Dossier su USURA, ESTORSIONE, RACKET e ILLEGALITA’ … · Libera. Associazioni, nomi e numeri...
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Dossier su
USURA, ESTORSIONE, RACKET e ILLEGALITA’ ECONOMICA
Realizzato da
Libera. Associazioni, nomi e numeri contro le mafie
Coordinamento della Lombardia
Con il contributo di
Nell’ambito del Progetto Sportelli Legalità delle Camere di Commercio
lombarde a valere sul Fondo di Perequazione 2013.
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USURA, ESTORSIONE, RACKET E ILLEGALITÀ ECONOMICA
Parlare di usura, estorsione, racket e illegalità economica significa oggi affrontare un tema
complesso e variegato nel quale si fondono criminalità organizzata e microcriminalità locale, mafie
e illegalità di quartiere, sfruttamenti e disperazione resi tanto più pesanti dalla forte crisi economica
in atto negli ultimi anni. Le difficoltà dei mercati e delle imprese, specialmente delle PMI ( struttura
portante dell’economia italiana e tra le più colpite dalla crisi), hanno reso infatti la struttura
economica italiana progressivamente più fragile e vulnerabile agli attacchi delle organizzazioni
criminali, che hanno trovato nella fatica di accesso al credito e di reperimento di liquidità degli
imprenditori terreno fertile per i propri traffici a livello imprenditoriale e finanziario.
Quando si parla di fenomeni di illegalità economica, si parla di un mondo variegato ma che
spesso rimane sommerso, a causa della paura a denunciare, del timore di ritorsioni, e spesso anche
dalla difficoltà nel capire dove e a chi sporgere denuncia o a chi affidarsi. Queste diverse tipologie
di reati sono spesso legati tra loro, in quanto l’uno può essere la conseguenza dell’altro ed
attingono alla medesima sfera delle attività economiche, configurandosi come i principali mezzi che
hanno le mafie per penetrare nel sistema produttivo di un dato territorio e per riciclare denaro frutto
di traffici illeciti. Non a caso, infatti, le attività di supporto e i fondi di sostegno vengono
prevalentemente strutturati per i diversi reati, come nel caso della legge 44/1999 (fondo di
solidarietà per le vittime di estorsione e usura).
Prima di procedere nell’analisi specifica, è tuttavia importante specificare cosa si intende
esattamente utilizzando i termini di “estorsione” e “usura”.
L’articolo 629 del CP “reato di estorsione” come il reato che avviene quando qualcuno con
la violenza forza qualcuno a fare o omettere qualcosa al fine di ottenere un vantaggio privato. In
altre parole, commette reato di estorsione “Chiunque, mediante violenza o minaccia, costringendo taluno a fare
o ad omettere qualche cosa, procura a sé o ad altri un ingiusto profitto con altrui danno”. Si tratta di un reato – il
cosiddetto “pizzo” – che costituisce uno dei mezzi principali della criminalità organizzata per
“fotografare” il mercato su cui si vuole imporre e per assicurarsi potere su di esso: le mafie infatti
non ricorrono all’estorsione per via dell’introito economico che ne ricavano, ma per controllare il
territorio e capire come penetrare sempre di più nel sistema economico. Infatti il reato di estorsione
non è mai contestato da solo, ma sempre insieme al 416-bis (associazione ad delinquere di stampo
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mafioso) oppure con l’aggravante mafiosa (cioè con l’utilizzo di metodi mafiosi anche se nel
territorio non è riconosciuta una presenza mafiosa radicata: è il caso soprattutto del Nord Italia).
Nelle regioni del Nord Italia questa problematica è particolarmente forte perché da un lato la
maggiore vivacità economica rispetto alle regioni meridionali – per quanto oggi intaccata dalla crisi
economica – ha fatto da richiamo per le organizzazioni criminali, e dall’altro la mancanza di
strumenti di conoscenza per gli imprenditori rende loro difficoltoso opporsi a questo tipo di
dinamiche: secondo i dati della DIA relativi al 2012, sono stati circa 5.300 le denunce per il
reato di estorsione in Italia (e l’ordine di grandezza non varia negli anni successivi), il 12%
delle quali avvenute in Lombardia: la nostra regione si classifica così al secondo posto per
numero di denunce, a seguito della Campania (17%). Si tratta però, evidenzia la DIA, della punta
emersa di un iceberg che rimane per la maggior parte ancora sommerso sul territorio nazionale.
Anche l’usura, come l’estorsione, è classificata tra i delitti contro il patrimonio perché
attinge alla sfera strettamente economica e si inserisce in una tipologia di reato prettamente
finanziaria; è disciplinata dall’articolo 644 del codice penale italiano, che definisce come usuraio
“Chiunque, fuori dei casi previsti dall'articolo 643, si fa dare o promettere, sotto qualsiasi forma, per sé o per altri, in
corrispettivo di una prestazione di denaro o di altra utilità, interessi o altri vantaggi usurari […]. Alla stessa pena
soggiace chi, fuori del caso di concorso nel delitto previsto dal primo comma, procura a taluno una somma di denaro
od altra utilità facendo dare o promettere, a sé o ad altri, per la mediazione, un compenso usurario”. È in altre
parole la pratica consistente nel fornire prestiti a tassi di interesse considerati illegali, socialmente
riprovevoli e tali da rendere il loro rimborso molto difficile o impossibile, spingendo perciò il
debitore ad accettare condizioni poste dal creditore a proprio vantaggio, come la vendita ad un
prezzo particolarmente vantaggioso per il compratore di un bene di proprietà del debitore, oppure
spingendo il creditore a compiere atti illeciti ai danni del debitore per indurlo a pagare. Per questo
motivo l’usura e l’estorsione, come già evidenziato all’inizio, si trovano spesso affiancate, in quanto
parti di un medesimo piano criminale volto allo sfruttamento e all’ottenimento di un vantaggio
privato tramite l’inganno e/o la violenza.
Rispetto all’estorsione - che si colloca prevalentemente in territori caratterizzati da una certa
vivacità economica e nei quali il controllo delle organizzazioni criminali sta cercando spazi di
manovra e azione – i dati delle organizzazioni antiracket e antiusura evidenziano una maggiore
presenza di questo fenomeno nei territori del centro-sud Italia. Secondo SOS Impresa, le categorie
più a rischio usura sono i commercianti e i piccoli artigiani o imprenditori (circa il 60% dei casi): in
Italia sarebbero più di 200mila i commercianti e piccoli artigiani sottoposti a usura, e la
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Lombardia si classificherebbe al quinto posto su base regionale, con 16.500 commercianti
coinvolti (pari al 12,5% sul totale commercianti attivi, per un giro d’affari stimato sui 2
miliardi di euro) .
Trattandosi tuttavia di fenomeni, come già evidenziato, che vivono e proliferano grazie alla
loro condizione sommersa, i dati quantitativi tendono ad essere solo stime: gli unici dati certi
possono essere ricavati dal numero di denunce, come quelli raccolti dalla Fondazione Interesse
Uomo e dagli sportelli SOS Giustizia sul territorio nazionale. Dal 1996, anno di emanazione della
legge antiusura, ad oggi i dati parlano di un progressivo calo delle denunce, salvo una lieve ripresa
nel periodo più recente. Al ridursi delle denunce corrisponde, però, un aumento del numero delle
persone denunciate a conferma della sempre maggiore strutturazione del fenomeno che oramai vede
agire reti organizzate composte da persone a vario titolo coinvolte nel reato. Sempre più spesso è
proprio la denuncia nei confronti di un singolo usuraio a far scattare indagini dalle quali emerge la
rete di criminali coinvolti. Ponendo l’attenzione sul dato relativo al numero delle denunce
pubblicato annualmente dal Ministero dell’Interno e dall’Istat, in riferimento al periodo compreso
tra il 2009 e il 2012 (ultimo dato consolidato disponibile), si può osservare una progressiva
diminuzione delle denunce che soltanto nel corso dell’ultimo anno di riferimento sembra invertire
tale tendenza. In numeri assoluti si è passati dai 464 delitti denunciati nel 2009 ai 405 del 2012.
Analizzando invece più nel dettaglio la situazione che emerge dai dati ufficiali per l’anno
2012, si può procedere ad un’analisi su base territoriale. Nel 2012 le denunce per i delitti d’usura
hanno subito un lieve aumento rispetto agli anni precedenti. 405 rispetto ai 352 del 2011 con un
incremento percentuale pari al 15,06. Se dai numeri assoluti si passa a quelli relativi alle singole
aree territoriali, si può procedere ad un raffronto tra regioni. Nell’area del Nord Italia le 135
denunce per il delitto d’usura sono così ripartite: 52 casi sono stati rilevati in Lombardia, 28 in
Piemonte e 26 in Emilia Romagna. Seguono le denunce raccolte nelle regioni del Veneto (18),
Liguria (6), Friuli Venezia Giulia (3), Trentino Alto Adige e Valle d’Aosta (1).
IL DOSSIER
Il presente dossier si configura quindi come un approfondimento sull’ampio tema
dell’illegalità economica ed è una fusione tra documenti e studi tematici effettuati da diversi enti e
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associazioni che a diverso titolo operano per la promozione e la tutela della legalità nell’economia,
quali Unioncamere, Libera e Fondazione Interesse Uomo.
Il primo dei documenti di cui si presenta un abstract all’interno di questo dossier, dal titolo
“Conoscere l’economia illegale: la zavorra dell’Italia”, è stato curato da Libera per Unioncamere
in occasione della Giornata Nazionale per la trasparenza e la legalità nell’economia (20 novembre
2013), e affronta in maniera sistematica il rapporto tra criminalità e sviluppo, i costi diretti e
indiretti dell’illegalità economica e il business delle mafie, presentando inoltre un breve glossario
identificativo dei principali fenomeni nel campo dell’illegalità economica e offrendo una
bibliografia di approfondimento per le tematiche presentate.
Il secondo documento è invece specifico sulla problematica dell’usura ed è il dossier dal
titolo “Studio conoscitivo sul fenomeno dell’usura: sulle tracce di un crimine invisibile”,
redatto nel maggio 2014 da Fondazione Antiusura Interesse Uomo per Unioncamere. Nel
documento si presta particolare attenzione al contesto sociale, culturale ed economico nel quale si
sviluppano le problematiche di usura, alle difficoltà progressive di accesso al credito da parte di
famiglie e imprese e alle disposizioni normative in merito.
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CONOSCERE L’ECONOMIA ILLEGALE: LA ZAVORRA DELL’ITALIA ___________________________ 9
INTRODUZIONE ______________________________________________________________________ 9
Cosa intendiamo per “Criminalità Economica”? ___________________________________________________ 10
CRIMINALITA' E SVILUPPO ____________________________________________________________ 12
Un po’ di storia e di geografia __________________________________________________________________ 12
Il paradigma tra mancato sviluppo e criminalità organizzata _________________________________________ 15
LA "TASSA MAFIOSA" ________________________________________________________________ 16
I COSTI DIRETTI E INDIRETTI DELL'ILLEGALITÀ _____________________________________________ 20
IL CORE BUSINESS DELLE MAFIE: MERCATI ILLECITI E IMPRESE MAFIOSE _______________________ 22
CONOSCERE L’ECONOMIA ILLEGALE: I SETTORI A RISCHIO ___________________________________ 26
AGROMAFIE ________________________________________________________________________________ 27
AMMINISTRATORI SOTTO TIRO_________________________________________________________________ 29
APPALTI PUBBLICI E GRANDI OPERE _____________________________________________________________ 29
BENI E AZIENDE CONFISCATE __________________________________________________________________ 30
CAPORALATO _______________________________________________________________________________ 32
COMUNI SCIOLTI PER MAFIA ___________________________________________________________________ 33
CONTRAFFAZIONE ___________________________________________________________________________ 33
CORRUZIONE _______________________________________________________________________________ 35
ECOMAFIE _________________________________________________________________________________ 36
EDILIZIA ___________________________________________________________________________________ 38
ESTORSIONE E USURA ________________________________________________________________________ 39
GIOCO D’AZZARDO __________________________________________________________________________ 40
GREEN ECONOMY (ENERGIE RINNOVABILI) _______________________________________________________ 41
RICICLAGGIO E OPERAZIONI FINANZIARIE SOSPETTE________________________________________________ 42
SANITA’____________________________________________________________________________________ 43
STATISTICHE UFFICIALI DELLA DELITTUOSITA’ _____________________________________________________ 44
TRASPORTI _________________________________________________________________________________ 45
BIBLIOGRAFIA ______________________________________________________________________ 46
STUDIO CONOSCITIVO SUL FENOMENO DELL’USURA: SULLE TRACCE DI UN CRIMINE INVISIBILE 47
Introduzione _______________________________________________________________________ 47
Fisionomia di un fenomeno complesso __________________________________________________ 48
Un fenomeno in evoluzione ___________________________________________________________________ 48
Un fenomeno silenzioso e radicato ______________________________________________________________ 49
Dagli strozzini ai colletti bianchi e alle mafie ______________________________________________________ 50
Vittime e carnefici ___________________________________________________________________________ 53
Le variabili dell’usura: società, economia, territorio ________________________________________ 55
Il contesto sociale ed economico _______________________________________________________________ 55
Indebitamento di famiglie e imprese ____________________________________________________________ 59
L’usura in tempi di crisi _______________________________________________________________________ 67
8
L’indice di rischio usura. Tra calcoli e realtà: i rilevatori sociali ________________________________________ 69
I dati dell’usura: i numeri sommersi _____________________________________________________ 78
L’usura e il mondo produttivo __________________________________________________________________ 78
Uno spaccato del fenomeno: l’esperienza della Fondazione Interesse Uomo ____________________________ 80
I dati ufficiali: le denunce _____________________________________________________________________ 84
Strategie di contrasto al fenomeno _____________________________________________________ 92
Gli strumenti normativi: pregi e difetti ___________________________________________________________ 92
Dalla parte delle vittime: gli attori del contrasto ___________________________________________________ 94
Commissario Straordinario per il Coordinamento delle iniziative antiracket e antiusura e Comitato di solidarietà.
