Economia Internazionale Corso Progredito - Portale Unical Internazionale... · Economia...
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Eserciziario di Economia Internazionale
Corso Progredito
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a.a. 2016-2017
Economia Internazionale Corso Progredito 2016-2017
Programma del corso
Il sistema di contabilità nazionale
1. Contabilità nazionale.
2. Significato di prodotto interno lordo; relazione fra produzione e reddito.
3. Nozione di consumi e investimenti.
4. Le identità macroeconomiche fondamentali di un’economia aperta considerando produzione,
consumi, investimenti, esportazioni, importazioni e risparmi.
5. Il conto economico delle risorse e degli impieghi dell’Italia.
6. Il saldo di conto corrente (CA), risparmio e investimenti.
7. Curve di investimento e risparmi.
8. Tasso di interesse di equilibrio.
9. Risparmio privato e pubblico e relazioni con il current account.
10. I twin deficits.
La Bilancia dei pagamenti
11. Nozione di bilancia dei pagamenti e criteri di registrazione, con esempi.
12. Classificazione delle transazioni.
13. Il conto corrente (current account), il conto capitale e il conto finanziario.
14. Nozione di “saldo” di bilancia dei pagamenti.
15. Deficit e surplus correnti della bilancia dei pagamenti.
16. Nozione e implicazioni del saldo corrente di bilancia dei pagamenti.
17. Effetti cumulativi di un avanzo o disavanzo corrente di bilancia dei pagamenti.
18. Il conto finanziario della bilancia dei pagamenti e la posizione patrimoniale verso l’estero.
19. Saldo del conto finanziario della bilancia dei pagamenti: attività e passività patrimoniali nette verso
l’estero.
20. Relazione teorica ed esempi concreti fra il saldo corrente di bilancia dei pagamenti e movimenti
internazionali di capitale.
21. Variazione delle riserve ufficiali.
22. Principali caratteristiche del conto corrente della bilancia dei pagamenti italiana nel tempo (dinamica
del saldo corrente, sua determinazione, sue implicazioni, indicazioni riguardo la competitività
internazionale e dell’Italia e le sue attività e passività verso l’estero).
23. Squilibri globali di current account (global imbalances).
24. Global saving glut hypothesis vs. CA deficit “Made in the USA” hypothesis.
25. Politiche economiche nelle quattro principali aree con squilibri di conto corrente.
Il mercato delle valute e tassi di cambio
26. I mercati valutari (o mercati dei cambi).
27. Le funzioni dei mercati dei cambi.
28. Gli operatori dei mercato valutari.
29. Nozioni di tasso di cambio: diretto (incerto per certo) vs. indiretto (certo per incerto); bilaterale,
incrociato ed effettivo.
30. Tassi di cambio e prezzo dei beni.
31. Apprezzamento e deprezzamento di una valuta.
32. Arbitraggio nel mercato valutario.
33. Tassi di cambio a pronti, a termine, swap.
34. Domanda e offerta di valuta estera per scambi internazionali di merci e servizi.
35. Determinanti e rappresentazioni grafiche delle curve di domanda e offerta di valuta estera.
36. Curva di offerta di valuta nel breve e lungo periodo.
37. L’equilibrio sul mercato dei cambi nel lungo e breve periodo.
38. Relazione fra la bilancia dei pagamenti e domanda e offerta di valuta estera.
39. Il tasso di cambio di equilibrio e sue possibili variazioni.
40. Effetti della variabilità dei tassi di cambio, rischi di cambio, copertura e speculazione.
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41. Operazioni delle autorità monetarie nei mercati dei cambi tramite variazioni delle riserve valutarie.
Legame fra tassi di cambio e bilancia dei pagamenti di parte corrente
42. L’approccio commerciale (o delle elasticità): relazione fra BOP di parte corrente e tassi di cambio.
43. Correzioni di disavanzi e avanzi in regime di cambi flessibili e velocità di aggiustamento.
44. La stabilità dei mercati dei cambi.
45. La condizione di Marshall-Lerner.
46. La curva J: cause e conseguenze.
Legame fra tassi di cambio e livello dei prezzi
47. Tassi di cambio nominali e reali.
48. Indici di competitività e “tassi di cambio reali”.
49. La legge del prezzo unico.
50. La teoria della parità dei poteri di acquisto (“purchasing power parity”, PPP): versione assoluta e
versione relativa.
51. Applicazioni e verifiche empiriche della PPP.
52. Il prezzo di un “Big Mac”: previsioni sull’andamento dei mercati dei cambi.
53. Perché i paesi poveri hanno prezzi più bassi: condizione di Balassa-Samuelson.
Legame fra tassi di cambio e tassi di interesse
54. Mercati finanziari internazionali.
55. Rendimenti delle attività patrimoniali nazionali e denominate in valuta estera.
56. Determinazione dei tassi di rendimento attesi sui titoli esteri denominati in valuta nazionale.
57. La legge della parità dei tassi di interesse (scoperta).
58. La determinazione del tasso di cambio di equilibrio: rappresentazione grafica.
59. Variazione dei tassi di cambio in conseguenza di variazioni dei tassi di interesse sui titoli.
Competitività ed equilibrio macroeconomico interno ed esterno
60. La competitività: nozione e misura delle sue variazioni, con esempi.
61. Indici di competitività o di “tassi di cambio reali”: nozione, specificazioni, dinamica per i principali
paesi negli ultimi 20 anni.
62. L’ equilibrio macroeconomico interno ed esterno di un’economia aperta.
63. Tasso naturale o fisiologico di disoccupazione (NAIRU): nozione teorica.
64. L’equilibrio macroeconomico interno ed esterno in termini di competitività e domanda interna
complessiva di merci e servizi (diagramma di Swan).
65. Mezzogiorno e Nord dell’Italia nel diagramma di Swan.
66. Le importazioni nette del Mezzogiorno: significato, entità, modalità di finanziamento.
I regimi di cambio
67. Il trilemma di politica economica in economia aperta (il “triangolo impossibile”).
68. Cambi fissi vs. cambi flessibili.
69. Regimi ibridi dei tassi di cambio.
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Per la preparazione dell’esame:
1) Krugman-Obstfeld-Melitz, Economia Internazionale 2, Economia Monetaria Internazionale Pearson.
(Cap. 2 Contabilità nazionale e bilancia dei pagamenti, pag.18-47; Cap. 3 Tassi di cambio e mercati
valutari: un approccio di portafoglio, pag.53-82 esclusi par. 3.2.4, 3.2.5; Cap.5 Livello dei prezzi e tassi di
cambio nel lungo periodo, pag. 139-137 escluso 5.3; pag. 152-177; Cap. 6 Produzione e tasso di cambio nel
breve periodo, 189-194 (solo par e sottopar. 6.1), pag. 224-230 (solo par. e sottopar. 6.11); Cap. 8 Il sistema
monetario internazionale, pag.303-363
2) Dominick Salvatore, Economia Internazionale, 2 Economia Monetaria Internazionale, 2016
3) Appunti delle lezioni e materiale distribuito a lezione.
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La bilancia dei pagamenti e i suoi conti La bilancia dei pagamenti è un “conto” a due sezioni contrapposte in cui vengono registrate le
transazioni economiche intercorse durante un certo periodo di tempo fra i residenti in un paese e i residenti in
tutti gli altri paesi. Le due sezioni sono la sezione crediti (+) e la sezione debiti (-). Una transazione è
un’interazione tra due entità istituzionali che avviene per mutuo consenso o per legge e comporta, tipicamente,
uno scambio di valori (beni, servizi, diritti, attività finanziarie) o, in alcuni casi, il loro trasferimento senza
contropartita.
Le transazioni economiche possono essere di tipo commerciale, finanziario e non finanziario e possono essere a
titolo oneroso o gratuito.
Scopo principale della bilancia dei pagamenti è quello di fornire informazioni alle autorità di governo sulla
posizione internazionale del paese, costituendo così uno strumento utile per l’elaborazione di politiche
economiche monetarie, fiscali e commerciali.
Il riferimento fondamentale per la compilazione e l’interpretazione della Bilancia dei Pagamenti di ogni paese è
costituito dai concetti e definizioni fissati nel Manuale della Bilancia dei Pagamenti (Balance of Payments
Manual) del Fondo Monetario Internazionale (FMI), giunto alla VI edizione nel 2014. Le modifiche e le novità
apportate nel tempo al Manuale sono motivate dalla intensificazione degli scambi internazionali di merci e
servizi e dai crescenti movimenti di persone e di capitali e dalla forte espansione dei mercati finanziari.
In Italia il compito di elaborare la bilancia dei pagamenti è affidato alla Banca d’Italia, che redige il documento
seguendo, appunto, le specifiche regole dettate dal Fondo Monetario Internazionale coerenti con le convenzioni
internazionali in materia di contabilità pubblica. Il passaggio ai nuovi standard è stato concordato a livello
internazionale e ha riguardato nel corso del 2014 tutti i paesi dell’Unione europea. Esso è avvenuto
parallelamente all’introduzione del Sistema europeo dei conti al fine di armonizzare, in termini di contenuti e
presentazione, le statistiche con l’estero e i dati di contabilità nazionale.
Il sistema di registrazione della bilancia dei pagamenti si basa sul criterio della “partita doppia”, in base al
quale ogni transazione viene registrata in due poste di pari importo, una a credito (con segno +) e l’altra a
debito (con segno -). L’applicazione di questo criterio riflette la considerazione che le transazioni consistono
nello scambio di un valore economico per un altro valore.
Il metodo della partita doppia fa sì che nella bilancia dei pagamenti il totale di tutte le voci di credito deve
essere uguale al totale di tutte le voci di debito. In ragione della complessità ed eterogeneità del sistema di
raccolta ed elaborazione dei dati, si possono tuttavia verificare differenze tra i due valori a causa di errori e
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approssimazioni nei dati di origine e incoerenze nelle stime effettuate. A compensazione di tali discrepanze si
introduce una posta denominata errori e omissioni.
La bilancia dei pagamenti è suddivisa in tre sezioni: il conto corrente, il conto capitale e il conto finanziario.
Figura 1 I conti della bilancia dei pagamenti
Il conto corrente CA (current account), o conto delle partite correnti, della bilancia dei pagamenti
contiene i valori degli scambi internazionali (i flussi) di beni di produzione “corrente”, vale a dire in generale di
beni prodotti nel periodo a cui si riferisce la bilancia dei pagamenti.
Il conto corrente registra i crediti e i debiti provenienti dalle transazioni internazionali di merci e servizi
(esportazioni e importazioni), redditi primari e redditi secondari.
Le esportazioni di merci e servizi nazionali sono registrate nella sezione crediti con segno positivo ad indicare
la riscossione di pagamenti da residenti esteri che hanno acquistato le merci esportate.
Le importazioni di merci e servizi esteri sono registrate nella sezione debiti con segno negativo perché danno
luogo ad esborsi a favore di operatori esteri.
Nella voce redditi primari rientrano:
• i redditi da lavoro: retribuzioni lorde di chi presta lavoro dipendente in un paese diverso da quello di
residenza;
• i redditi da capitale: interessi, dividendi e utili reinvestiti.
La voce redditi secondari comprende i trasferimenti unilaterali correnti tra residenti e non residenti che
comportano o un afflusso di denaro o merci (offerta di risorse di attività finanziarie o reali) a cui non
corrisponde una contropartita economica. I trasferimenti unilaterali correnti sono diversi dai trasferimenti in
conto capitale e sono ripartiti in funzione del settore istituzionale che effettua o riceve il trasferimento
nell’economia segnalante (amministrazioni pubbliche o altri settori).
Bilancia dei Pagamenti
Conto Corrente
Merci
Servizi
Redditi primari
Redditi secondari
Conto Capitale
Attività intangibili
Trasferimenti
unilaterali in conto
capitale
Conto Finanziario Investimenti diretti
Investimenti di
portafoglio
Derivati
Altri investimenti
Δ riserve ufficiali
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Trasferimenti unilaterali correnti delle amministrazioni pubbliche e altri settori includono:
• gli aiuti finanziari concessi ad operatori residenti in paesi esteri o ricevuti da paesi stranieri,
• i contributi e le prestazioni sociali (pensioni erogate da enti esteri a residenti),
• le imposte correnti sul reddito e sul patrimonio,
• le rimesse degli emigrati, ossia trasferimenti personali in denaro o in natura fra famiglie residenti e non
residenti,
• i premi netti e indennizzi di assicurazione contro i danni,
• i trasferimenti correnti diversi e le risorse proprie dell’Unione europea.
Per esempio, se un residente in Italia invia gratis prodotti alimentari in Albania per un valore di 1.000
euro, il fatto che in questo caso non c’è alcuna acquisizione come contropartita della cessione di beni alimentari
viene segnalato mediante una registrazione nella sezione debiti (-) per un valore di 1.000 euro in
corrispondenza della voce redditi secondari. In altri termini, un residente in Italia cede qualcosa a un residente
all’estero, senza ricevere niente in cambio.
Precedentemente il conto corrente della bilancia dei pagamenti includeva i debiti provenienti dalle transazioni
internazionali di merci e servizi, redditi e trasferimenti unilaterali correnti.
All’interno del conto corrente si distinguono:
la bilancia commerciale (balance of goods o merchandise balance) che include le sole esportazioni e
importazioni di merci;
la bilancia delle merci e servizi (trade balance) che considera le esportazioni e importazioni di merci
e servizi (Figura 2).
Figura 2 Andamento delle esportazioni e importazioni di merci e servizi dell’Italia, 2006-2016
La differenza fra i valori registrati nella sezione crediti, o con segno +, e valori registrati nella sezione debiti, o
con segno – rappresenta il SALDO.
Si può quindi calcolare:
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Il saldo del conto corrente (current account) come differenza fra i valori registrati nella sezione crediti e i
valori registrati nella sezione debiti per le quattro voci merci, servizi, redditi primari e secondari.
Il saldo commerciale (balance of goods o merchandise balance) = esportazioni di merci – importazioni di
merci.
Il saldo della bilancia delle merci e servizi (trade balance) che considera la differenza fra esportazioni e
importazioni di merci e servizi.
Il saldo più importante evidenziato nelle analisi di bilancia dei pagamenti è il saldo corrente o saldo delle partite
correnti.
Se il saldo di conto corrente è positivo vi è un avanzo di conto corrente.
Se il saldo di conto corrente è negativo vi è un disavanzo di conto corrente.
Il saldo del conto corrente misura le dimensioni e la direzione dei prestiti internazionali. Un saldo negativo
implica che il disavanzo viene finanziato con prestiti concessi da operatori esteri con maggiore indebitamento
netto del paese. Un saldo positivo significa, invece, che il paese può concedere prestiti all’estero per cui il paese
è un creditore netto.
Il conto capitale (capital account) registra i flussi di categorie speciali di attività, tipicamente attività non di
mercato, non prodotte, come le cancellazioni del debito, e i crediti e i debiti provenienti dalle “trasmissioni
nella proprietà di attività intangibili”, quali brevetti, diritti d’autore, copyrights, trademarks e avviamento
commerciale. Comprende inoltre i trasferimenti unilaterali in conto capitale, ossia i crediti e i debiti provenienti
dagli incassi e dagli esborsi per “trasferimenti di proprietà di beni capitali o di fondi collegati all’acquisto o alla
dismissione di beni capitali”.
Allo stesso modo del conto corrente, con un saldo del conto capitale positivo vi è un avanzo del conto capitale,
mentre con un saldo del conto capitale negativo vi è un disavanzo del conto capitale.
Il conto finanziario CF (financial account) della bilancia dei pagamenti presenta una sintesi degli
scambi internazionali di attività e passività patrimoniali durante un certo periodo. Esso riporta, quindi, le
acquisizioni e le vendite nette di attività e passività finanziarie.
Con i nuovi standard internazionali del VI manuale del FMI, la convenzione di segno che aveva
tradizionalmente caratterizzato il conto finanziario è abbandonata: attualmente valori positivi dal lato delle
attività indicano un incremento delle attività, viceversa valori negativi dal lato delle attività indicano una
riduzione delle attività.
I flussi finanziari sono raggruppati in cinque categorie funzionali (Figura 1): investimenti diretti,
investimenti di portafoglio, derivati finanziari, altri investimenti e variazioni delle riserve ufficiali.
Gli investimenti diretti sono volti a costituire un’impresa o ad acquisire il controllo di un’impresa già esistente.
Se si fa riferimento al conto finanziario dell’Italia, se è un residente che costituisce o acquisisce una impresa
all’estero si ha un investimento diretto all’estero con conseguente incremento delle attività nazionali e
registrazione con segno + nel conto finanziario. Se è un non residente che costituisce o acquisisce un’impresa in
Italia si ha un investimento diretto in entrata con conseguente diminuzione delle attività nazionali e
registrazione con segno - nel conto finanziario1. In sintesi, nell’ipotesi che una impresa italiana venga acquistata
1 In passato, invece, nel conto finanziario della bilancia dei pagamenti, si registravano fra i crediti (o con segno +) le
cessioni e fra i debiti (o con segno -) le acquisizioni, rendendo l’interpretazione dei dati a volte contro intuitiva. Per
esempio, nel passato se un residente italiano costituiva o acquisiva una impresa all’estero veniva registrata fra i debiti (o
con segno -) nel conto finanziario della bilancia dei pagamenti (voce investimento diretto all’estero) italiana perché si
aveva una fuoriuscita di capitali dall’Italia. Se era un non residente italiano che costituiva o acquisiva un’ impresa in Italia
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da capitali stranieri, questa operazione viene registrata con segno meno poiché si assiste ad un impoverimento
del nostro patrimonio. Viceversa l’acquisizione di azienda estera verrà registrata con il segno più.
Gli investimenti di portafoglio registrano le transazioni fra i residenti e i non residenti che hanno per oggetto
l'acquisto di titoli, obbligazioni e quote minoritarie (che non comportano il controllo) di pacchetti azionari di
imprese. Per esempio, una cessione da parte del governo italiano a un residente in Francia di un titolo del debito
pubblico viene registrata fra i debiti (o con segno -) nel conto finanziario della bilancia dei pagamenti visto che
questa operazione comporta un aumento delle passività dell’Italia verso l’estero. Nel passato la stessa cessione
da parte del governo italiano a un residente in Francia di un titolo del debito pubblico veniva registrata fra i
crediti (o con segno +) nel conto finanziario della bilancia dei pagamenti.
I derivati registrano le transazioni in prodotti finanziari complessi quali futures, swap, opzioni ecc.
Sotto la voce altri investimenti, vengono registrati i crediti e debiti di residenti in un paese verso residenti in un
altro paese. Si tratta ad esempio di crediti concessi dai venditori agli acquirenti nel caso di pagamento
posticipato di merci o servizi e, inoltre, prestiti, depositi e altre transazioni simili. Questa voce rappresenta la
principale categoria di attività e passività patrimoniali internazionali.
Le riserve ufficiali sono costituite dagli strumenti monetari e finanziari di liquidità internazionale a disposizione
delle banche centrali per operare sul mercato dei cambi e la loro variazione è determinata dal comportamento
delle autorità valutarie residenti. In particolare, le riserve ufficiali includono oro, valute estere, titoli pubblici
esteri, e conti presso il Fondo Monetario Internazionale. Le riserve ufficiali detenute dalla (acquistate dalla)
banca centrale nazionale sono un credito (+), le riserve ufficiali detenute dalle (vendute alle) banche centrali
estere sono un debito (-). Le riserve ufficiali sono lo strumento con cui le banche centrali compensano
temporaneamente gli squilibri della bilancia dei pagamenti.
Il conto corrente e il conto capitale registrano i flussi lordi. Al contrario, nel conto finanziario le operazioni
sono riportate in termini netti, separatamente per ogni attività e passività finanziaria. In particolare, le
acquisizioni nette di attività finanziarie registrano le acquisizioni meno le dismissioni di attività, mentre le
variazioni nette di passività registrano gli aumenti meno i rimborsi di passività.
si aveva un investimento diretto in entrata con conseguente immissione di capitali nel nostro Paese e registrazione fra i
crediti (o con segno +) nel conto finanziario.
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Si riassume qui di seguito il metodo di registrazione nei tre conti della bilancia dei pagamenti.
Figura 3 Registrazioni nella bilancia dei pagamenti VI manuale del FMI.
Il “saldo” di bilancia dei pagamenti.
Il saldo della bilancia dei pagamenti è data da:
CA + CK – CF = 0
Dato il criterio di registrazione utilizzato, è ovvio che, se non stati commessi errori, il saldo calcolato
considerando tutte le registrazioni effettuate in bilancia dei pagamenti è per definizione pari a zero. La somma
dei saldi del conto corrente e del conto capitale coincide, quindi, con il risultato netto (avanzo) o
l’indebitamento netto (disavanzo) di un’economia nei confronti del resto del mondo.
In effetti questo saldo viene evidenziato in bilancia dei pagamenti proprio in corrispondenza della voce “Errori
e omissioni”. Il valore che si trova in corrispondenza di questa voce è in effetti una stima per difetto degli errori
commessi, poiché misura soltanto gli errori che riguardano un aspetto delle transazioni (l’acquisizione o la
cessione). Se, infatti, una transazione sfugge per entrambi gli aspetti, l’omissione non comporta alcuna
discrepanza tra totale crediti e totale debiti. Anche per quel che riguarda gli errori su un solo aspetto delle
transazioni, in corrispondenza della voce errori e omissioni troviamo soltanto il totale degli errori che non si
sono reciprocamente compensati.
Per avere un saldo significativo di bilancia dei pagamenti è necessario considerare soltanto una parte
delle registrazioni. Per esempio se si considerano soltanto le esportazioni e le importazioni di merci, si ottiene il
Registrazioni in Bilancia dei Pagamenti
Conto Corrente
a credito le cessioni di merci e servizi (esportazioni) o
l’afflusso di redditi dall’estero.
a debito le acquisizioni di merci e servizi dall’estero
(importazioni) o il deflusso di redditi.
Conto Capitale
a credito le cessioni.
a debito le acquisizioni.
Conto Finanziario
a credito l’incremento delle attività nazionali (le acquisizioni).
a debito la diminuzione delle attività nazionali (le cessioni).
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saldo commerciale; se si considerano soltanto le acquisizioni e le cessioni di moneta internazionale da parte
della Banca Centrale si ottiene il saldo delle riserve valutarie; e così via.
In sintesi si può dire che in effetti le prime tre voci delle partite correnti hanno in comune il fatto di
rappresentare tutte in ultima analisi scambi internazionali dei servizi dei fattori produttivi prestati nel periodo
considerato. Le differenze riguardano essenzialmente le modalità in cui i servizi dei fattori produttivi sono
scambiati.
Esportare un abito italiano significa in ultima analisi esportare i servizi dei fattori produttivi italiani
(principalmente lavoro e capitale) utilizzati per produrre l’abito. Analogamente, importare un computer
americano significa importare i servizi dei fattori produttivi americani utilizzati per produrre il computer.
Vendere a un turista tedesco i servizi di un albergo di Roma significa essenzialmente esportare i servizi dei
lavoratori e dei capitali italiani utilizzati per produrre quei servizi. Nella voce redditi, troviamo essenzialmente
le esportazioni e le importazioni di servizi (soprattutto del fattore produttivo capitale) che potremmo definire
“allo stato puro”, vale a dire non incorporati in merci o servizi prodotti nel paese esportatore. Prestare risparmi
italiani a un’impresa francese vuol dire in ultima analisi esportare in Francia i servizi del capitale italiano,
secondo una modalità che prevede la sua utilizzazione nella produzione di merci e servizi in senso stretto in
Francia invece che in Italia.
Non considerando i redditi secondari (trasferimenti correnti), si può dire che il saldo delle partite
correnti della bilancia dei pagamenti italiana rappresenta la differenza fra il valore dei servizi dei fattori
produttivi italiani venduti all’estero e il valore dei servizi produttivi esteri venduti in Italia. Se questa differenza
è positiva vuol dire che soltanto una parte del valore dei servizi dei fattori produttivi italiani venduti all’estero è
stata utilizzata per pagare i servizi dei fattori produttivi esteri importati, e che quindi c’è una differenza per la
quale l’Italia ha ottenuto qualcos’altro (aumento dei crediti verso l’estero, o diminuzione dei debiti verso
l’estero, azioni di imprese estere, ecc.). Trascurando i redditi secondari, un eccesso delle esportazioni rispetto
alle importazioni di merci e servizi in senso lato implica un aumento delle attività patrimoniali nette dell’Italia
verso l’estero; mentre un eccesso delle importazioni rispetto alle esportazioni di merci e servizi in senso lato
implica una riduzione delle attività patrimoniali nette dell’Italia verso l’estero.
La presenza di trasferimenti correnti introduce un elemento di disturbo nella relazione fra saldo delle
esportazioni di merci e servizi e variazione delle attività patrimoniali nette verso l’estero. Un paese che
trasferisce gratuitamente merci o servizi o attività patrimoniali ad altri paesi, vede aumentare le sue passività
nette verso l’estero in misura pari al disavanzo negli scambi con l’estero di merci e servizi più i trasferimenti
netti verso l’estero, oppure aumentare le sue attività nette verso l’estero in misura pari all’avanzo negli scambi
con l’estero di merci e servizi meno il valore dei trasferimenti netti all’estero. D’altro lato, un paese che riceve
trasferimenti netti dall’estero vede aumentare le sue passività nette verso l’estero in misura pari al disavanzo
negli scambi con l’estero di merci e servizi meno il valore dei trasferimenti netti ricevuti dall’estero, oppure
aumentare le sue attività nette verso l’estero in misura pari all’avanzo negli scambi con l’estero di merci e
servizi più il valore dei trasferimenti netti ricevuti.
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Analisi della bilancia dei pagamenti italiana
Una versione sintetica della bilancia dei pagamenti dell'Italia per gli anni 2010-2015 é presentata nell'appendice
statistica della Relazione annuale del Governatore della Banca d’Italia per il 2015, presentata il 31 maggio
2016. Per comprendere il significato delle diverse voci é bene ricordare che in genere nei prospetti di bilancia
dei pagamenti nel conto corrente e nel conto capitale con la voce crediti (o segno +) vengono indicate le
cessioni di beni a residenti esteri (esportazioni nel caso di merci e servizi) che comportano un afflusso di
capitali e con la voce debiti (o segno -) vengono indicate le acquisizioni di beni da residenti esteri (importazioni
nel caso di merci e servizi) che implicano un deflusso di capitali.
Nella tabella allegata i valori sono espressi in milioni di euro (a prezzi correnti), per semplicità nell'analisi
seguente gli stessi valori sono trasformati in miliardi di euro. Nella prima riga della tabella é indicato per il
2015 un saldo corrente positivo (avanzo) pari a circa 36 miliardi di euro; esso é la sintesi delle transazioni
“correnti” con l'estero (“conto corrente”), distinte in quattro classi: 1) cessioni e acquisizioni di merci (beni che
hanno una consistenza fisica come abiti, petrolio, carne, automobili, ecc.), 2) cessioni e acquisizioni di servizi
(beni che non hanno una consistenza fisica come servizi di trasporto, di alberghi, professionali, ecc.), 3)
cessioni e acquisizioni di redditi (in particolare da lavoro o da capitale), 4) cessioni e acquisizioni senza
contropartita (redditi secondari).
Figura 4 La Bilancia dei pagamenti italiana
Fonte: Relazione annuale del Governatore della Banca d’Italia, 31 Maggio 2016, Appendice
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Il saldo complessivo del conto corrente é pari alla somma algebrica dei saldi relativi a queste quattro classi di
transazioni economiche per approssimazione: 52,6 – 1,1 – 0,9 – 14,6 = 36. Il saldo corrente indica che le
transazioni correnti con l'estero hanno determinato nel corso del 2015 un aumento delle attività patrimoniali
nette dei residenti in Italia verso residenti in altri paesi per circa 36 miliardi di euro.
Il saldo del conto corrente della bilancia dei pagamenti, quindi, fornisce una stima approssimata della
variazione nelle attività o passività nette dei residenti in un paese verso residenti in altri paesi in conseguenza
delle transazioni economiche effettuate durante un certo periodo. Il valore delle attività e passività verso l'estero
varia tuttavia anche per effetto di variazioni nel loro prezzo. Ciò può spiegare come mai, secondo le stime della
Banca d'Italia (Relazione Annuale per il 2015, appendice, pagina 91), fra la fine del 2010 e la fine del 2015 la
posizione patrimoniale netta complessiva dell'Italia verso estero sembra essere peggiorata (da -331,6 miliardi di
euro nel 2010 a -395,6 miliardi di euro nel 2015), nonostante il fatto che nel 2010 l'Italia abbia registrato un
disavanzo corrente complessivo dell'ordine di circa 54,8 miliardi di euro, mentre nel 2015 abbia segnato un
avanzo corrente di 35,9 miliardi di euro. Evidentemente in questo periodo l'andamento dei prezzi delle attività
dell'Italia verso l'estero é stato migliore di quello delle passività dell'Italia verso l'estero.2 Nel lungo periodo,
tuttavia, é del tutto improbabile che gli effetti negativi di un disavanzo del conto corrente della bilancia dei
pagamento possano essere sempre compensati da dinamiche favorevoli dei prezzi delle attività e passività (in
genere periodi di dinamiche favorevoli dei prezzi delle attività e passività si alternano con periodi di andamenti
sfavorevoli). Persistenti disavanzi del conto corrente della bilancia dei pagamenti di un paese, prima o poi si
riflettono quindi sicuramente in un peggioramento nella sua situazione patrimoniale verso l'estero.
Il conto finanziario illustra le acquisizioni e cessioni di diverse classi di attività e passività di residenti in Italia
verso residenti in altri paesi. Segni + implicano un miglioramento della posizione finanziaria netta del paese,
mentre segni – indicano un peggioramento della posizione finanziaria del paese. Ad esempio, il saldo
complessivo del conto finanziario (+ 33 miliardi di euro) indica che nel corso del 2015 le acquisizioni da parte
di residenti in Italia delle diverse classi di attività e passività verso l'estero hanno superato le cessioni delle
diverse classi di attività e passività verso l'estero per un valore di circa 33 miliardi di euro, che indica un
aumento delle attività patrimoniali nette dell'Italia verso l'estero per un valore di circa 33 miliardi di euro.
La differenza di valore assoluto fra il saldo del conto corrente (36 miliardi di euro) e il saldo del conto
finanziario (33 miliardi di euro) é spiegata principalmente dal saldo degli errori e omissioni (5,5 miliardi di
euro).
Questo saldo indica che nella rilevazione statistica delle voci riportate nella bilancia dei pagamenti italiana per
il 2015 si sono verificati errori e omissioni che hanno determinato una sopravvalutazione delle cessioni e/o una
sottovalutazione delle acquisizioni per un importo netto di circa 5,5 miliardi di euro.
In generale é più probabile che gli errori e omissioni riguardino voci del conto finanziario che non voci del
conto corrente3.
2 Per comprendere bene i fattori di variazione delle attività o passività patrimoniali nette di una unità economica, può
essere utile il seguente esempio.
Supponiamo che una famiglia, nel corso del 2010, abbia:
1) ottenuto come reddito da lavoro (vale a dire in cambio del suo lavoro) 30. 000 euro
2) acquistato beni (cibo, abiti, servizi di trasporto, ecc.) per un valore di 35.000 euro)
3) regalato a parenti in difficoltà 2.000 euro
4) pagato 3.000 euro come interessi su un mutuo.
Supponiamo che all’inizio dell’anno la famiglia non aveva attività patrimoniali e aveva un debito di 80.000 euro.
Determinare la variazione nella posizione patrimoniale della famiglia durante il 2010:
Si è avuto un aumento delle passività della famiglia pari a (30.000 -35.000) + 2.000 –+3.000 = 10.000. Supponiamo ora
che all’inizio del 2010 la famiglia, oltre al debito di 80.000 euro, aveva anche attività patrimoniali (azioni Fiat) per un
valore a inizio anno di 100.000 euro, e che nel corso dell’anno il valore di queste azioni sia aumentato di 15.000). In
questo caso la famiglia avrebbe registrato un miglioramento nella sua posizione patrimoniale netta pari a (30.000 -35.000)
– 2.000 – 3.000 + 15.000 = + 5.000. 3 Errori e omissioni rilevanti possono riguardare tuttavia anche le voci del conto corrente, e in particolare quelle relative a
servizi, redditi primari e secondari.
14
Le voci del Conto capitale, quantitativamente meno rilevanti, indicano che nel corso del 2015 l'Italia ha
registrato acquisizioni di attività intangibili (brevetti, ecc.) dall'estero per un valore superiore di 1,09 miliardi
rispetto a quello delle cessioni, e ottenuto trasferimenti unilaterali in "conto capitale" (per esempio per
investimenti nel Mezzogiorno), per un valore di 3,73 miliardi.
All'interno del conto finanziario, le acquisizioni e cessioni di attività e passività verso l'estero (investimenti
internazionali) sono distinte in cinque classi: investimenti diretti, investimenti di portafoglio, derivati, altri
investimenti e variazioni delle riserve ufficiali. Particolarmente importanti qualitativamente, sono gli
investimenti (internazionali) diretti, che consistono in acquisizioni o cessioni di azioni di imprese estere che
comportano l’acquisizione o la cessione di un certo potere di controllo dell’impresa. La grande importanza
qualitativa di questa categoria di investimenti internazionali deriva dal fatto che chi acquisisce il controllo di
una impresa estera aumenta le attività finanziarie del Paese (per esempio: l'acquisto di Chrysler da parte della
Fiat)4.
Significato di alcune voci nel conto finanziario della bilancia dei pagamenti italiana per il 2015:
- Investimenti diretti (di residenti in Italia) all’estero per 13,7 miliardi di euro: significa che nel corso del 2015
il valore degli acquisti di imprese estere da parte di residenti in Italia è stato maggiore del valore delle vendite
di imprese estere da parte di residenti in Italia (con un certo potere di controllo) per un valore di 13,7 miliardi di
euro.
- Investimenti diretti (da parte di residenti all’estero) in Italia = 7,1 miliardi di euro: significa che nel corso del
2015 il valore delle vendite a stranieri di imprese italiane con potere di controllo ha superato il valore degli
acquisti per un importo di 7,1 miliardi di euro.
Il saldo complessivo degli investimenti diretti (internazionali) indica che, per quel che riguarda gli investimenti
diretti all’estero, le transazioni economiche effettuate nel corso del 2015 hanno determinato un miglioramento
della situazione patrimoniale netta dell’Italia verso l’estero per circa 6,6 miliardi di euro (nel conto finanziario
un saldo positivo implica un miglioramento della posizione patrimoniale netta del paese verso l'estero, poiché
deriva da acquisizioni di attività o passività maggiori delle cessioni).
La voce investimenti di portafoglio comprende cessioni e acquisizioni di attività passività patrimoniali estere
rappresentate prevalentemente da obbligazioni e da azioni la cui acquisizione o cessione non comporta
mutamenti nel potere di controllo delle imprese. Il saldo negativo per 89 miliardi di euro nel 2015 indica che
gli investimenti di portafoglio effettuati nel corso del 2015 hanno determinato un miglioramento della
situazione patrimoniale netta dell’Italia verso l’estero per circa 89 miliardi di euro (nel conto finanziario un
saldo positivo implica un miglioramento della posizione patrimoniale netta del paese verso l'estero, poiché
deriva da acquisizioni di attività o passività maggiori delle cessioni).
Una voce che è stata aggiunta recentemente al conto finanziario è quella dei derivati, dove vengono registrate le
transazioni di quei prodotti finanziari creati per coprirsi dal rischio.
L’ultima voce è quella della variazione delle riserve ufficiali, i flussi di valuta che servono per far sì che il saldo
finale della bilancia dei pagamenti sia in pareggio.
Effetti cumulativi di un avanzo o di un disavanzo delle partite correnti di bilancia dei
pagamenti.
Un avanzo o un disavanzo di partite correnti non esaurisce i suoi effetti nell’anno in cui si è verificato,
ma influenza la struttura della bilancia dei pagamenti degli anni successivi. Nel 2010 l’Italia ha registrato un
disavanzo corrente con l’estero di circa 55 miliardi di euro, e ciò ha comportato un corrispondente aumento
delle passività nette dell’Italia verso l’estero. Ciò significa che dal 2011 in poi nella voce redditi della bilancia
4 Spesso, tuttavia, principalmente per ragioni politiche e di prestigio nazionale, i governi cercano di opporsi a investimenti
diretti esteri che comportano il passaggio del controllo di importanti imprese nazionali a gruppi di controllo esteri.
15
dei pagamenti italiana si troveranno maggiori esborsi per redditi di passività dell’Italia verso l’estero e/o minori
introiti per redditi di attività dell’Italia all’estero.
