oltraggiata del suo volto.

Attraversai il chiostro fino alla chiesa, tenendo sott'occhio gli uomini che lavoravano sul tetto; la corte era già punteggiata di tegole cadute. All'internodella chiesa, la luce filtrava ancora dalle preziose finestre di vetro colorato, creando il solito caleidoscopio di caldi colori sul pavimento della navata. Male mura e le cappelle laterali erano ormai spoglie. Il rumore dei martelli e delle voci degli operai riecheggiava dal tetto. All'inizio della navata il pavimento era ridotto a un cumulo di piastrelle in frantumi. Era il punto in cui fratello Edwig era precipitato e dov'erano poi state fatte cadere le campane sganciate dal tetto. Alzai lo sguardo all'immenso spazio vuoto nel campanile, e ricordai.

Recandomi oltre il jubé, scoprii che i leggii, e persino il grosso organo,erano stati rimossi. Scossi il capo e feci per andarmene, quando scorsi unafigura incappucciata che stava di spalle accanto agli stalli del coro. Per unattimo fui percorso dallo spaventoso brivido della superstizione, eimmaginai Gabriel ritornato per piangere sulle macerie del suo operato. Poila figura si voltò e io dovetti soffocare un grido, perché, da principio, nonriuscii a scorgerne il viso sotto il cappuccio. Solo dopo distinsi le macilentefattezze brune di fratello Guy. Lui si alzò e fece un inchino.

«Fratello infermiere», dissi. «Per un attimo vi ho creduto un fantasma.» L'uomo sorrise mesto. «In un certo senso lo sono.»

Mi avvicinai e mi sedetti, facendogli cenno di raggiungermi.

«Sono lieto di vedervi», mi disse. «Volevo ringraziarvi per la pensioneche ho ricevuto, mastro Shardlake. Immagino siate stato voi a provvedereche mi fosse concessa una rendita più cospicua.»

«Siete stato nominato abate quando l'abate Fabian è stato dichiarato

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incapace di svolgere le proprie mansioni. È la pensione che vi spetta, anchese siete rimasto in carica solo per poche settimane.»

«Il priore Mortimus non ha molto apprezzato la scelta dei miei confratelli.È tornato all'insegnamento, sapete? A Devon.»

«Che Dio abbia misericordia dei suoi studenti.»

«Mi sono chiesto se fosse giusto accettare una somma così elevata,quando i miei confratelli devono vivere con cinque sterline l'anno. Ma seavessi rifiutato, loro non ne avrebbero tratto comunque alcun vantaggio. E ilcolore della mia pelle non mi renderà la vita facile, d'ora innanzi. Penso dimantenere il nome monastico di Guy di Malton piuttosto che tornare alcognome secolare di Elakbar. Credete mi sarà concesso, anche se non potròpiù essere chiamato 'fratello'?»

«Ma certo.»

«Toglietevi quell'espressione imbarazzata dal viso, amico mio… perchévoi siete mio amico, vero?»

«Sì, senza dubbio. Credetemi, essere stato mandato di nuovo qui non èpiacevole per me. Non desidero più essere commissario.» Rabbrividii. «Fafreddo.»

Guy annuì. «Già. Sono rimasto qui troppo a lungo. Ho pensato ai monaciche si sono seduti in questi stalli ogni giorno per quattrocento anni, cantandoe pregando. I venali, gli indolenti, i devoti, coloro che incarnavano tuttequeste caratteristiche. Ma…» indicò il tetto dal quale scendeva un granfrastuono «…è difficile concentrarsi.»

Mentre guardavamo in alto, udimmo una portentosa martellata, seguita dauna pioggia di polvere. Dei pezzetti d'intonaco caddero infrangendosi alsuolo, e d'improvviso il sole filtrò da un foro, uno strale di luce che inondò ilpavimento. «Abbiamo fatto, ragazzi», riecheggiò una voce dall'alto. «Attentilaggiù!»

Guy emise uno strano suono, una sorta di lamentoso sospiro. Gliappoggiai una mano sul braccio. «Dovremmo andare. Potrebbe esserepericoloso.»

