E-book campione Liber Liber · italiana, nel quale mi occupo delle invasioni barbariche. Non è un...

595
Pasquale Villari Le invasioni barbariche in Italia www.liberliber.it Pasquale Villari Le invasioni barbariche in Italia www.liberliber.it

Transcript of E-book campione Liber Liber · italiana, nel quale mi occupo delle invasioni barbariche. Non è un...

Pasquale VillariLe invasioni barbariche in Italia

www.liberliber.it

Pasquale VillariLe invasioni barbariche in Italia

www.liberliber.it

http://www.liberliber.it/

Questo e-book stato realizzato anche grazie al so-stegno di:

E-textWeb design, Editoria, Multimedia

(pubblica il tuo libro, o crea il tuo sito con E-text!)http://www.e-text.it/

QUESTO E-BOOK:

TITOLO: Le invasioni barbariche in ItaliaAUTORE: Villari, PasqualeTRADUTTORE:CURATORE:NOTE: Il testo tratto da una copia in formato im-magine presente sul sito http://www.archive.org/.Realizzato in collaborazione con il Project Guten-berg (http://www.gutenberg.net/) tramite Distribu-ted proofreaders (http://www.pgdp.net/).

CODICE ISBN E-BOOK: n. d.

DIRITTI D'AUTORE: no

LICENZA: questo testo distribuito con la licenzaspecificata al seguente indirizzo Internet:http://www.liberliber.it/online/opere/libri/licenze/

COPERTINA: n. d.

TRATTO DA: Le invasioni barbariche in Italia / diPasquale Villari - Milano : Hoepli, 1901 - XIII, 480p., [3] carte di tav. : carte geografiche ; 18 cm

CODICE ISBN FONTE: n. d.

2

Questo e-book stato realizzato anche grazie al so-stegno di:

E-textWeb design, Editoria, Multimedia

(pubblica il tuo libro, o crea il tuo sito con E-text!)http://www.e-text.it/

QUESTO E-BOOK:

TITOLO: Le invasioni barbariche in ItaliaAUTORE: Villari, PasqualeTRADUTTORE:CURATORE:NOTE: Il testo tratto da una copia in formato im-magine presente sul sito http://www.archive.org/.Realizzato in collaborazione con il Project Guten-berg (http://www.gutenberg.net/) tramite Distribu-ted proofreaders (http://www.pgdp.net/).

CODICE ISBN E-BOOK: n. d.

DIRITTI D'AUTORE: no

LICENZA: questo testo distribuito con la licenzaspecificata al seguente indirizzo Internet:http://www.liberliber.it/online/opere/libri/licenze/

COPERTINA: n. d.

TRATTO DA: Le invasioni barbariche in Italia / diPasquale Villari - Milano : Hoepli, 1901 - XIII, 480p., [3] carte di tav. : carte geografiche ; 18 cm

CODICE ISBN FONTE: n. d.

2

http://www.pgdp.net/http://www.e-text.it/http://www.e-text.it/

1a EDIZIONE ELETTRONICA DEL: 12 dicembre 2017

INDICE DI AFFIDABILIT: 10: affidabilit bassa1: affidabilit standard2: affidabilit buona3: affidabilit ottima

SOGGETTO:FIC004000 FICTION / Classici

DIGITALIZZAZIONE:Distributed proofreaders, http://www.pgdp.net/

REVISIONE:Barbara Magni, barbara.magni@ email.it.

IMPAGINAZIONE:Claudio Paganelli, [email protected]

PUBBLICAZIONE:Claudio Paganelli, [email protected]

3

1a EDIZIONE ELETTRONICA DEL: 12 dicembre 2017

INDICE DI AFFIDABILIT: 10: affidabilit bassa1: affidabilit standard2: affidabilit buona3: affidabilit ottima

SOGGETTO:FIC004000 FICTION / Classici

DIGITALIZZAZIONE:Distributed proofreaders, http://www.pgdp.net/

REVISIONE:Barbara Magni, barbara.magni@ email.it.

IMPAGINAZIONE:Claudio Paganelli, [email protected]

PUBBLICAZIONE:Claudio Paganelli, [email protected]

3

Liber Liber

Se questo libro ti piaciuto, aiutaci a realizzarne altri.Fai una donazione: http://www.liberliber.it/online/aiuta/.Scopri sul sito Internet di Liber Liber ci che stiamorealizzando: migliaia di ebook gratuiti in edizione inte-grale, audiolibri, brani musicali con licenza libera, videoe tanto altro: http://www.liberliber.it/.

4

Liber Liber

Se questo libro ti piaciuto, aiutaci a realizzarne altri.Fai una donazione: http://www.liberliber.it/online/aiuta/.Scopri sul sito Internet di Liber Liber ci che stiamorealizzando: migliaia di ebook gratuiti in edizione inte-grale, audiolibri, brani musicali con licenza libera, videoe tanto altro: http://www.liberliber.it/.

4

http://www.liberliber.it/http://www.liberliber.it/online/aiuta/http://www.liberliber.it/online/aiuta/

LE

INVASIONI BARBARICHEIN

ITALIA

DI

PASQUALE VILLARI

CON TRE CARTE

ULRICO HOEPLIEDITORE-LIBRAIO DELLA REAL CASA

MILANO

1901

5

LE

INVASIONI BARBARICHEIN

ITALIA

DI

PASQUALE VILLARI

CON TRE CARTE

ULRICO HOEPLIEDITORE-LIBRAIO DELLA REAL CASA

MILANO

1901

5

PROPRIET LETTERARIA152-900. Firenze, Tip. di S. Landi, Via Santa Caterina, 12

6

PROPRIET LETTERARIA152-900. Firenze, Tip. di S. Landi, Via Santa Caterina, 12

6

ALPROF. ALBERTO DEL VECCHIO

7

ALPROF. ALBERTO DEL VECCHIO

7

[vii]

PREFAZIONE

Il fine che mi sono proposto nello scrivere questo li-bro assai modesto, ma anche assai difficile a rag-giungere. Il lettore giudicher se sono riuscito. Io dirsolo in che modo sorse in me l'idea di accingermiall'opera.

Non si pu negare che dopo la costituzione del regnod'Italia molto si da noi progredito nello studio dellastoria. Ne sono una prova il gran numero di Archivi sto-rici, che si pubblicano in ogni regione; le Deputazioni eSociet di Storia patria, che sorgono per tutto; la grandequantit di documenti, che ogni giorno vengono allaluce; i progressi che han fatto la paleografia, la diploma-tica, la filologia classica e la neo-latina, la storia del di-ritto, il metodo e l'erudizione storica in genere. Con tut-to ci libri che narrino gli avvenimenti del passato inmodo facile e piano, agevolmente leggibili, i quali unavolta erano assai numerosi in Italia, e servivano di mo-dello alle altre nazioni, vanno oggi divenendo fra noisempre pi rari. Pure certo che le ricerche d'archivio sifanno per poter sempre meglio e pi sicuramente [viii]scrivere le narrazioni destinate alla gran maggioranzadei lettori.1 Noi invece passiamo dai libri scolastici, che

1 In un suo recente discorso anche il prof. Romano, dell'Universit di Pavia,insisteva su queste condizioni degli studi storici in Italia.

8

[vii]

PREFAZIONE

Il fine che mi sono proposto nello scrivere questo li-bro assai modesto, ma anche assai difficile a rag-giungere. Il lettore giudicher se sono riuscito. Io dirsolo in che modo sorse in me l'idea di accingermiall'opera.

Non si pu negare che dopo la costituzione del regnod'Italia molto si da noi progredito nello studio dellastoria. Ne sono una prova il gran numero di Archivi sto-rici, che si pubblicano in ogni regione; le Deputazioni eSociet di Storia patria, che sorgono per tutto; la grandequantit di documenti, che ogni giorno vengono allaluce; i progressi che han fatto la paleografia, la diploma-tica, la filologia classica e la neo-latina, la storia del di-ritto, il metodo e l'erudizione storica in genere. Con tut-to ci libri che narrino gli avvenimenti del passato inmodo facile e piano, agevolmente leggibili, i quali unavolta erano assai numerosi in Italia, e servivano di mo-dello alle altre nazioni, vanno oggi divenendo fra noisempre pi rari. Pure certo che le ricerche d'archivio sifanno per poter sempre meglio e pi sicuramente [viii]scrivere le narrazioni destinate alla gran maggioranzadei lettori.1 Noi invece passiamo dai libri scolastici, che

1 In un suo recente discorso anche il prof. Romano, dell'Universit di Pavia,insisteva su queste condizioni degli studi storici in Italia.

8

si leggono a scuola, e poi si gettano via, ai libri d'erudi-zione, che servono solo ai dotti di mestiere o, come oggili chiamano, specialisti.

facile capire qual grave danno tutto ci debba reca-re alla nostra letteratura, alla nostra cultura; massime sesi riflette, che la storia in genere, e quella dell'Italia inispecie dovrebbe essere un mezzo non solo d'istruzione,ma anche di educazione nazionale, contribuendo effica-cemente a formare il carattere morale e politico del no-stro paese. Cesare Balbo, animato sempre di nobile pa-triottismo, deplor in tutta la sua vita che noi non aves-simo una storia popolare d'Italia, tale che tutti potesseroleggerla con piacere e profitto. Egli si prov pi volte ascriverla, ma rimase come sgomento dinanzi alle moltedifficolt che incontrava. Oggi, dopo la pubblicazione ditanti nuovi documenti, dopo tante nuove e cos sottili di-spute, le difficolt sono cresciute piuttosto che scemare.Alcune di esse possono dirsi intrinseche alla natura delsoggetto; altre invece dobbiamo riconoscerle conse-guenza del nostro modo di trattarlo e dell'indirizzo cheabbiam preso nei nostri studi.

Arduo assai deve certo riuscire il narrare in modo fa-cile e chiaro la storia d'un paese che fu nel passato divi-so in tanti Stati diversi, ciascuno dei quali ebbe il suoproprio carattere, le sue proprie vicende. Nel [ix] mezzo-giorno abbiamo una monarchia feudale; nell'Italia cen-trale lo Stato della Chiesa, con un governo che diversoda ogni altro, e la cui storia si collega con quella di tuttaquanta l'Europa; pi al nord abbiamo la moltitudine infi-

9

si leggono a scuola, e poi si gettano via, ai libri d'erudi-zione, che servono solo ai dotti di mestiere o, come oggili chiamano, specialisti.

facile capire qual grave danno tutto ci debba reca-re alla nostra letteratura, alla nostra cultura; massime sesi riflette, che la storia in genere, e quella dell'Italia inispecie dovrebbe essere un mezzo non solo d'istruzione,ma anche di educazione nazionale, contribuendo effica-cemente a formare il carattere morale e politico del no-stro paese. Cesare Balbo, animato sempre di nobile pa-triottismo, deplor in tutta la sua vita che noi non aves-simo una storia popolare d'Italia, tale che tutti potesseroleggerla con piacere e profitto. Egli si prov pi volte ascriverla, ma rimase come sgomento dinanzi alle moltedifficolt che incontrava. Oggi, dopo la pubblicazione ditanti nuovi documenti, dopo tante nuove e cos sottili di-spute, le difficolt sono cresciute piuttosto che scemare.Alcune di esse possono dirsi intrinseche alla natura delsoggetto; altre invece dobbiamo riconoscerle conse-guenza del nostro modo di trattarlo e dell'indirizzo cheabbiam preso nei nostri studi.

