Dutto autonomia scuole ieri oggi domani - Iprase · Autonomia delle scuole: ieri, oggi e domani...
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Autonomia delle scuole: ieri, oggi e domani
Terme di Comano (TN)
Mario G. Dutto
Ritorno sempre volentieri in Trentino; ho imparato molte cose dalle
scuole trentine e mi sembrerebbe irriconoscente non rispondere al
cortese invito dell’Assessore. D’altra parte questa provincia, non è
una mia scoperta, è uno dei pochi territori, nel nostro Paese, che
possano documentare di aver saputo migliorare,
significativamente, il proprio sistema scolastico (è sufficiente fare
un confronto tra gli anni 1950 e oggi utilizzando gli indicatori di
performance disponibili). Non possiamo dimenticare, inoltre, che da
anni questa provincia è una palestra per la scuola italiana e nel
tempo ha dato molti e validi apporti allo sviluppo del sistema
scolastico nazionale. Sono certo che anche in futuro, sebbene con
forme e in contesti diversi, questa fertilizzazione continuerà con
beneficio sia delle scuote trentine sia delle scuole del nostro
Paese.
Intendo affrontare il tema che mi è stato proposto - l’autonomia
delle istituzioni scolastiche e la dirigenza scolastica - con
successive approssimazioni. Inizio con qualche sommario e
semplice riferimento di ricostruzione storica sulla vicenda
dell’autonomia nello scenario delle politiche educative (1), per
passare ad una rivisitazione, a distanza di anni, delle “ragioni
dell’autonomia” con qualche riflessione in termini di
amministrazione della scuola sia sulla base della originaria
ispirazione, culturale e professionale, sia tenendo conto dei dieci
anni di esperienza che consentono oggi alcune prime valutazioni
(2). Aggiungerò, successivamente, qualche sottolineatura critica
sul presente riflettendo sui nuovi interrogativi che oggi si pongono
rispetto agli anni 1990 in cui ha preso forma e lettera l’autonomia
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delle scuole (3) e proverò, infine, ad abbozzare una possibile
agenda per una nuova, e diversa, stagione di autonomia (4). Il
tema della dirigenza, essendo strettamente collegato al sistema di
governo della scuola viene affrontato nel corso delle diverse
sezioni.
1. 1999-2010 : Il ciclo dell’autonomia
Per chi riflette sulla scuola ed è interessato a capire il presente, un
po’ di geologia storica è sempre utile perché aiuta a decifrare le
stratificazioni che nel tempo hanno costruito la litosfera, così come
uno sguardo da archeologo può permettere di cogliere radici
antiche.
La saga dell’autonomia scolastica in Italia inizia da lontano e
seguirne il ciclo di policy è importante, direi essenziale, prima di
tracciare ogni bilancio; è la premessa per guardare in avanti a
cercare di anticipare quali potrebbero essere le scelte e le azioni
all’interno dello scenario 2020 che importanti istituzioni nazionali ed
europee vanno oggi definendo. Il tempo mi obbliga ad affrontare il
tema per sommi capi e in forme del tutto esplorative e iniziali.
La vicenda dell’autonomia scolastica italiana (“finalmente
autonomi…”) riassume un movimento di idee, orientamenti,
decisioni e azioni che si distende per oltre dieci anni. Questa
scansione permette una visione prospettica come documentano le
ricostruzioni già disponibili (Bertagna, 20081, Benadusi e Consoli,
1 Bertagna, G., Autonomia. Storia, bilancio e rilancio di un'idea, Brescia,
Editrice La Scuola, 2008.
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20042) al di là della numerosa, e ponderosa, produzione relativa
agli approfondimenti normativi.
Come ogni innovazione di carattere generale anche la storia
dell’autonomia nella scuola italiana può essere illustrata
sezionando il suo ciclo di policy, distinguendo cioè, seppur in
termini esplorativi ed a fini illustrativi, la fase di elaborazione, quella
di decisione e la fase della messa in opera. Non si tratta di un
itinerario con una sequenza rigida ed una logica strettamente
lineare, tuttavia, uno schema di analisi aiuta a mettere a fuoco
diversi aspetti del tema ed a organizzare la mia comunicazione.
Gli anni 1990: un movimento di idee e di intenzioni
La prima fase, carica di entusiasmo, di visione ottimistica e di
condivisione diffusa, vede costruirsi con successivi apporti una
ipotesi di rinnovamento della scuola italiana in grado di raccogliere
diverse istanze sul tappeto, dal superamento della burocrazia
scolastica alla rivitalizzazione della progettualità educativa e
formativa. Si estende per tutti gli anni 1990 e porta ad alcune
autorevoli iniziative ed elaborazioni lungo due direzioni
fondamentali, quella del quadro normativo da creare e quella della
progettualità delle scuole da promuovere.
Dal punto di vista giuridico e amministrativo, le prime formulazioni
dell’autonomia risalgono agli inizi degli anni 1990 e si muovono
nella prospettiva di una soluzione di grande peso e di elevato
profilo - creare enti autonomi e indipendenti – sullo sfondo di
riflessioni convergenti in grado di rivisitare concetti della tradizione,
quali l’autonomia professionale dei docenti o nuove nozioni quali
appunto la dirigenza scolastica. La proposta molto ambiziosa viene
sostenuta anche dai liberisti delle scuole non statali perché la
2 Benadusi,L. e F. Consoli, La governance della scuola. Istituzioni e soggetti
alla prova dell’autonomia. Bologna, Il Mulino, 2004.
