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PROGETTO ENERGIA Dispense Biennio a.s. 2012-2013 ITIS G. MARCONI 1 ISTITUTO TECNICO INDUSTRIALE STATALE Guglielmo Marconi – Forlì Viale Della Libertà, 14 -Tel. 0543 28620, Fax 0543 26363 Email: [email protected] Sito: www.itisforli.it ENERGIA E AMBIENTE PROGETTO ENERGIA Dispense per il biennio, a.s. 2012-2013 A cura di: Marco Paci, Roberto Versari, Andrea Fabbri

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ITIS G. MARCONI 1

ISTITUTO TECNICO INDUSTRIALE STATALE

Guglielmo Marconi – Forlì Viale Della Libertà, 14 -Tel. 0543 28620, Fax 0543 26363

Email: [email protected] Sito: www.itisforli.it

ENERGIA E

AMBIENTE

PROGETTO ENERGIA Dispense per il biennio, a.s. 2012-2013 A cura di: Marco Paci, Roberto Versari, Andrea Fabbri

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INTRODUZIONE Lo scopo di questo documento è spiegare i vari modi con cui è possibile produrre e utilizzare l’energia, con particolare riferimento all’energia elettrica. L’obiettivo è di dare un’idea di quanta energia consumiamo e degli effetti che tale consumo provoca sull’ambiente e sul clima della Terra, facendo anche un confronto con le condizioni climatiche preindustriali, per renderci effettivamente conto di che cosa stia dietro al semplice gesto di premere l’interruttore della luce. In particolare sarà analizzato l’impatto principale che la produzione di energia da combustibili fossili ha sull’ambiente: l’aumento della concentrazione di anidride carbonica nell’atmosfera e il conseguente aumento dell’effetto serra (il cosiddetto fenomeno del Riscaldamento Globale). Saranno considerate anche altre fonti di energia, e per ognuna di esse mostreremo i vantaggi e gli svantaggi rispetto a quelle convenzionali (da combustibili fossili): contrariamente a quanto si crede, infatti, anche i metodi per intercettare le forme di energia alternative e/o rinnovabili hanno un impatto ambientale che richiede di essere valutato con attenzione. A questo proposito mostreremo come l’unica “fonte” energetica a zero impatto ambientale sia il risparmio e l’efficienza energetica e come ciascuno di noi possa attingere a tale fonte. Infine, concluderemo proponendo soluzioni per minimizzare l’impatto ambientale della produzione e consumo di energia, tutte basate sulla consapevolezza di un uso più responsabile (ossia sostenibile) delle risorse, energetiche e non. Questo lavoro cerca di coniugare in una visione la più organica possibile tutti gli aspetti legati al problema energetico e ambientale, ed è basato su alcuni lavori importanti nel settore [1-3]. Non entra nello specifico delle singole tematiche, lasciando gli approfondimenti ai singoli insegnanti delle varie discipline, e non è ovviamente esaustivo. Può essere pensato come materiale di riferimento per ulteriori riflessioni e approfondimenti da compiersi nell’arco dei prossimi anni scolastici con il contributo di tutti: studenti, insegnanti e genitori. La nostra speranza è che possa aiutare a fare scelte consapevoli per un futuro sostenibile, non più delegandole ad altri. Per questo può essere scaricato gratuitamente dal sito del nostro Istituto: www.itisforli.it alla voce Progetto Energia.

DA DOVE VIENE L’ENERGIA?

Uno dei “difetti” principali dell’energia disponibile nelle nostre case è che costa poca fatica e anche poco denaro. Quindi ci siamo abituati ad usarne a piene mani ed a consumarne anche quando non ci serve (chi lascia il televisore in stand-by per la semplice pigrizia di non doversi avvicinare a spingere l’interruttore? O l’automobile accesa perché tanto stiamo fermi pochi minuti? O il caricabatterie del telefono attaccato alla presa della corrente?). Per renderci conto che questa energia, che costa poca fatica e poco denaro, in realtà corrisponde a una bella quantità di lavoro e dovrebbe essere valutata di più da ciascuno di noi, è importante fare un esempio concreto di quanta fatica dovremmo fare noi per produrne la stessa quantità che consumiamo abitualmente.

Partiamo quindi dalle centrali elettriche, dove questa energia viene prodotta. Il principio base per la produzione di energia elettrica è la legge di Faraday-Neumann-Lenz [4], in base alla quale una spira in movimento all’interno di un campo magnetico genera una forza elettromotrice ai suoi capi. In termini più semplici è il principio della dinamo delle biciclette: si mette in rotazione un conduttore all’interno di un campo magnetico per generare una corrente elettrica che accende la lampadina della bicicletta. Negli alternatori delle centrali elettriche è invece il campo magnetico che ruota mentre la spira resta fissa: in questo caso si produce una corrente alternata (AC), che è appunto quella che arriva nelle nostre case (vedi figura 1).

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Fig. 1: a sinistra il principio di funzionamento della dinamo, a destra quello dell’alternatore. Il principio base è sempre

quello dell’induzione elettromagnetica.

Chi è che fa girare l’alternatore in una centrale elettrica? Si utilizzano turbine di dimensioni notevoli, le quali vengono fatte ruotare tramite l’azione di diversi fluidi:

• nelle centrali termoelettriche a combustibili fossili: si utilizzano gas, petrolio e carbone per scaldare e portare ad ebollizione enormi quantità di acqua. Il vapore ad alta pressione così generato mette in moto la turbina che fa girare l’alternatore che produce energia elettrica. La figura 2 riporta una schematizzazione di tutti gli elementi essenziali che costituiscono una centrale termoelettrica;

Fig. 2: elementi essenziali che costituiscono una centrale termoelettrica.

• nelle centrali nucleari: si utilizza la fissione dell’uranio come fonte di calore per vaporizzare l’acqua e quindi muovere la turbina. Gli elementi che costituiscono la centrale sono praticamente gli stessi della centrale termoelettrica. La differenza è concentrata nella parte della caldaia dove non si bruceranno combustibili fossili ma avverrà la fissione nucleare per produrre calore;

bruciatore caldaia

vapore turbina

impianto di raffreddamento

alternatore e trasformatore

corrente alle industrie e alle nostre case

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• nelle centrali geotermiche: si utilizzano le sorgenti di gas naturali caldi provenienti dal sottosuolo per vaporizzare l’acqua e quindi muovere la turbina. Gli elementi che costituiscono la centrale sono praticamente gli stessi della centrale termoelettrica. La differenza è concentrata nella parte della caldaia dove non si bruceranno combustibili fossili ma si utilizzano i gas caldi provenienti dal sottosuolo per produrre calore;

• nelle centrali idroelettriche: il flusso dell’acqua che cade da una diga viene sfruttato per far girare la turbina e quindi l’alternatore che produce energia elettrica. Gli elementi che costituiscono la centrale sono gli stessi ad eccezione della caldaia che non è presente perché non è necessario generare vapore in quanto l’acqua ha già l’energia cinetica sufficiente per mettere in moto la turbina;

• nelle centrali eoliche: la forza del vento muove le pale eoliche, che trasmettono direttamente la rotazione al generatore (alternatore) che genera l’energia elettrica secondo la schematizzazione di figura 3.

Fig. 3: elementi essenziali che costituiscono una centrale eolica.

Nella figura 4 si mostra un esempio di turbina utilizzata nelle centrali termoelettriche, per dare un’idea delle dimensioni in gioco.

Infine, le centrali solari fotovoltaiche sono le uniche che non si basano sul sistema “turbina - alternatore”. Esse sono realizzate con pannelli di materiale semiconduttore che hanno la proprietà di assorbire direttamente l’energia luminosa incidente. In particolare, gli elettroni di valenza degli atomi del semiconduttore sono in grado di assorbire parte dell’energia solare incidente, acquistando così sufficiente energia

per rompere i loro legami e generare una corrente di tipo continuo - DC (Direct Current) [5]. Servono poi dispositivi elettronici – l’inverter – per trasformarla da corrente continua (DC) ad alternata (AC) e immetterla in rete in fase (vedi figura 5).

Le centrali elettriche a combustibili fossili sono di gran lunga quelle più diffuse per la produzione di energia elettrica (più dell’80% del totale). Poiché la combustione comporta il rilascio di anidride carbonica nell’atmosfera, la produzione di energia elettrica è una delle cause del riscaldamento globale.

Fig. 4: esempio di turbina a vapore cui è stato tolto l’involucro esterno.

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ENERGIA: QUANTO COSTA, QUANTA NE USIAMO? L’Universo in cui viviamo è formato di energia e materia. Energia e materia non si possono creare né distruggere, ma solo trasformare l’una nell’altra o cambiare forma. A tal proposito esistono varie forme di energia: termica (associata al calore), elettrica (associata alla corrente elettrica o alle pile/accumulatori), meccanica (associata al movimento dei corpi macroscopici) e, a seconda del campo di applicazione, si utilizzano varie unità di misura. La più diffusa è indicata con J (Joule), poi abbiamo le calorie (utilizzate ad esempio per misurare quanta energia possiamo ricavare dal cibo che mangiamo) e si usano anche i Mtons (energia prodotta da esplosioni nucleari). L’energia elettrica che paghiamo in bolletta è misurata in kWh, kilo Watt ora. Ogni volta che si vuole trasformare l’energia da una forma ad un’altra se ne disperde sempre un po’ nell’ambiente, in genere sotto forma di calore.

Il Watt (W) è l’unità di misura della potenza, ossia della quantità di energia consumata nell’unità di tempo. Misura la velocità alla quale consumiamo energia: infatti, 1 W = 1J/1s (corrisponde al consumo di 1J ogni secondo). 1k = 1000 e quindi 1 kW corrisponde a 1000 W. La potenza indica la velocità con cui un certo dispositivo consuma energia: ad esempio, le vecchie lampadine a incandescenza da 100 W consumavano - quando accese – 100 W, ossia 100 J ogni secondo; le moderne lampadine a basso consumo - a parità di luce emessa - consumano solo 20 J ogni secondo, ossia 20W. Utilizzando lampade a Led si potrebbe ottenere la stessa luce consumando ancora meno. Per fare un altro esempio, un forno a microonde consuma circa 1,5 kW, ossia 1500 J ogni secondo. E così via, ogni apparecchio elettrico ha un suo consumo tipico, che indica a quale velocità consuma energia, ossia la potenza che dissipa. Questo è il motivo per cui nella bolletta elettrica il consumo è espresso in kWh: supponiamo che una lampadina da 100 W rimanga accesa per un’ora. Quanta energia consumerebbe? 100 Wh, ossia 0,1 kWh. Se la lampadina rimanesse accesa per 12 ore (12h) consumerebbe 100W x 12h = 1200 Wh, ossia 1,2 kWh. Utilizzando i kWh come unità di

Fig. 5: elementi essenziali che costituiscono una centrale solare fotovoltaica.

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misura è facile associare l’energia dissipata in un certo intervallo di tempo ad ogni dispositivo di cui è nota la potenza: basta moltiplicare la sua potenza per la durata di utilizzo.

Unità Simbolo Definizione Relazione con le unità SI

Joule

(unità SI) J ≡ N·m = W·s = V·A·s

2

2

s

mkg ⋅=

Chilocaloria kcal o Cal 1000 cal = 4,1868 kJ

Kilowattora kW·h o B.O.T.U. 1 kW × 1 h = 3,6 MJ

Elettronvolt eV ≡ e × 1 V ≈ 1,602 176 × 10−19 J

Tab. 1: tabella di conversione per alcune delle più note unità di misura dell’energia [6]. SI indica le unità di misura del Sistema Internazionale.

Quanto ci costa l’energia? Supponiamo che 1 kWh costi circa 10 centesimi di euro (in Italia in realtà costa circa il doppio, in alcuni paesi un po’ meno). Questo significa che spendiamo 10c per tenere accese 10 lampadine da 100 W per un’ora (o, alternativamente, una lampadina da 100 W per 10 ore). Questo è il motivo per cui, se ci dimentichiamo la luce accesa, scrolliamo le spalle e diciamo “pazienza!”. Ma se dovessimo essere noi a generare con la nostra forza fisica questa energia di 1 kWh, ci costerebbe ancora così poco?

Un esercizio molto semplice per sentire nei nostri muscoli a quanto corrispondono 100 W è il seguente: alziamoci e abbassiamoci una volta ogni secondo facendo finta di avere una sedia sotto. Se lo si fa per circa un’ora si producono 0,1 kWh. Faticoso, vero? Questo significa che ognuno di noi, con la propria energia, può al più tenere accese 5 lampadine da 20 W (o una sola di quelle vecchie a incandescenza da 100 W).

Immaginiamo allora con la fantasia di creare una centrale elettrica in cui il movimento dell’alternatore sia generato da tante biciclette messe in moto da altrettanti ciclisti. Di quanti ciclisti avremmo bisogno per una centrale elettrica a pedali da 1 MW (1 MW = 1 Mega Watt, 1 milione di Watt)? Supponendo che ogni ciclista fornisca mediamente 100 W, avremmo bisogno di 10000 ciclisti e altrettante biciclette.

Quanto li pagheremmo i nostri ciclisti per la produzione dell’energia? Abbiamo ipotizzato che spendiamo circa 10c per 1 kWh, ed ogni ciclista ci fornisce una potenza di circa 0,1 kW. In un’ora di lavoro ogni ciclista produce pertanto 0,1kWh. Se anche tutti i soldi della bolletta fossero spesi solo per pagare i ciclisti, questi riceverebbero 1c l’ora. In pratica, dopo aver pedalato per 8 ore consecutive andrebbero a casa con 8 centesimi!

Ovviamente ci sarebbero proteste e scioperi e si dovrebbe alzare la paga dei ciclisti al minimo sindacale, diciamo 5€ l’ora. In tal caso gli effetti sulla nostra bolletta sarebbero devastanti: pagheremmo 50€ ogni kWh, centinaia di volte di più di ciò che paghiamo ora. In pratica la nostra bolletta bimestrale passerebbe da 70€ a qualcosa dell’ordine di 35000€. Quanti di noi potrebbero permettersi la luce elettrica in casa?

Estendendo questo discorso a tutte le forme di energia che utilizziamo, non solo quella elettrica (pensiamo ad esempio alla benzina o gasolio per la nostra mobilità personale o per il trasporto delle merci, al metano per il riscaldamento domestico, etc…) possiamo dire che oggi, grazie al basso costo dell’energia prodotta da combustibili fossili, ognuno di noi in Europa consuma mediamente una potenza di circa 4 kW, cioè l’equivalente prodotto da 40 ciclisti che pedalano. Ogni nordamericano addirittura consuma più di 7 kW, cioè l’equivalente di 70 ciclisti che pedalano (fonte EIA, Energy Information Administration: http://www.eia.gov). In questo conto si considera

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non solo l’energia consumata direttamente da noi per la benzina della macchina, la luce domestica, il riscaldamento/condizionamento delle case, etc… ma anche il consumo energetico delle industrie che producono i beni materiali e i servizi che noi usiamo, dei trasporti su treni o camion che portano le merci dal luogo di produzione a quello della vendita al dettaglio e di tutta la catena produttiva e dei servizi in generale (ospedali, scuole, etc…). Si somma tutto e si divide per il numero totale di abitanti, ottenendo circa 4 kW per ogni cittadino europeo. In pratica, ognuno di noi, in ogni istante del giorno e della notte, dispone di 40 “schiavetti” che pedalano per lui, e non ce ne siamo mai accorti solo perché li paghiamo 1c l’ora. Nella Figura 6 è riportata la mappa del solo consumo di energia elettrica annuo per persona.

Fig. 6: il consumo medio procapite annuo della sola energia elettrica – espresso in kWh - nei vari continenti (anno

2008). L’energia elettrica rappresenta circa il 25% del consumo totale di energia e tale frazione è in continuo aumento grazie al fatto che è la forma di energia che si può distribuire, immagazzinare e trasformare con maggior efficienza.

ENERGIA E AMBIENTE: IL RISCALDAMENTO GLOBALE Finché gli “schiavi energetici” li paghiamo solo 1c l’ora non ci poniamo molti problemi. Ma già da un po’ di tempo ci siamo accorti che oltre al centesimo l’ora c’è un costo nascosto che non abbiamo mai considerato: i nostri ciclisti così economici producono anche anidride carbonica che viene liberata nell’ambiente aumentando l’effetto serra e contribuendo al fenomeno del Riscaldamento Globale. Per la verità c’è ancora qualche controversia sul fenomeno, non si è in grado di prevedere con esattezza le sue conseguenze esatte. Certo è che ormai sono rimasti pochissimi gli scienziati che sostengono sia qualcosa di cui non preoccuparsi perché legato esclusivamente all’attività solare (e quindi non dipendente dalle azioni dell’uomo). Quasi l’intera comunità scientifica considera il Riscaldamento Globale causato dalle emissioni di anidride carbonica un fenomeno reale; i modelli non sono in grado di valutare nel dettaglio, in un sistema caotico come quello climatico, i mutamenti: si prevede che qualche zona del mondo potrà beneficiarne, ma che la maggior parte ne uscirebbe sconvolta. I più recenti modelli prevedono entro il 2100 un raddoppio della concentrazione di anidride carbonica nell’atmosfera e un conseguente innalzamento di circa 3°C della temperatura media del pianeta, con effetti difficilmente prevedibili. Per evitare questi drammatici cambiamenti, di cui parleremo più in dettaglio nel seguito, sono necessarie due azioni:

1. ridurre l’emissione di anidride carbonica e di gas serra in generale;

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2. fermare le deforestazioni (le foreste sono in grado di convertire l’anidride carbonica in ossigeno durante il processo della fotosintesi).

Per ridurre l’emissione in atmosfera di gas serra due tipi di azioni sono importanti:

� spostare la produzione di energia elettrica da fonti fossili a fonti rinnovabili o alternative che non emettano CO2

� ridurre il consumo di energia, agendo sia sulle abitudini delle persone (sulla loro consapevolezza del problema), sia sull’efficienza energetica.

In particolare, quest’ultimo punto è importante, perché si è soliti dire: “Ma io nel mio piccolo non

posso fare niente”. Se ognuno “nel suo piccolo” cominciasse a risparmiare 1 kWh ogni mese, a fine anno avrebbe risparmiato 12 kWh (1,2 € di risparmio ogni anno, corrispondenti a circa 10 kg di CO2 in meno emesse nell’atmosfera – assumendo che mediamente nelle centrali elettriche l’emissione di CO2 sia pari circa a 0,8 Kg per ogni kWh generato) [7]. Se tutti i 60 milioni di abitanti dell’Italia lo facessero, il risparmio sarebbe pari a 12 kWh x 60 x 106 ab = 720 TWh, corrispondenti a 600 milioni di kg di CO2 in meno ogni anno. Il piccolo contributo di ognuno su larga scala rappresenta un contributo rilevante. Per questo è importante un nuovo approccio e una consapevolezza nuova sull’uso dell’energia. Per questo ognuno dovrebbe riflettere e scegliere se dare o no il proprio contributo, pensando ai propri figli, a come vorrebbe che sia la Terra fra 100 anni. La scelta deve anche tener conto che il problema è di tutti e che questo gioco si vince o perde tutti insieme, perché abitiamo tutti nello stesso Pianeta.

ENERGIA E RICCHEZZA Certo non possiamo fare a meno dell’energia: ci serve per il riscaldamento/condizionamento delle abitazioni, per illuminare le città, per far funzionare gli ospedali e le loro apparecchiature, per svolgere il nostro lavoro e per i trasporti. Se consideriamo il consumo di energia per persona nel mondo mostrato nella Figura 6, vediamo che i paesi dove si consuma più energia sono anche in genere quelli più ricchi. La misura convenzionalmente utilizzata in ambito economico per la ricchezza di un paese è il PIL (Prodotto Interno Lordo), che esprime il valore complessivo dei beni e servizi finali prodotti all'interno di un Paese in un anno [8].

La correlazione fra consumo di energia e ricchezza misurata con il PIL è ancora più chiara quando si guarda alla variazione dei consumi di energia, cioè quanto aumenta il nostro consumo di energia anno dopo anno (Figura 7). Si vede chiaramente che i paesi in cui il consumo di energia pro capite aumenta più rapidamente (Cina, India, Brasile) sono quelli in cui si ha il maggior sviluppo economico (cioè in cui la crescita del PIL anno dopo anno è maggiore).

In ogni caso, vi sono paesi che - a parità di consumo di energia - sono in grado di produrre un PIL maggiore a fronte di altri che ne producono uno minore. Chiameremo questi paesi più efficienti, perché sanno utilizzare in modo più efficace l’energia per produrre ricchezza. A volte vi sono ragioni geografiche/climatiche che giustificano una maggiore o minore efficienza (ad esempio, paesi molto vasti richiedono un consumo maggiore di energia per i trasporti così come paesi con clima rigido richiedono un consumo maggiore di energia per il riscaldamento domestico). Altre volte si tratta di ragioni strutturali: utilizzo di case coibentate (in cui la dispersione di calore dalle pareti viene limitata), con notevole risparmio nel consumo di energia per il riscaldamento/condizionamento, maggiore sviluppo di trasporto su rotaia anziché autostradale, etc. In ogni caso, guardando ai paesi con maggiore efficienza energetica si possono trovare utili metodi per migliorare i propri modi di utilizzo dell’energia.

