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28 La “persecuzione religiosa” Testimoni di Geova Prima delle SS arrivò il fascismo Due incontri La Congregazione cristia- na dei Testimoni di Geova per ricordare i correligio- nari deportati nei lager na- zisti, ha organizzato, nel cor- so dell’anno, due incontri a Milano e Sesto San Gio- vanni. Alle iniziative han- no partecipato rappresen- tanti di amministrazioni pubbliche, della cultura e della società civile (tra cui l’Aned). Le manifestazioni – come abbiamo ricordato anche nel numero precedente di Triangolo Rosso – sono sta- te integrate da una mostra di 36 pannelli, provenienti dalla Germania, dalla proie- zione di un documentario video I Testimoni di Geova, saldi di fronte all’attacco nazista e dalla testimonianza di superstiti o loro parenti. Fino ad oggi sono stati ot- tocento gli incontri (uni- versità, scuole, comuni e carceri) per inquadrare sto- ricamente il tema della “bu- rocrazia dello sterminio” nazista, che ha perseguitato per motivi razziali ebrei e zingari, per motivi ideologici gli oppositori politici e per motivi religiosi appunto i Testimoni di Geova. Prima di rievocare la dram- matica repressione nazista occorre ricordare, a chi in Italia vuole riscrivere i te- sti di storia, che il fascismo, fu maestro di repressione: oltre agli antifascisti infat- ti perseguitò, ben prima del- le ignobili leggi razziali del 1938 che avrebbero colpi- to i cittadini di razza ebrai- ca, i seguaci della Bibbia, come risulta dall’esame di cinque circolari diramate dal Ministero dell’Interno nel periodo 1929-1940, con- tenute nei fascicoli deposi- tati presso l’Archivio cen- trale dello Stato a Roma. Non può passare sotto si- lenzio il fatto che la discri- minazione fu dettata da un calcolo meschino, volto a compiacere le autorità reli- giose con cui il regime, per allargare il suo consenso, stava intessendo i contatti, che avrebbero portato al Concordato dell’11 febbraio 1929 tra lo “Stato italiano e la Santa Chiesa”. Tra il 1927 ed il 1943 in un elenco di 142 persone arre- state e mandate al confino per motivi religiosi, 83 era- no Testimoni di Geova. Con lo scoppio della guerra ven- tisei furono condannati dal Tribunale speciale fascista, a quasi 190 anni comples- sivi di carcere per aver dif- fuso pubblicazioni bibliche che, secondo gli inquiren- ti, prendendo posizione con- tro il conflitto, avevano of- feso la dignità del duce, del re, del papa e di Hitler. Tra gli arrestati alcune donne, Maria Pizzato e le sorelle Protti. Riferendosi ad Albina Protti Cuminetti, una detenuta co- mune fece la seguente con- siderazione: “A lei che non vuole uccidere hanno dato undici anni e a me che ho ucciso mio marito ne han- no dati dieci…”. Due Testimoni italiani co- nobbero l’agghiacciante esperienza dei lager nazi- sti: Salvatore Doria, dete- nuto nel carcere di Sulmona dove scontava undici anni inflittigli dal Tribunale spe- ciale fu deportato prima a Dachau e poi a Mauthausen. Liberato dagli alleati, ri- tornò in Italia, ma duramente provato nel fisico morì nel 1951 a 43 anni. Narciso Riet, nato in Germania da genitori ita- liani, braccato da fascisti re- pubblichini e nazisti per dif- fusione di pubblicazioni bi- bliche, venne arrestato a Cernobbio e deportato a Dachau. Sottoposto ad atroci torture, fu assassinato prima della liberazione dei campi. I relativamente pochi casi d’arresto e deportazione che colpirono i Testimoni ita- liani, si spiegano con la lo- ro scarsa presenza nella pe- nisola, che secondo le fon- ti variava da un minimo di 100 ad un massimo di 250 seguaci. In Germania, all’avvento di Hitler al potere, i Bibel- forscher (Studenti biblici) erano circa 20.000. Nel luglio 1933, con le leg- gi che sopprimevano ogni parvenza di democrazia, fu- rono dichiarati fuori legge. Arrestati e confinati a cominciare dal 1927 anche per compiacere le autorità della Chiesa in vista del Concordato – Dichiarati fuori legge in Germania nel 1933: iniziava il genocidio per soffocare la loro obiezione di coscienza di Pietro Ramella

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La “persecuzione religiosa”

Testimoni di GeovaPrima delle SS arrivò il fascismo

Dueincontri

La Congregazione cristia-na dei Testimoni di Geovaper ricordare i correligio-nari deportati nei lager na-zisti, ha organizzato, nel cor-so dell’anno, due incontri aMilano e Sesto San Gio-vanni. Alle iniziative han-no partecipato rappresen-tanti di amministrazionipubbliche, della cultura edella società civile (tra cuil’Aned).Le manifestazioni – comeabbiamo ricordato anche nelnumero precedente diTriangolo Rosso – sono sta-te integrate da una mostradi 36 pannelli, provenientidalla Germania, dalla proie-zione di un documentariovideo I Testimoni di Geova,saldi di fronte all’attacconazista e dalla testimonianzadi superstiti o loro parenti.

Fino ad oggi sono stati ot-tocento gli incontri (uni-versità, scuole, comuni ecarceri) per inquadrare sto-ricamente il tema della “bu-rocrazia dello sterminio”nazista, che ha perseguitatoper motivi razziali ebrei ezingari, per motivi ideologicigli oppositori politici e permotivi religiosi appunto iTestimoni di Geova. Prima di rievocare la dram-matica repressione nazistaoccorre ricordare, a chi inItalia vuole riscrivere i te-sti di storia, che il fascismo,fu maestro di repressione:oltre agli antifascisti infat-ti perseguitò, ben prima del-le ignobili leggi razziali del1938 che avrebbero colpi-to i cittadini di razza ebrai-ca, i seguaci della Bibbia,come risulta dall’esame dicinque circolari diramatedal Ministero dell’Internonel periodo 1929-1940, con-tenute nei fascicoli deposi-

tati presso l’Archivio cen-trale dello Stato a Roma.Non può passare sotto si-lenzio il fatto che la discri-minazione fu dettata da uncalcolo meschino, volto acompiacere le autorità reli-giose con cui il regime, perallargare il suo consenso,stava intessendo i contatti,che avrebbero portato alConcordato dell’11 febbraio1929 tra lo “Stato italiano ela Santa Chiesa”.Tra il 1927 ed il 1943 in unelenco di 142 persone arre-state e mandate al confinoper motivi religiosi, 83 era-no Testimoni di Geova. Conlo scoppio della guerra ven-tisei furono condannati dalTribunale speciale fascista,a quasi 190 anni comples-sivi di carcere per aver dif-fuso pubblicazioni biblicheche, secondo gli inquiren-ti, prendendo posizione con-tro il conflitto, avevano of-feso la dignità del duce, delre, del papa e di Hitler. Tragli arrestati alcune donne,Maria Pizzato e le sorelleProtti.Riferendosi ad Albina ProttiCuminetti, una detenuta co-mune fece la seguente con-siderazione: “A lei che nonvuole uccidere hanno datoundici anni e a me che houcciso mio marito ne han-no dati dieci…”.

Due Testimoni italiani co-nobbero l’agghiaccianteesperienza dei lager nazi-sti: Salvatore Doria, dete-nuto nel carcere di Sulmonadove scontava undici anniinflittigli dal Tribunale spe-ciale fu deportato prima aDachau e poi a Mauthausen. Liberato dagli alleati, ri-tornò in Italia, ma duramenteprovato nel fisico morì nel1951 a 43 anni. Narciso Riet, nato inGermania da genitori ita-liani, braccato da fascisti re-pubblichini e nazisti per dif-fusione di pubblicazioni bi-bliche, venne arrestato aCernobbio e deportato aDachau.Sottoposto ad atroci torture,fu assassinato prima dellaliberazione dei campi. I relativamente pochi casid’arresto e deportazione checolpirono i Testimoni ita-liani, si spiegano con la lo-ro scarsa presenza nella pe-nisola, che secondo le fon-ti variava da un minimo di100 ad un massimo di 250seguaci.In Germania, all’avvento diHitler al potere, i Bibel-forscher (Studenti biblici)erano circa 20.000. Nel luglio 1933, con le leg-gi che sopprimevano ogniparvenza di democrazia, fu-rono dichiarati fuori legge.