Uscimmo in cortile, il suo viso era desolato, ma composto. Copynger gli

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rivolse un freddo cenno del capo, e ci dirigemmo verso la dimora dell'abate.

«Quando i monaci se ne sono andati alla fine di novembre, Sir Gilbert miha domandato di rimanere con lui», mi spiegò Guy. «Aveva ricevutoincarico di sorvegliare il monastero fino all'arrivo di Portinari, e ha chiesto ilmio aiuto. Il vivaio ittico è traboccato in gennaio, sapete? L'ho aiutato adrenarlo.»

«Dev'essere stata dura rimanere qui da solo.»

«Non eccessivamente, almeno fino all'arrivo degli uomini delleAumentazioni, questa settimana. Nel corso dell'inverno m'è quasi parso chela casa attendesse semplicemente il ritorno dei suoi monaci.» Guy sobbalzò,un grosso pezzo di piombo era stato lasciato cadere alle nostre spalle.

«Speravate in una sospensione del procedimento?»

Si strinse nelle spalle. «La speranza è sempre l'ultima a morire. E poi, nonavevo altro posto dove andare. Ho atteso tutto l'inverno di sapere se misarebbe stata concessa l'autorizzazione di partire per la Francia.»

«Potrei esservi sicuramente d'aiuto in questo senso, se ci sono dei ritardi.»

L'uomo scosse il capo. «No. L'ho saputo la settimana scorsa. Il permessomi è stato negato. Corre voce di una nuova alleanza fra francesi e spagnoli adanno dell'Inghilterra. Farò bene a vedere se potrò scambiare l'abito con unfarsetto e un paio di calzebrache. Mi sembrerà strano dopo tutti questi anni.E dovrò farmi crescere i capelli!» Abbassò la testa per passarsi una manosulla bruna chierica. Notai che i capelli attorno alla tonsura si eranospruzzati di bianco.

«Che cosa farete?»

«Intendo partire fra qualche giorno. Non potrei sopportare di assistere allademolizione degli edifici. L'intera città si riunirà qui per l'evento; lo stannotrasformando in una sorta di fiera. Quanto debbono averci odiato.» Sospirò.«Potrei andare a Londra, dove i volti esotici non sono poi tanto rari.»

«Potreste forse diventare medico? Dopotutto vi siete laureato a Lovanio.»

«Ma credete che il Collegio dei Medici mi accetterebbe? O la Gilda degliSpeziali, forse? Un ex monaco con la pelle color del fango?» Alzò un

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sopracciglio e sorrise tristemente.

«Uno dei miei clienti è medico. Potrei esporgli la vostra situazione.»

Il religioso esitò, poi sorrise. «Vi ringrazio. Ve ne sarei davvero grato.»

«E potrei aiutarvi a trovare una sistemazione. Vi darò il mio indirizzo,prima che partiate. Verrete, ho la vostra parola?»

«Non sarà rischioso per voi compromettervi con uno come me?»

«Non ho più intenzione di lavorare per Cromwell. Mi dedicheròesclusivamente all'attività privata. Vivrò una vita serena, e forse avrò piùtempo per i miei dipinti.»

«Fate attenzione, Matthew.» Guy si guardò alle spalle. «Non sono nemmenosicuro che sia saggio per voi farvi vedere da Sir Gilbert in mia compagnia.»

«Che vada al diavolo! Ho acquisito sufficiente esperienza per sapere chenon sto infrangendo alcuna legge. E nonostante non sia più il riformatore diun tempo, non sono neppure diventato papista.»

«Ma questo non basta a garantire sicurezza, oggigiorno.»

«Forse no. Ma rischio per rischio, tanto vale non essere sicuri a casapropria, badando ai propri affari.»

Raggiungemmo la dimora dell'abate, ora di Copynger. Un giardiniere sistava prendendo amorevole cura del roseto, cospargendo letame di cavallo.

«Copynger ha preso in locazione molte terre?» domandai.

«Oh, sì, e a prezzi veramente bassi.»

«È stato fortunato.»

«E voi non avete ricevuto alcuna ricompensa?»

«No. Ho consegnato a Cromwell il suo assassino, l'oro rubato e la resa diquesto monastero; ma non abbastanza in fretta.» M'interruppi, ricordando imorti che avevo sulla coscienza. «Non abbastanza in fretta.»