__________________________________________________________________________________________ 94
Confidi ____________________________________________________________________________________ 97
Fondazioni _________________________________________________________________________________ 98
Le nuove prospettive. Spunti di riflessione per rendere più efficace il contrasto _________________ 99
9
CONOSCERE L’ECONOMIA ILLEGALE: LA ZAVORRA DELL’ITALIA
INTRODUZIONE
Il dibattito intorno a criminalità e sviluppo economico, effetti e costi della prima sul secondo, e
impatto delle mafie sul tessuto imprenditoriale e il contesto territoriale, sociale e culturale di
riferimento, è vivo da tempo e sempre più attuale, soprattutto a fronte del quadro recessivo che sta
penalizzando l’Italia negli ultimi anni.
Il punto di vista da cui muove la collaborazione tra Libera, Unioncamere e l’intero Sistema
camerale, e che ispira il presente studio, può essere sintetizzato nel principio secondo il quale il rispetto
della legalità costituisce prima di tutto un valore etico e morale, pilastro imprescindibile di ogni
convivenza civile, ma anche un fondamentale valore economico, in quanto condizione necessaria per il
pieno sviluppo dei territori, a protezione della libertà degli operatori economici, del regolare
svolgimento delle dinamiche imprenditoriali, della trasparenza del mercato, della sana concorrenza.
L’economia illegale (in tutte le sue svariate manifestazioni: mercati illeciti, usura e racket,
corruzione, contraffazione, ecomafie, riciclaggio, lavoro nero, evasione e elusione fiscale, ecc.), al
contrario, altera le regole del gioco e distorce il mercato, svilendo il lavoro, mortificando gli
investimenti, distruggendo la proprietà intellettuale, ostacolando il credito, intimidendo la libertà di
impresa. La presenza di attività e comportamenti illegali, e in particolare della criminalità organizzata,
modifica insomma la struttura del circuito economico, e comporta un allontanamento strutturale dal
modello di efficienza dell’economia di mercato, pregiudicandone la possibilità di conseguire
l’“ottimo” 1.
L’economia italiana, dal canto suo, sconta da tempo una inibizione a crescere, aggravata dalla
crisi scoppiata dal 2008. L’infiltrazione mafiosa nella struttura produttiva, oltre ad essere uno dei fattori
inibenti lo sviluppo, trova terreno fertile proprio nella crisi economica: non poche imprese, che hanno
visto drammaticamente ridursi i flussi di cassa e il valore di mercato, sono divenute più facilmente
aggredibili dalla criminalità (Draghi 2011).
1 Camera di Commercio di Reggio Calabria – Istituto G. Tagliacarne, “Legalità e sviluppo in provincia di Reggio Calabria”, 2011
10
Il prezzo che una società paga quando è contaminata da illegalità diffusa e crimine organizzato,
in termini di peggiore convivenza civile e mancato sviluppo economico, è molto alto. Un costo indiretto
ma gravissimo per tutta la società deriva inoltre dalla percezione che la “legalità sia costosa”: una
percezione che sta inquinando interi settori produttivi.
Obiettivo dello studio è quindi quello di verificare queste affermazioni ed esplorare l'area grigia
che esiste tra economia legale e criminalità economica, le forme di interferenza e infiltrazione della
seconda nella prima, i punti di contatto, i danni arrecati e i costi subiti; interessa capire le dinamiche che
consentono alle mafie di invadere e corrompere l'economia regolare, alterandone il funzionamento,
bloccandone la crescita e pregiudicando il tessuto produttivo "sano".
Sulla scorta di una vasta letteratura sul tema, verrà quindi messo in luce come l’economia
criminale imponga un prelievo forzoso alla ricchezza del Paese, e quali siano le caratteristiche del
fenomeno, individuando alcune categorie concettuali di riferimento. Non saranno invece oggetto di
analisi approfondita le attività criminali vere e proprie, i “mercati illegali” appannaggio della criminalità
(come traffici di droga, rifiuti o armi, contrabbando, sfruttamento sessuale), da cui tuttavia provengono
gran parte dei capitali a disposizione delle mafie.
Libera e Unioncamere condividono la convinzione che promuovere lo studio dei fenomeni
illegali, contribuire ad ampliare le conoscenze sul tema, anche da prospettive originali, e favorire la
circolazione di informazioni e analisi da fonti diverse, sono passi importanti nell’ambito di una strategia
più ampia di prevenzione, contrasto e ripristino della legalità. Perché, come ha scritto il Presidente del
Senato, Pietro Grasso, “l'antimafia diretta alla repressione della criminalità mafiosa deve essere
accompagnata dall'antimafia della correttezza della politica, delle regole di mercato, dell'efficienza della
pubblica amministrazione”.
Cosa intendiamo per “Criminalità Economica”?
In questo studio utilizzeremo questa espressione in modo ampio, tale da ricomprendere di fatto tre
fattispecie2, che spesso si sovrappongono:
1. la “mafia imprenditrice”, vale a dire l’accumulazione del capitale in modo predatorio, attraverso
mercati illeciti o vere e proprie attività criminose (vietate dall’ordinamento, come il narcotraffico)
che tradizionalmente hanno visto protagoniste le organizzazioni criminali (non distingueremo tra le
diverse organizzazioni mafiose presenti in Italia);
2 Le definizioni che seguono sono state ispirate in particolare dalle seguenti letture: Arlacchi (1983; 2007); Dalla Chiesa (2012), Sciarrone (2011).
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2. le “imprese mafiose”, entità economiche formalmente legali, caratterizzate cioè dalla produzione di
beni e servizi legali, nel rispetto delle finalità previste dall’ordinamento, ma che sono in realtà
emanazione diretta dell’organizzazione criminale e impiegano metodi e processi solo
apparentemente legali. Si tratta di imprese che possono sempre disporre di “fattori produttivi” illeciti
e “vantaggi competitivi” irregolari per sbaragliare la concorrenza: ingente disponibilità di risorse
finanziarie e liquidità; esercizio della violenza, capacità intimidatoria e coercitiva; evasione e
elusione fiscale, anche nel mercato del lavoro;
3. l’“area grigia”, quella zona dai confini opachi che si dispiega tra legale e illegale, in cui prendono
forma relazioni, più o meno consapevoli, di complicità, collusione e compenetrazione tra tessuto
produttivo, sistema politico-amministrativo e potere mafioso, funzionali non solo al sostegno delle
organizzazioni criminali ma anche agli attori esterni.
La scelta di una definizione così ampia, forse poco rigorosa da un punto di vista strettamente scientifico,
ci consente di evidenziare i numerosi contesti in cui l’economia “legale” (tessuto produttivo sano, società
civile, Stato) rischia di essere minata e sopraffatta dalla multiforme economia “criminale”.
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CRIMINALITA' E SVILUPPO
Un po’ di storia e di geografia
Trae origini molto indietro nel tempo la tradizione che ha riconosciuto alla mafia il ruolo di
"Santa protettrice" (Dalla Chiesa, 2013), una sorta di longa manu benefica, sostitutiva, atta a svolgere
un'efficace funzione suppletiva dello Stato e del mercato, una sorta di bacino protettivo e redistributivo
nell'Italia delle profonde differenze tra nord e sud nel dopoguerra. Questa teoria della legittimità della
struttura mafiosa venne messa radicalmente in discussione negli anni Ottanta del secolo scorso, sia nella
variante "economica" della teoria della "supplenza", grazie a nuovi interventi della comunità scientifica,
sia nella sua variante "istituzionale", con l'approvazione della legge Rognoni - La Torre (1982) e il
drammatico ciclo dei delitti eccellenti compiuti contro esponenti delle istituzioni.
Alcuni studiosi, in particolare Becattini e Bianchi già nei primi anni Ottanta, comparando i tassi
di crescita delle regioni italiane misero in evidenza che la correlazione tra presenza mafiosa e grado di
sviluppo c’è ma è inversa: le regioni a maggior dominio criminale erano le più stagnanti, nonostante gli
altissimi profitti dell'eroina. La crescita delle imprese mafiose nell'economia legale avveniva in
sostituzione e in danno delle imprese legali, non colmava dei vuoti ma li creava (Dalla Chiesa 2013).
A conclusioni analoghe giunge uno studio molto più recente della Banca d’Italia, che confronta
lo sviluppo economico di Puglia e Basilicata nei decenni precedenti e successivi al diffondersi
dell’infiltrazione mafiosa (avvenuto intorno alla fine degli anni Settanta), con quello di un gruppo di
regioni del Centro-Nord con simili condizioni socio-economiche iniziali, mettendo in evidenza il
significativo ritardo di crescita che le prime hanno accumulato nell’arco di 30 anni (Pinotti, 2012)3.
Tra la fine degli anni Ottanta e i primissimi anni Novanta la notissima vicenda dell'imprenditore
tessile palermitano Libero Grassi riaccese i riflettori sul tema. Prima di essere ucciso dalla mafia, il 29
agosto 1991, Libero Grassi contestò frontalmente la "tassa mafiosa", si rifiutò pubblicamente di pagare
il pizzo, squarciando con il suo comportamento il compromesso tra impresa e mafia in Sicilia. Sempre
nei primi anni ’90 cominciano a nascere le prime associazioni antiracket su iniziativa di commercianti e
imprenditori e nel tempo si è diffusa una consapevolezza sempre maggiore tra la stessa società civile (si
pensi al movimento Addiopizzo) e nel tessuto produttivo, che porterà la Confindustria siciliana, nel
3 In concomitanza del contagio, le regioni analizzate nella ricerca, Puglia e Basilicata, si sono spostate da un sentiero di crescita elevata a uno inferiore rispetto alle regioni del Centro-Nord, che in termini di PIL pro-capite si traduce nell’accumulo di un divario di crescita stimato in 16-20 punti percentuali.
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2007, a prendere la decisione di espellere gli imprenditori che si fossero adattati a pagare il racket,
nemico mortale della libera impresa (Dalla Chiesa, 2013).
Dopo i delitti eccellenti e le stragi del '92 e del '93 ad opera di Cosa Nostra, sembra essersi
inaugurata una nuova stagione "mafiosa", i cui tratti essenziali sono soprattutto: meno omicidi, molti
affari e grande forza espansiva.
Nel complesso, l'uso esplicito della violenza da parte delle organizzazioni criminali è infatti
andato fortemente attenuandosi, come si evince dal numero degli omicidi di stampo mafioso compiuti
sull’intero territorio nazionale, che mostra un significativo trend in diminuzione a partire dal periodo
successivo alle stragi di mafia dei primi anni Novanta (fig. 1)4. Questa flessione negli episodi che
denotano stati di conflittualità violenta si è però accompagnata ad una progressiva estensione delle
mafie nell'ambito delle attività economiche legali o "formalmente" legali (Asso e Trigilia, in Sciarrone,
2011).
Fig. 1
4 Ci sono ovviamente differenze importanti tra le regioni e le organizzazioni mafiose (solo per fare un esempio – tra le tante stagioni di violenza che si sono succedute in Campania, ma anche nelle altre regioni a tradizionale presenza mafiosa – nel 2004-2005 si è registrato un numero elevatissimo di omicidi nell’ambito della guerra di Camorra di Scampia e Secondigliano), ma il trend generale – come emerge dalla figura – è sicuramente di una diminuzione complessiva degli omicidi.
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“La mafia, dopo l’attacco frontale agli uomini dello Stato, a Falcone, a Borsellino, si è
proiettata in una fase di inabissamento, si è riscontrato un tentativo di nascondimento, di ritorno
all’antico, di cercare di convivere con le altre componenti sociali, anche con l’imprenditoria, di entrare
nel mondo degli affari. Dove producono gli affari le mafie cercano di non fare accendere i riflettori
sulla loro presenza e dunque ci sono meno delitti violenti, c’è meno criminalità visibile”5. Di certo,
anche le capacità investigative della magistratura e delle forze dell'ordine hanno contribuito ad
alimentare le strategie di "inabissamento" adottate dalle mafie.
La compartecipazione delle organizzazioni criminali nell’economia non è comunque una novità
ma anzi è storicamente un tratto distintivo della capacità delle mafie di affermarsi e mimetizzarsi
all’interno della società, alla ricerca del potere e del profitto.
Tuttavia, parallelamente al declino della conflittualità violenta questa penetrazione
nell’economia legale è cambiata, non si tratta di una mera estensione dell’area del lecito nell’illecito ma
i confini tra le due aree sono diventati molto più porosi, opachi (Asso e Trigilia, in Sciarrone, 2011).
Nel continuo processo di rinnovamento sperimentato dalla mafia nel corso dei decenni,
l'infiltrazione criminale nell'economia reale del Paese diventa più evidente a partire dagli anni Settanta.
Le opportunità connesse con il maggior sviluppo economico e finanziario delle aree del Centro-Nord
hanno inevitabilmente attratto l’attenzione delle mafie, che hanno progressivamente spostato i loro
centri di interesse risalendo lo stivale e insediandosi in altre regioni italiane, in Europa e nel mondo.
Nel 1994, la Commissione parlamentare di inchiesta sul fenomeno della mafia certificava
l’esistenza di “una vastissima ramificazione di forme varie di criminalità organizzata di tipo mafioso,
praticamente in tutte le regioni d’Italia”. Secondo le analisi della Commissione, non era possibile
rinvenire nel Paese alcuna "isola felice": in tutte le aree considerate, erano evidenti insediamenti di tipo
mafioso o infiltrazioni nel tessuto economico o nel mondo degli affari, tracce non già sporadiche ma
significative e consistenti conferme di una notevole capacità espansiva del fenomeno criminale6.
“Ormai da parecchi anni, attraverso il fenomeno migratorio e la creazione di luoghi che hanno
clonato le strutture organizzate che sono nel territorio d’origine, la mafia è riuscita a ramificarsi in
altre regioni d’Italia e anche all’estero. Il fenomeno di trasferimento degli interessi a Centro-Nord, in
realtà, esiste già da tempo ma è soltanto stato negato. Negli anni ’70, i sequestri di persona in
Lombardia e Piemonte ponevano già allora un’attenzione. Buscetta parlava di un allacciamento a
5 Intervista al Procuratore Pietro Grasso, 16 aprile 2012 http://www.tempostretto.it/news/intervista-pietro-grasso-messina-repressione-non-basta-serve-antimafia-speranza.html 6 Commissione parlamentare d’inchiesta sul fenomeno della mafia e sulle altre associazioni criminali similari (XI Legislatura), “Relazione sulle risultanze dell'attività' del gruppo di lavoro incaricato di svolgere accertamenti su insediamenti e infiltrazioni di soggetti e organizzazioni di tipo mafioso in aree non tradizionali, Roma 1994.