Arduo assai deve certo riuscire il narrare in modo fa-cile e chiaro la storia d'un paese che fu nel passato divi-so in tanti Stati diversi, ciascuno dei quali ebbe il suoproprio carattere, le sue proprie vicende. Nel [ix] mezzo-giorno abbiamo una monarchia feudale; nell'Italia cen-trale lo Stato della Chiesa, con un governo che diversoda ogni altro, e la cui storia si collega con quella di tuttaquanta l'Europa; pi al nord abbiamo la moltitudine infi-

9

nita dei Comuni e delle Signorie. Come, dove trovare unfilo conduttore, che guidi chi scrive e chi legge? Questedifficolt, ben vero, non s'incontrano solamente in Ita-lia; anche la Germania stata sempre divisa e suddivisa.N sarebbero difficolt insuperabili, se noi stessi non lerendessimo per colpa nostra anche maggiori; il che av-viene in molti e diversi modi. In tutte quante le nostrescuole, in tutte le nostre pubblicazioni ci occupiamooggi quasi esclusivamente di storia italiana. divenutopoco meno che impossibile il vedere fra di noi apparireun libro sulla storia della Riforma, della Rivoluzionefrancese, della Germania, dell'Inghilterra, della Spagna,delle nazioni estere in generale. Ma la nostra storia cos strettamente connessa con quella di tutta l'Europa,che senza studiar l'una non possibile comprenderel'altra. Chi infatti potrebbe mai intendere la storia italia-na del Medio Evo, senza quella della Germania, o inda-gare le origini prime del nostro Risorgimento, senza oc-cuparsi della Rivoluzione francese? Chi potrebbe farsiun concetto chiaro della Contro-Riforma in Italia, senzaaver prima compreso la Riforma di Lutero? Ne segueperci che, se questa tendenza verso un'erudizioneesclusiva ed unilaterale ci fa sempre pi diligentementeindagare ed esaminare i particolari problemi della storiaitaliana, ci rende invece [x] assai difficile comprenderneil carattere generale, e valutare con giusto criterio lavera parte che noi abbiamo avuta nella civilt del mon-do. Pi di una volta ci tocca infatti l'umiliazione di ve-dere gli stranieri scrivere sulla storia dell'Italia antica,

10

nita dei Comuni e delle Signorie. Come, dove trovare unfilo conduttore, che guidi chi scrive e chi legge? Questedifficolt, ben vero, non s'incontrano solamente in Ita-lia; anche la Germania stata sempre divisa e suddivisa.N sarebbero difficolt insuperabili, se noi stessi non lerendessimo per colpa nostra anche maggiori; il che av-viene in molti e diversi modi. In tutte quante le nostrescuole, in tutte le nostre pubblicazioni ci occupiamooggi quasi esclusivamente di storia italiana. divenutopoco meno che impossibile il vedere fra di noi apparireun libro sulla storia della Riforma, della Rivoluzionefrancese, della Germania, dell'Inghilterra, della Spagna,delle nazioni estere in generale. Ma la nostra storia cos strettamente connessa con quella di tutta l'Europa,che senza studiar l'una non possibile comprenderel'altra. Chi infatti potrebbe mai intendere la storia italia-na del Medio Evo, senza quella della Germania, o inda-gare le origini prime del nostro Risorgimento, senza oc-cuparsi della Rivoluzione francese? Chi potrebbe farsiun concetto chiaro della Contro-Riforma in Italia, senzaaver prima compreso la Riforma di Lutero? Ne segueperci che, se questa tendenza verso un'erudizioneesclusiva ed unilaterale ci fa sempre pi diligentementeindagare ed esaminare i particolari problemi della storiaitaliana, ci rende invece [x] assai difficile comprenderneil carattere generale, e valutare con giusto criterio lavera parte che noi abbiamo avuta nella civilt del mon-do. Pi di una volta ci tocca infatti l'umiliazione di ve-dere gli stranieri scrivere sulla storia dell'Italia antica,

10

medioevale o moderna libri migliori dei nostri: e da essila nostra giovent deve apprendere la storia del propriopaese. Pur troppo questi libri, non ostante la molta dot-trina ed il buon metodo, sono scritti non di rado con unospirito ostile all'Italia; il patriottismo degli autori li spin-ge naturalmente ad esaltare la loro patria a danno dellanostra. E cos ne segue che si diffondono anche fra dinoi sul carattere morale e politico degl'Italiani,sull'intrinseco valore della nostra civilt, della nostra let-teratura idee e giudizi poco esatti, che ci nocciono assai,facendoci perdere la giusta coscienza di noi medesimi.

Non lieve ostacolo a scrivere una storia nazionaleche, pur essendo patriottica e popolare, sia imparziale,viene anche dalle relazioni in cui l'Italia si trova collaChiesa. Noi abbiamo scrittori guelfi e scrittori ghibelli-ni: i primi vorrebbero sempre lodare i Papi, giustifican-do tutto quello che fecero; i secondi vorrebbero invecesempre biasimarli, cercando di porre in ombra la parte,certo grandissima, che ebbero nella storia del nostropaese. A questo s'aggiunga l'abbandono in cui sono fradi noi gli studi religiosi, la storia della teologia e delCristianesimo. E come si pu senza di essi comprenderela storia d'un popolo, che ha fondato la Chiesa cattolica,d'un popolo la cui vita religiosa fu cos intensa, [xi] cosstrettamente unita con la sua vita politica, letteraria, arti-stica e civile?

Pensando e ripensando a tutto ci, mi parve che do-vesse in Italia riuscire assai utile una collezione di volu-mi, che trattassero separatamente, in modo popolare, i

11

medioevale o moderna libri migliori dei nostri: e da essila nostra giovent deve apprendere la storia del propriopaese. Pur troppo questi libri, non ostante la molta dot-trina ed il buon metodo, sono scritti non di rado con unospirito ostile all'Italia; il patriottismo degli autori li spin-ge naturalmente ad esaltare la loro patria a danno dellanostra. E cos ne segue che si diffondono anche fra dinoi sul carattere morale e politico degl'Italiani,sull'intrinseco valore della nostra civilt, della nostra let-teratura idee e giudizi poco esatti, che ci nocciono assai,facendoci perdere la giusta coscienza di noi medesimi.

Non lieve ostacolo a scrivere una storia nazionaleche, pur essendo patriottica e popolare, sia imparziale,viene anche dalle relazioni in cui l'Italia si trova collaChiesa. Noi abbiamo scrittori guelfi e scrittori ghibelli-ni: i primi vorrebbero sempre lodare i Papi, giustifican-do tutto quello che fecero; i secondi vorrebbero invecesempre biasimarli, cercando di porre in ombra la parte,certo grandissima, che ebbero nella storia del nostropaese. A questo s'aggiunga l'abbandono in cui sono fradi noi gli studi religiosi, la storia della teologia e delCristianesimo. E come si pu senza di essi comprenderela storia d'un popolo, che ha fondato la Chiesa cattolica,d'un popolo la cui vita religiosa fu cos intensa, [xi] cosstrettamente unita con la sua vita politica, letteraria, arti-stica e civile?

Pensando e ripensando a tutto ci, mi parve che do-vesse in Italia riuscire assai utile una collezione di volu-mi, che trattassero separatamente, in modo popolare, i

11

vari periodi della storia d'Italia, sotto i suoi moltepliciaspetti, e con essa anche la storia dei vari popoli civili.Di siffatte collezioni ogni regione d'Europa e gli StatiUniti d'America ne hanno oggi parecchie; perch nonpotremmo, non dovremmo noi averne almeno una? Midecisi quindi a farne la proposta all'egregio editorecomm. Hoepli, che l'accolse con favore, e si poseall'opera.

Due volumi sono gi venuti alla luce. Il primo unanuova edizione del ben noto libro del conte Balzani sul-le cronache italiane, da lui riveduto e corretto. Il secon-do una storia del nostro risorgimento pubblicata dalprof. Orsi del Liceo M. Foscarini di Venezia. Altri trevolumi non tarderanno molto, io spero, a veder la luce.Uno, gi quasi compiuto, del prof. Errera, dell'IstitutoTecnico di Torino, sulla storia delle scoperte geografi-che. Il prof. Salvmini del Liceo Galileo di Firenze, edil prof. Brizzolara dell'Istituto Tecnico di Reggio Cala-bria scrivono sulla storia moderna dell'Europa. Altri vo-lumi sono in preparazione.

E per contribuire anch'io, come meglio posso, all'ope-ra comune, pubblico ora questo primo volume di storiaitaliana, nel quale mi occupo delle invasioni barbariche.Non un libro erudito, n scolastico, e neppure di storiagenerale e filosofica, come [xii] il Sacro Romano Imperodel Bryce, o le Rivoluzioni d'Italia del Quinet. I fattidebbono qui essere narrati nella loro cronologica suc-cessione e logica connessione, senza discutere o disser-tare, e, per quanto possibile, senza annoiare. Mi sono,

12

vari periodi della storia d'Italia, sotto i suoi moltepliciaspetti, e con essa anche la storia dei vari popoli civili.Di siffatte collezioni ogni regione d'Europa e gli StatiUniti d'America ne hanno oggi parecchie; perch nonpotremmo, non dovremmo noi averne almeno una? Midecisi quindi a farne la proposta all'egregio editorecomm. Hoepli, che l'accolse con favore, e si poseall'opera.

Due volumi sono gi venuti alla luce. Il primo unanuova edizione del ben noto libro del conte Balzani sul-le cronache italiane, da lui riveduto e corretto. Il secon-do una storia del nostro risorgimento pubblicata dalprof. Orsi del Liceo M. Foscarini di Venezia. Altri trevolumi non tarderanno molto, io spero, a veder la luce.Uno, gi quasi compiuto, del prof. Errera, dell'IstitutoTecnico di Torino, sulla storia delle scoperte geografi-che. Il prof. Salvmini del Liceo Galileo di Firenze, edil prof. Brizzolara dell'Istituto Tecnico di Reggio Cala-bria scrivono sulla storia moderna dell'Europa. Altri vo-lumi sono in preparazione.

E per contribuire anch'io, come meglio posso, all'ope-ra comune, pubblico ora questo primo volume di storiaitaliana, nel quale mi occupo delle invasioni barbariche.Non un libro erudito, n scolastico, e neppure di storiagenerale e filosofica, come [xii] il Sacro Romano Imperodel Bryce, o le Rivoluzioni d'Italia del Quinet. I fattidebbono qui essere narrati nella loro cronologica suc-cessione e logica connessione, senza discutere o disser-tare, e, per quanto possibile, senza annoiare. Mi sono,

12

com' naturale, servito delle opere recentemente pubbli-cate, come quelle del Bury, del Malfatti, del Bertolini,del Dahn, del Mhlbacher, dell'Hartmann2, e pi di tuttedi quella dell'Hodgkin. Non ho trascurato alcuni autoripi antichi come il Gibbon, il Tillemont ed il Muratori,che non invecchia mai; n ho tralasciato di ricorrere allefonti. Ma le citazioni, salvo casi eccezionali, sono di re-gola escluse. Credevo dapprima che lo scrivere questopiccolo volume, che si occupa d'un periodo solo dellastoria d'Italia, quando questa non era anche divisa e sud-divisa, dovesse riuscirmi comparativamente agevole; maho dovuto pur troppo accorgermi che anch'esso era, perme almeno, assai difficile. Non mi sono per mancatiaiuti e consigli preziosi di due dotti colleghi e carissimiamici, i professori Achille Coen ed Alberto Del Vec-chio, ai quali mi grato manifestar pubblicamente lamia vivissima riconoscenza. N posso dimenticare ilgiovane e valoroso professor Luiso, che volle aiutarmirivedendo le bozze di stampa.

Se questi primi volumi incontreranno il favore delpubblico; se esso vorr essere indulgente verso le imper-fezioni inevitabili in un'impresa, che fra di noi [xiii] pudirsi nuova; e se non ci verr meno la cooperazione de-gli studiosi, noi crediamo che la nostra collezione potrriuscire utile alla cultura del paese, ed agevolare nonpoco la via a scrivere sempre meglio quella storia nazio-nale e popolare d'Italia, tanto desiderata e tanto deside-2 Il secondo volume della sua Storia d'Italia, ora pubblicato, non l'ho anche

visto.

