Dutto autonomia scuole ieri oggi domani - Iprase · Autonomia delle scuole: ieri, oggi e domani...

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1 Autonomia delle scuole: ieri, oggi e domani Terme di Comano (TN) Mario G. Dutto Ritorno sempre volentieri in Trentino; ho imparato molte cose dalle scuole trentine e mi sembrerebbe irriconoscente non rispondere al cortese invito dell’Assessore. D’altra parte questa provincia, non è una mia scoperta, è uno dei pochi territori, nel nostro Paese, che possano documentare di aver saputo migliorare, significativamente, il proprio sistema scolastico (è sufficiente fare un confronto tra gli anni 1950 e oggi utilizzando gli indicatori di performance disponibili). Non possiamo dimenticare, inoltre, che da anni questa provincia è una palestra per la scuola italiana e nel tempo ha dato molti e validi apporti allo sviluppo del sistema scolastico nazionale. Sono certo che anche in futuro, sebbene con forme e in contesti diversi, questa fertilizzazione continuerà con beneficio sia delle scuote trentine sia delle scuole del nostro Paese. Intendo affrontare il tema che mi è stato proposto - l’autonomia delle istituzioni scolastiche e la dirigenza scolastica - con successive approssimazioni. Inizio con qualche sommario e semplice riferimento di ricostruzione storica sulla vicenda dell’autonomia nello scenario delle politiche educative (1), per passare ad una rivisitazione, a distanza di anni, delle “ragioni dell’autonomia” con qualche riflessione in termini di amministrazione della scuola sia sulla base della originaria ispirazione, culturale e professionale, sia tenendo conto dei dieci anni di esperienza che consentono oggi alcune prime valutazioni (2). Aggiungerò, successivamente, qualche sottolineatura critica sul presente riflettendo sui nuovi interrogativi che oggi si pongono rispetto agli anni 1990 in cui ha preso forma e lettera l’autonomia

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Autonomia delle scuole: ieri, oggi e domani

Terme di Comano (TN)

Mario G. Dutto

Ritorno sempre volentieri in Trentino; ho imparato molte cose dalle

scuole trentine e mi sembrerebbe irriconoscente non rispondere al

cortese invito dell’Assessore. D’altra parte questa provincia, non è

una mia scoperta, è uno dei pochi territori, nel nostro Paese, che

possano documentare di aver saputo migliorare,

significativamente, il proprio sistema scolastico (è sufficiente fare

un confronto tra gli anni 1950 e oggi utilizzando gli indicatori di

performance disponibili). Non possiamo dimenticare, inoltre, che da

anni questa provincia è una palestra per la scuola italiana e nel

tempo ha dato molti e validi apporti allo sviluppo del sistema

scolastico nazionale. Sono certo che anche in futuro, sebbene con

forme e in contesti diversi, questa fertilizzazione continuerà con

beneficio sia delle scuote trentine sia delle scuole del nostro

Paese.

Intendo affrontare il tema che mi è stato proposto - l’autonomia

delle istituzioni scolastiche e la dirigenza scolastica - con

successive approssimazioni. Inizio con qualche sommario e

semplice riferimento di ricostruzione storica sulla vicenda

dell’autonomia nello scenario delle politiche educative (1), per

passare ad una rivisitazione, a distanza di anni, delle “ragioni

dell’autonomia” con qualche riflessione in termini di

amministrazione della scuola sia sulla base della originaria

ispirazione, culturale e professionale, sia tenendo conto dei dieci

anni di esperienza che consentono oggi alcune prime valutazioni

(2). Aggiungerò, successivamente, qualche sottolineatura critica

sul presente riflettendo sui nuovi interrogativi che oggi si pongono

rispetto agli anni 1990 in cui ha preso forma e lettera l’autonomia

2

delle scuole (3) e proverò, infine, ad abbozzare una possibile

agenda per una nuova, e diversa, stagione di autonomia (4). Il

tema della dirigenza, essendo strettamente collegato al sistema di

governo della scuola viene affrontato nel corso delle diverse

sezioni.

1. 1999-2010 : Il ciclo dell’autonomia

Per chi riflette sulla scuola ed è interessato a capire il presente, un

po’ di geologia storica è sempre utile perché aiuta a decifrare le

stratificazioni che nel tempo hanno costruito la litosfera, così come

uno sguardo da archeologo può permettere di cogliere radici

antiche.

La saga dell’autonomia scolastica in Italia inizia da lontano e

seguirne il ciclo di policy è importante, direi essenziale, prima di

tracciare ogni bilancio; è la premessa per guardare in avanti a

cercare di anticipare quali potrebbero essere le scelte e le azioni

all’interno dello scenario 2020 che importanti istituzioni nazionali ed

europee vanno oggi definendo. Il tempo mi obbliga ad affrontare il

tema per sommi capi e in forme del tutto esplorative e iniziali.

La vicenda dell’autonomia scolastica italiana (“finalmente

autonomi…”) riassume un movimento di idee, orientamenti,

decisioni e azioni che si distende per oltre dieci anni. Questa

scansione permette una visione prospettica come documentano le

ricostruzioni già disponibili (Bertagna, 20081, Benadusi e Consoli,

1 Bertagna, G., Autonomia. Storia, bilancio e rilancio di un'idea, Brescia,

Editrice La Scuola, 2008.

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20042) al di là della numerosa, e ponderosa, produzione relativa

agli approfondimenti normativi.