Resta comunque da rilevare che il PIL non misura in realtà il “vero” benessere di un paese, perché esso – paradossalmente - aumenta anche a fronte di eventi catastrofici quali terremoti e incidenti, e non tiene in alcun conto i costi legati all’impatto ambientale della ricchezza prodotta. Si tratta

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quindi di una semplice misura di quanti beni materiali e servizi un paese è stato in grado di produrre in un anno, indipendentemente dagli effetti ambientali e sociali di tale produzione.

Fig. 7: crescita anno su anno del consumo medio annuo della sola energia elettrica in kWh nel 2008.

L’altro aspetto da sottolineare è che l’attuale sistema economico si basa su una crescita continua del PIL, chiaramente insostenibile in un pianeta limitato come quello in cui viviamo, poiché, per i motivi appena spiegati, una crescita continua del PIL corrisponde anche ad un aumento continuo dei rifiuti prodotti e delle risorse naturali sfruttate, perciò ad un aumento del degrado ambientale [2,9]. Già da molti anni si studiano modelli alternativi per misurare, più che la quantità di beni materiali e servizi prodotti da un paese, il reale benessere delle persone che lo abitano: nel conto andrebbero sottratti al PIL il degrado ambientale causato dalla produzione dei beni, lo stress legato alla produzione e gli effetti sulla società civile. In questa direzione sono già stati recentemente proposti indicatori alternativi al PIL quali ad esempio l'ISEW (Index of Sustainable Economic Welfare), che include anche i costi sociali e i danni ambientali a medio e lungo termine della produzione di beni e servizi [10,11], o, in Italia, il BIL (Benessere Interno Lordo) [12].

SEMPRE PIÙ RICCHEZZA, SEMPRE PIÙ RIFIUTI In un modello economico dove il PIL deve crescere anno su anno in modo inarrestabile, è inevitabile che cresca in modo altrettanto inarrestabile la produzione di rifiuti, costituiti per lo più di materiali artificiali provenienti dalle lavorazioni industriali umane. Quando questi materiali artificiali, alla fine del loro ciclo di vita, finiscono nell’ambiente naturale, non vengono metabolizzati dagli esseri viventi e provocano così l’avvelenamento e l’alterazione degli habitat. Diventa quindi fondamentale affrontare anche il problema del ciclo dei rifiuti [9].

Per gestione dei rifiuti s’intende l'insieme delle azioni e delle politiche volte a gestire l'intero processo dei rifiuti, dalla loro produzione fino alla loro sorte finale, includendo quindi: la raccolta, il trasporto, il trattamento (riciclaggio o smaltimento) e anche il riutilizzo dei materiali di scarto. Il tutto al fine di rendere sostenibile anche la produzione di rifiuti, minimizzando il degrado ambientale che ne può conseguire. Attualmente questo problema è misconosciuto in molti paesi, Italia compresa, dove la gestione dei rifiuti è lasciata alle singole amministrazioni locali e non è stato predisposto alcun piano nazionale. Vi sono però esempi di amministrazioni locali che

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gestiscono i rifiuti in modo eccellente e che possono essere prese da esempio per la stesura di un piano nazionale organico e strutturato [32].

La base per la gestione sostenibile dei rifiuti è la raccolta differenziata. Quest’ultima infatti permette di massimizzare la percentuale di recupero dei materiali già utilizzati senza bisogno di reperirne di nuovi in natura e di diminuire in modo sensibile l’impronta ecologica di ciascuno di noi. Infatti il riciclo non solo diminuisce la quantità di rifiuti, ma anche consente di risparmiare le materie prime e l’energia necessaria per produrre ex-novo i materiali che noi siamo abituati a gettare nella spazzatura. Giusto per fare due esempi [22]: ricavare alluminio ex-novo dalla bauxite richiede 14kWh per kg di alluminio prodotto; viceversa riciclando lattine è necessaria un’energia di soli 0,7kWh per kg di alluminio. 1kg di carta riciclata consente di risparmiare 200 litri di acqua rispetto a produrne un’analoga quantità dal legno, con l’ulteriore vantaggio di evitare di abbatteri alberi (fra 1 e 2kg di legno risparmiati per ogni kg di carta riciclata). I rifiuti raccolti in maniera differenziata possono sostanzialmente essere trattati, a seconda del tipo, mediante due procedure:

1. Riciclaggio: per riutilizzare come nuove materie prime materiali di scarto altrimenti destinati allo smaltimento in discarica o all’incenerimento. In Italia, il tasso di raccolta differenziata è oggi intorno al 22,7% mentre in Germania si supera il 56%. I migliori comuni Italiani dove viene realizzata una raccolta differenziata porta a porta raggiungono percentuali dell’ordine del 70% (vedi ad esempio Salerno [32]). Con un piano e una normativa nazionale rigorosa si potrebbero raggiungere i livelli tedeschi.

2. Compostaggio: è una tecnologia biologica usata per trattare la frazione organica dei rifiuti raccolta in modo differenziato (anche detta “umido”) sfruttando un processo di bio-ossidazione che la trasforma in ammendante agricolo di qualità da utilizzare quale concime naturale. Da 100 kg di umido si ricava una resa in compost fra i 30 e 40 kg. Inoltre il processo di compostaggio consente anche la produzione concomitante di biogas, utilizzabile come combustibile per il riscaldamento domestico e industriale. In molti paesi il biogas prodotto dalle centrali di compostaggio viene direttamente immesso nella rete del gas, consentendo di diminuire in modo significativo il fabbisogno energetico. In Italia ciò non è possibile in quanto manca ancora una normativa a livello nazionale che ne regoli l’utilizzo.

Fig. 8: energia che si può recuperare in base alle modalità di gestione dei rifiuti. L’Unione Europea sollecita l’adozione delle “3R”: Riduzione (= produrre meno rifiuti), Riuso e Riciclaggio. Incenerimento e conferimento in discarica sono

pratiche che dovremo sempre più abbandonare a causa della loro tossicità.

I rifiuti raccolti in modo indifferenziato sono naturalmente molto più difficili da trattare di quelli raccolti in modo differenziato. Possono essere seguite tre strade principali:

1. trattamenti a freddo, ovvero separazione e parziale recupero di materiali, biostabilizzazione e conferimento in discarica. Scopo dei processi di trattamento a freddo dei rifiuti

85,7%

45,7%

7,1%%

Energia recuperata 0%

Riciclaggio

Riuso Rifiuto non prodotto

Incenerimento

Discarica

Energia prodotta

Energia persa

100%

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indifferenziati o residui (ossia i rifiuti che rimangono dopo la raccolta differenziata) è di recuperare un’ulteriore parte di materiali riciclabili, ridurre il volume del materiale in vista dello smaltimento finale e di stabilizzare i rifiuti in modo tale che venga minimizzata la formazione dei gas di decomposizione ed il percolato. Da questi processi (fra cui il compostaggio), si ricavano in genere sia materiali riciclabili, sia il biogas, cioè metano.

2. trattamenti a caldo, ovvero incenerimento “tal quale” o incenerimento a valle di separazione e produzione di CDR (Combustibile Derivato da Rifiuti). L'incenerimento è una tecnologia consolidata che permette di ottenere energia elettrica e fare del teleriscaldamento sfruttando i rifiuti indifferenziati o il CDR. Questi vengono bruciati in forni inceneritori e l'energia termica dei fumi viene usata per produrre vapore acqueo che, tramite una turbina, genera energia elettrica. Il vapore esausto ma ancora caldo, tramite condotte, viene poi inviato nelle case per il riscaldamento (teleriscaldamento). La quantità di energia elettrica recuperata è piuttosto bassa (19-25%), mentre quella termica è molto maggiore. Gli inceneritori producono tuttavia un pesantissimo impatto ambientale derivante dalle emissioni di sostanze tossiche, quali diossine, furani e nanoparticelle di metalli pesanti e dalla produzione di ceneri tossico-nocive, che dovranno essere confinate in discariche speciali. L’Unione Europea nell’ambito del pacchetto Clima-Energia 20-20-20 il cui obiettivo è quello di ridurre le emissioni di CO2 clima alteranti scoraggia la realizzazione di nuovi inceneritori e promuove invece le politiche di raccolta differenziata (le 3 “R” = Riduzione, Riuso e Riciclo). Si veda a tal proposito il video promozionale del Comune di Forlì riguardante la raccolta differenziata dei rifiuti nel nostro Comune [13].

3. Conferimento diretto in discarica (oggi il più usato in Italia). Il principale problema ambientale delle discariche è la produzione di percolato - un inquinante molto pericoloso che contamina le falde acquifere - e l'emissione di gas spesso tossici e maleodoranti, dovuti alla decomposizione della frazione organica. Entrambi i problemi possono essere risolti rimuovendo la frazione organica mediante raccolta differenziata o pretrattando i rifiuti con il trattamento meccanico-biologico a freddo esposto in precedenza, riducendo fra l'altro anche i volumi da smaltire. La discarica può essere così usata per smaltire tutti i residui del sistema integrato di gestione dei rifiuti che non si è riusciti ad evitare [13].

Anche qui si tratta di scelte sia politiche sia individuali nelle quali non va considerato solo l’aspetto economico ma anche l’impatto delle scelte fatte (o non fatte) sulla salute delle persone e sull’ambiente. Per fare un esempio, la scelta più facile è sicuramente quella dell’inceneritore (mi sbarazzo dei rifiuti senza fare troppa fatica e ne ricavo anche energia); d’altra parte avere un inceneritore vicino alla propria casa mette gravemente a rischio la salute sia direttamente (attraverso l’aria che respiriamo) che indirettamente, attraverso la contaminazione del terreno e delle falde acquifere; forse, riflettendoci bene, varrebbe la pena fare uno sforzo in più e differenziare quanto più possibile i rifiuti [13,18]. Questa è una scelta che spetta ad ognuno di noi e che va fatta pensando sempre al futuro dei nostri figli.

ENERGIA: COME LA USIAMO? DA DOVE VIENE? Come utilizziamo l’energia che consumiamo? Dipende da paese a paese, ma una suddivisione indicativa è la seguente:

• 20% Residenziale: riscaldamento/condizionamento domestici, luce, elettrodomestici;

• 17% Commerciale: luci e PC negli uffici, frigoriferi nei supermercati;

• 30% Trasporti: macchine, camion, aerei, treni per trasporto merci e personale;

• 33% Industria: trasformazione di materiali, fabbricazione di carta, materie plastiche, etc.

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Circa un terzo del fabbisogno energetico umano viene coperto dall’energia elettrica, che rappresenta una frazione in costante crescita del fabbisogno energetico totale, per la sua facilità di generazione, trasformazione e trasporto.

Supponiamo di vivere in un paese in cui il consumo medio per persona sia 10 kW, cioè in cui ogni persona disponga di 100 servitori di energia in ogni momento del giorno, notte compresa; dalla suddivisione fatta sopra segue che 20 di questi 100 servitori sono al nostro servizio 24 ore su 24 in casa nostra. Visto che non li abbiamo mai visti e non abbiamo nemmeno mai detto loro grazie, cerchiamo almeno di conoscerli meglio. Da dove vengono i nostri servitori di energia?

� Il 99,98% di tutta l’energia a nostra disposizione viene direttamente o indirettamente dal Sole;

� lo 0,02% è energia geologica immagazzinata all’interno della Terra; essa si manifesta attraverso il vulcanismo ed i geyser, ma per lo più deriva dal decadimento di elementi radioattivi all’interno della Terra stessa;

� lo 0,002% è energia delle maree, legata all’attrazione gravitazionale fra Luna e Terra.

Si vede subito che il Sole è la nostra fonte di energia principale. Una parte della radiazione solare incidente viene riflessa dall’atmosfera e dalle superfici ghiacciate (questa quota di energia riflessa è detta albedo e ammonta a circa il 30%), una parte viene assorbita direttamente sotto forma di calore (50%), una parte provoca l’evaporazione dell’acqua degli oceani e quindi muove il ciclo dell’acqua, mentre un’altra parte genera le correnti atmosferiche (venti) e oceaniche. Infine, una piccolissima parte (lo 0,02%) viene utilizzata dalle piante nel processo di fotosintesi, durante il quale viene assorbita CO2 dall’atmosfera per produrre ossigeno, zuccheri e materiale legnoso. Questa piccolissima percentuale è l’unica parte dell’energia solare che le piante della Terra sono in grado di immagazzinare: tutto il resto viene in definitiva riemesso in atmosfera sotto forma di radiazione infrarossa.

Dopo centinaia di milioni di anni di attività fotosintetica, alcuni dei residui degli organismi, vegetali e animali, vissuti milioni di anni fa, sono andati a formare i combustibili fossili: petrolio, gas naturale e carbone. Come detto prima, quella che viene immagazzinata dalle piante nel processo della fotosintesi è una percentuale insignificante dell’energia solare totale; tuttavia, dopo centinaia di milioni di anni, è quella che ha permesso l’industrializzazione del XX secolo. Il problema è che

in 200 anni rischiamo di esaurirla completamente: probabilmente ce ne è a sufficienza per altri 100 anni, a patto però di andare a cercarla in zone molto difficili e a notevole rischio di contaminazione ambientale (polo nord, oceani, etc.), dove alto è il rischio di gravi disastri ecologici come quello recente nel Golfo del Messico (vedi Figura 9). Quello che sta succedendo è che per avere i nostri servitori energetici stiamo in soli 200 anni bruciando tutta l’energia che le piante sulla Terra hanno immagazzinato in centinaia di milioni di anni.

Possiamo quindi dire che i combustibili fossili sono una forma di energia che deriva dall’energia solare

immagazzinata dalle piante nel corso di centinaia di milioni di anni e quindi definire 3 forme principali di energia: solare, nucleare e delle maree (o gravitazionale).

Su scala mondiale le fonti principali di energia utilizzate sono proprio i combustibili fossili: 38% petrolio, 24% gas naturale e 26% carbone, per un totale pari all’88% circa. Il rimanente viene spartito fra energia idroelettrica (anch’essa una forma indiretta di energia solare che si manifesta attraverso il ciclo dell’acqua) ed energia nucleare da fissione. Le forme di energia derivanti dalle maree e geotermiche e quelle rinnovabili o da biomasse, a livello mondiale, rappresentano ancora

Fig. 9: chiazze di petrolio in mare nel delta del Mississippi.

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una frazione trascurabile. Qual è, pertanto, il problema? Che dei 100 servitori di energia a nostra disposizione, 90 sono ottenuti dai combustibili fossili, e quindi producono anidride carbonica contribuendo all’effetto serra. È chiaro che è necessario ridurre il numero di servitori di energia da combustibili fossili per invertire la tendenza, riducendo da un lato il numero di servitori di cui disporre (aumentando l’efficienza e utilizzando l’energia in modo più consapevole) e spostando dall’altro le fonti energetiche dai combustibili fossili a quelle a basso impatto ambientale ed ecosostenibili.

LA TEMPERATURA DELLA TERRA Per capire perché le emissioni di CO2 dovute alla combustione degli idrocarburi possano causare cambiamenti climatici significativi sulla Terra dobbiamo prima capire quali sono i fattori che determinano la temperatura della Terra stessa. In particolare, in questo paragrafo mostriamo che cosa sia l’effetto serra e come sia importante nel determinare il clima del nostro Pianeta.

Innanzitutto diciamo che la Terra ha una temperatura media di 15°C, ormai costante da molte migliaia di anni. Ovviamente ai Poli si registrano temperature sino a -40°C così come nelle zone desertiche si arriva anche a +46°C: facendo la media di tutte le temperature registrate nei vari punti della Terra in vari periodi dell’anno si ottiene un valore medio intorno ai 15°C. Questa temperatura si mantiene stabile da diverse migliaia di anni perché la Terra è un sistema in equilibrio energetico: tutta l’energia che proviene dal Sole e che viene assorbita dalla Terra viene emessa da quest’ultima sotto forma di radiazione infrarossa. È lo stesso principio che determina il riscaldamento delle case in inverno: per mantenere costante la temperatura interna della casa dobbiamo accendere una stufa che produca la stessa quantità di calore che la casa cede verso l’esterno attraverso il tetto, le pareti e gli infissi: se siamo in grado di produrre esattamente la stessa quantità di calore (energia) che cediamo verso l’esterno, la casa sarà in equilibrio energetico e la temperatura al suo interno sarà costante.

Ma chi è che determina il valore di equilibrio? Nelle case abbiamo il termostato che in base alla temperatura misurata decide se accendere/spegnere la stufa regolando quindi la quantità di calore generata per unità di tempo in modo da avere la temperatura desiderata. Nel caso della Terra non c’è nessun termostato e l’equilibrio è naturale. Per capire cosa succede prendiamo sempre l’esempio della casa e supponiamo che non vi sia termostato e che la stufa sia sempre accesa e produca più calore di quello che la casa cede verso l’esterno. In questo caso l’energia assorbita dalla casa è maggiore di quella ceduta verso l’esterno per conduzione e quindi la temperatura della casa aumenterà. La quantità di energia ceduta verso l’esterno è però anch’essa una funzione della differenza di temperatura fra la casa e l’esterno, e in particolare aumenta quando aumenta tale differenza. Ne consegue che mano a mano che la temperatura della casa aumenta, anche il calore che questa cede verso l’esterno aumenta, sino a che alla fine diventerà uguale al calore prodotto dalla stufa, ristabilendo l’equilibrio energetico del sistema a quel particolare – superiore - valore di temperatura. Nel caso della Terra, la stufa è il Sole, in quanto le altre forme di energia immagazzinate all’interno della Terra - principalmente sotto forma di materiali radioattivi - sono trascurabili rispetto a quella solare. A differenza della casa, inoltre, la Terra cede energia non ad altri materiali esterni ma allo spazio vuoto: quindi non per conduzione, ma per irraggiamento (appunto emettendo radiazioni nell’infrarosso, non visibili ad occhio nudo). Resta comunque il fatto che la quantità di energia emessa dalla Terra aumenta all’aumentare della temperatura della Terra stessa, anche se in modo diverso da come succede in una casa.

Di tutta l’energia solare incidente sul Pianeta, il 30% viene riflessa come albedo ed il 20% viene assorbito dall’atmosfera senza arrivare alla superficie terrestre. Un altro 29% arriva alla superficie terrestre e contribuisce a far evaporare le acque (attivando il ciclo dell’acqua) e a generare le correnti oceaniche e dei venti. Il rimanente 21% invece va a scaldare la superficie terrestre e viene riemesso da essa sotto forma di radiazione infrarossa. La potenza solare incidente assorbita dal

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sistema Terra - atmosfera (circa il 70% di quella totale incidente) è pari a 240 W/m2 (vedi Figura 10). Conoscendo tale potenza e il tasso con cui la Terra cede energia sotto forma di radiazione infrarossa, si può scrivere una semplice equazione di bilancio energetico in cui l’unica incognita è la temperatura della Terra. La soluzione di tale equazione fornisce una temperatura terrestre superficiale media intorno a -18°C, molto minore di quella reale.

Fig. 10: schema dell’effetto serra. Gran parte delle radiazioni infrarosse emesse dalla Terra tornano indietro, causando

un aumento di +33°C della temperatura media di equilibrio del Pianeta.

Cosa c’è di sbagliato in questo modello? Esso non tiene conto dell’effetto serra naturale dovuto all’atmosfera. L’atmosfera terrestre è infatti ricca di vapore acqueo (H2O) e contiene anche circa lo 0.03% di anidride carbonica (CO2), entrambi gas trasparenti nei confronti dell’energia solare incidente (che è una radiazione elettromagnetica nel campo del visibile) ma che invece hanno la caratteristica di assorbire quel 21% di energia emessa dalla superficie terrestre sotto forma di radiazione a diversa frequenza (infrarossa) riemettendola in gran parte all’indietro, verso la superficie terrestre. Ogni gas che si comporta in questo modo (trasparente rispetto alla radiazione solare incidente nel visibile, molto assorbente rispetto quella infrarossa emessa dalla superficie terrestre) viene detto gas serra e contribuisce all’effetto serra che è il responsabile di quei +33°C che fanno sì che la superficie terrestre abbia una temperatura media confortevole di +15°C e non quella polare di -18°C. È quindi grazie ai gas serra presenti in modo naturale nell’atmosfera se la Terra è un pianeta in cui è così gradevole vivere. Possiamo quindi affermare che l’Effetto Serra naturale è positivo per la vita nel nostro pianeta. Ma chi ha determinato l’attuale concentrazione di gas serra? E cosa c’è da aspettarsi se la quantità di gas serra aumenta troppo, ad esempio per effetto dell’attività umana?