15
Milano dove si riunivano per i loro traffici internazionali. E’ una situazione conosciuta che ora si è
riusciti a dimostrare attraverso delle indagini evidenti. Però è difficile comprendere la pericolosità da
parte di paesi e di popoli che non sono abituati a questi fenomeni e non conoscono quanto sia insidiosa
l’infiltrazione nel tessuto economico prima e nel tessuto politico-amministrativo poi”7.
Il paradigma tra mancato sviluppo e criminalità organizzata
Il controllo forte, capillare e stabile esercitato su una determinata area è il punto di partenza
imprescindibile per capire il complesso sistema di relazioni sociali ed economiche che caratterizza la
presenza di criminalità organizzata. Per realizzare il controllo del territorio l'organizzazione criminale
dispone di una forte capacità di raccogliere informazioni e di intervenire per condizionare e dirigere,
anche attraverso l'uso della violenza oppure assicurando favori e vantaggi. Ai diritti di cittadinanza
(diritto alla salute, al lavoro) e alle opportunità imprenditoriali si sostituiscono così legami di
dipendenza. La capacità della cosca di garantirsi un'ampia rete di connivenze è tanto più efficace e meno
costosa quanto più il controllo "militare" sul territorio si estende a divenire controllo economico sui
mercati e controllo politico sulla pubblica amministrazione (Polo, 2013).
In periodi di prolungata crisi economica, questo paradigma rischia di divenire ancora più attuale.
Il mito della "Santa protettrice", che non teme la crisi e interviene nell'economia e nella società in modo
sostitutivo, offrendo capitali e posti di lavoro, può tornare in auge. Non solo. L'adesione ai criteri di
legalità, il rispetto delle norme fiscali, contributive, di sicurezza, possono essere percepiti dalle imprese
regolari come un ingiustificato "costo della legalità", di cui liberarsi, scivolando lentamente in un'area
grigia dove il rispetto delle norme si allenta e la leadership delle imprese criminali può ulteriormente
svilupparsi (Polo, 2013).
A questa pericolosa visione occorre dunque con fermezza contrapporne un'altra, radicata in
motivazioni tanto di natura etico-civile quanto economiche, quella della criminalità come "zavorra"
(Dalla Chiesa, 2013), come freno allo sviluppo degli spiriti imprenditoriali e impedimento della crescita
territoriale.
È opportuno sgomberare subito il campo da possibili equivoci: pur riconoscendo che le
organizzazioni criminali possono generare ricchezza, anche di proporzioni ingentissime, tale ricchezza,
che è il prodotto di una serie di gravissime distorsioni, non deve essere percepita come un contributo
allo sviluppo della società e alla sua crescita economica ma anzi come una enorme risorsa sottratta al
benessere collettivo, alle altre attività economiche legali (Scaglione, 2013).
7 Intervista al Procuratore Pietro Grasso, 16 aprile 2012, cit.
16
La prospettiva che qui si è scelto di adottare, quindi, guarda all'economia criminale in termini di
"costi dell'illegalità" più che di profitti o di fatturato della holding mafiosa.
Se gli effetti sociali e politici del crimine organizzato sono riconosciuti e studiati, quelli
economici lo sono meno, ma non sono meno pericolosi. Interrogarsi sui costi, diretti e indiretti, della
criminalità significa dunque migliorare la comprensione della sua capacità di "ferire" il tessuto
economico legale ed individuare dove le ferite sono più gravi (Tarantola, 2012) per definire
consapevolmente strategie di prevenzione, contrasto e ripristino più mirate ed efficaci, soprattutto a
fronte di risorse limitate.
LA "TASSA MAFIOSA"
Questo paragrafo8 prova a guardare ai costi che la criminalità organizzata impone all'economia e
alla società da un punto di vista prevalentemente "macroeconomico", associando cioè il prelievo forzoso
che le mafie causano sulla ricchezza nazionale ad una vera e propria forma di imposizione fiscale.
Questa "tassa mafiosa" non genera solo un tributo parallelo e forzoso nei confronti di alcuni soggetti
tipici (imprenditori, commercianti e artigiani costretti a pagare il pizzo, per intendersi), ma rappresenta
un prelievo di risorse materiali e immateriali dalle molte facce imposto all'intera società, che va dai costi
di prevenzione allo scoraggiamento di nuova imprenditorialità, alla sottrazione di legalità e perfino di
felicità.
Non verrà qui proposto alcun tentativo di quantificare questa tassa mafiosa o i costi arrecati dalla
criminalità all'economia nazionale in termini di punti di PIL o altri indicatori9. L'analisi si concentra
piuttosto sulle diverse ma complementari categorie concettuali da cui il fenomeno può essere osservato,
studiato e misurato a livello macroeconomico.
Rielaborando la disarticolazione della tassa mafiosa, proposta dal Prof. Nando Dalla Chiesa, il
prelievo mafioso sulla ricchezza nazionale agisce innanzitutto su due piani, quello dei beni materiali e
quello dei beni immateriali.
Il prelievo mafioso sui beni materiali si articola in quattro principali modalità, tra loro
interconnesse:
8 Gran parte dei contenuti e delle considerazioni qui esposte sono liberamente tratte da: Dalla Chiesa N., La tassa mafiosa, Narcomafie, n. 1/2013. 9 Per un approfondimento degli sforzi compiuti in questo senso dalla comunità scientifica si rimanda allo studio su “La misurazione dell’economia illegale” presentato da Unioncamere nel corso della Giornata nazionale per la Trasparenza e la Legalità nell’Economia.
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a. La sottrazione forzosa di risorse è la tassa intesa nel senso più restrittivo, in cui si articolano le
tradizionali forme di "protezione-mediazione" praticate dalla mafia con l'uso della violenza. Le
risorse in questione non sono però solo quelle private ma anche quelle pubbliche, che la mafia
riesce a predare grazie al proprio peso politico, distorcendole da finalità di pubblico interesse a
finalità private proprie. Questa sottrazione di risorse drena la spesa pubblica (contribuendo ad
innalzare il debito pubblico nazionale), gravando anche sulle generazioni a venire.
b. I costi supplementari per la prevenzione, il contrasto e il ripristino delle diverse fattispecie
mafiose che la collettività deve sopportare sono diffusi e consistenti, e si aggiungono alle
normali spese volte ad assicurare la sicurezza e l'ordine pubblico in un paese progredito. Fanno
parte di questa categoria i costi della giustizia e della sicurezza, ad esempio quelli sostenuti per
complesse attività di indagine e intelligence, protezione dei testimoni e collaboratori di giustizia,
un apparato giudiziario antimafia, interventi di prevenzione e contrasto da parte delle forze
dell'ordine10. A ciò si aggiungono gli esborsi necessari per il ripristino, per porre rimedio agli
effetti disastrosi di alcune specifiche attività criminose: si pensi ad esempio ai fondi stanziati per
i familiari delle vittime di mafia e le vittime di racket, o agli interventi in campo ambientale per
limitare i danni di disastri ecologici (sversamenti abusivi nei mari, incendi dolosi, ecc).
c. L'ingerenza mafiosa si traduce in un sistema inefficiente di allocazione delle risorse, piegando
verso "ragioni" particolaristiche e criminali criteri allocativi che potrebbero altrimenti tradursi in
sviluppo e crescita collettivi. In quest'ottica, ciò che conta non sono le singole sottrazioni di
risorse (viste nel primo gruppo) ma una "logica di sistema" corrotta che produce effetti
sottrattivi ad ampio raggio e una cifra culturale che allontana il Paese dal raggiungimento
dell'ottimo economico.
d. La presenza dei metodi mafiosi, infine, svolge una potente azione di deterrenza e
scoraggiamento nei confronti dei soggetti che potrebbero creare ricchezza, le imprese
innanzitutto. Le attività imprenditoriali esistenti e "sane", vessate dalla convivenza diretta con
interessi illegali e poteri criminali, possono essere indotte alla rinuncia dell'attività o alla fuga
dal territorio, impoverendo così il mercato. La mafia rende inoltre più difficile l'ingresso sul
mercato per nuovi soggetti e possibili competitors, producendo un innalzamento delle barriere
d'accesso grazie alla propria rete di controllo e disincentivando gli investimenti. Ne conseguono
evidenti costi diretti per la singola impresa "scoraggiata" e costi occulti pagati dalla collettività
10 Ad esempio, tra i paesi europei l’Italia è al quarto posto quanto a numero di poliziotti per 100mila abitanti, con 458 unità, contro una media europea di 371 poliziotti, dati al 2010, Eurostat. http://epp.eurostat.ec.europa.eu/statistics_explained/index.php/Crime_statistics
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in termini di perdita di attrattività, riduzione del bacino di potenziali creatori di ricchezza, fuga
di cervelli, insomma mancato sviluppo.
Questo primo gruppo di prelievi mafiosi grava, come si è detto, sulla ricchezza materiale dei
territori, quella che per semplicità potremmo associare al PIL tradizionalmente inteso, calcolato in base
a parametri strettamente economici. Ma l’interrogativo che si pone è se esistono altri fattori
"immateriali", colpiti anch’essi dalla tassa mafiosa, e che, ad ogni buon conto, concorrono a determinare
la ricchezza del Paese, almeno in un'accezione più ampia, inclusiva di parametri sociali, culturali, etici.
Ha infatti assunto dimensioni molto ampie, anche in Italia, il dibattito internazionale sul tema del
“superamento del Pil”, stimolato dalla convinzione che i parametri sui quali valutare il progresso di una
società non debbano essere solo di carattere economico, ma anche sociale, culturale e ambientale,
corredati da misure di diseguaglianza e sostenibilità11.
11 Per l'Italia si veda ad esempio il progetto BES (benessere equo sostenibile) dell'Istat http://www.misuredelbenessere.it/ e il progetto PIQ (prodotto interno qualità) di Unioncamere-Fondazione Symbola www.unioncamere.gov.it/.
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In tale prospettiva, anche il pregiudizio causato dalla presenza delle mafie su parametri di tipo
immateriale può considerarsi un prelievo forzoso di risorse al territorio, un depauperamento, la cui
quantificazione in termini classici, monetari è tuttavia molto difficile.
Riprendendo ancora le categorie proposte da Dalla Chiesa, la tassa mafiosa graverebbe su tre
categorie principali di beni immateriali:
1. I beni di relazione: rappresentano la qualità dei rapporti e dei legami sociali su cui si fonda
una società e si svolge la vita economica e civile. Costituiscono quelle infrastrutture
immateriali che, se efficienti, alimentano l'attività di impresa e creano un mercato sano e
concorrenziale (rapporti di fiducia, trasparenza delle scelte, certezza del diritto, efficienza
della P.A., meritocrazia). Rileva qui anche la partecipazione, la possibilità cioè di accesso
alla vita pubblica e di controllo del potere da parte dei cittadini, possibilità spesso negata
dalla presenza mafiosa; per le imprese il bene di relazione della partecipazione significa
libera presentazione alle gare, accesso trasparente e paritario alle informazioni, ecc.
2. I beni di eccellenza individuale: sono le risorse che, pur afferendo alle qualità dei singoli,
contribuiscono ad innalzare la cultura e le potenzialità di sviluppo di un sistema sociale e
territoriale. Si tratta della cultura del merito, della cura dei talenti (sia scientifici e
professionali, che artistici e intellettuali), degli investimenti in capitale umano, tutti elementi
che offrono ricadute esterne positive sul grado di efficienza, anche economica, di un
territorio ma che vengono al contrario soffocati dalla cultura mafiosa o costretti ad emigrare.
3. I beni di armonia: si tratta dei beni immateriali che contribuiscono a migliorare il grado di
soddisfazione della persona rispetto al proprio desiderio di felicità o bisogno di armonia con
la società, la natura ecc. Vi rientrano quindi la cura dell'ambiente, la bellezza, la libertà, la
sicurezza e tranquillità individuale.
Oltre ad un impoverimento della ricchezza intesa come benessere (o sostenibilità, progresso, felicità,
in base all'approccio preferito), questo secondo tipo di tassa mafiosa, gravando sulle infrastrutture
immateriali di un territorio, provoca forti "diseconomie esterne", rende cioè quel territorio meno
efficiente, meno competitivo, meno attrattivo di altri, determinando maggiori costi, pur se indiretti, per
le attività di impresa.
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I COSTI DIRETTI E INDIRETTI DELL'ILLEGALITÀ 12
La stima dei costi dell'illegalità è un'attività molto complessa, ma senza dubbio importante. A
tecniche di ricerca quantitativa è importante affiancare il contributo di analisi qualitative per la
comprensione dei fenomeni e la disarticolazione delle fattispecie.
Nella tabella che segue si propone una sorta di rassegna dei principali "tipi" di costi
dell'illegalità, utilizzati nella letteratura scientifica.
12 Molte delle considerazioni qui esposte sono liberamente tratte da: Scaglione A., La misurazione dei costi dell’illegalità, Narcomafie, n. 1/2013.
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Fonte: Elaborazioni da Scaglione, 2012.
Le ricerche empiriche sui costi dell’illegalità e della criminalità economica traggono solitamente
origine da categorie concettuali simili a queste, che ne definiscono il perimetro di analisi, nella
consapevolezza tuttavia che non c'è modo di classificare tutti i tipi di costo economico e sociale e che,
qualunque classificazione si scelga di utilizzare, non sempre è possibile inserire ciascun costo all'interno
di un'unica categoria. Questi limiti, uniti alla difficoltà di raccogliere dati oggettivi e certi sulle singole
fattispecie di costi e sulle dimensioni della criminalità, spiegano in estrema sintesi perché le ricerche
empiriche che hanno cercato di quantificare i costi dell'illegalità su un determinato sistema economico
territoriale sono relativamente poche, parziali o non del tutto soddisfacenti (Scaglione, 2013).
Si tratta, peraltro, di limiti in qualche modo intrinseci a un oggetto di studio che per sua stessa
sostanza è "occulto, intenzionalmente nascosto e dissimulato". (Martone e Sciarrone, 2012).
Senza entrare nel dettaglio di tutte le possibili categorie indicate in figura, una distinzione
generale, che ricorre spesso nella letteratura, è quella tra costi diretti, direttamente e oggettivamente
attribuibili a una specifica attività criminale (costi fisici, medici, legali), e costi indiretti, che possono
essere considerati come effetti indotti di un determinato crimine (ad esempio perdita di guadagni e di
tempo, diminuzione del capitale umano, diminuzione della produttività, diminuzione degli investimenti,
costi psicologici e altri costi non monetari).