13

com' naturale, servito delle opere recentemente pubbli-cate, come quelle del Bury, del Malfatti, del Bertolini,del Dahn, del Mhlbacher, dell'Hartmann2, e pi di tuttedi quella dell'Hodgkin. Non ho trascurato alcuni autoripi antichi come il Gibbon, il Tillemont ed il Muratori,che non invecchia mai; n ho tralasciato di ricorrere allefonti. Ma le citazioni, salvo casi eccezionali, sono di re-gola escluse. Credevo dapprima che lo scrivere questopiccolo volume, che si occupa d'un periodo solo dellastoria d'Italia, quando questa non era anche divisa e sud-divisa, dovesse riuscirmi comparativamente agevole; maho dovuto pur troppo accorgermi che anch'esso era, perme almeno, assai difficile. Non mi sono per mancatiaiuti e consigli preziosi di due dotti colleghi e carissimiamici, i professori Achille Coen ed Alberto Del Vec-chio, ai quali mi grato manifestar pubblicamente lamia vivissima riconoscenza. N posso dimenticare ilgiovane e valoroso professor Luiso, che volle aiutarmirivedendo le bozze di stampa.

Se questi primi volumi incontreranno il favore delpubblico; se esso vorr essere indulgente verso le imper-fezioni inevitabili in un'impresa, che fra di noi [xiii] pudirsi nuova; e se non ci verr meno la cooperazione de-gli studiosi, noi crediamo che la nostra collezione potrriuscire utile alla cultura del paese, ed agevolare nonpoco la via a scrivere sempre meglio quella storia nazio-nale e popolare d'Italia, tanto desiderata e tanto deside-2 Il secondo volume della sua Storia d'Italia, ora pubblicato, non l'ho anche

visto.

13

rabile. Siamo in ogni modo persuasi, che una raccoltaquale noi l'abbiamo ideata oggi non solo utile, ma an-che necessaria al nostro paese pi che ad ogni altro. Ecrediamo che, quando pure fossimo condannati a nonriuscire, l'impresa verrebbe assunta da altri pi fortunatidi noi, perch risponde ad un vero bisogno dell'ora pre-sente. Il materiale storico che si raccolto, e va ognigiorno pi aumentando, immenso; n deve rimanere ilprivilegio e la propriet di pochi dotti, ma deve esserecoordinato e reso accessibile a tutti. Solo cos potremoriuscire ad infondere nel paese la coscienza di ci cheesso fu ed veramente, la cognizione sicura della parteche l'Italia ebbe, di quella che pu e deve oggi averenella storia e nella civilt del mondo.

14

rabile. Siamo in ogni modo persuasi, che una raccoltaquale noi l'abbiamo ideata oggi non solo utile, ma an-che necessaria al nostro paese pi che ad ogni altro. Ecrediamo che, quando pure fossimo condannati a nonriuscire, l'impresa verrebbe assunta da altri pi fortunatidi noi, perch risponde ad un vero bisogno dell'ora pre-sente. Il materiale storico che si raccolto, e va ognigiorno pi aumentando, immenso; n deve rimanere ilprivilegio e la propriet di pochi dotti, ma deve esserecoordinato e reso accessibile a tutti. Solo cos potremoriuscire ad infondere nel paese la coscienza di ci cheesso fu ed veramente, la cognizione sicura della parteche l'Italia ebbe, di quella che pu e deve oggi averenella storia e nella civilt del mondo.

14

[xv]

LE

INVASIONI BARBARICHE

IN ITALIA

15

[xv]

LE

INVASIONI BARBARICHE

IN ITALIA

15

[1]

LIBRO PRIMO

DALLA DECADENZA DELL'IMPERO ROMANO FINO ADODOACRE

CAPITOLO I

La caduta dell'Impero

Perch cadde l'Impero Romano? La risposta che subi-to si presenta questa: i Romani eran corrotti e dallacorruzione infiacchiti; i barbari, pi rozzi, erano anchepi morali e pi forti. Quando passarono il Reno e il Da-nubio, la vittoria non poteva essere dubbia; l'Impero do-veva crollare, una societ nuova doveva formarsi. Maperch mai si corruppe e s'infiacch un popolo, che pertanti secoli era stato l'esempio della disciplina, della vir-t e della forza; che aveva saputo conquistare il mondo?La corruzione non era la causa, era la conseguenza, ilprimo segno della decadenza gi cominciata. L'Impero,che Tito Livio gi vedeva piegarsi sotto il peso della suastessa grandezza, non poteva durare eterno.

Esso aveva formato l'unit civile e morale del mondoantico, la quale era stata necessario apparecchio alla co-stituzione delle nazionalit. Per vivere e prosperare,queste hanno infatti bisogno di essere in relazione fra di

16

[1]

LIBRO PRIMO

DALLA DECADENZA DELL'IMPERO ROMANO FINO ADODOACRE

CAPITOLO I

La caduta dell'Impero

Perch cadde l'Impero Romano? La risposta che subi-to si presenta questa: i Romani eran corrotti e dallacorruzione infiacchiti; i barbari, pi rozzi, erano anchepi morali e pi forti. Quando passarono il Reno e il Da-nubio, la vittoria non poteva essere dubbia; l'Impero do-veva crollare, una societ nuova doveva formarsi. Maperch mai si corruppe e s'infiacch un popolo, che pertanti secoli era stato l'esempio della disciplina, della vir-t e della forza; che aveva saputo conquistare il mondo?La corruzione non era la causa, era la conseguenza, ilprimo segno della decadenza gi cominciata. L'Impero,che Tito Livio gi vedeva piegarsi sotto il peso della suastessa grandezza, non poteva durare eterno.

Esso aveva formato l'unit civile e morale del mondoantico, la quale era stata necessario apparecchio alla co-stituzione delle nazionalit. Per vivere e prosperare,queste hanno infatti bisogno di essere in relazione fra di

16

loro, di sentirsi come parti diverse d'una stessa famiglia.Ma il loro sorgere rendeva impossibile l'esistenza del [2]mondo antico, il quale riconosceva l'assoluto predomi-nio d'una civilt sola, al di fuori della quale tutti eranobarbari. Se perci da una parte, e vista da lontano, la ca-duta dell'Impero ci apparisce come qualche cosa d'ina-spettato e straordinario; da un'altra reca maraviglia inve-ce la sua lunga durata. Sotto una forma o l'altra, noi lovediamo infatti sopravvivere a s stesso in tutto il Me-dio Evo. E pi tardi ancora tenta, sebbene invano, di ri-nascere dalla tomba, prima con Carlo V, poi con Napo-leone I. Il vero che l'unit dell'Europa e la diversit deipopoli che l'abitano sono due fatti innegabili del pari,dai quali risultano le vicende della storia moderna.

Roma era stata una citt, un municipio, che aveva co-minciato col conquistare e romanizzare le popolazionivicine, con esse l'Italia, con l'Italia quasi tutto il mondoallora conosciuto. Ma il dominio d'una citt sola sopraun cos vasto territorio, sopra genti cos diverse, impo-nendo a tutte lo stesso governo, la stessa legislazione, lastessa lingua ufficiale, doveva, con l'estendersi, incon-trare difficolt sempre maggiori. Era stato comparativa-mente facile assimilare le popolazioni romane; mal'Africa, la Spagna, la Rezia, la Gallia resistettero invecesempre pi ostinatamente. E una difficolt nuovas'incontr nell'Asia Minore e nella Grecia, dove per laprima volta i Romani trovarono una civilt superiorealla loro. Conquistato colle armi il paese, furono essiconquistati dalla cultura greca, cui dovettero assimilare

17

loro, di sentirsi come parti diverse d'una stessa famiglia.Ma il loro sorgere rendeva impossibile l'esistenza del [2]mondo antico, il quale riconosceva l'assoluto predomi-nio d'una civilt sola, al di fuori della quale tutti eranobarbari. Se perci da una parte, e vista da lontano, la ca-duta dell'Impero ci apparisce come qualche cosa d'ina-spettato e straordinario; da un'altra reca maraviglia inve-ce la sua lunga durata. Sotto una forma o l'altra, noi lovediamo infatti sopravvivere a s stesso in tutto il Me-dio Evo. E pi tardi ancora tenta, sebbene invano, di ri-nascere dalla tomba, prima con Carlo V, poi con Napo-leone I. Il vero che l'unit dell'Europa e la diversit deipopoli che l'abitano sono due fatti innegabili del pari,dai quali risultano le vicende della storia moderna.

Roma era stata una citt, un municipio, che aveva co-minciato col conquistare e romanizzare le popolazionivicine, con esse l'Italia, con l'Italia quasi tutto il mondoallora conosciuto. Ma il dominio d'una citt sola sopraun cos vasto territorio, sopra genti cos diverse, impo-nendo a tutte lo stesso governo, la stessa legislazione, lastessa lingua ufficiale, doveva, con l'estendersi, incon-trare difficolt sempre maggiori. Era stato comparativa-mente facile assimilare le popolazioni romane; mal'Africa, la Spagna, la Rezia, la Gallia resistettero invecesempre pi ostinatamente. E una difficolt nuovas'incontr nell'Asia Minore e nella Grecia, dove per laprima volta i Romani trovarono una civilt superiorealla loro. Conquistato colle armi il paese, furono essiconquistati dalla cultura greca, cui dovettero assimilare

17

la propria, per diffonderle ambedue nel mondo. E cos,quando l'Impero fu giunto al Reno ed al Danubio, essonon aveva pi nessuna vera unit intrinseca, corrispon-dente a ci che di fuori appariva. Non era uno Stato, nonera una nazione; era un amalgama di popoli diversi, uni-ti insieme dalla forza, e sottomessi alla stessa civilt. Aldi l dei confini c'era un paese vastissimo, abitato da po-polazioni [3] bellicose e barbare, che s'avanzavano mi-nacciose come un fiume che straripa.

Da un tale stato di cose, la societ romana fu profon-damente turbata. E prima di tutto ne fu alterata la costi-tuzione stessa dell'esercito, che era stato lo strumentoprincipale della conquista e della fondazione dell'Impe-ro. Una volta, cos osservava giustamente il Gibbon, glieserciti della Repubblica erano formati di proprietari ecoltivatori del suolo, i quali pigliavano parte alle assem-blee, votavano le leggi di Roma, e la difendevano collearmi. Il benessere della patria era immedesimato colproprio. Una battaglia vinta era la loro fortuna, una bat-taglia perduta era la loro rovina personale. Tutti gl'inte-ressi morali e materiali, consacrati dalla religione, siunivano a fare di essi cittadini e soldati eroici, che dopola guerra tornavano tranquilli e modesti ai loro campi.Chi potrebbe mai supporre che gli abitanti della Rezia,della Spagna, della costa africana potessero combatterecon lo stesso ardore, con la stessa fede, per difendereuna potenza alla quale si sentivano spesso estranei o av-versi? Questi eserciti mandati a difendere confini sem-pre pi estesi, pi lontani e continuamente assaliti, di-

18

la propria, per diffonderle ambedue nel mondo. E cos,quando l'Impero fu giunto al Reno ed al Danubio, essonon aveva pi nessuna vera unit intrinseca, corrispon-dente a ci che di fuori appariva. Non era uno Stato, nonera una nazione; era un amalgama di popoli diversi, uni-ti insieme dalla forza, e sottomessi alla stessa civilt. Aldi l dei confini c'era un paese vastissimo, abitato da po-polazioni [3] bellicose e barbare, che s'avanzavano mi-nacciose come un fiume che straripa.