I GAS SERRA Per capire l’importanza che hanno i gas serra nel determinare la temperatura media di un pianeta, può essere utile confrontare la situazione sulla Terra con quella di altri due pianeti ad essa vicini, Venere e Marte. Venere è più vicina al Sole e quindi riceve un maggiore flusso di energia solare incidente. Facendo un bilancio dell’energia solare incidente su Venere e di quella emessa sotto

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forma di radiazione infrarossa, senza contare l’effetto serra dell’atmosfera, si ottiene una temperatura media pari a +46°C. La temperatura reale di Venere misurata è invece maggiore di 500°C. Ci sono più di 400°C di differenza! Qual è il motivo? È che l’atmosfera di Venere è costituita per lo più di CO2 e che la sua pressione è centinaia di volte superiore a quella della Terra: questo vuol dire che l’effetto serra è dominante nel determinare la temperatura del pianeta, perché quasi tutta la radiazione infrarossa emessa viene assorbita e rispedita indietro. Marte è invece più lontano dal Sole e la sua temperatura, senza tener conto dell’effetto serra e facendo un semplice bilancio energetico, risulterebbe attorno a -57°C. La temperatura reale di Marte è invece intorno a -47°C, ossia l’effetto serra contribuisce ad innalzarne la temperatura di soli 10°C. Anche l’atmosfera di Marte è costituita quasi completamente da CO2, ma la sua pressione è molto più bassa (l’atmosfera di Marte è molto più rarefatta). Questo confronto dimostra come le caratteristiche dell’atmosfera di un pianeta, e in particolare la sua densità e le quantità di gas serra in essa presenti, determinano in modo significativo la temperatura del pianeta stesso. Quello che noi chiamiamo Riscaldamento Globale (Global Warming) non è altro che il fenomeno conseguente ai cambiamenti nella composizione chimica dell’atmosfera terrestre indotti dall’attività umana. In pratica, l’attività umana sta aumentando in modo significativo la concentrazione di gas serra nell’atmosfera (in particolare di CO2 per effetto della combustione degli idrocarburi) e quindi aumentando l’effetto serra. Senza l’uomo l’effetto serra naturale produce un +33°C (da -18°C a +15°C). Con la presenza dell’uomo e delle sue attività industriali, questo valore tende ad alzarsi, molto lentamente per la nostra percezione, molto velocemente se pensiamo alle scale biologiche e geologiche.

Per capire il perché, partiamo dall’epoca pre-industriale (prima del 1750 circa), in cui la quantità di gas serra nell’atmosfera era regolata in modo naturale dagli esseri viventi presenti nel Pianeta; tutti gli esseri viventi (comprese le piante di notte) assorbono ossigeno dall’atmosfera per bruciare i cibi e nel processo producono CO2 e vapore acqueo (H2O), entrambi gas serra. Di giorno, a seguito del processo di fotosintesi, le piante rimuovono la CO2 nell’atmosfera producendo ossigeno. Il bilancio fra questi due processi ha portato ad un’atmosfera ricca di vapore acqueo, ossigeno e con una frazione di CO2 pari solo allo 0.03% del totale, corrispondenti a 280 ppm (parti per milione, cioè su un milione di metri cubi di atmosfera solo 280 sono di CO2). La rivoluzione industriale, basata sui combustibili fossili e accompagnata dalla deforestazione, ha causato un incremento della CO2 emessa nell’atmosfera di circa 7 miliardi di tonnellate all’anno (ogni anno viene aggiunta nell’atmosfera una percentuale di CO2 pari all’1% di quella presente, e ciò a causa di azioni dell’uomo) – di cui 5 miliardi dati dai combustibili fossili e il resto principalmente dalla deforestazione e quindi dal mancato assorbimento di CO2 da parte delle piante. Così, dal 1750 con 280 ppm di CO2 nell’atmosfera siamo passati agli anni 2000 con 360 ppm nell’atmosfera (circa il 30% di aumento). Al momento la tendenza è crescente, e si stima il raddoppio della concentrazione di CO2 nell’atmosfera entro il 2100, da 280 ppm a 560 ppm, con un conseguente aumento della temperatura del Pianeta di circa 3°C, i cui effetti non sono facilmente prevedibili [14]. Da notare che, fra tutti i gas serra prodotti dall’uomo, la CO2 è quello meno potente: il metano (CH4) è 21 volte più potente della CO2 nel bloccare le radiazioni infrarosse emesse dalla superficie terrestre (per questo è sempre meglio bruciarlo che lasciarlo libero nell’aria), il protossido d’azoto (N2O) è 290 volte più potente, i clorofluorocarburi (CFC, composti artificiali noti come gas frigoriferi, ora messi fuori legge anche perché dannosi per lo strato di ozono) sono migliaia di volte più potenti. Allora perché ci preoccupiamo della CO2? Perché è quella prodotta in quantità di gran lunga maggiori rispetto gli altri gas serra ed è un prodotto ineliminabile di ogni combustione. Da sola, la CO2 contribuisce per più del 50% all’effetto serra prodotto dall’uomo. È agendo sulle emissioni di CO2, quindi, che si possono ottenere miglioramenti significativi per arrestare la tendenza verso l’aumento dell’effetto serra e quindi della temperatura del Pianeta.

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GLI EFFETTI DEL RISCALDAMENTO GLOBALE Un aumento di circa 3°C di temperatura media in 100 anni può avere effetti così devastanti sul Pianeta? L’aumento di temperatura media della Terra è veramente dovuto alla produzione dei gas serra da parte delle attività umane (e, in particolare, alla produzione e consumo di energia da combustibili fossili), oppure vi sono altre cause indipendenti, quali ad esempio l’attività solare? Le risposte a entrambi i quesiti non sono banali.

Partiamo dalla seconda domanda: quasi tutti i climatologi ritengono che nell’ultimo secolo vi sia stato un aumento della temperatura media della Terra di circa 0,5°C. D’altra parte, in base ai modelli climatici più sofisticati a loro disposizione, l’incremento della concentrazione di CO2 di poco meno del 30%, da 280 ppm a 360 ppm, registrato nello stesso arco di tempo avrebbe dovuto causare un aumento della temperatura del Pianeta di circa 1°C, cioè circa del doppio rispetto a quello misurato. Questo vuol dire che i modelli non sono ancora completamente accurati, a causa della difficoltà di tenere in conto le numerosissime cause che concorrono a determinare l’equilibrio termico del Pianeta, prima fra tutti gli oceani, che sono molto più lenti a rilasciare/assorbire calore e che svolgono anche un ruolo non trascurabile nel ciclo del carbonio. L’altro parametro interessante è che se si confrontano gli andamenti della temperatura del Pianeta negli ultimi 100 anni con quelli della concentrazione di CO2 si nota una correlazione, ma i grafici non sono esattamente sovrapponibili. Ad esempio, dopo la seconda guerra mondiale si è avuto un leggerissimo calo delle temperature mentre la produzione di CO2 è decisamente aumentata. Questi “ritardi” di registrazione della produzione di CO2 nella temperatura del Pianeta si pensa siano sempre dovuti all’inerzia termica degli oceani, ma non sono esattamente spiegabili. I dati relativi alla temperatura della Terra, da soli sembrano non giustificare del tutto la teoria del Riscaldamento Globale causato dalle emissioni di CO2 da parte dell’uomo. Quello che fa concordare quasi tutti i climatologi sulle cause umane del riscaldamento globale sono altri dati in combinazione con quelli legati alla temperatura media del pianeta:

� la riduzione delle escursioni termiche da un giorno al successivo;

� piogge molto più violente e intense;

� il record di temperature medie, registrate nel decennio ’80 (il decennio più caldo del XX secolo) e il record di temperature medie nel 1990 e 1995.

Tutti questi effetti sono correlati fra loro e consistenti con il fenomeno del Riscaldamento Globale. Per capire invece come mai una così in fondo piccola variazione di temperatura media possa causare sconvolgimenti così grandi a livello del clima del Pianeta è necessario studiare la storia

climatica della Terra, risalendo all’indietro nel tempo di centinaia di migliaia di anni, ai periodi glaciali. Il metodo per ricavare quale fosse la temperatura media della Terra centinaia di migliaia di anni fa si basa sull’analisi delle carote di

ghiaccio scavate in Antartide [15]; queste carote sono formate da vari strati: in superficie si trova il ghiaccio associato alle piogge degli ultimi anni, mentre più sotto vi sono gli strati associati alle piogge di qualche decennio fa e, via via, si giunge fino agli strati associati alle piogge di qualche centinaia di migliaia di anni fa. Si ottengono quindi, in laboratorio, dei campioni delle piogge di vari periodi della Terra, analizzando la composizione chimica dei quali è possibile risalire alla temperatura della Terra stessa nelle varie

Fig. 11: esempio di carota di ghiaccio estratta in Antartide col progetto EPICA, cui ha partecipato anche l’Italia con suoi scienziati [15].

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epoche. Infatti, la quantità di isotopi 2H e 18O presenti nell’acqua della pioggia dipende in modo molto sensibile dalla temperatura media del Pianeta.

Quello che si trova è molto interessante: si osserva una ciclicità di periodi glaciali molto lunghi (durata di circa 100.000 anni) intervallati da periodi interglaciali più corti (qualche decina di migliaia di anni – noi per inciso ci troviamo in un periodo interglaciale). I motivi di questa ciclicità di qualche centinaio di migliaia di anni non sono completamente chiari: potrebbero essere collegati a leggeri cambiamenti nell’inclinazione dell’asse del campo magnetico terrestre e/o a piccolissime perturbazioni dell’orbita terrestre causate dall’interazione con gli altri pianeti. Quello che però è interessante osservare è che la differenza della temperatura media terrestre fra un periodo interglaciale come il nostro ed un periodo glaciale è di soli 6°C circa! Ciò significa che basta una variazione della temperatura media della Terra di soli 6°C per passare da un’era glaciale ad una interglaciale. Inoltre, nel passaggio da un’era glaciale ad una interglaciale si registrano velocità nell’aumento di temperatura media intorno a 1°C ogni 1000 anni (cioè il passaggio è molto graduale, ci vogliono circa 6000 anni per passare da un’era glaciale ad una interglaciale).

Dai campioni di ghiaccio nell’Antartide si può anche ricavare la concentrazione di CO2 presente nell’atmosfera durante i periodi glaciali e interglaciali. Quello che si trova è una correlazione molto precisa fra concentrazione di CO2 e temperatura del Pianeta: durante i periodi glaciali la concentrazione di CO2 si abbassa sino a 200 ppm, durante quelli interglaciali si registrano anche valori intorno ai 300 ppm. Si noti che questa variazione di CO2 è naturale e non legata all’attività umana ed è perciò difficile capire chi sia la causa e chi l’effetto. Quello che è sicuro è che i valori attuali di 360 ppm non si sono mai registrati prima in centinaia di migliaia di anni.

Vi sono altri dati, in particolare documenti scritti, più recenti che fanno capire come anche variazioni molto piccole della temperatura media della Terra possano avere un’influenza molto importante sulla distribuzione e sulla diversità della flora e della fauna e sulle attività umane. Nel Periodo Caldo Medievale in Inghilterra – un lasso di tempo che va dal IX al XIV secolo - si registrarono temperature maggiori di soli 0,5°C rispetto alla media, che portarono effetti benefici sulle colture e ad una maggior varietà di flora e fauna [16a]. Nel periodo invece della Piccola Età Glaciale dal XIV al XIX secolo si registrarono temperature di soli circa 0,75°C sotto alla media, con effetti devastanti: si pensi solo che il Fiume Tamigi ghiacciò [16b]. La registrazione di questi eventi storici ci permette di dire che, in sostanza, 1°C di differenza nelle temperature medie può significare inverni miti o fiumi ghiacciati, in quanto la media non misura il massimo o il minimo, i quali avranno escursioni molto più elevate nel corso dell’anno. Questo fa capire come scenari in cui la temperatura media della Terra possa aumentare di 3°C o più siano molto preoccupanti [14].

In conclusione, i climatologi sono preoccupati e parlano di Global Warming perché, inserendo nei loro modelli l’andamento ipotizzato di aumento di concentrazione dei gas serra e in particolare di CO2 prevedono - entro il 2100, cioè in circa 100 anni - un innalzamento della temperatura media della Terra di circa 3°C o più [14], un mutamento cui il nostro Pianeta non è mai andato incontro nel passato. Si ricordi, infatti, che le variazioni di temperatura media dalle ere glaciali a quelle interglaciali sono state, come abbiamo visto, pari a 1°C ogni 1000 anni e la lentezza del cambiamento ha consentito alle specie viventi, in particolare alla flora, di adattarsi. Per questo la comunità scientifica ipotizza sconvolgimenti climatici significativi anche se non è in grado di prevederli con certezza a causa delle numerosissime variabili in gioco. Comunque, fra gli eventi più probabili, alcuni dei quali già si stanno osservando, vi sono:

� innalzamento di 0,5-1 m del livello dei mari (a causa principalmente dell’espansione dell’acqua e solo in secondo luogo dello scioglimento dei ghiacci situati sulle terre emerse, in particolare al Polo Sud e in Groenlandia);

� precipitazioni più intense in alcune fasce climatiche, con modificazioni anche nella loro frequenza e con maggiori probabilità d’inondazione; in alcuni casi i periodi a rischio

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inondazione si alternerebbero con periodi di intensa siccità; vi sarebbero poi molte aree che andrebbero incontro ad una progressiva desertificazione;

� escursioni termiche minori fra un giorno e il successivo;

� scioglimento dei ghiacci marini ai Poli.

Altri eventi meno certi cui può contribuire il riscaldamento globale sono:

� un aumento delle tempeste, in particolare dell’intensità degli uragani;

� estinzione di molte specie vegetali - e quindi animali collegate ad esse - a causa del fatto che le piante non sono in grado di adattarsi - spostandosi di zona geografica - a variazioni climatiche dell’ordine di 1 o 2 °C in cento anni;

� cambiamenti nelle correnti oceaniche (ad esempio, un eventuale blocco della Corrente del Golfo potrebbe avere effetti devastanti sulla Gran Bretagna, che deve il suo clima relativamente mite considerata la latitudine proprio a questo continuo flusso di acqua calda oceanica in superficie) – evento considerato al momento poco probabile ma che non si può escludere a priori;

Tutte queste sono possibilità, non vi è nulla di certo. Non conosciamo neppure in che misura si possano manifestare tali fenomeni e se, addirittura, non ve ne siano altri che al momento non siamo in grado di prevedere, che possano innescarsi e autoalimentarsi. La domanda che bisogna porsi è se si è disposti a rischiare di aspettare di avere la certezza assoluta di ciò che sta accadendo, per poi scoprire che magari è troppo tardi per intervenire sul clima, o se non conviene forse muoversi in anticipo. Infatti, se il problema è reale, non si torna indietro in un giorno, in un mese o in un anno, ma occorreranno, ammesso che ci si riesca, decenni per ripristinare le condizioni atmosferiche pre-industriali. Ognuno deve riflettere e pensare se sia veramente il caso di rischiare la vita del Pianeta solo per perpetuare in modo automatico il proprio stile di vita oppure se non sia più saggio cominciare ad agire, con un comportamento più responsabile verso l’utilizzo dell’energia e quindi rispetto alle proprie emissioni di CO2. Molti cittadini, con le loro scelte quotidiane (usare i mezzi pubblici di trasporto o la bici piuttosto che moto o automobile, viaggiare in treno anziché in autostrada, coibentare la propria casa, utilizzare stufe ed elettrodomestici efficienti, non lasciare in stand-by le apparecchiature, etc.) e alcuni paesi, con le loro scelte politiche (incentivazione di fonti energetiche a zero - o comunque a minori – emissioni: gas naturale piuttosto che carbone o petrolio; incentivazione del trasporto su rotaia e pubblico, piste ciclabili, riciclo dei rifiuti, incentivazioni alla coibentazione, etc.) stanno svoltando in questa direzione. Stanno scegliendo di provare a cambiare piuttosto che mettere in gioco una posta troppo alta.

Infine, per gli scettici, vogliamo rammentare che le previsioni fosche sul futuro del clima della Terra dei climatologi non sono basate su ricette empiriche o impressioni soggettive, ma su modelli matematici molto complessi la cui difficoltà nel fare previsioni certe consiste proprio nell’elevatissimo numero di variabili in gioco. Molti scettici sostengono infatti che percentuali di CO2 inferiori allo 0,5 per mille non possono modificare così tanto il clima della Terra. Che differenza vuoi che ci sia fra lo 0,5 per mille e l’1 per mille??? Altri dicono che la Terra ha già vissuto periodi di elevate temperature nel suo lontano passato geologico e che quindi ciò che si sta verificando ora è del tutto normale. Ma su cosa basano le loro considerazioni? Su cose lette o sentite dire da altri, non su basi scientifico-matematiche. È sorprendente il grado di confidenza che manifestano quando fanno queste affermazioni, quasi fossero i detentori del sapere. I climatologi invece studiano il clima della Terra simulandone il comportamento con modelli scientifico matematici molto complessi – una simulazione su un supercomputer dura interi giorni prima di fornire il risultato finale. Verificano sulla base dei loro modelli che bastano piccole variazioni percentuali della concentrazione di CO2 nell’atmosfera per causare significativi aumenti di temperatura della Terra, proprio come pochi microgrammi di Arsenico fanno la differenza fra un acqua potabile ed una che è meglio non bere. Verificano che l’uomo negli ultimi decenni sta avendo

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un impatto significativo sull’evoluzione del clima nel pianeta, come mai era avvenuto nel passato. E si basano su calcoli scientifico-matematici e simulazioni al computer… L’unica incertezza che hanno è nell’elevato numero di variabili in gioco che rende i modelli molto, troppo complessi. Il 90% dei climatologi, ed il 100% di quelli indipendenti – non finanziati da aziende - concordano nella previsione di un Riscaldamento Globale dovuto alle attività umane che sta assumendo proporzioni preoccupanti… Di chi ci vogliamo fidare? C’è una guerra del Clima in atto fra i negazionisti ed i climatologi [17]. I negazionisti hanno in genere interessi economici da difendere, i climatologi no. A noi la scelta di chi fidarsi.

IL PROTOCOLLO DI KYOTO E IL PACCHETTO CLIMA 20-20-20 Il protocollo di Kyoto è stata una prima iniziativa a livello internazionale per cercare di mitigare gli effetti ambientali del sempre maggiore consumo di energia. La stesura del protocollo risale al dicembre 1997 ma è entrato in vigore solo dal febbraio 2005. Infatti, affinché il trattato potesse entrare in vigore dovevano verificarsi due condizioni:

1. il trattato doveva essere ratificato da non meno di 55 nazioni; 2. le nazioni firmatarie dovevano essere responsabili di almeno il 55% delle emissioni

inquinanti.

Quest'ultima condizione è stata raggiunta solo nel novembre del 2004, quando anche la Russia (da sola responsabile per circa il 17% delle emissioni) ha perfezionato la sua adesione. Il trattato prevedeva l’obbligo di operare nel periodo 2008-2012 una riduzione delle emissioni di elementi inquinanti (CO2 ed altri cinque gas serra, ovvero metano, protossido d’azoto, idrofluorocarburi, perfluorocarburi ed esafluoruro di zolfo) in una misura non inferiore al 5% rispetto alle emissioni registrate nel 1990, considerato come anno di riferimento. Il protocollo è

terminato nel 2012. Al fine di non ostacolare il diritto alla crescita economica dei paesi in via di sviluppo, fra cui Cina e India, questi ultimi non sono stati invitati a ridurre le loro emissioni, in quanto non responsabili dell’inquinamento sinora causato dai paesi già sviluppati. Tradotto in numeri questo cosa significa? Nel 1990 si era registrata un’immissione di CO2 pari a 0,72 ppm di cui la metà (0,36 ppm) causata dai paesi industrializzati e l’altra metà dai paesi in via di sviluppo. Dovendo farsi carico della riduzione dell’emissione di CO2 i soli paesi industrializzati, questo significava ridurre del 5% gli 0,36 ppm di CO2 da loro prodotti ogni anno, passando da 0,36ppm a 0,34ppm, chiaramente una riduzione del tutto insufficiente a risolvere il problema del Riscaldamento Globale. Fra i paesi non aderenti al protocollo c’erano gli Stati Uniti, da soli responsabili per il 36% circa delle emissioni di gas serra. Cosa succede a chi non rispetta il trattato? Si possono acquistare crediti di emissioni: ad esempio, un paese che abbia conseguito una diminuzione delle proprie emissioni di gas serra superiore al proprio obiettivo, può cedere tali "crediti" - a pagamento - ad un paese che, al contrario, non sia stato in grado di rispettare i propri impegni di riduzione delle emissioni di gas serra. Se un paese non riesce comunque a rispettare il trattato incorre in sanzioni economiche. Per incentivare l’utilizzo di fonti energetiche rinnovabili ed andare quindi nella direzione indicata dal Protocollo di Kyoto, ogni stato ha poi introdotto un sistema di certificati:

• certificati neri: titoli di scambio di emissioni di CO2 fra aziende. Ogni azienda, in base alla sua attività, può emettere CO2 non oltre una certa soglia consentita, dipendente da stato a stato. Un’azienda che immette nell'atmosfera una quantità di anidride carbonica inferiore

Fig. 12: in verde i paesi aderenti al protocollo di Kyoto.

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alla soglia consentita può vendere la quota di emissione di anidride carbonica non utilizzata ad un'altra impresa che non riesce a rispettare la soglia consentita. In questo modo la seconda azienda può emettere una quantità di CO2 superiore a quella consentita senza incorrere in sanzioni.

• certificati bianchi, o titoli di efficienza energetica: sono titoli che certificano i risparmi energetici conseguiti in seguito alla realizzazione di specifici interventi. Ad esempio, un’azienda che investe sostituendo i suoi vecchi impianti con impianti nuovi e più efficienti risparmia in un anno una certa quantità di energia, cui corrisponde un certificato bianco di un certo importo rilasciato dall’autorità per l’energia elettrica e il gas (AEEG).