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Se si è interessati soltanto al peso monetario sostenuto dalla vittima e agli effetti immediati dei
comportamenti illegali (rapine, usura, estorsioni ecc.) allora sarà sufficiente prendere in considerazione i
costi diretti. Tuttavia, per finalità di policy e poiché molti costi non sono osservabili direttamente in
termini monetari, l'attenzione dei ricercatori tende di solito a spostarsi su una più ampia nozione di costi,
che analizzano anche gli effetti indiretti della criminalità su, ad esempio:
- il funzionamento del tessuto economico, in termini di misure del mancato sviluppo, assenza di
competitività, bassa produttività, attrattività degli investimenti, concorrenzialità;
- il tessuto sociale, in termini di sfiducia nelle istituzioni, insicurezza, bassa qualità della vita,
emigrazioni;
- la fruibilità dei beni collettivi, come il consumo del territorio, insalubrità dell’ambiente,
malfunzionamento dei servizi pubblici, inefficienza della pubblica amministrazione. (Martone e
Sciarrone, 2012)
IL CORE BUSINESS DELLE MAFIE: MERCATI ILLECITI E IMPRESE MAFIOSE 13
Gli studi, le indagini giudiziarie e gli atti processuali hanno rilevato come per analizzare
l’infiltrazione della criminalità nell’economia non sia appropriato separare in modo troppo netto
economia legale e economia illecita.
Si possono figurare le attività economiche come distribuite lungo un continuum che vede agli
estremi rispettivamente le attività criminali (in espansione) e quelle completamente legali. Tra questi
due poli si trova una sorta di area grigia costituita da rapporti di contiguità e collusione, variamente
definiti: economia sommersa, economia irregolare, economia grigia, economia illecita, dove il tessuto
produttivo sano e "l'impresa criminale" si sfiorano, si incontrano, si sovrappongono, dove le attività
legali nei contenuti diventano illecite nelle modalità di organizzazione e gestione, dove il mercato viene
distorto e manipolato, con conseguenti costi insostenibili per i soggetti economici "puliti".
In questo paragrafo si esplora quindi "il come" dell'infiltrazione mafiosa nell'economia, i tratti
ricorrenti, i campanelli d'allarme (rinviando ad altri studi l'indagine circa "il perché" e "il quanto" degli
investimenti mafiosi nell'economia legale).
13 Gran parte dei contenuti e delle considerazioni qui esposte sono liberamente tratte da: Polo M., Il prezzo ingiusto, Narcomafie, n. 1/2013.
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Per capire come la criminalità organizzata "contamini" l'economia legale, è utile partire dal core
business delle organizzazioni criminali, legato alla gestione di traffici illeciti molto diversificati (dal
traffico di stupefacenti e armi al gioco d’azzardo illegale e all’usura, dalle estorsioni alla tratta di esseri
umani, dal contrabbando al controllo della prostituzione, ecc.), vale a dire attività illegali tipicamente
appannaggio della criminalità.
Queste attività, che permettono di realizzare elevati profitti, rappresentano la prima ragion
d’essere dell’organizzazione mafiosa, e in esse possiamo osservare la forte capacità “imprenditoriale”
nel costruire i propri centri di potere e nell’individuare nuove opportunità di guadagno (ad esempio, lo
smaltimento illegale dei rifiuti è diventato una “miniera d’oro” negli anni Ottanta, mentre prima non
apparteneva alle tipiche attività criminali; l’eolico e le energie rinnovabili hanno subito l’infiltrazione
massiccia delle organizzazioni criminali attratte dai forti incentivi pro-ambiente stanziati, non certo per
la sensibilità ambientale delle cosche).
Lo sviluppo dei traffici illeciti pone alle organizzazioni criminali un problema legato al
reinvestimento degli enormi guadagni: per quanto sia difficile stimare i ricavi e i margini di profitto
realizzati nelle attività illegali è evidente che si tratta di mercati altamente redditizi14. La quantità di
denaro accumulata, ad esempio, nel mercato della droga, che è uno dei più redditizi anche al netto dei
costi sostenuti per gestirne i traffici, può non trovare sufficienti opportunità di reinvestimento nello
stesso mercato (la domanda di droga cresce meno rapidamente dei profitti) o in altri mercati illegali
(anche questi si saturano, presentano dei limiti di espansione rispetto alla velocità con cui l’investimento
iniziale si trasforma in profitto).
Le organizzazioni criminali debbono quindi necessariamente considerare il reinvestimento dei
proventi illeciti in attività dell’economia legale, nella forma di investimenti (ad esempio acquistando
immobili o attività finanziarie) o entrando in attività produttive lecite. Questo processo porta ad una
progressiva contaminazione del tessuto produttivo in cui operano le imprese legali.
L’intervento delle organizzazioni mafiose nell’economia legale non è tuttavia solo subordinato
alla necessità di riciclare denaro di provenienza illecita ma rappresenta un tratto costante, tipico della
criminalità mafiosa, che tende a diversificare il proprio processo di accumulazione investendo anche in
attività di tipo non predatorio e mercati che garantiscono un buon ritorno economico, magari sfruttando i
contatti con esponenti della politica e del tessuto produttivo.
14 Le stime sui “ricavi” annui della criminalità organizzata variano, ad esempio, dagli oltre 100 miliardi calcolati da SOS Impresa (XIII Rapporto annuale per il 2012) agli 8-13 miliardi calcolati dal centro di ricerca Transcrime per il PON Sicurezza, www.investimentioc.it.
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Per queste ragioni, è importante adottare una visione flessibile e dinamica della distinzione tra
mercati illegali e legali. Separazioni troppo nette rischiano di portare a categorizzazioni rigide e
fuorvianti.
La tabella che segue riepiloga, in estrema sintesi, i tratti ricorrenti e più pericolosi
dell’infiltrazione criminale nell’economia, descritti di seguito:
Innanzitutto, come visto sopra, le organizzazioni criminali possono contare su una grande e
immediata disponibilità e di risorse finanziarie, che non rende necessario rivolgersi alle banche o a
finanziatori esterni per svolgere la propria attività. L’accumulazione di capitali ingenti, tipicamente da
fonti illecite, oltre agli investimenti in mercati finanziari poco trasparenti (si pensi ai paradisi fiscali),
permettono di finanziare attività economiche formalmente legali senza problemi di liquidità. Questo
vantaggio appare tanto più significativo in tempi di crisi come quello attuale, nei quali le concorrenti
imprese legali soffrono di una restrizione dei canali di finanziamento bancario.
In secondo luogo, l’impresa gestita dalle cosche gode artificialmente di un vantaggio di costo rispetto ai
competitors legali: il mancato rispetto di normative e regolamentazioni (ad esempio oneri fiscali,
sicurezza del lavoro, tutela ambientale) le consente di prevalere, con prezzi più bassi, qualità scadente
del materiale, forza lavoro in nero. Per quanto riguarda, in particolare, il cd. “dumping fiscale”, le
imprese che operano nell’illegalità esercitano, oltre al danno all’erario, un’evidente concorrenza sleale
nei confronti delle altre imprese, costantemente impegnate in una gara per ridurre i costi. Le imprese
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criminali evadono ed eludono il fisco anche sfruttando i paradisi fiscali e i mercati finanziari
internazionali, assicurandosi un vantaggio illegittimo rispetto ai diretti concorrenti (Baranes 2010). Uno
dei rischi maggiori è in questo caso il contagio di altre imprese, che per disfarsi del “costo della legalità”
potrebbero essere indotte a ricorrere agli stessi meccanismi sleali per fronteggiare la concorrenza,
innescando una spirale d’illegalità pericolosissima per l’economia nazionale, le potenzialità di sviluppo,
la società civile, i diritti e le tutele garantiti dall’ordinamento. Non ultimo, l'uso della violenza
rappresenta uno strumento di competizione estremamente convincente per prendere il controllo del
territorio e delle imprese concorrenti, ad esempio attraverso la pratica dell'estorsione e dell'usura, la
manipolazione degli appalti, il condizionamento sulle istituzioni.
I settori in cui è meglio spendere questi vantaggi sono quelli dove il riciclaggio del denaro
sporco è più semplice, che non richiedono particolari conoscenze tecnologiche, caratterizzati da poca
trasparenza nelle transazioni economiche e maggior frequenza di irregolarità. Si pensi in particolare ad
alcuni servizi tradizionali come il commercio al dettaglio e all'ingrosso, dove mettere in circolo anche i
prodotti della contraffazione, i trasporti, dove sfruttare le sinergie con le attività illecite, muovendo in
uno stesso camion cocaina e prodotti ortofrutticoli, l’edilizia, in particolare la fase del movimento terra e
delle forniture, i servizi di ristorazione e gli esercizi turistici.
Allo stesso tempo, altri settori più "innovativi" sono diventati appetibili, soprattutto se finanziati
da politiche pubbliche e sussidi ad hoc (come le energie rinnovabili) e di sicura espansione economica.
Nella sua capacità di infiltrazione, infine, la criminalità organizzata può contare sul controllo
“sociale” esercitato sul territorio e sulla disponibilità di una fitta rete di relazioni compiacenti, che le
permette di allargare il proprio giro di azione. Da questo punto di vista, i ceti professionali (avvocati,
ingegneri e architetti, tecnici, commercialisti) e gli imprenditori ma anche gli amministratori locali, il
sistema politico, le forze dell'ordine rappresentano per le cosche una sponda essenziale con cui stabilire
contatti e collaborazioni che, inizialmente saltuarie, possono nel tempo trasformarsi in rapporti stabili
fino alla cooptazione15. La capacità di pressione delle organizzazioni criminali è particolarmente
efficace nelle attività intermediate dalla pubblica amministrazione, nei cui confronti il controllo dei voti
rappresenta un ulteriore elemento di scambio.
I rapporti di prossimità che legano l'imprenditore mafioso alla società civile contribuiscono
inoltre a crearne un'immagine rispettabile, slegata dalle attività criminali, nonché a massimizzare il
consenso sociale anche delle fasce più basse della popolazione. La mafia rafforza così la sua capacità di
15 Si vedano, in proposito, le numerose indicazioni in questo senso contenute nelle Relazioni annuali della Direzione Nazionale Antimafia, in particolare a proposito delle attività investigative sull’‘ndrangheta.
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penetrazione e schermatura tanto da rendere, soprattutto in alcune zone e in alcuni settori, assolutamente
labile e impercettibile il confine tra economia pulita ed economia criminale16.
CONOSCERE L’ECONOMIA ILLEGALE: I SETTORI A RISCHIO
La progressiva estensione della criminalità dai mercati illegali (contrabbando, droga, armi) ad
attività economiche “formalmente legali” ha allargato le maglie di quella “area grigia” in cui i confini
tra lecito e illecito sono opachi, porosi e rischiano di intrappolare parte del mondo imprenditoriale sano
del Paese, della società civile, dell’amministrazione pubblica.
Del resto, la penetrazione criminale nei mercati legali a volte è, paradossalmente, meno rischiosa
e più in grado di assicurare rendimenti, opportunità, spazi operativi, soprattutto a fronte di un contesto
economico ancora molto incerto e di difficoltà evidenti per il tessuto produttivo nazionale.
In questo breve testo forniamo una panoramica dei principali settori di attività (16 voci più una
relativa alle statistiche sulla delittuosità, catalogate in ordine alfabetico) feriti da un’illegalità a volte
diffusa, a volte strisciante; brevi “pillole”, amare da digerire ma necessarie per conoscere il paziente e
trovare le cure per andare “oltre la crisi”, come ci incoraggia a fare il Manifesto di Unioncamere,
Fondazione Edison e Symbola.
Il ventaglio dei settori osservati è molto vario: alcuni rientrano nell’orbita “tradizionale” della
criminalità (commercio, edilizia); altri sembrano essere oggetto di più recente sviluppo e interessamento
(sale da gioco, rifiuti, energie alternative); alcuni sono stimolati dalla possibilità di intercettare flussi
cospicui di risorse pubbliche (sanità, appalti), altri vanno oltre la dimensione locale del business per
dedicarsi all’export (contraffazione, smaltimento dei rifiuti speciali).
Questo compendio non esaurisce di certo il campo d’osservazione dell’economia illegale (si
pensi ancora al turismo, ai beni culturali, al commercio, ai mercati finanziari), ma vuole fornire primi
spunti di riflessione per questa Giornata Nazionale, da approfondire nel corso della collaborazione
avviata tra Libera e Unioncamere per la legalità nell’economia.
16 SoS Impresa Il bilancio della mafia SpA. Audizione in Commissione Parlamentare Antimafia. Roma, 2012.
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Principali settori a rischio infiltrazioni, distinti tra tradizionali e nuovi, e per raggio di estensione (in evidenza le attività illegali)
Figura tratta da: Sciarrone, R. (a cura di) e Fondazione RES, Alleanze nell'ombra, 2011 Roma, Donzelli.
AGROMAFIE
La criminalità in agricoltura e nell’agroalimentare
Le organizzazioni criminali non hanno mai trascurato il settore agricolo e agroalimentare, anche per le
forti potenzialità di guadagno che si amplificano nei tanti passaggi “dal produttore al consumatore”.
L’infiltrazione della criminalità nelle intermediazioni favorisce la lievitazione dei prezzi al consumo
(imponendo una tassa occulta sui prodotti) ma anche il crollo dei prezzi pagati agli imprenditori agricoli.
Le “agromafie” improntano la loro attività al controllo delle terre (oltre il 20% degli immobili confiscati
alla mafia sono terreni con destinazione agricola), dei lavoratori e delle filiere, anche attraverso l’uso
della violenza, imponendo omertà e “taglieggiamento” continuo della libera imprenditoria con usura,
racket, abigeato, furti di mezzi agricoli, danneggiamento delle colture (la CIA nel 2011 segnalava più di
240 reati al giorno contro le campagne italiane). La violenza e l’invadenza della “criminalità della terra”
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trae profitti illeciti dallo sfruttamento delle risorse agroalimentari e ambientali, ad esempio attraverso
macellazioni clandestine, traffico di cibi contraffatti e di rifiuti tossici, intermediazione illecita della
manodopera in agricoltura (caporalato), brokeraggio dei prodotti agroalimentari, truffe a danno dei fondi
comunitari (solo nel 2012, su oltre 11 milioni di contributi UE controllati dal Comando politiche
agricole dei Carabinieri, più di 8 si sono rivelate truffe).