Il disavanzo corrente dell’Italia nel 2010 è stato provocato sia da un eccesso di importazioni rispetto
alle esportazioni di merci e servizi, sia da un eccesso di 4,8 miliardi dei redditi primari pagati sulle passività
dell’Italia verso l’estero rispetto ai redditi percepiti da residenti in Italia sulle attività verso l’estero, e di 20
miliardi dei redditi secondari in uscita dall’Italia (soprattutto verso l’Unione Europea) rispetto a quelli ottenuti.
Il Conto Economico delle risorse e degli impieghi
Le principali voci delle partite correnti della bilancia dei pagamenti sono collegate al conto economico
delle risorse e degli impieghi, vale a dire del conto che fornisce una rappresentazione sintetica delle
utilizzazioni dei beni di cui un paese ha avuto la disponibilità durante un certo periodo (impieghi), e delle
principali origini (risorse) di questi beni. Il conto economico delle risorse e degli impieghi riassume quindi la
situazione macroeconomica del Paese, mettendo in evidenza l’equilibrio tra le diverse componenti dell’offerta
finale di merci e servizi, rappresentata dalle risorse (prodotto interno lordo ed importazioni dall’estero) e la
domanda, data dagli impieghi (consumi, investimenti ed esportazioni). Un paese durante un certo periodo può,
infatti, acquisire la disponibilità dei beni mediante la produzione interna oppure l’importazione dall’estero. Il
totale delle risorse (nel senso di beni disponibili) durante un certo periodo è dato quindi dalla somma del valore
della produzione interna (PIL, Y) e di quello delle importazioni di merci e servizi (M). I beni disponibili
possono essere utilizzati per rendere immediatamente più felici i residenti nel paese considerato (consumi finali
interni, C), oppure per accrescere la capacità produttiva, vale a dire la capacità di rendere felici in futuro i
residenti nel paese considerato (investimenti interni, I), oppure possono essere esportati (E). Sia i consumi sia
gli investimenti possono essere pubblici o privati.
Il conto economico delle risorse e degli impieghi può essere rappresentato secondo il seguente schema
Y + M = C + I + E
risorse = impieghi
Ad esempio, nel 2015 l’Italia ha avuto una disponibilità complessiva di beni per un valore di 2.078,8 miliardi
di euro, provenienti per il 78,7 per cento dalla produzione interna (1.636,4 miliardi) e per il 21,3% dalle
importazioni (442, 4 miliardi). Questi beni sono stati impiegati per il 48% per consumi privati (999,3 miliardi),
per il 15% per consumi pubblici (310,3 miliardi), per il 13% per investimenti fissi lordi (270,3 miliardi), e per
il 24% per esportazioni (494,9 miliardi).
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In sintesi, il conto economico delle risorse e degli impieghi fornisce un quadro sintetico delle fonti
(risorse) e delle utilizzazioni (impieghi) dei beni all’interno di un paese in un dato periodo di tempo.
In contabilità nazionale il valore complessivo dei beni disponibili risulta essere identicamente uguale al
valore degli impieghi, poiché gli investimenti in scorte sono definiti in modo residuale, sottraendo dal totale
delle disponibilità interne di beni gli impieghi per consumi privati, per consumi e investimenti pubblici, e per
investimenti fissi privati. Dall’identità contabile si ha:
Y = C + I + E – M
Produzione interna = consumi + investimenti + esportazioni – importazioni (1)
oppure:
Y – (C + I) = E – M
Produzione interna – (consumi + investimenti) = esportazioni – importazioni (2)
Indicando
impieghi interni = C + I
si ottiene
Produzione interna – impieghi interni = esportazioni – importazioni (3)
Un eccesso delle esportazioni rispetto alle importazioni di merci e servizi implica quindi un eguale eccesso
della produzione rispetto agli impieghi interni (per consumi e per investimenti) di merci e servizi.
Un valore degli impieghi interni superiore a quello della produzione interna di merci e servizi, e quindi
un valore delle importazioni superiore a quello delle esportazioni, a meno che il paese non riesca a ottenere
gratis dagli altri paesi i beni che utilizza in eccesso rispetto alla produzione interna, implica un aumento delle
passività nette del paese verso l’estero o una diminuzione delle attività nette del paese verso l’estero. Per
valutare le conseguenze di un tale fenomeno per le prospettive economiche del paese è necessario verificare se
l’eccesso degli impieghi interni rispetto alla produzione interna è stato utilizzato per accelerare la crescita della
capacità produttiva del paese oppure per consentire un aumento dei consumi finali interni. Nel secondo caso il
fenomeno è negativo per le prospettive economiche del paese, a meno che il sostegno dei consumi interni non
sia un fatto transitorio reso necessario da un andamento eccezionalmente negativo della produzione interna.
Nel caso in cui l’eccesso degli impieghi interni rispetto alla produzione interna sia stato utilizzato per
accelerare la crescita della capacità produttiva, il fenomeno può essere positivo dal punto di vista delle
prospettive economiche del paese, a condizione però che la redditività degli investimenti interni aggiuntivi
finanziati mediante un aumento delle passività nette verso l’estero sia maggiore del tasso d’interesse da pagare
sulle passività verso l’estero.
La (3) consente di determinare il valore delle importazioni nette, conoscendo soltanto la produzione e gli
impieghi interni di merci e servizi. Ciò è particolarmente utile per la costruzione dei conti economici regionali.
Per le diverse regioni italiane esistono stime della produzione e degli impieghi interne di merci e servizi, ma
non delle esportazioni e delle importazioni complessive (le stime disponibili riguardano le esportazioni verso
l’estero e le importazioni dall’estero, ma non quelle verso e dalle altre regioni italiane). E’ possibile stimare le
importazioni nette di ciascuna regione, sottraendo il valore della produzione interna da quello degli impieghi
interni per consumi e per investimenti.
Ricordando che il valore della produzione interna è uguale a quello del reddito interno, e che il
risparmio (S) è uguale al valore del reddito meno quello del consumo, la (2) diventa:
Risparmi – investimenti = esportazioni – importazioni (4)
S – I = E – M
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La (4) mette in evidenza che l’eccesso delle esportazioni rispetto alle importazioni di merci e servizi è
uguale all’eccesso del risparmio rispetto agli investimenti interni (I) . Il risparmio non utilizzato all’interno
viene “esportato” nella forma di un avanzo negli scambi con l’estero di merci e servizi. Viceversa, se il valore
delle importazioni supera quello delle esportazioni di merci e servizi, vuol dire che il risparmio interno non è
sufficiente a finanziare gli investimenti e che quindi il paese importa risparmio da altri paesi.
Illustrazioni della identità macroeconomica fondamentale di una economia aperta.
1) Italia 2015
Produzione interna – impieghi interni = esportazioni – importazioni
Conto economico delle risorse e degli impieghi e della distribuzione del reddito, miliardi di euro a prezzi
correnti.
Consumi nazionali (interni), privati e pubblici : 999,3 +310,3 =1.309,5
Investimenti fissi lordi: 270,3
Esportazioni: 494,9
Importazioni: 442,4
Prodotto interno lordo: 1.632,3
Verifichiamo che: PIL – Consumi – Investimenti = Esportazioni –Importazioni:
1.632,3 – 1.309,5 – 270,3 = 52,5
1.632,3 – 1579,8 = 52,5.
Il risultato evidenzia per l’Italia nel 2015 un eccesso delle esportazioni rispetto alle importazioni di merci e
servizi pari a 52,5 miliardi di euro, a cui corrisponde una scarsità degli impieghi interni rispetto alla produzione
interna di merci e servizi di uguale valore. (A volte, a causa di errori nelle rilevazioni statistiche , l’eguaglianza
può apparire soltanto approssimata).
Considerato che: Risparmio interno lordo = prodotto interno lordo – consumi interni, possiamo anche
verificare che: Risparmio interno lordo (1.632,3– 1.309,5 = 322,8) – Investimenti interni lordi (270,3) =
Esportazioni (494,9) – Importazioni (442,4) = 52,5.
Questa relazione evidenzia per l’Italia nel 2015 un eccesso risparmi interni rispetto agli investimenti interni,
uguale all’eccesso delle esportazioni rispetto alle importazioni. Ciò significa che nel 2015 i risparmi degli
italiani sono stati sufficienti per finanziare gli investimenti effettuati in Italia per accrescere la capacità
produttiva (macchinari, attrezzature, costruzioni ecc.), e che quindi non sono stati importati risparmi (o capitali
finanziari) da altri paesi.
In genere, se gli impieghi interni di un paese non superano la produzione interna (vale a dire se il valore delle
importazioni non supera quello delle esportazioni) di beni, si ha una diminuzione delle sue passività nette verso
l’estero, e quindi l’economia considerata può dare in prestito l’eccesso della produzione interna rispetto agli
impieghi ad altri paesi.
2) Due Regioni a confronto
Conto economico delle risorse e degli impieghi, valori in miliardi a prezzi correnti
Calabria, 2011
Lombardia, 2011
variazione delle scorte 0,3 3,1
investimenti fissi lordi 7,6 60,7
importazioni nette 11,4 -35,4
PIL ai prezzi di mercato 33,3 328,2
consumi finali interni 36,8 229
risorse 44,7 292,8
impieghi 44,7 292,8
18
I valori del conto economico delle risorse e degli impieghi per la Calabria e la Lombardia sono stati estratti
dall’Istat a maggio 2016 e sono riferiti al 2011, ultimo anno disponibile.
Per la Regione Calabria 2011
- Consumi regionali (interni), privati e pubblici = 36,8
-
- Investimenti lordi, fissi e in scorte: 7,9
- Importazioni nette: 11,4 (nel caso delle singole regioni italiane non sono disponibili i valori delle
esportazioni e delle importazioni verso altre regioni e paesi, ma soltanto quello delle importazioni nette
(importazioni - esportazioni di merci e servizi verso altre regioni e paesi).
- Prodotto interno lordo: 33,3
Verifichiamo che: Prodotto interno lordo – Consumi – Investimenti = Esportazioni –Importazioni:
33,3 – 36,8 – 7,9 = – 11,4
Importazioni nette = 11,4 vale a dire, esportazioni – importazioni = – 11,4.
Il risultato evidenzia per la Calabria nel 2011 un eccesso delle importazioni rispetto alle esportazioni di merci e
servizi pari a 11,4 miliardi di euro, a cui corrisponde un eccesso degli impieghi interni rispetto alla produzione
interna di merci e servizi di uguale valore. (A volte, a causa di errori nelle rilevazioni statistiche, l’eguaglianza
può apparire soltanto approssimata).
Considerato che: Risparmio interno lordo = prodotto interno lordo – consumi interni, possiamo anche
verificare che: Risparmio interno lordo (33,3 – 36,8 = – 3,5) – Investimenti interni lordi (7,9) = Esportazioni –
Importazioni = - 11,4.
Questa relazione evidenzia per la Calabria nel 2011 un eccesso degli investimenti interni rispetto ai risparmi
interni, uguale all’eccesso delle importazioni rispetto alle esportazioni. Ciò significa che nel 2011 i risparmi dei
calabresi non sono stati sufficienti per finanziare gli investimenti effettuati in Calabria per accrescere la
capacità produttiva (macchinari, attrezzature, costruzioni ecc.), e che quindi sono stati importati risparmi (o
capitali finanziari) da altre regioni e paesi.
Per la Regione Lombardia 2011
- Consumi regionali (interni), privati e pubblici = 229
- Investimenti lordi, fissi e in scorte: 60,7 + 3,1 = 63,8
- Importazioni nette: - 35,4 (nel caso delle singole regioni italiane non sono disponibili i valori delle
esportazioni e delle importazioni verso altre regioni e paesi, ma soltanto quello delle importazioni nette
(importazioni - esportazioni di merci e servizi verso altre regioni e paesi).
- Prodotto interno lordo: 328,2
Verifichiamo che: Prodotto interno lordo – Consumi – Investimenti = Esportazioni –Importazioni:
328,2 – 229 – 63,8 = 35,4
Importazioni nette = – 35,4, vale a dire, esportazioni – importazioni = 35,4.
Il risultato evidenzia per la Lombardia nel 2011 un eccesso delle esportazioni rispetto alle importazioni di merci
e servizi pari a 35,4 miliardi di euro, a cui corrisponde un eccesso degli impieghi interni rispetto alla
produzione interna di merci e servizi di uguale valore.
19
Considerato che: Risparmio interno lordo = prodotto interno lordo – consumi interni, possiamo anche
verificare che: Risparmio interno lordo (328,2 – 229 = 99,2) – Investimenti interni lordi (63,8) = Esportazioni
– Importazioni = 35,4
Questa relazione evidenzia per la Lombardia nel 2011 un eccesso dei risparmi interni rispetto agli investimenti
interni, uguale all’eccesso delle esportazioni rispetto alle importazioni. Ciò significa che nel 2011 i risparmi dei
residenti in Lombardia soltanto in parte sono stati utilizzati per finanziare gli investimenti effettuati in
Lombardia per accrescere la capacità produttiva (macchinari, attrezzature, costruzioni ecc.), e che quindi sono
stati esportati risparmi (o capitali finanziari) dalla Lombardia verso altre regioni e paesi.
I risultati dell’analisi per la Calabria e la Lombardia evidenziano un aspetto tipico di gran parte delle regioni del
Sud (Mezzogiorno) e del Centro-Nord dell’Italia: importazioni nette positive (quindi impieghi interni maggiori
della produzione interna e investimenti interni maggiori dei risparmi interni) per le regioni del Sud
(Mezzogiorno), e importazioni nette negative (quindi impieghi interni minori della produzione interna e
investimenti interni minori dei risparmi interni) per molte regioni del Centro-Nord). Gran parte delle
importazioni nette delle regioni del Mezzogiorno sono finanziate da trasferimenti dalle regioni del Centro-Nord
dell’Italia, in modo automatico attraverso il sistema fiscale. Per esempio, un’analisi della Banca d’Italia (Il
Mezzogiorno e la politica economica dell’Italia. Giugno 2010, pagina 160, evidenzia per la Calabria nel
periodo 2005-2007 entrate pubbliche pari a 6.700 euro per anno per abitante e spese pubbliche primarie (vale
a dire non considerando la spesa per interessi sul debito pubblico) pari a 10.700 euro per anno per abitante, con
un eccesso delle spese rispetto alle entrate pari a circa 4.000 euro per anno per abitante (residuo fiscale).
Moltiplicando 4.000 per il numero dei residenti in Calabria (circa 2 milioni), si ottiene un valore simile a quello
delle importazioni nette della Calabria.
Questi trasferimenti (unilaterali) hanno consentito fino ad ora alle regioni del Sud dell’Italia impieghi interni di
beni significativamente maggiori della produzione interna, senza un corrispondente aumento delle loro
passività nette verso l’esterno. A partire dai primi anni novanta del ventesimo secolo, si è sviluppato in alcune
regioni del Nord un movimento di opposizione nei confronti di questi trasferimenti, che ha trovato l’espressione
politica più estrema nella Lega-Nord.
I dati della Banca Mondiale (World Development Indicators
5, Structure of demand, 2016) consentono di
verificare l’identità macroeconomica fondamentale di un’economia aperta per gran parte dei paesi del mondo.
In questa tabella sono fornite informazioni, per il 2014, su impieghi interni per consumi (privati e pubblici),
investimenti lordi (gross capital formation), ed esportazioni nette di merci e servizi (trade balance of goods
and services) in percentuale del prodotto interno lordo, vale a dire per ogni 100 euro di PIL.
Esempi
Stati Uniti, 2014 Consumi finali interni delle famiglie: 69% del PIL
Consumi finali interni delle amministrazioni pubbliche: 15 % del PIL
Investimenti interni lordi: 20% del PIL
Totale impieghi interni in % del PIL: 69 + 15 + 20 = 104.
Produzione interna –impieghi interni in % del PIL: 100 – 104 = - 4
Esportazioni –importazioni in % del PIL: - 3
Risparmio interno lordo in % del PIL: 100 – 69 – 15 = 16
Risparmio interno lordo – investimenti interni lordi in % del PIL: 16 – 20 = - 4
Gli Stati Uniti nel 2014 hanno importato risparmi di altri paesi per finanziare gli investimenti interni in misura
pari al 4% del PIL
Cina, 2014 Consumi finali interni delle famiglie: 37 % del PIL
5 http://wdi.worldbank.org/tables
20
Consumi finali interni delle amministrazioni pubbliche: 14 % del PIL
Investimenti lordi: 46% del PIL
Totale impieghi interni in % del PIL: 37 + 14 +46 = 97
Produzione interna –impieghi interni in % del PIL: 100 – 97 = 3
Esportazioni –importazioni in % del PIL: 4
Risparmio interno lordo in % del PIL: 100 – 37 – 14 = 49
Risparmio interno lordo – investimenti interni lordi in % del PIL: 49 – 46 = 3
Nel caso della Cina la differenza fra produzione interna e impieghi interni, e quindi fra risparmi interni e
investimenti interni, è diversa della differenza fra esportazioni e importazioni. Ciò è dovuto presumibilmente ad
errori nella stima delle principali variabili Macroeconomiche della Cina. Questi errori sono comprensibili se si
considera la grandissima dimensione e la fortissima eterogeneità dell’economia cinese, e i grandi cambiamenti
intervenuti negli ultimi 20 anni nella sua struttura.
In ogni caso, la Cina nel 2014, nonostante abbia impiegato per investimenti interni lordi circa il 46% del PIL,
ha esportato risparmi verso altri paesi in misura pari a una percentuale compresa fra il 4 e il 10 per cento del
PIL.
Il confronto fra Stati Uniti e Cina evidenzia una situazione paradossale: la Cina risparmia una percentuale del
PIL molto più grande di quella degli Stati Uniti, nonostante il reddito medio per abitante sia molto più basso in
Cina che negli Stati Uniti.
Delle stime sul reddito medio annuo lordo per abitante nei diversi paesi del mondo per il 2014 sono riportate
fra i World Development Indicators6, Size of the economy, 2016, della Banca Mondiale. Le stime più
significative sono quelle che tengono conto anche delle differenze nel potere di acquisto della moneta nei
diversi paesi (il potere di acquisto di un dollaro è maggiore in Cina che negli Stati Uniti, poiché i prezzi di molti
beni sono più bassi in Cina che negli Stai Uniti). Si nota per esempio che il reddito ” reale” per abitante nel
2014 è:
Cina: 13.170 dollari per anno
Stati Uniti: 55.900 dollari per anno.
Saldo del conto corrente della bilancia dei pagamenti verso l'estero e saldo finanziario delle
amministrazioni pubbliche; debito di un paese verso l'estero e debito delle amministrazioni
pubbliche.
Spesso si verifica una certa confusione fra saldo del conto corrente della bilancia dei pagamenti verso l'estero e
saldo finanziario delle amministrazioni pubbliche; fra debito di un paese verso l'estero e debito delle
amministrazioni pubbliche.
Mentre il saldo del conto corrente della bilancia dei pagamenti con l'estero fornisce una stima della variazione
nelle attività o passività patrimoniali nette di tutti i residenti in un paese verso residenti in altri paesi, il saldo
finanziario delle amministrazioni pubbliche fornisce una stima della variazione nelle passività delle
amministrazioni pubbliche (debito pubblico). Quando un paese registra persistenti e forti disavanzi sia nel
conto corrente della bilancia di pagamenti con l'estero sia nel saldo finanziario delle amministrazioni pubbliche
("disavanzi gemelli"), aumentano sia le passività nette del paese verso l'estero sia il debito pubblico, e quindi le
sue prospettive finanziarie certamente tendono a peggiorare (Ciò si é verificato negli ultimi anni in Grecia,
Spagna, Italia e Portogallo, ma anche negli Stati Uniti, anche se fino ad ora i mercati finanziari sembrano
fidarsi ancora degli Stati Uniti)7. Come valutare le prospettive finanziarie di un paese che registra forti
6 http://wdi.worldbank.org/tables
7 Due spiegazioni potrebbero essere le seguent1: 1) nonostante i persistenti disavanzi nel saldo del conto corrente della
bilancia dei pagamenti con l'estero, gli Stati Uniti hanno registrato un avanzo nei redditi da investimenti internazionali,
crescente da 4 miliardi di dollari nel 1999 a 163 miliardi di dollari nel 2010; 2) nonostante i forti disavanzi finanziari delle
amministrazioni pubbliche degli Stati uniti, fra il 2002 e il 2010, alla fine del 2010 le loro passività nette erano ancora
inferiori al 70 per cento del prodotto interno lordo.
21
disavanzi delle amministrazioni pubbliche8 ma avanzi del saldo del conto corrente della bilancia dei pagamenti
verso l'estero, o viceversa?
Fra i grandi paesi industriali il Giappone si trova da diversi anni con avanzi persistenti e consistenti per
quanto riguarda il saldo del conto corrente della bilancia dei pagamenti con l'estero e disavanzi pure persistenti
e spesso molto elevati fra entrate e spese delle amministrazioni pubbliche. Ciò significa che il Giappone ha
accumulato un debito pubblico che in rapporto al PIL é anche maggiore di quello dell'Italia, ma dall'altro lato
ha visto aumentare gradualmente le sue attività nette verso l'estero. Ciò significa che le amministrazioni
pubbliche giapponesi sono indebitate verso cittadini giapponesi e che i cittadini giapponesi hanno accumulato
crediti sia verso le amministrazioni pubbliche giapponesi, sia verso i residenti in altri paesi. Ciò ha consentito al
Giappone di ottenere nel 2010 redditi netti da investimenti internazionali per un importo complessivo
di circa 130 miliardi di dollari.
Confronto fra disavanzo del conto corrente della bilancia dei pagamenti con l'estero e disavanzo
finanziario delle amministrazioni pubbliche: primi elementi di riflessione.
Anche se il saldo delle amministrazioni pubbliche é in equilibrio, un disavanzo nel conto corrente della
bilancia dei pagamenti con l'estero implica, a parità di altre condizioni, un aumento delle passività nette del
paese verso l'estero, e un progressivo aumento del disavanzo stesso perché l'aumento delle passività nette verso
l'estero comporta, a parità di altre condizioni, un peggioramento del saldo dei redditi da investimenti esteri (ciò
però non si é ancora verificato per gli Stati Uniti). Per riportare in equilibrio il saldo del conto corrente della
bilancia dei pagamenti con l'estero é necessario un aumento della produzione interna maggiore di quello degli
impieghi interni di merci e servizi, e, se non si riesce a ottenere una crescita della produzione interna
sufficientemente forte (il caso dell'Italia) può essere necessaria una diminuzione degli impieghi interni di merci
e servizi per consumi finali e investimenti. Per fare in modo che aumentino le esportazioni nette di merci e
servizi é necessaria infatti in primo luogo per una maggiore disponibilità di beni di produzione interna da
vendere all'estero o da utilizzare in sostituzione delle importazioni. La maggiore disponibilità di beni, pur
necessaria, non é tuttavia sufficiente per fare in modo che aumentino le esportazioni nette di merci e servizi, é
necessario anche un aumento della competitività internazionale dei prodotti del paese in disavanzo, è ciò
richiede spesso una diminuzione del prezzo del lavoro nazionale rispetto al prezzo del lavoro estero.
Se il saldo del conto corrente della bilancia dei pagamenti con l'estero é in equilibrio, un disavanzo
finanziario delle amministrazioni pubbliche comporta essenzialmente un aumento delle passività nette del
settore pubblico, compensato però da un aumento delle attività nette del settore privato (famiglie e imprese
private). Per riportare in equilibrio il saldo finanziario delle amministrazioni pubbliche, se il conto corrente
della bilancia dei pagamenti con l'estero é in equilibrio é sufficiente una diminuzione degli impieghi interni del
settore pubblico, compensata da un aumento degli impieghi interni del settore privato (meno spesa pubblica e
più spesa privata), oppure una maggiore imposizione fiscale finanziata non da una diminuzione della spesa
privata ma da una minore accumulazione di attività finanziarie da parte del settore privato.
Esempio di calcolo del saldo corrente (della bilancia dei pagamenti con l’estero),
Italia 2010
Saldo corrente (in miliardi dollari) = - 71 = - 37 (saldo scambi con l’estero di merci e servizi = trade balance
for goods and services) – 24 (trasferimenti unilaterali netti = total transfers, net ) – 11 ((foreign) investment
income, net = redditi netti da investimenti all’estero).
Germania, 2010
Saldo (del conto) corrente (current account balance) (in miliardi dollari) = 185 = 170 (saldo scambi con
l’estero di merci e servizi = trade balance for goods and services) -51 (trasferimenti unilaterali netti = total
transfers, net ) +59 ((foreign) investment income, net = redditi netti da investimenti all’estero).
8 Secondo il patto di stabilità e crescita concordato fra i paesi che hanno adottato l'euro, può essere tollerato un disavanzo
pubblico fino a un massimo del 3% del prodotto interno lordo, a meno che il debito pubblico del paese non sia già molto
elevato (come per l'Italia).
22
Il saldo corrente di bilancia dei pagamenti fornisce una stima approssimativa delle variazioni nelle passività (o
attività) nette di tutti i residenti in Italia (pubblici e private) verso residenti in altri paesi.
Il saldo delle amministrazioni pubbliche fornisce una stima della variazione nel debito complessivo delle
amministrazioni pubbliche di n paese sia verso residenti nello stesso paese sia verso residenti in altri paesi.
Differenza fra debito delle Amministrazioni Pubbliche italiane (debito pubblico dell’Italia)
Debito pubblico dell’Italia a fine 2010: 1.843 miliardi di euro, corrispondente al 119% del prodotto interno
lordo (secondo gli accordi fra i paesi che aderirono alla Unione Monetaria Europea, il debito pubblico in
percentuale del PIL dovrebbe essere al massimo il 60%.
Posizione patrimoniale netta dell’Italia (di tutti residenti in Italia) verso l’estero, a fine 2010 = -377.
Quale debito via pare sia più pericoloso, il debito di tutti gli Italiani verso gli stranieri, o il debito del Governo
italiano verso gli italiani?
Per un paese è più pericoloso un disavanzo del conto corrente di bilancia dei pagamenti o un disavanzo delle
amministrazioni pubbliche (disavanzo pubblico o del settore pubblico)?
Situazione dei principali paesi dal punto di vista del saldo corrente dei pagamenti con l’estero e saldo delle
amministrazioni pubbliche:
Italia
Saldo corrente di bilancia dei pagamenti con l’estero (current account balances = saldo del conto corrente (dei
pagamenti con l’estero)) 1993-2010,
2010: -71 miliardi di dollari (circa 3-4% del PIL)
Saldo positivo (AVANZO) crescente dal 1993 al 1996, poi saldo positivo decrescenti dal 1996 al 1999, saldo
negativo crescente in valore assoluto dal 2000 al 2010. Quindi, probabilmente, fra il 1993 e il 1999 la posizione
patrimoniale netta dell’Italia verso l’estero (attività dei residenti in Italia verso residenti all’estero meno
passività di residenti in Italia verso residenti all’estero) è migliorata (le attività verso l’estero sono aumentate di
più delle passività verso l’estero), per effetto degli scambi con l’estero, per un importo pari a 7 + 12 + 24 +39+
33 + 22 + 8 = 145 miliardi di dollari.
World development report, table 1, Key indicators of development
Reddito annuo lordo per abitante, espresso in dollari aventi nei diversi paesi un potere di acquisto uguale che
negli Stati Uniti, nel 2009,
Italia 31.339
Cina 6.770
Reddito annuo lordo per abitante, espresso in dollari (correnti a tassi di cambio correnti) nel 2009,
Italia 35.080
Cina 3.590
Tasso di crescita annuo del PIL nel periodo 2000-2009
Cina 10,9
Italia 0,5
Saldo del bilancio pubblico, o del settore pubblico o delle amministrazioni pubbliche;
Saldo corrente (o del conto corrente o delle partite correnti) della bilancia dei pagamenti (fra residenti in un
paese e residenti in altri paesi), Italia, 2010, - 53,5 miliardi di euro, (= -20, 4 (saldo negli scambi con l’estero di
merci) – 8,8 (saldo negli scambi con l’estero di servizi) – 8,2 (saldo dei redditi da investimenti internazionali) –
16,1 (saldo trasferimenti unilaterali internazionali).
Tabella current account balances
Componente importante del saldo corrente e il saldo degli scambi con l’estero di merci e servizi, 2009
Cina + 5% del PIL
Italia 0%
Grecia -9% del PIL
Esportazioni meno importazioni di merci e servizi =
Grecia – 9% = 100 – 71 – 17 – 21
23
Indicatori molto importanti per valutare le prospettive finanziarie di un paese:
- tasso di crescita del prodotto interno lordo per abitante, corrispondente, in linea di massima al reddito
nazionale lordo per abitante;
- saldo del conto corrente (della bilancia dei pagamenti con l’estero);
- saldi delle amministrazioni pubbliche (in particolare: saldo “primario” (vale a dire al netto delle spese per
interessi sul debito pubblico) e saldo complessivo (o indebitamento netto).
World development report, table 1, Key indicators of development
Reddito annuo lordo per abitante, espresso in dollari aventi nei diversi paesi un potere di acquisto uguale
che negli Stati Uniti, nel 2009,
Italia 31.339
Cina 6.770
Reddito annuo lordo per abitante, espresso in dollari (correnti a tassi di cambio correnti) nel 2009,
Italia 35.080 dollari (corrispondenti a 35.080/1,3 = 26.984 euro)
Cina 3.590 dollari (corrispondenti, al tasso di cambio di circa 7 yuan per dollaro, a 3.590*7 = 25.130 yuan
Tasso di crescita annuo del PIL nel periodo 2000-2009
Cina 10,9
Italia 0,5
Perché la differenza fra Italia e Cina dal punto di vista del reddito per abitante è molto più forte (10 a 1) in
termini di dollari correnti (a tassi di cambio correnti) che in termini di dollari aventi lo stesso potere di acquisto
nei diversi paesi (5 a 1)?
Perché il livello medio dei prezzi dei beni è più alto in Italia che in Cina di circa il doppio; la differenza di
prezzo riguarda in particolare i beni a mercato esclusivamente locale (costruzioni, servizi di meccanici,
barbieri, idraulici, commercianti al dettaglio, ecc.). I prezzi dei beni a mercato mondiale o internazionale
(petrolio, automobili, telefonini, abiti, ecc.) non sono molto diversi fra Italia e Cina).
Esempio di calcolo del saldo corrente (della bilancia dei pagamenti con l’estero),
Italia 2010
Saldo corrente (in miliardi dollari) = - 71 = - 37 (saldo scambi con l’estero di merci e servizi = trade balance
for goods and services) – 24 (trasferimenti unilaterali netti = total transfers, net ) – 11 ((foreign) investment
income, net = redditi netti da investimenti all’estero).
Germania, 2010
Saldo (del conto) corrente (current account balance) (in miliardi dollari) = 185 = 170 (saldo scambi con
l’estero di merci e servizi = trade balance for goods and services) -51 (trasferimenti unilaterali netti = total
transfers, net ) +59 ((foreign) investment income, net = redditi netti da investimenti all’estero).
Il saldo corrente di bilancia dei pagamenti dell'Italia fornisce una stima approssimativa delle variazioni nelle
passività (o attività) nette di tutti i residenti in Italia (pubblici e private) verso residenti in altri paesi.
Possibile domanda di esame:
Il saldo del conto corrente della bilancia dei pagamenti con l’estero: Componenti, situazione attuale dell’Italia,
conseguenze di un saldo negativo (disavanzo), elementi essenziali di un “aggiustamento” nel caso di un
disavanzo.
Componenti: Il saldo del conto corrente della bilancia dei pagamenti con l’estero è uguale ala somma algebrica
dei seguenti saldi parziali (partite correnti): (esportazioni – importazioni di merci) + (esportazioni –
importazioni di servizi) + (redditi di capitali (risparmi) italiani investiti l’estero – redditi di capitali (risparmi)
esteri investiti in Italia) + (redditi da lavoro di residenti n Italia che lavorano al’estero – redditi di residenti
all’estero che lavorano in Italia) + (trasferimenti unilaterali da residenti all’estero verso residenti in Italia –
trasferimenti unilaterali di residenti in Italia a residenti all’estero).
Situazione attuale dell’Italia: disavanzo persistente e crescente in valore assoluto per tutti gli anni duemila
(attualmente fra il 3 e il 4 per cento del PIL). Il disavanzo complessivo deriva da un disavanzo persistente nei
redditi da investimenti internazionale, da un disavanzo persistente e crescente negli anni duemila nei
trasferimenti unilaterali internazionali, da un disavanzo negli scambi con l’estero di merci e servizi crescente da
avanzi elevati fino nella prima metà degli ani novanta a disavanzi elevati negli ultimi anni a causa della forte
24
perdita di competitività dei prodotti italiani, causata da un aumento del costo del lavoro in Italia rispetto alla
media degli altri paesi, e in particolare rispetto alla Germania.
Conseguenze di un saldo corrente negativo: aumento delle passività nette dei residenti in Italia (pubblici e
privati) verso residenti all’estero.
Elementi essenziali di un processo di aggiustamento: L’unica componente “aggiustabile” è quella degli scambi
con l’estero di merci e servizi; nel caso dell’Italia è necessario passare da un disavanzo di circa 60 miliardi di
dollari a un avanzo di almeno 40 miliardi di dollari (aggiustamento complessivo pari a circa 100 miliardi di
dollari).
1) Ricordando che: produzione – consumi – investimenti = esportazioni – importazioni, è necessaria una
riduzione dei consumi interni in Italia per circa 100 miliardi di dollari, perché così aumenta la quantità
di prodotti disponibili per essere esportati e diminuisce la quantità di prodotti importati;
2) È necessario aumentare la competitività dei prodotti italiani, aumentando la produttività di più degli
altri paesi e/o riducendo salari rispetto agli altri paesi.
Il saldo delle amministrazioni pubbliche fornisce una stima della variazione nel debito complessivo delle
amministrazioni pubbliche di un paese sia verso residenti nello stesso paese sia verso residenti in altri paesi.
Differenza fra debito delle Amministrazioni Pubbliche italiane (debito pubblico dell’Italia) e passività nette
dell'Italia verso l'estero:
Debito pubblico dell’Italia a fine 2010: 1.843 miliardi di euro, corrispondente al 119% del prodotto interno
lordo (secondo gli accordi fra i paesi che hanno aderito alla Unione Monetaria Europea, il debito pubblico in
percentuale del PIL dovrebbe essere al massimo il 60%.
Posizione patrimoniale netta dell’Italia (di tutti residenti in Italia) verso l’estero, a fine 2010 = -377 miliardi di
euro.
Quale debito via pare sia più pericoloso, il debito di tutti gli Italiani verso gli stranieri, o il debito del Governo
italiano verso gli italiani?
Per un paese è più pericoloso un disavanzo del conto corrente di bilancia dei pagamenti o un disavanzo delle
amministrazioni pubbliche (disavanzo pubblico o del settore pubblico)?
Situazione dei principali paesi dal punto di vista del saldo corrente dei pagamenti con l’estero e saldo delle
amministrazioni pubbliche:
Italia
Saldo corrente di bilancia dei pagamenti con l’estero (current account balances = saldo del conto corrente (dei
pagamenti con l’estero)) 1993-2010,
2010: -71 miliardi di dollari (circa 3-4% del PIL)
Saldo positivo (avanzo) crescente dal 1993 al 1996, poi saldo positivo decrescente dal 1996 al 1999, saldo
negativo crescente in valore assoluto dal 2000 al 2010. Quindi, probabilmente, fra il 1993 e il 1999 la posizione
patrimoniale netta dell’Italia verso l’estero (attività dei residenti in Italia verso residenti all’estero meno
passività di residenti in Italia verso residenti all’estero) è migliorata (le attività verso l’estero sono aumentate di
più delle passività verso l’estero), per effetto degli scambi con l’estero, per un importo pari a 7 + 12 + 24 +39+
33 + 22 + 8 = 145 miliardi di dollari.
A partire dal 2000 la posizione patrimoniale netta dell’Italia verso l’estero (attività dei residenti in Italia verso
residenti all’estero meno passività di residenti in Italia verso residenti all’estero) è peggiorata (le attività verso
l’estero sono aumentate di più delle passività verso l’estero), per effetto degli scambi con l’estero, a un ritmo
crescente.
25
FOCUS: THE GLOBAL SAVING GLUT HYPOTHESIS VS. THE “MADE IN THE U.S.A.”