Arrestati e confinati a cominciare dal 1927 anche per compiacere le autorità della Chiesa in vista del Concordato – Dichiarati fuorilegge in Germania nel 1933:iniziava il genocidio per soffocare la loro obiezione di coscienza

di Pietro Ramella

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Le motivazioni? Ha scrittoBruno Segre: “Per i nazisti,i Testimoni incarnavano tut-to ciò che i nazisti odiavano. Il Movimento era interna-zionale, influenzato dall’e-braismo attraverso l’utiliz-zazione dell’Antico Te-stamento e la sua escatolo-gia; predicava il comanda-mento che ordinava di nonuccidere e quindi rifiutava ilservizio militare…”. Essi, infatti, pur essendoscrupolosi nell’osservare leleggi, si scontrarono con l’i-deologia totalizzante del na-zismo, poiché si rifiutava-no, per una questione di fe-de, di imbracciare le armi, dilavorare per l’industria bel-lica, di aderire al partito na-zista e di osannare il Fürher.Bibbie e pubblicazioni bi-bliche furono confiscate edate alle fiamme, i creden-ti picchiati e arrestati peraver partecipato a riunioni diculto, alcuni internati neicampi di concentramento direcente istituzione. Quelli impiegati nelle am-ministrazioni pubbliche,vennero licenziati, i loro fi-gli pesantemente discrimi-nati a scuola e bocciati, mal-

grado gli ottimi voti, perchési rifiutavano di parteciparealle adunanze paramilitari. Unici, tra tutte le confes-sioni religiose, i Testimonidi Geova presero posizionecontro il regime denun-ciando sulle loro pubblica-zioni clandestine la barbariedell’ideologia hitleriana,tanto che la Gestapo formòun’unità speciale per per-seguitare quanti, di nascosto,continuavano a praticare ediffondere i precetti dellaloro fede.

Nel 1938, anno della “not-te dei cristalli”, (una nottedi terrore, che scatenò con ladistruzione dei negozi ebrai-ci, un’ondata di uccisioni,violenze e arresti), su 20.000Testimoni circa la metà finìnei campi d’internamento,dove furono contraddistin-ti dagli altri prigionieri daun triangolo viola cucito sul-l’uniforme. Per il tratta-mento spietato 2.000 di lo-ro vi trovarono la morte.Nei lager essi continuaro-no coerenti a resistere pas-sivamente tanto che per rom-pere la loro solidarietà si de-cise di sparpagliarli in bloc-chi diversi. Ma poi si dovette fare mar-

cia indietro quando ci si ac-corse del pericolo rappre-sentato dal loro attivismo“missionario”.Nel corso della secondaguerra mondiale, circa 300Testimoni furono condan-nati alla pena capitale daitribunali militari quali obiet-tori di coscienza ed in granparte decapitati, perché lafucilazione era ritenuta unapena troppo mite. Nello stesso periodo, ap-profittando dell’isterismobellico, i nazisti presero neiconfronti dei figli dei “geo-visti” misure inumane.Infatti, negando ai genitorila patria potestà, li strappa-rono alle famiglie per affi-darli a “centri di rieduca-zione”, affinché fossero edu-cati all’ideologia nazista.La storia dei Testimoni diGeova nella Germania na-zista ha avuto un aspetto sin-golare: essi, unici tra tutti idissidenti, avevano la pos-sibilità, sia da internati cheda obiettori, di riacquistarela “libertà” con un atto d’a-biura del loro credo, il chespiega perché i nazisti si ac-canirono tanto contro di lo-ro, non ritenendo, infatti,che le motivazioni di fededi un gruppo numericamentelimitato potessero opporsialla trionfante ideologia na-zista.

A fianco,la casaccadeldeportatocon iltriangoloviola.

In basso,un grupporadunatoanni dopoladeportazione nel campodiWewelsburg

L’unica opposizione tra le confessioni religiose

L’atto di abiuraEcco l’atto di abiura che i Testimoni di Geova poteva-no sottoscrivere per uscire dai campi di concentra-mento:“Ho lasciato completamente l’organizzazione [degliStudenti Biblici o Testimoni di Geova] e mi sono li-berato nel modo più assoluto degli insegnamenti diquesta setta. Con la presente assicuro che mai più pren-derò parte all’attività degli Studenti Biblici. Denunceròimmediatamente chiunque mi avvicini con l’insegna-mento degli Studenti Biblici o riveli in qualche mododi farne parte. Consegnerò immediatamente al più vi-cino posto di polizia tutte le pubblicazioni degli StudentiBiblici che dovessero essere inviate al mio indirizzo.In futuro stimerò le leggi dello Stato, specie in caso diguerra difenderò armi alla mano, la madrepatria e miunirò in tutto e per tutto alla collettività”.

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Condannato dai giudici londinesi dopo due lunghi processi

L’inglese David IrvingStorico sì, ma anche “razzista e antisemita”

Processi

Aveva denunciato per diffamazione la ricercatrice americana DeborahLipstadt che nel libro “Negarel’Olocausto” lo aveva dipinto come un pericoloso “negazionista”.

Dovrà pagare 6 miliardi di onorari e spese legali altrimenti finirà in carcere. Un bel libro di DavidGuttenplan rievoca il lacerantedramma giudiziario svoltosi nell’auladella Royal Court of Justice

David Irving, “uno dei piùpericolosi negatori dell’Olo-causto” in circolazione, do-po anni di processi e centi-naia di udienze davanti auno stuolo di avvocati diogni rango, di cattedraticiuniversitari di tutti i conti-nenti e a quintali di docu-menti e di testimonianze del-la seconda guerra mondia-le, ha ora un problema inpiù, quello di raggranellareal più presto sei miliardi dilire (l’equivalente di due mi-lioni di sterline) per pagarele spese processuali e glielevatissimi onorari degliavvocati della difesa a cuiè stato condannato dai giu-dici del suo Paese, se vuole

evitare l’onta del carcereche incombe minacciosa sudi lui. Se gli mancassero i mezzi,cosa non improbabile, mal-grado faccia affidamento sulsuccesso del suo prossimo li-bro dedicato a WinstonChurchill, una cella è giàpronta per accoglierlo. InInghilterra infatti il debito-re che non paga va diritto inprigione.Il tempo a disposizione diIrving per saldare il conto èassai limitato. Il fallimento della sua dis-sennata e pericolosa inizia-tiva giudiziaria avviata nel1996 e raccolta dalla pennadel giornalista americano

David Guttenplan nel libroProcesso all’Olocausto (TheHolocaust on Trial, CasaEditrice Corbaccio, pp.333,lire 30 mila) è stato com-pleto: lo storico inglese in-fatti si è visto respingere nelluglio scorso, questa voltain appello, dall’Alta Corte diLondra le ragioni della que-rela per diffamazione in-tentata contro la professo-ressa americana DeborahLipstadt, 53 anni, cattedraad Atlanta alla EmoryUniversity ( e contro la ca-sa editrice Penguin BooksLtd) che in un saggio del1994 dal titolo Negarel’Olocausto- Il crescente as-salto alla verità e alla me-moria (Denying the Holo-caust), aveva accusato Irvingdi voler falsificare la storianegando o sottovalutando ilgenocidio degli ebrei sottoil nazismo per finalità ideo-logiche.Secondo il sistema proces-suale inglese, Irving avevasfidato Deborah Lipstadt adimostrare che le camere agas erano effettivamente esi-stite, trasformando la que-rela per calunnia in un veroe proprio processo sul ge-nocidio, sui sistemi con iquali il Reich si era sbaraz-zato degli ebrei e delle raz-ze giudicate inferiori e, an-cora, sulle ragioni per cui

gli alleati non fecero nullaper arrestare o mitigare ilmassacro.Uno scenario a vastissimoraggio che indusse non so-lo la Penguin Books Ltd,editrice del libro dellaLipstadt a investire oltre unmilione di sterline in par-celle d’avvocati e altre cen-tinaia di migliaia per pro-curarsi la testimonianza deiperiti ma anche lo stesso sta-to di Israele a battersi a fon-do (con altrettanti ingentisforzi finanziari) perché lebizzarre tesi di Irving nonfossero implicitamente aval-late.Non che il 63enne scrittoreinglese, ultimo di quattro fi-gli, il padre ufficiale di ma-rina e famoso esploratore,la fanciullezza segnata dal-la guerra, nel suo lungo cam-mino revisionista, ricco diuna trentina di libri, dallabiografia del capo della pro-paganda germanica JosefGobbels, alla guerra diHitler, all’apocalisse aDresda, avesse negato i mas-sacri nazisti, anche se ave-va voluto precisare con unatesi alquanto risibile e biz-zarra che essi “non eranoavvenuti in maniera signi-ficativa”. Irving aveva però messo indubbio, con subdole rico-struzioni storiografiche e