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considerano la via di uscita dall’imperante statalismo. In questo
quadro assume valore la distinzione tra la natura del servizio
pubblico e la modalità di gestione dello stesso.
La Conferenza nazionale sulla scuola (1990), un evento senza
precedenti e senza paralleli negli anni successivi, affronta di petto il
problema della forma e delle funzioni del
governo della scuola: in questo contesto l’ipotesi di autonomia delle
scuole viene inserita in una profonda rivisitazione dei compiti
dell’amministrazione scolastica, meno organismo di gestione e più
organismo che fissa gli obiettivi, valuta i processi, corregge le
disfunzioni. Ispirata da Cassese e dalla sua scuola l’ipotesi
raccoglie consensi tra gli esperti e sostegno dagli attori interni al
sistema scolastico.
Sotto questo profilo l’itinerario verso l’autonomia ha un primo punto
importante di arrivo nel disegno di legge n. 1531 del 19 gennaio
1989 e nella legge 24 dicembre 1993, n. 537 (risorse umane,
risorse organizzative, risorse finanziarie, risorse gestionali) con cui
le scuole sono viste non come organi dell’amministrazione statale,
ma soggetti con propria personalità giuridica.
L’ipotesi teoricamente interessante, politicamente molto incisiva –
con il gergo di allora si sarebbe detta “avanzata”- si scontra con la
discontinuità di impostazione rispetto all’assetto consolidato, con la
difficile messa in opera e, soprattutto, con l’incompatibilità
ambientale rispetto alla cultura amministrativa e giuridica corrente
impegnata, su altre basi, alla modernizzazione della pubblica
amministrazione.
La seconda direzione nella costruzione della stagione
dell’autonomia ha confini meno netti e un andamento più
spontaneo. E’ la componente professionale e culturale del progetto
dell’autonomia scolastica; vi confluiscono le scuole delle
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sperimentazioni, le innovazioni spontanee, i progetti assistiti, la
nuova consapevolezza del curricolo di scuola, le identità specifiche
di singole scuole, soprattutto secondarie superiori, la creatività
progettuale delle scuole. La crescente consapevolezza del proprio
ruolo da parte di dirigenti scolastici, il mancato rinnovo dei
programmi nazionali per le scuole secondarie superiori e gli esiti di
importanti riforme conosciute dalle scuole primarie caratterizzano
lo scenario del tempo. Questo movimento, non lineare ma diffuso e
stratificato, accompagna il dibattito e la riflessione sull’autonomia
delle scuole. Queste radici professionali, proprie dell’educazione e
delle professioni educative, creano l’humus su cui si costruiscono
ipotesi amministrative di discrezionalità didattica e organizzativa e
generano un’atmosfera positiva e motivante attorno al tema
dell’autonomia.
Di quella stagione di euforia creativa rimangono, anche in seguito,
la ricerca dell’elevato valore simbolico dell’autonomia scolastica e
l’enfasi retorica che accompagna spesso l’espressione.
L’inserimento costituzionale dell’autonomia delle istituzioni
scolastiche rafforza, si potrebbe sostenere, il carattere di
manifesto, politico, culturale e professionale, che accompagnava
fin dalle origini il tema dell’autonomia scolastica.
L’eredità di questa fase di avvio pesa a lungo e dura nel tempo. La
versione italiana dell’autonomia, un movimento di cambiamento
che interesse i sistemi scolastici di vari paesi, non è il mero site
management inglese; ma non si esaurisce neppure nel
decentramento funzionale. Ancora oggi abbiamo testimonianze di
una retorica che non è cambiata negli anni. Raramente ci sono
obiezioni all’autonomia e ad essa ci si richiama in continuazione;
l’autonomia è probabilmente la questione su cui il consenso è
stato, ed è maggiore, senza confronti con altre controverse
tematiche, nonostante i bilanci non siano sempre lusinghieri.
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1997: l’autonomia scolastica diventa norma
La seconda fase del ciclo consiste nella formulazione normativa
dell’innovazione con i fondamentali interventi legislativi della fine
degli anni 1990 a cui seguono nel tempo oltre una cinquantina di
interventi messi a punto nell’arco dei 4 anni successivi per la
costruzione del nuovo quadro di norme primarie e secondarie.
Confluiscono nel disegno che trova formulazione normativa le due
anime dell’autonomia di cui si è detto; la dimensione giuridico-
amministrativa e quella professionale-culturale.
Le cosiddette “Bassanini 1” e “Bassanini 2” (leggi 59/97 e 127/97)
esprimono e generano un processo innovativo: delega di funzioni
alle regioni, accorpamento di uffici, snellimento delle procedure,
controllo delle funzioni e non degli atti, avviamento di procedimenti
di tipo contrattuale, ampliamento della considerazione del territorio.
La legge 15 marzo 1997, n. 59 delega il governo alla riforma della
pubblica amministrazione attraverso regolamenti e, nel caso della
scuola, per riorganizzare il servizio di istruzione mediante il
potenziamento dell’autonomia delle istituzioni scolastiche. L’art. 21
della stessa legge 59/97 definisce i criteri generali dell’autonomia
delle scuole.