Da un tale stato di cose, la societ romana fu profon-damente turbata. E prima di tutto ne fu alterata la costi-tuzione stessa dell'esercito, che era stato lo strumentoprincipale della conquista e della fondazione dell'Impe-ro. Una volta, cos osservava giustamente il Gibbon, glieserciti della Repubblica erano formati di proprietari ecoltivatori del suolo, i quali pigliavano parte alle assem-blee, votavano le leggi di Roma, e la difendevano collearmi. Il benessere della patria era immedesimato colproprio. Una battaglia vinta era la loro fortuna, una bat-taglia perduta era la loro rovina personale. Tutti gl'inte-ressi morali e materiali, consacrati dalla religione, siunivano a fare di essi cittadini e soldati eroici, che dopola guerra tornavano tranquilli e modesti ai loro campi.Chi potrebbe mai supporre che gli abitanti della Rezia,della Spagna, della costa africana potessero combatterecon lo stesso ardore, con la stessa fede, per difendereuna potenza alla quale si sentivano spesso estranei o av-versi? Questi eserciti mandati a difendere confini sem-pre pi estesi, pi lontani e continuamente assaliti, di-

18

vennero di necessit eserciti stanziali. Chi era chiamatoa farne parte, abbandonava il luogo nativo, i campi, sene aveva, i quali perci spesso restavano incolti, e rima-neva sotto le bandiere, in paese straniero, fino a che glibastavano le forze. Di qui il bisogno sempre maggiore ele difficolt sempre crescenti di trovar nuove reclute,che bisognava allettare con nuovi privilegi, con paghemaggiori. E quindi l'uso d'accogliere sotto le bandiereperfino gli schiavi, ma sopra tutto i barbari, che ben pre-sto formarono la parte maggiore degli eserciti romani.La guerra divenne cos un mestiere, e la forza delle armirisiedeva pi nella disciplina che nel patriottismo. Puretale era la potenza di questa disciplina, [4] tale il fascinomaraviglioso che il nome sacro di Roma e dell'Imperoesercitava sugli animi, che di elementi cos diversi siriusc a formare un esercito formidabile, il quale, per pisecoli ancora, continu ad operare miracoli.

A mantenere questo esercito numeroso e lontano oc-correvano spese enormi. Era perci necessario d'aggra-vare il paese di tasse. A poco a poco l'occupazione con-tinua della Curia e dei Decurioni nei Municipi si ridussea cavar denari da popolazioni gi dissanguate. Costrettiad essere responsabili di ci che occorreva, anche se icontribuenti non potevano pagarlo, il loro ufficio, unavolta ambito come un onore, divenne un peso da cuiognuno cercava liberarsi, perfino con la fuga, con l'esi-lio volontario. E cos anche qui l'interesse privato, chein altri tempi era immedesimato col pubblico, si trovavaora con esso a conflitto: principio inevitabile di debolez-

19

vennero di necessit eserciti stanziali. Chi era chiamatoa farne parte, abbandonava il luogo nativo, i campi, sene aveva, i quali perci spesso restavano incolti, e rima-neva sotto le bandiere, in paese straniero, fino a che glibastavano le forze. Di qui il bisogno sempre maggiore ele difficolt sempre crescenti di trovar nuove reclute,che bisognava allettare con nuovi privilegi, con paghemaggiori. E quindi l'uso d'accogliere sotto le bandiereperfino gli schiavi, ma sopra tutto i barbari, che ben pre-sto formarono la parte maggiore degli eserciti romani.La guerra divenne cos un mestiere, e la forza delle armirisiedeva pi nella disciplina che nel patriottismo. Puretale era la potenza di questa disciplina, [4] tale il fascinomaraviglioso che il nome sacro di Roma e dell'Imperoesercitava sugli animi, che di elementi cos diversi siriusc a formare un esercito formidabile, il quale, per pisecoli ancora, continu ad operare miracoli.

A mantenere questo esercito numeroso e lontano oc-correvano spese enormi. Era perci necessario d'aggra-vare il paese di tasse. A poco a poco l'occupazione con-tinua della Curia e dei Decurioni nei Municipi si ridussea cavar denari da popolazioni gi dissanguate. Costrettiad essere responsabili di ci che occorreva, anche se icontribuenti non potevano pagarlo, il loro ufficio, unavolta ambito come un onore, divenne un peso da cuiognuno cercava liberarsi, perfino con la fuga, con l'esi-lio volontario. E cos anche qui l'interesse privato, chein altri tempi era immedesimato col pubblico, si trovavaora con esso a conflitto: principio inevitabile di debolez-

19

za e di decadenza morale in tutte le societ.Le continue guerre andarono sempre pi aumentando

il numero degli schiavi. I capi degli eserciti avevano ac-cumulato enormi fortune, al pari dei fornitori di esso, edei governatori delle province. I ricchi divenivano sem-pre pi ricchi, i poveri sempre pi poveri, e l'usura li ri-duceva alla miseria. Questi finivano allora col mettersialla dipendenza dei vasti possessori di terre, sotto formadi coloni pi o meno attaccati alla gleba, pagando un af-fitto sulle terre che erano state gi loro propriet. Nenacque una vera questione agraria-sociale, causa non ul-tima delle guerre civili e della totale decadenza. La clas-se media fu distrutta, e si form quella dei latifondisti,che furono possessori di pi diecine di migliaia di schia-vi, di trenta, di quaranta miglia quadrate di terre, quasid'intiere province. Il latifondo, che di sua natura tendead ingrandirsi, aggregandosi le terre vicine, porta seco lacultura estensiva dei campi, esaurisce la fertilit [5] delsuolo, e ne diminuisce il prodotto. Cos l'Italia non bastpi a se stessa, al suo esercito, anche il grano della Sici-lia essendo scemato. E cominci a dipendere dall'Africa,senza il cui aiuto correva pericolo d'essere affamata.

Tutto il vasto territorio dell'Impero era disseminatod'un gran numero di citt, molte delle quali, colonie ci-vili o militari. Queste citt erano ordinate a similitudinedella capitale, colle loro assemblee, coi loro magistrati,le scuole, i tempii, i bagni, gli acquedotti, le caserme, glianfiteatri. Esse erano congiunte tra di loro da una rete distrade, che fra le opere pi maravigliose di tutta l'anti-

20

za e di decadenza morale in tutte le societ.Le continue guerre andarono sempre pi aumentando

il numero degli schiavi. I capi degli eserciti avevano ac-cumulato enormi fortune, al pari dei fornitori di esso, edei governatori delle province. I ricchi divenivano sem-pre pi ricchi, i poveri sempre pi poveri, e l'usura li ri-duceva alla miseria. Questi finivano allora col mettersialla dipendenza dei vasti possessori di terre, sotto formadi coloni pi o meno attaccati alla gleba, pagando un af-fitto sulle terre che erano state gi loro propriet. Nenacque una vera questione agraria-sociale, causa non ul-tima delle guerre civili e della totale decadenza. La clas-se media fu distrutta, e si form quella dei latifondisti,che furono possessori di pi diecine di migliaia di schia-vi, di trenta, di quaranta miglia quadrate di terre, quasid'intiere province. Il latifondo, che di sua natura tendead ingrandirsi, aggregandosi le terre vicine, porta seco lacultura estensiva dei campi, esaurisce la fertilit [5] delsuolo, e ne diminuisce il prodotto. Cos l'Italia non bastpi a se stessa, al suo esercito, anche il grano della Sici-lia essendo scemato. E cominci a dipendere dall'Africa,senza il cui aiuto correva pericolo d'essere affamata.

Tutto il vasto territorio dell'Impero era disseminatod'un gran numero di citt, molte delle quali, colonie ci-vili o militari. Queste citt erano ordinate a similitudinedella capitale, colle loro assemblee, coi loro magistrati,le scuole, i tempii, i bagni, gli acquedotti, le caserme, glianfiteatri. Esse erano congiunte tra di loro da una rete distrade, che fra le opere pi maravigliose di tutta l'anti-

20

chit. Partendo dal Foro Romano, in mille direzioni di-verse, arrivavano ai confini. Ad ogni cinque o sei migliasi trovava un numero sufficiente di cavalli, per tenerefra loro in pronta comunicazione tutte le parti dell'Impe-ro. La campagna affatto deserta, sparsa qua e l di villeo masserie, era coltivata da schiavi e coloni, che nondifferivano molto fra di loro. La sera si riducevano nellecitt o nelle ville. Anche l'industria, assai limitata, eraaffidata agli schiavi, che arrivarono ad un numero ster-minato. Il Gibbon afferma che ai tempi di Claudio la po-polazione dell'Impero contava 120 milioni, dei quali 60erano schiavi. Ma anche senza dar piena fede a questecifre, certo che pi d'una volta le ribellioni degli schia-vi condussero l'Impero all'orlo dell'abisso.

Alla testa d'una tale societ si trovava un sovrano conassoluto potere, e sotto di lui spadroneggiavano l'eserci-to ed i latifondisti. L'esercito volle ben presto fare e di-sfare, o almeno approvare esso gl'imperatori, dividendo-si qualche volta in partiti, e proclamandone pi d'unonel medesimo tempo; il che fu causa di assai gravi espesso sanguinosi conflitti. I latifondisti avevano i pialti uffici dello Stato, divenuti ereditari nelle loro fami-glie, e [6] si trovavano alla testa d'una numerosa buro-crazia. Abitavano nelle citt insieme con una plebe dinullatenenti oziosi, alla quale, perch non tumultuasse,era necessario far larghe e continue distribuzioni di gra-no, allettandola con spettacoli e giuochi: panem et cir-censes. Se a tutto ci s'aggiunge che in una societ cosvasta, divisa e disorganizzata, quegli stessi barbari che

21

chit. Partendo dal Foro Romano, in mille direzioni di-verse, arrivavano ai confini. Ad ogni cinque o sei migliasi trovava un numero sufficiente di cavalli, per tenerefra loro in pronta comunicazione tutte le parti dell'Impe-ro. La campagna affatto deserta, sparsa qua e l di villeo masserie, era coltivata da schiavi e coloni, che nondifferivano molto fra di loro. La sera si riducevano nellecitt o nelle ville. Anche l'industria, assai limitata, eraaffidata agli schiavi, che arrivarono ad un numero ster-minato. Il Gibbon afferma che ai tempi di Claudio la po-polazione dell'Impero contava 120 milioni, dei quali 60erano schiavi. Ma anche senza dar piena fede a questecifre, certo che pi d'una volta le ribellioni degli schia-vi condussero l'Impero all'orlo dell'abisso.

Alla testa d'una tale societ si trovava un sovrano conassoluto potere, e sotto di lui spadroneggiavano l'eserci-to ed i latifondisti. L'esercito volle ben presto fare e di-sfare, o almeno approvare esso gl'imperatori, dividendo-si qualche volta in partiti, e proclamandone pi d'unonel medesimo tempo; il che fu causa di assai gravi espesso sanguinosi conflitti. I latifondisti avevano i pialti uffici dello Stato, divenuti ereditari nelle loro fami-glie, e [6] si trovavano alla testa d'una numerosa buro-crazia. Abitavano nelle citt insieme con una plebe dinullatenenti oziosi, alla quale, perch non tumultuasse,era necessario far larghe e continue distribuzioni di gra-no, allettandola con spettacoli e giuochi: panem et cir-censes. Se a tutto ci s'aggiunge che in una societ cosvasta, divisa e disorganizzata, quegli stessi barbari che

21

la minacciavano al confine, erano gi in maggioranzafra gli schiavi e nell'esercito, si capir facilmente che or-mai non c'era pi forza umana che potesse evitare unaspaventosa catastrofe.