• certificati verdi: sono certificati riconosciuti alle aziende che producono energia elettrica in gran parte da fonti rinnovabili, quindi emettendo meno CO2. Siccome la legge obbliga ogni produttore/importatore di energia elettrica ad usare almeno il 2% di fonti rinnovabili (anche questa percentuale dipende da stato a stato), le aziende che non arrivano a tale soglia sono obbligate ad acquistare certificati verdi da aziende che producono energia da fonti rinnovabili, favorendo così queste ultime.

Il Protocollo di Kyoto è stato un primo momento importante in cui i governi di tutti i paesi del mondo si sono confrontati per trovare soluzioni al problema del Riscaldamento Globale e dei cambiamenti climatici di origine antropica (ossia dovuti alle azioni dell’uomo). Ogni anno il confronto si rinnova durante le conferenze internazionali sui cambiamenti climatici. Durante quella del 2008 a Copenhagen l’Europa ha adottato il cosiddetto pacchetto Clima-Energia 20-20-20, ancora più stringente del protocollo di Kyoto. La sigla 20-20-20 indica l’impegno a ridurre del 20% rispetto al 2000 le emissioni di CO2 entro il 2020 tramite principalmente:

• l’aumento dell’efficienza e risparmio energetico (riduzione del 20% del fabbisogno energetico);

• l’aumento del 20% della quantità di energia prodotta per via rinnovabile e pulita;

Con il pacchetto clima energia 20-20-20 l’Europa fra tutti i continenti mondiali rappresenta l’avanguardia della lotta ai cambiamenti climatici di origine antropica. Questo ruolo l’ha giocato anche durante la recente conferenza sul clima di Durban (Sudafrica) in cui si doveva discutere il rinnovo del protocollo di Kyoto scaduto nel 2012. Purtroppo gli altri continenti e potenze internazionali si sono mostrati più sensibili al problema della crescita economica sostenuto dal consumo di energia piuttosto che al problema del Riscaldamento Globale causato da tale consumo. L’unico risultato concreto della conferenza di Durban è stato quello di ottenere un’adesione formale ad un nuovo protocollo comprendente tutti i paesi (nessuno escluso) a partire però solo dal 2015. Fra il 2012 e il 2015 l’Europa e pochi altri isolati paesi saranno gli unici a proseguire gli sforzi per la riduzione degli effetti del Riscaldamento Globale e questa non è una buona notizia, in quanto il clima è un sistema con un’inerzia molto elevata ed i modelli climatici a disposizione indicano che è ora il momento di invertire la rotta per evitare disastri sempre più grandi [14].

Nei prossimi paragrafi vedremo più in dettaglio le diverse opzioni energetiche a nostra disposizione per generare energia elettrica e non solo e il loro impatto ambientale, partendo dai combustibili fossili (Carbone, Petrolio, Gas Naturale) e proseguendo con l’energia Nucleare, l’energia Geotermica e delle Maree, l’energia Solare fotovoltaica e termodinamica, l’energia Idroelettrica, l’energia Eolica, l’energia da Biomasse; infine, ultima ma forse la più importante, l’opzione del risparmio energetico e dell’aumento dell’efficienza energetica.

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FONTI ENERGETICHE: I COMBUSTIBILI FOSSILI I combustibili fossili (Carbone, Petrolio e Gas Naturale) sono la fonte energetica più utilizzata al momento perché meno costosa in termini economici. Circa il 90% del consumo mondiale di energia viene dai combustibili fossili. Da dove vengono? Sono il risultato di processi durati centinaia di migliaia di anni di decomposizione sotto terra di materiale organico vegetale e animale. Tutto nasce dalla reazione di fotosintesi, che ha luogo nelle piante durante il periodo diurno:

6CO2 + 6H2O + energia solare � C6H12O6 + 6O2

Di giorno le piante assorbono dall’atmosfera anidride carbonica (6CO2) e utilizzano l’energia del Sole per farla reagire con l’acqua (6H2O), rilasciando ossigeno nell’atmosfera (6O2) e fissando così parte dell’energia solare incidente sulla Terra (lo 0.02%) nella molecola di glucosio: C6H12O6. È infatti questo composto che, alla morte della pianta, sotto terra, subisce in centinaia di migliaia di anni vari processi di decomposizione e, alla fine, diventa un combustibile fossile sotto forma di Gas naturale o Carbone o Petrolio. Possiamo quindi dire che la fotosintesi non solo è il processo che ha reso possibile la vita sulla Terra rendendo l’atmosfera terrestre ricca di ossigeno (circa il 20%) ma è anche il processo che ha portato alla formazione dei combustibili fossili. Ne deriva anche che i combustibili fossili sono una forma di energia che deriva dal Sole; essi rappresentano in pratica quella piccolissima frazione (0,02%) di energia solare immagazzinata nelle piante attraverso la fotosintesi. Il processo di formazione dei combustibili fossili è molto, molto lento, centinaia di migliaia di anni, per cui noi attualmente stiamo usando le riserve di combustibili corrispondenti alle foreste e ad altri organismi esistiti sulla Terra centinaia di migliaia di anni fa, e le stiamo usando così velocemente che una volta esaurite non ci sarà stato abbastanza tempo per la formazione di nuove (in pratica in 200 anni stiamo consumando l’equivalente dell’energia solare immagazzinata dalle foreste nel corso di 200.000 e più anni).

È importante confrontare l’impatto ambientale dei tre combustibili fossili, perché non è lo stesso, essendo diversa la loro composizione chimica. Il Carbone è quasi Carbonio (C) allo stato puro, anche se è quello più ricco in Zolfo (S). Quando si brucia Carbone si rilascia nell’atmosfera CO2, ma anche particelle di Zolfo, che hanno due effetti, di segno opposto, sull’ambiente:

� da un lato causano le piogge acide, in grado di danneggiare piante e suolo;

� dall’altro lato possono rimanere nell’atmosfera come micro particelle (aerosol) e contribuire a riflettere la luce solare incidente, incrementando l’albedo e mitigando localmente il riscaldamento globale – effetto questo solo temporaneo perché gli aerosol solfati tendono velocemente a sparire dall’atmosfera.

Indicativamente, le maggiori riserve di Carbone sono in Nord America (USA e Canada), Cina e Russia. Le riserve di Carbone sono sufficienti a sostenere il fabbisogno energetico mondiale per qualche centinaio di anni: il problema è che il carbone è il più inquinante fra i combustibili fossili e l’atmosfera non sarebbe in grado di sostenere il carico di gas di combustione derivanti dall’utilizzo di tutte le riserve.

Il Petrolio è un composto che contiene non solo Carbonio (C), ma anche Idrogeno (H) e Zolfo (S), anche se quest’ultimo in misura minore rispetto al Carbone. Il petrolio è molto versatile poiché da esso, attraverso processi di raffinazione, si possono ricavare molti tipi diversi di combustibili liquidi, utilizzati per il trasporto di macchine, navi, camion ed aerei. Circa i 2/3 delle riserve di Petrolio si trovano nel Medio Oriente e sembra che ce ne sia a sufficienza per il fabbisogno energetico mondiale dei prossimi 100 anni e forse più, anche se le nuove riserve trovate sono in territori sempre più estremi (Polo Nord, Oceani) e causa sempre più spesso di gravi effetti

Fig. 13: uno degli effetti della marea nera nel golfo del Messico.

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ambientali in quanto difficili da gestire (Figura 13).

Il Gas Naturale è composto da Carbonio (C) e Idrogeno (H), contiene pochissimo Zolfo e come effetto della sua combustione libera molta meno CO2 rispetto agli altri combustibili fossili (è il più pulito dei tre). Un esempio di Gas Naturale è il Metano (CH4), che viene spesso trovato insieme al

petrolio (e fatto bruciare – è infatti il responsabile del fuoco che esce dai pozzi petroliferi). Il metano stesso è un gas serra circa 29 volte più potente della CO2: per questo è meglio bruciarlo (producendo CO2) che non lasciarlo disperdere liberamente nell’aria.

Quantifichiamo ora la CO2 prodotta dai tre combustibili fossili nel caso li usassimo in una centrale termoelettrica per produrre energia (Figura 14). Quello che succede in tali centrali è che il combustibile viene fatto bruciare per generare calore e produrre quindi vapore acqueo ad alta pressione che fa girare la turbina del generatore elettrico. Queste centrali

sono molto inefficienti, perché abbiamo diverse trasformazioni di energia: da termica a meccanica e poi elettrica. A ogni trasformazione si perde sempre un po’ dell’energia disponibile sotto forma di calore disperso nell’ambiente – da qui la necessità di costruire queste centrali vicino a fiumi o laghi per avere a disposizione grandi quantità di acqua per il raffreddamento. L’efficienza di tali centrali è pari a circa il 33%, ossia per generare 1kWh si liberano con la combustione l’equivalente di 3kWh. Nelle moderne centrali a turbogas con ciclo combinato l’efficienza elettrica può arrivare al 60% circa: in tali centrali il vapore caldo non viene inviato per il raffreddamento direttamente al condensatore (disperdendo i due terzi dell’energia della combustione) ma viene usato per alimentare un secondo generatore più piccolo ed i vapori esausti vengono poi utilizzati per riscaldare gli ambienti della centrale o degli edifici vicini alla centrale. Efficienze energetiche ancora maggiori si possono poi raggiungere se successivamente il vapore residuo ancora caldo viene trasportato tramite tubature interrate a centri abitati vicini per il riscaldamento domestico (teleriscaldamento). La cogenerazione (generazione congiunta di energia elettrica e termica) con eventuale rete di teleriscaldamento può essere utilizzata in tutte le centrali di tipo termoelettrico (a combustibili fossili, nucleari e a biomasse) per aumentarne l’efficienza.

In una centrale a Carbone avviene la seguente reazione:

C + O2 � CO2 + Energia,

In una a Metano invece:

CH4 + 2O2 � CO2 + 2H2O + Energia

Per ogni kWh di energia prodotta la centrale a Carbone libera nell’ambiente circa 0,95 kg di CO2, mentre quella a metano solo 0,45 kg di CO2, cioè circa la metà. Le centrali a Petrolio (che bruciano ad esempio C6H14) producono circa 0,72 kg di CO2. In sostanza, minore è il rapporto fra gli atomi di C e quelli di H nella molecola del combustibile fossile, minore è la produzione di CO2 a parità di energia prodotta dalla combustione.

Questi numeri permettono anche di quantificare quale sia il nostro impatto sulla produzione di CO2 supponendo ad esempio che l’energia elettrica in arrivo nelle nostre case sia prodotta quasi per intero da centrali a Carbone. Se accendiamo ad esempio il microonde per un’ora, consumando 1,5kWh, produciamo indirettamente 0,95 x 1,5 = 1,42 kg di CO2; se asciughiamo i capelli con il phon per 15 minuti, consumiamo 1kW x 0,25 h = 0,25 kWh e liberiamo nell’aria 0,95 x 0,25 = 0,24 kg di CO2, e così via. È chiaro che l’energia elettrica che arriva nelle nostre case è sempre data da un mix energetico e non da sole centrali a Carbone, e quindi la CO2 che produciamo con questi nostri gesti quotidiani sarà in generale minore. È importante però capire che le nostre abitudini hanno un impatto significativo sul problema del Riscaldamento Globale e che occorre partire da quelle per mitigarne gli effetti. Ogni volta che utilizziamo energia elettrica e non proveniente da fonti fossili produciamo CO2, ossia lasciamo nell’ambiente un’impronta ecologica, la cosiddetta

Fig. 14: centrale termo-elettrica a combustibili fossili.

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Carbon Footprint. Bisogna che ognuno di noi si impegni nel suo piccolo a ridurre la propria impronta ecologica spegnendo i dispositivi in stand-by, muovendosi in modo sostenibile, acquistando elettrodomestici energeticamente efficienti e cibo a kilometri zero, facendo la raccolta differenziata, etc... Il piccolo contributo di ognuno, sui grandi numeri, diventa un grosso contributo, come dimostrato anche negli esempi precedenti [19].

In conclusione, possiamo dire che già la conversione di tutte le centrali termoelettriche da Carbone/Petrolio a Gas Naturale può portare dei benefici significativi in termini di impatto ambientale (minore produzione di CO2). Non è certo però la soluzione del problema, visto che anche il processo di combustione del Gas Naturale, sebbene in misura minore, rilascia grosse quantità di CO2 nell’aria. Certamente il peggiore dei combustibili fossili è il Carbone e preoccupante è il fatto che gran parte delle riserve di Carbone sono in Cina, paese in cui lo sviluppo economico e quindi il consumo di energia sta salendo più rapidamente negli ultimi anni.

FONTI ENERGETICHE: IL NUCLEARE Per “nucleare” si intende l’estrazione di energia dai nuclei degli atomi che costituiscono la materia. Vi sono due modi per raggiungere questo scopo: la fissione nucleare, in cui un atomo viene diviso in due atomi più leggeri liberando energia e la fusione nucleare, in cui due atomi leggeri vengono uniti in un atomo più pesante, ed anche in questo caso il processo avviene con liberazione di energia. Attualmente è disponibile la sola tecnologia per realizzare centrali elettriche a fissione nucleare. La fissione nucleare è poi anche utilizzata per alimentare mezzi militari, quali i sottomarini e le portaerei. Infine, fissione e fusione nucleare trovano applicazione negli armamenti nucleari.

Dal punto di vista della produzione di energia ha quindi senso guardare alle sole centrali elettriche nucleari che funzionano a fissione (Figura 15): il loro funzionamento è del tutto analogo a quello delle centrali a combustibili fossili. L’unica cosa è che si sostituisce il reattore nucleare al bollitore delle centrali a Carbone. Infatti, il reattore nucleare, in cui avvengono le reazioni di fissione, libera energia termica che riscalda l’acqua, producendo vapore ad alta pressione che muove la turbina del generatore elettrico. Sempre per il problema dell’efficienza della conversione di energia da termica a meccanica e poi elettrica, l’efficienza delle centrali nucleari è pari al 33% circa: per ogni kWh prodotto, la fissione del combustibile nucleare ha generato circa 3 kWh. Come per le centrali a

combustibili fossili gli impianti nucleari devono essere collocati vicino a grossi bacini d’acqua, in genere fiumi, per disperdere in modo controllato le grandi quantità di calore generato. Sfruttando la cogenerazione, il vapore esausto ancora caldo che esce dalla turbina può essere sfruttato per riscaldare gli ambienti della centrale stessa o degli edifici vicini, come abbiamo già visto, arrivando così ad efficienze più alte dell’ordine del 70% e oltre.

La prima grossa differenza fra centrali a combustibili fossili e nucleari è l’energia in gioco per quantità di combustibile. Nei combustibili fossili avvengono reazioni di combustione, che sono reazioni chimiche in cui l’energia rilasciata è quella elettrostatica associata agli elettroni di valenza dei vari elementi in gioco. Nei reattori nucleari invece avvengono reazioni in cui si rompono i legami fra i protoni e i neutroni del nucleo di un atomo, e nelle quali l’energia rilasciata è quella associata alla forza di interazione nucleare forte, milioni di volte maggiore di quella elettrostatica. La fissione di un nucleo di Uranio 235 produce un’energia 15 milioni di volte maggiore rispetto alla combustione del Carbonio. Come è possibile liberare così grandi quantità di energia da una singola

Fig. 15: centrale nucleare a fissione. Il fumo che esce dai reattori è vapore acqueo (non contiene CO2).

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reazione? L’Uranio 235 è un elemento con numero atomico molto grande, il cui nucleo è composto da 92 protoni e ben 143 neutroni. I neutroni e i protoni del nucleo si attraggono fra loro per la forza di interazione nucleare forte, come già detto milioni di volte più grande di quella elettrostatica. La forza di interazione nucleare forte è però una forza a corto raggio, ossia è intensa solo se i protoni/neutroni sono molto vicini fra loro, mentre è praticamente nulla per protoni/neutroni che non sono vicini (per molto vicini si intendono distanze dell’ordine di 10-14 m). Per questo gli elementi con numero atomico molto grande hanno un numero di neutroni molto maggiore di quello di protoni: quando i protoni di un atomo sono molti è inevitabile che alcuni di essi si trovino a distanze maggiori di quella limite per sentire l’effetto dell’interazione nucleare forte con gli altri protoni, mentre continuano a sentire quella elettrostatica, che sebbene meno intensa decresce però molto meno con la distanza ed è repulsiva. Un numero maggiore di neutroni consente di tenere tutti insieme i protoni, dando stabilità al nucleo. Allo stesso tempo però un nucleo con numero atomico maggiore di 82 è soggetto a fenomeni di fissione qualora colpito da particelle energetiche (perché non appena i protoni tendono ad allontanarsi reciprocamente in seguito all’urto, la forza elettrostatica repulsiva tende a farli allontanare definitivamente), ed è in grado di produrre energie milioni di volte maggiori rispetto a quelle delle reazioni chimiche quali la combustione. Il materiale più usato per la fissione è l’Uranio. L’Uranio più diffuso in natura è l’isotopo 238U, con 92 protoni e 146 neutroni; quello invece più adatto per la fissione controllata è l’isotopo 235U, con 143 neutroni. Il primo processo da eseguire per realizzare una fissione è arricchire l’Uranio, ossia aumentare la percentuale di 235U a circa il 5% del combustibile totale (Uranio arricchito). A questo punto per iniziare la fissione è sufficiente colpire il nucleo di un atomo 235U con un neutrone sufficientemente energetico per causarne la scissione in due parti e la produzione di altri 2 o 3 neutroni, secondo ad esempio lo schema di reazione mostrato in figura 16: 235U + 1n � 92Kr + 141Ba + 3n + Energia

I neutroni generati dalla fissione andranno poi a colpire altri atomi di 235U, causando altre fissioni e quindi liberando altra energia ed altri neutroni, innescando così una reazione a catena. Nelle bombe atomiche la concentrazione di 235U è molto alta e la reazione a catena non è controllata: si producono in pochi secondi quantità enormi di energia che causano la distruzione e devastazione di enormi superfici (Hiroshima, Figura 17). Nei reattori nucleari, invece, si regola la concentrazione di 235U a poco meno del 5% e si controlla il processo in modo che a ogni fissione corrisponda in genere la produzione di un solo neutrone in grado di far proseguire la reazione. In questo modo, il numero di fissioni per unità di tempo rimane costante, e così l’energia prodotta. La fissione nucleare non produce direttamente CO2, quindi - se si escludono le emissioni legate alle attività di estrazione/lavorazione/confinamento dell’Uranio [20] - dal punto di vista dei gas serra e del riscaldamento globale è una forma di energia che sembrerebbe non dare problemi.

Il vero problema sono invece i prodotti della fissione, che sono elementi più leggeri ma con un numero di neutroni molto più grande di quello effettivamente necessario per dare stabilità ai nuclei dei rispettivi atomi. Questo significa che sono elementi molto radioattivi, che emettono particelle molto energetiche per trasformarsi in atomi più stabili, con un minor

Fig. 17: esempio di esplosione nucleare; nella seconda figura la devastazione della città di Hiroshima dopo l’esplosione della bomba nucleare al termine della Seconda Guerra Mondiale.

Fig. 16: rappresentazione schematica della fissione di un atomo di 235U

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numero di neutroni. Le particelle emesse sono molto dannose per ogni organismo vivente, perché un’esposizione prolungata causa danneggiamenti del DNA, cancro, leucemie ed altre malattie molto gravi. I prodotti più leggeri della fissione (I, St, Kr, Ba, etc.) decadono (cioè smettono di emettere particelle energetiche e quindi di essere dannosi) in tempi fra la decina e il migliaio di anni. La fissione ha però come ulteriore effetto collaterale anche la produzione di un altro elemento più pesante dell’Uranio, non presente in natura, molto tossico e con tempi di decadimento dell’ordine dei 25000 anni: il Plutonio 239 (239Pu): 238U + 1n � 239Pu + 2e-

La fissione di 3 atomi di 235U corrisponde alla formazione di 2 atomi di Plutonio 239. Nelle più moderne centrali nucleari si tenta anche di usare il Plutonio come combustibile, ma l’utilizzo più diffuso nei tempi della guerra fredda è stato quello di realizzare delle armi nucleari di distruzione di massa. Per la verità, il grande sviluppo delle centrali nucleari è coinciso proprio con la guerra fredda e con la corsa agli armamenti nucleari. Infatti, il reattore utilizzato per produrre i materiali destinati alla realizzazione degli armamenti nucleari (Plutonio, Uranio arricchito, etc…) con piccole modifiche poteva essere utilizzato per scaldare l’acqua e quindi generare energia elettrica. Le prime centrali nucleari sono perciò nate come un “sottoprodotto” nel processo di costruzione e realizzazione delle bombe atomiche. Solo in anni più recenti, in paesi come la Francia, in cui il 70% dell’energia elettrica viene prodotta da centrali nucleari, si sono sviluppate tecnologie nucleari il cui scopo primario è quello mirato alla produzione di energia elettrica. Il nesso indissolubile fra centrali nucleari e armamenti atomici di distruzione di massa è però evidente ancora oggi, osservando l’atteggiamento della comunità internazionale, che decide sanzioni contro paesi come l’Iran che intendono realizzare centrali nucleari per la produzione di energia elettrica. Se le centrali nucleari per la produzione di energia elettrica non fossero in relazione con la realizzazione di armamenti nucleari non ci sarebbe motivo per tali sanzioni, in quanto chiaramente ogni paese ha il diritto di costruire sul proprio suolo le centrali elettriche di cui ha bisogno.