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con strumentali utilizzi del-le fonti documentarie chegli eccidi in tutta Europafossero stati il frutto di unprogetto sistematico, che la“soluzione finale” alle con-ferenze di Wannsee del 1942era stata un prodotto dellapropaganda ebraica ed al-leata e che mancava la pro-va certificata e tranquillan-te che Hitler avesse impar-tito l’ordine di procedere alsistematico sterminio (il dit-tatore fino al 1943, secon-do Irving, sarebbe stato te-nuto all’oscuro dai suoi mi-nistri della reale portata deimassacri e, comunque, sequalcuno fosse stato in gra-do di esibire la prova con-traria, Irving stesso avrebbeversato molto volentieri labella somma di mille dolla-ri!).Orgoglioso e testardo, cer-tamente in malafede, vistigli esiti processuali, Irving,ha respinto in ogni momentol’accusa d’essere un “nega-zionista”.“È stata-ha commentato da-vanti al giudice CharlesGray- un’accusa partico-larmente maligna perchénessuna persona nel pienopossesso delle proprie fa-coltà mentali, può negareche la tragedia sia veramenteaccaduta, per quanto noi sto-rici dissidenti possiamo pro-

varci a cavillare sui mezziusati, la portata, le date ed al-tri dettagli”. Il problema posto da Irvingera stato più sottile, infido,scivoloso. Quando Irving scrive cheHitler non sapeva della so-luzione finale, o dice chenon c’erano camere a gasad Auschwitz e che in quat-tro anni vi furono meno vit-time di quelle che furonouccise in una sola notte dalbombardamento alleato diDresda, quello che fa (se-condo lui) non si differenziadal comportamento di unostorico che vuole persua-dere che Lee fu un genera-le migliore di Grant o di unarcheologo che dubita chei greci e che i troiani sianomai giunti davvero a com-battere per Elena di Troia. Insomma, per Irving, sonodettagli e non è giusto esclu-dere dal dibattito coloro chesi misurano con questo ti-po di materia. Se Irving sostenendo que-sta posizione, ha dimostra-to di sapersi muovere conabilità, senza scatenare rea-zioni forti, facendo in qual-che occasione delle con-cessioni alla controparte, ilsuo atteggiamento, comedetto, è mutato quando gli èstato affibbiato il marchiodel “negazionista”.

È stato il momento in cui ilmaturo scrittore ha perso latesta, come fosse stato mor-so da una tarantola. “È un’e-tichetta-ha detto ai giudici-questa del negazionista chenon ha virtualmente anti-doto, meno letale di una si-ringa ipodermica con delgas nervino conficcata nelcollo, ma altrettanto fune-sto. Per la vittima presceltaè come essere accusato dipicchiare la moglie o di pe-dofilia. È sufficiente che l’etichet-ta sia applicata ad una per-sona perché essa si trovi de-signata come un paria, unemarginato dalla società. Èuna stella gialla verbale”.Irving per difendersi ha at-taccato il movimento ebrai-co nel mondo, il suo poterefinanziario che con il dena-ro avrebbe messo la sordinaalle sue idee sino a giunge-re a gridare ai giudici chegli ebrei hanno fomentatouna cospirazione interna-zionale avendo lo scopo discreditare le sue idee, ope-razione in grado di essereripetuta ogni volta che uno“storico dissidente” osi met-tere in discussione quella

che deve essere la sola ve-rità. Da qui la sua difesa, ri-gettata sul querelato, attra-verso un meccanismo diffi-cile da governare. “Questoprocessoha spiegato Irving,non verte in realtà su ciò cheaccadde nell’Olocausto, osu quanti ebrei e altre mi-noranze perseguitate ven-nero torturate e condannatea morte. Può essere che iosia totalmente ignorante sualcuni aspetti della secon-da guerra mondiale, e vi di-co subito che non credo diesserlo, ma che io sia accu-sato di manipolazione deli-berata, di distorsione dei fat-ti e di errori di traduzione èperverso. I querelati debbono dimo-strare, a mio modesto avvi-so, primo, che una cosa im-portante è accaduta o esisti-ta; secondo, che io ero con-sapevole di questa partico-lare cosa come accaduta oesistita nel momento in cuiscrivevo di essa attingendodai documenti allora in miopossesso; terzo, che io ho al-lora premeditatamente ma-nipolato il testo, ho cambiatola traduzione e l’ho distortoper quegli scopi che essi sot-

Il maturo scrittore ha perso la testa

Secondo il sistemaprocessuale inglese,Irving aveva sfidatoDeborah Lipstadt a dimostrare che le camere a gas eranoeffettivamente esistite,trasformandola querela per calunnia,in un vero e proprio processo sul genocidio

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Storico sì, ma anche“Razzista e antisemita”

Polemiche

tintendono”. La prima sen-tenza di condanna era stataemessa dalla Royal Courtsof Justice di Londra nel-l’aula 36 alle 10,30 dell’11aprile 2000. I due grandi av-versari erano regolarmentepresenti. Deborah Lipstadtvestiva un austero abito scu-ro. David Irving era senzagiacca, con una camicia arighe bianche e blu e unacravatta a righeblu e gialle, par-zialmente co-perte da un pan-ciotto grigio erosso.La sentenza, 333pagine in 245 pa-ragrafi, lette perdue ore ininter-rottamente dalgiudice CharlesGray, è stata perIrving una au-tentica mazzata,una sonora scon-fitta su tutta la linea, dal te-ma di Hitler, ad Auschwitz,alla soluzione finale, al bom-bardamento di Dresda, alleresponsabilità della “ nottedei cristalli”. Senza entrarespecificatamente nel meri-to del fatto storico (“nonspetta a me formare-ha pre-cisato il giudice Gray-né tan-to meno esprimere un giu-dizio sull’accaduto”), il ma-gistrato inglese aveva sma-scherato il disegno dello

scrittore inglese definendo-lo “razzista e antisemita”.“Per motivi ideologici-dicetestualmente la motivazio-ne-Irving ha travisato le te-stimonianze e proiettato lafigura di Hitler sotto una lu-ce favorevole, negandol’Olocausto, assumendo po-sizioni antisemite e razzistee legandosi ad elementi neo-nazisti. Appare innegabile

che in assenza diqualsiasi giusti-ficazione o spie-gazione attendi-bile di quanto hadichiarato o scrit-to, Irving sia dadefinirsi antise-mita. Le sue pa-role sono direttecontro gli ebrei,sia individual-mente che col-lettivamente, nelsenso che essesono di volta in

volta ostili, critiche e deri-sorie nel loro riferirsi ai po-poli semiti, alle loro carat-teristiche fisiche e compor-tamentali”.Contro questa inequivocavalutazione, David Irvingsi era rivolto alla Corte su-prema mettendo in giocotutto il suo prestigio e an-che il suo futuro, coscio cheuna nuova sconfitta, avreb-be significato la fine. E co-sì è stato.

L’Olocausto non si tocca.Tre giudici d’appello han-no respinto l’istanza di an-nullamento della preceden-te sentenza, spazzando via,come carta straccia, l’ar-chitrave del pensiero nega-zionista “irviniano”, dallateorizzazione che il gasZyklon B non fosse statofabbricato ed usato per uc-cidere gli ebrei bensì permotivi igienico-sanitari, alfatto che le camere a gas nonfossero tecnicamente abili-tate per l’eliminazione dimassa e infine, che i docu-mentari americani girati do-po la scoperta dei campi, al-tro non fossero che versio-ni hollywoodianein funzio-ne del processo diNorimberga.Nella storia dell’antisemi-tismo, il processo “Irvingcontro Lipstadt”, rimarràun capitolo fondamentale.Qualcuno ha scritto cheDavid Irving è stato puni-to dalla giustizia per avernegato il genocidio e chela storia era finita per suacolpa in tribunale. Non èesatto.Lo scrittore inglese è statocondannato per aver co-

stretto un tribunale, con lasua spericolata iniziativagiudiziaria, a pronunciarsisulla credibilità delle sue te-si storiche. La conclusione, secondo igiudici, è stata che le affer-mazioni di Deborah Lipstadtnon potevano considerarsicalunniose a cominciare daquella che dipingeva Irvingcome la figura chiave di unmovimento teso a riabilita-re il nazismo attraverso lanegazione della realtà sto-rica dei suoi crimini.David Guttenplan, il croni-sta Usa, non ha perduto unasola udienza della lunghis-sima maratona giudiziaria. Ha vissuto ora per ora lacomplessa battaglia, haascoltato a lungo le voci deidue contendenti, ha inter-vistato il giudice CharlesGray, ha esaminato monta-gne di atti, mischiato inun’aula zeppa come un uo-vo a qualche sostenitore contanto di svastica di Irving, aqualche ebreo osservantecon il caratteristico zuc-chetto, a uomini e donneanziani con i numeri tatua-ti sull’avambraccio, i so-pravvissuti di Dachau,

L’Olocausto non si tocca,dice la Corte di Londra...