Il modello italiano dell’autonomia trova, così, una via di plausibilità
e di praticabilità, nel decentramento funzionale
dell’amministrazione scolastica; una prospettiva più coerente e in
sintonia con quella evoluzione leggera della pubblica
amministrazione che ha modernizzato aspetti importanti delle basi
organizzative e dei processi funzionali delle politiche pubbliche.
L’intero processo di riforma della P.A. (ad esempio le leggi 142/90
e 241/90) mira a un nuovo rapporto con il cittadino come utente dei
servizi e titolare dei diritti.
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Emergono, così, in questa scelta non solo l’ intelligenza tattica di
chi ha saputo cogliere una policy windows aperta trovando il treno
di passaggio su cui far transitare l’autonomia ma, soprattutto,
importanti orientamenti di teoria amministrativa che hanno prevalso
rispetto ai progetti originari e che caratterizzeranno l’intera
questione dell’ autonomia scolastica nel nostro Paese.
Lavorano, intensamente, attorno a questa ipotesi di autonomia,
entrando in un campo per molti nuovo, giuristi, avvocati dello Stato,
responsabili di uffici legislativi, amministrativisti. Il lavoro di messa
a punto delle norme fondamentali diventa specifico e tecnico, e
viene sottratto alla elaborazione politica e culturale della fase
precedente. In questo contesto il mondo della scuola non
interviene direttamente anche se mantiene, ed esprime, la
speranza di un impatto esteso di questa rigenerazione del sistema
di gestione delle scuole.
Tra il 1997 e il 2001 oltre 52 provvedimenti - leggi, decreti
legislativi, decreti del Presidente della Repubblica, decreti della
Presidenza del Consiglio, decreti ministeriali, direttive ministeriali,
circolari - aprono e costruiscono un capitolo nuovo nella normativa
scolastica con i suoi esperti e i suoi cultori. Sotto questo profilo
l’autonomia si colloca saldamente nella tradizione rinnovata della
cultura giuridico-amministrativa che domina gli anni e che, in certa
misura, si fa carico della modernizzazione dell’azione pubblica.
L’ottica di decentralizzazione funzionale si rivela pienamente
compatibile con la seconda direzione di cui si è detto. La forte
caratterizzazione organizzativa, didattica e di ricerca del modello di
autonomia, codificata nelle norme, diventa il secondo pilastro del
nuovo scenario per il governo delle scuole e l’organizzazione del
servizio di istruzione.
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In termini generali la definizione dell’autonomia in termini didattici,
organizzativi e di ricerca è una scelta puntuale; al di là della
semplificazione delle procedure, dello snellimento dei
provvedimenti, della devoluzione alle scuole di pratiche
amministrative, due aree di decisioni di fondo, che in altri paesi
hanno costituito gli assi portanti della gestione locale delle scuole,
non vengono sostanzialmente alterati. La gestione del personale e
i sistemi di erogazione dei fondi pubblici alle scuole rimangono nel
solco dell’impianto consacrato dalla tradizione.
1997-2010: la messa in opera
Il terzo tempo del ciclo che abbiamo circoscritto si riferisce alla
messa in opera dei nuovi orientamenti e del nuovo impianto
normativo negli ultimi 10 anni circa. La fase di implementazione è
sempre la cartina di tornasole della validità delle ipotesi normative,
ma anche della efficacia dell’azione per la traduzione di ipotesi in
prassi. Allo stesso tempo evidenzia quali siano le posizioni e gli
interventi dei diversi attori in campo, interni ed esterni, nel
momento della policy in use.
Quasi nessuno oggi ricorda la vigorosa rimozione di pratiche e
procedure di ieri, spesso appannaggio esclusivo del provveditore
agli studi. Questa ristrutturazione è avvenuta nei fatti e con le
complicazioni spesso generate. Nuove norme per la gestione
contabile e devoluzione di competenze alle singole scuole hanno
modificato molta parte dell’impianto tradizionale mobilitando
amministratori, dirigenti scolastici e funzionari amministrativi ad un
impegnativo periodo di riambientamento.
Molto più evidente è stato, invece, il lavoro di costruzione del
sistema delle autonomie, con specifiche linee di decisione relative
al dimensionamento delle scuole autonome, alla creazione e
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messa in opera della dirigenza scolastica, all’avvio del sistema
nazionale di valutazione e alla definizione dei programmi di studio,
Molto spazio è stato dato, soprattutto nei primi anni, alla
promozione e al sostegno dei progetti dell’autonomia scolastica
anche grazie alle risorse rese disponibili annualmente dalla legge
440/1997.
Nel corso del decennio non sono, tuttavia, mancati i problemi
indotti da una mancata e ordinata implementazione. La riduzione di
finanziamenti, la progressiva erosione della forza propulsiva della
legge 440/1997 con la drastica, seppur graduale, contrazione dei
finanziamenti e, soprattutto l’uso disinvolto delle stesse risorse, il
perdurare di problemi finanziari irrisolti (pagamento della TARSU,
appalti per i servizi di mensa, compensi per la terza area, compensi
per i commissati degli esami di Stato…) hanno generato
preoccupazioni e disfunzionalità.