Dato che sono necessarie piccole quantità di uranio per produrre quantità d’energia molto elevate, alcuni sostengono che vi sono sufficienti riserve per rispondere al fabbisogno energetico mondiale per qualche centinaio di anni, probabilmente più di quanto possano ancora dare i combustibili fossili. Il vero problema è costituito tuttavia dalle scorie nucleari e dal loro smaltimento, con particolare riferimento al Plutonio: siamo in grado di confinare un elemento che non esiste sulla Terra in modo che non interagisca con l’ambiente circostante per decine di migliaia di anni? Esiste un posto che possiamo definire sicuro per decine di migliaia di anni, indipendentemente da terremoti, meteoriti o altre catastrofi imprevedibili? Siamo sicuri di poter far correre questo rischio alle generazioni future, rischio che in realtà non sappiamo valutare? Se è vero che le scorie prodotte dalle centrali nucleari sono quantitativamente poche rispetto a quelle prodotte dalle altre centrali, sono però enormemente più dannose. Infine, la pericolosità delle centrali nucleari: per quanto progettate con tutti i sistemi di sicurezza, eventi imprevedibili potrebbero causarne malfunzionamenti drammatici, con rischio di esplosioni (Chernobyl) o fuoriuscita di materiali radioattivi fra cui Plutonio (Fukushima – Figura 18) ed effetti devastanti sulla popolazione e l’ambiente, non solo circostante. A questo proposito vanno anche menzionati i potenziali conflitti di interesse: nonostante le istituzioni nazionali e internazionali sulla sicurezza nucleare, solo le aziende elettriche sono effettivamente in grado di controllare e certificare la sicurezza delle loro centrali; se,

Fig. 14: immagine del disastro nucleare di Fukushima, in Giappone, le cui conseguenze a lungo termine sull’uomo e sull’ambiente sono ancora da valutare.

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come spesso accade, l’aspetto economico prende il sopravvento, il rischio che una centrale venga fatta lavorare anche in condizioni limite pur di risultare economicamente più vantaggiosa è estremamente concreto.

In conclusione, sebbene dal punto di vista del problema del Riscaldamento Globale e del fabbisogno energetico le centrali nucleari possano rappresentare una soluzione possibile (non considerando la questione controversa dei costi dell’estrazione dell’uranio e costruzione delle centrali [20]), rimane completamente aperta una questione di responsabilità generazionale: vale la pena di accettare i grandi rischi del nucleare solo per avere più energia con minori emissioni di Carbonio? Vale veramente la pena di risolvere un problema (Riscaldamento Globale) causandone un altro (contaminazione da Plutonio e altri materiali radioattivi) forse altrettanto se non più grave?

La fissione nucleare, come detto all’inizio, non è l’unica opzione nucleare possibile. Un’altra strada è quella della fusione, dove due nuclei più leggeri vengono portati ad unirsi, formando un solo nucleo di un elemento più pesante. Un esempio è quello di far reagire due atomi di deuterio (isotopo 2H dell’idrogeno) per ottenere un atomo di Elio e liberazione di energia: 2H + 2H � 4He + Energia

Tenuto conto che su 65 atomi di idrogeno sulla Terra uno è di deuterio, l’energia prodotta dalla fusione del deuterio contenuto in 1 litro di acqua marina sarebbe pari a quella prodotta dalla combustione di 400 litri di benzina. Questo significa che se fossimo in grado di realizzare in modo controllato la reazione di cui sopra avremmo a disposizione una risorsa energetica che non produce gas serra, in grado di soddisfare il fabbisogno energetico mondiale per i prossimi 300 miliardi di anni! Il problema è che la temperatura d’innesco della reazione è dell’ordine dei milioni di gradi, ed è molto difficile confinare le sostanze reagenti a queste temperature. Attualmente la fusione è utilizzata solo nelle bombe atomiche ad idrogeno. Anche la fusione ha come effetto collaterale la produzione di materiali di scarto radioattivi ma ad un livello un migliaio di volte inferiore a quello della fissione e, soprattutto, non produce Plutonio. I prodotti di scarto della fusione sarebbero quindi molto più facili da gestire rispetto a quelli della fissione.

Supponendo che un giorno si riescano a sviluppare centrali elettriche nucleari a fusione avremmo allora una fonte di energia inesauribile e a costo quasi nullo. Cosa potrebbe accadere? Costando ancora meno, aumenterebbe lo spreco di energia; aumenterebbe la produzione di prodotti e servizi, il consumismo e il conseguente depauperamento delle risorse della Terra necessarie per produrre quei beni/servizi. In sostanza aumenterebbe a dismisura il consumo di energia da parte dell’uomo. Ce ne dovremmo preoccupare? In apparenza no, perché non stiamo producendo gas serra, siamo riusciti a svincolare il problema della produzione di energia da quello della produzione di gas serra.

Avremmo però due problemi: una produzione smisurata di rifiuti e l’esaurimento delle risorse. Un esempio di quello che potrebbe accadere è descritto nel toccante film WALL-E, dove un’umanità ormai schiava della tecnologia che essa stessa ha creato è costretta a vagare nello spazio a bordo di un’astronave in quanto la Terra è diventata inabitabile [21]. Inoltre potrebbe anche succedere che la quantità di energia consumata dall’uomo aumenti così tanto che diventi una frazione significativa di quella solare incidente sulla Terra (attualmente noi stiamo consumando una frazione trascurabile dell’energia totale incidente sul Pianeta, che è quella solare). Se ciò accade, si avrebbe un effetto di Riscaldamento Globale non dovuto alla produzione di gas serra ma dovuto al fatto che si sta direttamente aumentato il contributo di energia entrante nel bilancio energetico che determina la temperatura media della Terra.

È veramente auspicabile una risorsa energetica illimitata, gratis, a zero emissioni che non sia già parte di quella solare incidente? O non è piuttosto necessario cominciare a pensare in modo critico a dove l’attuale modello di sviluppo economico dell’aumento indefinito del PIL ci porterà? Non è giunto il momento di abbandonare il sogno di una ricchezza infinita per tutti (che per assurdo ci sta portando a crisi economiche, climatiche, energetiche e a una sempre maggior diseguaglianza nella

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distribuzione della ricchezza) e cominciare a mettere i piedi per terra e ragionare in termini di sostenibilità?

FONTI ENERGETICHE RINNOVABILI

Una fonte energetica “alternativa” indica semplicemente una fonte energetica non basata sui combustibili fossili (alternativa ai combustibili fossili). Pertanto anche il nucleare è una fonte energetica alternativa. Per “rinnovabile” si intende invece una risorsa energetica inesauribile nel tempo perché in grado di rigenerarsi durante il suo utilizzo. Le risorse energetiche sinora analizzate, per quanto possano durare ancora molti anni, non sono però infinite, perché la Terra è finita, e prima o poi continuando a estrarre petrolio e uranio dal sottosuolo questi si esauriranno. Forse potranno durare ancora 100 o 200 anni, ma prima o poi finiranno e bisogna pensare al dopo. Dopo cosa utilizzeremo come fonte energetica? Le fonti rinnovabili dovrebbero invece essere inesauribili, anche se vedremo che non è sempre così. Inoltre si associa spesso alle fonti energetiche rinnovabili anche l’idea che siano pulite, cioè non producano emissioni di CO2 e non producano un impatto ambientale. Anche questa implicazione non sempre è vera, e va verificata caso per caso. La verità è che ogni fonte energetica ha un qualche impatto ambientale che va valutato e tenuto in considerazione quando si fanno le scelte energetiche locali e nazionali. Questo per ribadire che la soluzione migliore di tutte è sempre quella del risparmio ed efficienza energetica, unica “fonte” di energia a reale impatto zero [22].

FONTI ENERGETICHE RINNOVABILI:

ENERGIA DALLE MAREE

Le maree sono dovute alla forza di attrazione gravitazionale fra la Terra e la Luna. Dove le maree sono sufficientemente alte si possono realizzare dighe in grado di raccogliere le variazioni del livello delle acque marine per ricavarne energia elettrica, sia quando la marea sale sia quando essa scende. Questa risorsa è rinnovabile, ma presenta due problemi:

� anche se fossimo in grado di utilizzare tutta l’energia associata a tale fenomeno, essa rappresenta solo lo 0,002% dell’energia totale incidente sul nostro Pianeta e non sarebbe sufficiente a soddisfare il fabbisogno energetico umano;

� sono pochi i siti della Terra ove le maree sono sufficientemente alte e nei quali risulta perciò conveniente utilizzare tale risorsa energetica; e in questi pochi casi si provoca un impatto ambientale irreversibile nei confronti dell’ecosistema marino locale.

Infatti, molti siti dove risulta conveniente sfruttare tale risorsa energetica coincidono con gli estuari di grossi fiumi, che sono anche le zone dove molti pesci del mare vanno a riprodursi. La costruzione di una diga per lo sfruttamento dell’energia delle

maree provoca quindi conseguenze ecologiche da valutare attentamente.

In conclusione tale risorsa può essere sfruttata in qualche sito fatte le opportune valutazioni di impatto ambientale, ma può fornire solo una frazione trascurabile dell’energia totale di cui abbiamo bisogno e non rappresenta quindi la soluzione al problema del Riscaldamento Globale.

Fig. 19: schema del sistema per ricavare energia elettrica dalle maree

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FONTI ENERGETICHE RINNOVABILI:

ENERGIA GEOTERMICA

Le rocce della crosta terrestre sono buoni isolanti termici, facendo sì che la superficie terrestre non avverta le temperature dell’interno della Terra stessa, ove è presente un magma fluido molto caldo. Nei punti della Terra dove il magma è vicino alla superficie si potrebbe sfruttare il calore che arriva per realizzare una centrale termoelettrica a energia geotermica. Le centrali di tale tipo più convenienti sono quelle dove dalla crosta terrestre esce direttamente il vapore secco (cioè senza particelle di acqua in forma liquida), utilizzabile direttamente per far ruotare la turbina di un generatore elettrico. Meno convenienti sono quelle dove si estraggono dalla terra liquidi caldi utilizzati per far bollire l’acqua e generare vapore che fa ruotare la turbina del generatore. Infatti, mescolati a tali liquidi si trovano molti elementi corrosivi e/o tossici (come il solfuro di diidrogeno, H2S), inquinanti e dannosi per la salute, col rischio alto di inquinamento dell’aria e delle falde acquifere. Inoltre il terreno può diventare instabile e franare a seguito dell’estrazione di liquidi dal sottosuolo.

In totale l’energia geotermica rappresenta lo 0,02% dell’energia totale incidente sulla Terra e in alcune parti del mondo (es.: California) l’energia geo-termoelettrica rappresenta circa l’1% dell’energia elettrica totale prodotta. A differenza di quanto comunemente si pensa, non è però una risorsa energetica rinnovabile nel senso letterale del termine: infatti, il calore viene estratto dal sottosuolo ad una velocità maggiore di quella con cui il magma è in grado di trasmetterlo in superficie. Questo significa che nel giro di una settantina di anni le centrali elettriche geotermiche tenderanno ad esaurire i rispettivi giacimenti.

Un altro aspetto negativo è che i luoghi dove l’energia geotermica è più facilmente sfruttabile sono anche luoghi

di grande importanza naturalistica e turistica (la Rain Forest nello Yellowstone Park, ad esempio). La soluzione ideale sarebbe utilizzare una tecnologia in grado di scavare e cercare l’energia geotermica a profondità maggiori in luoghi con minor o nessuna importanza naturalistica: in questo caso si potrebbero realizzare molte più centrali geotermiche che potrebbero dare un contributo significativo al fabbisogno energetico mondiale, sebbene non sufficiente. Lo svantaggio starebbe nel maggior costo economico di tali centrali.

FONTI ENERGETICHE RINNOVABILI SOLARI INDIRETTE:

ENERGIA IDROELETTRICA

Le centrali idroelettriche sono state il primo tipo di centrali elettriche ideate dall’uomo: ovunque sia presente una cascata naturale o artificiale si può sfruttare direttamente il moto dell’acqua che cade per far ruotare la turbina di un generatore elettrico e ricavare così energia elettrica. L’impatto ambientale di tale fonte di energia è minimo dove si sfruttano cascate naturali: il problema è solo quello di realizzare la centrale in modo da non alterare l’ambiente naturale. Diverso è invece l’impatto ambientale nel caso di cascate artificiali: in questo caso è necessario costruire una diga che provoca effetti negativi sia

Fig. 19: esempio di centrale geotermica

Fig. 21: esempio di centrale idroelettrica.

Fig. 20: esempio di centrale geotermica. Se provvista degli opportuni sistemi di controllo il fumo prodotto dalla centrale è vapore acqueo.

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sull’ecosistema sia sul paesaggio. Di sicuro la fonte idroelettrica presenta il vantaggio di non immettere CO2 in atmosfera e gli impianti di conversione sono molto efficienti, poiché la trasformazione dell’energia meccanica dell’acqua in energia elettrica avviene con perdite molto basse. A differenza delle centrali termoelettriche, dove per ogni kWh di energia elettrica prodotta, 2kWh sono liberati nell’ambiente sotto forma di calore (rendimento intorno al 33%), nel caso delle centrali idroelettriche i rendimenti si attestano intorno all’80-90%.

È una fonte di energia rinnovabile? In parte sì, perché l’energia necessaria per mantenere il ciclo dell’acqua viene dal Sole (è il 20% la quota di energia solare incidente responsabile del ciclo dell’acqua) ed ha quindi una durata infinita. Il problema è che le dighe non hanno durata infinita: i fiumi trasportano infatti detriti che si depositano col tempo sul fondo del lago formato dalla diga. Questo significa che il bacino della diga tende col tempo a divenire meno capiente, la quantità totale di acqua e quindi la capacità della diga diminuiscono nel tempo e così l’energia elettrica totale prodotta. Dopo un tempo dell’ordine del centinaio di anni in genere le dighe divengono inutilizzabili per la produzione di energia elettrica. Inoltre non è completamente benigna come fonte di energia: la rottura di una diga o, come è accaduto per il Vajont in Veneto nel 1963, un particolare evento franoso nelle montagne circostanti l’invaso, può causare migliaia di morti e la distruzione per inondazione di interi paesi [23]. Attualmente l’idroelettrico soddisfa il 6% del fabbisogno mondiale di energia elettrica, una frazione non certo trascurabile. In alcuni paesi il suo apporto è molto più alto: in Italia copre da sola circa il 12,3% del fabbisogno elettrico totale, percentuale che sale al 26% - dato del 2012 – se consideriamo il contributo complessivo di tutte le fonti rinnovabili alla generazione di elettricità; in tal modo è possibile produrre in modo ecologico una frazione molto importante del nostro fabbisogno energetico. Non è però la soluzione al problema del Riscaldamento Globale, perché nei paesi sviluppati è ormai completamente sfruttata ed è molto difficile trovare nuovi siti dove poter costruire altre centrali idroelettriche.

Le centrali elettriche a pompaggio presenti in Italia non sono da annoverare fra le fonti energetiche rinnovabili, sebbene in apparenza funzionino esattamente come una centrale idroelettrica. Il motivo è che il bacino ad alta quota da cui si ricava la cascata artificiale che aziona le turbine non viene riempito d’acqua da un fiume o dalle piogge sfruttando l’energia del Sole attraverso il ciclo dell’acqua, ma viene riempito da pompe azionate con energia elettrica.

Da un punto di vista energetico e ambientale le centrali a pompaggio non avrebbero alcuna utilità: l’energia elettrica che se ne ricava è molta meno di quella che è stata spesa per trasferire l’acqua nel bacino ad alta quota! La loro esistenza è dovuta semplicemente a ragioni economiche: di notte la richiesta di energia elettrica è molto minore di quella diurna; di conseguenza c’è un surplus di energia elettrica in rete che rimane inutilizzato. Piuttosto che non utilizzarlo, può risultare conveniente azionare le pompe delle centrali a pompaggio e riempire il loro bacino idrico. Poi, di giorno, quando la richiesta di energia elettrica è maggiore, l’acqua del bacino così riempito viene fatta cadere in modo da mettere in moto la turbina del generatore elettrico e fornire il suo contributo di energia. Da un punto di vista energetico le centrali a pompaggio fungono da accumulatori di energia: quando in rete c’è più potenza del necessario possono sfruttare il surplus e accumularlo sotto forma di energia potenziale dell’acqua nel bacino artificiale. Quando invece c’è poca potenza in rete possono essere azionate per fornire il contributo di energia potenziale gravitazionale in esse accumulato. In Italia forniscono lo 0,2% dell’energia totale e il motivo reale per cui sono nate è dato dal fatto che il costo dell’energia elettrica di notte è molto basso a causa del surplus di potenza prodotto dalle centrali nucleari presenti in Francia, che funzionano sempre a pieno regime (un altro dei difetti delle centrali nucleari è che funzionano sempre a pieno regime, non si possono regolare). Risulta conveniente quindi acquistare qualche MWh di nucleare di notte a 5 c/kWh per riempire i bacini delle centrali a pompaggio per poi liberare di giorno magari solo la metà dell’energia utilizzata ad un prezzo però di 20 c/kWh (molto più del doppio di quello speso). In conclusione, da un punto di vista energetico e ambientale le centrali a pompaggio hanno senso se utilizzate come accumulatori: piuttosto che buttare l’eventuale surplus di potenza in rete che rimarrebbe

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inutilizzato, lo si può usare per riempire i bacini di tali centrali. La loro efficienza come accumulatori è però molto bassa: nella prospettiva di una rete elettrica intelligente, ove siano presenti elementi di accumulo dell’energia, sono necessarie delle batterie, che hanno tempi di risposta molto più veloci e sono molto più efficienti ad accumulare i surplus di energia prodotta.

FONTI ENERGETICHE RINNOVABILI SOLARI INDIRETTE:

ENERGIA EOLICA

Abbiamo visto che circa l’1% dell’energia solare incidente sulla Terra si trasforma in energia eolica. Questa energia veniva già sfruttata dall’uomo qualche secolo fa con i mulini a vento, per macinare la farina. Oggi può essere sfruttata per generare direttamente energia elettrica tramite le pale eoliche. L’energia meccanica legata al movimento dell’aria muove le pale, che azionano la turbina del generatore elettrico. L’efficienza di estrazione è limitata dalla Legge di Betz, secondo la quale si può convertire meno di 16/27 (o 59,3%) dell’energia cinetica del vento in energia meccanica usando una turbina eolica. Di fatto viene posto un limite al rendimento complessivo del sistema vento - pala eolica - generatore. Oggi i migliori generatori eolici in condizioni ottimali hanno rendimenti fra il 40% e il 50%. Pur se il rendimento non è elevatissimo l’eolico rimane una fra le migliori forme di energia rinnovabile ed è potenzialmente in grado di fornire enormi quantità di energia pulita. L’energia eolica può essere sfruttata sia su piccola scala (singola pala da 3kW per uso domestico) sia per realizzare centrali eoliche (Wind Farm) con ad esempio 100 pale da 100 kW in grado di produrre 10 MW.

L’energia eolica, derivando da quella solare, è rinnovabile e non inquinante. I problemi principali sono: alterazione del paesaggio, impatto sull’avifauna, occupazione di vaste aree naturali (spesso in ambienti montani incontaminati, ove si misurano elevate velocità del vento) con imponenti sbancamenti e scavi per costruire le strade di accesso e realizzare le fondamenta per le torri, che devono essere sufficientemente alte per generare la massima potenza. Il problema relativo all’avifauna riguarda la possibilità che le pale possano uccidere i volatili (in particolare i rapaci e i pipistrelli) che abitano o attraversano durante le migrazioni le zone ove vengono installate.

Il problema dell’utilizzo di vaste aree per la costruzione di centrali di sufficiente potenza è legato al fatto che le pale vanno installate a distanze minime di parecchi metri l’una dall’altra, in modo da evitare che, con la turbolenza creata da ciascuna elica, queste si sottraggano l’energia l’una con l’altra. Per installare numerose pale e realizzare una centrale eolica servono quindi aree di vaste dimensioni che dovranno essere scelte con grande attenzione e rispetto del contesto ambientale. Un aspetto positivo è che il terreno al di sotto delle pale può essere utilizzato come pascolo, attività agricole o altro e che, comunque, si possono sempre valutare impianti di dimensioni più piccole e sostenibili. Un altro impatto ambientale da considerare è poi quello dell’inquinamento acustico

Fig. 22: esempi di centrali eoliche costruite in collina e in mare.

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Fig. 23: esempio di centrale a biomasse.

delle pale. Spesso, per risolvere questo tipo di problematiche, risulta conveniente installare le pale nei mari, in prossimità delle coste.