Appenainnegabile

che,per quanto

ha dichiarato o scritto,

Irvingsia da

definirsi antisemita

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Buchenwald, Bergen-Bel-sen o Plaszow dove vive-vano gli operai di OskarSchindler. Nel suo libro èpossibile ripercorrere quel-la che non è solo la storiadi un processo ma è so-prattutto la memoria dellaShoah.Scrive David Guttenplan altermine della sua fatica, os-servazioni che devono ser-vire ad aiutare chi vogliamuoversi, senza perdere larotta, nell’intricato cammi-no del grande massacro: “lasentenza ragionata diCharles Gray ha ratificatotutti i punti fondamentaliche la difesa cercava di sta-bilire.Si è dimostrato che DavidIrving è un bugiardo, un raz-zista ed un pervertitore del-l’evidenza storica, che nonè un affidabile interprete diimportantissimi eventi sto-rici, bensì un uomo sulla cuiparola non si può più contareneanche per il minimo det-taglio.Si è dimostrato anche, sep-pur solo implicitamente, ildiritto degli ebrei e di altrigruppi etnici diffamati a ri-spondere con impeto, e informa organizzata, quandosono attaccati”.La sentenza è andata più inlà. Ha inchiodato Irving an-che sul proprio terreno, sul-l’utilizzo delle sue fonti, “af-

fermando che, soltanto inbase agli elementi probato-ri a sua disposizione-non al-la totalità di essi-i dati sto-rici erano abbastanza chia-ri da rendere obbligatoria laconclusione che l’Olocaustoè effettivamente avvenuto,che Hitler fu come minimoben consapevole di quantostava accadendo, e che solouna mente adulterata dai pre-giudizi può negare la realtàdelle camere a gas di Au-schwitz”.“A me sembra corretto e ine-vitabile, ha concluso il giu-dice Gray, che la falsifica-zione della ricostruzionestorica sia stata in gran par-te deliberata, e Irving fossesollecitato dal desiderio diporgere i fatti in modo coe-rente ai propri convincimentiideologici, anche quandociò comportasse distorci-mento e manipolazione del-l’evidenza storica”.

Dunque, secondo DavidGuttenplan, almeno sul pia-no giudiziario, la storia èstata certamente salvata. Maè stato sufficiente? Irvingnella sua opera molesta con-tro gli ebrei è stato inter-cettato e reso incapace difare altro male e il peso deldenaro chiamato a sborsa-re costituirà comunque unforte deterrente.Ma ci saranno certamentealtri negazionisti già in ag-guato che non riterranno didoversi inchinare alla sen-tenza di Charles Gray, pron-ti a entrare in azione, a pro-seguire un’operazione chei sostenitori di DeborahLipstadt dovranno esserecapaci di contrastare.

“Si è trattato di una senten-za perversa”, è stato il com-mento di Irving mentre la-sciava l’aula di giustizia daun’uscita secondaria dopola prima condanna. “Sonomolto felice che si sia af-fermata la verità di quelloche ho scritto”, ha replica-to Deborah Lipstadt. Paroleche sono servite a far ritor-nare il sorriso anche di fron-te ai due milioni di sterlinespesi per contrastare Irving.“A volte i principi, ha con-cluso Anthony Forbes-Watson, editore della Pen-guin Books Ltd, sono piùimportanti delle considera-zioni economiche”.

Franco Giannantoni

...ma è già in agguatoqualche altro negazionista

La conclusione é che l’Olocausto è effettivamenteavvenuto,che Hitler fu come minimo ben consapevole di quanto stavaaccadendo,e che solo una menteadulteratadai pregiudizi può negare la realtàdelle camere a gas di Auschwitz

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Da un brutto libro un pessimo film : “Il mandolino del capitano Corelli”

Il massacro di CefaloniaLa gloria ridotta a un polpettone gastro-erotico

di Massimo Cavallini

Gli italiani, si sa, sono “bra-va gente”. Ed il capitanoAntonio Corelli, immagi-nario ufficiale della divi-sione Acqui, è certo il piùbravo di tutti. Tanto bravo, in effetti, dasembrare, per lunghi tratti,un perfetto idiota, totalmenteignaro di quel anche gli staaccadendo attorno – la se-conda guerra mondiale,nientemeno – e, nel con-tempo, serenamente, anzi,beatamente concentrato sulproprio mandolino, origi-nalissimo simbolo della suacultura e delle sue piùprofonde, autentiche radiciitaliche.Si sarebbe quasi tentati didire della sua “filosofia del-la vita”, fosse soltanto pos-sibile intravvedere, in quelsuo sguardo buono ma spen-to (perfettamente reso, perl’occasione, da NicolasCage, uno dei più inespres-sivi tra gli attori hollywoo-diani) l’ombra d’un pen-siero. O di qualcosa che adun pensiero vagamente as-somigli.Forse era inevitabile. E dicerto già è accaduto un’in-finità di altre volte, come inuna fisica legge di causa edeffetto.

Dato un romanzo cretino,ma piacevole e di grandesuccesso, altissime sono leprobabilità che, dopo un bre-ve volo, il medesimo atter-ri, come sospinto dalle for-ze della natura, nella Meccadel cinema. E che qui, trasformato insceneggiatura, moltiplichiinfine quel che di più bana-le, epidermico e caricatura-le si porta dentro. Il romanzo era, nel caso inquestione,Il mandolino delcapitano Corelli, dell’in-glese Louis De Bernières,uno specialista nella crea-zione di stereotipi etnico-esotici di facile lettura che,in passato, aveva trovatosoprattutto in AmericaLatina la sua fonte d’ispi-razione.Ed il film è quello che, usci-to con il medesimo titolonegli Stati Uniti d’Americalo scorso agosto, forse avràgià fatto il suo debutto inItalia al momento della pub-blicazione di quest’artico-lo.Il tema è quello d’una grandestoria d’amore maturata sullosfondo delle tragiche vicendeche, a Cefalonia, nel settem-bre del 1943,videro il massa-cro della divisione Acqui.

Tutti di “grande prestigio” inomi che fanno da contornoall’opera. Corelli è il sum-menzionato e popolarissi-mo Nicolas Cage. Pelagia,la ragazza greca che diCorelli inspiegabilmentes’innamora, è la spagnolaPenelope Cruz, oggi consi-derata ad Hollywood la piùpura (ed inflazionata)espressione della bellezzalatina. Il regista è JohnMadden, lo stesso diShakespeare in Love. E lacasa produttrice è Miramax,la branca della DisneyCorporation che si dedicaalla promozione e distrubi-zione di “film d’arte” (tra isuoi più recenti successi ita-liani La vita è bella diRoberto Benigni).Del romanzo di DeBernières già scrisse tem-po fa - proprio qui, suTriangolo Rosso - un assaiben argomentato articoloFranco Giannantoni. Ed al-le sue considerazioni (nonpropriamente lusinghiereper l’autore e per il suo ri-spetto della storia) nulla sipuò aggiungere. Se non que-sto: rispetto al film, che dal-

la costola del romanzo s’èstaccato in quel diHollywood, anche le ap-prossimazioni storiche, glistereotipi da operetta ed ilferoce anticomunismo diLouis De Bernières ap-paiono come, assai contro-versi, ma benvenuti palpitidi vita, lampi che - pur spes-so spregevoli nella loro fal-sità o nella loro melensa su-perficialità – rifulgono nel-la notte come genuini riflessidi idee e di passioni.Sbagliate le prime e mal ri-poste le seconde, certo; macomunque capaci, le une ele altre, di presentarsi comesegnali di presenza umana.Poiché ciò che il film ci re-stituisce, di quel romanzet-to già tanto esoticamente in-sulso e già tanto irrispetto-so delle reali vicende stori-che, è alla fine soltanto undissanguato ed inerte ca-scame, pateticamente tra-vestito da “storia d’amoree di guerra”. Peggio: trave-stito da film che sull’amoree sulla guerra ha l’ambizio-ne di rivelarci, oltre la con-tingenza della storia, eter-ne verità.