Come ogni innovazione di carattere generale anche la storia

dell’autonomia nella scuola italiana può essere illustrata

sezionando il suo ciclo di policy, distinguendo cioè, seppur in

termini esplorativi ed a fini illustrativi, la fase di elaborazione, quella

di decisione e la fase della messa in opera. Non si tratta di un

itinerario con una sequenza rigida ed una logica strettamente

lineare, tuttavia, uno schema di analisi aiuta a mettere a fuoco

diversi aspetti del tema ed a organizzare la mia comunicazione.

Gli anni 1990: un movimento di idee e di intenzioni

La prima fase, carica di entusiasmo, di visione ottimistica e di

condivisione diffusa, vede costruirsi con successivi apporti una

ipotesi di rinnovamento della scuola italiana in grado di raccogliere

diverse istanze sul tappeto, dal superamento della burocrazia

scolastica alla rivitalizzazione della progettualità educativa e

formativa. Si estende per tutti gli anni 1990 e porta ad alcune

autorevoli iniziative ed elaborazioni lungo due direzioni

fondamentali, quella del quadro normativo da creare e quella della

progettualità delle scuole da promuovere.

Dal punto di vista giuridico e amministrativo, le prime formulazioni

dell’autonomia risalgono agli inizi degli anni 1990 e si muovono

nella prospettiva di una soluzione di grande peso e di elevato

profilo - creare enti autonomi e indipendenti – sullo sfondo di

riflessioni convergenti in grado di rivisitare concetti della tradizione,

quali l’autonomia professionale dei docenti o nuove nozioni quali

appunto la dirigenza scolastica. La proposta molto ambiziosa viene

sostenuta anche dai liberisti delle scuole non statali perché la

2 Benadusi,L. e F. Consoli, La governance della scuola. Istituzioni e soggetti

alla prova dell’autonomia. Bologna, Il Mulino, 2004.

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considerano la via di uscita dall’imperante statalismo. In questo

quadro assume valore la distinzione tra la natura del servizio

pubblico e la modalità di gestione dello stesso.

La Conferenza nazionale sulla scuola (1990), un evento senza

precedenti e senza paralleli negli anni successivi, affronta di petto il

problema della forma e delle funzioni del

governo della scuola: in questo contesto l’ipotesi di autonomia delle

scuole viene inserita in una profonda rivisitazione dei compiti

dell’amministrazione scolastica, meno organismo di gestione e più

organismo che fissa gli obiettivi, valuta i processi, corregge le

disfunzioni. Ispirata da Cassese e dalla sua scuola l’ipotesi

raccoglie consensi tra gli esperti e sostegno dagli attori interni al

sistema scolastico.

Sotto questo profilo l’itinerario verso l’autonomia ha un primo punto

importante di arrivo nel disegno di legge n. 1531 del 19 gennaio

1989 e nella legge 24 dicembre 1993, n. 537 (risorse umane,

risorse organizzative, risorse finanziarie, risorse gestionali) con cui

le scuole sono viste non come organi dell’amministrazione statale,

ma soggetti con propria personalità giuridica.

L’ipotesi teoricamente interessante, politicamente molto incisiva –

con il gergo di allora si sarebbe detta “avanzata”- si scontra con la

discontinuità di impostazione rispetto all’assetto consolidato, con la

difficile messa in opera e, soprattutto, con l’incompatibilità

ambientale rispetto alla cultura amministrativa e giuridica corrente

impegnata, su altre basi, alla modernizzazione della pubblica

amministrazione.

La seconda direzione nella costruzione della stagione

dell’autonomia ha confini meno netti e un andamento più

spontaneo. E’ la componente professionale e culturale del progetto

dell’autonomia scolastica; vi confluiscono le scuole delle

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sperimentazioni, le innovazioni spontanee, i progetti assistiti, la

nuova consapevolezza del curricolo di scuola, le identità specifiche

di singole scuole, soprattutto secondarie superiori, la creatività

progettuale delle scuole. La crescente consapevolezza del proprio

ruolo da parte di dirigenti scolastici, il mancato rinnovo dei

programmi nazionali per le scuole secondarie superiori e gli esiti di

importanti riforme conosciute dalle scuole primarie caratterizzano

lo scenario del tempo. Questo movimento, non lineare ma diffuso e

stratificato, accompagna il dibattito e la riflessione sull’autonomia

delle scuole. Queste radici professionali, proprie dell’educazione e

delle professioni educative, creano l’humus su cui si costruiscono

ipotesi amministrative di discrezionalità didattica e organizzativa e

generano un’atmosfera positiva e motivante attorno al tema

dell’autonomia.

Di quella stagione di euforia creativa rimangono, anche in seguito,

la ricerca dell’elevato valore simbolico dell’autonomia scolastica e

l’enfasi retorica che accompagna spesso l’espressione.

L’inserimento costituzionale dell’autonomia delle istituzioni

scolastiche rafforza, si potrebbe sostenere, il carattere di

manifesto, politico, culturale e professionale, che accompagnava

fin dalle origini il tema dell’autonomia scolastica.

L’eredità di questa fase di avvio pesa a lungo e dura nel tempo. La

versione italiana dell’autonomia, un movimento di cambiamento

che interesse i sistemi scolastici di vari paesi, non è il mero site

management inglese; ma non si esaurisce neppure nel

decentramento funzionale. Ancora oggi abbiamo testimonianze di

una retorica che non è cambiata negli anni. Raramente ci sono

obiezioni all’autonomia e ad essa ci si richiama in continuazione;

l’autonomia è probabilmente la questione su cui il consenso è

stato, ed è maggiore, senza confronti con altre controverse

tematiche, nonostante i bilanci non siano sempre lusinghieri.