Infine, citiamo il problema della continuità di tale fonte energetica, che dipende dalla forza dei venti che può variare nel tempo. I casi estremi sono quelli in cui può venire a mancare il vento e quindi non si ha generazione di energia elettrica oppure in cui può esserci troppo vento: in questo caso la pala eolica viene bloccata per prevenire problemi di stabilità della struttura e di conseguenza nuovamente non si ha generazione di energia elettrica. In realtà, in molte zone della Terra la variabilità dei venti non è così estrema come la variazione di luce solare fra notte e giorno, e si tratta di gestire le differenze nella produzione di energia da stagione a stagione; inoltre, si possono utilizzare batterie o altri sistemi di produzione di energia (sistemi ibridi) per sopperire alle inevitabili variazioni nella produzione di energia eolica. In sostanza, i problemi legati all’eolico vanno tenuti in conto ma sembrano superabili con compromessi più ragionevoli rispetto al problema della gestione del Plutonio o a quello del Riscaldamento Globale.

Resta da verificare se c’è abbastanza energia eolica. Con una tecnologia che sfrutta i venti, misurati secondo la scala dell’intensità del vento di Beaufort di classe fra la 5 e la 7 (ovvero tra i 28,6km/h e 61,7 km/h cioè quelli più forti) si può coprire negli Stati Uniti una frazione molto importante (fra il 20 e il 50%) della produzione totale di energia elettrica. Con tecnologie più evolute in grado di sfruttare i venti in classe fra la 3 e la 5 (tra i 12,2km/h e i 38,8km/h) si può arrivare a coprire l’intero fabbisogno elettrico degli Stati Uniti. Il costo della produzione dell’energia eolica, incluso quello di manutenzione delle pale e del sistema elettronico per la generazione dell’energia, è ancora maggiore rispetto quello delle centrali a combustibili fossili, ma solo perché non si tiene conto del costo nascosto del Riscaldamento Globale. In conclusione, la fonte eolica ha un grosso potenziale dal punto di vista della produzione di energia elettrica pulita, che andrebbe incentivato in modo adeguato e stabile - privilegiando i progetti a minimo impatto - dalle politiche energetiche di tutti i paesi.

FONTI ENERGETICHE RINNOVABILI SOLARI INDIRETTE:

LE BIOMASSE

La prima forma di energia usata dall’uomo per scaldarsi e per cucinare, il calore emesso dalla legna che brucia, va annoverata fra le biomasse. Infatti con biomasse si considerano tutti quei materiali, in genere organici, bruciando i quali si può ricavare energia: legna, torba, scarti agricoli e rifiuti organici domestici. Particolarmente interessanti sono poi alcuni processi chimici attraverso i quali si possono ricavare carburanti liquidi per le automobili, ad esempio dall’olio di frittura degli alimenti. Le biomasse sono in pratica le generatrici dei combustibili fossili: una volta sotterrate, nel corso di centinaia di migliaia di anni subiscono trasformazioni sino a diventare carbone, petrolio e/o gas naturale. Come i combustibili fossili, anche le biomasse sono una fonte di energia di tipo solare indiretto, in quanto l’energia liberata dalla loro combustione non è altro che parte dell’energia solare che hanno assorbito durante la loro vita. Al pari dei combustibili fossili, la combustione delle biomasse libera CO2 nell’aria ed altri inquinanti e quindi non fornisce alcun vantaggio in termini di

Riscaldamento Globale. Solo l’utilizzo delle biomasse che in ogni caso verrebbero disperse nell’ambiente sotto forma di rifiuti può essere vantaggioso per ridurre l’effetto serra: in questo caso, infatti, si tratta di materiale che col tempo si degraderebbe, liberando comunque il proprio potenziale di Carbonio (ad esempio trasformandosi in metano, potente gas serra): tanto vale quindi convertirlo in combustibile, il più possibile pulito, per ricavarne energia. In questo caso si parla di un utilizzo sostenibile

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delle biomasse, che può dare un contributo utile e a impatto ambientale nullo (perché non altera il ciclo del Carbonio) al fabbisogno energetico. Non è certo sostenibile invece la deforestazione su larga scala per ricavare legna da ardere (deforestazione che produce peraltro un doppio impatto negativo sul Riscaldamento Globale, perché da un lato produce CO2 dalla combustione della legna e dall’altro riduce il numero di alberi in grado di trasformare la CO2 in ossigeno attraverso la fotosintesi) o le coltivazioni su larga scala per ricavare carburanti liquidi (olio di palma, olio di semi vari), molto discutibili anche eticamente, visto che quelle coltivazioni potrebbero essere utilizzate per produrre cibo per le zone del mondo in cui si muore ancora di fame piuttosto che carburante per le nostre auto o le nostre centrali a biomasse [24].

In generale, quindi, le biomasse che in ogni caso andrebbero smaltite nell’ambiente come rifiuti agro-forestali possono essere utili sia per la produzione di energia elettrica (in centrali che bruciano la legna derivata dalla gestione delle foreste) che di carburanti per le automobili (derivati ad esempio dall’olio di frittura degli alimenti); viceversa, l’utilizzo su larga scala di tale fonte energetica causerebbe problemi quali la distruzione di ecosistemi, l’estinzione di specie animali, la perdita di biodiversità e non fornirebbe in ultima analisi alcun vantaggio rispetto all’attuale uso dei combustibili fossili.

FONTI ENERGETICHE RINNOVABILI SOLARI INDIRETTE:

L’ENERGIA TERMICA DEGLI OCEANI

La differenza fra la temperatura superficiale dell’oceano ai Tropici e le acque più profonde è di circa 20°C: tale differenza di temperatura è sufficiente ad azionare una macchina termica in grado di produrre energia elettrica attraverso un ciclo termodinamico (figura 24). Data la bassa differenza di temperatura fra le acque superficiali e quelle profonde, l’efficienza massima di tali macchine termiche è dell’ordine del 6-7%. Inoltre la loro realizzazione sarebbe possibile con relativa facilità solo nelle isole tropicali, mentre su larga scala comporterebbe la costruzione di piattaforme su ampie aree dell’oceano e la realizzazione di cavi per il trasporto dell’energia elettrica generata, con conseguenze tutte da valutare sull’ecosistema marino. Al momento questa opzione non sembra quindi praticabile per risolvere il problema del Riscaldamento Globale.

FONTI ENERGETICHE RINNOVABILI SOLARI DIRETTE

Passiamo ora alle fonti di energia solare diretta, quelle cioè che sfruttano direttamente la luce solare e l’energia ad essa associata. Innanzitutto abbiamo già detto come il 99,98% dell’energia totale incidente sulla Terra sia energia solare. Sarebbe sufficiente questa energia per soddisfare i nostri bisogni? La risposta è assolutamente sì: ne arriva una quantità pari a circa 10.000 volte quella necessaria al fabbisogno dell’uomo. Il problema è che è diffusa su tutta la Terra (mediamente 240

Fig. 24: schema di principio per l’utilizzo dell’energia termica degli oceani (OTEC=Ocean Thermal Energy Conversion) ed esempio di centrale elettrica OTEC nelle isole Hawaii.

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W/m2) ed è quindi difficile da utilizzare per realizzare centrali elettriche. Ma non è impossibile. Per dare un’idea, si pensi che basterebbe coprire un’area pari al 4% del deserto dello stato del New Mexico con pannelli fotovoltaici aventi efficienza del 20% per fornire tutta l’energia elettrica di cui hanno bisogno gli Stati Uniti. Un’altra comune obiezione è che l’energia solare varia molto da zona a zona della Terra e da giorno a notte. In realtà le variazioni di energia solare da zona a zona della Terra non sono molto elevate: fra le zone con massima energia solare incidente e quelle con minima energia solare incidente vi è una differenza di circa un fattore 3. Anche quando è nuvoloso, la quantità di energia solare incidente non è trascurabile. Per quanto riguarda le variazioni fra giorno e notte è necessario predisporre sistemi di accumulo dell’energia e/o altre fonti in grado di far fronte alle richieste energetiche quando la produzione da energia solare non è più possibile. D’altra parte di notte è anche molto minore il fabbisogno energetico, fatto che quindi non rende così sconveniente l’uso dell’energia solare.

FONTI ENERGETICHE RINNOVABILI SOLARI DIRETTE:

SOLARE TERMODINAMICO

Il principio che si sfrutta è quello del riscaldamento diretto di un liquido da parte dei raggi solari con l’obiettivo non di scaldare l’acqua (come si fa nel caso dei pannelli termici montati sui tetti delle case per la produzione di acqua calda sanitaria) ma di portarla ad ebollizione e surriscaldare il vapore fino a 550°C, in modo da generare un flusso di vapore acqueo che azioni con sufficiente potenza le turbine di un generatore elettrico. Si parla quindi sempre di centrali termoelettriche, ma di tipo solare in quanto l’energia per portare ad ebollizione l’acqua e generare vapore è quella radiante del sole. Tali tipi di centrale possono essere a torre o ricoprire una vasta area di terreno. Nelle centrali a torre, l’acqua è contenuta in un serbatoio all’interno della torre e i raggi solari sono focalizzati tutti all’interno della torre con un sistema di specchi riflettenti in grado di raccogliere e concentrare l’energia solare tutta in un punto (figura 25). Nell’altro tipo di centrali invece gli specchi sono a forma semicilindrica e focalizzano l’energia solare incidente sempre al centro dove passa un tubo contenente un liquido ad elevata capacità termica (in genere non solo acqua, ma sali fusi) che viene poi utilizzato per generare il vapore utilizzato per far ruotare la turbina.

Trattandosi sempre di centrali termoelettriche, l’efficienza è inferiore al 33%, nel senso che per ogni kWh elettrico generato sono stati utilizzati più di 3kWh di energia solare incidente. In questo caso, però, non viene immessa CO2 in atmosfera e si utilizza un flusso di energia che andrebbe comunque disperso (i 3 kWh di energia solare incidente sarebbero stati assorbiti dalla superficie terrestre e riemessi sotto forma di radiazione infrarossa). Non si produce quindi alcun impatto ambientale, se non quello dell’occupazione delle vaste aree necessarie per realizzare centrali aventi sufficiente potenza. In ogni caso, come per tutte le centrali elettriche solari vi è una grossa variabilità nella produzione di energia elettrica nell’arco della giornata e da giorno a giorno: di notte non vi è produzione di energia elettrica, nelle giornate nuvolose la produzione è molto minore. Per ovviare a

Fig. 25: i due diversi tipi di centrali solari termodinamiche. In Italia ne è stata inaugurata recentemente una a specchi parabolici a Priolo, in Sicilia, su progetto del fisico italiano Carlo Rubbia [25].

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tali problemi di solito si adottano soluzioni ibride ove a fianco della centrale solare troviamo sistemi di accumulo dell’energia e generatori a combustibile in grado di garantire la generazione di energia elettrica per un periodo limitato di tempo anche in assenza di irraggiamento solare. Le centrali termoelettriche solari sono più costose di quelle a combustibili fossili, ma sempre per il motivo che non si tengono in debito conto i costi del Riscaldamento Globale e dell’inquinamento ambientale. Un cambiamento di ottica può avere luogo solo se comincia a diffondersi l’idea che convenga investire un po’ di denaro in più ora per lasciare alle generazioni future meno problemi e meno costi. Ma queste sono decisioni politiche che difficilmente potranno essere adottate sino a che i governi dei vari paesi saranno guidati in misura prevalente da interessi economici (PIL) e non terranno in conto i costi nascosti dell’inquinamento e del degrado ambientale legati alla produzione di beni e servizi. Le stesse aziende energetiche sono valutate sulla base del risultato economico e i loro amministratori e manager sono premiati in base alla sola capacità di creare profitto. In questo scenario non ci si può aspettare alcuna inversione di tendenza, almeno sino a che le soluzioni rinnovabili non diverranno convenienti dal punto di vista economico rispetto quelle convenzionali. Il ruolo della politica dovrebbe essere quello di portare avanti i principi enunciati con il protocollo di Kyoto e il pacchetto Clima-Energia 20-20-20 cominciando a tassare le emissioni in modo che divenga anche economicamente più conveniente utilizzare risorse a impatto zero sull’ambiente. In questo modo risulterebbe economicamente conveniente investire nelle energie pulite. Qualcosa si sta già facendo in questa direzione col sistema delle certificazioni, ma si potrebbe fare molto di più.

FONTI ENERGETICHE RINNOVABILI SOLARI DIRETTE:

SOLARE FOTOVOLTAICO

I pannelli fotovoltaici sono dispositivi a semiconduttore in grado di convertire la luce solare incidente direttamente in corrente elettrica continua. Il più semplice tipo di pannello fotovoltaico è costituito da tante giunzioni p-n (diodi) collegati fra loro in serie e parallelo in modo da produrre la potenza richiesta. Il principio di funzionamento è il seguente: i fotoni incidenti, urtando gli elettroni nella banda di valenza del semiconduttore, cedono a questi ultimi l’energia sufficiente per passare in banda di conduzione e quindi generare una corrente elettrica. La tecnologia per la realizzazione dei pannelli fotovoltaici è quindi fondamentalmente la stessa dei circuiti integrati. Anzi, i processi produttivi sono molto più semplici. Il problema è che le aree di silicio (semiconduttore) richieste per la produzione di energia elettrica sono enormi rispetto quella di un chip (circuito integrato) e quindi è molto più conveniente produrre chip piuttosto che pannelli fotovoltaici.

Infatti, l’efficienza elettrica dei pannelli fotovoltaici si aggira fra il 10 e il 20% (cioè al massimo solo un quinto dell’energia solare incidente viene convertito in energia elettrica) per cui sono necessarie aree molto grandi di semiconduttore per generare una sufficiente quantità di energia

elettrica. Questo rende i costi di tale tecnologia ancora alti, nonostante la possibilità di sfruttare le economie di scala delle attuali aziende di semiconduttori [26]. La ricerca va avanti in varie direzioni per cercare di migliorare l’efficienza dei pannelli fotovoltaici e permettere quindi un abbassamento dei costi: dai sistemi di orientamento dei pannelli in modo che seguano sempre la luce del sole, a sistemi di controllo del punto di polarizzazione delle celle in modo che

lavorino sempre nella regione di funzionamento a massima efficienza (MPPT – Maximum Power Point Tracking), ai sistemi di concentrazione che focalizzano la luce solare diffusa sulla superficie del pannello, sino alla ricerca di nuovi materiali che permettano di ottenere rendimenti maggiori e/o realizzare i pannelli con tecnologie meno costose. Nonostante questi problemi, i pannelli

Fig. 26: esempio di centrale elettrica fotovoltaica da 70 MW realizzata in Italia.

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fotovoltaici trovano già molte applicazioni: alimentazione degli orologi, calcolatrici, satelliti, e per la generazione della corrente elettrica in luoghi remoti dove non è presente la rete elettrica (applicazioni off-grid). Stanno prendendo sempre più piede, grazie agli incentivi statali, anche le applicazioni grid-connected, in cui si installano i pannelli fotovoltaici sui tetti delle case per la generazione di energia elettrica ad uso domestico. Nel caso in cui l’energia elettrica prodotta dai pannelli sia in eccesso rispetto al fabbisogno domestico, questa viene poi ridistribuita in rete tramite opportuni dispositivi elettronici (gli inverter).

Per quanto riguarda le centrali elettriche fotovoltaiche (figura 26), con un totale di circa 1,4 ettari di pannelli fotovoltaici si può produrre attualmente circa 1MW di potenza elettrica [27]. A tal proposito abbiamo già accennato come, ricoprendo il 4% della superficie del deserto dello stato del New Mexico di pannelli fotovoltaici con efficienza del 20%, si possa fornire tutto il fabbisogno di energia elettrica degli Stati Uniti (giorno e notte compresi). Ovviamente vanno individuati dei modi sicuri ed efficienti per immagazzinare l’energia in modo da poterla fornire anche di notte, quando la centrale non è in grado di produrre energia elettrica (batterie ad alta capacità o sistemi di generazione ibridi). Per quanto riguarda l’impatto ambientale, i pannelli fotovoltaici non producono gas serra e quindi non contribuiscono al Riscaldamento Globale. Vanno però smaltiti al pari di tutti gli oggetti elettronici perché, come i comuni circuiti integrati, possono contenere elementi chimici molto tossici (Arsenico, Cadmio) a seconda dei processi produttivi utilizzati per modificare le proprietà conduttive del semiconduttore di cui sono composti. Per fare un esempio pratico, vanno smaltiti come i televisori, cioè attraverso una raccolta differenziata, per evitare che vengano bruciati rilasciando il loro contenuto di elementi chimici tossici.

Infine, come per le biomasse, risulta inutile e dannoso l’utilizzo di terreni agricoli o incolti per realizzare centrali fotovoltaiche: gli incentivi sono positivi ma andrebbero mirati ove sono effettivamente utili: sui tetti delle case e dei capannoni industriali e nelle aree già impermeabilizzate da cemento e asfalto, ove le centrali fotovoltaiche non sottraggono suolo fertile o spazio all’ecosistema, in base ad una pianificazione delle esigenze energetiche accurata ed intelligente.

Uno dei grossi vantaggi dei pannelli fotovoltaici è che possono essere veramente una fonte di energia locale che può essere integrata in rete: se ognuno di noi avesse nel tetto della propria casa un pannello fotovoltaico e nel proprio garage una macchina elettrica ci accorgeremmo che globalmente la città nel suo complesso non avrebbe quasi bisogno di centrali elettriche esterne e avrebbe un’impronta ecologica molto bassa legata sostanzialmente al solo gas per il riscaldamento (ma anche a questo si potrebbe ovviare utilizzando le pompe di calore). D’altronde grazie agli incentivi, ora purtroppo molto scarsi a causa della crisi economica, la somma delle potenze installate sui tetti delle case negli ultimi due anni in Italia ha raggiunto la quantità di quasi 2GW, ossia l’equivalente di quasi due centrali nucleari! Questo a ulteriore dimostrazione di come il piccolo contributo di tutti, su grande scala, porta a cambiamenti significativi e di come un’oculata politica di incentivi – sui tetti e non sui terreni agricoli – porti anche a dei benefici sostanziali per la collettività – visto che due centrali nucleari si costruiscono in dieci anni e richiedono una spesa di denaro pubblico di gran lunga maggiore di quella degli incentivi per il fotovoltaico.

In definitiva, tanto il solare fotovoltaico quanto il solare termodinamico presentano come unico svantaggio quello del costo e dell’occupazione di superficie. Lasciando che sia il mercato a decidere, la diffusione di centrali elettriche solari fotovoltaiche o termodinamiche avverrà solo quando queste saranno economicamente convenienti. I governi di tutti gli stati dovrebbero riflettere se valga la pena spendere 4/5 volte di più ora piuttosto che preoccuparsi della crescita economica a breve termine, basata su un inquinamento atmosferico che potrebbe presentare un costo salatissimo per il futuro. Qualche paese molto importante in Europa, fra cui la Germania, si sta già muovendo con grande determinazione in questa direzione.

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RISPARMIO ENERGETICO NEGLI EDIFICI1 Più del 30% circa delle emissioni clima alteranti delle zone urbane è legato al riscaldamento (e in minor misura al raffrescamento) degli edifici. Agire per ridurre i consumi in questa direzione significa quindi contribuire in modo molto significiativo alla riduzione delle emissioni e dell’inquinamento (dell’impronta ecologica) dei centri urbani. L’energia solare può essere direttamente sfruttata per progettare edifici che minimizzino l’uso di energia elettrica per l’illuminazione ed energia termica per il riscaldamento. Oltre al sole come fonte energetica diretta per il risparmio di energia negli edifici, vi sono molte altre tecnologie già mature ed attuabili sia per gli edifici di nuova costruzione sia per le ristrutturazioni di quelli già esistenti. Quindi perché non si utilizzano queste tecnologie? Vediamo di distinguere la situazione per le nuove costruzioni rispetto quelle già esistenti.

RISPARMIO ENERGETICO NEGLI EDIFICI DI NUOVA COSTRUZIONE

In Italia con il D. Lgs. n. 28 del 03/03/2011 ("decreto rinnovabili" - attuazione della Direttiva Europea 2009/28/CE) è diventato obbligatorio riportare l'indice di prestazione energetica negli annunci immobiliari con trasferimento a titolo oneroso, dove per annuncio si intende la pubblicazione dell'offerta attraverso qualsiasi forma pubblicitaria e di comunicazione (cartelli pubblicitari, cartacea, internet, spot televisivi...). L'aspetto rilevante del decreto riguarda proprio l'obbligo di riportare non tanto la classe Energetica, rappresentata da un lettera che va da A+ (la migliore) fino a G (la peggiore) e che esprime, in maniera chiara ed intuitiva, anche per i non addetti ai lavori, la qualità energetica dell'edificio o dell'unità immobiliare, quanto invece, l'indice di prestazione energetica, un valore numerico che dà indicazioni molto più precise sul reale consumo e sulle reali prestazioni energetiche dell'edificio. Come per la classe energetica, anche l'indice

di prestazione energetica va letto direttamente nell'ACE (Attestato di Certificazione Energetica).

Di fatto, in questo modo, viene richiesto di riportare esplicitamente il consumo energetico di un edificio o unità immobiliare necessario per mantenere gli ambienti interni a temperatura di 20 gradi. Le implicazioni sono forti ed importanti. Richiedendo infatti obbligatoriamente non più la classe Energetica ma l'indice di prestazione energetica, misurato in kWh/m2, il legislatore obbliga, nei casi prescritti, la stesura di un calcolo termotecnico per quantificare le prestazioni energetiche dell'edificio, calcolo che può essere effettuato solo ed esclusivamente da un tecnico abilitato.