Stereotipi da operettavenati di anticomunismo

Cinema

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Proviamo, per meglio capi-re, a ricapitolare brevissi-mamente quella che fu lavera – ed ai lettori diTriangolo Rosso ben nota -storia della strage diCefalonia. L’armistiziodell’8 settembre lasciò gliuomini della divisioneAcqui, di stanza a Cefaloniae Corfú, di fronte ad un di-lemma (comune a quello ditutti gli altri soldati italiani

abbandonati al fronte, ma,nel caso specifico, ovvia-mente aggravato dalla “in-sularità” della situazione):arrendersi ai tedeschi – checon gli italiani occupavanol’isola – o resistere. Il ge-nerale Gandin tentò primadi prendere tempo – nellasperanza di ricevere ordinidal comando centrale – equindi, il 13 di settembre,decise di tenere un referen-

dum tra gli uomini di tutti ireparti, ponendoli di frontea tre possibili alternative:continuare la guerra assiemei nazisti, come questi ulti-mi reclamavano, arrendersie consegnare loro le armi(come il comando italianodi Atene aveva indicato pri-ma di svanire nel nulla), oresistere. Gli uomini - uo-mini che, cresciuti nel fa-scismo, mai avevano primadi allora votato - scelsero alarghissima maggioranza laterza via, la più difficile. Ecombatterono fino a quando,sopraffatti e decimati dai te-deschi (che contrariamenteagli italiani godevano di pro-tezione aerea) furono co-stretti alla resa. Fu a questopunto che il massacro co-minciò. Tutti gli italiani so-pravvissuti (quasi 5mila)vennero raggruppati ed uc-cisi, uno dopo l’altro, perdiretto ordine del Fuehrer.

Su un punto tutti ovviamenteconcordano: quella dei sol-dati italiani a Cefalonia fu– al di là di ogni dubbio ocontroversia sullo svolgi-mento dei fatti e sul ruolodei vari protagonisti – unagrande storia di riscatto. Piùspecificamente: fu la storiadella dolorosa, difficile pre-sa di coscienza di soldatiche avevano percorso, una

dopo l’altra – dalla pugna-lata alle spalle della Francia,all’aggressione alla Grecia,alle campagne d’Africa e diRussia - tutte le tappe delcalvario della guerra fasci-sta. E la loro decisione diresistere – in alternativa al-la più facile e, in sé, nonignominiosa decisione diarrendersi - era, in realtà,qualcosa di più di un “no” al-la guerra genericamente in-tesa. Era un “no” a “quella”guerra ed alle forze che l’a-vevano generata. Ed era, so-prattutto, il frutto della con-sapevolezza che solo com-battendo contro quelle stes-se forze si poteva ritrovarela via di una vera pace. Nonci sono, in questo senso,equivoci possibili. Il sacri-ficio degli uomini della di-visione Acqui fu, per moltiaspetti, il segnale d’iniziodella Resistenza italiana, ilprimo dei molti “no” chepronunciarono gli altri600mila soldati (il 98 percento del totale) che, cattu-rati dai nazisti, preferironoprendere la via dei campi diconcentramento (dove mo-rirono in più di 40mila) piut-tosto che combattere nellefile della Repubblica di Salò.O del “no” che pronuncia-rono quelli che, a migliaia,presero in quei giorni la “viadella montagna”.

La vera storia del massacro nell’isola

Dato un romanzocretino, ma piacevole edi grande successo,altissime sono le probabilità che,dopo un breve volo,il medesimo atterri,come sospinto dalle forze della natura,nella Mecca del cinema

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La Cefalonia del film

La pagina di gloria di Cefalonia ridotta a un polpettone gastro-erotico

Cinema

Che cosa rimane di tuttoquesto, nella sua versionehollywoodiana? Qualcosameno di nulla. Perché di nul-la il capitano Corelli ed isuoi commilitoni sembranoessere a conoscenza. Perché quelli che si muo-vono sullo schermo sono,per l’appunto, “italiani bra-va gente”. Molto più bravi (emolto più cretini), in effet-ti, di quanto fossero quelliveri che sbarcarono aCefalonia. Tra di loro nonsembra essercene neppureuno che non già sia un fa-scista, cosa non sorpren-dente in un esercito che d’unpaese fascista era espres-sione ma che avesse una siapur vaga idea di che cosafosse il fascismo. O anchesoltanto del fatto che così –fascista – si chiamava il re-gime per il quale stavanocombattendo. Il capitanoCorelli ed i suoi uomini diquesto nulla sanno. Anzi, diquesto nulla vogliono sa-pere. Loro non sono che al-legri e simpatici gentiluo-mini, che vivono la guerracome una malaugurata mapasseggera circostanza dal-

la quale, in nessun modo,devono venir turbati quelliche restano i loro veri inte-ressi: la buona musica, labuona tavola e le belle don-ne. Ignari d’ogni tragedia(o ad ogni tragedia indiffe-renti) il capitano Corelli egli altri italiani di Cefaloniapensano solo ad organizza-re il proprio “clubdell’Opera” (anche se il lo-ro repertorio sembra, in ef-fetti, curiosamente limita-to alle arie che LucianoPavarotti ha, in questi anni,reso popolari in America.In sostanza: nulla più cheun La donna è mobile ripe-tuto all’infinito ed in ognicircostanza).E la loro filosofia sembraesser riassunta tutta nel Ciaobella bambina! che, con lostesso accento di OliverHardy, Nicolas Cage pro-nuncia al suo primo incon-tro con la dolce Pelagia.Alla fine gli uomini diCorelli (anche se non lui,che si salva in vista del“happy ending”) muoionoper davvero. Ma lo fannoper caso, vittime non delleproprie scelte, ma d’una se-

rie di malaugurate circo-stanze. Perché la guerra cheloro combattono – o meglio,che si svolge intorno a lorolasciandoli del tutto impas-sibili – è, non uno scontrotra nazioni o, come nel ca-so, tra diverse e contrappo-ste visioni del mondo, maqualcosa di simile ad un in-cidente della natura. Comeil terremoto che,poco prima del-la fine – ovvia-mente segnatadal felice rein-contro tra Pe-la-gia ed An-tonio– sconvolge edistrugge l’iso-la.Ma la cosa permolti aspetti piùstraordinaria del film è l’ab-bondanza. Gli italiani delcapitano Corelli ne sem-brano, quasi in ogni se-quenza, soverchiati. Hanno cibo e medicine inquantità che sorprendono (econquistano) i greci dell’i-sola.E non c’è scena nella qualequegli uomini – gli stessiche, nella guerra vera, sof-frirono la sete in Africa e fu-rono mandati con scarpe dicartone nel gelo delle step-pe russe - non appaiano conuna bottiglia di buon vino,bianco o rosso, che, ovvia-

mente, sorseggiano in cop-pe di cristallo. E non di ra-do in compagnia delle pro-stitute (numerose e tutte bel-lissime) che si sono portatial seguito. Il tutto – va da sé- per l’invidia dei tedeschiche, essendo notoriamented’indole assai più militare-sca, sembrano, al contrario,incapaci di godersi la vita.

Subito dopo lanotizia dell’ar-mistizio, consu-mate le scene digiubilo, il co-mandante dellaguarnigione –presumibilmenteil povero genera-le Gandin – pro-nuncia una frasedestinata a resta-

re come la più esilarante del-l’intera pellicola: “Non ve-do l’ora – dice – di man-giarmi un piatto di spaghetticon le cozze e di tagliolini al-la boscaiola in piazzaNavona”. Evidentemente ignaro (aparte l’assurdità del menúda lui prescelto) del fattoche l’Italia di quei giornifosse un paese ridotto allafame, dove, non già gli spa-ghetti con le cozze, ma untozzo di pane bianco era unararità riservata a pochissi-mi privilegiati (o agli spe-culatori di guerra).

“Italiani brava gente”:bravi (e molto ingenui)

Non vedo l’ora –dice – di

mangiarmi unpiatto di spaghetti

con le cozze e di tagliolini alla boscaiola

in piazza Navona

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La Cefalonia vera

Ovvia domanda: perchéHollywood ha trasformatoquella che è – anche cine-matograficamente – una“grande storia” nella solennecretinata di cui sopra? Colpadi De Bernières? Non solo. Colpa, piuttosto,della quotidiana miseria edella cronica ignoranza, del-la mentalità da rigattiere,con cui l’industria ameri-cana del cinema – assolutadominatrice del mondo –assembla oggi tutti i suoiprodotti.Ivi compresi quelli che, co-me Il mandolino del capi-tano Corelli, hanno la pre-tesa di elevarsi al di sopradella pletora dei film com-merciali.Non c’è nessuna volontà “re-visionistica” nel film di JohnMadden. C’è soltanto l’ideadi poter perseguire un suc-cesso di botteghino attra-verso una sorta di collage: unpezzo di La vita e bella qui,un po’ del Mediterraneo diSalvatores là. Ed ecco ser-vito un nuovo “hit”, moltolatino, molto esotico. Nessuna volontà di ridico-lizzare gli italiani (che, no-

nostante tutto, restano i“buoni” della storia) o disminuire una pagina di sto-ria. Solo un’operazione dimarketing che, per arro-ganza, prescinde da ogni co-noscenza e da ogni volontàdi approfondimento. E che,proprio per questo – per ilsuo carattere “neutro” e mer-cantile – rende l’insulto al-la memoria ancor piùprofondo e bruciante. Piùintollerabile. Ed anche, for-se, più irrimediabile.