A tutte queste cause civili, militari, economiche di di-visione e debolezza, s'aggiungeva non ultima la questio-ne religiosa. Il Cristianesimo s'avanzava trionfantedall'Oriente, annunziando il principio di una nuova rive-lazione, d'una nuova vita morale. La sua teologia nasce-va, vero, dall'innesto della filosofia greca col Vangelo;ma esso mirava alla distruzione del Paganesimo, su cuil'Impero era fondato. Il monoteismo era la negazione delpoliteismo; la rivelazione non s'accordava con la filoso-fia antica. Il Cristianesimo condannava la forza e la vio-lenza, proclamava tutti gli uomini, tutti i popoli ugualiinnanzi a Dio, e l'Impero aveva, colla forza e colla vio-lenza, sottomesso tutti i popoli a Roma. Il Cristianesimoinoltre sottoponeva la Citt terrena e degli uomini allaCitt celeste e di Dio. Per esso la vita sociale in questomondo aveva valore solo come apparecchio alla vitad'oltre tomba. La societ, la patria, la gloria, tutto ciper cui Roma era stata grande, per cui aveva vissuto,che pi aveva ammirato, perdeva il suo valore. E cosnon si trattava solo di sostituire una religione adun'altra; si trattava di demolire i principii fondamentalidi una filosofia, di una letteratura, di una civilt intera,di tutto un mondo morale, per sostituirvene un altro. facile immaginarsi qual profondo sovvertimento tuttoci dovesse portare [7] nell'animo dei Romani, quali

22

la minacciavano al confine, erano gi in maggioranzafra gli schiavi e nell'esercito, si capir facilmente che or-mai non c'era pi forza umana che potesse evitare unaspaventosa catastrofe.

A tutte queste cause civili, militari, economiche di di-visione e debolezza, s'aggiungeva non ultima la questio-ne religiosa. Il Cristianesimo s'avanzava trionfantedall'Oriente, annunziando il principio di una nuova rive-lazione, d'una nuova vita morale. La sua teologia nasce-va, vero, dall'innesto della filosofia greca col Vangelo;ma esso mirava alla distruzione del Paganesimo, su cuil'Impero era fondato. Il monoteismo era la negazione delpoliteismo; la rivelazione non s'accordava con la filoso-fia antica. Il Cristianesimo condannava la forza e la vio-lenza, proclamava tutti gli uomini, tutti i popoli ugualiinnanzi a Dio, e l'Impero aveva, colla forza e colla vio-lenza, sottomesso tutti i popoli a Roma. Il Cristianesimoinoltre sottoponeva la Citt terrena e degli uomini allaCitt celeste e di Dio. Per esso la vita sociale in questomondo aveva valore solo come apparecchio alla vitad'oltre tomba. La societ, la patria, la gloria, tutto ciper cui Roma era stata grande, per cui aveva vissuto,che pi aveva ammirato, perdeva il suo valore. E cosnon si trattava solo di sostituire una religione adun'altra; si trattava di demolire i principii fondamentalidi una filosofia, di una letteratura, di una civilt intera,di tutto un mondo morale, per sostituirvene un altro. facile immaginarsi qual profondo sovvertimento tuttoci dovesse portare [7] nell'animo dei Romani, quali

22

profonde ferite vi dovesse lasciare. E si capiscono per-ci le feroci persecuzioni, pi crudeli che mai da partedei migliori e pi convinti imperatori. Ma il sangue deimartiri sembrava solo innaffiare la nuova pianta, per far-la crescere pi rigogliosa. Tutti gli oppressi accoglieva-no con ardore la nuova fede, che valendosi delle vecchieistituzioni romane, fondava una Chiesa universale, laquale s'impadroniva rapidamente di tutta la societ. Ab-batteva gli antichi altari, per costruirne dei nuovi; tra-sformava gli antichi tempii; fondava ospedali, istituti dibeneficenza, scuole, che erano tante fortezze destinate ademolire sempre pi la vecchia societ. La cadutadell'Impero non spaventava punto i Cristiani, perchmenava seco la caduta del Paganesimo. La stessa venutadei barbari, la pi parte gi convertiti, appariva lorocome provvidenziale, perch destinata a punire quelliche ancora adoravano gli Dei falsi e bugiardi, che tene-vano sempre aperto il tempio di Giano.

Che tutto ci portasse un profondo disordine morale,che gli uomini dell'antica societ si abbandonassero alloscetticismo, alla disperazione, ai vizi pi bassi ed osce-ni, non da far maraviglia. Ma pur grande veramentedoveva esser sempre la vitalit dell'Impero, se pot con-tinuare a resistere pi secoli, respingendo l'un dopol'altro i ripetuti assalti delle numerose orde barbariche.Di questa sua vitalit, non solo materiale ma anche mo-rale, fu prova la diffusione e la importanza in esso as-sunta dalla filosofia stoica, che venne di Grecia, maebbe in Roma un suo proprio carattere pratico, col quale

23

profonde ferite vi dovesse lasciare. E si capiscono per-ci le feroci persecuzioni, pi crudeli che mai da partedei migliori e pi convinti imperatori. Ma il sangue deimartiri sembrava solo innaffiare la nuova pianta, per far-la crescere pi rigogliosa. Tutti gli oppressi accoglieva-no con ardore la nuova fede, che valendosi delle vecchieistituzioni romane, fondava una Chiesa universale, laquale s'impadroniva rapidamente di tutta la societ. Ab-batteva gli antichi altari, per costruirne dei nuovi; tra-sformava gli antichi tempii; fondava ospedali, istituti dibeneficenza, scuole, che erano tante fortezze destinate ademolire sempre pi la vecchia societ. La cadutadell'Impero non spaventava punto i Cristiani, perchmenava seco la caduta del Paganesimo. La stessa venutadei barbari, la pi parte gi convertiti, appariva lorocome provvidenziale, perch destinata a punire quelliche ancora adoravano gli Dei falsi e bugiardi, che tene-vano sempre aperto il tempio di Giano.

Che tutto ci portasse un profondo disordine morale,che gli uomini dell'antica societ si abbandonassero alloscetticismo, alla disperazione, ai vizi pi bassi ed osce-ni, non da far maraviglia. Ma pur grande veramentedoveva esser sempre la vitalit dell'Impero, se pot con-tinuare a resistere pi secoli, respingendo l'un dopol'altro i ripetuti assalti delle numerose orde barbariche.Di questa sua vitalit, non solo materiale ma anche mo-rale, fu prova la diffusione e la importanza in esso as-sunta dalla filosofia stoica, che venne di Grecia, maebbe in Roma un suo proprio carattere pratico, col quale

23

tent assumere la direzione della vita, pigliando quasi ilposto della religione. Difficilmente nella storia del mon-do si troverebbe un tentativo pi nobile, pi eroico e pidisperato ad un tempo, di quello fatto dagli stoici. Inmezzo alla unione forzata di tanti popoli, alla [8] fusionee confusione di tante religioni, di tante forme diverse delPaganesimo, che crollava da ogni lato, essi cercarono dirinnovarlo e salvarlo dagli assalti vittoriosi del Cristia-nesimo, fondandosi sul concetto, sul culto della pipura, disinteressata virt. Rinunziando alla speranzad'una vita futura, ad ogni ricompensa in questo onell'altro mondo, disprezzando la gloria presso i posteri,non curando la opinione dei contemporanei, raccoman-davano la virt come fine a s stessa, scopo unico dellavita, come quella che trovava in s ogni compenso,sgorgava spontanea, irresistibile dal cuore dell'uomo. Laserena tranquillit con cui gli stoici affrontavano la mor-te, per difendere la giustizia, parve un momento divenircontagiosa, quasi volessero con una nuova serie d'eroirinnovar la gloria dell'antica Roma. Ma pur troppo nonera che un tentativo filosofico, il quale non poteva esserche l'opera di pochi spiriti eletti. Non era sperabile chepenetrasse nelle moltitudini e le esaltasse, come facevail Cristianesimo, che parlava a tutti e di tutti s'impadro-niva. Pure fu come un baleno, che per breve tempo illu-min di luce vivissima l'Impero, e che pi tardi sembrripetersi novamente colla diffusione del Neoplatonismo,predicato da Plotino e da Porfirio.

Marco Aurelio fu la vivente e pi splendida personifi-

24

tent assumere la direzione della vita, pigliando quasi ilposto della religione. Difficilmente nella storia del mon-do si troverebbe un tentativo pi nobile, pi eroico e pidisperato ad un tempo, di quello fatto dagli stoici. Inmezzo alla unione forzata di tanti popoli, alla [8] fusionee confusione di tante religioni, di tante forme diverse delPaganesimo, che crollava da ogni lato, essi cercarono dirinnovarlo e salvarlo dagli assalti vittoriosi del Cristia-nesimo, fondandosi sul concetto, sul culto della pipura, disinteressata virt. Rinunziando alla speranzad'una vita futura, ad ogni ricompensa in questo onell'altro mondo, disprezzando la gloria presso i posteri,non curando la opinione dei contemporanei, raccoman-davano la virt come fine a s stessa, scopo unico dellavita, come quella che trovava in s ogni compenso,sgorgava spontanea, irresistibile dal cuore dell'uomo. Laserena tranquillit con cui gli stoici affrontavano la mor-te, per difendere la giustizia, parve un momento divenircontagiosa, quasi volessero con una nuova serie d'eroirinnovar la gloria dell'antica Roma. Ma pur troppo nonera che un tentativo filosofico, il quale non poteva esserche l'opera di pochi spiriti eletti. Non era sperabile chepenetrasse nelle moltitudini e le esaltasse, come facevail Cristianesimo, che parlava a tutti e di tutti s'impadro-niva. Pure fu come un baleno, che per breve tempo illu-min di luce vivissima l'Impero, e che pi tardi sembrripetersi novamente colla diffusione del Neoplatonismo,predicato da Plotino e da Porfirio.

Marco Aurelio fu la vivente e pi splendida personifi-

24

cazione dello Stoicismo, il quale sal con lui sul tronoimperiale. Indifferente alla gloria, disprezzatore d'ognimateriale ed appariscente grandezza, amico della giusti-zia e della virt, era nemico della guerra. Ma quando iconfini dell'Impero furono minacciati dai Marcomanni,che insieme con altri barbari avevano passato il Danu-bio, egli assunse il comando dell'esercito, e combatten-do fino alla morte con valore di gran capitano, li respin-se e disfece. N durante il conflitto tralasci le sue me-ditazioni filosofiche; ma ritirandosi la sera nella tenda,continuava a [9] scrivere quei Pensieri che rimasero im-mortali. Nessuno, dice il Renan, scrisse mai con ugualesemplicit, per solo suo uso, senza volere altri testimoniche Dio. Il suo pensiero morale, puro, libero da ogni le-game sistematico o dommatico, si sollev ad un'altezzache non fu mai superata. Ed il suo libro, il pi puramen-te umano che sia stato mai scritto, visse d'una eternagiovinezza. N egli fu il solo dei veramente grandi Im-peratori. Dalla morte di Domiziano all'ascensione diCommodo al trono (96-180 d. C.), noi troviamo, conNerva, Traiano e i due Antonini, una serie di sovrani cherappresentano la giustizia, la sapienza e la virt chiama-te a governare il mondo. Il Machiavelli, repubblicano,aspro nemico di Cesare, esaltato lodatore di Bruto, pieno della pi entusiastica ammirazione per quel perio-do dell'Impero. Il Gibbon afferma, che se gli fosse chie-sto, in qual tempo mai, durante tutta la storia del mondo,il genere umano fu pi felice, non saprebbe indicarne unaltro. Ma egli, che qui appunto sorvola pi che mai sulle

25

cazione dello Stoicismo, il quale sal con lui sul tronoimperiale. Indifferente alla gloria, disprezzatore d'ognimateriale ed appariscente grandezza, amico della giusti-zia e della virt, era nemico della guerra. Ma quando iconfini dell'Impero furono minacciati dai Marcomanni,che insieme con altri barbari avevano passato il Danu-bio, egli assunse il comando dell'esercito, e combatten-do fino alla morte con valore di gran capitano, li respin-se e disfece. N durante il conflitto tralasci le sue me-ditazioni filosofiche; ma ritirandosi la sera nella tenda,continuava a [9] scrivere quei Pensieri che rimasero im-mortali. Nessuno, dice il Renan, scrisse mai con ugualesemplicit, per solo suo uso, senza volere altri testimoniche Dio. Il suo pensiero morale, puro, libero da ogni le-game sistematico o dommatico, si sollev ad un'altezzache non fu mai superata. Ed il suo libro, il pi puramen-te umano che sia stato mai scritto, visse d'una eternagiovinezza. N egli fu il solo dei veramente grandi Im-peratori. Dalla morte di Domiziano all'ascensione diCommodo al trono (96-180 d. C.), noi troviamo, conNerva, Traiano e i due Antonini, una serie di sovrani cherappresentano la giustizia, la sapienza e la virt chiama-te a governare il mondo. Il Machiavelli, repubblicano,aspro nemico di Cesare, esaltato lodatore di Bruto, pieno della pi entusiastica ammirazione per quel perio-do dell'Impero. Il Gibbon afferma, che se gli fosse chie-sto, in qual tempo mai, durante tutta la storia del mondo,il genere umano fu pi felice, non saprebbe indicarne unaltro. Ma egli, che qui appunto sorvola pi che mai sulle

25

crudeli persecuzioni dei Cristiani, per parte d'alcuni diquesti medesimi imperatori, pur costretto ad aggiunge-re, che tutto dipendeva allora dalla volont d'un uomosolo e dall'esercito. Infatti prima e dopo di tali imperato-ri, ve ne furon dei pessimi. E subito le forze disorganiz-zatrici, che solo per breve tempo poterono rimanere la-tenti, si scatenarono, portando alla superficie quella cor-ruzione e decomposizione sociale, che non poteva piessere fermata, e che doveva inesorabilmente aprire lavia ai barbari.