Dopo aver tracciato, seppur brevemente, l’itinerario dell’autonomia
possiamo ritornare alle riflessioni che accompagnavano le
speranze iniziali e, al di là dell’ottimismo e dell’euforia, tentare una
loro rivisitazione.
2. Le ragioni dell’autonomia, a distanza di dieci a nni
Sullo sfondo del ciclo di policy che si è ricostruito nei suoi termini
essenziali, può essere un buon esercizio discutere, criticamente
ma con scopi costruttivi, “le ragioni dell’autonomia”. Proprio in
questo contesto ormai una decina di anni fa fui invitato ad un
intervento sul tema dell’autonomia e dissertai sulle ipotesi
dell’autonomia. In quella sede mi ero sforzato di enucleare le le
ragioni di sostanza e non solo di apparenza, che ispiravano una
importante e decisiva evoluzione del nostro sistema scolastico
peraltro caratterizzato dalla difficoltà di realizzare cambiamenti
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significativi. Le ragioni erano, ovviamente, molteplici: alcune interne
al mondo della scuola, altre esogene relative al cambiamento della
pubblica amministrazione e altre, ancora, riguardanti i rapporti tra
la scuola e gli altri sistemi (Benadusi e Consoli, 2004, 31).
Schematicamente le ragioni possono così essere riassunte.
Una maggiore funzionalità gestionale era considerata l’esito di una
scelta che privilegiasse le dimensioni locali e contenute (small is
beautiful, era lo slogan del tempo per affermare che la gestione di
piccole unità di erogazione del servizio può garantire efficacia ed
efficienza). Se non la rimozione certamente il contenimento del
centralismo con la pesantezza del grande apparato crea spazio
vitale per le strutture più leggere e dinamiche, capaci quindi di
maggiore propensione innovativa.
Con una rivisitazione dell’idea di comunità scolastica ferma agli
aridi organi collegiali l’autonomia, si riteneva, avrebbe potuto
accrescere il senso di appartenenza e la condivisione delle diverse
componenti del progetto educativo e assicurare la continuità di
presenza sul territorio, nonché l’arricchimento reciproco tra scuola
e territorio con una attesa maggior efficacia nella ricerca di
soluzioni ai problemi che si presentano.
La vicinanza, inoltre, al territorio avrebbe rafforzato il valore della
scuola come risorsa e capitale sociale di una realtà, di un distretto,
di una valle, di un quartiere. La risposta alla domanda ed ai bisogni
locali sarebbe stata facilitata dal rapporto diretto e senza
intermediazioni, dalla sensibilità e dal confronto quotidiano; la
ricerca di soluzioni in loco e lo stesso curricolo di scuola diventano
uno strumento di adeguamento dell’offerta formativa.
Con la rivoluzione manageriale indotta dalla istituzione della
dirigenza scolastica, rispetto alle prassi burocratiche, si sarebbero
create le condizioni per una gestione efficace rispetto agli obiettivi
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ed efficiente rispetto alle risorse disponibili. Lo sgretolamento
dell’impianto burocratico avrebbe liberato da lacci e lacciuoli
l’amministrazione del servizio scolastico.
La maggiore responsabilizzazione delle singole unità scolastiche
rispetto agli esiti, alla qualità del servizio poteva essere considerata
come una leva su cui fare forza per migliorare la qualità della
scuola, anche nella prospettiva di superare le disomogeneità
territoriali che il centralismo non aveva scalfito negli anni.
Anche per lo sviluppo professionale dei docenti (rispetto alla
mediocrità dell’aggiornamento) le istituzioni autonome sarebbero
state dei veri e propri laboratori professionali, creando l’atmosfera
funzionale al miglioramento della qualità dei docenti favorendo
l’imparare sul campo e l’apprendimento cooperativo.
Dato il legame stretto tra la scuola e il territorio anche la
mobilitazione delle risorse locali e l’applicazione del principio di
sussidiarietà avrebbero trovato più facile realizzazione. In questo
modo le incertezze del sistema centrale avrebbero avuto minori
conseguenze negative.
Dietro, quindi, le elogiative proclamazioni (“l’autonomia delle
istituzioni scolastica: è svolta storica, finalmente autonomi, la fine
dei programmi, il ministero con i suoi provveditorati istituzioni al
tramonto…”) le ipotesi di partenza avevano un respiro rilevante e
pertinente; raccoglievano una pluralità di aspettative che, in misura
forse un po’ ingenua, esprimevano la richiesta di cambiamento.
Il deficit di implementazione o la messa in opera parziale rendono
difficile valutare i risultati e gli effetti di dieci anni di politiche di
autonomia al di là delle percezioni e delle opinioni. Anche in
assenza di evidenze empiriche sistematiche, alcuni elementi sono
comunque evidenti. Si può certamente sostenere che le ragioni
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elencate sono alla base delle positività del nostro sistema di
scuole, soprattutto di quelle scuole che hanno dato prova di
progettualità, di qualità di gestione e di risultati eccellenti. Sono
migliorati i rapporti con gli interlocutori all’interno delle comunità
scolastiche; in alcune regioni il dimensionamento della rete
scolastica ha trovato realizzazione compiuta e funzionale; sono,
peraltro, ormai disponibili strumenti e analisi sul livello di
apprendimento degli studenti grazie al lavoro del sistema nazionale
di istruzione.