Coldiretti-Eurispes (2013) stimano in 14 miliardi di euro il volume d’affari complessivo dell’agromafia.
La criminalità, se non bloccata, s’impossessa di intere filiere imprenditoriali, dalla produzione alla
distribuzione (trasporti, porti, mercati) e commercializzazione, creando dei “monopoli protetti” che
alterano la concorrenza, la formazione dei prezzi, la qualità, il lavoro. Le filiere più “colpite” sembrano
l’ortofrutticola (si pensi ai 68 arresti del mercato di Fondi, il più importante d’Italia) e la lattiero-
casearia (le mozzarelle di bufala ad esempio), ma anche carne, pane e farine, ecc. Ai danni economici
diretti al tessuto produttivo si aggiungono quelli indiretti sulla qualità e la sicurezza dei prodotti, quindi
sull’immagine dei prodotti italiani e sul valore del marchio “made in Italy”, oltre ai rischi concreti per la
salute delle persone.
(Fonte: DNA, Corpo Forestale dello Stato, Coldiretti-Eurispes, Confederazione Italiana Agricoltori–Fondazione
Humus, Legambiente)
Difesa del territorio
L’Italia, con la notevole densità antropica che la caratterizza, e un territorio caratterizzato per più del
70% da un’orografia collinare e montuosa e per il 34% (10 milioni di ettari) da foreste, è molto fragile
da un punto di vista geomorfologico e idrogeologico. Dal 1971 al 2010, ad esempio, la superficie
agricola utilizzata è diminuita da 18 a 12 milioni di ettari per abbandono dei terreni, eccesso di attività
edificatorie, realizzazioni di cave e discariche abusive, abusivismo edilizio; dal 1970 al 2012 sono
andati bruciati 4,4 milioni ettari di superficie territoriale vegetale (bosco e altre colture). La difesa del
territorio, delle risorse agroalimentari e ambientali è prioritaria per aumentare la sicurezza dei cittadini
contro l’illegalità e la criminalità che sfrutta tali risorse per illeciti profitti. Il Corpo forestale dello Stato,
in particolare, attua la propria attività di sicurezza agroalimentare nei territori dove nascono e si
svolgono i processi evolutivi o di aggressione alle risorse ambientali e agroalimentari, contrastando i
reati di sfruttamento del territorio (sversamenti illegali, discariche incontrollate, abusivismo edilizio,
incendi) e di inquinamento.
(Fonte: Corpo forestale dello Stato)
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AMMINISTRATORI SOTTO TIRO
L’interesse della criminalità organizzata per l’amministrazione pubblica e l’attività degli enti
locali si traduce in misura crescente nel ricorso ad atti intimidatori e minacce nei confronti di
amministratori e corpi politici locali e personale della P.A.
Intimidazioni e minacce sembrano un modus operandi tipico, in particolare, della ‘ndrangheta
calabrese: nella sola Calabria la DIA riporta ben 81 eventi intimidatori nel 2012.
Per il 2011, a livello nazionale Avviso Pubblico ha censito complessivamente 270 atti
intimidatori contro le persone (86% dei casi) o contro mezzi e strutture pubbliche (14%). Oltre la metà
degli eventi si sono verificati in Calabria e Sicilia, seguite da Sardegna (36 eventi), Campania (25),
Puglia (20) e, a distanza, alcune regioni del Centro-Nord (tra cui Lombardia e Lazio in testa, con 9 e 7
eventi rispettivamente).
Per approfondire il fenomeno delle intimidazioni verso gli amministratori locali, a ottobre 2013
il Senato ha istituito una Commissione parlamentare d'inchiesta.
(Fonte: DIA, Senato della Repubblica, Avviso Pubblico)
APPALTI PUBBLICI E GRANDI OPERE
Il settore degli appalti e delle grandi opere pubbliche è un ambito privilegiato di interesse per le
organizzazioni criminali, in quanto canale di accumulazione, di riciclaggio e di consolidamento delle
“relazioni esterne”. Si tratta di attività particolarmente vulnerabili, che non si svolgono in un mercato
concorrenziale ma “protetto”, con basse barriere all’ingresso, elevati margini di profitto e bassi livelli di
rischio (controlli poco efficaci, modeste pene editali).
I finanziamenti pubblici in gioco sono molto rilevanti: i dati dell’Autorità di Vigilanza per il
2012 indicano che sono state perfezionate oltre 125mila procedure (d’importo superiore ai 40 mila
euro), per un valore complessivo di 95,3 miliardi di euro di spesa pubblica (-4,8% rispetto al 2011).
L’Autorità stima inoltre che ogni miliardo di euro investito in lavori pubblici genera circa 7.800
occupati per l’effetto diretto degli appalti e altri 3.900 (minimo)-7.800 (massimo) nell’indotto.
E’ ovvio che un tale business attragga le cosche, il cui inserimento negli appalti può essere
diretto (tramite il controllo dell’assegnazione dei lavori) o più spesso indiretto (tramite contratti di
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subappalto e l’esercizio di alcune attività specifiche, come il movimento terra, cave, smaltimento dei
rifiuti, forniture di calcestruzzo e inerti, ai quali si applica una disciplina antimafia meno rigida).
L’attuale sistema di accesso al mercato dei contratti pubblici non sempre garantisce l’affidabilità
dei concorrenti (come dimostra l’intensa attività sanzionatoria dell’Autorità). Un impianto normativo
ancora fragile (pur se recentemente rafforzato nel controllo antimafia), unito all’efficacia del metodo
mafioso e ai fenomeni corruttivi e collusivi con il sistema politico-amministrativo, sono tra i principali
fattori che favoriscono la penetrazione delle mafie, che soffoca l’imprenditoria sana, restringe il mercato
e inquina le iniziative di sviluppo.
In tempo di crisi, contenimento della spesa pubblica e difficoltà aziendali, molte imprese escono
dalla partita: nel 2012, le imprese abilitate a eseguire lavori (superiori ai 150mila euro) sono diminuite
del 7%. La recente introduzione delle white list di imprese virtuose presso ogni Prefettura e del cd.
rating di legalità potrebbe offrire incentivi alle imprese che operano nella legalità.
Più di rado, le mafie si inseriscono anche nelle gare relative a grandi opere pubbliche,
tipicamente non come contraenti principali (troppa visibilità ed expertise richiesta) ma nella
costellazione di imprese subappaltanti: una grande impresa nazionale specializzata si aggiudica l’appalto
e poi suddivide i lavori in subappalti affidati a imprese locali legate a gruppi criminali.
E’ quello che si è verificato per l’ammodernamento della nota autostrada Salerno-Reggio
Calabria: uno studio della Fondazione RES (Mete 2011) ha messo in luce come l’accordo criminale tra
grandi imprese e cosche riconosceva a queste ultime un importo generalmente pari al 3% del capitolato,
che le grandi imprese scaricano sull’ente appaltante (ANAS) tramite truffe. Un copione analogo sembra
in atto per l’Expo milanese del 2015. In Lombardia, dove sono presenti ben 35 grandi opere, negli ultimi
tre anni le prefetture hanno emesso 148 provvedimenti di interdizione, determinando l’esclusione di
altrettante imprese per motivi legati alla criminalità organizzata.
Per la Corte dei Conti le tangenti fanno crescere i costi delle grandi opere pubbliche anche del
40%.
(Fonte: Fondazione RES 2011, Corte dei Conti, Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e
forniture, Legambiente)
BENI E AZIENDE CONFISCATE
La confisca dei patrimoni illecitamente acquisiti dalla criminalità organizzata si è intensificata
negli ultimi anni e ha assunto un forte valore sotto il profilo della lotta alle mafie. Colpendo i patrimoni,
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l’azione di contrasto mira a indebolire l’organizzazione criminale nella sua dimensione economico-
finanziaria ma anche a promuovere una politica preventiva, innalzando la fiducia della società civile
nelle istituzioni e indebolendo il prestigio degli associati mafiosi.
La normativa italiana sul riutilizzo sociale del patrimonio confiscato consente poi di restituire i
beni oggetto di ablazione alle territorialità vittime del fenomeno criminale, a scopo tanto simbolico
quanto economico, soprattutto per le aziende che possono attivare opportunità imprenditoriali e
occupazionali se adeguatamente sostenute. Una ricognizione condotta da Libera e Agenzia per le Onlus
nel 2009 su 116 diverse realtà nate dalla riassegnazione dei beni ha messo in luce la varietà degli
interventi che possono essere realizzati, dal contrasto al disagio sociale alla promozione culturale, dalla
pubblica utilità (beni usati da enti istituzionali) all’inserimento lavorativo e sostegno all’imprenditoria.
Il progetto Libera Terra, dal 2001 ad oggi, ha dato vita a 9 cooperative nate attraverso bandi pubblici,
che oggi danno lavoro a circa 150 persone.
Spesso, tuttavia, si registrano difficoltà nella destinazione dei beni (per gravami ipotecari,
cattivo stato di manutenzione, ecc.) e nel funzionamento delle aziende confiscate (oltre il 90% sono
inattive, sottoposte a procedure concorsuali, in chiusura, ecc.). Il susseguirsi di dati e informazioni,
anche su i mezzi di stampa, sul numero e il valore dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità
organizzata in tutta Italia sono indicativi della portata e degli obiettivi prioritari dell’azione di contrasto
svolta dalle Forze dell’ordine, che con sempre maggior decisione colpiscono gli aspetti patrimoniali ed
economici delle mafie.
Al 7 gennaio 2013 sono 11.238 i beni immobili e 1.708 le aziende confiscati in via definitiva
alla criminalità organizzata e alle mafie, così distribuiti: 42% in Sicilia, 15% in Campania, 14% in
Calabria, 9% in Lombardia e Puglia, 5% nel Lazio. Di questi, circa 4mila beni immobili e poco meno di
400 aziende sono ancora nella gestione dell’Agenzia Nazionale e da destinare.
Gli immobili confiscati sono costituiti per circa il 54% da abitazioni e loro pertinenze, 20% da
terreni agricoli e 26% da strutture industriali e commerciali, fabbricati di varia natura e terreni
edificabili o con fabbricati rurali. L’attenzione della criminalità per i terreni agricoli risiede anche nel
fatto che, modificandone la destinazione d’uso, tali aree potendo essere sfruttate per costruire o produrre
energia da fonti rinnovabili.
Le aziende confiscate operano soprattutto nell’edilizia e nel commercio (28% ciascuno), nel
settore turistico (alberghi e ristoranti: 10%), nell’agricoltura e pesca (6%). Le confische più recenti
hanno riguardato anche alcuni impianti fotovoltaici e parchi eolici.
(Fonte: Agenzia nazionale per l’amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità
organizzata, Commissione parlamentare d’inchiesta, Libera, ioriattivoillavoro.it)
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CAPORALATO
Il fenomeno del caporalato riguarda l’intermediazione illecita della manodopera di cui si avvale
l’imprenditore disonesto, spesso in accordo con le organizzazioni criminali del territorio, in un regime di
economia sommersa che produce evasione ed elusione fiscale contributiva. I lavoratori impiegati in
maniera illegale nel settore agricolo sono sempre più extracomunitari, entrati in Italia attraverso
l’immigrazione clandestina. Il loro stato di soggetti privi di tutela e bisognosi di lavoro li vincola al c.d.
caporale che, pur imponendo condizioni disumane, quel lavoro gli procura, creando un forte rapporto di
dipendenza nelle vittime e omertà nel denunciare.
Secondo i dati Istat, in agricoltura il tasso di irregolarità dei lavoratori dipendenti è pari al 40%
(2012), un enorme serbatoio di riferimento per i caporali.
L’Osservatorio Placido Rizzotto (2012) stima le vittime del caporalato in circa 400mila persone
in tutta Italia, di cui tra le 70 e le 105mila (prevalentemente stranieri) si troverebbero ogni anno in
condizioni di estrema vulnerabilità socio-economica. Il caporalato avrebbe un costo per le casse dello
Stato di almeno 420 milioni di euro l’anno in termini di evasione contributiva, oltre alla quota di reddito
indebitamente sottratta ai lavoratori (retribuiti mediamente la metà dei minimi contrattuali).
Spesso il caporalato si associa ad altri reati, come sofisticazioni alimentari, truffa per salari non
pagati e contratti inevasi, sottrazione e furto dei documenti, gestione della tratta dei flussi di
manodopera, riduzione in schiavitù, sfruttamento.
Nel 2012 (gennaio-novembre) sono state arrestate 435 persone per i reati di riduzione in
schiavitù, tratta e commercio di schiavi, alienazione e acquisto di schiavi. Dall'entrata in vigore del reato
di caporalato (settembre 2011) al 2012 le persone denunciate o arrestate sono solo 42, con la metà degli
arresti al Centro-Nord. Tuttavia, l’indagine condotta dall’Osservatorio Placido Rizzotto ha evidenziato
che il caporalato è diffuso tanto nelle “tradizionali” regioni del Sud (Calabria, Campania, Puglia e
Sicilia) quanto al Centro-Nord (con aree ad alto rischio ad esempio in Piemonte, Lombardia, Emilia
Romagna, Toscana, Veneto).
(Fonte: FLAI-Cgil-Osservatorio Placido Rizzotto, DNA)
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COMUNI SCIOLTI PER MAFIA
Le infiltrazioni mafiose nei governi locali sono un fenomeno piuttosto esteso: il
condizionamento delle amministrazioni locali da parte dei gruppi criminali sembra essere un modus
operandi tipico soprattutto in alcune aree meridionali del Paese ma oramai “esportato” anche al Centro-
Nord. Le risultanze delle indagini e delle attività processuali dimostrano che il condizionamento della
P.A. si esercita principalmente sugli appalti pubblici, sui finanziamenti comunitari, sullo smaltimento
dei rifiuti e sul settore sanitario.
Una misura concreta di tale condizionamento è data dal numero di enti locali sciolti per
infiltrazioni mafiose. Dal 1991 al 1 novembre 2013 in Italia sono stati emessi 243 decreti di
scioglimento di consigli comunali per sospetto di infiltrazione mafiosa, con tre regioni in cui il
fenomeno è preponderante: Campania (39%), Calabria (30%), e Sicilia (25%). Nelle regioni del Centro-
Nord si registrano: 3 provvedimenti in Piemonte, 2 in Liguria, 1 nel Lazio e in Lombardia.