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1997: l’autonomia scolastica diventa norma

La seconda fase del ciclo consiste nella formulazione normativa

dell’innovazione con i fondamentali interventi legislativi della fine

degli anni 1990 a cui seguono nel tempo oltre una cinquantina di

interventi messi a punto nell’arco dei 4 anni successivi per la

costruzione del nuovo quadro di norme primarie e secondarie.

Confluiscono nel disegno che trova formulazione normativa le due

anime dell’autonomia di cui si è detto; la dimensione giuridico-

amministrativa e quella professionale-culturale.

Le cosiddette “Bassanini 1” e “Bassanini 2” (leggi 59/97 e 127/97)

esprimono e generano un processo innovativo: delega di funzioni

alle regioni, accorpamento di uffici, snellimento delle procedure,

controllo delle funzioni e non degli atti, avviamento di procedimenti

di tipo contrattuale, ampliamento della considerazione del territorio.

La legge 15 marzo 1997, n. 59 delega il governo alla riforma della

pubblica amministrazione attraverso regolamenti e, nel caso della

scuola, per riorganizzare il servizio di istruzione mediante il

potenziamento dell’autonomia delle istituzioni scolastiche. L’art. 21

della stessa legge 59/97 definisce i criteri generali dell’autonomia

delle scuole.

Il modello italiano dell’autonomia trova, così, una via di plausibilità

e di praticabilità, nel decentramento funzionale

dell’amministrazione scolastica; una prospettiva più coerente e in

sintonia con quella evoluzione leggera della pubblica

amministrazione che ha modernizzato aspetti importanti delle basi

organizzative e dei processi funzionali delle politiche pubbliche.

L’intero processo di riforma della P.A. (ad esempio le leggi 142/90

e 241/90) mira a un nuovo rapporto con il cittadino come utente dei

servizi e titolare dei diritti.

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Emergono, così, in questa scelta non solo l’ intelligenza tattica di

chi ha saputo cogliere una policy windows aperta trovando il treno

di passaggio su cui far transitare l’autonomia ma, soprattutto,

importanti orientamenti di teoria amministrativa che hanno prevalso

rispetto ai progetti originari e che caratterizzeranno l’intera

questione dell’ autonomia scolastica nel nostro Paese.

Lavorano, intensamente, attorno a questa ipotesi di autonomia,

entrando in un campo per molti nuovo, giuristi, avvocati dello Stato,

responsabili di uffici legislativi, amministrativisti. Il lavoro di messa

a punto delle norme fondamentali diventa specifico e tecnico, e

viene sottratto alla elaborazione politica e culturale della fase

precedente. In questo contesto il mondo della scuola non

interviene direttamente anche se mantiene, ed esprime, la

speranza di un impatto esteso di questa rigenerazione del sistema

di gestione delle scuole.

Tra il 1997 e il 2001 oltre 52 provvedimenti - leggi, decreti

legislativi, decreti del Presidente della Repubblica, decreti della

Presidenza del Consiglio, decreti ministeriali, direttive ministeriali,

circolari - aprono e costruiscono un capitolo nuovo nella normativa

scolastica con i suoi esperti e i suoi cultori. Sotto questo profilo

l’autonomia si colloca saldamente nella tradizione rinnovata della

cultura giuridico-amministrativa che domina gli anni e che, in certa

misura, si fa carico della modernizzazione dell’azione pubblica.

L’ottica di decentralizzazione funzionale si rivela pienamente

compatibile con la seconda direzione di cui si è detto. La forte

caratterizzazione organizzativa, didattica e di ricerca del modello di

autonomia, codificata nelle norme, diventa il secondo pilastro del

nuovo scenario per il governo delle scuole e l’organizzazione del

servizio di istruzione.

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In termini generali la definizione dell’autonomia in termini didattici,

organizzativi e di ricerca è una scelta puntuale; al di là della

semplificazione delle procedure, dello snellimento dei

provvedimenti, della devoluzione alle scuole di pratiche

amministrative, due aree di decisioni di fondo, che in altri paesi

hanno costituito gli assi portanti della gestione locale delle scuole,

non vengono sostanzialmente alterati. La gestione del personale e

i sistemi di erogazione dei fondi pubblici alle scuole rimangono nel

solco dell’impianto consacrato dalla tradizione.

1997-2010: la messa in opera

Il terzo tempo del ciclo che abbiamo circoscritto si riferisce alla

messa in opera dei nuovi orientamenti e del nuovo impianto

normativo negli ultimi 10 anni circa. La fase di implementazione è

sempre la cartina di tornasole della validità delle ipotesi normative,

ma anche della efficacia dell’azione per la traduzione di ipotesi in

prassi. Allo stesso tempo evidenzia quali siano le posizioni e gli

interventi dei diversi attori in campo, interni ed esterni, nel

momento della policy in use.

Quasi nessuno oggi ricorda la vigorosa rimozione di pratiche e

procedure di ieri, spesso appannaggio esclusivo del provveditore

agli studi. Questa ristrutturazione è avvenuta nei fatti e con le

complicazioni spesso generate. Nuove norme per la gestione

contabile e devoluzione di competenze alle singole scuole hanno

modificato molta parte dell’impianto tradizionale mobilitando

amministratori, dirigenti scolastici e funzionari amministrativi ad un

impegnativo periodo di riambientamento.