«Avete fatto tutto quello che era in vostro potere.»

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«Forse. Sapete, penso spesso che avrei potuto scoprire prima la veranatura di Edwig se non lo avessi disprezzato tanto, cercando di essere neisuoi confronti doppiamente obiettivo. Persino ora trovo difficilecomprendere come un uomo tanto preciso e ordinato in superficie, potessecelare un animo così turbato. Mi chiedo se non usasse quell'ordine,quell'ossessione per le cifre e il denaro come mezzo per reprimere i propriistinti. Mi chiedo se avesse paura dei suoi incubi sanguinari.»

«Prego Iddio perché sia stato così.»

«Ma alla fine l'ossessione per i numeri non ha fatto che alimentare la suafollia.» Sospirai. «Svelare verità tanto contorte non è mai semplice.»

«Ci vogliono pazienza, coraggio e impegno. Se la verità è ciò che sidesidera trovare.»

«Sapete già della morte di Jerome?»

«No. Non ho più avuto sue notizie da quando è stato portato via lo scorsonovembre.»

«Cromwell lo ha fatto rinchiudere nella prigione di Newgate, dove i suoiconfratelli sono stati lasciati morire di fame. È spirato poco dopo.»

«Che la sua anima tormentata possa riposare in pace.» Fratello Guys'interruppe, guardandomi esitante. «Sapete che cosa ne è stato della manodel buon ladrone? È stata portata via assieme a Jerome.»

«No. Suppongo che abbiano preso le pietre preziose e fuso la teca. Contutta probabilità la mano sarà stata bruciata, ormai.»

«Era davvero la mano del ladrone, sapete? Ci sono prove concrete che losostengono.»

«Credete ancora che potesse compiere miracoli?»

L'uomo non rispose e camminammo in silenzio per qualche istante, fin nelcimitero religioso, dove una squadra d'operai stava rimuovendo le pesantilastre tombali. Vidi che nel cimitero secolare le cripte di famiglia erano giàstate ridotte a cumuli di macerie.

«Ditemi», chiesi dopo un po'. «Che cosa ne è stato dell'abate Fabian? So

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che non gli è stata concessa la pensione, perché non ha accettato di firmarela resa.»

Guy scosse il capo, tristemente. «È andato a vivere con la sorella, che fa la sarta in provincia. Le sue condizioni non sono migliorate. Talvolta sostiene ancora di doversi preparare per le battute di caccia o andare in visita ai suoi amministratori, e la donna deve impedirgli di montare sul loro vecchio ronzino, e girare per il paese con i poveri stracci che gli sono rimasti.»

«Più si sale, più la caduta è rovinosa», commentai.

Compresi che inconsciamente mi ero diretto verso il frutteto, le muraposteriori del monastero che si snodavano dinanzi a noi. Mi fermai,sentendomi contorcere lo stomaco.

«Desiderate tornare?» chiese Guy con delicatezza.

«No. Proseguiamo.»

Giungemmo al cancello che dava sulla palude. Avevo con me un mazzo dichiavi, e lo usai per aprirlo. Lo attraversammo e rimanemmo a guardare ilbrullo paesaggio. La piena di novembre si era già asciugata da tempo, e lapalude si estendeva davanti ai nostri occhi scura e silenziosa, mentre igiunchi si muovevano alla leggera brezza, riflettendo la propria immaginenegli specchi d'acqua stagnante. Il fiume era in piena; degli uccelli marinivolteggiavano nel cielo, le piume arruffate dal vento che spirava dal mare.

Parlai piano. «Li rivedo nei miei sogni, Mark e Alice. Li vedo lottare tra iflutti, li vedo annegare gridando aiuto. Talvolta mi sveglio urlando.» Lavoce mi si ruppe. «In modi differenti, li ho amati entrambi.»

Fratello Guy mi guardò a lungo, poi tirò fuori qualcosa dalla tasca. Miporse uno stropicciato foglio ripiegato.

«Ho pensato a lungo se mostrarvelo o no. Forse vi avrebbe fatto soffriremeno non sapere.»

«Che cos'è?»