Per una prima riflessione occorre però notare che il miglioramento
annunciato, atteso o promesso non sembra aver avuto piena
realizzazione. Ci sono, in particolare, tre considerazioni preliminari
da tener presenti per impostare una discussione in merito: la prima
è un richiamo al realismo, la seconda si riferisce alle concezioni
errate dell’autonomia e la terza puntualizza la mancata messa in
opera della componente più professionale e culturale
dell’autonomia.
In primo luogo un ragionevole realismo è d’obbligo quando si
affrontano ipotesi di cambiamento in educazione: le scuole, infatti,
sono istituzioni della continuità più che della discontinuità e le
riforme radicale possono essere annunciate, ma hanno limitata
probabilità di realizzazione compiuta. A questo proposito non è
certo insolita la testimonianza di un dirigente scolastico al suo
ingresso a scuola: “Quando io misi piede al Virgilio per la prima
volta, 10 anni fa, non mi sembrò certo di essere entrata in un
“futuro” caso. La scuola, simpaticamente vecchiotta e
sonnacchiosa in un caldo 28 agosto, era identica a quella in cui 20
anni prima avevo fatto le mie prime supplenze: stessi colori, stesso
ascensore un po’ traballante, stessa presidenza con la pianta
verde fuori dalla porta. Simile anche la custode ‘replicante’ della
figura di un tempo che mi intimava con sonora autorevolezza di
non sporcare le scale appena lavate. Certo, le tradizioni hanno un
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loro fascino, però… per un attimo la tentazione di fuggire c’è
stata”.3
Possiamo fare una seconda considerazione in questa riflessione
valutativa; essa riguarda il peso che ha avuto una errata
interpretazione dell’autonomia che ha indotto scuole e docenti a
pensare ad ipotesi di crescita delle risorse a disposizione; con la
esclusione di un’attenzione all’uso efficiente delle risorse esistenti.
In uno studio empirico sul tema viene documentato che il
significato che i docenti attribuiscono in primo luogo al concetto di
autonomia, è quello di ‘avere e ottenere risorse’4. Questa posizione
è paradossalmente anche condivisa da analisti dell’autonomia;
scrive, ad esempio, Morzenti Pellegrini: “Uno degli ostacoli più
ardui per la realizzazione completa del disegno autonomista delle
istituzioni scolastiche --- è proprio costituito dalla scarsità delle
risorse finanziarie e dalla difficoltà del loro reperimento.”5 E’
comprensibile che una tale ottica – l’autonomia come
accrescimento delle risorse a disposizione – marginalizzava le
preoccupazione di elevare i livelli di efficienza diventando, peraltro,
sempre meno plausibile in un periodo di contenimento delle risorse
complessive per l’istruzione.
C’è una terza considerazione su cui occorre richiamare
l’attenzione: riguarda la limitata messa in opera di una dimensione
importante, ed essenziale, dell’autonomia scolastica. Scrivono gli
3 Franco, M., Il Caso “Virgilio”, Scifo, G., G. Nigro e M.Puglisi, I dirigenti si
raccontano … Casi dell’autonomia scolastica in Lombardia, Milano, Guerrini e
Associati, 2005. P49.
4 L. Benadusi, O. Giancola, A. Viteritti, Scuole in azione tra equità e qualità,
2008, p.44. 5 R. Morzenti Pellegrini, L’autonomia scolastica, Torino, Giappichelli Editore,
2006.
6 L.Benadusi, O. Giancola, A. Viteritti, Scuole in azione tra equità e qualità, 2008. P.44.
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autori citati: “L’autonomia di ricerca, di sperimentazione e di
sviluppo è un ambito di autonomia utile a sviluppare l’autonomia
didattica e organizzativa nello sforzo di migliorare l’offerta formativa
complessiva, scopo raggiungibile solo attraverso una costante
azione di formazione, analisi e riflessione strategica sul proprio
operato e sulle dinamiche territoriali. Tutt’oggi rimane l’ambito di
autonomia meno praticato dalle scuole.” 6
Ben altro lavoro di approfondimento e di analisi sarebbe necessario
per un bilancio di una intensa stagione di innovazione. I cenni fatti,
comunque, ci aiutano a capire il presente in cui si intrecciano
ricorrenti citazioni a fini simbolici, quasi a sottolineare il difficile, se
non impossibile, distacco da una prospettiva così a lungo
alimentata e sostenuta e la sospensione di giudizio sulla non
conclusione del progetto originario. Non sfugge a chi ha familiarità
con l’amministrazione scolastica come di fatto da nirvana
pedagogico l’autonomia sia diventata un placebo a disposizione
per trovare soluzioni a problemi che non si vogliono, o non si è in
grado, affrontare.
Ci sono sintomi di uno stato di incertezza e di delusione; molti si
rifiuterebbero, tuttavia, di rassegnarsi alla caduta di un altro mito.
Non è del tutto fuori luogo, peraltro, interrogarsi se l’autonomia
scolastica non rientri in quella sequenza di ambizioni pedagogiche
e istituzionali, lanciate con entusiasmo e lungimiranza, ma poi
erose nel tempo, come è avvenuto già in passato nella storia della
nostra scuola.