Molto più evidente è stato, invece, il lavoro di costruzione del

sistema delle autonomie, con specifiche linee di decisione relative

al dimensionamento delle scuole autonome, alla creazione e

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messa in opera della dirigenza scolastica, all’avvio del sistema

nazionale di valutazione e alla definizione dei programmi di studio,

Molto spazio è stato dato, soprattutto nei primi anni, alla

promozione e al sostegno dei progetti dell’autonomia scolastica

anche grazie alle risorse rese disponibili annualmente dalla legge

440/1997.

Nel corso del decennio non sono, tuttavia, mancati i problemi

indotti da una mancata e ordinata implementazione. La riduzione di

finanziamenti, la progressiva erosione della forza propulsiva della

legge 440/1997 con la drastica, seppur graduale, contrazione dei

finanziamenti e, soprattutto l’uso disinvolto delle stesse risorse, il

perdurare di problemi finanziari irrisolti (pagamento della TARSU,

appalti per i servizi di mensa, compensi per la terza area, compensi

per i commissati degli esami di Stato…) hanno generato

preoccupazioni e disfunzionalità.

Dopo aver tracciato, seppur brevemente, l’itinerario dell’autonomia

possiamo ritornare alle riflessioni che accompagnavano le

speranze iniziali e, al di là dell’ottimismo e dell’euforia, tentare una

loro rivisitazione.

2. Le ragioni dell’autonomia, a distanza di dieci a nni

Sullo sfondo del ciclo di policy che si è ricostruito nei suoi termini

essenziali, può essere un buon esercizio discutere, criticamente

ma con scopi costruttivi, “le ragioni dell’autonomia”. Proprio in

questo contesto ormai una decina di anni fa fui invitato ad un

intervento sul tema dell’autonomia e dissertai sulle ipotesi

dell’autonomia. In quella sede mi ero sforzato di enucleare le le

ragioni di sostanza e non solo di apparenza, che ispiravano una

importante e decisiva evoluzione del nostro sistema scolastico

peraltro caratterizzato dalla difficoltà di realizzare cambiamenti

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significativi. Le ragioni erano, ovviamente, molteplici: alcune interne

al mondo della scuola, altre esogene relative al cambiamento della

pubblica amministrazione e altre, ancora, riguardanti i rapporti tra

la scuola e gli altri sistemi (Benadusi e Consoli, 2004, 31).

Schematicamente le ragioni possono così essere riassunte.

Una maggiore funzionalità gestionale era considerata l’esito di una

scelta che privilegiasse le dimensioni locali e contenute (small is

beautiful, era lo slogan del tempo per affermare che la gestione di

piccole unità di erogazione del servizio può garantire efficacia ed

efficienza). Se non la rimozione certamente il contenimento del

centralismo con la pesantezza del grande apparato crea spazio

vitale per le strutture più leggere e dinamiche, capaci quindi di

maggiore propensione innovativa.

Con una rivisitazione dell’idea di comunità scolastica ferma agli

aridi organi collegiali l’autonomia, si riteneva, avrebbe potuto

accrescere il senso di appartenenza e la condivisione delle diverse

componenti del progetto educativo e assicurare la continuità di

presenza sul territorio, nonché l’arricchimento reciproco tra scuola

e territorio con una attesa maggior efficacia nella ricerca di

soluzioni ai problemi che si presentano.

La vicinanza, inoltre, al territorio avrebbe rafforzato il valore della

scuola come risorsa e capitale sociale di una realtà, di un distretto,

di una valle, di un quartiere. La risposta alla domanda ed ai bisogni

locali sarebbe stata facilitata dal rapporto diretto e senza

intermediazioni, dalla sensibilità e dal confronto quotidiano; la

ricerca di soluzioni in loco e lo stesso curricolo di scuola diventano

uno strumento di adeguamento dell’offerta formativa.

Con la rivoluzione manageriale indotta dalla istituzione della

dirigenza scolastica, rispetto alle prassi burocratiche, si sarebbero

create le condizioni per una gestione efficace rispetto agli obiettivi

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ed efficiente rispetto alle risorse disponibili. Lo sgretolamento

dell’impianto burocratico avrebbe liberato da lacci e lacciuoli

l’amministrazione del servizio scolastico.

La maggiore responsabilizzazione delle singole unità scolastiche

rispetto agli esiti, alla qualità del servizio poteva essere considerata

come una leva su cui fare forza per migliorare la qualità della

scuola, anche nella prospettiva di superare le disomogeneità

territoriali che il centralismo non aveva scalfito negli anni.

Anche per lo sviluppo professionale dei docenti (rispetto alla

mediocrità dell’aggiornamento) le istituzioni autonome sarebbero

state dei veri e propri laboratori professionali, creando l’atmosfera

funzionale al miglioramento della qualità dei docenti favorendo

l’imparare sul campo e l’apprendimento cooperativo.

Dato il legame stretto tra la scuola e il territorio anche la

mobilitazione delle risorse locali e l’applicazione del principio di

sussidiarietà avrebbero trovato più facile realizzazione. In questo

modo le incertezze del sistema centrale avrebbero avuto minori

conseguenze negative.

Dietro, quindi, le elogiative proclamazioni (“l’autonomia delle

istituzioni scolastica: è svolta storica, finalmente autonomi, la fine

dei programmi, il ministero con i suoi provveditorati istituzioni al

tramonto…”) le ipotesi di partenza avevano un respiro rilevante e

pertinente; raccoglievano una pluralità di aspettative che, in misura

forse un po’ ingenua, esprimevano la richiesta di cambiamento.