Il Mandolino del capitanoCorelli arriverà presto inItalia. Ed arriverà, presu-mibilmente, anche aCefalonia, nei luoghi doveè stato girato e dove si svol-sero i veri fatti. Forse ci sa-ranno proteste. O forse no,perché non solo a Hollywo-od si è perduta la memoria. Ma di certo ci sarà un altroterremoto.Quello – si spera devastan-te – che possono provocarei corpi di cinquemila pove-ri morti ammazzati che, tut-ti insieme, si rivoltano nel-la propria tomba dimenti-cata.

L’industria del cinema conla mentalità del rigattiere Cerca notizie

del nonno deportato a Mauthausen

Ci scrive Andrea Guerrini di Sansepolcro di Arezzo. “Mio non-no Fosco” – ricorda – “è stato un deportato nel campo di ster-minio di Mauthausen. Sono ormai tre anni che è morto e nonposso dimenticare quello che ha sofferto. Ora che non c’è piùmi sarebbe piaciuto chiedergli cose che tre anni fa magari nonmi venivano in mente. Purtroppo ho rimandato, con la con-vinzione che si poteva chiedere il giorno dopo … Vorrei quin-di conoscere meglio” – continua Andrea Guerrini – “quel fa-moso trasporto 220 che ho visto nel sito Aned su Internet.Vorrei sapere se è stato pubblicato il libro di testimonianze de-gli ex deportati a Mauthausen, inoltre se è ancora in vita qual-cuno del “viaggio” 220 o qualsiasi altra persona, che abbia co-nosciuto mio nonno a Mauthausen o nella tipografia del gior-nale di Linz, dove aveva lavorato. Ecco il mio indirizzo:

Andrea Guerrini, frazione Vannocchia 10/a Sansepolcro (Arezzo)

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Ricostruita la biografia di Edmondo Peluso

Il libro “Odissea rossa”Un eroe comunistafucilato da Stalin

La storia

Nel libro “Odissea rossa”di Didi Gnocchi, la sconvolgente storiadi uno dei fondatori del Pci finito con assurde accuse in un gulagsiberiano e poi condannato a morte come “nemico del popolo”

Un libro sconvolgente ri-propone gli orrori degli an-ni del terrore staliniano,quando le fucilazioni spe-cialmente di comunisti era-no all’ordine del giorno el’universo spietato dei gu-lag continuava ad estender-si soprattutto nelle zone piùdesolate dell’immensaUnione Sovietica, partico-larmente nella gelidaSiberia.Il libro racconta la storia diun eroe comunista, definitoil John Reed italiano, fattofucilare da Stalin. Il suo no-me: Edmondo Peluso. Lasua città natale: Napoli. Glianni quando vene ucciso:sessanta. L’incontro dellavita: a 16 anni, a Tolosa, conJules Guesde, fondatore delPartito operaio assieme aPaul Lafargue, al quale con-

di Ibio Paoluccifida che voleva fare il gior-nalista. Guesde sorrise e glidisse: “Il Partito operaio haun giornale che si chiamaLe Socialiste. Puoi comin-ciare da lì. Così iniziò la suavita di militante socialistaa tempo pieno. L’epilogo:all’incirca nel 1942 in unaprigione di Krasnojarsk,condannato a morte con l’al-lucinante accusa di essereun nemico del popolo. E pensare che Peluso fu unodei pochi comunisti italianiche Lenin citò e apprezzòper i suoi scritti. Ma questo nell’epoca delterrore staliniano valeva ze-ro. Non valse neppure perBucharin, che Lenin avevadefinito il “beniamino delpartito”. Figurarsi perPeluso, che, come tanti al-tri, venne riabilitato nel1956, dopo il XX congres-so del Pcus, dominato daldrammatico rapporto “se-greto” di Krusciov. Della

sua tragica sorte ci fu un ac-cenno nella Storia delPartito comunista Italiano diPaolo Spriano, che dicevache, vittima delle purghestaliniane, Peluso era spa-rito nel nulla. Tutto qui.(Però nel libro di RomoloCaccavale, già corrispon-dente dell’Unità di Mosca,Comunisti italiani in UnioneSovietica, Mursia editore,si trova una scheda assai piùcompleta su Peluso). Ma finalmente la sua bio-grafia è stata dettagliata-mente e magnificamente ri-costruita da Didi Gnocchiin un libro appena uscito,pubblicato da Einaudi(Odissea rossa. La storiadimenticata di uno dei fon-datori del Pci, pp. 272. l.28.000).Nato il 12 febbraio del 1882,Peluso si considerava citta-dino del mondo e così, di-fatti, intitolò un suo libro,che meriterebbe di essereristampato.Amico di Jack London, diRosa Luxemburg, Liebne-chtx, Klara Zetkin, Kautsky,Laura Marx e Paul Lafargue,partecipò attivamente agliappuntamenti più impor-tanti della storia del movi-mento operaio, compresa lafamosa Conferenza del-l’internazionale di Kienthaldel 1916, dove la delega-zione russa, guidata da

Lenin, propose di trasfor-mare il conflitto mondialein guerra civile antimperia-lista. Fra i fondatori, aLivorno, del Partito comu-nista d’Italia, prese partecon Amadeo Bordiga, LuigiLongo e Camilla Ravera alIV congresso dell’Interna-zionale che si tenne a Moscanel 1922. Giornalista, scrisse per mol-ti giornali tedeschi, inglesi,francesi. Fu corrispondentedella Pravda e scrisse perl’Ordine Nuovo e perl’Unità. Fu il partito a man-darlo a Milano, nel 1926,alla redazione dell’Unità,decimata dagli arresti e dal-le aggressioni dei fascisti:“Di notte, all’uscita dalla ti-pografia, i giornalisti veni-vano assaliti e spesso – co-me racconta l’allora diret-tore Alfonso Leonetti nelsuo libro di memorie – fi-nivano all’ospedale col cra-nio fracassato”. La notte del 14 settembre1926 toccò a Peluso, la cuiaggressione veniva così de-scritta dal prefetto di Milano:“La giornata è passata tran-quilla tranne due piccoli in-cidenti.La bastonatura da parte difascisti di certo Peluso e l’in-vasione nei locali del-l’Avanti! da parte di unaquindicina di fascisti giun-ti in automobile”.

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“Rivoluzionario di profes-sione”, come allora si usa-va dire dei funzionari di par-tito, Peluso attraversò mol-ti paesi dell’Europa, delledue Americhe, dell’Asia,finché, inseguito dalle po-lizie di mezzo mondo,sbarcò nell’Unione Sovie-tica il 31 dicembre del 1926.Cinque mesi dopo ilTribunale speciale fascistalo condannò a 12 anni di re-clusione assieme a GiuseppeDi Vittorio e a molti altri co-munisti.Era felice Peluso perché fi-nalmente, si trovava nellapatria del socialismo, nellaterra che aveva realizzato larivoluzione d’ottobre. A Mosca continuò a colla-borare a vari giornali perpoi passare all’IstitutoMarx-Engels come diret-tore del dipartimento italo-spagnolo. Conoscitore dimolte lingue, venne spessoutilizzato come interpretedal Comintern e affiancatoai delegati dell’Interna-zionale in missione, ciò chegli consentì di continuare aviaggiare e di essere anche,nel dicembre del 1927, a

Kwantung, nei giorni del-la fallita insurrezione diCanton, repressa in un im-menso bagno di sangue.Arrestato nel 1938 con as-surde accuse dalla poliziasegreta sovietica, fu rin-chiuso nel carcere diButyrka per poi essere con-dannato a cinque anni di la-vori forzati nella lontanaSiberia, a Krasnojarsk.Erano quelli gli anni terri-bili dei processi farsa e del-le confessioni estorte. Ma, al contrario della mag-gior parte delle vittime,Peluso si dichiarò sempreestraneo ai fatti che gli era-no contestati. Soltanto inuna occasione, ma solo peraffrettare i tempi del pro-cesso, si disse colpevole, in-ventandosi episodi para-dossali e dichiarandosi, luicondannato dal Tribunalespeciale voluto da Mus-solini, spia del regime fa-scista.Ma una volta terminata l’in-chiesta, chiese di essere nuo-vamente ascoltato dal giu-dice istruttore e, in quellasede, tornò a dichiararsi in-nocente, affermando che le

Delegato dell’Internazionalearrestato nel 1938

Sopra Edmondo Peluso «il soldato più vecchio d’Italia»,durante il confino a Santo Stefano, 20 maggio 1921.In alto, Edmundo Peluso nel 1938,detenuto nel carcere di Lefortovo a Mosca.