Una rivisitazione dei motivi originari, appena abbozzata in questo
intervento, rimane comunque un possibile compito da svolgere;
vorrei proseguire mettendo a confronto la stagione dell’autonomia
che abbiamo vissuto con la stagione che stiamo vivendo e con gli
interrogativi che riguardano il domani delle nostre scuole.
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3. Autonomia delle scuole e apprendimento degli stu denti: un
interrogativo di oggi
Mentre il riferimento, e la discussione, all’autonomia oggi sembra
oscillare tra la stanchezza rassegnata di chi lancia alti lai per una
ipotesi non realizzata, tradita, deviata, minimalizzata e dimenticata
e chi continua a fare appello alla scelta dell’autonomia obiettando
all’autonomia incompiuta, inceppata, e proponendo un suo rilancio,
ci sono interrogativi a cui non ci si può sottrarre.
Mentre i motivi di ieri servono per una valutazione, per guardare
avanti abbiamo bisogno di sottoporre l’autonomia agli interrogativi
di oggi. Anche un semplice cenno ad alcuni nuovi interrogativi
pressanti e importanti pare denotare un certo spaesamento della
questione dell’autonomia rispetto ai nodi di oggi.
In relazione alla preoccupazione di formare bravi studenti, che
riassume molte priorità oggi in agenda, ci si può, infatti, domandare
se abbiamo evidenze che l’autonomia scolastica abbia avuto un
impatto positivo per il miglioramento del livello di competenza degli
studenti. Dovremmo cercare e repertoriare ricerche i cui risultati
dimostrino che il processo di autonomia delle istituzioni scolastiche
ha contributo significativamente al miglioramento dei livelli di
apprendimento degli studenti. L’autonomia scolastica può avere
creato migliori condizioni per la qualità della scuola, maggior
motivazione dei docenti, senso di appartenenza dei docenti;
abbiamo evidenze per sostenere che in questo modo gli ambienti
di apprendimento si sono rivelati più efficaci ?
La risposta non è semplice. Non è corretto, anzitutto, attendersi
miglioramenti quando la scuola opera in un contesto di
deprivazione sociale, culturale o di povertà. Spesso la gestione
autonomia di una istituzione scolastica non investe direttamente o
indirettamente le attività che si svolgono in classe; è più rivolta alle
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variabili organizzative e funzionali. Non di rado la gestione
autonoma non sembra legittimare interventi sull’azione didattica e
formativa che avviene in classe e che permane nel tempo al di là
dei processi di autonomia. Sovente l’autonomia riguarda
l’arricchimento dell’offerta formativa più che il nucleo centrale
dell’offerta formativa (competenze di base, livelli di apprendimento,
miglioramento nel percorso formativo…). L’attività del dirigente è,
non di rado, più concentrata su aspetti tecnici e strutturali che non
sul curriculum e solo indirettamente può incidere sugli esiti di
apprendimento. L’attuazione dell’autonomia è lenta, frammentaria
e parziale; non riesce ad essere una reale risorsa per le scuole.
Peraltro alcune ipotesi relative all’autonomia (ad esempio quelle
riguardandi l’organico funzionale…) sono rimaste impraticabili e del
tutto retoriche.
In verità l’autonomia non può essere valutata prima di una vera e
compiuta messa in opera. Bisogna, comunque, riconoscere che il
dibattito e le riflessioni condotte sul tema dell’autonomia non
avevano, soprattutto nelle fasi iniziali, al centro la questione dei
risultati scolastici degli studenti. Va, inoltre, precisato che i fattori
che entrano in campo come determinanti dei risultati scolastici
sono diversi (contesto socio-economico, background culturale degli
studenti …) e le variabili organizzative hanno un peso marginale.
Nel momento in cui i livelli di apprendimento degli studenti
occupano le prime posizioni nella scala delle priorità si apre un
nuovo scenario per la riflessione e per l’azione attorno al tema
dell’autonomia delle istituzioni scolastiche. Una prospettiva, non del
tutto nuova, ma in gradi imporre una profonda rivisitazione della
questione così come è stata impostata nei dieci anni di
applicazione delle norme sull’autonomia scolastica.
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4. Il riorientamento necessario: la nuova agenda
Pur con qualche semplificazione si può ritenere che in fondo
l’autonomia scolastica sia stata il risultato di una scelta di politica
generale, riguardante l’amministrazione pubblica nel suo insieme
non il settore specifico dell’educazione. Il campo della scuola è
rientrato in un disegno più ampio di modernizzazione dell’apparato
pubblico ed ha condiviso il cambiamento. Forse senza coglierne
tutte le potenzialità.
Il nuovo quadro normativo è consolidato ed è destinato a durare
nel tempo. La continuità è in genere una categoria positiva perché
richiama aspetti di solidità, di conferma, di tranquilla
conservazione, di consolidamento; mentre la discontinuità induce
timori e genera incertezza. E’ possibile, tuttavia, un concezione
evolutiva della discontinuità: non la svolta o l’abbandono di una
scelta, bensì la sua reinterpretazione, la sua rigenerazione, un po’
retoricamente, la sua reinvenzione.