[10]CAPITOLO II

I Barbari

L'assalto improvviso che nel 114 a. C. dettero i Cim-bri, i quali si avanzarono con un impeto inaspettato, di-sfacendo ripetutamente i Romani, apr a questi la primavolta gli occhi sul pericolo che li minacciava dalla Ger-mania. C. Mario, vero, in due grandi battaglie (102 e101 a. C.), li disfece compiutamente, e per circa mezzosecolo i confini rimasero tranquilli. Ma Giulio Cesare,dopo molte vittorie, si trov anch'esso di fronte ad unesercito germanico, comandato da Ariovisto che, passa-to il Reno, era penetrato nella Gallia, combattendo valo-rosamente. Cesare lo disfece e lo insegu al di l del fiu-me. Ma ivi trov come un mondo nuovo: un popolo nu-meroso, bellicoso e quasi nomade; una societ in tutto

26

crudeli persecuzioni dei Cristiani, per parte d'alcuni diquesti medesimi imperatori, pur costretto ad aggiunge-re, che tutto dipendeva allora dalla volont d'un uomosolo e dall'esercito. Infatti prima e dopo di tali imperato-ri, ve ne furon dei pessimi. E subito le forze disorganiz-zatrici, che solo per breve tempo poterono rimanere la-tenti, si scatenarono, portando alla superficie quella cor-ruzione e decomposizione sociale, che non poteva piessere fermata, e che doveva inesorabilmente aprire lavia ai barbari.

[10]CAPITOLO II

I Barbari

L'assalto improvviso che nel 114 a. C. dettero i Cim-bri, i quali si avanzarono con un impeto inaspettato, di-sfacendo ripetutamente i Romani, apr a questi la primavolta gli occhi sul pericolo che li minacciava dalla Ger-mania. C. Mario, vero, in due grandi battaglie (102 e101 a. C.), li disfece compiutamente, e per circa mezzosecolo i confini rimasero tranquilli. Ma Giulio Cesare,dopo molte vittorie, si trov anch'esso di fronte ad unesercito germanico, comandato da Ariovisto che, passa-to il Reno, era penetrato nella Gallia, combattendo valo-rosamente. Cesare lo disfece e lo insegu al di l del fiu-me. Ma ivi trov come un mondo nuovo: un popolo nu-meroso, bellicoso e quasi nomade; una societ in tutto

26

profondamente diversa dalla romana; un clima assai ri-gido; un suolo pieno di paludi e di boschi, senza possi-bilit di approvvigionamenti, infesto all'avanzarsi d'unesercito romano. Col suo sguardo penetrante, col suogrande senno pratico, cap subito, che non era il caso dipensare ad una stabile conquista, molto meno a roma-nizzare quelle genti, e si ritir novamente al di qua delReno.

Dopo la sua morte, i Romani non imitarono la pru-denza del valoroso capitano. Ripassarono il Reno, pene-trarono nel cuore della Germania; vi portarono le loroleggi, la loro amministrazione, le loro tasse. E la conse-guenza fu una tremenda insurrezione capitanata da Ar-minio, che distrusse un esercito di tre legioni. Il consoleVaro ed i principali suoi ufficiali, per non sopravvivereal disastro e al disonore, si dettero la morte (9 d. C.). Ar-minio era stato educato nell'esercito romano; [11] insie-me col fratello aveva in esso valorosamente combattuto,ed era stato colmato di onori. Ad un tratto, tornato fra isuoi, messosi alla testa della insurrezione, aveva trattoin agguato gli antichi commilitoni, dei quali si fingevasempre amico, e si era scagliato contro di essi con unimpeto addirittura feroce. I prigionieri romani furonomutilati, impiccati, trucidati. A molti furono cavati gliocchi, fu strappata la lingua, insultandoli con ogni spe-cie d'ingiurie pi sanguinose. Venne perfino disseppelli-to il cadavere del Console, per poterlo insultare. AncheMarbodio, capo dei Marcomanni e nemico di Arminio,che aveva cercato di fondare un regno a similitudine

27

profondamente diversa dalla romana; un clima assai ri-gido; un suolo pieno di paludi e di boschi, senza possi-bilit di approvvigionamenti, infesto all'avanzarsi d'unesercito romano. Col suo sguardo penetrante, col suogrande senno pratico, cap subito, che non era il caso dipensare ad una stabile conquista, molto meno a roma-nizzare quelle genti, e si ritir novamente al di qua delReno.

Dopo la sua morte, i Romani non imitarono la pru-denza del valoroso capitano. Ripassarono il Reno, pene-trarono nel cuore della Germania; vi portarono le loroleggi, la loro amministrazione, le loro tasse. E la conse-guenza fu una tremenda insurrezione capitanata da Ar-minio, che distrusse un esercito di tre legioni. Il consoleVaro ed i principali suoi ufficiali, per non sopravvivereal disastro e al disonore, si dettero la morte (9 d. C.). Ar-minio era stato educato nell'esercito romano; [11] insie-me col fratello aveva in esso valorosamente combattuto,ed era stato colmato di onori. Ad un tratto, tornato fra isuoi, messosi alla testa della insurrezione, aveva trattoin agguato gli antichi commilitoni, dei quali si fingevasempre amico, e si era scagliato contro di essi con unimpeto addirittura feroce. I prigionieri romani furonomutilati, impiccati, trucidati. A molti furono cavati gliocchi, fu strappata la lingua, insultandoli con ogni spe-cie d'ingiurie pi sanguinose. Venne perfino disseppelli-to il cadavere del Console, per poterlo insultare. AncheMarbodio, capo dei Marcomanni e nemico di Arminio,che aveva cercato di fondare un regno a similitudine

27

delle istituzioni dei Romani, dai quali era stato educato,e dei quali si dichiarava fido alleato, venuta l'ora del pe-ricolo, si manifest nemico aperto. Da tutto ci apparivaevidente, che nelle popolazioni germaniche v'era unodio istintivo, inestinguibile contro i Romani; che n ibenefizi, n la educazione o la disciplina militare pote-vano in modo alcuno estinguere. Germanico fu mandatoa vendicare la disfatta di Varo, ma le vittorie del valoro-so capitano furono pagate ad assai caro prezzo. Nel cli-ma, nei boschi, nelle paludi, pi di tutto nell'odio persi-stente delle popolazioni, trov ostacoli sempre maggio-ri. Una formidabile tempesta, distrusse una parte nonpiccola dell'esercito, che si ritirava dalla parte del mare.

Negli ultimi anni della sua vita, Augusto si era per-suaso che l'Impero doveva fermarsi al Reno ed al Danu-bio, senza pensare a nuove conquiste, e lo raccomandnel suo testamento. Lungo i due fiumi venne infatti co-struita una linea di fortificazioni, e l'Impero si attennegeneralmente al savio programma. Solo Traiano, lascia-tosi vincere dall'ambizione della gloria, pass il Danu-bio, avanzandosi vittoriosamente. E se pi tardi, rinsavi-to [12] anch'esso, torn indietro, la Dacia, al di l del fiu-me, rest sempre provincia romana, il che fu un graveerrore, come poi si vide. Infatti la difesa del Danubio,che facilmente si poteva fortificare, venne trascurata,perch esso non segnava pi i confini dell'Impero, ches'erano portati innanzi fino alla Dacia orientale, dovenon era ugualmente agevole fortificarli. Tuttavia, percirca duecentocinquant'anni dopo la disfatta di Varo, gli

28

delle istituzioni dei Romani, dai quali era stato educato,e dei quali si dichiarava fido alleato, venuta l'ora del pe-ricolo, si manifest nemico aperto. Da tutto ci apparivaevidente, che nelle popolazioni germaniche v'era unodio istintivo, inestinguibile contro i Romani; che n ibenefizi, n la educazione o la disciplina militare pote-vano in modo alcuno estinguere. Germanico fu mandatoa vendicare la disfatta di Varo, ma le vittorie del valoro-so capitano furono pagate ad assai caro prezzo. Nel cli-ma, nei boschi, nelle paludi, pi di tutto nell'odio persi-stente delle popolazioni, trov ostacoli sempre maggio-ri. Una formidabile tempesta, distrusse una parte nonpiccola dell'esercito, che si ritirava dalla parte del mare.

Negli ultimi anni della sua vita, Augusto si era per-suaso che l'Impero doveva fermarsi al Reno ed al Danu-bio, senza pensare a nuove conquiste, e lo raccomandnel suo testamento. Lungo i due fiumi venne infatti co-struita una linea di fortificazioni, e l'Impero si attennegeneralmente al savio programma. Solo Traiano, lascia-tosi vincere dall'ambizione della gloria, pass il Danu-bio, avanzandosi vittoriosamente. E se pi tardi, rinsavi-to [12] anch'esso, torn indietro, la Dacia, al di l del fiu-me, rest sempre provincia romana, il che fu un graveerrore, come poi si vide. Infatti la difesa del Danubio,che facilmente si poteva fortificare, venne trascurata,perch esso non segnava pi i confini dell'Impero, ches'erano portati innanzi fino alla Dacia orientale, dovenon era ugualmente agevole fortificarli. Tuttavia, percirca duecentocinquant'anni dopo la disfatta di Varo, gli

28

assalti dei barbari vennero sempre vittoriosamente re-spinti. Questa difesa anzi fu la costante occupazionedell'Impero, e quasi la sua principale ragione di essere.

Ma chi erano, che cosa volevano questi barbari, cheassalivano con tanta persistenza? Vissuti una volta,come generalmente ammesso, nell'Asia, insieme concoloro che pi tardi furono i Greci ed i Romani, aveva-no con essi fatto parte di quella che venne dai modernichiamata la famiglia ariana. Dopo un periodo di vita incomune, si divisero, partendo per direzioni diverse. Ilclima pi mite, il suolo pi fertile, la posizione geografi-ca pi fortunata, la vicinanza dei Fenici e degli Egiziani,fecero fare un rapido progresso a quelli tra di essi cheandarono nella Grecia e nell'Italia. Lo stesso non potevaseguire in Germania, dove invece, per le avverse condi-zioni del suolo e del clima, per il nessun contatto conpopoli civili, s'and formando, in un periodo di molti se-coli, una societ affatto diversa, che ai Romani potevaapparire di selvaggi. Non erano per selvaggi, ma bar-bari, e per poco che fossero mutate le condizioni in cuisi trovavano, potevano, al contatto colla civilt, comepoi avvenne, progredire rapidamente.