Nel 2012 i comuni sciolti sono stati ben 25, tra cui il primo capoluogo di provincia, Reggio
Calabria, due comuni in Piemonte e uno in Liguria; nel 2013 i comuni sono 16 (al 1 novembre), tra cui
il primo in Lombardia.
(Fonte: Lega Autonomie Calabria su dati Ministero dell’Interno)
CONTRAFFAZIONE
Il fatturato della contraffazione in Italia è stato stimato dal Censis in 6,9 miliardi di euro per il
2010 (di recente aggiornato a 6,5 miliardi per il 2013); sul mercato legale, la produzione e
commercializzazione di beni dello stesso valore avrebbe potuto generare 5,5 miliardi di valore aggiunto,
garantire 110mila unità di lavoro regolari e incrementare il gettito erariale di almeno 1,7 miliardi per
imposte legate alla produzione diretta (considerando anche l’indotto il gettito aggiuntivo potrebbe
sfiorare i 4,6 miliardi).
Chi produce contraffatto è un concorrente sleale, non paga le tasse, usa lavoro nero (anche al
limite dello sfruttamento), non rispetta le norme sulla sicurezza, utilizza materie prime scadenti (talvolta
nocive o tossiche), viola la proprietà intellettuale e non investe in ricerca e sviluppo, alimentando così
una lunga catena di illegalità.
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Ne trae profitti soprattutto la criminalità organizzata, che sfrutta i canali commerciali aperti con
altri traffici per dedicarsi a questo mercato molto redditizio (i margini di profitto sono altissimi, a fronte
di costi bassissimi) e poco rischioso (soprattutto a causa di legislazioni poco severe in molti paesi): le
attività d’indagine indicano che il coinvolgimento delle mafie nella contraffazione è in rapida crescita
nel mercato interno e in quello internazionale, grazie a sodalizi con le organizzazioni straniere.
I settori più colpiti sono l’abbigliamento e accessori, l’audio-video-software e l’agro-alimentare
(compresi i prodotti Dop, Igp) comparto quest’ultimo che rappresenta per le organizzazioni criminali un
ambito privilegiato di impiego dei proventi illeciti, lungo le direttrici Sud-Centro-Nord del trasporto e
del commercio. Si aggiungono poi orologi e gioielli, materiale elettrico ed informatico, cosmetici ma
anche pezzi di ricambio per auto, medicinali, giocattoli che, insieme ai prodotti alimentari, aggiungono
al danno economico i gravissimi rischi per la salute e la sicurezza dei consumatori.
Nel dettaglio della contraffazione agroalimentare, a livello mondiale Coldiretti-Eurispes (2011)
stimano in 60 miliardi di euro annui il giro d’affari dell’“Italian sounding”, con cui “pirati”
agroalimentari internazionali utilizzano marchi e immagini che si richiamano all’Italia per
commercializzare cibi contraffatti o imitazioni dell’originale prodotto made in Italy, sottraendo
potenziali quote di export all’industria alimentare nazionale.
I cibi contraffatti si avvalgono della indeterminatezza sull’origine e provenienza della materia
prima alimentare. La normativa nazionale ed europea sulla tracciabilità garantisce la sicurezza in
numerose filiere (miele, carni, olio, vino, ortofrutta) ma per alcune la tracciabilità non è ancora completa
(ad esempio pasta, prodotti lattiero-caseari).
Le azioni di contrasto nel campo della sicurezza agroalimentare mostrano l’ampiezza del
fenomeno. Tra gennaio e settembre 2013 il Corpo forestale ha effettuato oltre 4.700 controlli che hanno
portato alla denuncia di più di 170 persone e a circa 700 sanzioni amministrative elevate (per un importo
di 1,9 milioni di euro); le regioni interessate da un’attivit{ di contrasto più efficace sono state:
Campania, Puglia, Emilia Romagna, Piemonte, Toscana. A questi, si aggiungono i controlli dei NAS dei
Carabinieri (quasi 10mila irregolarità accertate nei primi nove mesi del 2013, e sequestri di beni e
prodotti per un valore di 335,5 milioni di euro) e della Guardia di Finanza (quasi 11mila tonnellate di
prodotti alimentari sequestrati nel 2012 per frodi sanitarie e commerciali).
Sul fenomeno delle frodi nell’agroalimentare è stata avviata un’indagine conoscitiva della
Commissione Agricoltura del Senato.
(Fonte: Censis, Commissione parlamentare d’inchiesta sulla contraffazione, Coldiretti-Eurispes, Corpo Forestale dello
Stato)
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CORRUZIONE
In Italia, secondo la Corte dei Conti, la corruzione ha una “natura sistemica” che pregiudica
tanto la legittimazione della P.A. quanto l’economia nazionale, costituendo una “tassa immorale e
occulta” pagata con i soldi dei cittadini. Quantificare in termini monetari l’impatto della corruzione è
difficile: la stessa Corte nel 2009 aveva indicato un onere sui bilanci pubblici sull’ordine dei 50-60
miliardi di euro l’anno, applicando al nostro Paese stime della Banca Mondiale sull’impatto della
corruzione sul PIL mondiale (3%).
La corruzione determina costi per lo Stato, in termini di inefficienza delle istituzioni, cattiva
allocazione delle risorse, minori entrate fiscali, dilatazione della spesa pubblica, violazione del principio
di trasparenza, ridotta credibilit{ del “Sistema-Paese” agli occhi degli investitori esteri. Alti livelli di
corruzione sono, infatti, associati a un basso afflusso di capitale straniero e di investimenti, che si
traducono in perdita di sviluppo, innovazione e occupazione.
Ci sono poi i costi civili e sociali della corruzione, in termini di ingiustizia sociale (a scapito
delle classi più vulnerabili), ridotta qualità dei servizi (anche quelli pubblici essenziali), minacce per la
salute e la sicurezza (ad esempio quando è all’origine di atti di inquinamento o incidenti dovuti al
mancato rispetto delle norme), meritocrazia negata, svilimento dei principi democratici e della fiducia
dei cittadini. Ne sopporta i costi, infine, il tessuto produttivo “sano”, in termini di concorrenza sleale,
esclusione dal mercato, aumento di costi e tempi della burocrazia, freno alla competitività e alla qualità
delle produzioni.
Nel 2012, la DIA registra 1.334 soggetti denunciati/arrestati in Italia per il reato di corruzione
(+29% rispetto al 2011, con Lombardia, Campania e Lazio in testa), 353 per il reato di concussione (-
10%).
I dati ufficiali forniscono, tuttavia, una visione parziale del fenomeno. Le inchieste della
magistratura e il numero di persone denunciate sono infatti in drastico calo da circa quindici anni, dopo
l’esplosione di Tangentopoli negli anni Novanta (con 3mila persone denunciate nel 1995), mentre le
ricerche volte a cogliere la percezione della corruzione in Italia o la pratica sotterranea di essa
convergono nell’attestarne una crescente diffusione. Ad esempio, per Transparency International, che
dal 1998 compila la classifica dell’Indice di Percezione della Corruzione (CPI) su 174 paesi, nel 2012
l’Italia scivola al 72esimo posto (perde tre posizioni in un anno), terzultima europea seguita solo da
Bulgaria e Grecia.
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Dagli anni Duemila sembra aumentata la “cifra nera” della corruzione, quella che non genera
scandali né inchieste (perché poco denunciata e più sofisticata, difficile da intercettare), ma anche quella
“grigia”, che si traduce in un nulla di fatto per prescrizione dei reati, depenalizzazione o proscioglimento
(anche per l’inadeguatezza dello strumento legislativo).
Non tutti i corruttori appartengono alle cosche mafiose ma esiste una naturale intesa tra politici o
funzionari corrotti e criminalità organizzata, che vi scorge un’ulteriore opportunit{ per infiltrare i gangli
del sistema politico-amministrativo, per condizionarne i processi decisionali ed orientare a proprio
favore provvedimenti d’ogni genere.
Corruzione e concussione diventano così un “fattore produttivo” occulto per le imprese
criminali, utile ad ammorbidire i controlli, fluidificare appalti e concessioni, nascondere altre illegalità,
ottenere autorizzazioni. Nelle reti della corruzione, la mafia porta in dote il “valore aggiunto” del ricorso
alla violenza, accanto a risorse di natura simbolica, come informazioni, reputazione, contatti.
La corruzione sempre di più “inquina l’ambiente”: una quota molto rilevante dei fenomeni
corruttivi riguarda il ciclo del cemento, l’urbanistica, le opere pubbliche, la gestione dei rifiuti, la
realizzazione di impianti eolici e fotovoltaici, le emergenze e gli interventi di ricostruzione. La
corruzione ambientale interessa l’Italia trasversalmente: 135 sono le inchieste censite da Legambiente
tra 2010 e 2013 (maggio), il 41% nelle quattro regioni del Sud a maggior presenza mafiosa, il 15% in
Lombardia, il 9% in Toscana.
Si vedano anche le voci Sanità e Appalti.
(Fonte: Governo Italiano – Commissione ministeriale sulla corruzione, Corte dei Conti, Libera-Gruppo Abele,
riparteilfuturo.it, DIA, Transparency International, Legambiente)
ECOMAFIE
L’illegalità ambientale, nelle sue numerose declinazioni, è un fenomeno in crescita, come cresce una
“eco-criminalità organizzata”, che coinvolge ben 302 clan, censiti nelle indagini.
In materia di reati ambientali sul territorio nazionale e in mare, per il 2012 Legambiente registra:
oltre 34mila infrazioni accertate (+32% dal 2008; 3,9 reati ogni ora); 28mila persone denunciate e 161
arresti; 8mila sequestri. L’illegalità ambientale ha riguardato soprattutto incendi (24% delle infrazioni
totali), delitti contro la fauna (23%), il ciclo del cemento (19%), quello dei rifiuti (15%) e quello
alimentare (12%), seguiti da archeomafia (3%) e altri reati ambientali (4%).
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Le infrazioni accertate hanno colpito prevalentemente (46% degli illeciti totali) le quattro regioni
a tradizionale presenza mafiosa (nell’ordine, Campania, Sicilia, Calabria e Puglia), seguite dal Lazio
(8%) e dalla Toscana (7%).
Si tratta di una criminalità che ha come regole condivise il dumping ambientale, la falsificazione
di fatture e bilanci, l’evasione fiscale e il riciclaggio, la corruzione, il voto di scambio e la spartizione
degli appalti.
In termini economici, il business delle ecomafie stimato da Legambiente per il 2012 è di 16,7
miliardi di euro, di cui 9 miliardi sarebbero il “fatturato” del mercato illegale (abusivismo edilizio: 1,7
miliardi; gestione illecita di rifiuti speciali: 3,1; traffici illegali di animali: 2,5; inquinamento: 700
milioni; illegalità nell’alimentare: 700 milioni; archeomafia: 300 milioni), mentre altri 7,7 miliardi sono
riferibili a investimenti a rischio per appalti in opere pubbliche (6,7) e gestione di rifiuti solidi urbani
(1,0).
(Fonte: Legambiente)
Ciclo dei rifiuti
Nel suo continuo rinnovare filiere e modalità operative, la criminalità organizzata si è
“impossessata” del business dei rifiuti, che secondo le stime di Legambiente è il comparto più redditizio
delle ecomafie (con 4,1 miliardi di giro d’affari tra traffico illeciti di rifiuti speciali e infiltrazioni nella
gestione dei rifiuti urbani nelle quattro regioni a tradizionale presenza mafiosa).
Nel ciclo illegale dei rifiuti, la criminalità organizzata è riuscita ad infiltrarsi in primo luogo
nella raccolta (attraverso società guidate da prestanome e capaci di eliminare alla fonte ogni possibile
concorrenza) e nell’oramai noto traffico di rifiuti nocivi e pericolosi (la Guardia di finanza stima in
60mila euro il costo di smaltimento legale di 15 tonnellate di rifiuti pericolosi, contro i soli 6mila di
un’operazione equivalente illegale). Negli ultimi anni è in grande espansione il traffico (soprattutto
internazionale: sono raddoppiati i quantitativi sequestrati nel 2012 dall’Agenzia delle dogane nei porti
italiani) del “finto riciclo”, che si alimenta sfruttando la crescita della raccolta differenziata e la distorce
per moltiplicare i profitti di clan e imprese criminali. Un sistema che genera un doppio guadagno per le
mafie (proventi della vendita all’estero dei “cascami” e mancato costo dei trattamenti necessari per il
riciclo) e un doppio danno per l’economia legale: si pagano contributi ecologici per un servizio non
effettuato e sono penalizzate le imprese che operano nella legalità, che a partire dalle materie prime-
seconde fornite da un corretto ciclo potrebbero alimentare una filiera industriale virtuosa di
trasformazione e di produzione di nuovi prodotti, sostenuta da ricerca e innovazione, con buone
prospettive di impiego per il lavoro qualificato. Senza dimenticare i rischi per la salute, l’agricoltura e
l’ambiente causati da discariche illegali non controllate e cave abusive.
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Le inchieste chiuse per smaltimento illegale e traffico illecito di rifiuti negli ultimi dieci anni
(2002-maggio 2013) sono 216, hanno coinvolto 698 aziende in 19 regioni italiane (tutte, tranne la Vale
d’Aosta) e 26 stati esteri. Nel 2012 sono state accertate più di 5mila infrazioni, con oltre 2.200 sequestri.
La gestione illegale dei rifiuti è spesso un’attivit{ funzionale ad altri crimini: truffe, evasione fiscale e
soprattutto operazioni di lavaggio di capitali sporchi, come evidenziano i dati delle segnalazioni sospette
dell’UIF.
(Fonte: Legambiente, UIF)
EDILIZIA
Tradizionalmente il cd. “ciclo del cemento” (speculazioni edilizie, produzione di calcestruzzo,
gestione di cave, movimento terra, ecc.) presenta una radicata presenza dell’associazione mafiosa. Si
tratta peraltro di attività strettamente collegate con il ciclo illecito dei rifiuti, che sfrutta come discariche
illegali le cave esaurite, e con il tema degli appalti pubblici.