Possiamo provare a rivisitare l’autonomia delle scuole nel quadro
più generale di riposizionamento del sistema scolastico. Da scuole
con una ricca e ridondante vetrina, con una progettualità
riconosciuta, con un management autorevole ed efficace potremmo
passare a scuole in cui si prende cura degli studenti, si coltivano
talenti, si opera per elevare i livelli inferiori di performance,
crescono le iniziative per spingere all’eccellenza gli studenti di
pregio, ed è variabile indipendente rispetto al territorio in cui si
trova. Queste prospettive, ispirato da un forte ritorno
all’apprendimento come ragione sociale della scuola, suggeriscono
una idea di autonomia, forse diversa da quelle coltivate nel
decennio trascorso, forse contenuta in nuce nelle scelte del
passato. Del tutto esplorativamente vorrei provare a tradurre in
contenuti concreti il senso di questa “svolta di respiro”.
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A scuola per imparare e capire
Nella scuola autonoma dobbiamo trovare expertise e competenze
relative a qualcosa di diverso dal mero aspetto di funzionalità, di
responsabilità gestionali, di amministrazione di variabili
organizzative; ma anche non limitate alla estensione dell’offerta
formativa e al suo arricchimento. C’è una soglia di funzionalità
amministrativa e di sviluppo dell’offerta formativa che va assicurata
e garantita. Ci sono temi che talvolta sembrano appartenere ad
aree adiacenti che devono ritornare al centro; c’è da ritrovare la
gerarchia delle priorità che è nella stessa idea di scuola.
La scuola ha essenzialmente a che vedere con i processi di
apprendimento, con la didattica delle singole discipline, con
l’insegnamento, con gli ambienti di apprendimento, con metodi e
tecniche per insegnare. Per lavorare efficacemente bisogna
intendersi di valutazione corrente, formativa e sommativa, di
diversità tra studenti, di personalizzazione, di strategie di
miglioramento. Sono tematiche che talvolta sembrano rientrare in
una zona d’ombra poco frequentata quando si discute di autonomia
scolastica.
C’è però una caratterizzazione specifica di queste competenze,
non si tratta di conoscenze teoriche, ma di quel capitale di sapere
pratico composto dalle capacità dei docenti e dei dirigenti.
Gli studenti, gente di domani
Talvolta mancano i termini per descrivere gli studenti che
vorremmo; non basta parlare di bravi studenti, studenti con la lode,
studentesse con medie elevate, con votazioni al massimo, studenti
che anticipano gli esami, non si dice molto parlando di studenti
seri, studiosi, rigorosi. Abbiamo un gergo di dettaglio, quasi
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maniacale, per la mobilità dei docenti, per i concorsi, per gli orari,
per l’immissione in ruolo; non abbiamo la stessa ricchezza di
lessico per presentare uno studente di valore; siamo in difficoltà
quando dobbiamo tracciare il profilo dello studente e ricorriamo ad
espressioni standardizzate.
Ci aiuta la lingua inglese che raccoglie riflessioni su questo tema:
reflective thinkers – pensatori riflessivi, self-managers –
autogestori, creative thinkers – pensatori creativi, independent
enquirers – ricercatori indipendenti, team workers – lavoratori in
gruppo, effective participants – partecipanti attivi.
C’è bisogno, a mio modo di vedere, di un approfondimento su
questo tema. Sono molti che parlano e studiano i difetti e le
patologie della scuola; non altrettanti quelli che concentrano i loro
interessi sugli studenti, sui loro percorsi, sulle loro storie di
successi e insuccessi. Succede che ne sappiamo poco. Dobbiamo
identificare i docenti, i gruppi di docenti o le scuole che sanno fare
innovazione oggi, quella innovazione che accresce le competenze
degli studenti, quei cambiamenti che sostengono i progetti di vita
degli studenti.
Le sfide di oggi per il futuro
Nel nostro sistema di costruzione di politiche scolastiche hanno
probabilmente avuto più effetto le indagini internazionali a cui
l’Italia ha partecipato che non le bozze e i tentativi di riforma che
sono state messe in piedi nel tempo. E’ stata l’irruzione dei
programmi IEA, TIMSS e PISA a svegliare un corpo a tratti
sonnolento e abbandonato a sé stesso. Hanno creato una
pressione che non eravamo stati capaci di generare dall’interno.
Ne sono derivate una maggior attenzione per la verifica dei risultati
scolastici, una riflessione sulla validità degli strumenti
convenzionali di valutazione e una sensibilità nuova aperta anche
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ad un orizzonte internazionale di confronto e di scambio di
esperienze.
Nell’agenda delle scuole autonome con una buona soglia di
funzionalità organizzativa si aprono spazi per nuovi impegni e
nuovi contenuti che esemplificativamente vorrei richiamare.