Il deficit di implementazione o la messa in opera parziale rendono

difficile valutare i risultati e gli effetti di dieci anni di politiche di

autonomia al di là delle percezioni e delle opinioni. Anche in

assenza di evidenze empiriche sistematiche, alcuni elementi sono

comunque evidenti. Si può certamente sostenere che le ragioni

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elencate sono alla base delle positività del nostro sistema di

scuole, soprattutto di quelle scuole che hanno dato prova di

progettualità, di qualità di gestione e di risultati eccellenti. Sono

migliorati i rapporti con gli interlocutori all’interno delle comunità

scolastiche; in alcune regioni il dimensionamento della rete

scolastica ha trovato realizzazione compiuta e funzionale; sono,

peraltro, ormai disponibili strumenti e analisi sul livello di

apprendimento degli studenti grazie al lavoro del sistema nazionale

di istruzione.

Per una prima riflessione occorre però notare che il miglioramento

annunciato, atteso o promesso non sembra aver avuto piena

realizzazione. Ci sono, in particolare, tre considerazioni preliminari

da tener presenti per impostare una discussione in merito: la prima

è un richiamo al realismo, la seconda si riferisce alle concezioni

errate dell’autonomia e la terza puntualizza la mancata messa in

opera della componente più professionale e culturale

dell’autonomia.

In primo luogo un ragionevole realismo è d’obbligo quando si

affrontano ipotesi di cambiamento in educazione: le scuole, infatti,

sono istituzioni della continuità più che della discontinuità e le

riforme radicale possono essere annunciate, ma hanno limitata

probabilità di realizzazione compiuta. A questo proposito non è

certo insolita la testimonianza di un dirigente scolastico al suo

ingresso a scuola: “Quando io misi piede al Virgilio per la prima

volta, 10 anni fa, non mi sembrò certo di essere entrata in un

“futuro” caso. La scuola, simpaticamente vecchiotta e

sonnacchiosa in un caldo 28 agosto, era identica a quella in cui 20

anni prima avevo fatto le mie prime supplenze: stessi colori, stesso

ascensore un po’ traballante, stessa presidenza con la pianta

verde fuori dalla porta. Simile anche la custode ‘replicante’ della

figura di un tempo che mi intimava con sonora autorevolezza di

non sporcare le scale appena lavate. Certo, le tradizioni hanno un

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loro fascino, però… per un attimo la tentazione di fuggire c’è

stata”.3

Possiamo fare una seconda considerazione in questa riflessione

valutativa; essa riguarda il peso che ha avuto una errata

interpretazione dell’autonomia che ha indotto scuole e docenti a

pensare ad ipotesi di crescita delle risorse a disposizione; con la

esclusione di un’attenzione all’uso efficiente delle risorse esistenti.

In uno studio empirico sul tema viene documentato che il

significato che i docenti attribuiscono in primo luogo al concetto di

autonomia, è quello di ‘avere e ottenere risorse’4. Questa posizione

è paradossalmente anche condivisa da analisti dell’autonomia;

scrive, ad esempio, Morzenti Pellegrini: “Uno degli ostacoli più

ardui per la realizzazione completa del disegno autonomista delle

istituzioni scolastiche --- è proprio costituito dalla scarsità delle

risorse finanziarie e dalla difficoltà del loro reperimento.”5 E’

comprensibile che una tale ottica – l’autonomia come

accrescimento delle risorse a disposizione – marginalizzava le

preoccupazione di elevare i livelli di efficienza diventando, peraltro,

sempre meno plausibile in un periodo di contenimento delle risorse

complessive per l’istruzione.

C’è una terza considerazione su cui occorre richiamare

l’attenzione: riguarda la limitata messa in opera di una dimensione

importante, ed essenziale, dell’autonomia scolastica. Scrivono gli

3 Franco, M., Il Caso “Virgilio”, Scifo, G., G. Nigro e M.Puglisi, I dirigenti si

raccontano … Casi dell’autonomia scolastica in Lombardia, Milano, Guerrini e

Associati, 2005. P49.

4 L. Benadusi, O. Giancola, A. Viteritti, Scuole in azione tra equità e qualità,

2008, p.44. 5 R. Morzenti Pellegrini, L’autonomia scolastica, Torino, Giappichelli Editore,

2006.

6 L.Benadusi, O. Giancola, A. Viteritti, Scuole in azione tra equità e qualità, 2008. P.44.

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autori citati: “L’autonomia di ricerca, di sperimentazione e di

sviluppo è un ambito di autonomia utile a sviluppare l’autonomia

didattica e organizzativa nello sforzo di migliorare l’offerta formativa

complessiva, scopo raggiungibile solo attraverso una costante

azione di formazione, analisi e riflessione strategica sul proprio

operato e sulle dinamiche territoriali. Tutt’oggi rimane l’ambito di

autonomia meno praticato dalle scuole.” 6

Ben altro lavoro di approfondimento e di analisi sarebbe necessario

per un bilancio di una intensa stagione di innovazione. I cenni fatti,

comunque, ci aiutano a capire il presente in cui si intrecciano

ricorrenti citazioni a fini simbolici, quasi a sottolineare il difficile, se

non impossibile, distacco da una prospettiva così a lungo

alimentata e sostenuta e la sospensione di giudizio sulla non

conclusione del progetto originario. Non sfugge a chi ha familiarità

con l’amministrazione scolastica come di fatto da nirvana

pedagogico l’autonomia sia diventata un placebo a disposizione

per trovare soluzioni a problemi che non si vogliono, o non si è in

grado, affrontare.