Al momento l’effettiva applicazione del sistema di certificazione energetica coerente con i principi normativi generali è stata però demandata alle Regioni, per cui manca una standardizzazione a livello nazionale efficace ed attendibile. In Emilia Romagna, dal 1° luglio 2008, è obbligatoria la certificazione energetica degli edifici di nuova costruzione o oggetto di ristrutturazione integrale. E’ inoltre obbligatoria la certificazione degli immobili oggetto di compravendita e dal 1° luglio 2009 tale obbligo è esteso anche alle singole unità immobiliari soggette a trasferimento a titolo oneroso e, dal 1° luglio 2010, lo è anche per le unità immobiliari soggette a locazione.

Per fare un esempio di come possa variare l’applicazione della normativa da Regione a Regione, l’agenzia “CasaClima” ha proposto un sistema di classificazione in cui la classe A sia attribuita agli edifici che consumano fra i 10 e i 30 kWh per m2 all’anno (vedi figura 27). Il sistema di

1 Capitolo scritto con il contributo del P.I. Termotecnico Gabriele Caroli, diplomatosi nel nostro Istituto nel 1992.

Fig. 27: Tabella delle classi di efficienza energetica degli edifici proposta dall’Agenzia CasaClima di Bolzano.

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Certificazione di CasaClima è obbligatorio per il Trentino-Alto adige ma solo volontario per le altre regioni italiane. Attualmente è l’unico sistema certificato di qualità che offre garanzia sulla veridicità del certificato energetico. Non a caso il monitoraggio di Legambiente, effettuato su 100 edifici certificati a basso consumo energetico in tutta Italia, ne ha bocciati 89 e quelli promossi sono proprio quelli certificati CasaClima! In questo sistema infatti la differenza la fa proprio il protocollo attuato che prevede il controllo da parte di un ente terzo (l’agenzia CasaClima, appunto) di tutto il processo, dalla progettazione alla realizzazione fino al collaudo. E’ evidente pertanto che un’unica normativa nazionale rigorosa con uno standard di certificazione unico garantito da un’Agenzia indipendente potrebbe aiutare a risolvere e migliorare gli attuali problemi.

Venendo alla tecnologia per la costruzione di case a basso consumo il numero di soluzioni disponibili e già consolidate è amplissimo ed i costi rispetto alle tecnologie costruttive non energeticamente efficienti è solo lievemente superiore. L’importante è affidarsi all’architettura eco-sostenibile, in cui l’aspetto estetico viene preso in considerazione alla pari di quello dell’efficienza energetica sin dall’inizio della fase di progettazione dell’edifico. Una progettazione che si preoccupi del solo aspetto esteriore di un edificio è da considerarsi oggi totalmente inadeguata. Sottolineiamo qui che questo è un altro esmepio di cambio di abitudini che serve per contrastare i cambiamenti climatici. Infatti, noi siamo ormai abituati a sprecare energia e l’unico aspetto cui di solito un acquirente di un edificio guarda è quello estetico. Serve invece un cambio di abitudini di acquisto in questo come in tutti gli altri settori, dando all’efficienza energetica un’importanza pari se non superiore rispetto a tutte le altre caratteristiche di ciò che si acquista. Anche perché l’efficienza energetica non è in antitesi con l’estetica: entrambe possono convivere benissimo insieme, anzi è proprio questo il compito di una progettazione sostenibile.

La progettazione di una casa a basso consumo energetico parte dalla cura dell’isolamento, che dovrà essere integrale e garantire la continuità senza compromessi. Inoltre è fondamentale uno studio appropriato dei materiali in funzione delle caratteristiche climatiche e della morfologia dell’ambiente, sia per gli edifici nuovi ma soprattutto per le ristruttutrazioni dell’esistente, partendo dal presupposto che non esiste un materiale migliore di un altro e che un edificio consuma energia sia d’inverno che d’estate. Per questo motivo potrebbero essere sufficienti 10 cm di polistirolo in climi collinari dove il problema di raffrescare gli edifici in estate è minore mentre sicuramente sarà convienente usare della fibra di legno al posto del polistirolo in pianura e con l’edificio particolarmente esposto alla radiazione solare in quanto la fibra di legno consente l’ingresso del calore estivo dall’involucro edilizio con un “ritardo” maggiore rispetto al polistirolo. È altresì importante utilizzare impianti che trasmettono per irraggiamento l’energia termica sia per il riscaldamento che per il raffrescamento. In tal modo basteranno temperaturature dei fluidi termovettori più basse e quindi risultano maggiormente sfruttabili le fonti rinnovabili di energia, come il solare termico o la geotermia con le pompe di calore che hanno anche il vantaggio che possono essere utilizzate in estate per il raffrescamento. Un altro fattore che impone una scelta responsabile dei materiali da costruzione e quindi degli isolamenti è la biodegradabilità degli stessi ma anche i costi di smaltimento e ancora di più il carico energetico necessario per la produzione ed il trasporto dello stesso materiale (la loro impronta ecologica).

Un esempio concreto di risparmio energetico potrebbe essere quello di realizzare il tetto e le pareti dell’edificio isolate termicamente: come detto un buon materiale ecologico per l’isolamento di tetti e pareti è la fibra in legno o più economicamente il polistirolo (EPS), ricordandosi che quest’ultimo non è biodegradabile e inquina l’ambiente. Il buon isolamento si realizza poi attraverso gli infissi, che dovranno essere realizzati il più possibile con materiale isolante e a taglio termico con particolare cura dedidcata al montaggio e all’installazione evitando possibilità che si creino ponti termici o infiltrazioni di aria. Le stesse banchine ove poggiano gli infissi devono essere realizzate in modo che l’isolante non venga mai interrotto.

Un fattore importante è anche l’orientamento della casa che se non obbligato può essere scelto in modo da avere le finestre a sud protette da alberi caducifoglie che in estate fanno ombra

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raffrescando la casa mentre in inverno fanno entrare i raggi solari. Le stanze dove si vive maggiormante vanno esposte a sud dove c’è più luce naturale da sfruttare, in modo da risparmiare nell’illuminazione. Le pareti a nord vanno dedicate alle stanze da letto, con meno finestre e protette da alberi sempreverdi che talgiano i freddi venti invernali provienienti da nord. In sede di progetto si può poi prevedere lo scambio di aria con il sottosuolo (geotermia), dove la temperatura dell’aria varia poco con le stagioni (più fresca d’estate, più calda in inverno): tramite apposite tubature si può avere uno scambio di aria calda-fredda che renda più equilibrate le temperature interno esterno sia in estate che in inverno con un consumo minimo di energia elettrica necessario per il funzionamento delle pompe dell’aria.

Per quanto riguarda l’acqua calda sanitaria è già obbligatorio installare sul tetto dell’edificio dei pannelli solari termici – in realtà la normativa regionale prevede che questi debbano anche fornire una percentuale di acqua calda per il riscaldamento, in modo da rendere minimo il fabbisogno di energia per scaldare l’acqua sanitaria.

Una casa simile, con tutti questi accorgimenti e una dotazione di fonti rinnovabili solari fotovoltaiche e termiche (cui si possono aggiungere microeolico e altre fonti) può addirittura trasformarsi in una casa solare che produce più energia di quella che consuma. L’energia in eccesso prodotta può essere misurata e fornita alla rete elettrica o ad una futura rete di teleriscaldamento dove gli altri utenti possano attingere in caso di bisogno. In alternativa può essere utilizzata per caricare batterie o altri accumulatori di energia che poi quando ve ne sarà bisogno sono in grado di ricederla in un momento successivo. Un'altra possibile opzione è quella di utilizzare l’energia elettrica accumulata o prodotta in eccesso per ricaricare bici elettriche o macchine elettriche, favorendo così una mobilità sostenibile e contribuendo a ridurre un’altra importante fonte di emissioni clima alteranti nelle città. Il tutto sta a cominciare, poi si innesta un ciclo virtuoso pieno di opportunità e

vantaggi per la salute e, alla fine, anche per il portafoglio, rendendo ciascuno veramente indipendente dalle fonti energetiche esterne e dalle loro variazioni di prezzo (resilienza energetica).

Infine, il tocco finale in una casa solare è il controllo intelligente di tutte le risorse (home

automation) in modo da minimizzare in modo automatico i consumi programmando tempi di accensione-spegnimento di ogni elettrodomestico, tapparelle e ogni altra risorsa a disposizone della casa, anche in remoto. Una casa solare completa così fatta permetterebbe di risparmiare quasi per intero il 20% del fabbisogno mondiale di energia utilizzato per climatizzare le case. Costerebbe sicuramente di più di quanto costi attualmente l’energia necessaria per ottenere lo stesso risultato, ma solo perché nel costo dell’energia non sono conteggiati i costi nascosti del riscaldamento globale e dell’impatto ambientale. Quindi la scelta di continuare a risparmiare oggi utilizzando le fonti convenzionali per climatizzare le nostre case la pagheranno le generazioni future che non avranno più quelle risorse a bazzo prezzo ed in più si troveranno un ambiente inquinato. Una casa solare autosufficiente, invece, costa di più ora, ma non riversa sulle generazioni future alcun costo. Per questo, da un punto di vista politico è necessario applicare in modo più rigoroso la regolamentazione attualmente in vigore sulle case di nuova costruzione, rendendola nazionale e più rigorosa senza eccessi.

Fig. 28: esempio di casa “solare”, con collettori solari, impianto eolico, pareti isolanti e sistemi efficienti per il riscaldamento/condizionamento.

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RISPARMIO ENERGETICO NEGLI EDIFICI ESISTENTI

Lo stato attuale degli edifici in Italia dal punto di vista dell’efficienza energetica è molto scarso: la media degli edifici esistenti si trova in classe F con un elevato consumo di energia per il riscaldamento nei mesi invernali. Questo perché il boom dell’edilizia è successo in un periodo in cui gli idrocarburi (il petrolio e i suoi derivati in particolare) erano molto a buon mercato e nessuno si preoccupava di risparmiare nel loro consumo per il riscaldamento domestico. Così oggi ci troviamo nella situazione che riuscire a migliorare l’efficienza degli edifici esistenti è un fattore determinante per la riduzione delle emissioni e dell’inquinamento nelle città (è la seconda fonte di inquinamento dopo quella legata alla mobilità su automobile). Sebbene gli interventi su un edificio esistente possano essere disagevoli nel caso di famiglie che vi abitino le soluzioni a disposizione sono innumerevoli e sono incentivate con una legge nazionale (Legge 27 dicembre 2006, n. 296. detrazione fiscale del 55% prorogata al 31 dicembre 2012 dal decreto legge n. 201 del 6 dicembre 2011, convertito dalla legge n. 214 del 22 dicembre 2011) che prevede che il 55% delle spese sostenute per l’efficientamento energetico del proprio edificio vengano rimborsate in 10 anni (un 5,5% di rimborso all’anno) in sede di dichiarazione dei redditi come rimborso IRPEF (il massimo rimborsabile è pari all’importo dell’IRPEF annuale).

La prima soluzione da attuare è quella dell’isolamento termico delle pareti e del tetto dell’edificio. Qui le soluzioni sono le stesse citate in precedenza. L’isolamento delle pareti va necessariamente affiancato alla sostituzione degli infissi con quelli a taglio termico, di cui abbiamo parlato nel paragrafo precedente. Questo è l’intervento base.

Il secondo punto su cui intervenire è l’impianto di riscaldamento: un intervento efficace ma invasivo è quello di sostituire il riscaldamento a radiatori con acqua calda con quello a pavimento che funziona sempre ad acqua calda ma con temperature più basse. Inoltre, con un riscaldamento a pavimento si può utilizzare anziché una caldaia a gas una pompa di calore alimentata dalla corrente elettrica, rendendo la casa indipendente dalla fornitura di gas (qualora si utilizzino fornelli elettrici). La pompa di calore inoltre ha anche il vantaggio che potrebbe essere utilizzata per il raffrescamento estivo.

Infine, per consentire un ulteriore risparmio energetico si possono installare fonti energetiche rinnovabili quali ad esempio un pannello fotovoltaico sul tetto della casa connesso alla rete (di tipo grid connected) per generare corrente elettrica. La potenza elettrica generata dai pannelli fotovoltaici non consumata verrebbe fornita alla rete e messa quindi a disposizione degli altri utenti. Si fa notare come comunque gli interventi principali sono quelli mirati a ridurre il consumo di energia (isolamento pareti, infissi a taglio termico) in modo da ridurre gli sprechi. Una volta fatto questo si può poi pensare a produrre più energia da fonti rinnovabili. Tutti questi interventi sono molto costosi ma rappresentano un investimento molto importante in quanto consentono:

• di ridurre notevolmente il consumo di energia e quindi i costi legati all’energia che sono in continuo aumento;

• di ridurre la propria impronta ecologia (carbon footprint) e quindi l’inquinamento nelle città;

• di ottenere un contributo statale pari al 55% della spesa sostenuta entro 10 anni;

• di aumentare il valore e il comfort della propria abitazione sia in estate che in inverno;

Lo svantaggio è che richiedono investimenti a breve termine molto onerosi, per cui nel breve termine sembra più conveniente economicamente continuare senza fare alcuna modifica al proprio stile di vita. Se si ragionasse però con un orizzonte temporale di 10 o 20 anni sarebbe evidente come anche economicamente l’investimento sarebbe ampiamente ripagato non solo grazie all’incentivo del 55% ma anche al fatto che ci si rende svincolati dagli aumenti del costo dell’energia e si vive in un ambiente più confortevole.

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Inoltre se si tenesse conto dei costi dell’inquinamento (in termini di peggioramento delle condizioni di salute e qualità della vita) e li si facesse pagare a chi li causa con l’adozione di una Carbon Tax sulle emissioni di CO2 allora l’investimento in efficienza energetica del proprio edificio diventerebbe conveniente anche a breve termine. Un buon senso civico richiederebbe l’adozione di una Carbon Tax per la tassazione delle emissioni, facendo pagare più tasse a chi inquina di più il bene comune aria. In questo caso chi non realizzerebbe ristrutturazioni a fini di risparmio energetico nelle proprie case?

ENERGIA A IMPATTO ZERO: EFFICIENZA E RISPARMIO ENERGETICO

Come abbiamo visto, tutte le forme di energia, anche quelle più pulite, hanno un qualche impatto ambientale più o meno invasivo, da valutare con attenzione quando si progetta e realizza un qualunque tipo di impianto per la produzione di energia. L’unica fonte energetica veramente a impatto zero sull’ambiente è il Risparmio Energetico, che può essere conseguito da un lato attraverso un aumento dell’Efficienza Energetica degli oggetti che usiamo nella nostra quotidianità, dall’altro dalla riduzione degli sprechi nel consumo di energia e quindi da un semplice cambio di abitudini.

Per Efficienza energetica di un oggetto si intende la quantità di energia che consuma per compiere un certo lavoro. Quindi ad esempio un modello di lavatrice (modello B) può consumare un totale di 3,34kWh per un lavaggio completo mentre un altro modello (modello A) per lo stesso lavaggio richiede solo 2,37kWh. Chiaramente il modello A è più efficiente del B perché consuma meno energia per compiere lo stesso lavoro. Le tecnologie sono già a disposizione ma il problema è “il solito”: i costi. Prendiamo ad esempio un’automobile: l’efficienza delle automobili attualmente in commercio è pari circa al 30% (per ogni kWh consumato dall’automobile la combustione della benzina ha generato circa 3,3 kWh). Già acquistando i nuovi modelli in commercio, l’efficienza aumenta di qualche punto percentuale (32-33%). Se si selezionassero però i soli modelli più efficienti fra quelli nuovi si migliorerebbe di molto (c’è però chi continua a preferire le automobili grosse, perché più sicure). Infine, ogni casa automobilistica ha progettato e realizzato dei prototipi ad alta efficienza, che tuttavia non vengono commercializzati perché troppo costosi, la cui efficienza raggiunge anche il doppio di quella delle automobili in commercio. Lo stesso discorso si può fare per i frigoriferi, i condizionatori, le case in generale e per molti altri beni che consumano molta energia. La tecnologia per fare le stesse cose consumando meno c’è in tutti i settori: è solo più costosa. Per questo andrebbe continuamente incentivata tassando maggiormente i beni che sono poco efficienti e detassando quelli più efficienti. In questo settore anche le scelte individuali hanno un loro impatto: quanto si guarda, nella scelta di una automobile (come di ogni altro bene), al suo consumo piuttosto che al suo design, alla dimensione e alle prestazioni? Ognuno di noi può influenzare il mercato a svilupparsi nella direzione di una maggior efficienza energetica attraverso le proprie decisioni di acquisto, che sono uno strumento molto potente da utilizzare con maggior consapevolezza, non lasciandosi condizionare dagli stimoli irrazionali spesso evocati dalle pubblicità [28].

Anche a livello di generazione di energia elettrica si possono fare scelte in grado di migliorare l’efficienza: la cogenerazione e il teleriscaldamento. In Siberia, ad esempio, intorno alle centrali nucleari sono state costruite delle città che sfruttano l’acqua calda generata dalla fissione dell’uranio per il riscaldamento domestico anziché scaricarla direttamente nel fiume. Anziché con centrali nucleari (con tutti i rischi ambientali e sanitari che ne possono derivare) la stessa soluzione può essere adottata, con meno rischi, nel caso degli altri tipi di centrali termoelettriche, ed effettivamente si sta già procedendo in questo senso con quelle di nuova generazione. Ancora, in aziende dove si produce vapore per i processi produttivi, lo stesso potrebbe essere sfruttato per far girare la turbina di un piccolo generatore elettrico e l’acqua calda condensata che ne deriva potrebbe

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essere sfruttata per il riscaldamento, cercando di disperdere nell’ambiente la minor quantità possibile di energia.

Mentre per migliorare l’efficienza energetica di tutto ciò che utilizziamo nella nostra quotidianità sono necessarie ricerca e sviluppo scientifico, per quanto riguarda invece il discorso della riduzione degli sprechi (risparmio energetico) ognuno di noi può direttamente contribuire nel suo piccolo modificando le proprie abitudini con altre più sostenibili. Non a caso un famoso detto recita “La

bellezza della vita dipende solo dalle nostre buone abitudini”: purtroppo siamo nati e cresciuti in un sistema che spinge a un sempre maggior consumo di beni e servizi ed anche per quanto riguarda l’Energia di buone abitudini ne abbiamo poche. Per una lista di quanto si potrebbe risparmiare con dei semplici cambi di abitudini (ne basta la metà o ancora meno) si rinvia al testo del Prof. Pallottino nella bibliografia [22]. Qui nel seguito proponiamo solo alcuni esempi.

Vi sono luoghi di lavoro pubblici e privati dove d’estate si condiziona l’aria per avere temperature fra i 20 e i 21°C quando all’aperto ve ne possono essere anche 35. Lo sbalzo di temperatura fra dentro e fuori l’ufficio, oltre ad essere poco salutare, rappresenta anche un vero e proprio spreco di energia: una temperatura condizionata ottimale sarebbe fra i 26 e i 28°C, tenuto conto del leggero abbigliamento estivo. Viceversa nei mesi invernali vi sono luoghi di lavoro riscaldati sino a 25 o 26°C dove le persone lavorano in maglietta mentre fuori vi sono -2 o 0°C. Questo è un altro spreco evitabile regolando la temperatura dell’impianto di riscaldamento a 20°C, perfettamente confortevoli se non ci togliamo camicia e maglione. Questi sono solo due fra gli esempi più eclatanti dello spreco cui ci siamo abituati a causa del basso costo dell’energia, ma ve ne sono innumerevoli altri: lasciare le luci accese quando si abbandona un ufficio, lasciare le apparecchiature elettroniche in stand-by, lasciare i dispositivi portatili sotto carica molto più del tempo necessario, lasciare il cellulare acceso di notte, etc… Anche in questo campo il contributo che ognuno di noi può dare per la riduzione degli sprechi energetici può essere importante: basta fare lo sforzo di riflettere sulle proprie abitudini, riconoscere quelle sbagliate e gli effetti che sui grandi numeri possono avere per cominciare ad adottare comportamenti più responsabili e razionali. Se ognuno di noi, nel suo piccolo, non è disposto a fare lo sforzo di dare il proprio contributo alla soluzione del problema del Riscaldamento Globale, sarà difficile riuscire a vincere la sfida del mantenimento dell’equilibrio climatico, una sfida che si vince o si perde tutti insieme, nessuno escluso.

In conclusione, un buon passo avanti verso la soluzione del problema del Riscaldamento Globale può essere fatto privilegiando il criterio dell’Efficienza Energetica nelle proprie scelte individuali rispetto ad altri criteri come il costo, il design, le prestazioni. Le scelte politiche dovrebbero contribuire ad andare in questa direzione, incentivando i beni ed i servizi più efficienti e disincentivando quelli meno efficienti. La tecnologia in tutti i settori si sta fortunatamente muovendo nella direzione di una maggior Efficienza Energetica. Gli elettrodomestici (ed ora anche gli edifici) hanno ormai tutti una certificazione di efficienza che li classifica proprio in base al loro consumo energetico, per cui risulta semplice riconoscere e acquistare quelli più efficienti. Scelte politiche ed individuali nella stessa direzione non possono far altro che aumentare la velocità del necessario cambiamento. L’altro passo importante che può alleviare il problema del Riscaldamento Globale quando si considerano i grandi numeri è un cambio delle proprie abitudini di consumo mirato alla riduzione degli sprechi e ad un utilizzo più consapevole e responsabile dell’energia.