Giulio Cesare il primo che ci dia su di essi qualchenotizia precisa. Li trov, esso dice, in uno stato semino-made, con un'agricoltura affatto primitiva. Vivevanodella caccia, della pesca, sopra tutto del prodotto degli[13] armenti, loro cura principale. Il latte, la carne, il for-maggio erano il loro cibo consueto. Adoravano il sole,la luna, il fuoco, le forze della natura, tutto ci che vede-

29

assalti dei barbari vennero sempre vittoriosamente re-spinti. Questa difesa anzi fu la costante occupazionedell'Impero, e quasi la sua principale ragione di essere.

Ma chi erano, che cosa volevano questi barbari, cheassalivano con tanta persistenza? Vissuti una volta,come generalmente ammesso, nell'Asia, insieme concoloro che pi tardi furono i Greci ed i Romani, aveva-no con essi fatto parte di quella che venne dai modernichiamata la famiglia ariana. Dopo un periodo di vita incomune, si divisero, partendo per direzioni diverse. Ilclima pi mite, il suolo pi fertile, la posizione geografi-ca pi fortunata, la vicinanza dei Fenici e degli Egiziani,fecero fare un rapido progresso a quelli tra di essi cheandarono nella Grecia e nell'Italia. Lo stesso non potevaseguire in Germania, dove invece, per le avverse condi-zioni del suolo e del clima, per il nessun contatto conpopoli civili, s'and formando, in un periodo di molti se-coli, una societ affatto diversa, che ai Romani potevaapparire di selvaggi. Non erano per selvaggi, ma bar-bari, e per poco che fossero mutate le condizioni in cuisi trovavano, potevano, al contatto colla civilt, comepoi avvenne, progredire rapidamente.

Giulio Cesare il primo che ci dia su di essi qualchenotizia precisa. Li trov, esso dice, in uno stato semino-made, con un'agricoltura affatto primitiva. Vivevanodella caccia, della pesca, sopra tutto del prodotto degli[13] armenti, loro cura principale. Il latte, la carne, il for-maggio erano il loro cibo consueto. Adoravano il sole,la luna, il fuoco, le forze della natura, tutto ci che vede-

29

vano, e da cui ricevevano benefizio. Pieni di grossolanesuperstizioni, di costumi crudeli, non avevano ancora unordine sacerdotale. Ma il fatto che sopra tutti richiamla sua attenzione, si fu il vedere che queste popolazioni,in continuo moto, non conoscevano la propriet privatadella terra, la quale era invece posseduta collettivamentedai villaggi, anzi dalle parentele, Cognationes comeesso le chiamava, Sippen come le dicono i Tedeschi.Appena si fermavano, i Magistrati o sia i loro capi, divi-devano fra di esse il terreno occupato. E dopo un anno,le costringevano ad andare altrove, dividendo di nuovo,nello stesso modo, il terreno. Le case erano specie di ca-panne da potersi facilmente decomporre e trasportare,come propriet mobile, sui carri, colle masserizie, coivecchi ed i fanciulli. Era un genere di vita che educavamirabilmente alle armi. La caccia, le razze, le guerrecoi vicini, per acquistar nuove terre, erano la loro occu-pazione continua, il bisogno costante d'una gente, laquale con la sua rozza agricoltura esauriva subito il ter-reno che aveva occupato. Cesare rest assai maraviglia-to in presenza d'un genere di vita tanto diverso da quellodei Romani, e ne chiese spiegazione agli stessi barbari.Gli risposero, che vivevano a quel modo, perch unatroppo assidua cura dei campi non li dissuefacesse dallaguerra, ed una costruzione pi accurata e solida dellecase, non li rendesse inabili a sopportare il freddo ed ilcaldo. Ed ancora perch la disuguaglianza delle fortunee l'avidit del possedere non arricchisse i potenti, spo-gliando i deboli; si evitasse quella cupidigia da cui han-

30

vano, e da cui ricevevano benefizio. Pieni di grossolanesuperstizioni, di costumi crudeli, non avevano ancora unordine sacerdotale. Ma il fatto che sopra tutti richiamla sua attenzione, si fu il vedere che queste popolazioni,in continuo moto, non conoscevano la propriet privatadella terra, la quale era invece posseduta collettivamentedai villaggi, anzi dalle parentele, Cognationes comeesso le chiamava, Sippen come le dicono i Tedeschi.Appena si fermavano, i Magistrati o sia i loro capi, divi-devano fra di esse il terreno occupato. E dopo un anno,le costringevano ad andare altrove, dividendo di nuovo,nello stesso modo, il terreno. Le case erano specie di ca-panne da potersi facilmente decomporre e trasportare,come propriet mobile, sui carri, colle masserizie, coivecchi ed i fanciulli. Era un genere di vita che educavamirabilmente alle armi. La caccia, le razze, le guerrecoi vicini, per acquistar nuove terre, erano la loro occu-pazione continua, il bisogno costante d'una gente, laquale con la sua rozza agricoltura esauriva subito il ter-reno che aveva occupato. Cesare rest assai maraviglia-to in presenza d'un genere di vita tanto diverso da quellodei Romani, e ne chiese spiegazione agli stessi barbari.Gli risposero, che vivevano a quel modo, perch unatroppo assidua cura dei campi non li dissuefacesse dallaguerra, ed una costruzione pi accurata e solida dellecase, non li rendesse inabili a sopportare il freddo ed ilcaldo. Ed ancora perch la disuguaglianza delle fortunee l'avidit del possedere non arricchisse i potenti, spo-gliando i deboli; si evitasse quella cupidigia da cui han-

30

no origine le fazioni e le guerre civili; si mantenesse conla equit soddisfatta la plebe, che vedeva [14] i suoicampi uguali a quelli dei pi potenti.3. difficile credereche questo fosse proprio il linguaggio dei barbari. Ma di certo il concetto che pi o meno sorgeva allora in tut-ti, paragonando la societ romana alla barbarica.

Ed il concetto che domina anche pi esplicitamentenella Germania di Tacito, la fonte principale che abbia-mo, per conoscere un po' pi da vicino quelle popolazio-ni. Le notizie che ci d Cesare sono poche e frammenta-rie, ma chiare e precise, suggerite dalla sua osservazio-ne, dalla sua esperienza personale. Tacito invece ci daddirittura un breve trattato sul paese. Non sappiamocon certezza se egli lo avesse davvero visitato. In ognimodo ne vide, se mai, una piccola parte, e le notizie checi d sono il pi delle volte di seconda mano, cavate daCesare, che egli chiama summus auctor, e da altri, cheerano stati oltre Reno. A ci si aggiunge, che il suoscritto ha uno scopo, anzi una tendenza politica e moralevisibilissima. Egli s'era persuaso (simile in ci agli scrit-tori del secolo XVIII) che i popoli primitivi, pi viciniallo stato di natura, sono perci, come erano stati gli an-tichi Romani, pi puri, pi onesti e valorosi di quelli cheuna civilt raffinata ed artificiale ha corrotti, come eraseguito ai Romani del suo tempo. Ispirato da un ardentepatriottismo, con un sentimento quasi profetico della ro-vina che minacciava l'Impero, voleva scongiurarla col

3 De bello gallico, IV, 1; V, 22; VI, 21 e 22.

31

no origine le fazioni e le guerre civili; si mantenesse conla equit soddisfatta la plebe, che vedeva [14] i suoicampi uguali a quelli dei pi potenti.3. difficile credereche questo fosse proprio il linguaggio dei barbari. Ma di certo il concetto che pi o meno sorgeva allora in tut-ti, paragonando la societ romana alla barbarica.

Ed il concetto che domina anche pi esplicitamentenella Germania di Tacito, la fonte principale che abbia-mo, per conoscere un po' pi da vicino quelle popolazio-ni. Le notizie che ci d Cesare sono poche e frammenta-rie, ma chiare e precise, suggerite dalla sua osservazio-ne, dalla sua esperienza personale. Tacito invece ci daddirittura un breve trattato sul paese. Non sappiamocon certezza se egli lo avesse davvero visitato. In ognimodo ne vide, se mai, una piccola parte, e le notizie checi d sono il pi delle volte di seconda mano, cavate daCesare, che egli chiama summus auctor, e da altri, cheerano stati oltre Reno. A ci si aggiunge, che il suoscritto ha uno scopo, anzi una tendenza politica e moralevisibilissima. Egli s'era persuaso (simile in ci agli scrit-tori del secolo XVIII) che i popoli primitivi, pi viciniallo stato di natura, sono perci, come erano stati gli an-tichi Romani, pi puri, pi onesti e valorosi di quelli cheuna civilt raffinata ed artificiale ha corrotti, come eraseguito ai Romani del suo tempo. Ispirato da un ardentepatriottismo, con un sentimento quasi profetico della ro-vina che minacciava l'Impero, voleva scongiurarla col

3 De bello gallico, IV, 1; V, 22; VI, 21 e 22.

31

ricondurre i suoi connazionali all'antica virt. E quindidescriveva con entusiasmo, esaltava, idealizzava la vita,i costumi dei barbari. Egli certo un grande storico epensatore; ma, a differenza di Cesare, sempre chiaro, so-brio e preciso, anche un manierista, il cui stile vigoro-so, ma spesso anche oscuro, si presta a [15] molte e di-verse interpetrazioni. Ci ha dato luogo a dispute infini-te, massime quando egli non va pienamente d'accordocon Cesare, il che gli succede spesso. Ma siffatte diver-genze hanno un'assai facile spiegazione. Tacito scrivevaun secolo e mezzo dopo di Cesare, ed a suo tempo laGermania s'era non poco mutata. Il lungo contatto avutodai barbari coi Romani, l'avere in questo mezzo trovatochiuso il passaggio del Reno e del Danubio, quando for-se altre popolazioni li sospingevano dall'oriente, tuttoquesto cominci a rendere impossibile quella vita semi-nomade dei tempi di Cesare, e li costrinse a prenderesulla terra occupata una dimora, in parte almeno, pistabile.

Comunque sia di ci, Tacito descrive anch'esso gliabitanti della Germania in uno stato di barbarie, ignaridelle lettere dell'alfabeto, con scarsa conoscenza dei me-talli, tanto che ne facevano poco uso anche nelle armi;con nessuna conoscenza della moneta, della quale sola-mente coloro che erano ai confini avevano appreso l'usodai Romani. Occupati anch'essi, come i loro antenati,principalmente nella caccia e nella guerra, lasciavanoper quanto potevano la cura della casa e la cultura deicampi alle donne ed ai vecchi. Si cibavano tuttavia, pi

32

ricondurre i suoi connazionali all'antica virt. E quindidescriveva con entusiasmo, esaltava, idealizzava la vita,i costumi dei barbari. Egli certo un grande storico epensatore; ma, a differenza di Cesare, sempre chiaro, so-brio e preciso, anche un manierista, il cui stile vigoro-so, ma spesso anche oscuro, si presta a [15] molte e di-verse interpetrazioni. Ci ha dato luogo a dispute infini-te, massime quando egli non va pienamente d'accordocon Cesare, il che gli succede spesso. Ma siffatte diver-genze hanno un'assai facile spiegazione. Tacito scrivevaun secolo e mezzo dopo di Cesare, ed a suo tempo laGermania s'era non poco mutata. Il lungo contatto avutodai barbari coi Romani, l'avere in questo mezzo trovatochiuso il passaggio del Reno e del Danubio, quando for-se altre popolazioni li sospingevano dall'oriente, tuttoquesto cominci a rendere impossibile quella vita semi-nomade dei tempi di Cesare, e li costrinse a prenderesulla terra occupata una dimora, in parte almeno, pistabile.