Ci sono sintomi di uno stato di incertezza e di delusione; molti si

rifiuterebbero, tuttavia, di rassegnarsi alla caduta di un altro mito.

Non è del tutto fuori luogo, peraltro, interrogarsi se l’autonomia

scolastica non rientri in quella sequenza di ambizioni pedagogiche

e istituzionali, lanciate con entusiasmo e lungimiranza, ma poi

erose nel tempo, come è avvenuto già in passato nella storia della

nostra scuola.

Una rivisitazione dei motivi originari, appena abbozzata in questo

intervento, rimane comunque un possibile compito da svolgere;

vorrei proseguire mettendo a confronto la stagione dell’autonomia

che abbiamo vissuto con la stagione che stiamo vivendo e con gli

interrogativi che riguardano il domani delle nostre scuole.

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3. Autonomia delle scuole e apprendimento degli stu denti: un

interrogativo di oggi

Mentre il riferimento, e la discussione, all’autonomia oggi sembra

oscillare tra la stanchezza rassegnata di chi lancia alti lai per una

ipotesi non realizzata, tradita, deviata, minimalizzata e dimenticata

e chi continua a fare appello alla scelta dell’autonomia obiettando

all’autonomia incompiuta, inceppata, e proponendo un suo rilancio,

ci sono interrogativi a cui non ci si può sottrarre.

Mentre i motivi di ieri servono per una valutazione, per guardare

avanti abbiamo bisogno di sottoporre l’autonomia agli interrogativi

di oggi. Anche un semplice cenno ad alcuni nuovi interrogativi

pressanti e importanti pare denotare un certo spaesamento della

questione dell’autonomia rispetto ai nodi di oggi.

In relazione alla preoccupazione di formare bravi studenti, che

riassume molte priorità oggi in agenda, ci si può, infatti, domandare

se abbiamo evidenze che l’autonomia scolastica abbia avuto un

impatto positivo per il miglioramento del livello di competenza degli

studenti. Dovremmo cercare e repertoriare ricerche i cui risultati

dimostrino che il processo di autonomia delle istituzioni scolastiche

ha contributo significativamente al miglioramento dei livelli di

apprendimento degli studenti. L’autonomia scolastica può avere

creato migliori condizioni per la qualità della scuola, maggior

motivazione dei docenti, senso di appartenenza dei docenti;

abbiamo evidenze per sostenere che in questo modo gli ambienti

di apprendimento si sono rivelati più efficaci ?

La risposta non è semplice. Non è corretto, anzitutto, attendersi

miglioramenti quando la scuola opera in un contesto di

deprivazione sociale, culturale o di povertà. Spesso la gestione

autonomia di una istituzione scolastica non investe direttamente o

indirettamente le attività che si svolgono in classe; è più rivolta alle

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variabili organizzative e funzionali. Non di rado la gestione

autonoma non sembra legittimare interventi sull’azione didattica e

formativa che avviene in classe e che permane nel tempo al di là

dei processi di autonomia. Sovente l’autonomia riguarda

l’arricchimento dell’offerta formativa più che il nucleo centrale

dell’offerta formativa (competenze di base, livelli di apprendimento,

miglioramento nel percorso formativo…). L’attività del dirigente è,

non di rado, più concentrata su aspetti tecnici e strutturali che non

sul curriculum e solo indirettamente può incidere sugli esiti di

apprendimento. L’attuazione dell’autonomia è lenta, frammentaria

e parziale; non riesce ad essere una reale risorsa per le scuole.

Peraltro alcune ipotesi relative all’autonomia (ad esempio quelle

riguardandi l’organico funzionale…) sono rimaste impraticabili e del

tutto retoriche.

In verità l’autonomia non può essere valutata prima di una vera e

compiuta messa in opera. Bisogna, comunque, riconoscere che il

dibattito e le riflessioni condotte sul tema dell’autonomia non

avevano, soprattutto nelle fasi iniziali, al centro la questione dei

risultati scolastici degli studenti. Va, inoltre, precisato che i fattori

che entrano in campo come determinanti dei risultati scolastici

sono diversi (contesto socio-economico, background culturale degli

studenti …) e le variabili organizzative hanno un peso marginale.

Nel momento in cui i livelli di apprendimento degli studenti

occupano le prime posizioni nella scala delle priorità si apre un

nuovo scenario per la riflessione e per l’azione attorno al tema

dell’autonomia delle istituzioni scolastiche. Una prospettiva, non del

tutto nuova, ma in gradi imporre una profonda rivisitazione della

questione così come è stata impostata nei dieci anni di

applicazione delle norme sull’autonomia scolastica.

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4. Il riorientamento necessario: la nuova agenda

Pur con qualche semplificazione si può ritenere che in fondo

l’autonomia scolastica sia stata il risultato di una scelta di politica

generale, riguardante l’amministrazione pubblica nel suo insieme

non il settore specifico dell’educazione. Il campo della scuola è

rientrato in un disegno più ampio di modernizzazione dell’apparato

pubblico ed ha condiviso il cambiamento. Forse senza coglierne

tutte le potenzialità.