Arrestato nel 1938 conassurde accuse dallapolizia segretasovietica, fu rinchiusonel carcere di Butyrkaper poi esserecondannatoa cinque anni di lavori forzati nella lontana Siberia,a Krasnojarsk. Eranoquelli gli anni terribilidei processi farsa edelle confessioniestorte

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Conoscerà di certo Peluso?No, mai sentito prima

dichiarazioni di colpevo-lezza gli erano state estortecon la tortura. Tortura chedavvero era stata usata neisuoi confronti. Ma questoanziché alleggerire la suaposizione, l’aggravò ulte-riormente. Il calvario ter-minò con la condanna amorte, eseguita presumi-bilmente con un colpo allanuca.Con paziente tenacia, affa-scinata da questa figura dicomunista che,via via, una tes-sera del mosai-co della sua vitadietro l’altra,emergeva dalbuio dove ri-schiava di resta-re confinata,Didi Gnocchi haportato a termi-ne, dopo anni diricerche, il com-pito che si eraprefissa.Non senza angoscia si leg-ge il suo libro, la cui lettu-ra, per chi ha condiviso gliideali di Peluso è tutt’altroche indolore. Il libro, inoltre è qualcosadi più di una semplice bio-grafia. È anche uno spacca-to di quell’universo di cuiPeluso fu protagonista e vit-tima, nonché della realtàdell’ex Unione Sovietica. Eancora: l’autrice ci fa in-

contrare nel suo libro per-sonaggi che, in qualche mo-do, l’hanno conosciuto o checomunque, in sede storicao politica, si sono avvicinatialla sua vita. Una vita che ha interessatonotevolmente gli studiosirussi proprio per il suo com-portamento difensivo deltutto diverso da quello del-la stragrande maggioranzadegli accusati, che si con-fessavano colpevoli di ac-

cuse mostruosenon soltanto acausa delle tortu-re, ma anche, perquanto possasembrare invero-simile, per nonappannare, difronte agli avver-sari, l’immaginedell’UnioneSovietica. Moltii ricordi dei pa-renti e anche di

dirigenti comunisti. Longo,per esempio, lo rammentacome un tipo strano “sempreabbigliato in modo origi-nale, con una bella barbet-ta scura, molto curata, conocchi vivacissimi, scintil-lanti, sopra pomelli di unbell’incarnato.Ci teneva a fare il bel-l’Antonio e naturalmente siattirava tutte le frecciate,non sempre benigne, di noigiovani”.

La storia di questo libro co-mincia nell’inverno del1992, quando la giovane au-trice, intervistando a Moscalo storico del CominternFrederik Firsov, gli sente di-re: “Conoscerà certamentela vicenda di EdmondoPeluso. È uno dei pochi ca-si in cui Togliatti interven-ne direttamente per salvare

un compagno di partito”.No, l’autrice non ne avevamai sentito parlare e pro-prio da quella conversazio-ne nacque in lei la curiositàdi conoscere tutto della vi-ta di questo straordinariopersonaggio, che ha spesol’intera vita, fino a morir-ne, in difesa degli ideali delsocialismo.... avere una

bella barbettascura,

molto curata,con occhi

vivacissimi,scintillanti, sopra

pomellidi un

bell’incarnato

In alto dueimmagini diEdmondo Peluso.Durante il primoviaggio a Moscanel 1922 nei giornidel 4° congressodell’Internazionale.A destra, nel 1933sei anni dopo il suoarrivo a Mosca.

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Frustato e incatenato ad un muro di Mauthausen stava per essere fucilato

La storia di Agapito Il detenuto spagnolo che salvò un italiano

Ricordi

Si chiamava Agapito Martin Roman il deportato spagnolo che salvò a Mauthausen un detenuto italianosuo compagno e amico di lotta e di sventura. È una storia che merita di essere raccontata

Agapito nasce a Soneja(Valencia) il 10 settembre1916. Allo scoppio dellaguerra civile spagnola nel1936, si arruola nelle mili-zie repubblicane e combat-te prima sul fronte di Teruel,poi al nord. Quando i franchisti nel feb-braio 1939 occupano laCatalogna, si unisce una ma-rea di cinquecentomila pro-fughi che si rifugia inFrancia. Per sfuggire alledure condizioni dell’inter-namento, si arruola nellaLegione straniera francese.Addestrato in Nord Africa,rientra in Francia allo scop-pio della guerra con laGermania e partecipa aicombattimenti sulla fron-tiera belga.Rimasto di retroguardia percoprire la ritirata del suo bat-taglione, viene fatto prigio-niero il 10 ottobre 1940 edavviato, a piedi, ai campi diprigionia per militari inGermania. Il 26 marzo ‘41viene trasferito con altri 357

spagnoli a Mauthausen, do-ve giunge dopo un viaggi dinove giorni e gli viene asse-gnato il n. 4183. Lavora alla famigerata “cava”ed ogni giorno scende e salela scala della morte, vede mo-rire i primi compagni per leviolenze dei kapò o d’inedia.Riesce a sopravvivere ru-bando gli scarti della cucinadelle SS. destinati ai maiali.Dopo una ferita ad un occhio,durante il lavoro di scalpel-lino, viene trasferito con al-tri cento internati alla fatto-ria di Saint Lambrecht, do-ve incontra Romolo Pavarotti(KZ 57612), partigiano ita-liano di diciotto anni, con ilquale stringe un’amicizia fra-terna. Pavarotti è destinatoal taglio dei boschi con ungruppo di dieci internati, tut-ti spagnoli eccetto lui edAgostino Meda di Torino.Quando Meda tenta la fuga,Pavarotti – accusato di aver-lo favorito – è immediata-mente punito con venticin-que nerbate.

Il comandante tedesco deci-de, inoltre, che, dopo la cat-tura del fuggiasco, i due ita-liani saranno fucilati per da-re un esempio.Agapito, lo spagnolo, è or-mai un anzianodel campo e par-la il tedesco.Dichiara all’uf-ficiale delle SS.,a rischio dellasua vita, chePavarotti non èitaliano ma spa-gnolo (venivanormalmentechiamatoRamon, soprannome che poiha sempre mantenuto). Èsufficiente a salvarlo dal plo-tone di esecuzione. Il fuggiascoviene ripreso econ Pavarotti è riportato inpiena notte a Mauthausen. Idue sono incatenati al mu-ro vicino all’entrata del cam-po. Quando ormai pensava-no che sarebbero stati fuci-lati, al mattino si presentaun internato spagnolo, rico-noscibile dal triangolo blu,che prende in consegnaPavarotti, destinato, grazieall’intervento di Agapito, alblocco n. 12, quello deglispagnoli. Da qui passerà adun sottocampo, il Kom-mando Eletrich e successi-vamente a quello durissimodi Schlier, mentre il suo com-pagno spagnolo resterà a

Saint Lambrecht fino alla li-berazione. Le contingenzedella vita li separeranno fi-no al 13 maggio 1988, quan-do l’Anpi di Padova orga-nizzò il loro incontro, tra la

viva commozio-ne di tutti gli in-tervenuti.Agapito, morto il7 luglio 2000, halasciato una te-stimonianza del-la deportazionein un libro di 80pagine intitolatoSobrevivir aMauthausen do-

ve, nel raccontare la suaesperienza, ricorda con sem-plicità, l’intervento a favo-re del deportato italiano. Neldicembre scorso, Romolo“Ramon” Pavarotti, ha por-tato un fiore sulla tomba delsuo salvatore, nel cimitero diPerpignan.Agostino Meda, sopravvis-suto al lager, rientrò a Torino,dove è morto nel dicembre2000, senza mai incontrarePavarotti. Ferruccio Maruffi,che fu suo compagno di in-ternamento, ricorda quandovenne portato al blocco, do-po essere stato incatenato ebastonato. E testimonia an-che della sua generosità: erasempre pronto a rinunciarea parte della scarsa razioneper aiutare i più deboli.

Pietro Ramella

Neldicembre scorso,

Romolo “Ramon”Pavarotti, ha

portato un fioresulla tomba del suo

salvatore,nel cimitero di Perpignan

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Uno degli incontri a Martina Franca,mentre parla un giovanestudente.