HYPOTHESIS
Introduction
We turn to the determination of the current account in a large open economy like the United States. Let’s divide
the world into two regions, the United States (US) and the rest of the world (RW). Because a U.S. current
account deficit represents the current account surplus of the rest of the world and conversely, a U.S. current
account surplus is a current account deficit of the rest of the world, it follows that the world current account
must always be equal to zero; that is,
where CAUS
and CARW
denote, respectively, the current account balances of the United States and the rest of
the world. Figure 6.8 shows the current account schedules of the U.S. and the rest of the world. The innovation
in the graph is that the current account of the rest of the world is measured from right to left, so that to the left
of 0 the rest of the world has a CA surplus and the U.S. a CA deficit, whereas to the right of 0, the U.S. runs a
CA surplus and the rest of the world a CA deficit. Equilibrium in the world capital markets is given by the
intersection of the CAUS and CARW schedules. In the figure, the equilibrium is given by point A, at which the
U.S. runs a current account deficit and the rest of the world a current account surplus.
Consider now an investment surge in the U.S. that shifts the CAUS
schedule to the left to CAUS’
. The new
equilibrium is given by point B, where the schedule CAUS’
and the schedule CARW
intersect. At point B, the
world interest rate r is higher, the US runs a larger CA deficit, and the rest of the world runs a larger CA
surplus. Note that because the U.S. is a large open economy, the investment surge produces a large increase in
the demand for loans, which drives world interest rates up. As a result, the deterioration in the U.S. current
account is not as pronounced as the one that would have resulted if the interest rate had remained unchanged
(point C in the figure). Note further that the increase in the U.S. interest rate is smaller than the one that would
have occurred if the US economy was closed (given by the distance between D’ and D).
26
The Global Saving Glut Hypothesis
Between 1995 and 2005, the U.S. current account deficit experienced a dramatic increase from $125 to $ 623
billion dollars. This $500 billion dollar increase brought the deficit from a relatively modest level of 1.5 percent
of GDP in 1995 to close to 6 percent of GDP in 2005. With the onset of the great recession of 2007, the
ballooning of the current account deficits came to an abrupt stop. By 2009, the current account deficit had
shrunk back to 3 percent of GDP (See figure 6.9.).
An important question is what factors are responsible for these large swings in the U.S. current account. In
particular, we wish to know whether the recent rise and fall in the current account deficit were driven by
domestic or external factors.
The Period 1996 to 2006
In 2005 Ben Bernanke, then a governor of the Federal Reserve, gave a speech in which he argued that the
deterioration in the U.S. current account deficits between 1996 and 2004 were caused by external factors. He
coined the term ‘global saving glut’ to refer to these external factors. In particular, Bernanke argued that the
rest of the world experienced a heightened desire to save but did not have incentives to increase domestic
capital formation in a commensurate way. As a result, the current account surpluses of the rest of the world had
to be absorbed by current account deficits in the United States.
Much of the increase in the desired current account surpluses in the rest of the world during this period
originated in higher desired savings in emerging market economies. In particular, Bernanke attributes the
increase in the desire to save to two factors: (1) Increased foreign reserve accumulation to avoid or be better
prepared to face future external crises of the type that had afflicted emerging countries in the 1990s. And (2)
Currency depreciations aimed at promoting export-led growth.
27
The global saving glut hypothesis was unconventional at the time. The more standard view was that the large
U.S. current account deficits were the results of economic developments inside the United States and unrelated
to external factors. Bernanke refers to this alternative hypothesis as the “Made in the U.S.A.” view.
How can we tell which view is right, the global saving glut hypothesis or the “Made in the U.S.A.” hypothesis?
To address this question, we can use the graphical tools developed before. The left panel of figure 6.10
illustrates the effect of a desired increase in savings in the rest of the world. The initial position of the economy,
point A, is at the intersection of the CAUS
and CARW
schedules. In the initial equilibrium, the U.S. current
account equals CAUS0
and the world interest rate equals r*0 . The increase in the desired savings of the rest of
the world shifts the current account schedule of the rest of the world down and to the left as depicted by the
schedule CARW’
. The new equilibrium, point B, features a deterioration in the current account deficit of the U.S.
from CAUS0
to CAUS1
and a fall in the world interest rate from r*0 to r*
1. Intuitively, the United States will
borrow more from the rest of the world only if it becomes cheaper to do so, that is, only if the interest rate falls.
This prediction of the model implies that if the global saving glut hypothesis is valid, then we
should have observed a decline in the interest rate.
The “Made in the U.S.A.” hypothesis is illustrated in the right hand panel of figure 6.10. Again, in the initial
equilibrium, point A, the U.S. current account equals CAUS0
and the world interest rate equals r*0. Under
this view, the current account schedule of the rest of the world is unchanged and instead the current account
schedule of the United States shifts to the left as depicted by the schedule CAUS’
. The new equilibrium, point B,
features a deterioration in the current account deficit of the U.S. from CAUS0
to CAUS1
and a rise in the world
interest rate form r*0 to r*
1 > r*
0. Both hypotheses can explain a deterioration in the U.S. current account.
However, the global saving glut hypothesis implies that the CA deterioration should have been accompanied by
a decline in world interest rates, whereas the “Made in the U.S.A.” hypothesis implies that world interest rates
should have gone up. Hence we can use data on the behavior of interest rates to find out which hypothesis is
right.
Figure 6.11 plots the world interest rate. It shows that over the period in question, 1996 to 2005, interest rates
fell, validating the global saving glut hypothesis and rejecting the “Made in the U.S.A.” hypothesis.
28
The Period 2007 to 2012
Can the global saving glut hypothesis also explain changes in U.S. current account dynamics after 2005? Figure
6.9 shows that at its peak in 2006 the U.S. current account deficit had reached 6 percent of GDP. Over the
following 3 years, the deficit was reduced to half, or 3 percent of GDP. Under the global saving glut
hypothesis, this reduction in the current account deficit would be attributed to a decline in desired savings in the
rest of the world.
Again we can use the graphical tools developed earlier to evaluate the plausibility of this view. Consider the
left panel of figure 6.10. Assume that the initial equilibrium is at point B, where the world interest rate is equal
to r*1 and the U.S. current account deficit is equal to CA
US1.
We can represent a decline in desired savings in the rest of the world as a shift up and to the right in the current
account schedule of the rest of the world. For simplicity, assume that this adjustment is shown as a return of
the current account schedule of the rest of the world back to its original position given by CARW
so that the new
equilibrium is given by point A. This shift in the current account schedule of the rest of the world causes the
U.S. current account to improve from CAUS1
to CAUS0
and the interest rate to rise from r*1 to r*
0. It follows that
under the global saving glut hypothesis, the V-shape of the U.S. current account balance observed between
1996 and 2009 (see figure 6.9), should have been accompanied by a V-shaped pattern of the interest rate.
However, figure 6.11 shows that the interest rate does not display a V-shaped pattern as predicted by the global
saving glut hypothesis.
In fact, since 2005 the interest rate has declined further rejecting the global saving glut hypothesis as an
explanation of U.S. current account dynamics since 2005.
We conclude that the global saving glut hypothesis presents a plausible explanation for the observed
developments in the U.S. current account deficit over the period 1996-2006. At the same time, the empirical
evidence, in particular, the behavior of interest rates, suggests that the dynamics of the U.S. current account
since 2005 were not primarily driven by external factors, but instead by domestic disturbances.
Source: International Macroeconomics, Stephanie Schmitt-Grohé, Martin Uribe, Michael Woodford , Columbia
University, 29 April 2015
29
Mercato delle valute estere e tassi di cambio.
Il mercato delle valute estere è costituito dagli operatori che desiderano acquistare o vendere la moneta di un
paese in cambio della moneta di un altro paese. Per esempio, il mercato euro-dollaro è costituito dagli operatori
economici che desiderano vendere euro in cambio di dollari (offerta di euro e domanda di dollari) e da quelli
che desiderano vendere dollari in cambio di euro (offerta di dollari e domanda di euro).
Il tasso di cambio è il prezzo (relativo) di una valuta in termini di un’altra. Vi sono due modi di quotazione: si
può prezzare una valuta estera (es. dollaro) in termini di valuta nazionale (es. euro) oppure si può prezzare una
valuta nazionale (es. euro) in termini di valuta estera (es. dollaro). Se il tasso di cambio tra euro e dollaro
(cambio nominale bilaterale) è 1,47 $, significa che 1 euro vale 1,47 dollari (modalità indiretta di quotazione
“certo per incerto”). Questo equivale al fatto che 1 dollaro vale 0,68 euro (modalità diretta di quotazione
“incerto per certo”) .
La quotazione dipende da sistema e piazza. Esempi.
La quotazione certo per incerto a Roma significa quotare una quantità certa della valuta nazionale (1 euro) in
valuta estera (il dollaro) → 1,47$/€ o 1€=1,47$.
La quotazione certo per incerto tra dollaro ed euro a New York significa quotare una quantità certa della valuta
nazionale (1 dollaro) in una incerta di valuta estera (l’euro) → 0,68€/$ o 1$=1,47€.
La quotazione incerto per certo tra dollaro ed euro a New York significa quotare una quantità incerta della
valuta nazionale (dollaro) in una certa di valuta estera (1 euro) → 1,47$/€ o 1€=1,47$ .
La quotazione certo per incerto tra sterlina ed euro a Londra significa quotare una quantità certa della valuta
nazionale (1 sterlina) in una incerta di valuta estera (l’euro) → 1,61€/£ o 1£=1,61€.
Il cambio euro-dollaro ha uno storico che nel 2017 è entrato nel suo 19° anno di storia. Lo storico del cambio
euro-dollaro nasce già il 1 gennaio 1999, e non nel 2002 - anno in cui la moneta unica è iniziata a circolare nei
Paesi dell’Europa che hanno accettato di utilizzare l’euro come unica valuta.
Dal grafico storico del cambio euro-dollaro si notano con facilità le dinamiche delle due valute. Lo storico del
cambio euro-dollaro inizia con un’evidente forza della moneta unica europea rispetto al dollaro USA, infatti,
nel 1999 un euro valeva ben 1,18 dollari. Si nota poi che il minimo valore dell’euro di tutti i tempi è stato
toccato a quota 0,83$ nel 2001, mentre il massimo è stato raggiunto nel 2008, in piena crisi finanziaria con
epicentro negli Stati Uniti, a quota 1,60 dollari.
Il grafico storico del cambio euro-dollaro, è riportato in Figura 5.
30
Figura 5 Tasso di cambio euro-dollaro (prezzo in dollari di un euro)
Fonte: BCE, 2017
Domanda e offerta di euro in cambio di dollari per scambi internazionali di merci e servizi e per
investimenti internazionali.
Le motivazioni fondamentali della domanda di dollari in cambio di euro sono le seguenti:
(1) Acquisti di prodotti americani (per esempio computers, aerei, farmaci, servizi di alberghi, ecc.), da parte di
residenti in Europa.
I residenti in Europa in genere percepiscono il loro reddito in euro, per poter comprare prodotti americani è
quindi per loro necessario procurarsi dollari offrendo in cambio euro. A volte è anche possibile che le imprese
americane accettino euro in cambio dei loro prodotti; poiché però i lavoratori in esse impiegati chiederanno di
essere pagati in dollari, saranno le imprese americane a vendere gli euro ottenuti dai residenti in Europa per
ottenere in cambio dollari.
Questa prima motivazione (offerta di euro in cambio di dollari per transazioni correnti), comporta un’offerta
complessiva di euro pari al valore in euro delle importazioni europee di merci e servizi prodotti in America, e
una domanda complessiva di dollari pari al valore in dollari di queste importazioni.
(2) Acquisti di attività patrimoniali americane (per esempio obbligazioni o azioni di imprese americane, buoni
del tesoro emessi dal governo americano, ecc.), da parte di residenti in Europa.
I residenti in Europa in genere percepiscono il loro reddito in euro, per poter comprare attività patrimoniali
americane è quindi per loro necessario procurarsi dollari offrendo in cambio euro. A volte è anche possibile che
le imprese americane o il governo americano accettino euro in cambio delle loro obbligazioni, o azioni, o
buoni del tesoro; poiché però in genere il corrispettivo sarà in gran parte speso per acquistare merci e servizi
prodotti in America, saranno le imprese americane o il governo americano a vendere gli euro ottenuti dai
residenti in Europa per ottenere in cambio dollari.
Questa seconda motivazione (offerta di euro in cambio di dollari per investimenti o disinvestimenti
internazionali), comporta un’offerta complessiva di euro pari al valore in euro degli acquisti netti europei di
attività patrimoniali Americane, e una domanda complessiva di dollari pari al valore in dollari di questi
investimenti. Il valore degli acquisti netti europei di attività patrimoniali americane è dato dalla differenza fra
acquisti e vendite di attività patrimoniali americane da parte di residenti in Europa.
Analogamente, le motivazioni fondamentali della domanda di euro in cambio di dollari sono le seguenti:
(1) Acquisti di prodotti europei (per esempio abiti, gioielli, servizi di alberghi e ristoranti, ecc.), da parte di
residenti in America. I residenti in America in genere percepiscono il loro reddito in dollari, per poter comprare
prodotti europei è quindi per loro necessario procurarsi euro offrendo in cambio dollari. A volte è anche
possibile che le imprese europee accettino dollari in cambio dei loro prodotti; poiché però i lavoratori in esse
impiegati chiederanno di essere pagati in euro, saranno le imprese europee a vendere i dollari ottenuti dai
residenti in America per avere in cambio dollari.
31
Questa prima motivazione (offerta di dollari in cambio di euro per transazioni correnti), comporta un’offerta
complessiva di dollari pari al valore in dollari delle importazioni americane di merci e servizi prodotti in
Europa, e una domanda complessiva di euro pari al valore in euro di queste importazioni.
(2) Acquisti di attività patrimoniali europee (per esempio obbligazioni o azioni di imprese europee, buoni del
tesoro emessi dal governo europeo, ecc.), da parte di residenti in America. I residenti in America in genere
percepiscono il loro reddito in dollari, per poter comprare attività patrimoniali europee è quindi per loro
necessario procurarsi euro offrendo in cambio dollari. A volte è anche possibile che le imprese europee o il
governo europeo accettino dollari in cambio delle loro obbligazioni o azioni o buoni del tesoro; poiché però in
genere il corrispettivo sarà in gran parte speso per acquistare merci e servizi prodotti in Europa, saranno le
imprese europee o il Governo europeo a vendere i dollari ottenuti dai residenti in America per ottenere in
cambio euro.
Questa seconda motivazione (offerta di dollari in cambio di euro per investimenti o disinvestimenti
internazionali), comporta un’offerta complessiva di dollari pari al valore in dollari degli acquisti netti
americani di attività patrimoniali europee, e una domanda complessiva di euro pari al valore in euro di questi
investimenti. Il valore degli acquisti netti americani di attività patrimoniali europee è dato dalla differenza fra
acquisti e vendite di attività patrimoniali europee da parte di residenti in America.
La curva di domanda di euro in cambio dollari per importazioni americane di merci e servizi
prodotti in Europa.
Il valore in euro delle importazioni americane di merci e servizi prodotti in Europa è uguale al prodotto
delle quantità importate per i prezzi in euro dei beni importati. La domanda di euro in cambio dollari per
importazioni americane di merci e servizi prodotti in Europa è quindi una domanda che deriva dalla domanda
americana di merci e servizi prodotti in Europa. Se il mercato costituito dalle imprese europee che offrono i
loro prodotti in America e dai residenti in America che domandano merci e servizi europei è perfettamente
concorrenziale, esso può essere rappresentato mediante le consuete curve di domanda e offerta.
Negli ultimi quattro anni il prezzo di un euro in termini di dollari è aumentato di quasi il 50 per cento
(da circa 0,85 dollari per euro nei primi mesi del 2002 a quasi 1,30 dollari per euro a giugno 2006).
Esaminiamo le possibili conseguenze di questo aumento del prezzo dell’euro in termini di dollari sulla
domanda e offerta di euro in cambio di dollari.
Negli ultimi quattro anni il prezzo del lavoro europeo, e quindi dei prodotti europei, in euro è
aumentato sostanzialmente nella stessa misura del prezzo in dollari del lavoro, e quindi dei prodotti, in
America. Di conseguenza l’aumento del prezzo dell’euro in termini di dollari ha determinato un aumento
sostanzialmente analogo del prezzo in dollari dei prodotti europei in termini dei prodotti americani.
Supponiamo, per semplicità, che siano rimasti invariati sia i prezzi in dollari dei prodotti americani, sia i prezzi
in euro dei prodotti europei. Ciò implica un aumento del 50 per cento del prezzo in dollari dei prodotti europei,
e una diminuzione di pari entità del prezzo in euro dei prodotti americani.
L’aumento del prezzo in dollari dei prodotti europei, a parità di prezzo in dollari dei prodotti americani,
determina una diminuzione della quantità di questi prodotti domandata dagli americani, e quindi una
corrispondente riduzione della domanda americana di euro in cambio di dollari. La curva di domanda di euro in
cambio di dollari per importazioni americane di merci e servizi europei ha quindi il consueto andamento
decrescente, vale a dire, quando il prezzo dell’euro in termini di dollari aumenta,il valore in euro delle
importazioni americane di prodotti europei, e quindi la quantità domandata di euro in cambio di dollari,
diminuisce.
La diminuzione del prezzo in euro dei prodotti americani, a parità di prezzo in euro dei prodotti
europei, provoca, principalmente per l’effetto-sostituzione, un aumento della domanda europea di prodotti
americani. Non è però detto che ciò comporti anche un aumento dell’offerta di euro in cambio di dollari. Per
esempio, supponiamo che al prezzo di mille euro la domanda europea di computer americani sia pari a 400.000
unità, e che al prezzo di 700 euro la domanda sia pari a 450.000 unità; il valore in euro delle importazioni
europee di computers americani, e quindi l’offerta di euro in cambio di dollari, diminuisce da 400.000 * 1.000
= 400.000.000 di euro a 450.000 * 700 = 315.000 euro. Ciò significa che la curva di offerta di euro in cambio
di dollari può avere un andamento decrescente, invece del consueto andamento crescente. Vale a dire, quando il
prezzo dell’euro in termini di dollari aumenta, l’offerta di euro in cambio di dollari può diminuire invece di
aumentare.
Un andamento decrescente della curva di offerta di euro in cambio di dollari può comportare gravi
conseguenze per il funzionamento del mercato euro-dollaro, se all’aumentare del prezzo dell’euro in termini di
32
dollari l’offerta di euro non soltanto diminuisce, ma diminuisce in misura più forte della domanda di euro in
cambio di dollari. In questo caso infatti il mercato è instabile.
Analisi di stabilità dei mercati.
In genere il prezzo di un bene aumenta quando la domanda supera l’offerta. All’aumentare del prezzo
di solito la domanda del bene diminuisce e la sua offerta aumenta, e quindi l’eccesso di domanda sparisce e il
prezzo si stabilisce al suo livello di equilibrio. Il mercato è stabile quando l’effetto provocato da uno squilibrio
è in grado di eliminare lo squilibrio stesso.
Supponiamo ora che un eccesso di domanda di euro in cambio di dollari provochi un aumento del
prezzo dell’euro in termini di dollari, se l’aumento di prezzo provoca una diminuzione dell’offerta di euro
uguale o maggiore della diminuzione di domanda, l’eccesso di domanda di euro rimane invariato o può
addirittura aumentare, e quindi il prezzo dell’euro continua ad aumentare. In questo caso si dice che il mercato
è instabile, poiché l’effetto dell’eccesso di domanda non è in grado di eliminarlo, e può addirittura renderlo più
grave.
La instabilità dei mercati delle valute estere per scambi internazionali di merci e servizi: è
soltanto un’ipotesi teorica o anche una possibilità reale?
Affinché il mercato euro-dollari per scambi di merci e servizi sia instabile, non è sufficiente che la
curva di offerta di euro abbia un andamento anomalo, vale a dire decrescente invece che crescente, poiché la
curva di domanda di euro ha un andamento normale, il mercato euro-dollaro è stabile se, all’aumentare del
prezzo dell’euro la quantità domanda di euro diminuisce in misura più forte della quantità offerta, vale a dire se
la curva di domanda ha un andamento decrescente più marcato di quello della curva di offerta. Ciononostante,
l’esperienza sembra mostrare che l’instabilità dei mercati delle valute estere non è soltanto una possibilità
teorica ma anche un problema reale.
Cause e conseguenze delle variazioni dei tassi di cambio.
Se concentriamo per adesso l’attenzione su domanda e offerta di euro in cambio di dollari connesse con
gli scambi di merci e servizi fra Europa e America, un eccesso di domanda di euro è tipicamente provocato da
un eccesso del valore delle esportazioni rispetto a quello delle importazioni di merci e servizi in Europa, e,
ignorando gli altri paesi, da un corrispondente eccesso del valore delle importazioni rispetto a quello delle
esportazioni di merci e servizi in America. Per eliminare lo squilibrio, l’aumento del prezzo dell’euro in termini
di dollari dovrebbe determinare un aumento di competitività dei prodotti americani rispetto a quelli europei,
così da stimolare spostamenti di domanda dai prodotti europei verso quelli americani, sia in Europa sia in
America, e quindi provocare un aumento delle esportazioni americane verso l’Europa, e una riduzione delle
esportazioni europee verso l’America.
Affinché l’aumento del prezzo dell’euro in termini di dollari determini un aumento della competitività
dei prodotti americani rispetto a quelli europei, è necessario che non vi siano variazioni nei prezzi interni, in
America e in Europa, tali da compensare gli effetti dell’aumento del prezzo dell’euro in termini di dollari. Per
esempio, se il prezzo dell’euro in termini di dollari aumenta del 10 per cento, e contemporaneamente i prezzi in
euro dei prodotti europei rimangono costanti mentre i prezzi in dollari dei prodotti americani aumentano del 10
per cento, il rapporto di competitività fra prodotti americani e prodotti europei rimane invariato. Di per un
aumento del 10 per cento del prezzo dell’euro in termini di dollari provocherebbe una diminuzione del 10 per
cento dei prezzi in euro dei prodotti americani; se però si ha contemporaneamente un aumento del 10% dei
prezzi in dollari dei prodotti americani, i prezzi in euro dei prodotti americani rimangono invariati, e l’aumento
del prezzo dell’euro non ha alcun effetto reale sui rapporti di competitività fra prodotti americani e prodotti
europei. In questo caso l’eccesso di domanda di euro potrebbe rimanere inalterato, e il prezzo dell’euro
continuare ad aumentare. Un’esperienza del genere si ebbe in Italia fra il 1970 e il 1987, quando il prezzo in lire
delle principali valute estere aumentò progressivamente, (da 172 a 720 lire per marco tedesco, e da 627 a 1296
lire per dollaro USA) ma il rapporto di competitività fra l’Italia e Germania rimase sostanzialmente invariato, e
la competitività dei prodotti italiani diminuì addirittura rispetto a quelli americani a causa del più rapido
aumento dei prezzi in lire dei prodotti italiani rispetto ai prezzi in marchi dei prodotti tedeschi e ai prezzi in
dollari dei prodotti americani.
33
Nel breve-medio periodo l’andamento del livello dei prezzi in ciascun paese riflette sostanzialmente
l’andamento dei costi di produzione, e quindi del prezzo del lavoro. Un aumento del prezzo dell’euro intermini
di dollari può provocare un aumento di competitività dei prodotti americani rispetto a quelli europei se riesce a
provocare una diminuzione del prezzo del lavoro americano rispetto a quello europeo. Naturalmente lo stesso
risultato potrebbe essere ottenuto con un prezzo dell’euro invariato, se il prezzo in dollari del lavoro in America
diminuisse del 10 per cento rispetto al prezzo in euro del lavoro in Europa:
Se i salari monetari sono flessibili, le variazioni dei tassi di cambio non sono necessarie; se i salari
reali sono rigidi, le variazioni dei tassi di cambio sono inutili (inefficaci) (Meade, 1951)
L’Italia negli anni settanta e ottanta sperimentò la seconda parte della proposizione di James Meade
(premio Nobel per l’economia insieme a Ohlin nel 1977). Man mano che il prezzo in lire della valuta estera
aumentava, i prezzi dei beni importati aumentavano, e quindi i salari reali tendevano a diminuire, per evitarlo i
sindacati riuscirono a ottenere aumenti compensativi dei salari monetari che annullarono gli effetti della
svalutazione della lira sulla competitività internazionale dei prodotti italiani.
La bilancia dei pagamenti come rappresentazione del mercato dei cambi.
La bilancia dei pagamenti di un paesi fornisce un quadro sintetico delle diverse componenti della
domanda e dell’offerta della moneta di un paese in termini delle monete degli altri paesi.
Se consideriamo per esempio la bilancia dei pagamenti degli Stati Uniti nel 2002, vediamo che nel
corso del 2002 la domanda estera di merci e servizi americani ha generato una domanda di dollari (e una
corrispondente offerta di monete diverse dal dollaro) per un valore complessivo di 972 miliardi di dollari (683
per le merci e 289 per i servizi). Una ulteriore domanda di 245 miliardi di dollari è stata determinata dai redditi
percepiti dagli americani sulle attività patrimoniali estere. Questo importo può essere considerato il
corrispettivo per l’uso di capitali americani da parte di residenti all’estero, che consiste essenzialmente in una
esportazione di servizi di capitale. Alla fine del 2001 il valore delle attività patrimoniali estere di proprietà di
residenti in America era pari a circa 7.350 miliardi di dollari; un reddito di 245 miliardi su 7.000 miliardi di
attività rappresenta quindi un rendimento medio dell’ordine del 3,3 %. Se si considera che le attività
patrimoniali degli Stati Uniti verso l’estero sono per due terzi rappresentate da crediti il cui corrispettivo è il
tasso d’interesse nominale, poiché nel corso del 2002 i prezzi al consumo in America sono aumentati dell’1,6
per cento, il rendimento reale di gran parte delle attività verso l’estero è stato di circa l’1,7 per cento, per un
valore complessivo dell’ordine di 125 miliardi di dollari. Se si considera però che fra il 2001 e il 2002 il valore
in dollari della valuta estera è aumentato in media di circa il 3 per cento, il valore in dollari delle attività
patrimoniali degli Stati Uniti verso l’estero è aumentato pure di circa il 3 per cento, per cui il rendimento reale
complessivo delle attività patrimoniali americane verso l’estero nel corso del 2002 è stato di circa il 5 per cento,
per un importo totale di circa 365 miliardi di dollari.
Sempre fra le partite correnti della bilancia dei pagamenti americana, vediamo che nel corso del 2002 la
domanda americana di prodotti esteri (importazioni americane di merci e servizi) ha determinato un’offerta di
dollari (e una corrispondente domanda di monete diverse dal dollaro) per un valore complessivo di 1,407
miliardi di dollari (1.167 per le merci e 240 per i servizi). Una ulteriore offerta di dollari in cambio di monete
estere per un valore di 257 miliardi di dollari è stata generata dalle importazioni americane di servizi dei
capitali esteri, vale a dire dagli interessi e dividendi sugli investimenti esteri in America. Poiché alla fine del
2001 l’America aveva passività patrimoniali verso l’estero per un valore complessivo dell’ordine di 10.000
miliardi di dollari, il rendimento nominale annuo di queste passività è stato di circa il 2,6 per cento. Tenendo
conto dell’aumento dell’1,6 per cento dei prezzi al consumo in America nel 2002, il costo reale effettivo dei
finanziamenti esteri per l’America è stato nel 2002 di circa l’1 per cento, per un importo di 98 miliardi di
dollari. Dal punto di vista degli investitori esteri il rendimento reale medio degli investimenti in America è stato
negativo, se si tiene conto che il valore in valuta estera del dollaro, e quindi delle passività americane degli Stati
Uniti verso l’estero espresso in dollari è diminuito in media di circa il 3 per cento.
Un’altra fonte significativa di offerta di dollari in cambio di monete estere è rappresentata dai
trasferimenti unilaterali degli Stati Uniti verso l’estero. Fra le partite correnti della bilancia dei pagamenti
americana troviamo che nel corso del 2002 i trasferimenti unilaterali degli Stati Uniti verso l’estero hanno
generato una offerta netta di dollari sui mercati dei cambi per un valore complessivo di 56 miliardi di dollari,
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di cui 17 miliardi derivanti da aiuti del governo americano a paesi esteri, 5 miliardi da pensioni pagate dal
governo americano a residenti all’estero, 34 miliardi da trasferimenti unilaterali privati.
Complessivamente nel 2002 le partite correnti della bilancia dei pagamenti americana hanno generato
una domanda di dollari in cambio di monete estere per un valore di 1.217 miliardi di dollari, e una offerta di
dollari in cambio di valuta estera per un valore di 1.720 miliardi di dollari. Ne è risultato un eccesso offerta di
dollari (e un corrispondente eccesso di domanda di valuta estera) per un valore di 503 miliardi di dollari; in
termini relativi l’offerta di dollari ha superato del 41 per cento la domanda di dollari.
L’eccesso di offerta di circa 500 miliardi di dollari derivante principalmente dall’eccesso della
domanda americana di merci estere (importazioni americane) rispetto alla domanda estera di merci americane
(esportazioni americane), è stato compensato nel 2002 da un eccesso della domanda estera di attività
patrimoniali americane, rispetto alla domanda americana di attività patrimoniali estere. Nel corso del 2002 i
residenti al di fuori degli Stati Uniti hanno effettuato acquisti netti di attività patrimoniali americane
(richiedendo quindi dollari e offrendo in cambio monete di altri paesi) per un valore si 630 miliardi di dollari,
mentre i residenti in America hanno effettuato acquisti netti di attività patrimoniali non americane (offrendo
quindi dollari e chiedendo in cambio monete non americane), per un valore complessivo di 156 miliardi di
dollari. Il flusso degli investimenti finanziari internazionali ha generato quindi un eccesso di domanda di dollari
per un valore complessivo di 474 miliardi di dollari, che ha compensato quasi per intero l’eccesso di offerta di
503 miliardi di dollari derivante dalle transazioni correnti degli Stati Uniti con l’estero. La differenza di 29
miliardi di dollari deriva da discrepanze statistiche (errori e omissioni nette, provocate probabilmente
soprattutto da una sottovalutazione degli acquisti netti di attività patrimoniali americane da parte di residenti al
di fuori dell’America, o da una sopravvalutazione degli acquisti netti di attività patrimoniali non americane da
parte di residenti negli Stati Uniti.
Gli acquisti netti di attività patrimoniali esteri da parte di residenti in America sono stati costituiti
principalmente da investimenti diretti, vale a dire da acquisizioni di partecipazioni di controllo da parte di
residenti in America in imprese operanti in altri paesi (124 miliardi di dollari su un totale di 156). Gli acquisti
netti di attività patrimoniali americane da parte di residenti al di fuori dell’America sono stati costituiti per 97
miliardi di dollari da acquisizioni di titoli pubblici e altre attività patrimoniali americane da parte di banche
centrali non americane, per 53 miliardi da acquisti di buoni del tesoro americani da parte di operatori privati
esteri, per 285 miliardi da acquisti di obbligazioni diverse da buoni del tesoro americani da parte di operatori
privati esteri, per 95 miliardi da crediti di operatori esteri nei confronti di banche americane.
Il mercato euro-dollaro per investimenti internazionali.
Per investimenti internazionali si intende l’acquisto di attività patrimoniali americane da parte di
residenti in Europa e l’acquisto di attività patrimoniali europee da parte di residenti in Europa. Le attività
patrimoniali oggetto di scambi internazionali sono prevalentemente imprese (sia intere sia loro quote,
rappresentate in genere da azioni quotate in borsa) e crediti verso imprese private o enti pubblici.
Una caratteristica degli investimenti internazionali è che in gran parte si tratta di flussi di investimento
bilaterali: tanti residenti in Europa investono per importi elevati in attività patrimoniali americane, e tanti
residenti America investono per importi elevati in attività patrimoniali europee. Il valore degli investimenti
netti è in genere molto piccolo in rapporto agli investimenti lordi.
Gli investimenti internazionali netti hanno la funzione di far sì che il risparmio sia utilizzato nei paesi
in cui il rendimento del capitale à più elevato. I flussi bilaterali di investimenti internazionali hanno la funzione
di consentire a ciascun operatore una diversificazione degli investimenti per paesi, riducendone in tal modo il
rischio.
Gli investimenti internazionali fra Europa e America influenzano la domanda e l’offerta di euro in
cambio di dollari principalmente da due punti di vista:
Periodicamente gli investitori europei percepiscono il rendimento in dollari dei loro investimenti in
America. A parte il caso in cui si decida di reinvestire in America le somme percepite, gli investitori europei
offriranno questi dollari sul mercato dei cambi per avere in cambio euro. Supponiamo che il rendimento annuo
degli investimenti europei in America sia pari a un miliardo di dollari. Se il prezzo di un euro è 0,85 dollari,
essi determineranno una domanda pari a 1,18 miliardi di euro; se il prezzo di un euro è 1,15 dollari, essi
determineranno una domanda pari a 0,87 miliardi di euro. Ciò significa che all’aumentare del prezzo dell’euro
in dollari, la domanda di euro generata dai rendimenti degli investimenti europei in America diminuisce in
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misura pari percentualmente all’aumento del prezzo dell’euro (l’offerta di dollari ovviamente resta sempre pari
a un miliardo di dollari).
Analogamente, gli investitori americani percepiscono periodicamente il rendimento in euro dei loro
investimenti in Europa. A parte il caso in cui essi decidano di reinvestire in Europa le somme percepite, gli
investitori americani offriranno questi euro sul mercato dei cambi per avere in cambio dollari. Supponiamo che
il rendimento annuo degli investimenti europei in America sia pari a un miliardo di euro. Se il prezzo di un euro
è 0,85 dollari, essi determineranno una domanda pari 0,85 miliardi di dollari; se il prezzo di un euro è 1,15
dollari, essi determineranno una domanda pari a 1,15 miliardi di euro. Ciò significa che all’aumentare del
prezzo dell’euro in dollari (= diminuzione del prezzo del dollaro in euro), la domanda di dollari generata dai
rendimenti degli investimenti europei in America aumenta in misura pari percentualmente all’aumento del
prezzo dell’euro (l’offerta di euro ovviamente resta sempre pari a un miliardo di euro).
Combinando i due effetti, all’aumentare del prezzo dell’euro in dollari, la domanda netta di euro
diminuisce, mentre la domanda netta di dollari aumenta. Se l’aumento del prezzo dell’euro è stato provocato da
un eccesso di domanda di euro, i rendimenti degli investimenti internazionali tendono a far diminuire l’eccesso
di domanda di euro, con un effetto stabilizzante sul mercato euro-dollaro.
In secondo luogo, il mercato-euro dollaro è influenzato dai flussi netti degli investimenti internazionali.
Se il valore in euro degli investimenti europei in America supera il valore in euro degli investimenti americani
in Europa si ha un eccesso di offerta di euro che tende a farne diminuire il prezzo in dollari. Viceversa, se il
valore in euro degli investimenti Americani in Europa supera il valore in euro degli investimenti europei in
America Europa si ha un eccesso di domanda di euro che tende a farne aumentare il prezzo in dollari. Dal punto
di vista dell’analisi di stabilità del mercato euro-dollari, il problema è cercare di capire com’è che un aumento
del prezzo in dollari dell’euro influenza i flussi netti di investimenti internazionali fra Europa e America.
La teoria della parità dei poteri di acquisto (Purchasing Power Parity PPP)
Un’idea approssimativa dei valori di equilibrio di lungo periodo dei tassi di cambio può essere fornita
confrontando i prezzi di prodotti analoghi in paesi diversi. Una esemplificazione alquanto curiosa è fornita dal
settimanale economico inglese “The Economist”, che periodicamente pubblica dati sui prezzi di un
hamburger (il Big Mac) in diversi paesi. Per esempio i dati riportati nell’aprile del 2001 il prezzo di un Big Mac
era 2,54 dollari in America, 2,57 euro in Europa, 2,50 peso in Argentina. Per far sì che il prezzo di un
hamburger, espresso in una stessa moneta, fosse identico in questi tre paesi, il valore di un euro doveva essere
2.54/2,57 = 0,99 dollari e quello di un peso argentino 2,54/2,50 = 1.016 dollari. Il valore corrente nell’aprile del
2001 era 0,88 dollari per l’euro e un dollaro per il peso argentino. In base alla versione assoluta della teoria
della parità dei poteri di acquisto l’euro risultava sottovalutato dell’11 per cento e il peso argentino dell’1,6%
rispetto al dollaro. Per quel che riguarda il tasso di cambio euro/dollaro, l’indicazione fornita da un confronto
così semplice appare plausibile, anche se grossolana. Nel caso dell’Argentina, invece la convinzione di gran
parte degli economisti nel 2001 era che il peso fosse sopravvalutato dell’ordine del 20 per cento rispetto al
dollaro, e quella sopravvalutazione fu una della cause del persistente disavanzo negli scambi con l’estero di
merci e servizi dell’Argentina, e quindi della crescita dell’indebitamento verso l’estero che nel dicembre del
2001 sfociò in una gravissima crisi finanziaria, economica e sociale, che coinvolse anche tanti risparmiatori
italiani.