Tra i reati ambientali censiti da Legambiente nel 2012, il 19% (6.300 infrazioni) interessa il
ciclo illecito del cemento, con un giro d’affari stimato in 1,7 miliardi. Edilizia e urbanistica, inoltre,
guidano la “classifica” dei procedimenti penali definiti nel 2012 dalla Corte di Cassazione in materia
ambientale, con 973 procedimenti, pari al 57% del totale.
Il tutto in un periodo di crisi fortissima per le costruzioni italiane, settore che negli ultimi anni ha
subito gravi perdite di addetti, fatturato, credito.
Secondo le stime del Cresme, tra 2006 e 2012 l’incidenza dell’edilizia illegale nel mercato delle
costruzioni residenziali sarebbe passata dal 9 al 16%: a fronte del crollo della produzione di alloggi
residenziali realizzati legalmente, scesi da 305 a 134 mila (-56%), il mercato illegale ha infatti retto
meglio, con una produzione abusiva passata da 30 a 25 mila manufatti (-16%).
A fare la differenza sono i costi di mercato: a fronte di un costo medio di costruzione di un
alloggio in regola pari a 155mila euro (analisi Cresme), quello illegale può essere realizzato con un terzo
dell’investimento, sottraendo costi lungo tutta la filiera (ad esempio, oneri concessori, Iva, assicurazioni
e versamenti agli operai, ecc).
L’abusivismo edilizio, inoltre, rende bene perché attacca aree di qualità e a maggior valore
aggiunto, mentre la produzione edilizia legale non solo si è più che dimezzata ma soffre anche la
difficoltà di vendere gli alloggi realizzati, con i conseguenti costi finanziari, economici, di
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rattrappimento imprenditoriale e di mancata qualità sociale. A rimetterci, come sempre, le imprese sane
e il paesaggio nazionale.
(Fonte: Legambiente, Cresme)
ESTORSIONE E USURA
L’estorsione e l’usura conservano un ruolo primario tra le attività criminali dei sodalizi mafiosi,
quale strumento di controllo del territorio e assoggettamento, metodo di drenaggio di risorse
economiche, possibilità di reinvestire i capitali illeciti in un mercato finanziario occulto, mezzo di
infiltrazione nel tessuto legale.
Nel 2012, secondo i dati della DIA sono circa 5.300 le denunce per il reato di estorsione
(l’ordine di grandezza non varia negli ultimi anni). In termini assoluti il numero maggiore di denunce
proviene da: Campania (17%), Lombardia (12%), Puglia, Sicilia e Lazio (10%). Queste cifre
rappresentano tuttavia solo la punta “emersa” dell’iceberg, riferita al limitato gruppo di casi denunciati.
SOS Impresa (Confesercenti) stima, invece, in ben 160.000 le imprese commerciali soggette a
estorsione (nel 2010), e in ben 9 miliardi il denaro movimentato dal racket.
Per il reato di usura sono meno di 300 le denunce registrate dalla DIA nel 2012. In termini
assoluti il numero maggiore proviene da: Campania (18%), Lombardia (12%), Puglia e Sicilia (9%),
Lazio e Piemonte (7%). Anche in questo caso, i dati sulle denunce offrono una visione molto parziale
della realtà, non dando conto di un verosimile ed esteso sommerso.
La grande crisi finanziaria degli ultimi anni e la stretta creditizia che ne è seguita hanno infatti
attivato margini e forme nuovi per il fenomeno dell’usura, con la criminalità in grado di insinuarsi nelle
gravi anomalie dei rapporti creditizi privati o pubblico-privati in modo subdolo, penetrando
silenziosamente nell’economia legale.
SOS Impresa stima (al 2010) che in Italia almeno 200mila commercianti siano coinvolti in
rapporti usurai, sopportando costi che si aggirano attorno ai 20 miliardi di euro. Secondo gli studi della
Camera di Commercio di Roma, tra 2010 e 2012 l’area del “basso rischio” di indebitamento patologico
e usura in Italia si è contratta del 33% in termini di popolazione coinvolta; viceversa, aumenta il
territorio economico più esposto a rischio.
Dagli atti istruttori emerge inoltre che i tassi usurai possono variare dal 120 al 250% annuo, con
punte record superiori al 1000%.
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Il Comitato di solidarietà per le vittime delle estorsioni e dell'usura, presso il Ministero
dell’Interno, ha il compito di deliberare sulle istanze di accesso al Fondo di solidarietà; nei primi dieci
mesi del 2013 ha esaminato 701 istanze di vittime di racket (deliberando 113 accoglimenti pieni) e
1.301 istanze di vittime di usura (154 accoglimenti), per un totale di oltre 29 milioni di euro stanziati.
(Fonte: DIA, SOS Impresa-Confesercenti, Libera, Ministero dell’interno, CCIAA Roma-Fiasco)
GIOCO D’AZZARDO
L'Italia è tra i primi paesi al mondo per volume di gioco: l'industria del gioco legale mobilita
circa 3-4 punti di PIL (quasi 80 miliardi di euro di raccolta lorda nel 2011 e oltre 70 nei primi 10 mesi
del 2012), coinvolgendo cinquemila aziende e offrendo lavoro a 120mila addetti. La spesa netta degli
italiani (al netto cioè delle vincite) nel 2011 è stata di 18,5 miliardi.
A questi dati ufficiali vanno aggiunti i costi sociali ed economici difficilmente quantificabili
causati dalle infiltrazioni mafiose. Quello dei giochi, infatti, è diventato un settore di punta nel business
delle mafie, con 49 clan coinvolti nel controllo dei giochi legali e illegali sull’intero territorio nazionale:
il volume d’affari del gioco illegale, secondo le stime di Libera, si aggira attorno ai 15 miliardi annui.
Nel 2010, in 22 città le Forze di Polizia hanno effettuato arresti e sequestri legati al gioco d’azzardo e
riconducibili direttamente alla criminalità organizzata. Si stima che oltre il 9% dei beni sequestrati ai
clan riguardino agenzie di scommesse e sale giochi.
La criminalità mafiosa, senza abbandonare le tradizionali forme di intervento nel gioco
clandestino (bische, totonero, corse di cavalli), sta acquisendo quote sostanziose del più lucroso gioco
legale, ad esempio controllando e gestendo (e alterando) “macchinette”, punti scommesse e sale Bingo,
giochi on-line.
La naturale conseguenza del gioco illegale è che le imprese lecite e pulite abbandonano
progressivamente questo mercato, perché ritenuto non più conveniente o poco remunerativo, così che
l’impresa mafiosa sta iniziando ad operare in regime di monopolio, mortificando la libertà di iniziativa
economica privata. Si aggiunge inoltre il danno allo Stato, dovuto ai mancati introiti a titolo di prelievo
fiscale.
Il controllo del gioco d’azzardo assicura alle mafie notevoli profitti a fronte di rischi giudiziari
relativamente contenuti; permette inoltre di riciclare denaro sporco ma anche di stringere i soggetti
indebitati nelle morse dell’usura. Pur mancando dati certi, il Coordinamento Nazionale Gruppi Giocatori
d’Azzardo stima che il numero di giocatori “patologici” in Italia oscilli tra 700mila e 1,4 milioni di
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persone in età da gioco, soggetti cioè a un elevato rischio di compromissione finanziaria personale, che
rischiano più facilmente di entrare in contatto con organizzazioni criminali del gioco illegale, anche per
richiedere prestiti usuranti. Si gioca in tutta Italia: secondo Vita.it, le prime 10 province in termini di
spesa pro capite per l’azzardo (escluso il gioco online) sono Pavia (la città con la più alta densità di
macchinette) Como, Rimini, Teramo, Savona, Latina, Terni, Pescara, Reggio Emilia e Frosinone. Si
trova in Lombardia quasi il 13% delle imprese specializzate nel settore del gioco a gettoni e delle
scommesse.
(Fonte: Aams, Conagga, DNA, Commissione parlamentare d’inchiesta, Libera, Vita.it, mettiamociingioco.org)
GREEN ECONOMY (ENERGIE RINNOVABILI)
La produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili, quali l’eolico e il solare fotovoltaico,
negli ultimi anni ha conosciuto in Italia un forte sviluppo, grazie alla spinta europea e al sistema degli
incentivi che ne è seguito (superiore alla media UE). Nel rapporto GreenItaly del 2013 si legge che negli
ultimi cinque anni il contributo delle rinnovabili alla copertura del consumo di energia nazionale è
praticamente raddoppiato, passando dal 7,4% del 2007 al 15,1% nel 2012. Eolico e fotovoltaico hanno
messo a segno una crescita particolarmente rapida e rappresentano nel 2012 il 35% delle fonti verdi di
approvvigionamento energetico.
L’appetibilità economica del settore (i parchi di produzione eolica valgono decine di milioni di
euro), dimostrata dai numerosi e grandi operatori, anche internazionali, che partecipano agli
investimenti, unita a un certo grado di vischiosità e incertezza dell’iter di autorizzazione e dei controlli,
rappresenta l’habitat perfetto per dinamiche illecite e potenziale infiltrazione della criminalità.
Anche il fattore territoriale conta: la distribuzione degli impianti eolici e fotovoltaici dipende
dalla disponibilità di aree e dalle loro caratteristiche ambientali, favorevoli nelle regioni del
Mezzogiorno.
Per quanto riguarda l’eolico, Terna-GSE registra per il 2011 ben 807 impianti eolici in Italia
(+300% dal 2007, quando erano solo 203), per una potenza efficiente lorda di 6.936 MW. L’80% del
parco impianti e il 98% della potenza eolica nazionale sono installati nelle regioni del Sud. Gli impianti
fotovoltaici installati in Italia tra 2007 (quando ne esistevano solo 7mila) e 2012 sono oltre 470mila: il
numero più elevato si registra in alcune regioni del Nord (Lombardia, Veneto, Emilia Romagna,
Piemonte), seguite da Puglia (che detiene il primato per potenza installata) e Sicilia.
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Come dimostrano le inchieste, sull’eolico prima (Sicilia, Puglia, Calabria e Sardegna) e sul
fotovoltaico poi (Puglia), le mafie hanno finito per inquinare l’intero iter, trovando opportunità di
business tanto nei cospicui finanziamenti pubblici quanto nella compravendita dei terreni, nel riciclaggio
di denaro sporco negli impianti e nel successivo smaltimento, nel mercato dei cd. “certificati verdi”. Ad
aprile 2013 la DIA ha effettuato la più vasta confisca di beni nei confronti di un’unica persona, oltre 1,3
miliardi di euro al “re dell’eolico” siciliano.
Il coinvolgimento della criminalità organizzata nell’eolico avviene spesso tramite la
partecipazione a “società-veicolo” che si occupano delle fasi propedeutiche dei progetti, negoziano i
diritti di uso dei terreni e ottengono, attraverso pratiche corruttive, gare alterate, documenti falsi e
relazioni privilegiate, le necessarie autorizzazioni, poi cedute con grande profitto alle aziende, nazionali
o internazionali, che realizzeranno gli impianti. A fronte di un mercato dell’eolico quasi saturo, le mafie
hanno rivolto l’attenzione al fotovoltaico, sfruttando le precarie condizioni economiche degli agricoltori
e costringendoli a cedere, a prezzo di favore, i propri terreni per l’installazione degli impianti, con
evidente pregiudizio per il settore agricolo nazionale.
(Fonte: Unioncamere, Fondazione Culturale Responsabilità Etica – euscore.eu, Coldiretti-Eurispes, Terna-GSE)
RICICLAGGIO E OPERAZIONI FINANZIARIE SOSPETTE
Il riciclaggio di denaro proveniente da attività criminali è uno dei più insidiosi canali di
contaminazione fra il lecito e l’illecito. E’ un reato che consente di trasformare la liquidità di
provenienza illecita in potere d’acquisto effettivo, utilizzabile per scopi di consumo, risparmio o
investimento e offre ai criminali gli strumenti per essere integrati nel sistema legale. Agli enormi profitti
delle attività criminali fa riscontro un’imponente attività di riciclaggio: le stime della Banca d’Italia
indicano per il nostro Paese dimensioni mediamente superiori al 10% del PIL, crescenti in funzione
dell’apertura internazionale dei mercati e del ricorrere delle crisi economiche.
Si tratta di flussi di denaro illecito rilevanti anche sul piano macroeconomico, in cui possono
generare gravi distorsioni, alterando le condizioni di concorrenza, il corretto funzionamento dei mercati
e i meccanismi fisiologici di allocazione delle risorse.
Il momento dell’emersione dei capitali illeciti rappresenta uno dei rischi maggiori per la
criminalità: seguendo le tracce delle transazioni di “danaro sporco” è possibile risalire ai colpevoli dei
reati presupposto, da cui originano i proventi illeciti.
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Nel 2012, la DIA registra 1.386 fatti-reato denunciati per i reati di riciclaggio e impiego di
denaro, beni o utilità di provenienza illecita (+9% rispetto al 2011), e 900 persone tratte in arresto. Le
indagini antiriciclaggio della Guardia di Finanza hanno portato al sequestro di beni e patrimoni per 140
milioni di euro.
In Italia le banche, gli altri intermediari finanziari e i professionisti sono obbligati dalla legge a
segnalare ogni operazione finanziaria sospetta all’Unità di Informazione Finanziaria, istituita presso la
Banca d’Italia con compiti di prevenzione e contrasto del riciclaggio. L'UIF, dopo un'attività di analisi
trasmette le segnalazioni sospette alla Guardia di Finanza e alla DIA. Le segnalazioni di operazioni
sospette forniscono spunti molto importanti per l’attività investigativa e per monitorare l’infiltrazione
della criminalità organizzata nell’economia del Paese.
Nel 2012, sono state segnalate all’Unità di Informazione Finanziaria oltre 67mila operazioni
sospette (+37% dal 2011), così suddivise: Nord, 47%; Centro, 24%; Sud e Isole, 29%. Le prime tre
regioni per numero di segnalazioni sono: Lombardia (19%), Lazio e Campania (12%).
Delle segnalazioni investigate dalla Guardia di Finanza nel 2012, circa 4mila hanno avuto esito
positivo, essendo emersi indizi di collegamenti con reati a scopo di lucro (usura, reati tributari,
riciclaggio), o violazioni amministrative alla disciplina antiriciclaggio e valutaria. Sempre nel 2012, 343
segnalazioni sono state oggetto di specifiche investigazioni da parte della DIA, di cui 106 solo in
Lombardia.