«L'ho trovato sulla scrivania del dispensario un mese fa, di ritorno dallemie mansioni quotidiane. Penso che un contrabbandiere abbia pagato unodegli uomini di Copynger perché me lo facesse recapitare. È da parte di

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Alice, ma lo ha scritto lui.»

Aprii la lettera e lessi quelle righe scritte nella nitida calligrafiatondeggiante di Mark Poer:

Fratello Guy,

Ho domandato a Mark di scrivere questa per me, poiché lui è più abile inquesto genere di cose. Ve l'ho fatta recapitare tramite un abitante delvillaggio che talvolta viene in Francia. È meglio che voi non sappiate di chisi tratta.

Vi prego di perdonarmi per avervi scritto. Mark e io siamo sani e salvi inFrancia, non vi dirò dove. Non so come riuscimmo ad attraversare lapalude quella notte. Mark cadde e io dovetti strapparlo alle sabbie mobili.Ma raggiungemmo la barca.

Ci siamo sposati il mese scorso. Mark parla un po' di francese e faprogressi tanto rapidi che speriamo riuscirà a ottenere un posto d'impiegatonella cittadina dove viviamo.

Siamo felici, e io ho cominciato a ritrovare una pace che avevo persodalla morte di mio cugino, sebbene non sia certa che il mondo in cuiviviamo oggigiorno ci permetterà mai di vivere in pace.

Forse non ve ne importa nulla, ma volevo farvi sapere che è stato moltodifficile per me dovervi mentire, voi che mi avete protetta e mi aveteinsegnato tanto. Lo rimpiango, sebbene non rimpianga d'aver uccisoquell'uomo; meritava di morire. Non so che cosa sarà di voi, ma ovunquedeciderete d'andare, prego il Signore Iddio perché vi protegga sempre.

Alice Poer 25 gennaio 1538

Ripiegai la lettera e rimasi con lo sguardo fisso sull'estuario del fiume.

«Non mi hanno neppure nominato.»

«La lettera era di Alice. Non potevano sapere che vi avrei rivisto.»

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«Dunque sono sani e salvi, che Dio li maledica. Ora, forse, i miei incubifiniranno. Posso comunicarlo al padre di Mark? La notizia della sua morte loha distrutto. Gli dirò soltanto che è vivo e sta bene.»

«Ma certo.»

«Alice ha ragione, oggigiorno non c'è luogo al mondo che sia sicuro, nonc'è più alcuna certezza. Talvolta mi capita di pensare a fratello Edwig e allasua follia, a come credeva di potersi guadagnare il perdono di Dio per avercommesso quegli omicidi, offrendogli due panieri colmi di denaro rubato.Forse siamo tutti un po' folli. La Bibbia dice che Dio fece l'uomo a suaimmagine e somiglianza, ma io credo che noi lo abbiamo trasformato, divolta in volta, in qualunque immagine si adattasse ai nostri volubili bisogni.Mi domando se Lui sappia e se se ne curi. Tutto si dissolve, fratello Guy,tutto è dissoluzione.»

Rimanemmo in silenzio a guardare gli uccelli volteggiare sul fiume,mentre alle nostre spalle riecheggiavano i suoni lontani della distruzione.

Nota storica

La dissoluzione dei monasteri inglesi perpetrata dal 1536 al 1540 è stataguidata da Thomas Cromwell, nelle vesti di vicereggente e vicario generale.Dopo aver condotto un'ispezione dei monasteri, durante la quale fu raccoltauna notevole quantità di materiale compromettente, nel 1536 Cromwellpresentò una legge che prevedeva la dissoluzione delle case minori. Iltentativo di applicazione della suddetta legge da parte dei suoi emissarisfociò nel «Pellegrinaggio di grazia», una massiccia ribellione armatascoppiata nel Nord dell'Inghilterra. Enrico VIII e Cromwell riuscirono asoffocarla ingannando i rivoltosi con falsi negoziati, mirati alla costituzionedi un esercito in grado di sconfiggerli.

L'assalto ai monasteri maggiori avvenne l'anno successivo facendopressione, come descritto nel romanzo, sulle case più vaste e vulnerabiliaffinché si decidessero alla resa volontaria.