In realtà, il fatto che questa semplicissima applicazione della versione assoluta della teoria della parità
dia indicazioni poco plausibili riguardo il livello di equilibrio di lungo periodo del tasso di cambio fra il peso
argentino e il dollaro, può essere spiegato ricordando che i prezzi di equilibrio dei prodotti semplici a mercato
locale come gli hamburger devono essere più bassi nei paesi in complesso relativamente meno efficienti e
quindi più poveri. In effetti i dati evidenziano che il prezzo di un hamburger in paesi caratterizzati da un livello
di reddito per abitante simile a quello dell’Argentina era nel 2001 molto più basso che negli Stati uniti: 1,64
dollari in Brasile, 1,48 in Polonia, 1,43 nella repubblica Ceca, 1,21 dollari in Tailandia.
Mentre la versione assoluta della teoria della parità dei poteri d’acquisto cerca di fornire delle
indicazioni sul livello di equilibrio di lungo periodo dei tassi di cambio confrontando i prezzi assoluti dello
stesso bene nello stesso momento in paesi diversi, la versione relativa considera le variazioni nel tempo dei
prezzi dei prodotti. Secondo questa versione, in linea di massima le differenze internazionali nel tasso di
crescita dei prezzi in moneta nazionale tendono a essere compensate da variazioni nei tassi di cambio.
Una esemplificazione drammatica della versione relativa della teoria della parità dei poteri di acquisto è
fornita dall’esperienza dell’argentina negli ultimi decenni del ventesimo secolo. Fra il 1971 e il 1989 l’indice
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medio dei prezzi dei prodotti argentini in moneta nazionale aumentò da 1 a 2.227.103.800, mentre l’indice dei
prezzi dei prodotti americani in dollari aumentò da 1 a 2,73. Secondo la versione relativa della teoria della
parità dei poteri di acquisto l’indice del valore del dollaro in termini di moneta argentina sarebbe dovuto
aumentare da uno a 2.227.103.800/2,73 = 815.788.938; in effetti esso aumentò da 1 a 936.090.225; l’indice dei
prezzi medi dei prodotti argentini in termini di prodotti americani diminuì leggermente da 61 a 53. Nel breve
medio periodo la compensazione del differenziale inflazionistico da parte delle variazioni del tasso di cambio è
tuttavia di solito ben lungi dall’essere perfetta: fra il 1971 e il 2001 l’indice dei prezzi relativi dei prodotti
argentini in termini di prodotti americani oscillò fra un minimo di 53 nel 1989 e un massimo di 192 nel 1980.
Fra il 1978 e il 2001 l’indice dei prezzi medi dei prodotti argentini in termini dei prodotti europei oscillò fra un
minimo di 52 nel 1989 e un massimo di 149 nel 1980.
Anche nelle applicazioni della versione relativa della teoria della parità dei poteri di acquisto, se un
paese in un certo periodo registra una crescita della produttività molto più forte degli altri paesi, il livello di
equilibrio dei beni a mercato locale crescerà in quel paese più rapidamente che negli altri paesi. Per esempio fra
il 1952 e il 1978 la crescita dei prezzi interni fu di quasi il 50 per cento più elevata in Giappone che negli Stati
Uniti, eppure lo yen, invece di deprezzarsi in misura analoga, si apprezzò di circa il 20 per cento rispetto al
dollaro.
La determinazione del tasso d’interesse di equilibrio.
Il tasso d’interesse nominale evidenzia differenze a volte anche molto forti sia fra paesi diversi
considerati nello stesso momento, sia nello stesso paese nel corso del tempo.
Per spiegare le variazioni del tasso d’interesse nominale l’attenzione è spesso concentrata sul comportamento
delle Banche centrali, e in particolare sulle variazioni dell’offerta di moneta. In realtà le determinanti
fondamentali delle variazioni del tasso d’interesse sono costituite da variazioni nella propensione al consumo
delle famiglie e nella propensione a investire delle imprese.
L’obiettivo fondamentale delle banche centrali è fare in modo che la domanda complessiva di prodotti
sia pari alla produzione potenziale corrispondente a un tasso d’impiego fisiologico o naturale della forza lavoro
(in genere circa il 95%, a cui corrisponde un tasso di disoccupazione fisiologico o naturale dell’ordine del 5%):
ciò perché l’esperienza ha mostrato che quando l’aumento della domanda aggregata di prodotti provoca una
riduzione del tasso di disoccupazione al di sotto del 5%, in genere si innesca una spirale inflazionistica, vale a
dire un processo che genera tassi di crescita dei prezzi sempre più elevati.
La domanda aggregata di prodotti è pari alla produzione aggregata di piena occupazione quando la
domanda di beni per investimenti (domanda di impianti produttivi da parte delle imprese, ma anche domanda di
abitazioni da parte delle famiglie) è uguale alla parte del reddito di piena occupazione che non è utilizzato dalle
famiglie per acquistare beni di consumo (risparmio di piena occupazione). La domanda di beni per investimenti
( e anche quella di beni di consumo durevoli come le automobili), a parità di altre condizioni, è tanto più alta
quanto più è basso il tasso d’interesse. Ciò significa che quando aumenta il risparmio di piena occupazione, la
Banca Centrale deve stimolare un aumento della domanda di beni per investimenti, provocando una
diminuzione del tasso d’interesse.
La domanda di beni per investimento da parte delle imprese, a parità di tasso d’interesse, è molto
variabile nel corso del tempo; anche se il risparmio di piena occupazione non varia, variazioni del tasso
d’interesse sono quindi necessarie per mantenere costante la quantità domandata di beni per investimento.
Fino a quando la domanda complessiva di prodotti si mantiene entro il limite della produzione
potenziale di piena occupazione, il tasso d’inflazione in genere rimane sostanzialmente stabile e un aumento
della quantità di moneta offerta dalle banche centrali determina una diminuzione del tasso d’interesse nominale.
Se però gli operatori economici pensano che un aumento dell’offerta di moneta possa determinare un aumento
eccessivo della domanda aggregata di prodotti e quindi una crescita del tasso d’inflazione, il tasso d’interesse
nominale di equilibrio può aumentare invece di diminuire.
Esercizio sulla determinazione del tasso d’interesse di equilibrio.
Si supponga che in Europa (Unione monetaria europea), via siano 140 milioni di persone che possono e
vogliono lavorare, che il valore del prodotto per lavoratore sia 50.000 euro all’anno, che il “tasso di
disoccupazione naturale” secondo la Banca centrale europea sia l’8 per cento; che la propensione media al
risparmio(pubblico e privato) sia del 6%, che la funzione di domanda di beni per investimenti sia lineare, che
la domanda di beni per investimenti (I) sia zero quando il tasso d’interesse (r) è del 20 per cento e 460 miliardi
di euro quando il tasso d’interesse è zero, che il tasso di variazione del tasso d’inflazione sia del 100 per cento
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all’anno per la differenza fra tasso di disoccupazione naturale e tasso di disoccupazione effettiva, che
attualmente il tasso d’inflazione in Europa sia del 2 per cento all’anno.
Determinare:
1) Il valore della produzione potenziale di piena occupazione:
140.000.000 * 0,92 *50.000 = 6.440 miliardi di euro
2) Il valore del risparmio di piena occupazione:
6.440*0.06 = 386,4 miliardi di euro
3) La funzione di domanda di beni per investimenti:
I = 460 – (460/20)*r
(si può verificare che se r = 0, I = 460 e se r = 20, I = 0)
4) Il tasso d’interesse di equilibrio:
Il tasso d’interesse di equilibrio è determinato dalla condizione di eguaglianza fra domanda di beni per
investimenti e tasso d’interesse di piena occupazione:
460 – (460/20)*r = 386,4; r = (460 - 386,4)/ (460/20) = 3,2%
Si supponga ora che la Banca centrale europea mantenga il tasso d’interesse al 2,8%; determinare:
5) La domanda di beni per investimenti;
In questo caso la domanda di beni per investimenti sarebbe:
I = 460 – (460/20)*2,8 = 395,6 miliardi di euro
6) Il valore della produzione e del reddito a cui corrisponde un valore dei risparmi uguale alla nuova domanda
di beni per investimenti:
Produzione = 395,6/0,06 = 6.593,333 miliardi di euro
7) Il nuovo livello di occupazione:
Occupazione = 6.593,333/50.000 = 131,867 milioni
1) Il tasso di disoccupazione: (140 – 131,867)/140 *100 = 5,8%
2) Il tasso d’inflazione in Europa nei successivi tre anni:
- dopo un anno, tasso d’inflazione = 2% + 100*(8 – 5,8)% = 2% + il 220% del 2% = 2*3,2 = 6,4%
- dopo due anni, tasso d’inflazione = 6,4% + 100*(8 – 5,8)% = 6,4% + il 220% del 6,4% = 6,4*3,2 =
20,48%;
- dopo tre anni, tasso d’inflazione = 20,48%*3,2 = 65,54%
Determinare il tasso d’interesse di equilibrio di “piena occupazione”, nel caso elevati disavanzi pubblici
nell’Unione monetaria europea riducessero la propensione al risparmio (pubblico e privato) al 5 per cento:
In questo caso il risparmio di piena occupazione sarebbe 6.440*0.05 = 322 miliardi di euro
Per ridurre la domanda di beni per investimenti a 322 miliardi il tasso d’interesse dovrebbe aumentare a r =
(460 - 322)/ (460/20) = 6%
Commentare: L’ultimo risultato ottenuto fornisce una semplice giustificazione per i vincoli ai disavanzi
pubblici concordati fra i paesi aderenti all’Unione monetaria europea con il patto di stabilità e crescita. Un
aumento del disavanzo pubblico in un paese comporterebbe una riduzione dei risparmi nel paese considerato e
una aumento dei tassi d’interesse di equilibrio in tutti i paesi dell’Unione monetaria europea. Se gli elevati
disavanzi pubblici comportassero anche una forte crescita del debito pubblico, gli effetti negativi potrebbero
essere ancora maggiori, poiché potrebbe diffondersi la preoccupazione di politiche inflazionistiche volte a
ridurre il valore reale del debito pubblico.
L’equilibrio macroeconomico interno ed esterno.
L’equilibrio macroeconomico interno si ha quando la domanda complessiva di merci e servizi rivolta
alle imprese di un paese è pari alla produzione di piena occupazione. Per produzione di piena occupazione si
intende quel livello di produzione che può essere ottenuto impiegando circa il 95 per cento delle persone che
possono e vogliono lavorare. Un tasso di disoccupazione dell’ordine del 5 per cento può essere infatti ritenuto
fisiologico o “naturale” in un’economia di mercato in cui il “matching” fra aspirazioni lavorative delle persone
ed esigenze produttive delle imprese richiede una certa durata del periodo di ricerca del lavoro. Ovviamente il
5% rappresenta un ordine di grandezza medio che può variare anche significativamente da un paese all’altro, e
nello stesso paese nel corso del tempo.
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L’equilibrio macroeconomico esterno si ha quando la differenza fra importazioni ed esportazioni di
merci e servizi (importazioni nette) è pari al valore dei flussi di risorse che un paese può ottenere a titolo
gratuito (trasferimenti unilaterali), o nella forma di prestiti o altre forme d’investimento estero. Nel lungo
periodo in genere la condizione di equilibrio macroeconomico esterno richiede per gran parte dei paesi una
sostanziale eguaglianza fra esportazioni e importazioni di merci e servizi. Nel breve e medio periodo è a volte
tuttavia possibile per un paese registrare consistenti afflussi o deflussi di risorse, soprattutto nella forma di
investimenti internazionali netti. Caratteristica peculiare degli investimenti internazionali netti è che la loro
dimensione, e a volte anche la loro direzione, è suscettibile di mutamenti anche drastici, in modo a volte rapido
e imprevedibile.
Il valore del rapporto fra prezzo del lavoro in America e prezzo del lavoro in Europa che assicura una
situazione di equilibrio competitivo dipende dalle differenze di produttività fra Europa e America nella
produzione di beni facilmente trasferibili nello spazio, dalla ripartizione della domanda complessiva fra questi
beni, dai flussi di trasferimenti unilaterali e di investimenti internazionali fra Europa e America. Si supponga
che il valore di equilibrio del rapporto fra prezzo del lavoro in America e prezzo del lavoro in Europa sia 1,2 e
che il prezzo di un anno di lavoro sia 40.000 euro in Europa e 50.000 dollari in America; per avere equilibrio
competitivo il prezzo del lavoro americano in euro dovrà essere 40.000 * 1,2 = 48.000 euro; di conseguenza il
prezzo di equilibrio dell’euro in dollari sarà 50.000/48.000 = 1,042. a questo tasso di cambio, infatti, il prezzo
di un anno di lavoro in America sarà pari a circa 48.000 euro (50.000/1.042 = 47.985).
Approfondimenti sulla nozione di equilibrio macroeconomico interno.
Un paese o una regione è in una situazione di equilibrio macroeconomico interno quando il mercato del
lavoro è in equilibrio. L’equilibrio del mercato del lavoro si ha quando il tasso di disoccupazione dei lavoratori
è al livello minimo compatibile con la stabilità del tasso d’inflazione al livello desiderato (tasso di
disoccupazione fisiologico o naturale). Un livello più basso del tasso di disoccupazione provocherebbe infatti
una progressiva crescita del tasso d’inflazione, e ciò è ovviamente inaccettabile.
Il livello naturale di disoccupazione è diverso da paese a paese, e può variare nello stesso paese nel corso
del tempo. In generale esso oscilla intorno al 5 per cento.
In un paese, come l’Italia, in cui il lavoro si sposta con difficoltà da una regione all’altra, è opportuno che
l’analisi dell’equilibrio macroeconomico interno sia svolta a livello di singole regioni (mercati locali del
lavoro). In ciascun paese o regione la domanda complessiva di lavoro è influenzata principalmente da due
variabili: la competitività dei prodotti e l’entità della domanda interna complessiva di merci e servizi (domanda
di merci e servizi da parte dei residenti nel paese o nella regione).
Se aumenta la competitività dei prodotti calabresi, aumenta la quota della domanda calabrese e non
calabrese di beni facilmente trasferibili nello spazio che si rivolge a imprese operanti in Calabria, e aumenta
quindi la domanda di lavoro calabrese. Poiché una quota della domanda complessiva di merci e servizi si
rivolge a beni difficilmente trasferibili nello spazio (beni a mercato locale), come le costruzioni e gran parte dei
servizi tradizionali, a parità di competitività, la domanda di prodotti calabresi, e quindi di lavoro calabrese,
aumenta all’aumentare della domanda complessiva di merci e servizi da parte dei residenti in Calabria.
Si supponga che un milione di persone possano e vogliano lavorare in Calabria, che il livello naturale o
fisiologico di disoccupazione sia circa il 5 per cento, che ciascun lavoratore sia in grado di produrre beni in
Calabria per un valore di circa 21.000 euro all’anno. In questo caso l’equilibrio macroeconomico interno
potrebbe essere assicurato in Calabria mediante una domanda annua di circa 20 miliardi di euro di prodotti
calabresi
Se supponiamo che la domanda complessiva si rivolge per due terzi a beni a mercato locale e per un terzo
a beni facilmente trasferibili nello spazio, nel caso la competitività dei prodotti calabresi sia così bassa da
rendere nulla la domanda di beni facilmente trasferibili nello spazio prodotti in Calabria, una domanda annua di
20 miliardi di euro di prodotti calabresi potrebbe comunque essere assicurata da una domanda interna
complessiva di merci e servizi da parte dei residenti in Calabria pari a 30 miliardi di euro all’anno. Se
utilizziamo come indice di competitività dei prodotti calabresi il rapporto fra prezzo del lavoro non calabrese e
prezzo del lavoro calabrese, possiamo ipotizzare che la domanda di beni facilmente trasferibili prodotti in
Calabria si annulli per un valore di questo rapporto pari a 0,50, vale a dire per un prezzo del lavoro calabrese
pari al doppio di quello del lavoro non calabrese.
All’estremo opposto possiamo ipotizzare che, se la domanda di merci e servizi da parte di residenti in
Calabria fosse nulla, una domanda di prodotti calabresi (in questo caso tutta di beni facilmente trasferibili) per
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un valore complessivo pari a 20 miliardi di euro all’anno potrebbe essere assicurata mediante una elevata
competitività dei prodotti calabresi derivante da un valore dell’indice di competitività della Calabria pari a 4,5,
vale a dire da un prezzo del lavoro non calabrese pari a 4,5 volte quello del lavoro calabrese.
Ipotizzando, per semplicità, che le altre combinazioni di valori della competitività e della domanda
interna che assicurano una domanda annua di prodotti calabresi pari a 20 miliardi di euro all’anno si trovino
lungo il segmento lineare che unisce i due estremi, la condizione di equilibrio macroeconomico esterno della
Calabria potrebbe essere rappresentata, per valori dell’indice di competitività compresi fra 0,50 e 4,5, e quindi
per valori della domanda interna calabrese compresi fra zero e 30 miliardi di euro all’anno, dalla seguente
relazione inversa fra competitività e domanda interna:
Dint. Cal. = 33,75 – 7,5 * Comp. Cal. (1)
La (1) indica che potrebbe esserci piena occupazione in Calabria, anche nel caso in cui la competitività
dei prodotti calabresi fosse così bassa da annullare la domanda di beni facilmente trasferibili prodotti in
Calabria. In questo caso però si avrebbe una domanda calabrese di beni trasferibili nello spazio per un valore di
10 miliardi di euro all’anno, interamente soddisfatta mediante importazioni dalle altre regioni dell’Italia e
dall’estero, senza che la Calabria riesca ad esportare alcun prodotto. Ciò sarebbe possibile soltanto se la
Calabria potesse contare su trasferimenti dall’esterno (vale a dire essenzialmente dalle regioni del centro-Nord
dell’Italia) per un valore pari a 10 miliardi di euro all’anno.
Se il valore dei trasferimenti dall’esterno ottenibili dalla Calabria è inferiore a 10 miliardi di euro
all’anno, per far sì che si abbia una domanda complessiva di prodotti calabresi pari a 20 miliardi di euro
all’anno è necessario aumentare la competitività dei prodotti calabresi così da stimolare la domanda anche di
beni trasferibili prodotti in Calabria da parte di residenti sia in Calabria sia fuori della Calabria.
Al limite, se il valore dei trasferimenti ottenibili dalla Calabria fosse nullo, il valore delle importazioni
calabresi di merci e servizi dovrebbe essere uguale a quello delle esportazioni, e quindi il valore degli impieghi
interni (domanda interna) di merci e servizi dovrebbe essere uguale a quello della produzione interna.
Sostituendo nella (1) al posto della variabile Dint. Cal. il valore della produzione calabrese di piena
occupazione si ottiene:
20 = 33,75 –7,5 * Comp. Cal., e quindi: Comp. Cal. = 13,75/7,5 = 1,83
Se invece la Calabria potesse contare su trasferimenti dall’esterno per un valore di 4 miliardi di euro
all’anno, le importazioni potrebbero superare le esportazioni e gli impieghi interni potrebbero superare la
produzione interna per tale valore, e quindi la domanda interna annua potrebbe essere pari a 24 miliardi di euro.
Sostituendo questo valore nella (1) si ottiene:
24 = 33,75 –7,5 * Comp. Cal., e quindi: Comp. Cal. = 9,75/7,5 = 1,3.
Equilibrio macroeconomico interno ed esterno, in termini di competitività e domanda interna (il
diagramma di Swan).
L’equilibrio macroeconomico interno si ha quando il mercato del lavoro è in equilibrio, vale a dire
quando la domanda di lavoro è uguale all’offerta di lavoro. Ciò naturalmente non significa tasso di
disoccupazione pari a zero, ma tasso di disoccupazione a un livello fisiologico o naturale.
Sono tecnicamente definiti disoccupati coloro che sono alla ricerca attiva di una occupazione. Il tasso di
disoccupazione sarebbe zero soltanto se ciascuno avesse la possibilità di trovare un’occupazione corrispondente
alle sue aspirazioni immediatamente dopo aver deciso di voler lavorare. Soltanto in questo caso non ci
sarebbero disoccupati, vale a dire persone alla ricerca di un’occupazione. Anche in considerazione del fatto che
gli aspiranti lavoratori hanno caratteristiche e aspirazioni diverse, così come diverse sono le caratteristiche dei
lavoratori preferite dalle diverse imprese, è fisiologico in un’economia di mercato che la ricerca
dell’occupazione richieda un certo periodo di tempo, e che quindi in ciascun istante vi siano tante persone alla
ricerca di un’occupazione, vale a dire dei disoccupati. D’altro canto, anche nel caso dei prodotti, l’equilibrio fra
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domanda e offerta è compatibile con l’esistenza in ciascun istante di tanti prodotti in vendita; anche in questo
caso è fisiologico che un prodotto, prima di essere venduto resti esposto per un certo periodo nelle vetrine dei
negozi.
Dando per scontato che il tasso di disoccupazione fisiologico o naturale non può essere zero, come può
essere identificato operativamente l’equilibrio fra domanda e offerta di lavoro?
Per un certo periodo molti economisti erano convinti che non esistesse un unico livello fisiologico o naturale
per il tasso di disoccupazione, ma vi fosse un trade-off, fra disoccupazione e inflazione (Phillips, 1958); si
riteneva cioè che fossero possibili diversi tassi di disoccupazione di equilibrio, con l’unico inconveniente che
tassi di disoccupazione più bassi implicavano tassi d’inflazione più elevati.
A partire dalla fine degli anni sessanta, sia gli sviluppi teorici sia le esperienze di tanti paesi misero in
evidenza l’ingenuità di queste convinzioni. Attualmente gran parte degli economisti ritengono che, almeno nel
lungo periodo, c’è un solo tasso di disoccupazione di equilibrio (naturale o fisiologico), anche se il suo livello è
diverso fra un paese e l’altro e può variare nello stesso paese nel corso del tempo.
Dal punto di vista teorico, Friedman e Phelps (1968) misero in evidenza che il livello del tasso di
disoccupazione non influenza semplicemente il tasso d’inflazione, bensì il tasso di variazione del tasso
d’inflazione. Definendo naturale o fisiologico il tasso di disoccupazione che mantiene costante il tasso
d’inflazione (non accelerating inflation rate of unemployment), un tasso d’inflazione più basso di quello
naturale non determina semplicemente un tasso d’inflazione più elevato, ma un tasso d’inflazione crescente nel
tempo (spirale inflazionistica).
In concreto il tasso naturale di disoccupazione varia da un paese all’altro e nel corso del tempo,
soprattutto in relazione al grado di flessibilità del mercato del lavoro e alla combattività dei sindacati, in
generale esso sembra oscillare in gran parte dei casi intorno al 5 per cento del totale delle persone che possono
e vogliono lavorare (forza lavoro). Considerando una durata media della vita lavorativa di 40 anni, un tasso di
disoccupazione del 5 per cento implica in media 38 anni di lavoro e 2 anni di ricerca dell’occupazione.
La domanda di lavoro è una domanda derivata, nel senso che deriva dalla domanda dei prodotti. Per
esempio, la domanda di lavoro in Calabria aumenta se aumenta la domanda di beni prodotti in Calabria.
Le principali variabili economiche che influenzano la domanda di beni prodotti in Calabria sono la
domanda interna calabrese di merci e servizi (vale a dire la domanda di merci e servizi che proviene da persone
che vivono in Calabria), e la competitività dei beni prodotti in Calabria. La competitività dei beni prodotti in
Calabria influenza la ripartizione sia della domanda interna calabrese sia della domanda dei non calabresi fra
prodotti calabresi e non calabresi. All’aumentare della competitività dei prodotti calabresi aumenta la quota
della domanda calabrese e non calabrese che si rivolge a imprese che producono in Calabria.
La competitività dei prodotti calabresi dipende sia dalla loro qualità sia dal loro prezzo; in equilibrio
concorrenziale il prezzo è uguale al costo di produzione, il costo di produzione dipende dalla produttività e dai
prezzi dei fattori produttivi, il principale fattore produttivo per gran parte dei beni è il lavoro. La competitività
dei prodotti calabresi è quindi influenzata in misura significativa dal rapporto fra prezzo del lavoro in Calabria
e prezzo del lavoro fuori della Calabria. Supponendo dato, per esempio al livello di 32.000 euro, il prezzo di un
anno di lavoro non calabrese, la competitività dei prodotti calabresi è tanto più elevata quanto più è basso il
prezzo del lavoro in Calabria.
Per un dato livello di competitività dei prodotti calabresi, la loro domanda è tanto più elevata, quanto
più è alta la domanda interna in Calabria (= domanda di beni, calabresi e non calabresi, che proviene da persone
che vivono in Calabria). Per i beni difficilmente trasferibili nello spazio o a mercato locale (costruzioni, servizi
dei meccanici, dei parrucchieri, dei commercianti, ecc,), la domanda dei calabresi è rivolta a imprese che
producono in Calabria, indipendentemente dalla loro competitività; per i beni trasferibili nello spazio, per un
dato livello di competitività rimane probabilmente sostanzialmente stabile la ripartizione della domanda
calabrese fra produttori calabresi e non calabresi; all’aumentare della domanda dei calabresi tende quindi ad
aumentare, a parità di competitività, la domanda di prodotti calabresi, sia per i beni a mercato locale sia per i
prodotti facilmente trasferibili nello spazio.
Si supponga, per semplicità, che il lavoro sia l’unico fattore produttivo, che un milione e cinquantamila
persone possano e vogliano lavorare in Calabria, e che ognuna abbia la capacità di produrre merci e servizi per
un valore di 18.000 euro all’anno. Considerato un tasso di disoccupazione “naturale” dell’ordine del 5 per
cento, il valore della produzione potenziale calabrese sarebbe dell’ordine di 18 miliardi di euro all’anno. La
condizione di equilibrio macroeconomico interno richiederebbe una domanda rivolta alle imprese calabresi
dell’ordine di 18 miliardi di euro. Questo livello di domanda aggregata per le imprese calabresi potrebbe essere
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assicurata da diverse combinazioni dei valori della competitività dei prodotti calabresi e della domanda interna
calabrese.
Come indicatore della competitività delle produzioni calabresi possiamo utilizzare il rapporto fra
prezzo del lavoro non calabrese (per ipotesi 32.000 euro all’anno) e prezzo del lavoro calabrese (32.000/PLC).
Anche per valori molto bassi di questo rapporto, vale a dire in corrispondenza di un livello molto elevato del
prezzo del lavoro in Calabria, sarebbe possibile avere un livello di domanda rivolta alle imprese calabresi pari a
18.000 euro all’anno, così da rendere possibile l’impiego di un milione di persone in Calabria.
Anche se la competitività delle produzioni calabresi fosse così bassa da non rendere conveniente
l’acquisto da imprese calabresi di alcun prodotto trasferibile nello spazio, una domanda interna calabrese
sufficientemente elevata potrebbe generare una domanda di beni a mercato locale rivolta alle imprese calabresi
sufficiente a rendere possibile l’impiego in produzioni a mercato locale di un milione di lavoratori calabresi.
Supponiamo che questo caso limite si verifichi in corrispondenza di un prezzo del lavoro in Calabria pari
45.700 euro all’anno, e ad un valore della domanda interna calabrese pari a 30 miliardi di euro all’anno.
All’estremo opposto, una domanda pari a 18 miliardi di euro all’anno per le imprese calabresi potrebbe
essere generata da una marcata competitività delle produzioni calabresi, per esempio in corrispondenza di un
prezzo del lavoro in Calabria dell’ordine di 10.000 euro all’anno, anche in corrispondenza di un livello
addirittura nullo della domanda interna calabrese.
Se supponiamo una relazione lineare fra i due estremi ipotizzati, la condizione di equilibrio
macroeconomico interno della Calabria sarà:
DINTCA = 38,4 – 12CoCA oppure DINTCA = 38,4 – 12 *32/PLCA
Considerato che: COCA = 32/PLCA
La condizione di equilibrio macroeconomico esterno della Calabria esprime l’esigenza che la differenza
fra valore delle importazioni e valore delle esportazioni di merci e servizi (o fra valore delle utilizzazioni
interne e valore della produzione interna di merci e servizi) sia uguale nel lungo periodo al valore dei
trasferimenti che la Calabria è in grado di ottenere dalle altre regioni.
Se il valore di questi trasferimenti fosse nullo, la condizione di equilibrio macroeconomico esterno
della Calabria sarebbe: Esportazioni calabresi = importazioni calabresi, e quindi: Produzione interna calabrese
= domanda interna calabrese.
L’equilibrio macroeconomico sia interno che esterno della Calabria si avrebbe in corrispondenza di una
domanda interna pari a 18 miliardi di euro all’anno (uguale alla produzione di piena occupazione) e ad un
valore dell’indice di competitività pari a 1,7, corrispondente a un prezzo del lavoro calabrese pari a 32.000/1,5
= 21.333 euro all’anno.
DINTCA = 38,4 – 12 *32/PLCA;
18 = 38,4 – 12 *32/PLCA;
384/ PLCA = 20,4
PLCA = 18.824 euro all’anno
Se la Calabria può ottenere dalle regioni del Nord trasferimenti per un valore di 5 miliardi di euro
all’anno, la relazione che rappresenta la condizione di equilibrio macroeconomico interno resta invariata,
mentre la condizione di equilibrio macroeconomico esterno diventa:
DINTCA = 7,52 + 12CoCA
L’equilibrio macroeconomico sia interno sia esterno si avrebbe in corrispondenza di una produzione
pari a 18 miliardi di euro all’anno, di una domanda interna pari a 23 miliardi di euro all’anno, di in valore della
competitività pari a 1,28, di un prezzo del lavoro in Calabria pari a 24.935 euro all’anno.
23 = 38,4 – 12 *32/PLCA;
384/ PLCA = 15,4
PLCA = 24.935 euro all’anno
Questo risultato conferma l’intuizione ortodossa di Mill e Keynes, secondo cui un trasferimento di
potere di acquisto migliora la ragione di scambio del paese (o della regione) che lo riceve.
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Se, in presenza di trasferimenti del valore di 5 miliardi di euro all’anno il prezzo del lavoro Calabrese è
pari a quello del lavoro non calabrese (32.000 euro), la domanda di prodotti rivolta alle imprese calabresi
sarebbe minore di 18 miliardi di euro all’anno, giacché, in corrispondenza di valore pari a uno dell’indice di
competitività della Calabria, per avere una domanda rivolta alle imprese calabresi pari a 18 miliardi, la
domanda interna calabrese dovrebbe essere 38,4 – 12 = 26,4 miliardi, mentre i trasferimenti consentono una
domanda interna pari a 23 miliardi; ci sarebbe quindi in Calabria un “gap deflazionistico” proporzionale a 26,4
– 23 = 3,4 miliardi, e quindi un tasso di disoccupazione più elevato di quello naturale.
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ESERCIZI
1. Si supponga che in Francia la domanda di investimenti sia pari a 300 miliardi quando il tasso di interesse (i)
è nullo, e pari a zero quando il tasso di interesse è uguale a 50%, mentre in Svizzera sia di 200 miliardi quando
il tasso di interesse è nullo e pari a zero quando il tasso sia pari al 50%.
a) Determinare le curve di domanda per beni di investimento nei due Paesi.
I=300- 6i in Francia I=200- 4i in Svizzera
Gli investimenti dipendono negativamente dal tasso d'interesse. Infatti, la curva ha un'inclinazione negativa
perché a tassi d'interesse più alti corrispondono livelli di I più bassi.
b) Date le seguenti funzioni di risparmio S= 100+2 i (Francia) e S=140+i (Svizzera) dove
S=risparmi e i=tasso di interesse, calcolare i tassi di interesse di equilibrio in autarchia nei due Paesi e
rappresentare graficamente l’equilibrio.
Risolvo i sistemi per entrambi i Paesi sapendo che in equilibrio I=S
Francia:
I=300-6i si ottiene i=200/8=25%
S=100+2i sostituendo il tasso di interesse di equilibrio si ottiene=> I=S=300-6*25=150
Svizzera:
I=200-4i si ottiene i=60/5=12%
S=140+i sostituendo il tasso di interesse di equilibrio si ottiene=> I=S=200-4*12=152
I,S I,S
i(%) i(%)
50
25
20
300
50
20
12
200
Francia Svizzera
100 150 120 152
I I
S
S
I I
i(%) i(%)
50
300
50
200
Francia Svizzera
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c) Ad un tasso di interesse internazionale pari a 20% indicare quale Paese darà a prestito e quale
prenderà a prestito sui mercati internazionali.
Ad un tasso di interesse internazionale intermedio fra i tassi di interesse di autarchia la Francia prenderà a
prestito, mentre la Svizzera darà in prestito.
d) Individuare i valori dei risparmi e investimenti al tasso di interesse internazionale in Francia.
I=300-6*20 si ottiene I=180 e S=140
S=100+2*20
e) Determinare il saldo di conto corrente in Francia.
Sapendo che S-I=CA si ottiene il saldo di conto corrente 140-180=CA => CA=-40 la Francia registra un
deficit corrente.
f) Calcolare il livello dei risparmi e investimenti in Svizzera.
I=200-4*20=120
S=140+20=160
S-I=CA => 160-120=CA => CA=40 la Svizzera registra un eccesso di esportazioni sulle importazioni e un
eccesso di risparmi rispetto agli investimenti
g) Calcolare la produzione potenziale della Francia e della Svizzera sapendo che ci sono 20 milioni di
persone in età lavorativa in Francia e 4 milioni in Svizzera e che ciascuna produca beni e servizi per
20.000 e 40.000 euro e il tasso naturale di disoccupazione previsto dalla BCE è pari al 5%.
La produzione potenziale Y si calcola considerando che il 95% della popolazione può lavorare e ciascun
individuo produce in Francia 20.000 euro e 40.000 euro di beni e servizi.
La produzione potenziale francese è perciò: Y=20*106*0,95*20.000=380 miliardi
Quella svizzera è: Y=4*106*0,95*40.000=152 miliardi
h) Determinare l’assorbimento interno (A) nei due Paesi.
Sapendo dalla contabilità nazionale che Y=A+CA => si ottiene che in Francia 380=A-40 => A=420
In Svizzera 152=A+40 => A=112
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2. Nel 2014 le partite correnti della bilancia dei pagamenti degli Stati Uniti hanno registrato i seguenti valori
in miliardi di dollari:
Crediti Debiti Saldo
- Merci 682 1.167
- Servizi 289 240
- Redditi primari 245 257
- Redditi secondari -56
Con riferimento a questi dati, illustrare:
1) Il significato dei valori indicati in corrispondenza della voce “redditi primari”:
245 indica il valore dei servizi dei fattori produttivi americani (prevalentemente capitali) impiegati all’estero
nel 2002.
257 indica il valore dei servizi dei fattori produttivi esteri (prevalentemente capitali) impiegati in America nel
2002.
2) La differenza fra produzione interna e utilizzazioni interne di merci e servizi:
La differenza fra produzione interna e utilizzazioni interne è uguale alla differenza fra esportazioni e
importazioni di merci e servizi = (682 + 289) – (1.167 + 240 ) = 971 – 1.407 = - 436
3) La differenza fra risparmi e investimenti:
La differenza fra risparmi e investimenti è uguale alla differenza fra esportazioni e importazioni di merci e
servizi = (682 + 289) – (1.167 + 240 ) = 971 – 1.407 = - 436
4) La variazione nella posizione patrimoniale netta degli Stati Uniti verso l’estero nel corso del 2014:
La variazione nella posizione patrimoniale netta degli Stati Uniti verso l’estero è uguale al saldo delle partite
correnti, vale a dire alla differenza fra il valore complessivo dei servizi dei fattori produttivi americani esportati
(sia incorporati in merci o servizi prodotti in America sia utilizzati direttamente da imprese o enti pubblici
all’estero), e il valore complessivo dei servizi dei fattori produttivi esteri importati (sia incorporati in merci o
servizi prodotti all’estero sia utilizzati direttamente da imprese o enti pubblici in America), tenendo conto del
saldo dei redditi secondari (trasferimenti unilaterali):
(682 + 289 + 245) – (1.167 + 240 + 257) – 56 = 1.216 – 1.664 – 56 = - 448 – 56 = - 504.
Nel 2014 l’America ha importato complessivamente servizi di fattori produttivi esteri per un valore che ha
superato di 448 miliardi di dollari il valore complessivo dei servizi dei fattori produttivi americani esportati, e
ha trasferito gratuitamente risorse all’estero per un valore netto di 56 miliardi di dollari. In conseguenza di
queste operazioni, le passività nette degli Stati Uniti verso l’estero sono aumentate nel corso del 2014 per un
valore di 504 miliardi di dollari.
5) La domanda di valuta estera in cambio di dollari determinata dalle partite correnti della bilancia dei
pagamenti americana:
La domanda di valuta estera in cambio di dollari determinata dalle partite correnti della bilancia dei pagamenti
americana è pari al valore complessivo dei servizi dei fattori produttivi esteri importati in America, e dei
trasferimenti unilaterali degli Stati Uniti all’estero: 1.167 + 240 + 257 + 56 = 1.720.