Il nuovo quadro normativo è consolidato ed è destinato a durare

nel tempo. La continuità è in genere una categoria positiva perché

richiama aspetti di solidità, di conferma, di tranquilla

conservazione, di consolidamento; mentre la discontinuità induce

timori e genera incertezza. E’ possibile, tuttavia, un concezione

evolutiva della discontinuità: non la svolta o l’abbandono di una

scelta, bensì la sua reinterpretazione, la sua rigenerazione, un po’

retoricamente, la sua reinvenzione.

Possiamo provare a rivisitare l’autonomia delle scuole nel quadro

più generale di riposizionamento del sistema scolastico. Da scuole

con una ricca e ridondante vetrina, con una progettualità

riconosciuta, con un management autorevole ed efficace potremmo

passare a scuole in cui si prende cura degli studenti, si coltivano

talenti, si opera per elevare i livelli inferiori di performance,

crescono le iniziative per spingere all’eccellenza gli studenti di

pregio, ed è variabile indipendente rispetto al territorio in cui si

trova. Queste prospettive, ispirato da un forte ritorno

all’apprendimento come ragione sociale della scuola, suggeriscono

una idea di autonomia, forse diversa da quelle coltivate nel

decennio trascorso, forse contenuta in nuce nelle scelte del

passato. Del tutto esplorativamente vorrei provare a tradurre in

contenuti concreti il senso di questa “svolta di respiro”.

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A scuola per imparare e capire

Nella scuola autonoma dobbiamo trovare expertise e competenze

relative a qualcosa di diverso dal mero aspetto di funzionalità, di

responsabilità gestionali, di amministrazione di variabili

organizzative; ma anche non limitate alla estensione dell’offerta

formativa e al suo arricchimento. C’è una soglia di funzionalità

amministrativa e di sviluppo dell’offerta formativa che va assicurata

e garantita. Ci sono temi che talvolta sembrano appartenere ad

aree adiacenti che devono ritornare al centro; c’è da ritrovare la

gerarchia delle priorità che è nella stessa idea di scuola.

La scuola ha essenzialmente a che vedere con i processi di

apprendimento, con la didattica delle singole discipline, con

l’insegnamento, con gli ambienti di apprendimento, con metodi e

tecniche per insegnare. Per lavorare efficacemente bisogna

intendersi di valutazione corrente, formativa e sommativa, di

diversità tra studenti, di personalizzazione, di strategie di

miglioramento. Sono tematiche che talvolta sembrano rientrare in

una zona d’ombra poco frequentata quando si discute di autonomia

scolastica.

C’è però una caratterizzazione specifica di queste competenze,

non si tratta di conoscenze teoriche, ma di quel capitale di sapere

pratico composto dalle capacità dei docenti e dei dirigenti.

Gli studenti, gente di domani

Talvolta mancano i termini per descrivere gli studenti che

vorremmo; non basta parlare di bravi studenti, studenti con la lode,

studentesse con medie elevate, con votazioni al massimo, studenti

che anticipano gli esami, non si dice molto parlando di studenti

seri, studiosi, rigorosi. Abbiamo un gergo di dettaglio, quasi

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maniacale, per la mobilità dei docenti, per i concorsi, per gli orari,

per l’immissione in ruolo; non abbiamo la stessa ricchezza di

lessico per presentare uno studente di valore; siamo in difficoltà

quando dobbiamo tracciare il profilo dello studente e ricorriamo ad

espressioni standardizzate.

Ci aiuta la lingua inglese che raccoglie riflessioni su questo tema:

reflective thinkers – pensatori riflessivi, self-managers –

autogestori, creative thinkers – pensatori creativi, independent

enquirers – ricercatori indipendenti, team workers – lavoratori in

gruppo, effective participants – partecipanti attivi.

C’è bisogno, a mio modo di vedere, di un approfondimento su

questo tema. Sono molti che parlano e studiano i difetti e le

patologie della scuola; non altrettanti quelli che concentrano i loro

interessi sugli studenti, sui loro percorsi, sulle loro storie di

successi e insuccessi. Succede che ne sappiamo poco. Dobbiamo

identificare i docenti, i gruppi di docenti o le scuole che sanno fare

innovazione oggi, quella innovazione che accresce le competenze

degli studenti, quei cambiamenti che sostengono i progetti di vita

degli studenti.

Le sfide di oggi per il futuro

Nel nostro sistema di costruzione di politiche scolastiche hanno

probabilmente avuto più effetto le indagini internazionali a cui

l’Italia ha partecipato che non le bozze e i tentativi di riforma che

sono state messe in piedi nel tempo. E’ stata l’irruzione dei

programmi IEA, TIMSS e PISA a svegliare un corpo a tratti

sonnolento e abbandonato a sé stesso. Hanno creato una

pressione che non eravamo stati capaci di generare dall’interno.

Ne sono derivate una maggior attenzione per la verifica dei risultati

scolastici, una riflessione sulla validità degli strumenti

convenzionali di valutazione e una sensibilità nuova aperta anche

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ad un orizzonte internazionale di confronto e di scambio di

esperienze.

Nell’agenda delle scuole autonome con una buona soglia di

funzionalità organizzativa si aprono spazi per nuovi impegni e

nuovi contenuti che esemplificativamente vorrei richiamare.