Per quanto riguarda invece il mercato dell’energia, il problema maggiore è che le aziende elettriche sono valutate sulla base del profitto ed i costi dell’inquinamento ambientale dovuto alla generazione di energia vengono scaricati sulla collettività (che vive in condizioni di peggiore qualità ambientale) e sulle generazioni future, che, nello scenario peggiore, si troveranno a vivere in un mondo sempre più povero di risorse, contaminato e probabilmente caratterizzato da sconvolgimenti del sistema climatico. Continuando in questa direzione (business as usual) ci aspetta un raddoppio della concentrazione di CO2 nell’atmosfera da 280 ppm (pre-rivoluzione industriale) a 560 ppm intorno al 2100, con un conseguente aumento della temperatura terrestre intorno ai 3°C ed effetti devastanti

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anche se non facilmente prevedibili sul clima [14]. Per questo servono politiche energetiche nazionali e globali a lungo termine che tengano conto dell’impatto ambientale dell’uso e produzione dell’energia ed esplicitino - facendoli pagare a chi di dovere - i costi delle emissioni di CO2 e dell’inquinamento. Con una politica del genere si avrebbe un declino nel consumo di energia e di emissioni di CO2 dovuto non già ad una diminuzione di ricchezza, bensì al miglioramento dell’Efficienza Energetica. E il mondo si avvierebbe verso un nuovo modello di sviluppo sostenibile, in cui l’economia non sia in continua e incontrollata crescita, ma giunga ad un suo punto di equilibrio.

SMART GRID: LA RETE DISTRIBUITA ED INTELLIGENTE La rete di distribuzione elettrica attuale è centralizzata, ovvero organizzata attorno a grandi centrali di potenza fra 200 e 1000 MW che immettono energia in rete verso gli utilizzatori attraverso i tralicci dell’alta tensione e, in prossimità delle abitazioni, cavi interrati. È una rete dove non è prevista la possibilità di immagazzinare energia (se non attraverso le centrali di pompaggio, che abbiamo già detto essere non proprio il modo più efficiente per immagazzinare energia) e dove quindi praticamente tutta l’energia prodotta deve essere consumata nell’immediato dagli utilizzatori. Il monitoraggio del fabbisogno elettrico in rete viene effettuato sulla base dei consumi precedenti e corretto in base a fattori climatici e circa il 20% dell’energia in rete viene dispersa. È difficile interfacciare a questa rete le risorse energetiche rinnovabili: esse infatti producono in genere potenze limitate ed interfacciarle in fase con la potenza in rete rappresenta più un costo che un guadagno. I detrattori delle fonti rinnovabili solari ed eoliche affermano che non sarà mai possibile sostituire le centrali a combustibili fossili o nucleari perché per generare quelle potenze servirebbero aree troppo estese e costi altissimi.

L’errore più grosso che si fa in questo caso è assumere che l’architettura della rete elettrica attuale sia quella perfetta e ideale. Non è chiaramente così. La rete attuale è inefficiente perché non possiede un sistema di monitoraggio intelligente puntuale – cioè distribuito in vari punti della rete non lontani fra loro – in grado di indirizzare eventuali surplus di energia prodotti in alcune zone negli altri punti della rete dove servono, massimizzando l’efficienza. La direzione in cui la ricerca e il mercato si stanno muovendo è

quella di una rete con centrali elettriche più piccole, che si trovino il più vicino possibile agli utilizzatori, e distribuite in più punti, affiancate ad un sistema di batterie, anch’esso distribuito, per l’accumulo di energia e ad un sistema di monitoraggio che consenta di gestire l’immissione/accumulo dell’energia in rete localmente. Una rete con funzionalità “plug and play”, dove le sorgenti/utilizzatori possono essere inseriti/staccati in modo dinamico ed automaticamente riconosciuti. In questa rete, molto più efficiente, vale esattamente l’opposto di quanto detto in precedenza: è molto meglio disporre di centrali elettriche di piccola/media potenza piuttosto che di grandi impianti. In questa rete le fonti rinnovabili possono giocare un ruolo chiave.

Nella futura nuova rete elettrica intelligente (Smart Grid) [29] vi saranno tante piccole centrali elettriche (che utilizzano fonti rinnovabili e non) e batterie per l’accumulo di energia, in grado di comunicare fra loro e di accendersi/spegnersi automaticamente a seconda delle esigenze. In questo modo la necessità di centrali di grande potenza nucleari o a combustibili fossili sarebbe ridotta a quelle poche zone dove è effettivamente necessaria la generazione di enormi potenze per produzioni industriali e, in ultima analisi, tenderebbe a sparire.

Fig. 29: esempio di una rete elettrica distribuita e intelligente (Smart Grid).

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Molti paesi stanno investendo nella Smart Grid, consapevoli di muovere un passo decisivo verso lo sviluppo delle fonti energetiche rinnovabili e la loro integrazione efficiente nella rete elettrica. Un passo che fa ben sperare per il futuro.

SISTEMI PER IMMAGAZZINARE ENERGIA: LE BATTERIE Un ruolo chiave nella Smart Grid è svolto dai sistemi di accumulo dell’energia elettrica: le batterie. Le batterie svolgono anche un ruolo chiave nel trasporto sostenibile, essendo in pratica il serbatoio di energia dei motori delle macchine elettriche. La ricerca sta quindi cercando tecniche per aumentare la capacità e la sicurezza delle batterie. Un altro parametro molto importante nella Smart

Grid è la velocità di carica/scarica degli elementi di immagazzinamento dell’energia, in quanto bisogna essere in grado di fornire energia in tempo reale agli utilizzatori: una soluzione a questo problema potrebbe essere l’integrazione della batteria con dei supercondensatori in parallelo, già utilizzati per gli impianti eolici. Attualmente le macchine elettriche utilizzano batterie agli ioni di litio a polimeri solidi, che presentano una minor infiammabilità ed una maggior durata rispetto alle batterie agli ioni di litio usate comunemente nei dispositivi elettronici portatili [30]. Queste batterie presentano il problema dello smaltimento una volta esaurito il loro ciclo di vita. Infatti contengono elementi chimici molto inquinanti per i quali è necessaria una raccolta differenziata ed un accorto riciclaggio.

La ricerca sta testando nuovi materiali in grado di raggiungere densità di energia maggiori di quelle delle batterie al litio per applicazioni Smart Grid. Un’altra opzione percorribile è quelle delle batterie a volano, attualmente in fase prototipale e che a differenze delle precedenti presentano anche molti meno problemi ecologici [31]. In conclusione, non si può prescindere dalle batterie nello sviluppo verso una mobilità elettrica ed una rete elettrica intelligente e distribuita, nonostante attualmente non vi siano ancora soluzioni economiche e prive di problemi ambientali.

MUOVERSI IN MODO SOSTENIBILE Il settore dei trasporti rappresenta circa un terzo del fabbisogno energetico mondiale ed è anch’esso in gran parte basato sui combustibili fossili, poiché i carburanti più diffusi (gasolio, benzina e GPL)

sono derivati dai processi di raffinazione del petrolio. Il metano è un altro tipo di carburante molto diffuso ed è anch’esso un combustibile fossile. Per quanto detto in precedenza, il gas naturale, essendo composto essenzialmente da metano, produce meno emissioni di CO2, quindi è da preferire a benzina e gasolio. Per diminuire le emissioni di CO2 dovute ai trasporti sarebbe tuttavia necessario utilizzare di più i treni - che sfruttano energia elettrica auspicabilmente derivata da fonti non inquinanti – e per gli spostamenti all’interno delle città le biciclette – a motore elettrico e non. Per chi proprio non può fare a meno della comodità dell’automobile sono stati recentemente sviluppati

prototipi a zero emissioni con celle a combustibile a idrogeno che alimentano un motore elettrico. Poiché però l’idrogeno va prodotto (tramite ad esempio l’elettrolisi dell’acqua) con processi che richiedono a loro volta energia, occorre anche in questo caso che l’idrogeno stesso sia prodotto con fonti rinnovabili. L’idea sarebbe quella di sfruttare l’energia rinnovabile prodotta in eccesso durante il giorno per generare idrogeno da sfruttare poi nei momenti di carenza di energia come combustibile a zero emissioni – quindi l’idrogeno come accumulatore dell’energia prodotta in eccesso, una sorta di batteria a idrogeno.

La soluzione migliore in assoluto dal punto di vista dell’automobile - in termini di efficienza energetica – resta comunque quella di realizzare macchine dotate di batteria ricaricabile che alimenta direttamente il motore elettrico e qui, come anche per la smart grid, la sfida per il futuro

Fig. 30: principio di funzionamento di una cella a idrogeno

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sarà quella di sviluppare tecnologie per la produzione/recupero/riciclo di batterie di elevata capacità, dimensioni ridotte e con tempi di risposta molto brevi, come discusso nel paragrafo precedente.

È chiaro - va ribadito - che l’auto elettrica rappresenta una soluzione al problema delle emissioni dovute ai trasporti solo nella misura in cui l’energia elettrica utilizzata per ricaricare le batterie viene da fonti a zero emissioni. Per questo il precedente discorso sulla Smart Grid e l’integrazione delle fonti rinnovabili a zero emissioni nella produzione di energia per la rete elettrica diventano e saranno sempre più cruciali: con la diffusione delle auto elettriche il consumo di energia elettrica aumenterà notevolmente e sarà perciò fondamentale produrre tale energia in modo pulito.

Le auto elettriche sono già una realtà: le due maggiori case europee hanno già messo - o stanno mettendo - in commercio i loro primi modelli. I costi attuali delle auto elettriche sono alti e le prestazioni inferiori, ma valgono gli stessi discorsi fatti in precedenza: se tenessimo in opportuno conto i costi nascosti delle emissioni di CO2 e dell’inquinamento, sarebbe ancora così alta la differenza di prezzo fra le automobili con motore a combustione interna e quelle elettriche?

Fig. 32: la Golf blue-e-motion, completamente elettrica è già in fase prototipale. Nell’altra immagine sono mostrati alcuni veicoli elettrici della gamma ZE (Zero Emissioni) di Renault, già in commercio.

Il futuro delle auto elettriche è molto vicino, e va accompagnato dallo sviluppo di una Smart Grid dove le energie alternative di origine eolica e solare possano diventare preponderanti, in modo da permettere una generazione pulita di energia elettrica. I primi passi importanti sono già stati fatti, ed è ora di procedere spediti in questa direzione. Anche qui il contributo di ognuno può essere decisivo nello spingere il mercato dell’auto verso la direzione della sostenibilità con l’acquisto di un auto elettrica piuttosto che di un SUV a gasolio.

Fig. 31: confronto fra l’efficienza di un’automobile elettrica e di una con cella a combustibile a idrogeno.

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SISTEMI DI RECUPERO ENERGIA: ENERGY HARVESTING Col termine di Energy Harvesting si intende il recupero di energia che è presente nell’ambiente e che non viene utilizzata. Per chiarire meglio il concetto, è bene fare un esempio: consideriamo un podista che mentre corre ascolta un lettore mp3. Il lettore funziona a batteria, che è stata caricata a casa collegandola alla rete e quindi utilizzando energia elettrica. In alternativa sarebbe possibile aggiungere all’interno del lettore mp3 dei dispositivi elettronici piezoelettrici in grado di ricavare l’energia dalle vibrazioni/movimenti del podista mentre corre, in grado cioè di recuperare parte dell’energia spesa dal podista durante la sua corsa. Con un sistema del genere il podista non ha bisogno di ricaricare la batteria del lettore mp3 collegandolo alla rete, ma la batteria si ricaricherebbe automaticamente durante la corsa. Questo è solo un esempio fra quelli possibili di Energy Harvesting; altre strade ipotizzabili sono: il recupero dell’energia dalle radiazioni elettromagnetiche presenti nell’ambiente, dagli zuccheri presenti nel sangue che tramite reazioni chimiche possono essere utilizzati per alimentare sensori sottocutanei (biofuel cells – figura 33), etc… Le quantità di energia che si recuperano sono piccole, ma sono sufficienti per alimentare

circuiti digitali a basso consumo o reti di sensori wireless per il monitoraggio remoto gestite da microcontrollori.

CONCLUSIONI Questo lavoro ha messo in evidenza l’impatto ambientale della generazione di energia, con particolare riferimento alla produzione di energia elettrica, focalizzandosi principalmente sul fenomeno del Riscaldamento Globale, ritenuto dalla maggioranza della comunità scientifica un fenomeno reale [14]. Si sono confrontate le possibili scelte energetiche che si possono fare, sia da un punto di vista individuale, sia collettivo, per risolvere questo problema, ponendo l’attenzione sulla risorsa più pulita di tutte: il risparmio e l’efficienza energetica [22].

Un aspetto molto importante messo in evidenza è che il problema affonda le sue radici nel sistema economico stesso della società, che punta alla crescita ininterrotta della ricchezza materiale. Un sistema che non è compatibile con un Pianeta Terra limitato e che richiede un continuo aumento dello sfruttamento di risorse, energetiche e non, per autoalimentarsi [2,9,10,11]. Difficilmente si potrà porre rimedio al problema del degrado ambientale agendo solo sui metodi e le tecniche di produzione e distribuzione dell’energia, senza mettere in discussione l’attuale sistema economico e inserire nei parametri che misurano il benessere fattori quali l’inquinamento e il degrado dell’ambiente. La cosa più difficile è come sempre quella di abbandonare un sogno: il sogno di una ricchezza senza limiti e disponibile per tutti, sogno che si sta trasformando in un incubo climatico, ambientale e paradossalmente anche economico.

Una strada ed una prospettiva diverse sono possibili e questo lavoro mostra come il contributo che ciascun singolo individuo e l’intera collettività possono dare nel favorire forme di energia pulita e nel ridurre il consumo di energia possa fare realmente la differenza. Mostra come vi siano già forme di tecnologia sostenibile che, anche se attualmente più costose, potrebbero rivelarsi essenziali per consentire un futuro più sereno ai nostri figli.

Una prosperità economica sostenibile è possibile: si tratta di investire le proprie risorse nello sviluppo delle energie pulite e dell’efficienza energetica e non inseguire il vantaggio economico a

Fig. 33: esempi di sensori e dispositivi sottocutanei auto-alimentati da energia prodotta da reazioni chimiche interne al corpo.

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breve termine [2]. Si tratta di cambiare le proprie abitudini evitando gli sprechi [22], facendo un uso consapevole delle risorse e attuando forme di acquisto consapevoli e sostenibili [28]. Si tratta di una questione di scelte e di priorità. E si spera di aver messo in evidenza alcuni concetti utili per fare scelte consapevoli, in modo che ognuno di noi possa dare il proprio contributo secondo coscienza.

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BIBLIOGRAFIA

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[3] Richard Wolfson, “Energy, Environment and Climate” – W. W. Norton & Company; Second Edition, 2011.

[4] http://www.barrascarpetta.org/01_ele/m_1/m1_u3.htm

[5] http://cd1.edb.hkedcity.net/cd/science/physics/NSS/Energy01_Dec08/PhotoVoltaicsCells.pdf

[6] http://it.wikipedia.org/wiki/Conversione_delle_unit%C3%A0_di_misura

[7] http://www.nef.org.uk/greencompany/co2calculator.htm

[8] http://it.wikipedia.org/wiki/Prodotto_interno_lordo

[9] http://www.youtube.com/watch?v=18a1GQUZ1eU (la storia delle cose)

[10] Herman Daly e Joshua Farley, “Ecological Economics: Principles and Applications”, 2003.

[11] Enzo Tiezzi, Federico M. Pulselli, Simone Bastianoni e Nadia Marchettini “La soglia della sostenibilità. Ovvero quello che il Pil non dice” Donzelli, 2007.

[12] http://www.benessereinternolordo.net/joomla/

[13] https://www.youtube.com/watch?v=qi4r3kt4DMA (rifiuti a Forlì)

[14] National Geographic Video, “Sei Gradi (possono cambiare il mondo)”, 2008.

[15] http://en.wikipedia.org/wiki/European_Project_for_Ice_Coring_in_Antarctica

[16a] http://it.wikipedia.org/wiki/Periodo_caldo_medievale

[16b] http://it.wikipedia.org/wiki/Piccola_era_glaciale

[17] http://www.salon.com/2012/10/29/climate_change_war_on_the_poor/ by Rebecca Solnit

[18] http://www.legambientearcipelagotoscano.it/globalmente/rifiuti/guida.htm

[19] http://www.youtube.com/watch?v=08z-Hw7s54E (Take AIM at Climate Change)

[20] http://www.rivistailmulino.it/news/newsitem/index/Item/News:NEWS_ITEM:662

[21] http://www.disney.it/wall-e/

[22] Giovanni Vittorio Pallottino, “La fisica della sobrietà (ne basta la metà o ancora meno)” Ed. Dedalo, 2012.

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[23] http://www.youtube.com/watch?v=4ebxtvL3ojE (tragedia del Vajont)

[24] http://www.youtube.com/watch?v=mSOMCYFngoE (running on empty…)

[25] http://it.wikipedia.org/wiki/Impianto_solare_termodinamico

[26] http://www.eetimes.com/electronics-news/4182621/Enel-Green-Power-Sharp-and-STMicroelectronics-sign-agreement-for-the-largest-photovoltaic-panel-manufacturing-plant-in-Italy

[27]http://forum.corriere.it/fotovoltaico-ed-eolico/04-05-2010/superficie-necessaria-per-il-fotovoltaico-1535465.html

[28] Daniel Goleman, “Intelligenza Ecologica” Ed. Rizzoli, 2009.

[29] A. Borghetti, M. Bosetti, S. Grillo, S. Massucco, C. A. Nucci, M. Paolone, F. Silvestro, “Short-Term

Scheduling and Control of Active Distribution Systems With High Penetration of Renewable Resources”, IEEE SYSTEMS JOURNAL, 2010, 4, pp. 313 - 322

[30] EETimes, “Alternative Energies”, June 2010

[31] http://it.wikipedia.org/wiki/Volano_%28batteria%29

[32] http://www.mysir.it/index.php

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SOMMARIO

INTRODUZIONE........................................................................................................................... 2

DA DOVE VIENE L’ENERGIA? .................................................................................................. 2

ENERGIA: QUANTO COSTA, QUANTA NE USIAMO?............................................................. 5

ENERGIA E AMBIENTE: IL RISCALDAMENTO GLOBALE .................................................... 7

ENERGIA E RICCHEZZA ............................................................................................................. 8

SEMPRE PIÙ RICCHEZZA, SEMPRE PIÙ RIFIUTI .................................................................... 9

LA TEMPERATURA DELLA TERRA ........................................................................................ 13

I GAS SERRA .............................................................................................................................. 14

GLI EFFETTI DEL RISCALDAMENTO GLOBALE .................................................................. 16

IL PROTOCOLLO DI KYOTO E IL PACCHETTO CLIMA 20-20-20 ........................................ 19

FONTI ENERGETICHE: I COMBUSTIBILI FOSSILI ................................................................ 21

FONTI ENERGETICHE: IL NUCLEARE ................................................................................... 23

FONTI ENERGETICHE RINNOVABILI .................................................................................... 27

FONTI ENERGETICHE RINNOVABILI: ENERGIA DALLE MAREE .................................. 27

FONTI ENERGETICHE RINNOVABILI: ENERGIA GEOTERMICA.................................... 28

FONTI ENERGETICHE RINNOVABILI SOLARI INDIRETTE: ENERGIA IDROELETTRICA ................................................................................................................... 28

FONTI ENERGETICHE RINNOVABILI SOLARI INDIRETTE: ENERGIA EOLICA .......... 30

FONTI ENERGETICHE RINNOVABILI SOLARI INDIRETTE: L’ENERGIA TERMICA DEGLI OCEANI ...................................................................................................................... 32

FONTI ENERGETICHE RINNOVABILI SOLARI DIRETTE ................................................. 32

FONTI ENERGETICHE RINNOVABILI SOLARI DIRETTE: SOLARE TERMODINAMICO.................................................................................................................................................. 33

FONTI ENERGETICHE RINNOVABILI SOLARI DIRETTE: SOLARE FOTOVOLTAICO . 34

RISPARMIO ENERGETICO NEGLI EDIFICI ............................................................................ 36

RISPARMIO ENERGETICO NEGLI EDIFICI DI NUOVA COSTRUZIONE ......................... 36

RISPARMIO ENERGETICO NEGLI EDIFICI ESISTENTI .................................................... 39

ENERGIA A IMPATTO ZERO: EFFICIENZA E RISPARMIO ENERGETICO ......................... 40

SMART GRID: LA RETE DISTRIBUITA ED INTELLIGENTE................................................. 42

SISTEMI PER IMMAGAZZINARE ENERGIA: LE BATTERIE ................................................ 43

MUOVERSI IN MODO SOSTENIBILE ...................................................................................... 43

SISTEMI DI RECUPERO ENERGIA: ENERGY HARVESTING ............................................... 45

CONCLUSIONI ........................................................................................................................... 45

BIBLIOGRAFIA .......................................................................................................................... 47