6) L’offerta di valuta estera in cambio di dollari determinata dalle partite correnti della bilancia dei
pagamenti americana:
L’offerta di valuta estera in cambio di dollari determinata dalle partite correnti della bilancia dei pagamenti
americana è pari al valore complessivo dei servizi dei fattori produttivi americani esportati: 682 + 289 + 245 =
1.216 miliardi di dollari.
7) Le esportazioni nette di capitale degli Stati Uniti nel 2014:
Le esportazioni nette di capitali corrispondono essenzialmente alla variazione delle passività patrimoniali nette
verso l’estero. Considerato che nel corso del 2014 esse sono aumentate per un valore di 504 miliardi di dollari,
gli Stati Uniti hanno registrato nel 2014 esportazioni nette di capitale negative, vale a dire sono stati importatori
netti di capitale per 504 miliardi di dollari.
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8) La variazione nel valore in dollari della domanda americana di valuta estera sopra considerata,
provocata da un aumento del 10% del prezzo in dollari della valuta estera, nell’ipotesi che i prezzi interni dei
prodotti a mercato internazionale rimangano costanti sia negli Stati uniti che all’estero e che il valore
dell’elasticità-prezzo della domanda americana di prodotti esteri sia –0,6.
Se aumenta del 10% il prezzo in dollari della valuta estera, e i prezzi interni dei prodotti a mercato
internazionale rimangano costanti sia negli Stati uniti che all’estero, i prezzi in dollari dei prodotti esteri
aumentano del 10 per cento, mentre i prezzi in dollari dei prodotti americani restano invariati. Se il valore
dell’elasticità-prezzo della domanda americana di prodotti esteri è –0,6, un aumento del 10 per cento del loro
prezzo rispetto a quello dei prodotti americani ne fa diminuire la quantità domandata in America del 6%. Ciò
significa che il valore complessivo della domanda americana di valuta estera necessaria per pagare le
importazioni americane di merci e servizi, da un lato diminuisce del 6 per cento poiché diminuisce in questa
misura la quantità domandata, dall’altro aumenta del 10 per cento, per effetto dell’aumento del prezzo in dollari
dei prodotti esteri. Nel 2014 la domanda americana di valuta estera corrispondente alle importazioni di merci e
servizi è stata pari a 1.167 + 240 = 1.407 miliardi di dollari; per effetto dell’aumento del prezzo del dollaro essa
diventerebbe 1.407*0,94*1,1 = 1.455 miliardi di dollari. All’aumentare del prezzo della valuta estera la sua
domanda quindi, invece di diminuire, aumenterebbe di 48 miliardi di dollari.
Un effetto anomalo di questo tipo spesso in realtà si verifica, soprattutto nel breve-medio periodo, ed è una
delle cause delle fluttuazioni, a volte accentuate, dei tassi di cambio.
3. Secondo la Relazione Generale sulla Situazione Economica del Paese (2002, volume III, p. 41), nel 1999 le
principali voci del Conto Economico delle risorse e degli impieghi della Calabria registrarono i seguenti valori
(in miliardi di euro):
Prodotto interno lordo 24,341
Consumi interni privati 18,122
Consumi interni pubblici 7,593
Investimenti interni lordi, pubblici e privati 5,617
Sulla base di questi dati stimare i trasferimenti ricevuti dalla Calabria nel 1999:
-In miliardi di euro:
Importazioni nette = Utilizzazioni interne di merci e servizi - Produzione interna = (18,122 + 7,593 + 5,617) -
24,341 = 31,332 – 24,341 = 6,991.
-In percentuale delle utilizzazioni interne complessive di merci e servizi:
6,991/31,332*100 = 22,3
-In euro per abitante per anno (i residenti in Calabria nel 1999 erano 2.050.000):
6. 991.000.000/2.050.000 = 3.414 euro per calabrese per anno.
Da chi provengono prevalentemente questi trasferimenti?
Dai residenti nelle regioni del Nord dell’Italia.
Attraverso quale meccanismo sono generati prevalentemente questi trasferimenti?
La spesa pubblica per abitante in Calabria è sostanzialmente uguale a quella delle regioni del Nord dell’Italia,
mentre le imposte pagate per abitante sono molto più elevate in Lombardia, Veneto, ecc., che in Calabria. Di
conseguenza una parte rilevante del costo dei servizi pubblici utilizzati dai calabresi è finanziato con imposte
pagate dai residenti nelle regioni del Nord dell’Italia.
47
4. Siano dati tre paesi con le rispettive valute. Il dollaro degli Stati Uniti d’America ($), lo yen del Giappone
(¥) e l’euro dell’Unione Europea (€). Sapendo che 1 € si scambia con 138, 7 ¥ e con 1, 29 $
a) calcolare quanti yen servono per acquistare un dollaro.
Poiché vale
1 € = 138, 7 ¥ e 1 € = 1, 29 $,
allora si può scrivere:
138, 7 ¥ = 1, 29 $,
e, poiché l’esercizio chiede di trovare quanti yen servono per 1 dollaro si ottiene:
138, 7/1, 29 ¥= 1 $
107, 52 ¥ = 1 $
Date le seguenti curve di domanda e offerta giornaliera di $ in milioni :
D$ = 800− 2 p¥ / $,
S$= −0, 98 + 3, 8 p¥ / $.
b) Si determinino i livelli di equilibrio del tasso di cambio di dollari in termini di yen (prezzo in yen di un
dollaro) rappresentando anche graficamente le curve.
800− 2 p¥ / $, = −0, 98 + 3, 8 p¥ / $ => p¥ / $= 138,1 D$ =S$=523,8 milioni di $ al giorno
c) calcolare il deficit o l’avanzo commerciale del Giappone al tasso di cambio determinato nel punto a)
Il Giappone registra un disavanzo commerciale pari a 177,364 milioni di dollari, dato dall’eccesso di domanda
di valuta estera rispetto all’offerta
D$ = 800− 2 *107,52 = 584,96
S$= −0, 98 + 3, 8*107,52 = 407,596
d) di quanto si deve apprezzare o deprezzare lo yen per correggere lo squilibrio di parte corrente?
Lo yen dovrà deprezzarsi del 28,44% (derivante da ((138,1-107,52)/107,52)*100) per correggere
completamente il disavanzo commerciale.
Milioni di $ /gg
¥/$
400
138,1
107,52
800
Giappone
-0,98 523,8
D$
S$
48
5. Secondo il Rapporto 2002 sull’Economia del Mezzogiorno della SVIMEZ (Tab. A1) nel 2001 le principali
voci del Conto Economico delle risorse e degli impieghi del Mezzogiorno registrarono i seguenti valori (in
miliardi di euro):
Prodotto interno lordo 296
Consumi interni privati 204
Consumi interni pubblici 83
Investimenti interni lordi, pubblici e privati 61
Sulla base di questi dati stimare i trasferimenti ricevuti dal Mezzogiorno:
-In miliardi di euro: Una stima dei trasferimenti ricevuti dal Mezzogiorno è costituita dalle importazioni nette,
pari alla differenza fra utilizzazioni interne di merci e servizi (per consumi e per investimenti) e produzione
interna : 204 + 83 + 61 – 296 = 52 miliardi di euro.
-In percentuale delle utilizzazioni interne complessive di merci e servizi:
204 + 83 + 61 = 348; 52/348*100 = 14,9%
-In euro per abitante (i residenti nel Mezzogiorno nel 2001 erano circa 21 milioni):
52.000.000.000/21.000.000 = 2.476 euro all’anno per abitante.
Da chi provengono prevalentemente questi trasferimenti?
Dai residenti nelle regioni del Nord dell’Italia.
Attraverso quale meccanismo sono generati prevalentemente questi trasferimenti?
Il costo dei servizi pubblici forniti per abitante è sostanzialmente uguale nel Mezzogiorno e nel Nord dell’Italia,
mentre il valore delle imposte pagate in media da ciascun abitante à molto più alto al Nord che nel
Mezzogiorno. Di conseguenza, una parte rilevante del costo di produzione dei servizi pubblici prodotti nel
Mezzogiorno per i meridionali è pagata mediante imposte pagate da residenti nelle regioni del Nord dell’Italia.
6. Nel 2014 le partite correnti della bilancia dei pagamenti degli Stati Uniti hanno registrato i seguenti valori
in miliardi di dollari:
Crediti Debiti Saldo
- Merci 682 1.167
- Servizi 289 240
- Redditi primari 245 257
- Redditi secondari -56
Con riferimento a questi dati, illustrare:
1) Il significato dei valori indicati in corrispondenza della voce “Redditi secondari”:
I redditi secondari includono i trasferimenti unilaterali correnti, ossia entrate o uscite senza contropartita che,
modificando il reddito disponibile, hanno un impatto sui consumi. -56 miliardi rappresenta il saldo dei
trasferimenti. Il valore negativo indica che gli Stati Uniti hanno effettuato trasferimenti in uscita superiori a
quelli ricevuti dall’estero.
2) La variazione nelle passività patrimoniali nette degli Stati Uniti verso l’estero nel corso del 2014
determinata dalle partite correnti della bilancia dei pagamenti americana:
La variazione nelle passività patrimoniali nette degli Stati Uniti verso l’estero è uguale al saldo delle partite
correnti, vale a dire alla differenza fra il valore complessivo dei servizi dei fattori produttivi Americani
esportati (sia incorporati in merci o servizi prodotti in America sia utilizzati direttamente da imprese o enti
49
pubblici all’estero), e il valore complessivo dei servizi dei fattori produttivi esteri importati (sia incorporati in
merci o servizi prodotti all’estero sia utilizzati direttamente da imprese o enti pubblici in America), al netto del
valore dei trasferimenti unilaterali:
(682 + 289 + 245) – (1.167 + 240 + 257) – 56 = 1.216 – 1.664 – 56 = - 448 – 56 = - 504.
Nel 2014 l’America ha importato complessivamente servizi di fattori produttivi esteri per un valore che ha
superato di 448 miliardi di dollari il valore complessivo dei servizi dei fattori produttivi Americani esportati, e
ha trasferito gratuitamente risorse all’estero per un valore netto di 56 miliardi di dollari. In conseguenza di
queste operazioni, le passività nette degli Stati Uniti verso l’estero sono aumentate nel corso del 2002 per un
valore di 504 miliardi di dollari.
3) gli effetti cumulativi del disavanzo corrente della bilancia dei pagamenti degli Stati Uniti nel 2014:
Il disavanzo delle partite correnti della bilancia dei pagamenti degli Stati Uniti nel 2014 ha determinato un
aumento delle passività patrimoniali nette degli Stati Uniti verso l’estero per un valore di 504 miliardi di
dollari. Ciò comporterà negli anni successivi maggiori redditi degli investimenti esteri in America e/o minori
redditi degli investimenti americani all’estero. Se si suppone un rendimento medio annuo del 5% delle attività
e passività degli Stati Uniti verso l’estero, il disavanzo corrente registrato nel 2014 comporta negli anni
successivi un maggior disavanzo della voce redditi, e quindi del disavanzo corrente, della bilancia dei
pagamenti americana per un valore di circa 25 miliardi di dollari all’anno.
4) La variazione nel valore in dollari della domanda Americana di valuta estera relativa agli scambi
internazionali di merci e servizi, provocata da un aumento del 20% del prezzo in dollari della valuta estera,
nell’ipotesi che i prezzi in moneta nazionale dei prodotti a mercato internazionale rimangano costanti sia negli
Stati uniti che all’estero e che il valore dell’elasticità-prezzo della domanda Americana di prodotti esteri sia –
0,4.
Se aumenta del 20% il prezzo in dollari della valuta estera, e i prezzi in moneta nazionale dei prodotti a
mercato internazionale rimangano costanti sia negli Stati uniti che all’estero, i prezzi in dollari dei prodotti
esteri aumentano del 20 per cento, mentre i prezzi in dollari dei prodotti Americani restano invariati. Se il
valore dell’elasticità-prezzo della domanda Americana di prodotti esteri è –0,4, un aumento del 20 per cento del
loro prezzo rispetto a quello dei prodotti Americani ne fa diminuire la quantità domandata in America dell’8%.
Ciò significa che il valore complessivo della domanda Americana di valuta estera necessaria per pagare le
importazioni americane di merci e servizi, da un lato diminuisce dell’8 per cento poiché diminuisce in questa
misura la quantità domandata, dall’altro aumenta del 20 per cento, per effetto dell’aumento del prezzo in dollari
dei prodotti esteri. Nel 2014 la domanda Americana di valuta estera corrispondente alle importazioni di merci e
servizi è stata pari a 1.167 + 240 = 1.407 miliardi di dollari; per effetto di un aumento del 20% del prezzo in
dollari della valuta estera essa diventerebbe 1.407*0,92*1,2= 1.553 miliardi di dollari. All’aumentare del
prezzo della valuta estera la sua domanda quindi, invece di diminuire, aumenterebbe di 146 miliardi di dollari.
Un effetto anomalo di questo tipo spesso in realtà si verifica, soprattutto nel breve-medio periodo, ed è una
delle cause delle fluttuazioni, a volte accentuate, dei tassi di cambio.
50
7. Con riferimento alle fotocopie allegate dell’Economist del 22 gennaio 2005:
1a) Illustrare e commentare i flussi internazionali di capitali.
I flussi internazionali di capitale possono essere stimati sulla base dei dati sul saldo delle partite correnti della
bilancia dei pagamenti (current account); il saldo corrente misura infatti la variazione delle attività
patrimoniali nette di un paese verso l’estero provocata durante un certo periodo di tempo dagli scambi con
l’estero di merci e servizi e dai trasferimenti internazionali netti; un saldo corrente positivo indica un aumento
delle attività nette verso l’estero (o una diminuzione delle passività nette), vale a dire esportazioni di capitale,
un saldo corrente negativo indica una diminuzione delle attività nette verso l’estero (o un aumento delle
passività nette), vale a dire importazioni di capitale.
51
In base ai saldi correnti riportati nelle ultime pagine dell’Economist del 22 gennaio 2005, nell’ultimo anno
(latest 12 months) i principali paesi esportatori di capitale (saldo corrente positivo) sono stati il Giappone
(168 miliardi di dollari), la Germania (96 miliardi di dollari), la Cina (46 miliardi), la Russia (50 miliardi), la
Svizzera (45 miliardi), Singapore (29 miliardi), la Corea del Sud (28 miliardi), Taiwan (25 miliardi), il Canada
(27 miliardi), la Svezia (26 miliardi), l’Olanda (21 miliardi). I flussi internazionali di capitale si sono diretti
principalmente verso gli Stati Uniti, che nell’ultimo anno hanno registrato un disavanzo corrente pari a 603
miliardi di dollari; molto più contenute sono state negli ultimi 12 mesi le importazioni di capitali del Regno
Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord (Britain = 48 miliardi di dollari), della Spagna (43 miliardi di
dollari), dell’Australia (36 miliardi).
Una stima più precisa dei flussi internazionali di capitali potrebbe essere ottenuta sottraendo
algebricamente dal saldo corrente i trasferimenti internazionali netti ricevuti dal paese. Per esempio,
considerato che gli Stati Uniti sono caratterizzati tradizionalmente da trasferimenti internazionali netti
negativi, le loro importazioni nette di capitali sono inferiori dell’aumento delle loro passività verso l’estero
indicato dal saldo corrente (circa 540 miliardi di dollari nell’ultimo anno invece di 603); il saldo corrente
dell’Italia indica una diminuzione delle attività nette verso l’estero nell’ultimo anno pari a 12 miliardi di
dollari ; esso è stato però provocato non da importazioni nette i capitali, ma da trasferimenti netti verso
l’estero, in particolare verso gli altri paesi dell’Unione Europea. Per gran parte dei paesi l’entità dei
trasferimenti internazionali netti è relativamente modesta, e quindi il saldo corrente fornisce una stima
abbastanza affidabile dei flussi internazionali di capitali.
1b) Stimare la variazione di competitività dei prodotti italiani rispetto ai prodotti giapponesi nel corso del
2004.
La competitività dei prodotti italiani rispetto ai prodotti giapponesi è influenzata sia dalle variazioni del tasso
di cambio euro/yen, sia da differenze nella dinamica dei prezzi in euro dei prodotti italiani rispetto a quella dei
prezzi in yen dei prodotti giapponesi. Il 19 gennaio 2005 un dollaro valeva 0,77 euro e 103 yen; quindi un euro
valeva 103/0,77 = 133,77 yen; il 19 gennaio 2004 un dollaro valeva 0,79 euro e 107 yen; quindi un euro
valeva 107/0,79 = 135,44 yen. Fra il 19 gennaio 2004 e il 19 gennaio 2005 il valore dell’euro in termini di yen
è diminuito quindi (133,77/135,44– 1)% = 1,23%. Prendendo l’indice dei prezzi al consumo come indicatore
della dinamica dei prezzi dei prodotti italiani e giapponesi nelle rispettive monete nazionali, vediamo che
nell’ultimo anno i prezzi in euro dei prodotti italiani rispetto ai prezzi in yen dei prodotti giapponesi sono
aumentati in misura pari a (1,02/1,008 - 1)% = 1,19%. Il deprezzamento dell’euro rispetto allo yen ha
provocato un aumento di competitività dei prodotti italiani rispetto a quelli giapponesi, questo effetto è stato
però quasi completamente annullato (1,23% -1,19% = 0,04%) dalla maggiore crescita dei prezzi dei prodotti
italiani in euro rispetto a quella dei prodotti giapponesi in yen.
8. Si supponga che 14.000.000 persone possano e vogliano lavorare nel Mezzogiorno, e che ciascuna sia in
grado di produrre merci e servizi per un valore di 18.000 euro all’anno.
Come potrebbe essere stimata la produzione potenziale del Mezzogiorno?
Considerando un tasso di disoccupazione “naturale” o “fisiologico” dell’ordine del 5%, avremmo 14.000.000 *
0,95 = 13.300.000 occupati, con una produzione potenziale pari a 13.300.000*18.000 = 239,4 miliardi di euro
all’anno.
Quali condizioni macroeconomiche devono essere soddisfatte affinché la produzione potenziale sia realizzata?
Equilibrio macroeconomico interno ed esterno.
Come potrebbe essere formulata la condizione di equilibrio macroeconomico interno del Mezzogiorno?
Il valore della domanda di prodotti meridionali deve essere pari alla produzione potenziale di piena
occupazione, vale a dire a 239,4 miliardi di euro all’anno.
52
Quali sono le due variabili principalmente rilevanti dal punto di vista della condizione di equilibrio
macroeconomico interno del Mezzogiorno?
1)La domanda interna meridionale, vale a dire la domanda di prodotti proveniente da residenti nel
Mezzogiorno;
2) La competitività dei prodotti meridionali.
Qual è il ruolo di ciascuna di queste due variabili nel determinare l’equilibrio macroeconomico interno del
Mezzogiorno?
1) Un aumento della domanda interna meridionale provoca un aumento della domanda di prodotti
meridionali.
2) Un aumento della competitività dei prodotti meridionali provoca un aumento della domanda di prodotti
meridionali.
Per far sì che la domanda di prodotti meridionali resti costante a un certo livello, per esempio a un livello pari
alla produzione potenziale di piena occupazione, le variazioni della domanda interna meridionale e della
competitività dei prodotti meridionali devono essere di segno opposto (se una aumenta, l’altra deve diminuire).
Vale a dire: c’è una relazione inversa fra i valori della domanda interna meridionale e della competitività dei
prodotti meridionali che mantengono a un certo livello la domanda di prodotti meridionali.
Si supponga che la condizione di equilibrio macroeconomico interno del Mezzogiorno possa essere formulata
nel modo seguente:
DINTME = 500 – 184 *(34/PLME ) (1)
Cosa può rappresentare DINTME?
La domanda interna meridionale.
Cosa può rappresentare 34?
Il prezzo del lavoro non meridionale
Cosa può rappresentare PLME?
Il prezzo del lavoro nel Mezzogiorno.
Come potrebbe essere illustrata la logica economica della (1)?
La (1) esprime la relazione inversa fra i valori della domanda interna meridionale e della competitività dei
prodotti meridionali, che mantengono costante al livello di piena occupazione (239,4 miliardi di euro all’anno)
il valore della domanda di prodotti meridionali. La competitività è misurata dal rapporto fra il prezzo del lavoro
non meridionale (ipotizzato costante al livello di 34 (mila) euro all’anno) e il prezzo del lavoro meridionale.
Come potrebbe essere formulata la condizione di equilibrio macroeconomico esterno del Mezzogiorno?
Il valore delle importazioni nette del Mezzogiorno deve essere uguale al valore dei trasferimenti che il
Mezzogiorno può ricevere dall’esterno (essenzialmente dalle regioni del Nord dell’Italia).
Si supponga che il Mezzogiorno non possa contare su trasferimenti dall’esterno, come potrebbe essere
realizzato l’equilibrio macroeconomico interno ed esterno del Mezzogiorno?
Mantenendo sia la domanda interna meridionale sia la domanda di prodotti meridionali a un livello pari al
valore della produzione meridionale di piena occupazione (239,4 miliardi di euro all’anno).
In base alla (1), si può calcolare il valore del prezzo del lavoro nel Mezzogiorno che mantiene al livello di piena
occupazione il valore della domanda di prodotti meridionali quando la domanda interna meridionale è pari a
239,4 (miliardi di euro):
53
239,4 = 500 – 184 *(34/PLME ); 34/PLME = (500 – 239,4)/184 = 1,416
PLME = 34/1,416= 24
Quando il prezzo del lavoro nel Mezzogiorno è 24 (mila) euro all’anno, il tasso di disoccupazione è circa il 5%
(equilibrio interno) e il valore della domanda interna è uguale a quello della produzione interna e quindi il
valore delle esportazioni è uguale al valore delle importazioni (equilibrio esterno con trasferimenti pari a zero).
Si supponga che il Mezzogiorno possa contare su trasferimenti dall’esterno per un valore di 50 miliardi di euro
all’anno, come potrebbe essere realizzato l’equilibrio macroeconomico interno ed esterno del Mezzogiorno?
In questo caso la condizione di equilibrio esterno consente un eccesso di importazioni rispetto alle esportazioni
pari a 50 miliardi di euro, e quindi la domanda interna meridionale potrebbe essere pari al valore della
produzione di piena occupazione più il valore dei trasferimenti = 239,4 + 50 = 289,4
In base alla (1) si può calcolare il corrispondente valore del prezzo del lavoro nel Mezzogiorno:
289,4 = 500 – 184 *(34/PLME ) ; (34/PLME ) = ( 500 – 289,4)/184 = 1,1446
PLME = 34/1,1446 =29,70.
Commentare i risultati.
L’esercizio evidenzia come un aumento dei trasferimenti ottenibili dal Mezzogiorno consente un
aumento del prezzo del lavoro meridionale compatibile con l’equilibrio macrooeconomico interno ed esterno
(da 24 a 29,7 mila euro all’anno). Intuitivamente il risultato si può spiegare in questo modo: Se aumenta il
valore dei trasferimenti ottenibili dall’esterno, il Mezzogiorno può permettersi di esportare di meno e importare
di più, e quindi la competitività dei suoi prodotti può diminuire, vale a dire il prezzo del lavoro meridionale può
aumentare. L’effetto negativo della minore competitività sulla domanda di prodotti meridionali può essere
compensato da un aumento della domanda interna nel Mezzogiorno, per esempio mediante riduzioni delle
imposte o aumenti di spesa pubblica, finanziati appunto con i maggiori trasferimenti dalle regioni del Nord.
Ciò significa che la riduzione dei trasferimenti ottenibili dal Mezzogiorno impliciti nelle proposte di
federalismo fiscale comporterebbe un riduzione del prezzo del lavoro meridionale compatibile con l’equilibrio
macroeconomico interno ed esterno.
Il risultato può anche essere visto come una illustrazione dell’intuizione di Mill e Keynes, secondo cui i
trasferimenti migliorano le ragioni di scambio dei paesi, o delle regioni, che li ricevono.
9. Valutare la posizione competitiva dell’area euro (EA) rispetto a quella americana nel settore auto al tempo t
e al tempo t+1, sapendo che il prezzo medio di un’auto nell’area euro è 30.000 euro e in USA è 40.000 dollari
al tempo t e 31.000 euro e 42.000 dollari al tempo t+1, e che 1 euro viene scambiato contro 1,48 dollari al
tempo t e contro 1,59 dollari al tempo t+1.
Per valutare la posizione competitiva si deve comparare il valore delle merci americane, in questo caso auto,
con il valore delle merci europee considerando, appunto, il tasso di cambio reale. Sapendo che il prezzo medio
di un’auto nell’area euro è 30.000 euro e in USA è 40.000 dollari, conoscendo che 1 euro viene scambiato
contro 1,48 dollari al tempo t si ha:
Si evince dunque che un’auto americana è meno cara di una europea e di conseguenza gli USA risultano più
competitivi al tempo t nel settore auto rispetto alla EA.
Se il prezzo medio di un’auto al tempo t+1 nell’area euro è 31.000 euro e in USA è 42.000 dollari, sapendo che
1 euro viene scambiato contro 1,59 dollari al tempo t+1 si ha:
11,1dollari 000.40
dollari 400.44
dollari 40.000
euro 000.3048,1
*
P
Per
17,1dollari 000.42
dollari 290.49
dollari 42.000
euro 000.3159,1
*
P
Per
54
Si nota che la posizione competitiva degli USA si è consolidata al tempo t+1.
10. a) Perché il livello dei prezzi è più basso nei paesi più poveri?
Krugman-Obstfeld-Melitz, 2015.
Molte analisi empiriche hanno evidenziato che il livello dei prezzi dei vari paesi, quando è espresso in un’unica
valuta, è positivamente correlato al livello del reddito reale pro capite. Le differenze nel livello dei prezzi fra
nazioni ricche e povere possono essere imputate all’impatto dei beni non commerciabili sulla formazione del
livello medio dei prezzi. Il prezzo relativo dei beni non commerciabili rispetto ai beni a mercato internazionale
cresce, infatti, al crescere della produzione pro-capite. I prezzi più elevati dei prodotti non commerciabili nelle
nazioni più ricche contribuiscono quindi al maggior livello complessivo dei prezzi di tali paesi. Balassa e
Samuelson hanno fornito una giustificazione per il minor prezzo relativo dei beni e servizi non commerciabili
nei paesi poveri. In particolare, i due autori evidenziano che le differenze internazionali di produttività sono
molto più rilevanti nelle produzioni di beni facilmente trasferibili nello spazio (principalmente manufatti ) che
nelle produzioni a mercato locale (costruzioni e servizi tradizionali) .Poiché l’equilibrio competitivo
internazionale richiede che i prezzi dei beni commerciabili siano pressoché uguale in tutti i paesi, la minor
produttività in queste produzioni deve essere compensata da salari molto più bassi. Poiché le differenze di
produttività nelle produzioni di beni a mercato locale sono molto minori, i prezzi di questi beni in genere sono
più bassi nei paesi più poveri.
b) Illustrare il significato di elasticità rispetto al prezzo di esportazioni e importazioni indicando la loro
rilevanza per la stabilità dei mercati in cui vengono scambiate le monete dei diversi paesi e eventuali stime
empiriche.
Le elasticità di esportazioni e importazioni rispetto al prezzo indicano come variano le quantità esportate e
importate al variare dei prezzi dei prodotti del paese considerato relativamente ai prezzi dei prodotti degli
altri paesi. Ipotizzando che inizialmente il valore delle esportazioni sia uguale a quello delle importazioni di
merci e servizi, se la somma dei valori assoluti delle elasticità rispetto al prezzo della domanda di esportazioni
e di importazioni è maggiore di uno, la diminuzione dei prezzi relativi dei prodotti di un paese (deprezzamento
reale del tasso di cambio) determina un avanzo nel valore degli scambi con l’estero di merci e servizi, e i
mercati in cui vengono scambiate le monete dei diversi paesi tendono ad essere stabili; altrimenti essi sono
instabili. Empiricamente si è visto che per la maggior parte di paesi, la somma dei valori assoluti delle
elasticità delle importazioni ed esportazioni tende a essere decisamente minore di uno nel breve-medio
periodo, e significativamente maggiore di uno nel lungo periodo; ciò contribuisce a spiegare le accentuate
fluttuazioni dei tassi di cambio.
c) Si supponga che il prezzo in dollari di un euro il lunedì sia pari a 1.69 e che il venerdì seguente sia 1.45.
a) Cosa accade al prezzo della valuta estera in termini della valuta nazionale?
Il lunedì un euro comprava 1.69 dollari; il venerdì seguente 1.45. Il prezzo della valuta estera è quindi
aumentato.
b) Quanti euro possono essere scambiati con un dollaro il lunedì? E il venerdì?
Lunedì: €/$=1/1.69 =0.598 euro; venerdì: €/$=1/1.45 =0.69 euro.
c) Il valore dell’euro è aumentato o diminuito durante la settimana?
Il valore dell’euro è diminuito. Il venerdì un euro può acquistare meno dollari.
d) L’euro si è apprezzato o deprezzato durante la settimana?
L’euro si è deprezzato.
55
11. Nell’ipotesi che il tasso di cambio dell’euro in termini di dollari atteso tra un anno sia 1,25; il tasso di
interesse a un anno sia 5% e il tasso americano sia il 7%, e assumendo che valga la parità dei tassi di interesse
scoperta.
a) Calcolare il tasso di cambio corrente:
Sapendo che
€
$
€
$
€
$
€$e
ee
ii
e
i$-i€ =0,07-0,05=0,02 =>
€
$
€
$25,1
02,0e
e
=> 23,1
€
$ e
Calcolare il tasso di cambio corrente se il tasso di interesse nazionale aumenta al 6%:
e$/€=1.25/(1-0.06+0.07)=1.24
b) Calcolare il tasso di cambio corrente se il tasso di interesse nazionale aumenta al 7%:
e$/€=1.25/(1-0.07+0.07)=1.25
c) Sulla base delle risposte a-c, come varia il tasso di cambio corrente all’aumentare del tasso di interesse
nazionale? L’euro di apprezza o si deprezza ?
Il maggiore r riflette un apprezzamento dell’euro: il valore dell’euro aumenta. Il valore del dollaro,
quindi diminuisce all’aumentare di i. Se i aumenta la preferenza per i titoli nazionali aumenta la
domanda di euro contro dollari e l’euro si apprezza, ovvero r aumenta.
Supponiamo che il tasso di interesse nazionale ad un anno sia del 3.6% negli Stati Uniti e del 3% in Italia. In
questo caso conviene tenere titoli italiani o statunitensi?
Dipende dal tasso di cambio euro/dollaro atteso e quindi dal tasso di deprezzamento/apprezzamento atteso del
dollaro nei confronti dell’euro rispetto al differenziale tra il tasso di interesse italiano e il tasso statunitense
(0.6%). Se il tasso di deprezzamento del dollaro è maggiore di 0.6% allora per voi è più conveniente investire
in titoli italiani, nonostante il tasso di interesse sia più basso. Tenendo titoli italiani si ottengono meno euro fra
un anno, ma a quel tempo l’euro si sarà apprezzato, varrà cioè di più in termini di dollari. Se però ci si aspetta
che il dollaro si deprezzi meno dello 0.6% o addirittura si apprezzi, conviene allora investire in titoli
statunitensi.
12. Dato un indice dei prezzi al consumo per l’anno 2010 pari a 105 per gli USA e pari a 101 per l’eurozona:
a) Calcolare il tasso di cambio vigente in quell’anno secondo la teoria della parità del potere d’acquisto
assoluta.
La teoria della parità dei poteri di acquisto introduce la relazione tra il livello dei prezzi e il tasso di cambio.
In particolare secondo la versione assoluta della PPP, i livelli generali dei prezzi di due paesi non possono
differire quando vengono convertiti nella medesima valuta. Vale, cioè, la seguente relazione
e=P/P* oppure eP*=P
e€/$=101/105=0,96 => 1$=0,96€
b) Sapendo che nel 2011 l’indice dei prezzi al consumo USA passerà a 109, e che nell’eurozona vi sarà un tasso
di inflazione pari al 3%, calcolare il tasso di cambio vigente nel 2011 secondo la stessa teoria.
e€/$=104,03/109=0,93 => 1$=0,93€
dove 104,03 è il 3% di 101.
56
13. Si supponga che 1.200.000 persone possano e vogliano lavorare in Calabria, e che ciascuna sia in grado di
produrre merci e servizi per un valore di 16.000 euro all’anno.
Come potrebbe essere stimata la produzione potenziale della Calabria?
Considerando un tasso di disoccupazione “naturale” o “fisiologico” dell’ordine del 5%, avremmo 1.200.000 *
0,95 = 1.140.000 occupati, con una produzione potenziale pari a 1.140.000*16.000 = 18,24 miliardi di euro
all’anno.
Quali condizioni macroeconomiche devono essere soddisfatte affinché la produzione potenziale sia realizzata?
Equilibrio macroeconomico interno ed esterno.
Come potrebbe essere formulata la condizione di equilibrio macroeconomico interno della Calabria?
Il valore della domanda di prodotti calabresi deve essere pari alla produzione potenziale di piena occupazione,
vale a dire a 18,24 miliardi di euro all’anno.
Quali sono le due variabili principalmente rilevanti dal punto di vista della condizione di equilibrio
macroeconomico interno della Calabria?
1)La domanda interna calabrese, vale a dire la domanda di prodotti proveniente da residenti in Calabria;
2) La competitività dei prodotti calabresi.
Qual è il ruolo di ciascuna di queste due variabili nel determinare l’equilibrio macroeconomico interno della
Calabria?
3) Un aumento della domanda interna calabrese provoca un aumento della domanda di prodotti
calabresi.
4) Un aumento della competitività dei prodotti calabresi provoca un aumento della domanda di prodotti
calabresi.
Per far sì che la domanda di prodotti calabresi resti costante a un certo livello, per esempio a un livello pari
alla produzione potenziale di piena occupazione, le variazioni della domanda interna calabrese e della
competitività dei prodotti calabresi devono essere di segno opposto (se una aumenta, l’altra deve diminuire).
Vale a dire: c’è una relazione inversa fra i valori della domanda interna calabrese e della competitività dei
prodotti calabresi che mantengono a un certo livello la domanda di prodotti calabresi.
Si supponga che la condizione di equilibrio macroeconomico interno della Calabria possa essere formulata nel
modo seguente:
DINTCA = 38,4 – 12 *(32/PLCA ) (1)
Cosa può rappresentare DINTCA?
La domanda interna calabrese.
Cosa può rappresentare 32?
Il prezzo del lavoro non calabrese
Cosa può rappresentare PLCA?
Il prezzo del lavoro in Calabria.
Come potrebbe essere illustrata la logica economica della (1)?
57
La (1) esprime la relazione inversa fra i valori della domanda interna calabrese e della competitività dei
prodotti calabresi, che mantengono costante al livello di piena occupazione (18,24 miliardi di euro all’anno) il
valore della domanda di prodotti calabresi. La competitività è misurata dal rapporto fra il prezzo del lavoro
non calabrese (ipotizzato costante al livello di 32 (mila) euro all’anno) e il prezzo del lavoro calabrese.
Come potrebbe essere formulata la condizione di equilibrio macroeconomico esterno della Calabria?
Il valore delle importazioni nette della Calabria deve essere pari al valore dei trasferimenti che la Calabria
può ricevere dall’esterno (essenzialmente dalle regioni del Nord dell’Italia).
Si supponga che la Calabria non possa contare su trasferimenti dall’esterno, come potrebbe essere realizzato
l’equilibrio macroeconomico interno ed esterno della Calabria?
Mantenendo sia la domanda interna calabrese sia la domanda di prodotti calabresi a un livello pari al valore
della produzione calabrese di piena occupazione (18,24 miliardi di euro all’anno).
In base alla (1), si può calcolare il valore prezzo del lavoro in Calabria che mantiene al livello di piena
occupazione il valore della domanda di prodotti calabresi quando la domanda interna calabrese è pari a 18,24
(miliardi di euro):
18,24 = 38,4 – 12 *(32/PLCA ); da cui PLCA = 32/1,683= 19,01
Quando il prezzo del lavoro in Calabria è 19,01 (mila) euro all’anno, il tasso di disoccupazione è circa il 5%
(equilibrio interno) e il valore della domanda interna è uguale a quello della produzione interna e quindi il
valore delle esportazioni è uguale al valore delle importazioni (equilibrio esterno con trasferimenti pari a
zero).
Si supponga che la Calabria possa contare su trasferimenti dall’esterno per un valore di 6 miliardi di euro
all’anno, come potrebbe essere realizzato l’equilibrio macroeconomico interno ed esterno della Calabria?