In primo luogo l’impatto della nuova sensibilità verso la valutazione

dei risultati scolastici va considerato in tutte le sue valenze. Le

indagini valutative internazionali hanno dato in successione pagelle

e voti alla nostra scuola; molte preoccupazioni sono sorte, ma

anche numerose sono state le azioni per superare le criticità

emerse. Per le scuole come quelle della Provincia di Trento che

hanno dimostrato livelli di performance, elevati e costanti negli

anni, è tempo di chiedersi se i buoni risultati esauriscono la ricerca

di miglioramento. Uno sguardo alle strategie dei paesi ad elevata

qualità di risultati può essere una scelta interessante. Mentre ci

sono paesi che hanno scelte le ‘classifiche’ internazionali per avere

degli obiettivi da raggiungere, altri (Singapore, Corea del Sud,

Finlandia…), dopo aver raggiunto e consolidato negli anni posizioni

di assoluta priorità e di rispettabile posizionamento comparativo,

hanno riscritto le proprie agende allargando l’orizzonte nella

direzione del potenziamento delle capacità degli studenti, della loro

creatività, della loro autonomia personale. Talvolta anche

ridimensionando l’architettura scolastica a favore dei processi

autentici di apprendimento. Imparare, apprendere, capire sono

termini più ricorrenti di insegnare e spiegare.

In secondo luogo c’è un “dopo PISA” che va affrontato

responsabilmente ed intelligentemente, con lungimiranza. In

questa ottica non mancano le sfide. Per la scuola la preparazione

di studenti con livelli elevati di competenza è un po’ come il centro

ricerche di un’azienda o l’ufficio studi di una grande

organizzazione. È la dimostrazione della propria capacità di

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accettare sfide elevate, è la garanzia che non ci si accontenta delle

mediocrità, è la dimostrazione che l’innovazione è continua. I dati

relativi alla partecipazione alle olimpiadi internazionali che coprono

varie aree disciplinari danno una immediata idea dei Paesi che

scommettono sulla conoscenza e sulla ricerca7. Non si tratta di

abdicare ad una tradizione di ricerca di equità all’insegna

dell’accoglienza, bensì di mettere a prova le capacità che le nostre

scuole possiedono quando si tratta di coltivare l’eccellenza.

Le scuole della Provincia di cui si conoscono, e apprezzano, la

funzionalità organizzativa e i buoni risultati potrebbero anche

essere riconosciute come contesti dove i talenti sono considerati,

coltivati e promossi. Non è un passaggio obbligato servono

strategie dedicate; anzitutto da parte delle singole scuole.

La terza linea di riflessione per individuare le sfide per il domani

riguarda l’ impatto delle scuole sul territorio in cui operano,

soprattutto sotto il profilo dell’economia della conoscenza. Siamo

quasi prolissi quanto parliamo di alcuni argomenti per i quali

disponiamo della retorica necessaria. Siamo un po’ restii a

rimettere in circolo parole impegnative, dense di riferimenti al futuro

del nostro paese, ricche di appelli alla responsabilità. Eppur

dobbiamo ricominciare a ragione di futuro, a guardare avanti, a

interrogarci sul contributo che le scuole possono dare al proprio

paese, alla sua crescita, alla sua cultura e al suo sviluppo. E’

tempo di lavorare per scuole che siano in grado di fertilizzare il

proprio territorio; e che non siano colonizzate da esso.

E’ impegnativo raccordare le proposte della scuola con i bisogni del

sistema economico, tecnologico e civile; più complesso, ma non

meno doveroso, è lavorare per creare oggi le premesse per dare

7 Nelle Olimpiadi internazionali di fisica del 2008 i risultati vedono la Cina (5 medaglie d’oro), Taiwan (5), Corea del Sud (4 e 1 di argento), India (4 e 1), Stati Uniti (4 e 1), Vietnam (4 e 1 di bronzo), Thailandia (3 e 2), Russia (3,1,1), Indonesia (2,2,1), Romania (1,3,1).

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risposte domani a bisogni non ancora evidenti, ad attese che

emergeranno. Sotto questo profilo l’obbligo della globalità è

difficilmente eludibile e la internalizzazione delle scuole non è un

blasone da celebrare, ma un futuro da costruire per la gente di

domani che oggi è nelle nostre classi.

5. In conclusione

Vorrei concludere con una ultima riflessione che mi viene suggerita

da quella lunga propensione all’innovazione che le scuole di questa

provincia hanno nella propria eredità storica. La scuola italiana ha

certamente un passato di pregio e un paesaggio di buone scuole,

pur permanendo al suo interno nodi irrisolti di inefficienza, di

risultati scadenti e di forti disomogeneità territoriali. Restare sul

passato o coltivare il presente potrebbe essere miopia.

L’autonomia delle scuole, anche nelle forme talvolta un po’

maldestre e non sempre coerenti con cui è stata definita dalle

norme, là dove è assicurata una soglia, adeguata o elevata di

funzionalità organizzativa e gestionale - ed è il caso delle istituzioni

scolastiche di questa provincia -, può essere la leva per accettare,

coraggiosamente ma anche serenamente, le sfide per il domani.

Nulla impedisce alle nostre scuole di riprendere in mano la propria

missione, di lavorare perché gli studenti costruiscano i propri

progetti di vita su una solida base di competenze, su una cultura

aperta, su una condiviso senso di partecipazione e di solidarietà;

un progetto radicato in una cultura di tradizione, ma aperto allo

scenario dell’economia globale. Nulla impedisce che i dirigenti,

dopo aver raggiunto buone padronanze manageriali ci cimentino

con quella leadership che è prioritariamente focalizzata

sull’apprendimento degli studenti. E’ la rivisitazione dell’autonomia

scolastica che auspichiamo e di cui abbiamo bisogno.

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In questa direzione va il mio augurio di buon lavoro per il seminario

di oggi e per l’itinerario che da esso potrebbe scaturire.