In primo luogo l’impatto della nuova sensibilità verso la valutazione
dei risultati scolastici va considerato in tutte le sue valenze. Le
indagini valutative internazionali hanno dato in successione pagelle
e voti alla nostra scuola; molte preoccupazioni sono sorte, ma
anche numerose sono state le azioni per superare le criticità
emerse. Per le scuole come quelle della Provincia di Trento che
hanno dimostrato livelli di performance, elevati e costanti negli
anni, è tempo di chiedersi se i buoni risultati esauriscono la ricerca
di miglioramento. Uno sguardo alle strategie dei paesi ad elevata
qualità di risultati può essere una scelta interessante. Mentre ci
sono paesi che hanno scelte le ‘classifiche’ internazionali per avere
degli obiettivi da raggiungere, altri (Singapore, Corea del Sud,
Finlandia…), dopo aver raggiunto e consolidato negli anni posizioni
di assoluta priorità e di rispettabile posizionamento comparativo,
hanno riscritto le proprie agende allargando l’orizzonte nella
direzione del potenziamento delle capacità degli studenti, della loro
creatività, della loro autonomia personale. Talvolta anche
ridimensionando l’architettura scolastica a favore dei processi
autentici di apprendimento. Imparare, apprendere, capire sono
termini più ricorrenti di insegnare e spiegare.
In secondo luogo c’è un “dopo PISA” che va affrontato
responsabilmente ed intelligentemente, con lungimiranza. In
questa ottica non mancano le sfide. Per la scuola la preparazione
di studenti con livelli elevati di competenza è un po’ come il centro
ricerche di un’azienda o l’ufficio studi di una grande
organizzazione. È la dimostrazione della propria capacità di
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accettare sfide elevate, è la garanzia che non ci si accontenta delle
mediocrità, è la dimostrazione che l’innovazione è continua. I dati
relativi alla partecipazione alle olimpiadi internazionali che coprono
varie aree disciplinari danno una immediata idea dei Paesi che
scommettono sulla conoscenza e sulla ricerca7. Non si tratta di
abdicare ad una tradizione di ricerca di equità all’insegna
dell’accoglienza, bensì di mettere a prova le capacità che le nostre
scuole possiedono quando si tratta di coltivare l’eccellenza.
Le scuole della Provincia di cui si conoscono, e apprezzano, la
funzionalità organizzativa e i buoni risultati potrebbero anche
essere riconosciute come contesti dove i talenti sono considerati,
coltivati e promossi. Non è un passaggio obbligato servono
strategie dedicate; anzitutto da parte delle singole scuole.
La terza linea di riflessione per individuare le sfide per il domani
riguarda l’ impatto delle scuole sul territorio in cui operano,
soprattutto sotto il profilo dell’economia della conoscenza. Siamo
quasi prolissi quanto parliamo di alcuni argomenti per i quali
disponiamo della retorica necessaria. Siamo un po’ restii a
rimettere in circolo parole impegnative, dense di riferimenti al futuro
del nostro paese, ricche di appelli alla responsabilità. Eppur
dobbiamo ricominciare a ragione di futuro, a guardare avanti, a
interrogarci sul contributo che le scuole possono dare al proprio
paese, alla sua crescita, alla sua cultura e al suo sviluppo. E’
tempo di lavorare per scuole che siano in grado di fertilizzare il
proprio territorio; e che non siano colonizzate da esso.
E’ impegnativo raccordare le proposte della scuola con i bisogni del
sistema economico, tecnologico e civile; più complesso, ma non
meno doveroso, è lavorare per creare oggi le premesse per dare
7 Nelle Olimpiadi internazionali di fisica del 2008 i risultati vedono la Cina (5 medaglie d’oro), Taiwan (5), Corea del Sud (4 e 1 di argento), India (4 e 1), Stati Uniti (4 e 1), Vietnam (4 e 1 di bronzo), Thailandia (3 e 2), Russia (3,1,1), Indonesia (2,2,1), Romania (1,3,1).
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risposte domani a bisogni non ancora evidenti, ad attese che
emergeranno. Sotto questo profilo l’obbligo della globalità è
difficilmente eludibile e la internalizzazione delle scuole non è un
blasone da celebrare, ma un futuro da costruire per la gente di
domani che oggi è nelle nostre classi.
5. In conclusione
Vorrei concludere con una ultima riflessione che mi viene suggerita
da quella lunga propensione all’innovazione che le scuole di questa
provincia hanno nella propria eredità storica. La scuola italiana ha
certamente un passato di pregio e un paesaggio di buone scuole,
pur permanendo al suo interno nodi irrisolti di inefficienza, di
risultati scadenti e di forti disomogeneità territoriali. Restare sul
passato o coltivare il presente potrebbe essere miopia.
L’autonomia delle scuole, anche nelle forme talvolta un po’
maldestre e non sempre coerenti con cui è stata definita dalle
norme, là dove è assicurata una soglia, adeguata o elevata di
funzionalità organizzativa e gestionale - ed è il caso delle istituzioni
scolastiche di questa provincia -, può essere la leva per accettare,
coraggiosamente ma anche serenamente, le sfide per il domani.
Nulla impedisce alle nostre scuole di riprendere in mano la propria
missione, di lavorare perché gli studenti costruiscano i propri
progetti di vita su una solida base di competenze, su una cultura
aperta, su una condiviso senso di partecipazione e di solidarietà;
un progetto radicato in una cultura di tradizione, ma aperto allo
scenario dell’economia globale. Nulla impedisce che i dirigenti,
dopo aver raggiunto buone padronanze manageriali ci cimentino
con quella leadership che è prioritariamente focalizzata
sull’apprendimento degli studenti. E’ la rivisitazione dell’autonomia
scolastica che auspichiamo e di cui abbiamo bisogno.