Martina FrancaQuel lungo viaggionel novecento con i ragazzi

Incontri

Una serie di attività scolastiche, dibattiti, testimonianze

L’attività didattica sulNovecento a Martina Franca(Taranto) ha una “lontana”origine: 1992, per ricorda-re i soldati di questa cittàcaduti in guerra.successivamente nasce ilprogetto “Per non dimenti-care”, del liceo classico TitoLivio, con la partecipazionedelle varie scuole territorialie della cittadinanza, sui la-ger nazisti e sui gulag, i cam-pi di lavori forzati sovietici.Per l’occasione viene espo-sta per la prima volta la mo-stra dell’Aned sullo ster-minio nazista.Ricordiamo, in rapida sin-tesi, le altre maggiori ini-ziative. Durante l’anno sco-

lastico 1999-2000, il II cir-colo didattico GiovanniXXIII realizza il progetto“Lo chiameremo Ulisse –Il viaggio nel Novecento –Dalla storia del monumen-to ai caduti, alle storie deiprotagonisti”.L’Itis “E. Majorana” pre-senta un progetto al mini-stero della Pubblica istru-zione che consente a do-centi e alunni di effettuareun viaggio a Dachau, di par-tecipare alla mostra-labo-ratorio “L’Altro e oltre – LaShoah in classe” con un cd-rom Dachau, cronaca di unolocausto, di seguire con-ferenze ed incontri conesperti e testimoni. Dal can-

to suo il liceo scientifico E.Fermi, in collaborazionecon la scuola elementareChiarelli, la mediaBattaglini, gli istituti pro-fessionali Motolese e DonMilani e l’etnìa albanesepresente sul territorio, rea-lizza elaborati plastici ric-chi di significato e il filmdocumentario Lettera di undeportato ad una studen-tessa.Intanto il liceo classico T.Livio attua il progetto“Dall’Olocausto alla fra-ternità mediterranea”, an-che attraverso riflessionisulla condizione della don-na nei lager, una mostra econferenze, in occasione

della Giornata della me-moria.La morte del deportato mar-tinese Costantino Basile aMauthausen il 14 giugno1944 e la testimonianza delconcittadino Mario Gian-figlio, sopravvissuto al cam-po di Dachau e ancora in vi-ta, hanno coronato il per-corso formativo di storia delNovecento “Per non di-menticare…”Non è mancato il ricordo deitanti soldati meridionali chehanno combattuto per la li-berazione dell’Italia dal-l’occupazione nazifascista ei molti deportati nei lager,dai quali la maggioranzanon è tornata.

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Lo scambio dei doni nel corso di unamanifestazione pubblica conla partecipazione del sindaco. A sinistra il rappresentantedell’Aned.

L’ex deportato a DachauBeppe Berruto, giunto daTorino in rappresentanzadell’Aned, rende loro ono-re. Ed è con questa parte-cipazione che si svolge ilprimo incontro tra Berrutoe Mario Gianfiglio, nato aMartina Franca nel 1922.La preparazione degli stu-denti all’iniziativa e la “ri-cerca” del sopravvissuto,sono state guidate dalla pro-fessoressa Maria De Mita,coordinatrice di tutte le fa-

si del “percorso”, spiegan-do alle scuole le finalità del-le varie iniziative, per poiconsegnare il testo della te-stimonianza di Gianfiglio,che conferma – tra l’altro– alcuni episodi narrati daBerruto nel suo libroAchtung Dachau: “Ungruppo di prigionieri russiil giorno prima della libe-razione venne portato fuo-ri dal campo, allineato eammazzato dalle SS. Si di-ceva che agli italiani era ri-

servato lo stesso tratta-mento…”.I due sopravvissuti ricorda-no gli esperimenti che i me-dici eseguivano nella appo-sita baracca sulle donne, pri-ma denudate, poi immersenell’acqua gelata e infineinvestite da getti di acquabollente. Gianfiglio raccontache era tornitore, successi-vamente scelto come capo diuna squadra di nove ucrai-ne che producevano pezziper le V1 e V2. E nella rievocazione un epi-sodio particolarmente dram-matico: un suo compagnodi Fasano piangeva invo-cando la madre. Lui gli ri-spondeva “Che stai a pian-

gere, di noi nessuno arriveràmai a casa, perché tutti ka-putt”, convinto di non far-cela.Invece riuscì a resistere gior-no dopo giorno.Quasi quattrocento giovanidel liceo scientifico Fermi,del “classico” Tito Livio edell’Istituto tecnico com-merciale Leonardo Da Vinci,accompagnati dai loro do-centi, partecipano ad in-contri ricchi e stimolanti.Particolare attenzione è ri-volta ai Gruppi di difesa del-la donna, che si adoperava-no attivamente per aiutare ipartigiani e i loro congiun-ti, colpiti dalla perdita di unpadre, di un fratello, di un

L’abbraccio di Berrutoal figlio di un deportato

A Martina Franca è stata anche inaugu-rata una stele dedicata al Giorno dellamemoria, ideata da Valentina Raguso conFrancesca D’Amico, Davide Salamina eDiego Lippolis delle classi quinta A e Bdel Liceo scientifico (sezione staccata),Tito Livio. La cerimonia ha concluso un anno sco-lastico proficuo e stimolante, poiché co-me ha scritto il “Corriere della Valle d’Itria– Martina sera”, l’impegno è stato con-tinuativo per un “lavoro oltre che di ap-profondimento didattico, anche e so-prattutto di presa di coscienza” per lenuove generazioni.

Una stele per celebrare la vita

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altro parente, di un amico.Motivo di domande e chia-rimenti è stato, ad esempio,un manifesto della Repub-blica di Salò: “E tu cosafai?”, chiedeva un giovanesoldato fascista armato dimitra e con il dito puntatosui passanti. Berruto ribadisce che i ra-gazzi, sfidando il nemico,di nascosto su quel manife-sto scrivevano “Il partigia-no”.Era anche questo un modoper chiedere la fine alla guer-ra e creare il consenso po-polare.Il colloquio con gli studen-ti del Leonardo da Vinci siè imperniato sul concetto dipassato, un concetto che vaattualizzato per superare levarie forme di razzismo.Questo messaggio tocca di-rettamente i martinesi i qua-li cercano di facilitare l’in-tegrazione di tanti albanesipresenti sul territorio. Il problema è ripreso allamanifestazione con la cit-tadinanza nella sala dellabiblioteca comunale, conuna folta partecipazione. È il sindaco a sottolineareche “il processo di integra-zione tra gli uomini e tra ipopoli può concretamenterealizzarsi soltanto se essosi poggerà sul principio delriconoscimento della di-versità…Dobbiamo cerca-re di generare unità dalla di-versità senza cancellarla…”Beppe Berruto si soffermasul contesto storico-ideo-logico dei campi di ster-minio, su Dachau e la sua“specificità”, sull’espe-rienza personale costella-ta da episodi tremendi, maanche di solidarietà e resi-

stenza, come “quel sentireurlare il proprio numero dimatricola senza mai di-menticare il tuo nome e diessere un uomo”.Lo scambio di messaggi edi doni (videocassette, libri,quadri e altri oggetti), havisto il coinvolgimento del-la presidenza dell’Aned,su Gianfranco Maris eMiuccia Gigante, dell’as-sessore di Orbassano (To),Giorgio Brosio, dell’as-sessore alla Pace di Rivoli(To), professore De Masi,del dirigente scolasticodell’Itis “E. Majorana” diGrugliasco, professoreLetterio Cassata, delComitato regionale delPiemonte per l’afferma-zione dei valori dellaResistenza e dei principidella Costituzione.

Molto significativa è statala giornata conclusiva del-l’impegno di Berruto aMartina Franca, con l’in-contro alla scuola elemen-tare II circolo didatticoGiovanni XXIII, i cui ra-gazzi hanno prodotto – co-me già ricordavamo – untesto eccezionale, sulla sto-ria dei monumenti ai cadu-ti, e la storia dei protago-nisti.La deportazione, la diffe-renza tra scuola elementa-re fascista e quella attuale,la rievocazione di episodistorici seguiti in televisio-ne, sono stati al centro del-

l’iniziativa.Ancora una volta il “viag-gio” nel Novecento aMartina Franca ha eviden-ziato la necessità di tra-smettere gli ideali demo-cratici e civili alle nuove ge-nerazioni.Una riflessione che si ac-compagna alla necessità dinon dimenticare. Scrive il giovane universi-tario Luca Lucarelli: “Il ve-ro nemico, l’Oblio, non èancora morto…se un qual-cosa, anche un piccolissi-mo particolare intorno a voiè cambiato, la speranza di-venta certezza”.

Tra i bambini delle elementari, a ricordare

Un momento dell’assemblea alla scuola elementare.

MartinaFranca

Quel lungo “viaggio nel Novecento”