In questo caso la condizione di equilibrio esterno consente un eccesso di importazioni rispetto alle esportazioni
pari a 6 miliardi di euro, e quindi la domanda interna calabrese potrebbe essere pari al valore della
produzione di piena occupazione più il valore dei trasferimenti = 18,24 + 6,0 = 24,24
In base alla (1) si può calcolare il corrispondente valore del prezzo del lavoro in Calabria:
24,24 = 38,4 – 12 *(32/PLCA ) ; (32/PLCA ) = ( 38,4 – 24,24)/12 = 1,18
PLCA = 32/1,18 =27,12.
Commentare i risultati.
L’esercizio evidenzia come un aumento dei trasferimenti ottenibili dalla Calabria consente un aumento
del prezzo del lavoro calabrese compatibile con l’equilibrio macrooeconomico interno ed esterno (da 19,01 a
27,12 mila euro all’anno). Intuitivamente il risultato si può spiegare in questo modo: Se aumenta il valore dei
trasferimenti ottenibili dall’esterno, la Calabria può permettersi di esportare di meno e importare di più, e
quindi la competitività dei suoi prodotti può diminuire, vale a dire il prezzo del lavoro calabrese può
aumentare. L’effetto negativo della minore competitività sulla domanda di prodotti calabresi può essere
compensata da un aumento della domanda interna in Calabria, per esempio mediante riduzioni delle imposte o
aumenti di spesa pubblica, finanziati appunto con i maggiori trasferimenti dalle regioni del Nord.
Ciò significa che la riduzione dei trasferimenti ottenibili dalla Calabria impliciti nelle proposte di
federalismo fiscale comporterebbe un riduzione del prezzo del lavoro calabrese compatibile con l’equilibrio
macroeconomico interno ed esterno.
Il risultato può anche essere visto come una illustrazione dell’intuizione di Mill e Keynes, secondo cui i
trasferimenti migliorano le ragioni di scambio dei paesi, o delle regioni, che li ricevono.
58
Trasferimenti e malattia olandese
Un aumento dei trasferimenti che la Calabria può ottenere dalle altre regioni consente un aumento del
prezzo del lavoro calabrese (vale a dire una diminuzione della competitività dei prodotti calabresi) compatibile
con l’equilibrio macroeconomico interno ed esterno. Questa minore competitività comporta una minore
presenza in Calabria di attività produttive di beni facilmente trasferibili nello spazio (prevalentemente
manufatti e servizi della “new economy”). Se queste attività produttive sono caratterizzate da significative
economie di apprendimento, la loro assenza in Calabria comporta un aumento del gap di produttività fra la
Calabria e le altre regioni. Ciò significa che se in futuro il valore dei trasferimenti dovesse ridursi, l’equilibrio
macroeconomico interno ed esterno richiederebbe un prezzo del lavoro più basso di quello che sarebbe stato
sufficiente se i trasferimenti non ci fossero mai stati.
14. Con riferimento alla fotocopia allegata:
A. illustrare e commentare i flussi internazionali di capitali nell’ultimo anno.
I flussi internazionali di capitale possono essere stimati sulla base dei dati sul saldo delle partite
correnti della bilancia dei pagamenti (current account); il saldo corrente misura infatti la variazione delle
attività patrimoniali nette di un paese verso l’estero provocata durante un certo periodo di tempo dagli scambi
con l’estero di merci e servizi e dai trasferimenti internazionali netti; un saldo corrente positivo indica un
aumento delle attività nette verso l’estero (o una diminuzione delle passività nette), vale a dire esportazioni di
capitale, un saldo corrente negativo indica una diminuzione delle attività nette verso l’estero (o un aumento
delle passività nette), vale a dire importazioni di capitale. In base ai saldi correnti riportati nelle ultime pagine
dell’Economist del 20 novembre 2004, nell’ultimo anno (latest 12 months) i principali paesi esportatori di
capitale (saldo corrente positivo) sono stati il Giappone (169 miliardi di dollari), la Germania (90 miliardi di
dollari), la Svizzera (45 miliardi), la Norvegia (32 miliardi), il Canada (24 miliardi), la Svezia (23 miliardi),
l’Olanda (21 miliardi). I flussi internazionali di capitale si sono diretti principalmente verso gli Stati Uniti, che
nell’ultimo anno hanno registrato un disavanzo corrente pari a 572 miliardi di dollari; molto più contenute
sono state negli ultimi 12 mesi le importazioni di capitali del Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del
Nord (Britain = 42 miliardi di dollari), della Spagna (38 miliardi di dollari), dell’Australia (34 miliardi).
Una stima più precisa dei flussi internazionali di capitali potrebbe essere ottenuta sottraendo
algebricamente dal saldo corrente i trasferimenti internazionali netti ricevuti dal paese. Per esempio,
considerato che gli Stati Uniti sono caratterizzati tradizionalmente da trasferimenti internazionali netti
negativi, le loro importazioni nette di capitali sono inferiori dell’aumento delle loro passività verso l’estero
indicato dal saldo corrente (circa 500 miliardi di dollari nell’ultimo anno invece di 572); il saldo corrente
59
dell’Italia indica una diminuzione delle attività nette verso l’estero nell’ultimo anno pari a 12 miliardi di
dollari ; esso è stato però provocato non da importazioni nette i capitali, ma da trasferimenti netti verso
l’estero, in particolare verso gli altri paesi dell’Unione Europea. Per gran parte dei paesi l’entità dei
trasferimenti internazionali netti è relativamente modesta, e quindi il saldo corrente fornisce una stima
abbastanza affidabile dei flussi internazionali di capitali.
B. Discutere le riforme del sistema finanziario internazionale, e il trilemma di politica economica in economia
aperta: (il “triangolo impossibile”). (Krugman-Obstfeld-Melitz, 2016).
Un funzionamento soddisfacente di un’economia aperta richiede tre condizioni: 1) la libertà dei
movimenti internazionali di capitali; 2) la stabilità dei tassi di cambio; 3) l’autonomia della politica monetaria.
L’esperienza ha mostrato però che è pressoché impossibile raggiungere contemporaneamente questi tre
obiettivi. Questo risultato può essere illustrato rappresentando questi tre obiettivi come i vertici di un
“triangolo impossibile”, ed evidenziando la necessità di scegliere uno dei lati di un triangolo, i cui estremi
rappresentato due dei tre obiettivi indicati.
La libertà dei movimenti internazionali di capitali aumenta il benessere dei diversi paesi, sia perché
consente di utilizzare i capitali nei paesi in cui il loro rendimento è più elevato, sia perché consente di
diversificare anche geograficamente gli investimenti, e quindi ridurre il loro rischio. A parte ciò, limitare la
libertà dei movimenti internazionali dei capitali richiede controlli burocratici difficili, costosi, spesso poco
efficaci, e tali da stimolare tentativi di corruzione dei pubblici funzionari addetti ai controlli.
La instabilità dei tassi di cambio può provocare errori clamorosi nelle scelte riguardanti sia la
localizzazione degli investimenti produttivi, sia gli investimenti di natura finanziaria. Per esempio, il valore di
un euro è aumentato da 0,87 dollari i primi di marzo del 2002 fino a 1,34 dollari i primi di dicembre 2004: un
aumento del 54 per cento in meno di tre anni; nello stesso periodo il prezzo in dollari del lavoro è aumentato di
circa il 7 per cento sia negli Stati Uniti d’America sia nei paesi dell’Unione monetaria europea, ciò significa
che, per effetto dell’apprezzamento dell’euro rispetto al dollaro, il prezzo del lavoro nei paesi dell’Unione
monetaria europea è aumentato di oltre il 50 per cento rispetto al prezzo del lavoro in America in meno di tre
anni. Un deprezzamento reale così forte del dollaro rispetto all’euro non era assolutamente previsto dai
mercati finanziari internazionali, se si considera che i primi di marzo del 2002 il tasso d’interesse sui titoli di
stato biennali era del 3,97 per cento nell’Unione monetaria europea e del 3,22 per cento negli Stati Uniti; in
base alla condizione di equilibrio degli investitori internazionali c’è da presumere quindi che i mercati si
attendessero allora un leggero deprezzamento dell’euro rispetto al dollaro, invece di un apprezzamento
dell’euro di oltre il 50 per cento.
Un’impresa che nel marzo del 2002 avesse deciso di localizzare uno stabilimento produttivo di beni a
mercato internazionale nell’Unione monetaria europea invece che negli Stati Uniti in base al rapporto allora
esistente fra prezzo del lavoro in Europa e prezzo del lavoro in America, nel dicembre del 2004 si sarebbe
travata a fronteggiare un prezzo relativo del lavoro europeo di oltre il 50 per cento più elevato di quello in
base al quale aveva assunto la sua decisione. Nel marzo del 2002 la Cina aveva riserve valutarie pari a oltre
200 miliardi di dollari, in gran parte investite in buoni del tesoro degli Stati Uniti che rendevano un tasso
d’interesse un po’ più basso di quello dei buoni del tesoro tedeschi; nel dicembre 2004 il governo cinese ha
potuto rendersi conto che il valore delle sue riserve valutarie sarebbe stato di oltre 100 miliardi di dollari più
elevato se nel marzo del 2002 avesse deciso di investirle in buoni del tesoro dell’Italia o della Germania
invece che in buoni del tesoro americani.
L’autonomia della politica monetaria è utile per consentire a ciascun paese di perseguire l’obiettivo di
una domanda interna aggregata di prodotti coerente con un tasso di disoccupazione il più vicino possibile al
suo livello “naturale”.
L’esperienza di diversi paesi ha mostrato che a volte emergono conflitti drammatici fra questi tre
obiettivi. In particolare, se si diffonde l’aspettativa di un deprezzamento significativo della moneta di un paese,
mantenerne stabile il tasso di cambio può richiedere interventi legislativi o amministrativi volti a impedire
l’uscita di capitali da quel paese, oppure una restrizione monetaria tale da determinare un aumento del tasso
d’interesse sufficiente a rendere conveniente per gli speculatori mantenere attività finanziarie denominate nella
moneta di cui si teme un deprezzamento. Ciò però può provocare una restrizione della domanda interna, e una
conseguente crescita del tasso di disoccupazione ben oltre il suo livello naturale.
Di fronte all’impossibilità di perseguire efficacemente tutti e tre gli obiettivi indicati, diversi paesi
hanno fino ad ora assunto comportamenti differenti.
60
I paesi dell’Unione monetaria europea hanno scelto la libertà dei movimenti internazionali di capitali
e hanno assunto una decisione drastica per quel che riguarda la stabilità dei tassi di cambio reciproci,
rinunciando addirittura alle loro diverse monete nazionali, e adottando una moneta comune. Essi hanno però
dovuto rinunciare all’autonomia della politica monetaria, e adottare una politica monetaria comune affidata
alla responsabilità della Banca centrale europea. Fino ad ora la rinuncia all’autonomia della politica
monetaria sembra essere stata particolarmente costosa per la Germania, la cui fase congiunturale avrebbe
probabilmente richiesto una politica monetaria più espansiva di quella adottata dalla Banca centrale europea
con riferimento alle caratteristiche congiunturali medie di tutti i paesi dell’Unione monetaria europea.
Stati Uniti, Unione monetaria europea, Giappone e Regno Unito, hanno privilegiato, per i rapporti
reciproci, l’autonomia della politica monetaria e la libertà dei movimenti internazionali di capitali, anche al
prezzo di variazioni molto forti nei tassi di cambio fra le loro monete.
La Cina ha cercato di mantenere stabile il tasso di cambio con il dollaro e di preservare l’autonomia della
politica monetaria, controllando i movimenti internazionali di capitali, e intervenendo anche in modo
massiccio a sostegno del dollaro, acquistando buoni del tesoro americani e altre attività patrimoniali espresse
in dollari, non tanto per la convinzione che ciò fosse un buon investimento, subendo anzi fino ad ora perdite in
conto capitale molto elevate, ma per la volontà di evitare un apprezzamento della moneta cinese rispetto al
dollaro. In tal modo la moneta cinese si è deprezzata però rispetto all’euro nella stessa misura del dollaro.
15. Secondo le stime contenute nella Relazione generale sulla situazione economica del paese del
(www.tesoro.it), nel 2002 i principali valori (in miliardi di euro) del conto economico delle risorse e degli
impieghi della Calabria e della Lombardia sono stati i seguenti:
CALABRIA LOMBARDIA
Prodotto interno lordo ai prezzi di mercato: 28 255
Consumi finali interni 29 174
Investimenti lordi interni 7 50
1a) illustrare, anche con esempi, le nozioni di:
- Prodotto interno lordo ai prezzi di mercato
Il prodotto interno lordo ai prezzi di mercato è il valore dei beni prodotti durante un certo periodo (di
solito un anno) in un paese o una regione, al lordo degli ammortamenti, vale a dire senza tener conto della
perdita di valore dei beni capitali utilizzati, valutati ai prezzi finali pagati dagli acquirenti, vale a dire ai
prezzi comprendenti anche l’IVA e altre imposte indirette.
- Consumi finali interni
I consumi finali interni sono i beni impiegati dai residenti in un dato paese o regione in un certo periodo,
per essere più felici.
- Investimenti lordi interni
Gli investimenti lordi interni sono i beni utilizzati dai residenti in un dato paese o regione in un certo
periodo per accrescere la capacità produttiva; il loro valore non tiene conto della perdita di valore dei
beni capitali esistenti all’inizio del periodo (ammortamenti).
1b) Stimare il valore del prodotto interno netto nel 2002 per:
Supponendo che la perdita di valore durante l’anno dei beni capitali esistenti all’inizio del periodo sia pari al
14% del PIL:
- Calabria: 28 – 28*0,14 = 28 – 3,92 = 24,08
- Lombardia 255 – 255*0,14 = 255 – 35,7 = 219,3
1c) Stimare il valore degli investimenti interni netti nel 2002 per:
- Calabria: 7 – 3,92 = 3,08
- Lombardia: 50 – 35,7 = 14,3
1d) Stimare il valore dei risparmi interni netti nel 2002 per:
- Calabria: 28 – 3,92 – 29 = - 4,92
- Lombardia: 255 – 35,7 – 174 = 45,30
1e) Determinare il valore del saldo degli scambi con l’esterno di merci e servizi nel 2002 per:
- Calabria 28 – 29 – 7 = - 8
- Lombardia 255 – 174 – 50 = 31
61
1f) Discutere le implicazioni dei risultati precedenti dal punto di vista:
- della competitività (si tenga anche conto che nel 2002 il tasso di disoccupazione era del 3,8% in
Lombardia e del 24,6% in Calabria): Una forte carenza di competitività per la Calabria é evidenziata
da un disavanzo negli scambi con l’esterno di merci e servizi dell’ordine del 29% del prodotto interno
lordo e da un tasso di disoccupazione molto elevato; un eccesso di competitività per la Lombardia é
evidenziato da un avanzo negli scambi con l’esterno di merci e servizi dell’ordine del 12 per cento del
PIL e da un tasso di disoccupazione fra i più bassi del mondo.
- dei trasferimenti interregionali
I risultati evidenziano che la Lombardia trasferisce gratuitamente verso altre regioni italiane circa il 12
per cento del reddito in essa prodotto; mentre la Calabria ottiene trasferimenti da altre regioni italiane
dell’ordine di quasi del 30 per cento del reddito prodotto in Calabria.
- della relazione fra entrate e spese del settore pubblico
Poiché i trasferimenti interni avvengono essenzialmente in modo automatico attraverso il bilancio
pubblico, i risultati evidenziano un fortissimo disavanzo del settore pubblico in Calabria e un elevato
avanzo pubblico in Lombardia.
- della riforma in senso federalista della Costituzione (devolution)
La riforma in senso federalista della Costituzione comporterà probabilmente una riduzione dei
trasferimenti da una regione all’altra. Ciò comporterebbe per la Calabria l’esigenza di finanziare con
imposte riscosse in Calabria una quota più elevata del costo dei servizi pubblici utilizzati in Calabria e
della spesa sociale rivolta ai calabresi.
2) Illustrare la seguente affermazione di James Meade (premio nobel per l’economia nel 1977 insieme a Bertil
Ohlin): “Se i salari monetari sono flessibili, le variazioni dei tassi di cambio non sono necessarie, se i salari reali sono rigidi, le
variazioni dei tassi di cambio sono inutili”.
L’affermazione si riferisce a come un paese può aumentare la competitività dei suoi prodotti. In ultima
analisi, in genere un aumento di competitività richiede una riduzione dei salari reali. Un svalutazione del tasso
di cambio può consentire a un paese di rendere più competitivi i propri prodotti se i lavoratori non pretendono
di essere compensati per la riduzione del potere di acquisto dei salari derivante in genere dalla svalutazione
del tasso di cambio. Se invece i lavoratori ottengono aumenti dei salari monetari in grado di compensare gli
effetti degli aumenti dei prezzi provocati dalla svalutazione del tasso di cambio, i rapporti di competitività
rimangono inalterati e la svalutazione del tasso di cambio sarà quindi stata inutile. D’altronde, un paese
potrebbe ottenere un aumento della competitività internazionale dei suoi prodotti senza svalutare il tasso di
cambio, mediante una riduzione dei salari monetari ( o del loro tasso di crescita).
Soprattutto negli anni settanta e ottanta l’Italia ha sperimentato l’inutilità della svalutazione del tasso
di cambio della lira, passato da 168 a 348 lire per marco fra il 1970 e il 1987, e da 625 lire a 1909 lire per
dollaro fra il 1970 e il 1985, dal punto di vista dei guadagni di competitività, a causa della rigidità dei salari
reali in Italia. La Germania negli ultimi anni ha mostrato come sia possibile aumentare la competitività dei
propri prodotti senza svalutare il tasso di cambio. Mediante aumenti dei salari molto più contenuti, rispetto
agli aumenti di produttività, che in gran parte degli altri paesi dell’Unione monetaria europea, la
competitività dei prodotti tedeschi è aumentata significativamente negli ultimi anni rispetto ai prodotti di gran
parte degli altri paesi dell’Unione monetaria europea.
3) La teoria della parità dei poteri di acquisto: versione assoluta e versione relativa, applicazioni.
La teoria della parità dei poteri di acquisto è a volte utilizzata per cercare di avere un’idea dei livelli di
equilibrio dei tassi di cambio. Secondo la versione assoluta di questa teoria il tasso di cambio di equilibrio
fra le monete di due paesi è quello che eguaglia i prezzi dei beni prodotti nei due paesi. Secondo la versione
relativa, il tasso di cambio fra le monete di due paesi dovrebbe variare nel tempo in modo da compensare
eventuali differenze nei loro tassi d’inflazione.
62
16. Secondo le stime contenute nel rapporto 2005 sull’Economia del Mezzogiorno (www.SVIMEZ.it), nel
2004 i principali valori (in miliardi di euro) del conto economico delle risorse e degli impieghi per il
Mezzogiorno e il Centro-Nord sono stati i seguenti:
MEZZOGIORNO CENTRO-NORD
Prodotto interno lordo ai prezzi di mercato: 334 1.017
Consumi finali interni 320 764
Investimenti lordi interni 68 200
1a) Stimare il valore dei trasferimenti dal Centro-Nord verso il Mezzogiorno nel 2004, e illustrare le
giustificazioni teoriche del metodo di stima utilizzato:
Il valore dei trasferimenti ottenuti dal Mezzogiorno può essere stimato in base alla differenza fra il valore
complessivo dei beni utilizzati per consumi e per investimenti e il valore dei beni prodotti nel Mezzogiorno:
320 + 68 – 334 = 54 miliardi di euro
In base alla identità macroeconomica fondamentale di un’economia aperta, questa differenza corrisponde alle
importazioni nette del Mezzogiorno. In assenza di trasferimenti le importazioni nette comportano un eguale
aumento delle passività nette verso l’esterno; poiché nel caso del Mezzogiorno il persistente disavanzo negli
scambi con l’esterno di merci e servizi non sembra aver provocato alcun rilevante aumento delle passività
nette verso l’esterno, è presumibile ritenere che le importazioni nette siano coperte in gran parte da
trasferimenti che il Mezzogiorno ottiene dalle regioni del Centro-Nord dell’Italia.
1b) Considerato che nel 2004 i residenti nel Mezzogiorno erano 20,7 milioni e i residenti nel Centro-Nord 37,7
milioni, stimare il costo medio dei trasferimenti per ogni residente nel Centro-Nord e il beneficio medio per
ogni residente nel Mezzogiorno:
Costo medio: 54 miliardi/37,7 milioni = 1.432 euro all’anno per ogni residente nel Centro-Nord. Beneficio
medio: 54 miliardi/20,7 milioni = 2.609 euro all’anno per ogni residente nel Mezzogiorno.
1c) Illustrare come avvengono in concreto i trasferimenti dal Centro-Nord verso il Mezzogiorno:
I trasferimenti dal Centro-Nord verso il Mezzogiorno avvengono prevalentemente in modo automatico, per il
fatto che una parte consistente del costo dei servizi pubblici e delle prestazioni assistenziali disponibili per i
residenti nel Mezzogiorno è coperto mediante imposte pagate da residenti nel Centro-Nord.
1d) Considerato che nel 2004 il disavanzo delle amministrazioni pubbliche è stato in Italia pari a circa 41
miliardi di euro, stimare il saldo dei conti delle amministrazioni pubbliche per il Centro-Nord e per il
Mezzogiorno, illustrando le giustificazioni teoriche del metodo di stima utilizzato:
Considerato che il valore dei trasferimenti ottenuti dal Mezzogiorno corrisponde essenzialmente al disavanzo
delle amministrazioni pubbliche nel Mezzogiorno, si può stimare che nel Centro-Nord le amministrazioni
pubbliche abbiano registrato nel 2004 un avanzo dell’ordine di 54 – 41 = 13 miliardi di euro.
1e) Stimare il valore del prodotto interno netto e degli investimenti netti del Mezzogiorno nel 2004, e illustrare
le giustificazioni teoriche del metodo di stima utilizzato:
Il valore del prodotto interno netto è pari a quello del prodotto interno lordo meno la diminuzione di valore dei
beni capitali nel corso dell’ anno (ammortamento). Ipotizzando che questa perdita di valore sia pari a circa il
14 per cento del prodotto interno lordo, si ottiene per il 2004 una stima dell’ammortamento per il Mezzogiorno
pari a circa 47 miliardi di euro, e quindi un prodotto interno netto di 334 – 47 = 287 miliardi, e investimenti
netti pari a 68 – 47 = 21 miliardi di euro. Ciò significa che una parte consistente dei trasferimenti ottenuti dal
Mezzogiorno è utilizzata per finanziare i consumi interni, oltre che gli investimenti netti.
1f) Stimare il risparmio netto del Mezzogiorno e del Centro-Nord nel 2004, illustrando le giustificazioni
teoriche del metodo di stima utilizzato:
63
Il risparmio netto è uguale alla differenza fra prodotto interno netto e consumi interni (287 – 320 = -33) Il
risparmio netto del Mezzogiorno è quindi negativo per un importo piuttosto elevato.
Per il Centro-Nord il risparmio netto è stato pari a 1.017*.86 – 764 = 111 miliardi di euro.
17. Illustrare
A) I principali aspetti empirici e teorici dei movimenti internazionali di capitali.
Negli ultimi anni i flussi internazionali di capitali si sono diretti principalmente verso gli Stati Uniti, vale a dire
verso uno dei paesi più ricchi del mondo. I principali esportatori di capitali sono stati Giappone, Germania,
Russia e Cina. I capitali si spostano in genere dai paesi in cui il tasso d’interesse è più basso verso i paesi in
cui il tasso d’interesse è più alto, consentendo ai risparmiatori di massimizzare i loro redditi da capitale. In
passato le esportazioni di capitali sono state spesso valutate negativamente, e diversi paesi a volte hanno
cercato di proibirli, prevedendo anche gravi sanzioni penali per i trasgressori. Una delle motivazioni di queste
valutazioni negative risale alle argomentazioni di Mill e Keynes, secondo cui i movimenti internazionali di
capitali determinano un peggioramento delle ragioni di scambio dei paesi esportatori di capitali e un
miglioramento delle ragioni di scambio dei paesi importatori di capitali. Applicando queste argomentazioni
agli Stati Uniti si potrebbe argomentare che questo paese, potendo finanziare il forte disavanzo negli scambi
con l’estero di merci e servizi mediante importazioni di capitali ha potuto mantenere il valore reale del dollaro,
e quindi anche i salari, a un livello sostanzialmente più elevato di quello corrispondente a un equilibrio
competitivo di lungo periodo dell’economia americana.
B) La bilancia dei pagamenti: variazioni nelle attività e passività verso l’estero.
La bilancia dei pagamenti mette in evidenza in dettaglio le variazioni nelle attività e passività di un paese verso
l’estero derivante dagli scambi internazionali di merci e servizi e dai trasferimenti internazionali unilaterali.
L’indicazione più importante è fornita in sintesi dal saldo corrente, o saldo delle partire correnti, che indica la
variazione nel valore delle attività patrimoniali nette di un paese verso l’estero durante un certo periodo, per
effetto degli scambi con l’estero di merci e servizi, e dei trasferimenti unilaterali. Il conto finanziario della
bilancia dei pagamenti illustra le variazioni nelle diverse categorie di attività e passività verso l’estero. La
distinzione più rilevante è quella fra attività e passività verso l’estero di natura “reale”, le cui variazioni sono
indicate principalmente come investimenti (o disinvestimenti) diretti all’estero, e attività e passività verso
l’estero di natura finanziaria, costituiti essenzialmente da crediti e debiti fra residenti in paesi diversi.
C) Differenze internazionali nel tasso d’interesse, aspetti empirici e teorici.
Il tasso d’interesse di equilibrio nel lungo periodo è determinato principalmente dalla relazione fra risparmi e
investimenti. L’offerta di risparmio dipende essenzialmente dal livello del reddito e dalla propensione al
risparmio, e non sembra essere influenzato in misura significativa dal tasso d’interesse. La curva di domanda
aggregata di beni per investimenti esprime il tasso d’interesse massimo che le imprese sono disposte a pagare
per diversi possibili investimenti, ed esprime quindi essenzialmente la produttività degli investimenti in
impianti, macchinari, ecc.
Il tasso d’interesse di equilibrio di lungo periodo in un’economia chiusa tende quindi ad essere tanto più
elevato quanto più è basso il livello del risparmio in corrispondenza del reddito di piena occupazione, e
quanto più sono elevati gli incrementi di produzione consentiti dai macchinari aggiuntivi, a parità delle
quantità impiegate degli altri fattori produttivi. In realtà le differenze internazionali nei tassi d’interesse sono
provocate principalmente dalla propensione al risparmio. Il tasso d’interesse in genere tende ad essere più
elevato nei paesi con una bassa propensione al risparmio come gli Stati Uniti e più bassi nei paesi con una
elevata propensione al risparmio come Giappone, Cina, Germania, ecc. I movimenti internazionali di capitali
tendono a ridurre, ma non ad annullare le differenze internazionali nei tassi d’interesse.
64
18. Si supponga che la produzione calabrese di piena occupazione sia pari a 19 miliardi di euro all’anno, e che
la condizione di equilibrio macroeconomico interno della Calabria sia la seguente:
DINTCA = 39 – 10 *36/PLCA (1)
(DINTCA = domanda annua complessiva di merci e servizi da parte di residenti in Calabria in miliardi di euro,
PLCA = prezzo annuo del lavoro calabrese in migliaia di euro, 36 = prezzo annuo del lavoro non calabrese in
migliaia di euro).
A. Illustrare il significato della condizione di equilibrio macroeconomico interno della Calabria:
Si ha equilibrio macroeconomico interno in Calabria se la domanda complessiva di merci e servizi rivolta alle
imprese calabresi è uguale alla produzione calabrese di piena occupazione. Le principali variabili da cui
dipende la domanda complessiva di prodotti rivolta alle imprese calabresi sono la domanda complessiva di
merci e servizi da parte dei residenti in Calabria e la competitività dei prodotti calabresi. A parità di
competitività dei prodotti calabresi, un aumento della domanda complessiva di merci e servizi da parte dei
residenti in Calabria determina un aumento della domanda di merci e servizi rivolta alle imprese calabresi,
soprattutto perché una parte della domanda è costituita da prodotti a mercato locale (costruzioni, servizi
semplici, ecc.). A parità di domanda interna complessiva di merci e servizi da parte di residenti in Calabria, un
aumento della competitività dei prodotti calabresi determina un aumento della domanda di merci e servizi
rivolta alle imprese calabresi, perché aumenta la quota della domanda interna ed estera di beni a mercato
internazionale (abiti, servizi turistici, prodotti agricoli, servizi informatici, ecc.) che si rivolge a produttori
calabresi. A parità di qualità dei prodotti, la competitività dei prodotti calabresi aumenta quando diminuisce il
prezzo del lavoro calabrese in termini di lavoro non calabrese. Per mantenere costante al livello 19 miliardi di
euro all’anno la domanda di merci e servizi rivolta alle imprese calabresi, se aumenta il prezzo del lavoro
calabrese in termini del lavoro non calabrese (diminuzione di competitività dei prodotti calabresi che tende a
ridurne la domanda) deve aumentare la domanda interna di merci e servizi dei residenti in Calabria.
B. Illustrare la determinazione del prezzo del lavoro calabrese di piena occupazione nell’ipotesi che il
valore dei trasferimenti annui dalle regioni del nord dell’Italia su cui può contare la Calabria sia:
i)Zero
Se il valore dei trasferimenti annui su cui può contare la Calabria è zero, la domanda interna di merci e
servizi da parte di residenti in Calabria deve essere uguale alla produzione interna di piena occupazione (19
miliardi di euro all’anno). Sostituendo 19 nella (1) si ottiene:
19 = 39 – 10 *36/PLCA; 10 *36/PLCA = 20; PLCA = 18 (migliaia di euro all’anno)
ii)5 miliardi di euro all’anno
Se il valore dei trasferimenti annui su cui può contare la Calabria è 5 miliardi di euro all’anno, la domanda
interna di merci e servizi da parte di residenti in Calabria deve essere uguale alla produzione interna di piena
occupazione più il valore dei trasferimenti (19 + 5 = 24 miliardi di euro all’anno). Sostituendo 24 nella (1) si
ottiene:
24 39 – 10 *36/PLCA; 10 *36/PLCA = 15; PLCA = 24 (migliaia di euro all’anno).
C. Illustrare la determinazione del valore dei trasferimenti annui dalle regioni del nord dell’Italia che
consentirebbe di avere piena occupazione in Calabria con un prezzo del lavoro calabrese uguale a quello del
lavoro non calabrese
Sostituendo nella (1) PLCA = 36, si ottiene: DINTCA = 39 – 10 *36/36; DINTCA = 29 (miliardi di euro
all’anno) Supponendo che la produzione calabrese di piena occupazione sia pari a 19 (miliardi di euro)
all’anno, una domanda annua complessiva di merci e servizi dei residenti in Calabria pari a 29 miliardi di
euro all’anno implica trasferimenti dalle regioni del Nord dell’Italia pari a 10 miliardi di euro all’anno.
D. Perché il livello dei prezzi è più basso in Polonia che in Italia?
65
I paesi più poveri sono in genere paesi meno efficienti. L’equilibrio competitivo internazionale richiede che nei
paesi meno efficienti il prezzo del lavoro sia più basso in misura tale da compensare la minore produttività
nelle produzioni di beni a mercato internazionale. In genere le differenze internazionali di efficienza (o
produttività) sono più forti nei produzioni a mercato internazionale che in quelle a mercato locale; di
conseguenza nei paesi più poveri il prezzo del lavoro è più basso che nei paesi ricchi in una misura maggiore
di quella necessaria a compensare la differenza di produttività nei prodotti a mercato locale. Per questo
motivo il costo unitario di produzione, e quindi il prezzo, dei beni a mercato locale è più basso nei paesi poveri
che nei paesi ricchi.
19. Commentare la seguente affermazione di James Meade (premio nobel per l’economia nel 1977 insieme a
Bertil Ohlin):
“Se i salari monetari sono flessibili, le variazioni dei tassi di cambio non sono necessarie, se i salari reali
sono rigidi, le variazioni dei tassi di cambio sono inutili”.
Le variazioni dei tassi di cambio possono consentire in breve tempo significative variazioni nei rapporti di
competitività fra i prodotti dei diversi paesi. Per esempio, negli ultimi tre anni il dollaro si è deprezzato di
circa il 20 per cento in media rispetto alle monete dei paesi che commerciano con gli Stati Uniti. A parità di
altre condizioni il deprezzamento del dollaro provoca un aumento della competitività internazionale dei
prodotti americani. Il deprezzamento del dollaro provoca però anche un aumento dei prezzi in dollari dei
prodotti che gli Stati Uniti importano, e quindi una riduzione dei salari reali in America. Se i salari reali negli
Stati Uniti fossero stati rigidi, i salari monetari in America sarebbero aumentati più rapidamente che negli
altri paesi per compensare gli effetti negativi sul potere di acquisto del deprezzamento del dollaro. Il più
rapido aumento dei salari in America avrebbe annullato gli effetti del deprezzamento del dollaro sulla
competitività dei prodotti americani, rendendo inutile il deprezzamento stesso per quel che riguarda la
competitività internazionale dei prodotti. Un fenomeno di questo tipo è stato sperimentato in Italia soprattutto
durante gli anni settanta e ottanta del secolo scorso: la lira si deprezzava ma la competitività dei prodotti
italiani in genere non aumentava perché i lavoratori italiani chiedevano e ottenevano aumenti salariali per
compensare la perdita di potere di acquisto derivante dall’aumento dei prezzi dei prodotti importati. Questo è
il significato dell’affermazione secondo cui “se i salari reali sono rigidi le variazioni dei tassi di cambio sono
inutili”, nel senso che un deprezzamento della moneta non consente di aumentare la competitività.
Se i salari monetari fossero flessibili le variazioni del tasso di cambio non sarebbero necessarie, nel
senso che, con tassi di cambio invariati, un paese può determinare un aumento della competitività dei suoi
prodotti mediante una crescita dei salari monetari meno forte che negli altri paesi. In particolare, anche se
l’Italia non ha più la possibilità di svalutare la sua moneta rispetto a quella degli altri paesi dell’Unione
Monetaria europea, la competitività dei prodotti italiani può aumentare progressivamente se i salari monetari
in Italia aumentano di meno che negli altri paesi dell’Unione monetaria europea, supponendo che la
produttività aumenti allo stesso ritmo. In sintesi, le variazioni dei tassi di cambio possono essere utili per
variare i rapporti di competitività fra i diversi paesi soltanto se i salari monetari sono rigidi ma i salari reali
sono flessibili, vale a dire se i lavoratori sono disponibili ad accettare una riduzione dei salari reali provocata
da un aumento dei prezzi a parità di salari monetari, ma non una riduzione equivalente provocata da una
riduzione dei salari monetari a parità di prezzi dei prodotti.
Discutere l’aggiustamento graduale e la dinamica del conto corrente (con qualche esempio concreto)
(Krugman-Obstfeld-Melitz, 2015).
Le variazioni nei rapporti di competitività fra i diversi paesi hanno effetti sul valore delle esportazioni
e delle importazioni che variano con il passar del tempo. Se i prezzi in dollari dei prodotti americani
rimangono costanti e i prezzi in dollari dei prodotti europei aumentano, la competitività internazionale dei
prodotti americani rispetto a quelli europei aumenta, e di conseguenza sia la domanda degli americani sia
quella degli europei tende a spostarsi dai prodotti europei versi quelli americani. Questi spostamenti di
domanda avvengono tuttavia lentamente per diversi motivi: 1) le informazioni sulla maggiore convenienza dei
prodotti americani richiedono del tempo per diffondersi; 2) molti possono per un certo periodo continuare ad
acquistare prodotti che conoscono bene anche se sono diventati relativamente più cari; 3) lo sviluppo delle
vendite all’estero di prodotti americani può richiedere investimenti in reti di distribuzione commerciale e di
assistenza che richiedono parecchio tempo; ecc.
66
In conseguenza della gradualità con cui la domanda internazionale si sposta verso i prodotti il cui
prezzo relativo è diminuito, è probabile che inizialmente il valore in dollari delle importazioni americane di
prodotti europei aumenti, anche se le quantità importate diminuiscono, ed è possibile che per un certo periodo
l’aumento del valore in dollari delle importazioni americane di prodotti europei sia anche più forte
dell’aumento del valore in dollari delle esportazioni di prodotti americani verso l’Europa.
Un fenomeno del genere sembra essere stato sperimentato dagli Stati Uniti negli ultimi anni. Fra il
2002 e il 2006 il deprezzamento del dollaro ha provocato un forte aumento del prezzo in dollari dei prodotti
non americani in termini di prodotti americani, vale a dire un forte aumento della competitività internazionale
dei prodotti americani; ciononostante, il valore delle importazioni nette di merci e servizi degli Stati Uniti è
aumentato da 434 miliardi di dollari nel 2001 a circa 750 miliardi di dollari nel 2005.