L'intimidazione alla resa della prioria di Lewes nel novembre del 1537 fu

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di cruciale importanza e, nel corso dei tre anni seguenti, uno dopo l'altro tuttii monasteri maggiori si arresero al sovrano. Il 1540 segnò la dissoluzionedefinitiva delle case religiose; gli edifici furono lasciati cadere in rovina,dopo che gli uomini delle Aumentazioni ebbero spogliato i tetti del piombo.Ai monaci furono concesse delle pensioni. Per chi rifiutava di prestareobbedienza, come alcuni fecero, erano previste disumane torture. La paurache gli abati e gli officiali dei monasteri nutrivano nei confronti deicommissari, uomini di grande crudeltà, era certo più grande di quella che imonaci di Scarnsea nutrono nei confronti di mastro Shardlake. Del resto,Scarnsea non è un monastero comune, come non comune è il commissarioche si occuperà delle indagini.

È opinione comune che le accuse d'adulterio nei confronti della reginaAnna Bolena siano state montate da Cromwell stesso per favorire EnricoVIII, che si era stancato di lei. Mark Smeaton è stato l'unico dei presuntiamanti della sovrana ad aver reso piena confessione, con tutta probabilitàsotto tortura. Suo padre era falegname; la precedente occupazione di fabbroferraio è frutto della mia immaginazione.

La Riforma inglese rimane a tutt'oggi una questione controversa. La teoriaclassica, secondo la quale la Chiesa cattolica aveva raggiunto un grado dicorruzione tale da rendere necessaria, se non inevitabile, una qualche sortadi radicale riforma, è stata di recente attaccata da numerosi autori, quali C.Haigh, English Reformations (Oxford University Press, 1993) ed E. Duffy,The Strippitig of the Altars (Yale University Press, 1992), affresco di unaflorida Chiesa popolare. Penso che la visione della vita ecclesiasticamedievale dipinta in queste opere - in quella di Duffy in modo particolare -pecchi di romanticismo. È interessante notare come tutti questi studiosidedichino alla dissoluzione solo rapidi accenni. L'ultimo approfondito studiofatto su questo argomento risale alla fine degli anni Cinquanta, a opera diDavid Knowles in The Religious Orders in England: The Tudor Age(Cambridge University Press, 1959). In quest'opera straordinaria il professorKnowles, lui stesso monaco cattolico, riconosce che lo stile di vita agiata checaratterizzava gran parte dei monasteri maggiori fosse un vero scandalo. Purdeplorandone la fine coercitiva, il professor Knowles ammette chel'immensa lontananza che separava le case religiose dell'epoca da quelli chene erano stati i princìpi fondatori le aveva rese immeritevoli disopravvivenza in quella forma.

Nessuno sa realmente quale opinione avesse della Riforma la popolazione

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inglese. A Londra e in alcune zone sud-orientali del paese si costituironoradicati movimenti protestanti; mentre a nord-ovest la popolazione rimasesaldamente legata alla tradizione cattolica. Ma le terre di mezzo, cheraccoglievano gran parte della popolazione, restano a tutt'oggi terraincognita. È mia personale opinione che la gente comune vivesse isuccessivi mutamenti imposti dalle autorità proprio come Mark e Alice: agliordini delle classi dirigenti, che imponevano loro pensieri e comportamenti,com'era sempre stato.

I cambiamenti che si susseguirono furono così numerosi - da principioverso un protestantesimo radicale, seguito da un ritorno al cattolicesimo,sotto Maria Tudor, per sfociare ancora nel protestantesimo con Elisabetta Ida sviluppare nel popolo un comprensibile cinismo. Cinismo, però, che nonemerse mai poiché, ovviamente, nessuno era interessato alle opinionipopolari.

Chi trasse i maggiori vantaggi dalla Riforma furono «gli uomini nuovi», icapitalisti emergenti e le classi di burocrati, uomini di grandi mezzi ma dipoveri natali. Penso che nell'Inghilterra dei Tudor siano stati molti iCopynger; la Riforma mirava soprattutto a un cambiamento della strutturaclassista. Oggi questa teoria è desueta e non va più di moda parlare di classisociali discutendo di storia. Ma le mode cambiano, e cambieranno ancora.

FINE