Comunque sia di ci, Tacito descrive anch'esso gliabitanti della Germania in uno stato di barbarie, ignaridelle lettere dell'alfabeto, con scarsa conoscenza dei me-talli, tanto che ne facevano poco uso anche nelle armi;con nessuna conoscenza della moneta, della quale sola-mente coloro che erano ai confini avevano appreso l'usodai Romani. Occupati anch'essi, come i loro antenati,principalmente nella caccia e nella guerra, lasciavanoper quanto potevano la cura della casa e la cultura deicampi alle donne ed ai vecchi. Si cibavano tuttavia, pi

32

che altro, del prodotto dei loro armenti. Conoscevano ilfrumento e ne cavavano una bevanda, che usavano inve-ce del vino. Temperati in tutto, meno che nel bere e nelgiuoco, non vestivano pi di sole pelli, ma usavanomantelli di lana. Le loro antiche divinit avevano co-minciato ad assumere una forma personale, e Tacito cer-ca assomigliarle alle romane. Il Tius (Dyaus vedico),Dio supremo del cielo luminoso, divenuto, pel caratterebellicoso del popolo, anche Dio della guerra, da luiconfuso con Marte, e messo perci in secondo luogo; inprimo egli pone invece Wuotan (l'Odino dell'Edda), ilDio dell'aria e delle tempeste, che [16] chiama Mercurio.Donar,4 figlio di Wuotan, Dio dei fulmini e dei tuoni,dotato di forza prodigiosa, confuso ora con Ercole, oracon Giove. Queste e le altre poche divinit hanno pas-sioni umane, lottano fra di loro, si mescolano alle quere-le degli uomini. Ad esse s'aggiungeva una quantit didemoni, che popolavano l'aria, la terra, l'acqua, i boschi,i monti. Un ordine sacerdotale, che Cesare non avevatrovato, si era adesso gi formato. Per placare le loro di-vinit, i barbari usavano anche sacrifizi umani. E quindinon si pu credere a ci che Tacito dice poco dopo, checio essi non costruivano tempii ai loro Dei, quasi pernon profanarli con un culto materiale, adorandoli inve-ce, come in ispirito, nei boschi, quali esseri invisibili e4 Questi nomi si riscontrano in quelli dei giorni, nell'italiano, nell'inglese e

nel tedesco. Come da Marte venne Marted, cos da Tius o Dyaus venneroTuesday e Dienstag. Come da Mercurio venne Mercoled, cos da Wuotanvenne Wednesday. Da Giove si ebbe Gioved, e da Donar, Donnerstag eThursday.

33

che altro, del prodotto dei loro armenti. Conoscevano ilfrumento e ne cavavano una bevanda, che usavano inve-ce del vino. Temperati in tutto, meno che nel bere e nelgiuoco, non vestivano pi di sole pelli, ma usavanomantelli di lana. Le loro antiche divinit avevano co-minciato ad assumere una forma personale, e Tacito cer-ca assomigliarle alle romane. Il Tius (Dyaus vedico),Dio supremo del cielo luminoso, divenuto, pel caratterebellicoso del popolo, anche Dio della guerra, da luiconfuso con Marte, e messo perci in secondo luogo; inprimo egli pone invece Wuotan (l'Odino dell'Edda), ilDio dell'aria e delle tempeste, che [16] chiama Mercurio.Donar,4 figlio di Wuotan, Dio dei fulmini e dei tuoni,dotato di forza prodigiosa, confuso ora con Ercole, oracon Giove. Queste e le altre poche divinit hanno pas-sioni umane, lottano fra di loro, si mescolano alle quere-le degli uomini. Ad esse s'aggiungeva una quantit didemoni, che popolavano l'aria, la terra, l'acqua, i boschi,i monti. Un ordine sacerdotale, che Cesare non avevatrovato, si era adesso gi formato. Per placare le loro di-vinit, i barbari usavano anche sacrifizi umani. E quindinon si pu credere a ci che Tacito dice poco dopo, checio essi non costruivano tempii ai loro Dei, quasi pernon profanarli con un culto materiale, adorandoli inve-ce, come in ispirito, nei boschi, quali esseri invisibili e4 Questi nomi si riscontrano in quelli dei giorni, nell'italiano, nell'inglese e

nel tedesco. Come da Marte venne Marted, cos da Tius o Dyaus venneroTuesday e Dienstag. Come da Mercurio venne Mercoled, cos da Wuotanvenne Wednesday. Da Giove si ebbe Gioved, e da Donar, Donnerstag eThursday.

33

presenti5.Questi barbari, come gi accennammo, avevano ora

preso dimora alquanto pi stabile sulle terre che occupa-vano. Ma non conoscevano ancora le citt, che ad essisembravano prigioni, nelle quali anche i pi feroci ani-mali si sarebbero infiacchiti.6 Le case non erano pimobili capanne di solo legno; ma l'uso del cemento e deimattoni era sempre ignoto. Poste, come anche oggi ve-diamo nei villaggi della Svizzera, del Tirolo, della Ger-mania, le une separate dalle altre, eran circondate dapiccoli orti, che insieme con esse appartenevano alla fa-miglia che vi abitava7. E qui si pu notare un primo pas-so verso la propriet privata, immobiliare. La terra rima-neva per sempre propriet collettiva del [17] villaggiodivenuto pi stabile. Non si mutava luogo ogni anno,ma solo quando la necessit di emigrare lo imponeva,sia che fosse del tutto esaurita la fertilit dei campi, eche perci non bastassero pi alla popolazione, sia chele conseguenze di qualche guerra sfortunata costringes-sero a cercare altra sede. Ma dentro il territorio occupatodal villaggio, o come alcuni dicono la Marca, la muta-zione era continua. In che modo poi la terra occupatavenisse divisa, e la cultura si avvicendasse, e le famigliemutassero il terreno che coltivavano, Tacito lo accennain un luogo, che dei pi oscuri, interpetrato perci innon meno di sei modi diversi. E la confusione delle

5 Germania, 5, 6, 15, 17, 19.6 Historiae, IV, 64.7 Germania, 16.

34

presenti5.Questi barbari, come gi accennammo, avevano ora

preso dimora alquanto pi stabile sulle terre che occupa-vano. Ma non conoscevano ancora le citt, che ad essisembravano prigioni, nelle quali anche i pi feroci ani-mali si sarebbero infiacchiti.6 Le case non erano pimobili capanne di solo legno; ma l'uso del cemento e deimattoni era sempre ignoto. Poste, come anche oggi ve-diamo nei villaggi della Svizzera, del Tirolo, della Ger-mania, le une separate dalle altre, eran circondate dapiccoli orti, che insieme con esse appartenevano alla fa-miglia che vi abitava7. E qui si pu notare un primo pas-so verso la propriet privata, immobiliare. La terra rima-neva per sempre propriet collettiva del [17] villaggiodivenuto pi stabile. Non si mutava luogo ogni anno,ma solo quando la necessit di emigrare lo imponeva,sia che fosse del tutto esaurita la fertilit dei campi, eche perci non bastassero pi alla popolazione, sia chele conseguenze di qualche guerra sfortunata costringes-sero a cercare altra sede. Ma dentro il territorio occupatodal villaggio, o come alcuni dicono la Marca, la muta-zione era continua. In che modo poi la terra occupatavenisse divisa, e la cultura si avvicendasse, e le famigliemutassero il terreno che coltivavano, Tacito lo accennain un luogo, che dei pi oscuri, interpetrato perci innon meno di sei modi diversi. E la confusione delle

5 Germania, 5, 6, 15, 17, 19.6 Historiae, IV, 64.7 Germania, 16.

34

molteplici interpetrazioni fu non poco aumentata dal vo-lere in esso cercare, non solamente ci che lo scrittoreaveva voluto dire, ma quello anche di cui non avevaparlato, e che forse ignorava.

Dopo aver detto, che i barbari non conoscevano l'usu-ra, la quale tante rovine aveva portato nella societ ro-mana, Tacito continua: le terre sono occupate da tutti,secondo il numero dei coltivatori, fra i quali vengono di-vise; e questa divisione resa pi agevole dalla vastitdel terreno che occupano. D'anno in anno si mutano icampi messi a cultura, e sempre ne avanza una parte(quella probabilmente abbandonata al pascolo). Non ri-mangono confinati in breve spazio, non si adoperano amantenere la fertilit della terra. Si contentano del solofrumento, senza coltivare pometi, prati artificiali o giar-dini.8 Il villaggio aveva dunque perduto l'antica mobili-t dei tempi di Cesare; ma dentro di esso la mutazioneera continua, nessuno restando pi di un anno a coltiva-re lo stesso campo. La parte via via lasciata a pascolo,rimaneva sempre d'uso comune, perch la propriet del-la terra [18] continuava ad essere collettiva. Altri parti-colari Tacito non ci d, ed superfluo cercarli. Dellostato di cose da lui descritto noi possiamo per farciun'idea pi chiara, se gettiamo uno sguardo al modo incui si trovava costituita la Marca9 germanica assai pi8 Germania, 26.9 Mark, Marca, quasi da marcare, indica il territorio del villaggio, spesso

anche delle comunanze (Markgenossenschaften), che facevano parte delvillaggio. Qualche volta invece la Marca il terreno lasciato a pascolo co-mune.

35

molteplici interpetrazioni fu non poco aumentata dal vo-lere in esso cercare, non solamente ci che lo scrittoreaveva voluto dire, ma quello anche di cui non avevaparlato, e che forse ignorava.

Dopo aver detto, che i barbari non conoscevano l'usu-ra, la quale tante rovine aveva portato nella societ ro-mana, Tacito continua: le terre sono occupate da tutti,secondo il numero dei coltivatori, fra i quali vengono di-vise; e questa divisione resa pi agevole dalla vastitdel terreno che occupano. D'anno in anno si mutano icampi messi a cultura, e sempre ne avanza una parte(quella probabilmente abbandonata al pascolo). Non ri-mangono confinati in breve spazio, non si adoperano amantenere la fertilit della terra. Si contentano del solofrumento, senza coltivare pometi, prati artificiali o giar-dini.8 Il villaggio aveva dunque perduto l'antica mobili-t dei tempi di Cesare; ma dentro di esso la mutazioneera continua, nessuno restando pi di un anno a coltiva-re lo stesso campo. La parte via via lasciata a pascolo,rimaneva sempre d'uso comune, perch la propriet del-la terra [18] continuava ad essere collettiva. Altri parti-colari Tacito non ci d, ed superfluo cercarli. Dellostato di cose da lui descritto noi possiamo per farciun'idea pi chiara, se gettiamo uno sguardo al modo incui si trovava costituita la Marca9 germanica assai pi8 Germania, 26.9 Mark, Marca, quasi da marcare, indica il territorio del villaggio, spesso

anche delle comunanze (Markgenossenschaften), che facevano parte delvillaggio. Qualche volta invece la Marca il terreno lasciato a pascolo co-mune.

35

tardi, nel Medio Evo. Era questo uno stato di cose certa-mente diverso da quello dei tempi di Tacito, ma che purs'and da esso, per processo naturale, lentamente svol-gendo, e che ne serbava perci alcune tracce visibili.Una parte del terreno era occupata da case sparse per lacampagna, cogli orti come li descrive Tacito. Un'altraera lasciata a pascolo comune. Una terza finalmente ve-niva posta a cultura con regole assai minute e determi-nate, che non sarebbero state possibili ai tempi di cuinoi ci occupiamo. Questa parte era divisa fra i vari capidi famiglia, i quali dovevano coltivare il loro campo inmaniera, che ogni anno un terzo di esso riposasse, edogni triennio tutte le tre parti avessero avuto il loro pe-riodo di riposo. Sebbene questi campi fossero, coll'andardel tempo, per un periodo sempre pi lungo, assegnati aicapi delle famiglie, pure la parte da ciascuno di essi la-sciata a pascolo, tornava ad essere d'uso comune, il chericordava l'origine antica, ancora non scomparsa del tut-to, di propriet collettiva. Come si vede, un tale stato dicose, pur non essendo quello descritto da Tacito, deriva-va da esso e giova a farcelo meglio comprendere.

Questi barbari, che non conoscevano le citt, moltomeno conoscevano lo Stato. Cesare e Tacito li trovaronodivisi in molti popoli diversi, ciascuno dei quali ordina-to, suddiviso in quelli che, con nomi latini, essi chiama-rono [19] Vicus, Pagus e Ci