67
20. Con riferimento alla fotocopia allegata,
illustrare com’è possibile stimare:
1 a La direzione e l’entità del flusso netto degli investimenti internazionali dell’Italia negli ultimi 12 mesi
Una stima del flusso netto degli investimenti internazionali dell’Italia negli ultimi 12 mesi può essere ottenuta
utilizzando il saldo delle partite correnti. Negli ultimi dodici mesi l’Italia ha registrato un disavanzo delle
partite correnti per un valore di 21,6 miliardi di dollari, generato principalmente da un eccesso delle
importazioni rispetto alle esportazioni di merci e servizi pagato attraverso un aumento delle passività
patrimoniali nette dell’Italia verso l’estero, vale a dire mediante afflussi netti di capitali dall’estero per un
valore di circa 22 miliardi di dollari.
1b La variazione delle attività patrimoniali nette dell’Italia verso l’estero negli ultimi 12 mesi
Anche la variazione delle attività patrimoniali nette dell’Italia verso l’estero negli ultimi 12 mesi può essere
stimata mediante il saldo delle partite correnti. Un disavanzo corrente di 21,6 miliardi di dollari implica una
uguale diminuzione delle attività patrimoniali nette dell’Italia verso l’estero, se non si tiene conto della
variazione di valore delle attività e passività verso l’estero esistenti all’inizio del periodo.
1c La domanda estera di attività patrimoniali nette degli Stati Uniti negli ultimi 12 mesi
Anche la domanda estera di attività patrimoniali nette degli Stati Uniti negli ultimi 12 mesi può essere stimata
mediante il saldo delle partite correnti. Un disavanzo corrente pari a 540,9 miliardi di dollari ha richiesto di
essere finanziata attraverso una eguale domanda estera di attività patrimoniali nette degli Stati Uniti.
68
21. Si supponga che il tasso di cambio atteso euro dollaro fra un anno sia ee€/$=1,2 e che il tasso di interesse
interno a un anno sia i€=0,04, mentre il tasso di interesse estero a un anno sia i$=0,08. Si ipotizzi inoltre che
valga la parità scoperta dei tassi di interesse.
1. Qual è il tasso di cambio corrente?
Ricordando che la legge della parità scoperta dei tassi di interesse è
$€
$€
$€
$€e
ee
ii
e
esplicitiamo il tasso di cambio:
$€
$€
$€
$€e
ee
ii
e
per cui
1
$€
$€
$€e
e
ii
e
=>
$€
$€
$€1e
e
ii
e
=>
$€
$€
$€
1 ii
e
e
e
Sostituendo i valori numerici si ha che e€/$= 1,2/(1+0,04 – 0,08) = 1,2/0,96 =1,25
2. A termine, la valuta interna subirà un deprezzamento o un apprezzamento? Qual è il tasso di deprezzamento
(apprezzamento) atteso?
Riscriviamo la parità scoperta dei tassi di interesse
$€
$€
$€
$€e
ee
ii
e
0,04 = 0,08 + (1,2 – 1,25)/1,25
quindi 0,04 = 0,08 + (-0,04)
Nel futuro si ha un apprezzamento dell’euro e il tasso di apprezzamento sarà pari al 4%.
3. Qual è il tasso di rendimento atteso dei titoli esteri?
Il tasso di rendimento atteso dei titoli esteri è pari a
04,004,008,0*
$€
$€
$€
e
ee
i
e
69
22. Secondo la Relazione Generale sulla Situazione Economica del Paese (2004, volume III, p. 39), nel 2001
le principali voci del Conto Economico delle Risorse e degli Impieghi della Calabria registrarono i seguenti
valori (in miliardi di euro): Prodotto interno lordo 26,882
Consumi interni privati 19,746
Consumi interni pubblici 8,366
Investimenti interni lordi, pubblici e privati 6,136
Stimare i trasferimenti ricevuti dalla Calabria nel 2001:
1 a) In miliardi di euro:
Importazioni nette = Utilizzazioni interne di merci e servizi - Produzione interna = (19,746 +8,366 + 6,136) -
26,882 = 34,248 – 26,882 = 7,366.
1 b) In percentuale delle utilizzazioni interne complessive di merci e servizi:
7,366/34,248*100 = 21,5%
1 c) In euro per abitante per anno (i residenti in Calabria nel 2001 erano 2.010.000):
7.366.000.000/2.010.000 = 3.665 euro per calabrese per anno.
2) Attraverso quale meccanismo sono generati prevalentemente questi trasferimenti?
La spesa pubblica per abitante in Calabria è sostanzialmente uguale a quella delle regioni del Nord dell’Italia,
mentre le imposte pagate per abitante sono molto più elevate in Lombardia, Emilia Romagna, Veneto, ecc., che
in Calabria. Di conseguenza una parte rilevante del costo dei servizi pubblici utilizzati dai calabresi è
finanziato con imposte pagate dai residenti nelle regioni del Nord dell’Italia.
3) Considerando la Calabria come un’economia aperta, illustrare le principali variabili da cui dipende la
domanda di lavoro calabrese.
Le principali variabili economiche che influenzano la domanda di beni prodotti in Calabria sono la domanda
interna calabrese di merci e servizi (vale a dire la domanda di merci e servizi che proviene da persone che
vivono in Calabria), e la competitività dei beni prodotti in Calabria. La competitività dei beni prodotti in
Calabria influenza la ripartizione sia della domanda interna calabrese sia della domanda dei non calabresi fra
prodotti calabresi e non calabresi. All’aumentare della competitività dei prodotti calabresi aumenta la quota
della domanda calabrese e non calabrese che si rivolge a imprese che producono in Calabria.
La competitività dei prodotti calabresi dipende sia dalla loro qualità sia dal loro prezzo; in equilibrio
concorrenziale il prezzo è uguale al costo di produzione, il costo di produzione dipende dalla produttività e dai
prezzi dei fattori produttivi, il principale fattore produttivo per gran parte dei beni è il lavoro. La competitività
dei prodotti calabresi è quindi influenzata in misura significativa dal rapporto fra prezzo del lavoro in
Calabria e prezzo del lavoro fuori della Calabria. Supponendo dato, per esempio al livello di 50.000 euro, il
prezzo di un anno di lavoro non calabrese, la competitività dei prodotti calabresi è tanto più elevata quanto più
è basso il prezzo del lavoro in Calabria.
Per un dato livello di competitività dei prodotti calabresi, la loro domanda è tanto più elevata, quanto più è
alta la domanda interna in Calabria (= domanda di beni, calabresi e non calabresi, che proviene da persone
che vivono in Calabria). Per i beni difficilmente trasferibili nello spazio o a mercato locale (costruzioni, servizi
dei meccanici, dei parrucchieri, dei commercianti, ecc,), la domanda dei calabresi è rivolta a imprese che
producono in Calabria, indipendentemente dalla loro competitività; per i beni trasferibili nello spazio, per un
dato livello di competitività rimane probabilmente sostanzialmente stabile la ripartizione della domanda
calabrese fra produttori calabresi e non calabresi; all’aumentare della domanda dei calabresi tende quindi ad
aumentare, a parità di competitività, la domanda di prodotti calabresi, sia per i beni a mercato locale sia per i
prodotti facilmente trasferibili nello spazio.
70
4) Supponendo, per semplicità, che il lavoro sia l’unico fattore produttivo, che un milione di persone possano e
vogliano lavorare in Calabria, e che ognuna abbia la capacità di produrre merci e servizi per un valore di 40.000
euro all’anno, determinare il valore della produzione potenziale annua di piena occupazione in Calabria.
Ipotizzando un tasso di disoccupazione “naturale” o fisiologico dell’ordine del 5 per cento, il valore della
produzione potenziale calabrese sarebbe dell’ordine di 38 miliardi di euro all’anno (1.000.000 * 0,95 *
40.000)
5) Indicando con DINTCA la domanda interna calabrese, con 50 il prezzo del lavoro non calabrese in migliaia
di euro, con Plca il prezzo del lavoro calabrese in migliaia di euro, si supponga che la condizione di equilibrio
macroeconomico interno della Calabria sia la seguente:
DINTCA = 93,75 – 37,5(50/Plca)
5.1) Illustrare il significato economico di questa condizione
La condizione di equilibrio macroeconomico interno richiedere una domanda di prodotti rivolta alle imprese
calabresi dell’ordine di 38 miliardi di euro. Questo livello di domanda aggregata per le imprese calabresi
potrebbe essere assicurata da diverse combinazioni dei valori della competitività dei prodotti calabresi e della
domanda interna calabrese.
Come indicatore della competitività delle produzioni calabresi possiamo utilizzare il rapporto fra prezzo del
lavoro non calabrese (per ipotesi 50.000 euro all’anno) e prezzo del lavoro calabrese (50.000/Plca). Anche per
valori molto bassi di questo rapporto, vale a dire in corrispondenza di un livello molto elevato del prezzo del
lavoro in Calabria, sarebbe possibile avere un livello di domanda rivolta alle imprese calabresi pari a 38.000
euro all’anno, così da rendere possibile l’impiego di 950.000 persone in Calabria. Anche se la competitività
delle produzioni calabresi fosse così bassa da non rendere conveniente l’acquisto da imprese calabresi di
alcun prodotto trasferibile nello spazio, una domanda interna calabrese sufficientemente elevata potrebbe
generare una domanda di beni a mercato locale rivolta alle imprese calabresi sufficiente a rendere possibile
l’impiego in produzioni a mercato locale di 950.000 lavoratori calabresi. Supponiamo che questo caso limite si
verifichi in corrispondenza di un prezzo del lavoro in Calabria pari 55.500 euro all’anno, e ad un valore della
domanda interna calabrese pari a 60 miliardi di euro all’anno.
All’estremo opposto, una domanda pari a 38 miliardi di euro all’anno per le imprese calabresi potrebbe essere
generata da una marcata competitività delle produzioni calabresi, per esempio in corrispondenza di un prezzo
del lavoro in Calabria dell’ordine di 20.000 euro all’anno, anche in corrispondenza di un livello addirittura
nullo della domanda interna calabrese.
Se supponiamo una relazione lineare fra i due estremi ipotizzati, la condizione di equilibrio macroeconomico
interno della Calabria sarà quella indicata. Essa mette in evidenza in che modo diverse combinazioni della
domanda interna calabrese di prodotti e del prezzo del lavoro calabrese possono mantenere costante al livello
di 38 miliardi di euro la domanda di prodotti rivolta alle imprese calabresi.
5.2) Determinare il prezzo del lavoro di piena occupazione in Calabria, nell’ipotesi che la Calabria non
possa contare su trasferimenti esterni.
Se la Calabria non potesse ottenere trasferimenti dalle regioni del Nord dell’Italia, la domanda interna
calabrese potrebbe esse uguale, al massimo, alla produzione calabrese di piena occupazione (38 miliardi di
euro). Sostituendo questo valore nella condizione di macroeconomico interno della Calabria si ottiene:
38 = 93,75 – 37,5(50/Plca); Plca = (37,5*50)/(93,75 – 38) = 1875/55,75 = 33,632
5.3) Determinare il prezzo del lavoro di piena occupazione in Calabria, nell’ipotesi che la Calabria possa
contare su trasferimenti esterni per un valore di 7 miliardi di euro all’anno.
Se la Calabria può contare su trasferimenti dalle regioni del Nord dell’Italia dell’ordine di 7 miliardi di euro
all’anno, in piena occupazione la domanda di prodotti dei calabresi potrebbe essere pari a 37 + 7 = 45
miliardi di euro all’anno. In questo caso la condizione di equilibrio macroeconomico interno della Calabria
diventa:
45 = 93,75 – 37,5(50/Plca); Plca = (37,5*50)/(93,75 – 45) = 1875/48,75 = 38,462
71
5.4) Commentare.
Il risultato ottenuto conferma l’intuizione ortodossa di Mill e Keynes, secondo cui un trasferimento di potere di
acquisto migliora la ragione di scambio del paese (o della regione) che lo riceve. I trasferimenti dalle regioni
del Nord dell’Italia consentono ai Calabresi di acquistare merci e servizi per un valore superiore alla
produzione interna. Questo aumento della domanda interna calabrese in parte si rivolge a imprese calabresi, e
consente perciò di ottenere un certo livello di domanda di prodotti rivolta alle imprese calabresi, e quindi un
certo livello di occupazione in Calabria, in corrispondenza di una minore competitività dei prodotti calabresi,
vale a dire in corrispondenza di un più elevato valore del prezzo del lavoro calabrese.
72
23. A. Scrivere l'equazione che rappresenta la parità scoperta dei tassi di interesse e spiegarne il significato.
Equazione della parità scoperta dei tassi di interesse: i = i* - [(eet+1 – et) / et]
Dove indichiamo con:
i, tasso di interesse nazionale
i*, tasso di interesse estero
ee, tasso di cambio nominale atteso
e, tasso di cambio nominale.
Essa indica che la scelta tra titoli nazionali ed esteri non dipende solo dal confronto fra i tassi di interesse, ma
anche da cosa ci si aspetta accadrà al tasso di cambio nominale il prossimo anno.
La parità dei tassi di interesse è una condizione di arbitraggio sui tassi di rendimenti attesi in valuta nazionale
dei titoli nazionali ed esteri. La parità dei tassi di interesse dice che il tasso di interesse interno è
approssimativamente uguale al tasso di interesse estero meno il tasso di apprezzamento atteso della moneta
nazionale.
B. Considerando la Calabria come un’economia aperta, illustrare le principali variabili da cui dipende la
domanda di lavoro calabrese.
Le principali variabili economiche che influenzano la domanda di beni prodotti in Calabria, e quindi di
lavoro calabrese, sono la domanda interna calabrese di merci e servizi (vale a dire la domanda di merci e
servizi che proviene da residenti in Calabria), e la competitività dei beni prodotti in Calabria. La competitività
dei beni prodotti in Calabria influenza la ripartizione sia della domanda interna calabrese sia della domanda
dei non calabresi fra prodotti calabresi e non calabresi. All’aumentare della competitività dei prodotti
calabresi aumenta la quota della domanda calabrese e non calabrese che si rivolge a imprese che producono
in Calabria.
La competitività dei prodotti calabresi dipende sia dalla loro qualità sia dal loro prezzo; in equilibrio
concorrenziale il prezzo è uguale al costo di produzione, il costo di produzione dipende dalla produttività e dai
prezzi dei fattori produttivi, il principale fattore produttivo per gran parte dei beni è il lavoro. La competitività
dei prodotti calabresi è quindi influenzata in misura significativa dal rapporto fra prezzo del lavoro non
calabrese e prezzo del lavoro calabrese.
Per un dato livello di competitività dei prodotti calabresi, la loro domanda è tanto più elevata, quanto più è
alta la domanda dei residenti in Calabria). Per i beni difficilmente trasferibili nello spazio o a mercato locale
(costruzioni, servizi dei meccanici, dei parrucchieri, dei commercianti, ecc,), la domanda dei calabresi è
rivolta a imprese che producono in Calabria, indipendentemente dalla loro competitività; per i beni trasferibili
nello spazio, per un dato livello di competitività rimane probabilmente sostanzialmente stabile la ripartizione
della domanda calabrese fra produttori calabresi e non calabresi; all’aumentare della domanda dei calabresi
tende quindi ad aumentare, a parità di competitività, la domanda di prodotti calabresi, e quindi di lavoro
calabrese, sia per i beni a mercato locale sia per i prodotti facilmente trasferibili nello spazio.
C. Supponendo, per semplicità, che il lavoro sia l’unico fattore produttivo, che 1,1 milioni di persone possano e
vogliano lavorare in Calabria, e che ognuna abbia la capacità di produrre merci e servizi per un valore di 38.250
euro all’anno, determinare il valore della produzione potenziale annua di piena occupazione in Calabria.
Ipotizzando un tasso di disoccupazione “naturale” o fisiologico dell’ordine del 5 per cento, il valore della
produzione potenziale calabrese sarebbe dell’ordine di circa 40 miliardi di euro all’anno (1.1 00.000 * 0,95 *
38.250)
Indicando con DINTCA la domanda interna calabrese, con COMPCA un indice di competitività dei prodotti
calabresi pari al rapporto fra prezzo del lavoro non calabrese e prezzo del lavoro calabrese, si supponga che la
condizione di equilibrio macroeconomico interno della Calabria sia rappresentata nel tratto rilevante da un
segmento lineare, passante per i seguenti punti:
73
- se COMPCA = 0,5 (competitività dei prodotti calabresi molto bassa), una domanda di circa 40 miliardi di
euro all’anno per le imprese calabresi possa essere assicurata con una domanda interna in Calabria pari a 100
miliardi di euro all’anno;
- se DINTCA = zero, una domanda di circa 40 miliardi di euro all’anno per le imprese calabresi possa essere
assicurata da una forte competitività dei prodotti calabresi, consentita, per esempio da un prezzo del lavoro
calabrese pari al 40 per cento di quello non calabrese (COMPCA = 100/40 = 2,5).
a) ricavare la formulazione generale della condizione di equilibrio interno della Calabria, in termini di
competitività e domanda interna:
COMPCA = 2,5 – (2,5 – 0,5)/(100 – 0)DINTCA; COMPCA = 2,5 – 0,02 DINTCA
Si può verificare facilmente che se COMPCA = 0,5, DINTCA = (2,5 – 0,5)/0,02 = 100; se DINTCA = 0,
COMPCA = 2,5
b) Illustrare il significato economico di questa condizione
La condizione di equilibrio macroeconomico interno richiedere una domanda di prodotti rivolta alle
imprese calabresi dell’ordine di 40 miliardi di euro all’anno. Questo livello di domanda aggregata per le
imprese calabresi potrebbe essere assicurata da diverse combinazioni dei valori della competitività dei
prodotti calabresi e della domanda interna calabrese.
Come indicatore della competitività delle produzioni calabresi possiamo utilizzare il rapporto fra prezzo
del lavoro non calabrese e prezzo del lavoro calabrese. Anche per valori molto bassi di questo rapporto, vale
a dire in corrispondenza di un livello molto elevato del prezzo del lavoro calabrese rispetto al prezzo del
lavoro non calabrese potrebbe essere possibile avere un livello di domanda rivolta alle imprese calabresi pari
a circa 40.000 euro all’anno. Anche se la competitività delle produzioni calabresi fosse così bassa da non
rendere conveniente l’acquisto da imprese calabresi di alcun prodotto trasferibile nello spazio, una domanda
interna calabrese sufficientemente elevata potrebbe generare una domanda di beni a mercato locale rivolta
alle imprese calabresi sufficiente a rendere possibile l’impiego in produzioni a mercato locale di 1.045.000
(1.100.000 * 0,95) lavoratori calabresi. Nell’esempio supponiamo che questo caso limite si verifichi in
corrispondenza di un prezzo del lavoro Calabrese pari al doppio del lavoro non calabrese e a un valore della
domanda interna calabrese pari a 100 miliardi di euro all’anno.
All’estremo opposto, una domanda pari a 40 miliardi di euro all’anno per le imprese calabresi potrebbe
essere generata da una forte competitività delle produzioni calabresi, per esempio in corrispondenza di un
prezzo del lavoro Calabrese pari al 40 per cento di quello del lavoro non calabrese, anche in corrispondenza
di un livello addirittura nullo della domanda interna calabrese.
Se supponiamo una relazione lineare fra i due estremi ipotizzati, la condizione di equilibrio
macroeconomico interno della Calabria sarà quella indicata. Essa mette in evidenza in che modo diverse
combinazioni della domanda interna calabrese di prodotti e del rapporto fra prezzo del lavoro non calabrese e
prezzo del lavoro calabrese possono mantenere costante al livello di 40 miliardi di euro la domanda di prodotti
rivolta alle imprese calabresi.
c) Determinare il valore di piena occupazione dell’indice di competitività della Calabria, nell’ipotesi che la
Calabria non possa contare su trasferimenti esterni.
Se la Calabria non potesse ottenere trasferimenti dalle regioni del Nord dell’Italia, la domanda interna
calabrese dovrebbe esse uguale alla produzione calabrese di piena occupazione (40 miliardi di euro).
Sostituendo questo valore nella condizione di macroeconomico interno della Calabria si ottiene:
COMPCA = 2,5 – 0,02 *40; COMPCA = 2,5 – 0,8 = 1,7 (prezzo del lavoro non calabrese del 70 per cento più
alto di quello del lavoro calabrese)
d) Determinare il valore di piena occupazione dell’indice di competitività della Calabria, nell’ipotesi che la
Calabria possa contare su trasferimenti esterni per un valore di 8 miliardi di euro all’anno.
Se la Calabria può contare su trasferimenti dalle regioni del Nord dell’Italia dell’ordine di 8 miliardi di euro
all’anno, in piena occupazione la domanda di prodotti dei calabresi potrebbe essere pari a 40 + 8 = 48
miliardi di euro all’anno. In questo caso la condizione di equilibrio macroeconomico interno della Calabria
74
diventa: COMPCA = 2,5 – 0,02 *48; COMPCA = 2,5 – 0,96 = 1,54 (prezzo del lavoro non calabrese del 54
per cento più alto di quello del lavoro calabrese)
e) Commentare.
Il risultato ottenuto fornisce una illustrazione dell’intuizione ortodossa di Mill e Keynes, secondo cui un
trasferimento di potere di acquisto migliora la ragione di scambio del paese (o della regione) che lo riceve. I
trasferimenti dalle regioni del Nord dell’Italia consentono ai calabresi di acquistare merci e servizi per un
valore superiore alla produzione interna. Questo aumento della domanda interna calabrese in parte si rivolge
a imprese calabresi, e consente perciò di ottenere un certo livello di domanda di prodotti rivolta alle imprese
calabresi, e quindi un certo livello di occupazione in Calabria, in corrispondenza di una minore competitività
dei prodotti calabresi, vale a dire in corrispondenza di un più elevato valore del prezzo del lavoro calabrese
rispetto a quello non calabrese.
24. I. Assumendo la validità della parità dei tassi di interesse se i = 6%, i* = 6%, e ee = 0,9
A) Qual è il tasso di cambio corrente?
La parità dei tassi si interesse indica che il tasso di interesse nazionale deve essere uguale al tasso di
interesse estero più il tasso atteso di deprezzamento della moneta nazionale.
Se i aumenta => i titoli nazionali del paese (L) più convenienti => investitori finanziari vorranno
scambiare titoli esteri per titoli nazionali => per acquistarli devono ottenere moneta del paese (L)
=> causano aumento della domanda di moneta => riduzione di e (apprezzamento della moneta) =>
aumento di i provoca riduzione di e.
9,006,006,01
9,0
*1
ii
ee
e
B) Qual è il tasso di deprezzamento/apprezzamento atteso?
Nessuno (ee = 0)
C) Qual è il tasso di rendimento atteso sui titoli esteri?
6%
D) Se il tasso di interesse nazionale è uguale al tasso di interesse estero, dire come i mercati finanziari si
aspettano che varierà il tasso di cambio nel corso del prossimo anno?
Se i = i* i mercati si aspettano che il cambio non varierà. Se i = i* il tasso di deprezzamento atteso deve essere
nullo in modo che valga la parità dei tassi di interesse.
II. Se il tasso di cambio Euro/Dollaro atteso tra un anno è pari a 0,80 ( 80 centesimi comprano un Dollaro).
Nelle ipotesi che il tasso di interesse a un anno nella EU sia 5% ( i = 0,05) e il tasso statunitense ad un anno sia
7% ( i* = 0,07) e che valga la parità dei tassi di interesse.
A) Calcolare il tasso di cambio corrente:
Sapendo che la parità dei tassi di interesse implica che
$€
$€
$€
$€e
ee
ii
e
75
Allora si avrà
816,098,0
8,0
07,005,01
8,0$/€
e
B) Calcolare il tasso di cambio corrente se i* a 8%:
792,001,1
8,0
07,008,01
8,0$/€
e
C) Calcolare il tasso di cambio corrente se i* a 6%:
808,001,1
8,0
07,006,01
8,0$/€
e
E) Come varia e all’aumentare di i? L’Euro si apprezza o deprezza all’aumentare di i?
Al crescere di i, e€/$ diminuisce e l’Euro si apprezza.
F) Come varia il valore del Dollaro al crescere di i?
Il minore e€/$ riflette un apprezzamento dell’Euro; il valore dell’Euro aumenta mentre quello del
Dollaro diminuisce all’aumentare di i.
25. A.
1) Considerando il Mezzogiorno come un’economia aperta, illustrare le principali variabili da cui dipende la
domanda di lavoro del Mezzogiorno.
Le principali variabili economiche che influenzano la domanda di beni prodotti nel Mezzogiorno, e quindi
di lavoro meridionale, sono la domanda interna meridionale di merci e servizi (vale a dire la domanda di
merci e servizi di residenti nel Mezzogiorno), e la competitività dei beni prodotti nel Mezzogiorno. La
competitività dei beni prodotti nel Mezzogiorno influenza la ripartizione sia della domanda interna
meridionale sia della domanda dei non meridionali fra prodotti meridionali e non meridionali. All’aumentare
della competitività dei prodotti meridionali aumenta la quota della domanda meridionale e non meridionale
che si rivolge a imprese che producono nel Mezzogiorno.
La competitività dei prodotti meridionali dipende sia dalla loro qualità sia dal loro prezzo; in equilibrio
concorrenziale il prezzo è uguale al costo di produzione, il costo di produzione dipende dalla produttività e dai
prezzi dei fattori produttivi, il principale fattore produttivo per gran parte dei beni è il lavoro. La competitività
dei prodotti meridionali è quindi influenzata in misura significativa dal rapporto fra prezzo del lavoro non
meridionale e prezzo del lavoro meridionale. Per un dato livello di competitività dei prodotti meridionali, la
loro domanda è tanto più elevata, quanto più è alta la domanda di residenti nel Mezzogiorno). Per i beni
difficilmente trasferibili nello spazio o a mercato locale (costruzioni, servizi dei meccanici, dei parrucchieri,
dei commercianti, ecc,), la domanda dei meridionali è rivolta a imprese che producono nel Mezzogiorno,
indipendentemente dalla loro competitività; per i beni trasferibili nello spazio, per un dato livello di
competitività rimane probabilmente sostanzialmente stabile la ripartizione della domanda meridionale fra
produttori meridionali e non meridionali; all’aumentare della domanda dei meridionali tende quindi ad
aumentare, a parità di competitività, la domanda di prodotti meridionali, sia per i beni a mercato locale sia
per i prodotti facilmente trasferibili nello spazio.
2) Supponendo, per semplicità, che il lavoro sia l’unico fattore produttivo, che 10 milioni di persone possano e
vogliano lavorare nel Mezzogiorno, e che ognuna abbia la capacità di produrre merci e servizi per un valore di
40.000 euro all’anno, determinare il valore della produzione potenziale annua di piena occupazione nel
Mezzogiorno.
76
Ipotizzando un tasso di disoccupazione “naturale” o fisiologico dell’ordine del 5 per cento, il valore della
produzione potenziale meridionale sarebbe dell’ordine di circa 380 miliardi di euro all’anno (10.0 00.000 *
0,95 * 40.000)
3) Indicando con DINTME la domanda interna meridionale, con COMPME un indice di competitività dei
prodotti meridionali pari al rapporto fra prezzo del lavoro non meridionale e prezzo del lavoro meridionale, si
supponga che la condizione di equilibrio macroeconomico interno del Mezzogiorno sia rappresentata nel tratto
rilevante da un segmento lineare, passante per i seguenti punti:
- se COMPME = 0,5 (competitività dei prodotti meridionali molto bassa), una domanda di circa 380 miliardi di
euro all’anno per le imprese meridionali possa essere assicurata con una domanda interna nel Mezzogiorno pari
a 1.200 miliardi di euro all’anno;
- se DINTME = zero, una domanda di circa 380 miliardi di euro all’anno per le imprese meridionali possa
essere assicurata da una forte competitività dei prodotti meridionali, consentita, per esempio da un prezzo del
lavoro meridionale pari al 50 per cento di quello non meridionale (COMPME = 100/50 = 2).
3a) ricavare la formulazione generale della condizione di equilibrio interno del Mezzogiorno, in termini di
competitività e domanda interna:
COMPME = 2 – (2,0 – 0,5)/(1.200 – 0)DINTME; COMPME = 2 – 0,00125 DINTME
Si può verificare facilmente che se COMPME = 0,5, DINTME = (2,0 – 0,5)/0,00125 = 1.200; se DINTME = 0,
COMPME = 2
3b) Illustrare il significato economico di questa condizione
La condizione di equilibrio macroeconomico interno richiede una domanda di prodotti rivolta alle imprese
meridionali dell’ordine di 380 miliardi di euro all’anno. Questo livello di domanda aggregata per le imprese
meridionali potrebbe essere assicurata da diverse combinazioni dei valori della competitività dei prodotti
meridionali e della domanda interna meridionale.
Come indicatore della competitività delle produzioni meridionali possiamo utilizzare il rapporto fra prezzo
del lavoro non meridionale e prezzo del lavoro meridionale. Anche per valori molto bassi di questo rapporto,
vale a dire in corrispondenza di un livello molto elevato del prezzo del lavoro meridionale rispetto al prezzo
del lavoro non meridionale, potrebbe essere possibile avere un livello di domanda rivolta alle imprese
meridionali pari a circa 380.000 euro all’anno. Anche se la competitività delle produzioni meridionali fosse
così bassa da non rendere conveniente l’acquisto da imprese meridionali di alcun prodotto trasferibile nello
spazio, una domanda interna meridionale sufficientemente elevata potrebbe generare una domanda di beni a
mercato locale rivolta alle imprese meridionali sufficiente a rendere possibile l’impiego in produzioni a
mercato locale di 9.500.000 (10.000.000*0,95) lavoratori meridionali. Nell’esempio supponiamo che questo
caso limite si verifichi in corrispondenza di un prezzo del lavoro meridionale pari al doppio del lavoro non
meridionale e a un valore della domanda interna meridionale pari a 1.200 miliardi di euro all’anno.
All’estremo opposto, una domanda pari a 380 miliardi di euro all’anno per le imprese meridionali potrebbe
essere generata da una forte competitività delle produzioni meridionali, per esempio in corrispondenza di un
prezzo del lavoro meridionale pari alla metà di quello del lavoro non meridionale, anche in corrispondenza di
un livello addirittura nullo della domanda interna meridionale.
Se supponiamo una relazione lineare fra i due estremi ipotizzati, la condizione di equilibrio
macroeconomico interno del Mezzogiorno sarà quella indicata. Essa mette in evidenza in che modo diverse
combinazioni della domanda interna meridionale di prodotti e del rapporto fra prezzo del lavoro non
meridionale e prezzo del lavoro meridionale possono mantenere costante al livello di 380 miliardi di euro la
domanda di prodotti rivolta alle imprese meridionali.
3c) Determinare il valore di piena occupazione dell’indice di competitività del Mezzogiorno, nell’ipotesi che il
Mezzogiorno non possa contare su trasferimenti esterni.
Se il Mezzogiorno non potesse ottenere trasferimenti dalle regioni del Nord dell’Italia, la domanda interna
meridionale dovrebbe esse uguale alla produzione meridionale di piena occupazione (380 miliardi di euro).
Sostituendo questo valore nella condizione di macroeconomico interno del Mezzogiorno si ottiene:
COMPME = 2 – 0,00125 *380; COMPME = 2 – 0,476 = 1,525 (prezzo del lavoro non meridionale del
52,5 per cento più alto di quello del lavoro meridionale)
77
3d) Determinare il valore di piena occupazione dell’indice di competitività del Mezzogiorno, nell’ipotesi che il
Mezzogiorno possa contare su trasferimenti esterni per un valore di 54 miliardi di euro all’anno (come nel
2004).
Se il Mezzogiorno può contare su trasferimenti dalle regioni del Nord dell’Italia dell’ordine di 54 miliardi
di euro all’anno, in piena occupazione la domanda di prodotti dei meridionali potrebbe essere pari a 380 + 54
= 434 miliardi di euro all’anno. In questo caso la condizione di equilibrio macroeconomico interno del
Mezzogiorno diventa: COMPME = 2 – 0,00125 *434; COMPME = 2 – 0,545 = 1,4575 (prezzo del lavoro non
meridionale del 45,75 per cento più alto di quello del lavoro meridionale)
3e) Commentare.
Il risultato ottenuto illustra l’intuizione ortodossa di Mill e Keynes, secondo cui un trasferimento di potere di
acquisto migliora la ragione di scambio del paese (o della regione) che lo riceve. I trasferimenti dalle regioni
del Nord dell’Italia consentono ai meridionali di acquistare merci e servizi per un valore superiore alla
produzione interna. Questo aumento della domanda interna meridionale in parte si rivolge a imprese
meridionali, e consente perciò di ottenere un certo livello di domanda di prodotti rivolta alle imprese
meridionali, e quindi un certo livello di occupazione in Mezzogiorno, in corrispondenza di una minore
competitività dei prodotti meridionali, vale a dire in corrispondenza di un più elevato valore del prezzo del
lavoro meridionale rispetto a quello non meridionale.
B. I movimenti internazionali di capitali: principali aspetti empirici e teorici.
Come indicatore dei flussi internazionali di capitali può essere utilizzato il saldo delle partite correnti della
bilancia dei pagamenti. Nell’ultimo anno i principali esportatori di capitali sembrano essere stati Giappone,
Germania, Cina, Russia e Svizzera. Questi capitali si sono diretti principalmente verso Stati Uniti, Spagna,
Gran Bretagna e Australia. Paradossalmente, fra i principali paesi esportatori di capitali troviamo Cina e
Russia, che hanno un reddito per abitante fra i più bassi del mondo, mentre gli Stati uniti sono il principale
paese importatore di capitali, pur avendo il reddito per abitante fra i più alti del mondo.
In genere i capitali si spostano dai paesi in cui il tasso d’interesse è più basso verso quelli in cui il tasso
d’interesse è più alto. Per effetto dei movimenti internazionali di capitali le differenze internazionali nei tassi
d’interesse diminuiscono. La principale causa delle differenze internazionali nei tassi d’interesse, e quindi dei
movimenti internazionali di capitali, sembra essere rappresentata da differenze nella propensione media al
risparmio.
I movimenti internazionali di capitali consentono di utilizzare i risparmi nei paesi che sono disposti a pagare
per il loro uso tassi d’interesse più elevati, massimizzando quindi il rendimento ottenibile dai risparmiatori.
Secondo Mill e Keynes i flussi internazionali di capitali comportano un miglioramento delle ragioni di scambio
dei paesi importatori di capitali e un peggioramento di quelle dei paesi che li esportano.
78
26. Il 9 maggio 2012 un dollaro degli Stati Uniti d’America ($), si scambiava con 6,89 corone svedesi (Skr) e
con 79,5 yen del Giappone (¥), il 9 maggio 2011 un dollaro degli Stati Uniti d’America ($), si scambiava con
6,30 Skr e con 80,7 ¥
a) determinare il prezzo in yen di una corona svedese nel 2011 e nel 2012.
Poiché nel 2011 si ha
1 $ = 6,30 Skr
1 $ = 80,7 ¥
allora
80,7 ¥ = 6,30 Skr,
da cui:
1 Skr= 12,81 ¥
nel 2012
1 $ = 6,89 Skr
1 $ = 79,5 ¥
79,5 ¥ = 6,89 Skr => 1 Skr= 11,5¥
b) Indicare se fra il 2011 e 2012 lo yen si è apprezzato o deprezzato e l’entità percentuale dell’apprezzamento o
deprezzamento.
Lo yen nel 2012 si è apprezzato poiché per acquistare una corona svedese bisognerà cedere meno yen.
In valori percentuali
%91,910081,12
81,1254,11
Lo yen nel 2012 si è apprezzato del 9,91%, mentre la corona svedese si è deprezzata dello stesso valore
percentuale.
c) Sapendo che il tasso annuo di interesse sui titoli di stato il 9 maggio 2012 era pari a 0,86% in Giappone e
2,66% in Svezia determinare il tasso di cambio futuro atteso della corona in termini di yen:
Il tasso di cambio futuro atteso si determina utilizzando in questo caso la parità dei tassi di intersse (o
condizione di equilibrio degli investitori internazionali)
skryen
skryen
e
skryen
skryene
ee
ii
54,11
54,11
0266,00086,0
e
skryen
e
=> ee¥/sk=11,33 1skr=11,33¥
d) Date le seguenti curve di domanda e offerta giornaliera di skr in milioni:
Dskr = 34 − e¥ / skr,
Sskr= −1 + 2,5 e¥ / skr.
79
Si determinino i livelli di equilibrio del tasso di cambio di dollari in termini di yen (prezzo in yen di un dollaro)
rappresentando anche graficamente le curve.
34− e¥ / skr, = −1 + 2,5 e¥ / skr => e¥ / skr= 10 Dskr =Sskr=24 milioni di skr al giorno
c) calcolare il deficit o l’avanzo commerciale del Giappone al tasso di cambio 12,81 di maggio 2011
Il Giappone registra un avanzo commerciale pari a 9,835 milioni di corone, dato dall’eccesso di offerta di
valuta estera rispetto alla domanda
Dskr = 34− 12,81 = 21,19
Sskr= −1 + 2,5*12,81 = 31,025
d) di quanto si deve apprezzare o deprezzare lo yen per correggere lo squilibrio di parte corrente?
Lo yen dovrà apprezzarsi del 21,94% (derivante da ((10-12,81)/12,81)*100) per correggere completamente
l’avanzo commerciale.
Milioni di $ /gg
¥/skr
34
12,81
10
34
Giappone
-1 24
Dskr
Sskr
80
Economia Internazionale Progredito, 7 gennaio 2015
Illustrare, in modo leggibile, i passaggi e le motivazioni delle risposte.
I. Sulla base dei dati economici finanziari pubblicati da The Economist, il 30/6/2012
1) Identificare i primi quattro Paesi che presentano flussi internazionali di capitale in entrata e in
uscita:
Per valutare i flussi internazionali di capitale si considera il saldo di conto corrente. Dalla tabella si
evince che i primi quattro paesi debitori sono gli USA (-483.2 bilioni di $), la Turchia (-69.2 bilioni di $),
la Francia (-61.2 bilioni di $) e l’Italia (-53.1 bilioni di $). Questi paesi prendono a prestito per finanziare
l’eccesso di importazioni di merci e servizi e l’eccesso di redditi in uscita, per cui sono tendenzialmente
importatori netti di capitali. I paesi che presentano il maggior miglioramento nella posizione
patrimoniale sono la Germania (+206.3 bilioni di $), la Cina (196.4 bilioni di $), la Russia (110.3 bilioni
di $) e il Giappone (98.4 bilioni di $). Si tratta di Paesi generalmente creditori e quindi con capitali in
uscita.
2) Calcolare il prezzo in corone svedesi (KS) di un euro il 27/6/2012 e il 27/6/2011; indicare quale
valuta ha subito un deprezzamento e calcolarne l’entità in percentuale:
Il 27/6/2012 un euro vale 8,8375 corone svedesi. Il valore si ottiene calcolando il tasso di cambio
incrociato:
1$=7,07 KS
1$=0,80 €
0,80 €=7,07 KS
1 €=8,8375 KS
Il 27/6/2011 un euro vale 9,2 corone svedesi.
81
1$=6,44 KS
1$=0,70 €
0,70 €=6,44 KS
1 €=9,2 KS
Nel 2012 la corona svedese si è apprezzata dal momento che 1 euro viene acquistato cedendo meno
corone, al contrario l’euro registra un deprezzamento. L’entità dell’apprezzamento della corona (e
deprezzamento dell’euro è pari a
[(8,8375-9,9)/9,9]*100=3,94%
Ipotizzando curve di domanda e offerta di euro espresse da
D€ = 24-1,50 p ks/€ S€ = 20-1p ks/€
3) Rappresentare le due curve e determinare l’equilibrio nel mercato valutario (il flusso monetario è
espresso in milioni di €/gg):
L’equilibrio si determina mettendo a sistema la domanda e offerta di euro:
24-1,50 p ks/€ = 20-1p ks/€
p ks/€ = 8 => D€=S€=12
4) Calcolare il saldo delle partite correnti della Svezia al tasso di cambio del 27/6/2012 e determinare
di quanto dovrebbe apprezzarsi o deprezzarsi il tasso di cambio per eliminare l’avanzo o il
disavanzo:
La Svezia registra un surplus di conto corrente dato da:
D€ = 24-1,50 *(8,8375)=10,74375
S€ = 20-1*(8,8375)=11,1625
11,1625-10,74375=0,4187
Per eliminare l’avanzo la corona si dovrebbe apprezzare di:
[(8-8,8375)/8,8375]*100=9,476%
€/gg 12 20
24
16
D€
20
8,84
8
S€
KS/€
82
5) Sulla base delle precedenti curve di domanda e offerta specificare se il mercato dei cambi è stabile o
instabile e perché:
Dall’analisi del mercato valutario si evidenzia che esso è stabile, poiché eccessi di offerta di euro
vengono corretti automaticamente dalla riduzione del prezzo dell’euro e conseguente aumento del
prezzo della corona. Ciò è dovuto al fatto che la curva di offerta anche se inclinata negativamente
risulta più piatta rispetto alla curva di domanda.
Utilizzando la condizione di Marshall-Lerner secondo cui se la somma delle elasticità delle
importazioni ed esportazioni rispetto al prezzo risulta essere maggiore di 1 il mercato valutario è
stabile, e se si interpretano la domanda e offerta di euro come la funzione di importazione ed
esportazione della Svezia allora il mercato si conferma essere stabile (| 1,50+1|> 1).
Se in Svezia e nell’Area Euro un caffè Star Bucks identici venissero venduti a 50 corone e a 4 €
rispettivamente,
6) Calcolare il prezzo in dollari dei caffè il 27/6/2012 nei due paesi e commentare i risultati:
1 caffè= 50KS 1 caffè=4 €
Il prezzo in dollari di un caffè in Svezia è pari a 7,072$. Il valore si ottiene considerando il tasso di
cambio al 27/6/2012
1$=7,07KS
1KS=0,14 $
E il prezzo di un caffè
Per cui 50*0,14= 7,072$
Allo stesso modo il prezzo in $ di un caffè nell’area euro è 5$
1$=0,80€
1€=1,25$
4*1,25$=5$
Si nota che in Svezia il prezzo del caffè in dollari è maggiore.
7) Calcolare la PPP del dollaro sapendo che in USA un caffè Star Bucks costa 4,50 $ e dire se la
corona svedese e l’euro sono sopravvalutate o sottovalutate rispetto al dollaro:
Prezzo nazionale in valuta nazionale/P$
Rispetto alla corona
50/4,50=11,11
Rispetto all’euro
4/4,50=0,88
(11,11-7,07/7,07)*100=57,14% La corona è sopravvalutata rispetto al dollaro e in futuro ci si
aspetterà un deprezzamento della corona.
(0,88-0,80/0,80)*100=10% L’euro è sopravvalutato rispetto al $ e ci si aspetterà anche in questo
caso un deprezzamento futuro dell’euro.
83
II. Discutere a scelta uno dei due argomenti servendosi anche dell'analisi grafica
A La condizione di Marshall Lerner e la stabilità e instabilità del mercato dei cambi
B La determinazione del tasso di cambio di equilibrio con rendimenti di attività patrimoniali nazionali e
denominate in valuta estera
84
Economia Internazionale Progredito, 26 gennaio 2015
Sulla base della seguente tabella di The Economist, del 18 maggio 2012
The Economist, 18 May, 2012
indicare:
a) il prezzo in euro di uno yuan il 16 maggio 2012
1$=0,78 €
1$=6,32 yuan
0,78€=6,32 yuan
1 yuan=0,12 €
Nell’ipotesi che il tasso di interesse annuale sulle attività finanziarie annuali fosse uguale al tasso d’interesse
annuale su titoli trimestrali,
b) indicare il tasso di interesse cinese il 18/5/ 2012:
4,46%
b) il tasso d’interesse sulle attività finanziarie dell’area-euro il 18/5/ 2012:
0,69%
Con un tasso di cambio atteso di 0,1152 euro per yuan:
c) quale attività finanziaria sarà più conveniente per un investitore europeo?
Sembrerebbe, a prima vista, che le attività denominate in euro siano meno convenienti, dal momento che
offrono lo 0,69%, ma per confrontare correttamente i due investimenti, occorre tener conto non solo del
differenziale dei tassi di interesse dei due impieghi alternativi, ma anche del tasso di cambio (corrente ed
atteso) euro/yuan.
85
Con un tasso di cambio corrente euro/yuan pari a 0,12 ed un tasso di cambio atteso pari a 0,1152, il
rendimento atteso dei titoli europei denominati in euro è dello 0,69%, mentre il rendimento atteso, in euro, dei
titoli cinesi è
R atteso in € dei titoli china = [0,0446 + [(0,1152-0,12)/0,12]] * 100 = 0,46%
che il rendimento di un titolo cinese è minore, perciò il titolo europeo è più remunerativo.
d) descrivere con l’ausilio di un grafico cosa succederebbe sul mercato valutario dati i tassi di
rendimento e il tasso di cambio atteso ipotizzati
Si avrebbe una diminuzione immediata del tasso di cambio corrente da 0,12 a 0,1197
infatti R atteso in € dei titoli cinesi = [0,0446 + [(0,1152-e)/e]] * 100 = 0,0069 per cui e=0,1197
e) individuare la condizione di equilibrio e discuterne il significato
La condizione di equilibrio è detta parità dei tassi di interesse o parità scoperta dei tassi di interesse. Essa
indica la condizione di indifferenza per un investitore nell’effettuare l’investimento in titoli nazionali o esteri.
In particolare, il tasso di interesse sull’attività nazionale deve essere pari al tasso di interesse su analoghe
attività finanziarie estere più il tasso atteso di deprezzamento (apprezzamento) della valuta domestica.
yuan
yuan
e
yuanyuan
e
ee
ii€
€€
€
Il termine
yuan
yuan
e
yuan
e
ee
€
€€
indica il tasso percentuale di deprezzamento (apprezzamento) atteso della
valuta nazionale.
f) Quale sarà il tasso di cambio atteso affinché valga la condizione di equilibrio dato il tasso di cambio
di maggio 2012:
0, 0069 = 0,0446 + (ee€/yuan– 0,12)/0,12
Quindi (0,0377+1)*0,12 = ee€/yuan => 1 yuan=0,1155 €
€/yuan
Rendimenti in € 0,0046 0,0069
0,12
Rendimenti titoli
europei
Rendimenti titoli
Cina
86
Ci si aspetta che l’euro si apprezzi
g) Quale sarà l’entità dell’apprezzamento deprezzamento dell’euro in percentuale?
(0,1155-0,12)/0,12*100=-3,75%
L’euro si apprezza del 3,75%.
87
Economia Internazionale Progredito, 17 giugno 2015
Si ipotizzi in Giappone la domanda per investimenti sia uguale a 120 miliardi quando il tasso di interesse (i)
è nullo, e a zero quando il tasso di interesse è uguale al 12%, mentre in Francia sia di 160 miliardi quando il
tasso di interesse è zero, e zero quando il tasso è del 16%.
b) rappresentare graficamente le curve di domanda per beni di investimento nei due Paesi e indicare le
funzioni analiticamente.
La relazione matematica corrispondente al grafico per il Giappone è: I = 120- (120/12) i
I= 120- 10 i, mentre in Francia risulta uguale a I=160-10 i
Con funzioni di risparmio espresse da S=90 per il Giappone e S=50 per la Francia,
c) calcolare i tassi di interesse di equilibrio in autarchia nei due Paesi e rappresentare graficamente
l’equilibrio.
Il tasso di interesse di autarchia è il tasso di interesse prevalente sul mercato domestico a cui i consumatori
e imprese prendono a prestito. In autarchia non è possibile prendere o dare a prestito sui mercati di
capitale internazionale.
Risolvendo il sistema fra l’equazione degli investimenti e risparmi per il Giappone
I= 120 - 10 i
S= 90
Si ottiene i*=3(%) e I=S=90
In Francia ugualmente si determina il tasso di interesse di equilibrio in autarchia
I= 160- 10i
S= 50 => i*= 11(%) I=S=50
e) Calcolare il tasso di interesse di equilibrio mondiale e i valori del risparmio e investimento in Germania e
in Francia nell’ipotesi di economie aperte.
I; S I; S
i i
120 160
12 16
90
S
I 11
3
50
88
Sul mercato mondiale avremo investimenti e risparmi mondiali dati dalla sommatoria degli investimenti
e risparmi dei singoli paesi
Iw= 120 – 10 i + 160 – 10 i
Iw= 280 – 20 i
Sw= 90+50
Sw=140
e il tasso di interesse di equilibrio mondiale sarà uguale a iw=7(%)
La perfetta mobilità dei capitali assicura che i tassi di interesse domestici ed esteri si equalizzino.
f) Presentare lo stato della bilancia dei pagamenti in Giappone e in Francia con particolare riferimento ai
saldi di conto corrente (current account) e indicare la direzione dei prestiti internazionali.
Se il tasso di interesse di autarchia è maggiore del tasso di interesse mondiale, il paese avrà un current
account deficit, al contrario si avrà un surplus.
Per cui risulta che il Giappone presenta un surplus pari a 90-50 =40
I= 120 - 10*7 =50
S= 90
La Francia invece registrerà un deficit dello stesso ammontare uguale a 50-90= -40
I= 160- 10*7=90
S= 50
I prestiti internazionali andranno dal Giappone(paese creditore) alla Francia (paese debitore).
89
Giappone Mondo Francia
I; S I; S
i i
120 280
12 14
3
S
I
7 7
I; S
11
160
7
CA>0
CA<0
i
16
90
II. Negli ultimi anni il deprezzamento del dollaro ha comportato un diminuzione di circa il 20 per cento
del prezzo del lavoro negli Stati Uniti rispetto alla media degli altri paesi industriali. Illustrare gli effetti
positivi e negativi di questo deprezzamento reale del dollaro per gli americani, possibilmente anche con
qualche riferimento ai problemi del Sud dell’Italia.
Effetti positivi: l’aumento di competitività dei prodotti americani determina un aumento della domanda di
beni prodotti in America, e quindi, a parità di altre condizioni, un aumento di occupazione in America.
Effetti negativi: Il deprezzamento reale del dollaro comporta una riduzione del potere di acquisto medio
delle retribuzioni dei lavoratori americani, e anche dei redditi non da lavoro spesi in America.
Valutazione comparata degli effetti positivi e degli effetti negativi: gran parte dei commenti sul
deprezzamento del dollaro sembrano mettere in risalto soprattutto i suoi effetti positivi per gli USA,
ritenendo implicitamente che per un paese in complesso sia conveniente accettare una riduzione del potere
di acquisto delle retribuzioni, se ciò consente un aumento dell’occupazione.
Riferimenti ai problemi del Sud dell’Italia: Il principale problema economico del Sud dell’Italia è il tasso
di disoccupazione molto elevato. In questo caso tuttavia le proposte di cercare di ridurre la disoccupazione
mediante una diminuzione delle retribuzioni che aumenti la competitività delle produzioni meridionali non
sembrano essere molto popolari.
Illustrare gli effetti attesi e quelli effettivi del deprezzamento reale del dollaro sulla domanda e sull’offerta
di dollari (in cambio di euro e altre monete diverse dal dollaro) derivanti da esportazioni e importazioni
americane di merci e servizi.
Il deprezzamento reale del dollaro, che consiste essenzialmente in una riduzione dei salari dei lavoratori
americani rispetto ai salari dei lavoratori non americani, determina un aumento della competitività
internazionale dei beni prodotti in America; ciò determina spostamenti di domanda dai prodotti non
americani verso beni prodotti in America.
La quantità di beni Americani domandata in Europa, Asia, ecc. aumenta, e aumenta anche il valore in
dollari di questa domanda, considerato che i prezzi in dollari dei prodotti americani sono rimasti
sostanzialmente stabili ( in effetti sono aumentati in media di circa il 2% all’anno negli ultimi tre anni). La
domanda di dollari da parte dei non americani che desiderano acquistare prodotti americani,
corrispondente al valore in dollari delle esportazioni americane, ci si aspetta quindi che aumenti per
effetto del deprezzamento reale del dollaro. Ciò effettivamente si è verificato.
La quantità di prodotti non americani domandata dai residenti in America diminuisce per effetto del
deprezzamento del dollaro, non è detto però che diminuisca il valore in dollari della domanda americana
di prodotti esteri, poiché per effetto del deprezzamento del dollaro in termini euro, yen, ecc. i prezzi in
dollari dei prodotti non americani aumentano se sono costanti i loro prezzi in euro, yen, ecc. (in effetti
negli ultimi tre anni i prezzi in euro dei beni prodotti nei paesi dell’Unione Monetaria Europea sono
aumentati in media di circa il 2% all’anno, e i prezzi in yen dei beni prodotti in Giappone sono diminuiti
dell’1,2% all’anno). L’offerta di dollari da parte dei residenti in America che desiderano acquistare beni
prodotti in Europa, Asia, ecc. può quindi sia aumentare che diminuire per effetto del deprezzamento del
dollaro. La curva di offerta di dollari può quindi avere un andamento anomalo (decrescente anziché
crescente). Se la curva di offerta di dollari ha un andamento decrescente, e se al diminuire del prezzo in
valuta estera del dollaro l’offerta di dollari aumenta in misura maggiore della domanda di dollari, il
mercato in cui i dollari vengono scambiati con euro, yen, ecc. è instabile, poiché un eccesso di offerta di
dollari determina una diminuzione del prezzo in valuta estera del dollaro, che a sua volta determina un
eccesso di offerta ancora maggiore, che provoca una ulteriore diminuzione del prezzo del dollaro, e così
via. I dati sugli scambi con l’estero degli Stati Uniti evidenziano che negli ultimi anni effettivamente il
deprezzamento del dollaro è stato accompagnato da un valore crescente delle importazioni nette di merci e
servizi (= eccesso di offerta di dollari). E’ possibile però che col passar del tempo le importazioni nette
degli Stati Uniti diminuiscano, man mano che gli spostamenti di domanda determinati dalla maggiore
convenienza dei prodotti americani diventano sempre più forti.
91
Economia Internazionale Progredito, 10 luglio 2015
I. Sulla base della seguente tabella:
Fonte: The Economist, 10/11/2012
1) Calcolare il prezzo in yen (Ұ) di un euro il 7/11/2012:
Si determina il tasso di cambio incrociato sapendo che
1$= 79,9 Ұ
1$=0,78 €
Per cui => 79,9 Ұ =0,78 € 1€=102,44 Ұ
Significa che per acquistare 1 Euro servono 102,44 yen sul mercato delle valute.
2) Il prezzo di una Golf Volkswagen in Francia è pari a 19.000 € e in Giappone a 2.185.000 Ұ. Determinare il prezzo in
yen della Golf in Francia. Dove è più conveniente acquistarla?
Il prezzo della Golf in Francia espressa in yen è uguale a:
19.000 €*102,44 Ұ/€ = 1.946.360 Ұ
In Francia l’auto è più a buon mercato rispetto al Giappone.
3) Determinare quanto deve valere il tasso di cambio in yen di un euro per rendere valida la legge del prezzo unico, ed
enunciare il suo significato:
La legge del prezzo unico afferma che lo stesso bene deve avere lo stesso prezzo espresso in una valuta comune
all’interno di mercati diversi. Ciò si verifica nell’ipotesi di assenza di costi di trasporto e barriere commerciali. In
questo caso la legge non risulta valida poiché le due Golf hanno prezzi diversi.
Per avere gli stessi prezzi deve modificarsi il tasso di cambio (e) in particolare deve essere verificata la relazione:
PGFrancia
* e = PGGiappone
con PG=prezzo Golf e=tasso di cambio nominale
e = PGGiappone
/ PGFrancia
4) Specificare, sulla base dei risultati ottenuti, quale valuta si deprezza e quale si apprezza e calcolare l’entità
dell’apprezzamento/deprezzamento in percentuale:
Lo yen si deve deprezzare rispetto all’euro del 12,26%, ossia:
(115-102,44)/102,44*100 =12,26%
yen115€1euro 19.000
yen .185.0002
92
5) Determinare il tasso di cambio reale dell’euro in termini di yen at tempo t1 e t2 corrispondenti ai tassi di cambio
nominali determinati nel punto 1) e 3) e spiegare la differenza fra tassi di cambio reali e nominali:
Il valore 0,89 indica che con l’euro in Giappone si può acquistare meno di un’auto. Si evince dunque che
un’auto giapponese è più cara di una europea.
Con un tasso di cambio reale pari a 1 risulta che nei due paesi vi è parità dei poteri di acquisto e quindi la
posizione competitiva dei due paesi è uguale.
Per "Tasso di cambio nominale" (e) si intende il prezzo relativo della valuta nazionale rispetto alla valuta
estera. Il tasso di cambio nominale è quello calcolato al punto 1. Il tasso di cambio reale (R) è equivalente
al tasso di cambio nominale per il livello relativo dei prezzi dei beni.
6) Al tasso di cambio 1€=104 yen, nell’ipotesi che il tasso di interesse a un anno sulle attività determinate in yen fosse
pari al 10%, mentre il tasso di interesse sulle attività in euro fosse pari al 6% e il tasso di cambio atteso a un anno
fosse 110 yen per euro, in quali attività finanziare un investitore giapponese investirebbe (indicazione: considerare il
rendimento atteso in Ұ dei titoli europei):
Sembrerebbe, a prima vista, che le attività denominate in yen siano più convenienti, dal momento che offrono
un rendimento del 10%, ma per confrontare correttamente i due investimenti, occorre tener conto non solo del
differenziale dei tassi di interesse dei due impieghi alternativi, ma anche del tasso di cambio (corrente ed
atteso) euro/yen.
Con un tasso di cambio corrente yen/euro pari a 104 ed un tasso di cambio atteso pari a 110, il rendimento
atteso (r) dei titoli europei denominati in euro è dello 6%, mentre il rendimento atteso, in yen, dei titoli europei
è
r atteso in Ұ dei titoli europei = r€ + [(e eҰ /€ - e Ұ /€)/ e Ұ /€]] * 100
r atteso in Ұ dei titoli europei = [0,06+ [(110-104)/104]] * 100 = 11,00%
che il rendimento dei titoli europei è maggiore rispetto a quello dei titoli giapponesi, perciò i titoli
europei sono più remunerativi e all’investitore giapponese converrà acquistare fuori dal suo paese .
II. Rappresentare graficamente attraverso le curve di domanda e offerta di valuta estera un deficit commerciale:
III. La curva J permette di spiegare gli effetti degli squilibri globali sulle economie. L’affermazione è V o F
? Motivare la risposta:
89,0yen 000.185.2
yen 946.360.1
yen 2.185.000
euro 000.1944.102
*
P
PeR
1yen 000.185.2
yen .185.0002
yen 2.185.000
euro 000.19115
*
P
PeR
93
Economia Internazionale Progredito, 22 settembre 2015 (A)
Illustrare, in modo leggibile, i passaggi e le motivazioni delle risposte.
I. Sulla base dei dati economici finanziari pubblicati da The Economist, l’1/6/2013
1) specificare il significato e le differenze degli indicatori Trade balance e current account balance, identificare i
principali elementi che emergono nel contesto internazionale in termini di flussi internazionali di capitale e
avanzi/disavanzi commerciali:
2) Dopo avere espresso il significato di tasso di cambio e mercato valutario, calcolare il prezzo in yuan (Y) di un
euro il 28/5/2013 e il 28/5/2012; indicare quale valuta ha subito un deprezzamento e calcolarne l’entità in
percentuale:
Il tasso di cambio incrociato fra il dollaro, yuan ed euro è così determinato
Nel 2013
1$= 6,12 Ұ
1$=0,78 €
Per cui => 6,12 Ұ =0,78 € 1€=7,846 Ұ
Un euro viene scambiato per 8 yuan sul mercato delle valute.
Nel 2012
1$= 6,35 Ұ
1$=0,80 €
94
Per cui => 1€=7,937 Ұ
Fra il 2012 e il 2013 lo yuan si è apprezzato dell’ 1,146%, mentre l’euro si è deprezzato dello stesso ammontare.
Ipotizzando curve di domanda e offerta di euro espresse da
D€ = 12-0,80 p Y/€ S€ = -3+1,7p Y/€
3) Rappresentare le due curve, specificare da chi proviene la domanda di euro e determinare l’equilibrio nel
mercato valutario (il flusso monetario è espresso in milioni di €/gg):
L’equilibrio si determina mettendo a sistema la domanda e offerta di euro:
12-0,80 p Y/€ = -3+1,7 p Y/€
2,5 p Y/€ = 15
p Y/€ = 6 => D€=S€=7,2
4) Dopo aver espresso il significato di saldo delle partite correnti calcolarne il valore per la Cina al tasso di
cambio del 28/5/2013 (considerare le curve di domanda e offerta di euro sopramenzionate). Dire di quanto dovrebbe
apprezzarsi o deprezzarsi il tasso di cambio per eliminare l’avanzo o il disavanzo di parte corrente:
D€=12-0,80 p Y/€ = 12-0,80*7,846=5,72
S€=-3+1,7 p Y/€ =-3+1,7*7,846=10,34
Il saldo delle partite correnti è uguale a 10,34-5,72= 4,62 la Cina registra dunque un surplus. Per
eliminare l’avanzo corrente lo yuan si dovrebbe apprezzare rispetto all’euro di un valore pari a 23,53%.
Viceversa, l’euro si dovrebbe deprezzare del 23,53%. Con l’apprezzamento dello yuan le merci cinesi
diverrebbero meno competitive, così le esportazioni si ridurrebbero e aumenterebbero le importazioni
grazie ad una valuta cinese più forte. L’apprezzamento dello yuan e il deprezzamento dell’euro
corrispondono numericamente al tasso di variazione del cambio, espresso come segue:
(6-7,846)/7,846*100=-23,53%
€/gg -3 7,2 12
7,846
D€
15
6
1,76
S€
Y/€
95
5) Sulla base delle precedenti curve di domanda e offerta specificare se il mercato dei cambi è stabile o instabile
e perché:
Il mercato dei cambi è stabile poiché la funzione di offerta di valuta ha la classica forma, ossia risulta
inclinata positivamente, ciò significa che per ridurre gli avanzi si possono adottare politiche di
apprezzamento della valuta nazionale, per cui squilibri della bilancia commerciale possono essere
corretti automaticamente attraverso opportune manovre dei tassi di cambio.
In termini più estesi, se venissero interpretati i coefficienti angolari delle funzioni di domanda e offerta di
valuta come le elasticità della domanda di importazione e di esportazione rispetto al prezzo (tasso di
cambio) allora la condizione di Marshall-Lerner verrebbe rispettata, risultando la somma delle elasticità
maggiori di uno:
|0,80+1,7|=2,5
6) Se in Cina e nell’Area Euro una confezione di merendine venisse venduta a 11,25 yuan e a 4,50€ rispettivamente,
determinare il tasso di cambio reale al 28/5/2013 e spiegare la differenza fra tassi di cambio reali e nominali:
R= e (P/P*)= 7,846 yuan/€ *(4,50€/11,25 yuan)=3,14
Con 4,50 euro è possibile acquistare in Cina più di 3 confezioni di merendine, per cui i prodotti cinesi sono
molto più competitivi.
II. Discutere a scelta uno dei due seguenti argomenti servendosi anche dell'analisi grafica
A La determinazione del tasso di cambio di equilibrio con rendimenti di attività finanziarie nazionali e denominate in
valuta estera
B Dopo aver espresso significato e struttura della bilancia dei pagamenti, illustrare le correzioni di disavanzi e avanzi
commerciali in regimi di cambi flessibili e velocità di aggiustamento.
96
Economia Internazionale Progredito, 7 novembre 2016
Illustrare, in modo leggibile, i passaggi e le motivazioni delle risposte.
I.
1) Un consumatore italiano deve decidere se acquistare un portatile giapponese o uno cinese i cui prezzi sono pari
rispettivamente a 45000 Yen e 4000 Yuan. A parità di caratteristiche e qualità quale portatile acquisterebbe l’8
gennaio 2014? (Utilizzare la tabella qui di seguito riportata)
Fonte: The Economist, 11/1/2014
Per potere effettuare la scelta il consumatore italiano verifica il prezzo in euro dei due portatili, per cui:
l’8 gennaio 2014
1$= 105 Ұ
1$=6,05 yuan
1$=0,74 €
Per cui => 105 Ұ =0,74 € 1 Ұ =0,007 € Il prezzo del portatile giapponese è 45000*0,007€=315 €
Allo stesso modo => 6,05 yuan =0,74 € 1 yuan =0,122 € Il prezzo del portatile cinese è 4000*0,122€=488 €
Il consumatore italiano opterà per il portatile giapponese perché risulta essere più a buon mercato.
2) Le valute cinesi e giapponesi rispetto all’8 gennaio 2013 si sono apprezzate o deprezzate nei confronti
dell’euro?
Nel 2013 => 87,1 Ұ =0,77 € 1 Ұ =0,0088 €
6,22 yuan =0,77 € 1 yuan =0,124 €
Si nota che entrambe le valute l’8 gennaio 2014 si sono deprezzate, poiché occorrono meno euro per acquistare una
unità di valuta estera. L’euro si è quindi apprezzato.
3) Quali sono gli effetti di un apprezzamento dell’euro sulle importazioni e sulle esportazioni italiane? Spiegate
perché?
L’apprezzamento dell’euro stimola l’acquisto di prodotti e servizi esteri, per cui incoraggia le importazioni
italiane, mentre rende i prodotti tradables italiani meno competitivi, determinando così una contrazione delle
esportazioni del nostro Paese. La bilancia delle merci e servizi tenderà quindi a registrare un deficit.
97
II. Si calcolino i tassi di rendimento monetari delle seguenti attività:
a) un quadro il cui prezzo sale da 200.000 a 250.000 euro in un anno;
Rendimento = ((250.000 − 200.000)/ 200.000) *100= 25%
b) una bottiglia di vino il cui prezzo sale da 225 a 275 euro in un anno;
Rendimento = 275 – 225/225*100=22%
c) un deposito di 10.000 sterline presso una banca londinese su cui viene corrisposto un tasso di interesse annuo del 10%,
mentre il tasso di cambio euro/sterlina passa da 1, 24 a 1, 21.
Il calcolo del tasso di rendimento (R) in euro deve tener conto della variazione attesa del tasso di cambio:
R€ = R£ + (ee€/£ − e€/£)/e€/£
Noi sappiamo che: R£ = 10% = 0,10 e€/£ = 1,24, ee€/£ = 1, 21, cioè ci si attende un apprezzamento dell’euro (o,
equivalentemente, un deprezzamento della sterlina).
Pertanto:
R€ = 0,1+(1, 21 − 1, 24)/1, 24 = 0, 0758 = > in termini percentuali 0, 0758*100 = 7,58%
Quindi, il tasso di rendimento atteso in euro del deposito in sterline è del 7,58%, che si ottiene correggendo il
rendimento atteso in sterline (10%) per la perdita di valore della sterlina attesa (2,42%) nei confronti dell’euro.
d) Si calcolino i tassi di rendimento reali delle attività dell’esercizio precedente nel caso in cui ci si attenda un tasso
di inflazione (tasso di variazione dei prezzi di tutti i beni) del 10%.
Rr = 25%− 10% = 15%
Rr = 22%− 10% = 12%
Rr = 7,58%− 10% = −2,42%
98
Economia Internazionale Progredito, 9 gennaio 2017
A. Si supponga che in Germania e in Italia vi siano rispettivamente 60 milioni e 40 milioni di persone che
possono e vogliono lavorare, che ciascun lavoratore riesca a produrre in media beni e servizi per un
valore di 30.000 euro e 25.000 euro all’anno, che il tasso di disoccupazione naturale previsto dalla BCE
sia il 5%.
a) Determinare la produzione potenziale di piena occupazione nei due Paesi.
Un indicatore importante del tenore di vita di un’economia è la percentuale di individui lavorano
Una nazione che riesce ad occupare tutti gli individui che sono disposti a lavorare produce
una quantità più elevata di beni e servizi.
La disoccupazione è un fallimento del mercato. Al prezzo corrente (salario) l’offerta di
lavoro è maggiore della domanda.
In Germania la produzione potenziale risulta pari a 60.000.000*30.000*0,95 =1710.000.000.000
In Italia è uguale a 50.000.000*20.000*0.95= 950.000.000.000
Si ipotizzi che la funzione di domanda per investimenti sia lineare e che in Germania la domanda sia pari a
200 miliardi quando il tasso di interesse (i) è nullo, e a zero quando il tasso di interesse è uguale a 40,
mentre in Italia sia di 120 miliardi quando il tasso di interesse è zero, e zero quando il tasso è del 40
b) rappresentare graficamente le curve di domanda per beni di investimento nei due Paesi e indicare le
funzioni analiticamente.
La relazione matematica corrispondente al grafico per la Germania è: I = 200- (200/40) i
I= 200- 5i, mentre in Italia risulta uguale a I=120-3i
Con funzioni di risparmio espresse da S=95+10i per la Germania e S=45+2i per l’Italia,
c) calcolare i tassi di interesse di equilibrio in autarchia nei due Paesi e rappresentare graficamente
l’equilibrio.
Il tasso di interesse di autarchia è il tasso di interesse prevalente sul mercato domestico a cui i consumatori
e imprese prendono a prestito. In autarchia non è possibile prendere o dare a prestito sui mercati di
capitale internazionale.
I; S I; S
i
200 120
40 40
95
-9,5
3
S
I
15
i
99
Risolvendo il sistema fra l’equazione degli investimenti e risparmi per la Germania
I= 200 - 5i
S= 95 + 30i
Si ottiene i*=3(%) e I=S=185
In Italia allo stesso modo si calcola il tasso di interesse di equilibrio in autarchia
I= 120- 3i
S= 45+2i => i*=15(%) I=S=75
e) Calcolare il tasso di interesse di equilibrio mondiale e i valori del risparmio e investimento in Germania e
in Italia nell’ipotesi di economie aperte.
Sul mercato mondiale avremo investimenti e risparmi mondiali dati dalla sommatoria degli investimenti
e risparmi dei singoli paesi
Iw= 200 - 5i + 120 - 3i
Iw= 320 - 8i
Sw= 95 + 30i + 45 + 2i
Sw=140 + 32i
e il tasso di interesse di equilibrio mondiale sarà uguale a iw= 4,5(%)
La perfetta mobilità dei capitali assicura che i tassi di interesse domestici ed esteri si equalizzino.
f) Presentare lo stato della bilancia dei pagamenti in Germania e in Italia con particolare riferimento ai saldi
di conto corrente (current account) e indicare la direzione dei prestiti internazionali.
Se il tasso di interesse di autarchia è maggiore del tasso di interesse mondiale, il paese avrà un current
account deficit, al contrario si avrà un surplus.
Per cui risulta che la Germania presenta un surplus pari a 230-177,5 =52,5
I= 200 - 5*4,5 =177,5
S= 95+ 30*4,5 =230
L’Italia invece registrerà un deficit dello stesso ammontare uguale a 54-106,5= -52,5
I= 120- 3*4,5=106,5
S= 45+2*4,5= 54
I prestiti internazionali andranno dalla Germania (paese creditore) all’Italia (paese debitore).
Germania Mondo Italia
I; S I; S
i i
200
40
S
I
4,5
-4,37 I; S
15
120
CA< 0
i
40
320
40
4,5
3
CA> 0
I S
S
I
B. Commentare i dati della seguente tabella
102
Economia Internazionale Progredito, 22 febbraio 2017
I. Illustrare come opera l’arbitraggio bilaterale ricorrendo ad un esempio.
L’arbitraggio è un'operazione che consiste nell'acquistare una moneta estera (ad esempio il dollaro) su un
mercato dove vale meno e rivenderla su un altro mercato dove vale di più. In questo modo si sfruttano le
differenze di prezzo al fine di ottenere un profitto.
L’arbitraggio opera fino a quando non viene raggiunta l’uguaglianza tra le quotazioni.
Supponiamo di avere 1000 € e che nelle piazze finanziarie di Milano e New York ci siano i seguenti tassi di
cambio:
€/$ = 1 a Milano e €/$ = 0,9 a New York
Ciò vuol dire che il dollaro è più debole a Milano dove un arbitraggista comprerà 1000$ che rivenderà sulla
piazza finanziaria di New York ottenendo 1000$/0,9 = 1111,1€ e quindi guadagnando sulla differenza di
cambio.
II. Supponendo di avere i seguenti cambi e prezzi
Trovare i prezzi in dollari delle calzature cinesi
CINA calzature in yuan tasso cambio Y/$ prezzo in dollari
2013 140 7 20
2014 150 8 18,75
Trovare i prezzi in yuan delle calzature in USA
USA (P$*Y)
2013 140 7 20
2014 150 8 18,75
Trovare i prezzi in euro delle calzature americane
Euro Area
2013 13,3 1,5 20
2014 15,6 1,2 18,75
Trovare i prezzi in dollari delle calzature europee
2013 13,3 1,5 20
2014 15,6 1,2 18,75
III. Illustrare perché può verificarsi un peggioramento del saldo commerciale in seguito ad una
svalutazione della divisa nazionale.