(Fonte: Banca d’Italia/UIF, DIA, MEF)
SANITA’
Gli italiani godono di un sistema dei servizi sanitari complessivamente efficiente in confronto
alla media europea. Tuttavia, anche nel settore della sanità si registrano diverse forme di opacità,
discrezionalità e illegalità, oltre al rischio di corruzione e infiltrazione mafiosa. L’illegalità determina un
danno enorme per il Paese, innanzitutto sotto forma di costi economici: lievitano i prezzi delle
prestazioni sanitarie e i conti della sanità, l’allocazione delle risorse pubbliche è inefficiente, si erogano
prestazioni non necessarie. Tra i pochi dati disponibili in materia, la Guardia di Finanza stima per il
triennio 2010-2012 una perdita erariale di 1,6 miliardi di euro sulla base dei soli reati accertati dalle
Forze dell’ordine.
A ciò si aggiungono i costi indiretti: l’esclusione delle imprese sane dalla competizione, il freno
all’innovazione, la perdita di fiducia da parte dei cittadini, il danno di immagine per il sistema sanitario,
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e ovviamente i rischi per la salute. Secondo la Commissione ministeriale sulla corruzione del 2012, la
sanità è tra i settori maggiormente esposti al rischio di corruzione, per evidenti ragioni di ordine
finanziario: vanta una quota ingente di spesa pubblica (circa 140 miliardi di euro nel 2011),
particolarmente segnata dagli acquisti di beni e servizi, da decisioni amministrative spesso discrezionali
e da una moltitudine di soggetti appaltanti. Le decisioni di spesa sono esposte a varie forme di
condizionamento illecito: spese inutili o eccessivamente onerose, gare e concorsi illegittimi, irregolarità
nella prescrizione di farmaci, esecuzione di lavori e fornitura di beni.
Più raramente, nel mondo della sanità si infiltra la criminalità organizzata: 4 Aziende sanitarie
sono state finora colpite da provvedimenti di scioglimento per infiltrazioni mafiose (una in Campania e
tre in Calabria).
(Fonte: Governo Italiano – Commissione ministeriale sulla corruzione, Libera-Avviso Pubblico)
STATISTICHE UFFICIALI DELLA DELITTUOSITA’
In Italia, le statistiche ufficiali della delittuosità fanno riferimento al numero di reati e di persone
denunciati dalle Forze dell’Ordine all’Autorit{ Giudiziaria. Riguardando solo le denunce, esse
rappresentano una sottostima dei fenomeni criminali: molti delitti restano ignoti perché non denunciati
dalle vittime, ad esempio per via della ridotta gravità del danno, della scarsa convenienza nel
denunciarlo, di una bassa fiducia nelle istituzioni o di un differente grado di propensione alla denuncia
nelle diverse aree geografiche.
I dati mostrano che negli ultimi venti anni l’uso esplicito di violenza da parte delle
organizzazioni criminali è andato attenuandosi (gli omicidi volontari per mafia sono passati da circa 1,4
ogni 100mila abitanti nel 1991 a 0,1 per 100mila abitanti nel 2011), mentre è continuata l’estensione
delle mafie nelle attività economiche (ad esempio, tra 1991 e 2011 le denunce di estorsione sono passate
da 5 a 10 per 100mila abitanti). Tendono ad aumentare anche i cd. “reati-spia” (lesioni, danneggiamenti,
incendi), sintomatici di attività criminali più estese.
A livello regionale, i dati del 2011 mostrano che nel Centro-Nord i crimini di stampo mafioso e
quelli che destano maggior allarme sociale, in primis gli omicidi, sono meno numerosi che al Sud, ma le
infiltrazioni nel sistema economico-finanziario sono molto insidiose (soprattutto in Lazio e Lombardia),
documentate, tra l’altro, dai dati sulle denunce per riciclaggio di capitali illeciti, per danneggiamenti e
per usura, reati spesso riconducibili a sodalizi mafiosi.
(Fonte: Istat su dati Ministero dell’Interno)
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TRASPORTI
Le fonti giudiziarie dipingono un settore dei trasporti permeabile all’infiltrazione della
criminalità organizzata: frammentazione, basse barriere all’ingresso (sul piano delle competenze e dei
capitali necessari), norme insufficienti, controlli inefficienti e discontinui sono condizioni favorevoli per
la creazione di reti collusive o l’inserimento di vere e proprie imprese mafiose. Tra le aziende confiscate
alla criminalità, sono 69 (il 4% del totale) quelle di trasporto, magazzinaggio e comunicazione (gennaio
2013).
Dagli anni Novanta, con l’ingresso di grandi operatori internazionali, il controllo delle mafie si è
concentrato nelle filiere più protette dalla concorrenza straniera e a maggior presenza di imprese locali
medio-piccole (merci per l’edilizia, rifiuti, prodotti agricoli: si pensi alle inchieste sul trasporto merci
verso i mercati di Fondi e Vittoria). L’intervento della crisi ha fatto esplodere il problema, rendendo
possibile un’infiltrazione massiccia e strategica delle organizzazioni criminali nella filiera logistica
nazionale, anche tramite la leva del credito (controllo del porto di Palermo, Tnt Lombarda). Nell’aprile
2012 il Corriere dei Trasporti censiva almeno 15 eventi intimidatori (incendi di veicoli) in meno di un
mese; fra 2012 e 2013, le indagini riportano casi di imprese della logistica infiltrate dalla ‘ndrangheta in
quasi tutte le regioni del Nord, in Lazio e in Umbria. Oggi, la mafia ha avviato un processo di
“delocalizzazione” su scala continentale.
La logistica offre opportunità criminali per la circolazione di merce illegale (armi, droga,
prodotti contraffatti) e di capitali illeciti (ad esempio con sovrafatturazioni che nascondono tangenti o
pagamenti di stipendi “regolari” a membri dell’organizzazione), per l’acquisizione di consenso sociale
(offrendo posti di lavoro, sfruttando i contatti con la popolazione per altri scopi illeciti) e per intrufolarsi
negli appalti di infrastrutture.
A ciò si aggiunge una fitta area “grigia” di rapporti radicati tra criminalità e imprese legali
(produttori, commercianti, grande distribuzione), di cui fanno le spese le imprese sane, di fatto espulse
dal mercato, i piccoli proprietari con ridotto potere di veto, i consumatori finali, su cui ricadono i
maggiori costi del “servizio”, i lavoratori più deboli, lo Stato (evasione, incentivi e sussidi “persi”).
(Fonte: Fondazione RES-Palidda 2011; CNA-Fita; Corriere dei Trasporti)
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BIBLIOGRAFIA
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Baranes A., Capire la Finanza. I paradisi fiscali, CRBM-Fondazione Culturale Responsabilità Etica
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tradizionali, Roma 1994.
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della Banca d'Italia Mario Draghi, Università degli Studi di Milano, 2011.
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testimonianza presso Commissione parlamentare d’inchiesta sul fenomeno della mafia e sulle altre
associazioni criminali, anche straniere (XVI legislatura), 2012.
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STUDIO CONOSCITIVO SUL FENOMENO DELL’USURA: SULLE TRACCE DI UN CRIMINE
INVISIBILE
INTRODUZIONE
Lo studio proposto nasce da una collaborazione tra Unioncamere e la Fondazione nazionale
antiusura Interesse Uomo con lo scopo principale di fornire un quadro d’insieme del fenomeno
dell’usura e delle ripercussioni sul sistema delle imprese. Senza la pretesa di offrire un’indagine
esaustiva di un fenomeno estremamente complesso e in costante evoluzione, si proverà a fornire
un’osservazione che possa essere un utile punto di partenza per indagini e approfondimenti
successivi. Partendo dall’ esperienza della Fondazione, quale osservatore diretto del fenomeno, e
realizzando una lettura integrata degli studi e approfondimenti realizzati sul tema dell’usura, si
proverà nelle pagine seguenti ad analizzare il fenomeno evidenziandone le principali caratteristiche,
il profilo quantitativo, gli attori e le dinamiche economiche e sociali che ad esso conducono,
concentrando l’attenzione sulle imprese. Si esamineranno, infine, le possibili strategie di contrasto.
Si intende, inoltre, offrire una visione che, a partire dai tanti casi incontrati, accolti ed ascoltati,
fornisca un campione d’analisi del fenomeno, come utile spunto di riflessione.
Parlare d'usura oggi è tanto importante quanto complicato poiché il fenomeno, per quanto
noto da sempre, resta nascosto e proprio per questo di particolare interesse per chi la pratica. La
criminalità opera su un terreno sicuro, quello del bisogno, alle volte talmente disperato da
intravedere nell'usura una concreta risoluzione ai problemi finanziari. Mentre si cerca di sanare
debiti, di evitare protesti, di mantenere la proprietà della casa o dell'impresa e scongiurare aste o
fallimenti, l'incontro con l'usuraio, magari suggerito da un amico, da un collega, da un altro
imprenditore, diventa un’ ancora di salvezza.
Laddove ogni porta d'accesso al credito è stata chiusa, l'unica pronta a spalancarsi è quella
dell'usura. La criminalità, specie quella mafiosa, intercetta i bisogni, ha occhi e orecchie protese sul
rumore della sofferenza. E interviene, rapida, concreta, pronta a sborsare ingenti quantità di denaro.
Il fenomeno tende ad acuirsi anche e soprattutto in periodi di crisi economica come quello che il
Paese sta attraversando. L'accesso facile e immediato ad un credito parallelo e illegale, com’ è facile
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intuire, ha conseguenze terribili per le vittime in termini di perdite economiche fino alla spoliazione
di interi patrimoni e attività, ma anche per il sistema economico nel suo complesso.
FISIONOMIA DI UN FENOMENO COMPLESSO
Un fenomeno in evoluzione
Fenomeno antico e diffuso in maniera trasversale, indipendentemente dalle culture e dalle
condizioni sociali, sempre più l'usura oggi si manifesta come una necessità stringente di denaro, da
un lato, e un’offerta che può apparire come una facile e rapida soluzione per chi è in difficoltà,
dall'altro. Per le varietà delle cause da cui scaturisce e per il modo in cui si propone è un fenomeno
tanto vasto quanto sconosciuto. Considerata in passato come una pratica immorale legata alla
marginalità sociale, e utilizzata per sostenere redditi da sussistenza, negli ultimi decenni, e in modo
particolare a partire dai primi anni '90, la si è andata percependo sempre più come vero e proprio
reato da perseguire dunque sul piano penale, ma anche da affrontare con una specifica legislazione
come dimostra l'emanazione della L.108 del 1996. Ma al di là dell'attuale momento di crisi che la
sta ponendo costantemente sotto i riflettori questo è e resta un fenomeno che si diffonde in silenzio,
per parlarne solo dinanzi ad un fatto di cronaca, al suicidio di una vittima o a un'inchiesta
giornalistica.
Proprio la crisi attuale, dunque, con la conseguente perdita di redditività delle piccole e
medie imprese, con la diminuzione del potere di acquisto di salari e stipendi, ma anche con
l'esplodere di modelli culturali e stili di vita sempre più consumistici, ha fatto sì che l’usura si
insinuasse tra tutti gli strati sociali della popolazione rendendo particolarmente rischiosa l’attività
della piccola impresa, del commercio al dettaglio, dell’artigianato di vicinato, dei ceti più poveri,
ma anche di quei soggetti sociali una volta ritenuti immuni da questa piaga17. Con il crescere
dell’indebitamento e del numero di persone coinvolte, cresce anche la possibilità di divenire vittime
d’usura.
17 CNEL, Usura: Diffusione territoriale, evoluzione e qualità criminale del fenomeno, 2008.
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Inoltre, in periodi di deficit economico, con un mercato del credito legale che chiede
garanzie sempre più rigide, la domanda e l’offerta di denaro possono incontrarsi su un mercato
alternativo, sommerso e illegale che cresce in maniera esponenziale e seguendo regole proprie.
È ormai sempre più chiaro - e non sono pochi gli studi in materia - che “il solo tasso d'interesse
sarebbe insufficiente a discriminare tra contratto usuraio e legale. La banca, prestatore di credito
legale, in caso di una bassa probabilità di realizzazione di reddito nel breve periodo, fornisce
minori garanzie di rinegoziazione del debito nel caso di illiquidità. L'usuraio, invece, riesce a
recuperare la garanzia con maggiore facilità"18.
L’obiettivo dell'usuraio, dunque, è diverso da quello del creditore legale. All'usuraio non
interessa tanto la restituzione della somma pattuita, quanto determinare situazioni non desiderabili
sul piano economico e sociale, e così all'interno di questo rapporto il livello dei tassi di interesse
diviene uno solo dei possibili strumenti, se si considera che la garanzia è spesso l'effettivo oggetto
di interesse del creditore. L'usuraio cerca così di minimizzare le probabilità di restituzione del
prestito; si capisce bene, dunque, che laddove cresce il valore della garanzia cresce l’interesse, il
potere d’azione e la fisionomia stessa di chi pratica usura. Non solo cambiali, assegni post-datati e
oggetti d’oro, dunque, ma a molte volte la garanzia è data anche da aziende e attività commerciali.
Ecco perché da un bel po’ di tempo l'usura è diventata anche affare della criminalità e business di
mafia; se storicamente le mafie hanno cercato sempre di evitarla, negli ultimi decenni hanno invece
capito che le imprese e le attività commerciali possono essere garanzia di efficace controllo del
territorio, uno strumento per riciclare denaro, imporre forniture e appalti, entrare silenziosamente,
ma con prepotenza, nel mercato legale.
Un fenomeno silenzioso e radicato
Qui l'usura non esiste, verrebbe da dire spesso in considerazione delle notizie provenienti da
Questure e Tribunali di alcune aree del Paese. Ad un’analisi superficiale, con i soli dati delle
denunce alla mano, sembrerebbe così. Ma così non è. L'usura esiste ovunque, coinvolge l'intera
Penisola in maniera trasversale, anche i territori meno noti alla cronaca giudiziaria. Le stesse
cronache giudiziarie offrono un quadro che conferma il carattere occulto del fenomeno. A fronte del
numero esiguo di denunce, le storie degli indagati per usura parlano di giri d’affari talmente ingenti
18 D. Masciandaro, I mercati dell'usura: una nota, Università Bocconi, Milano.
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da rendere impossibile imputare tali crediti illegali alle sole poche vittime, parti lese in
procedimenti penali. È evidente che la rete dei creditori, così come delle vittime che non
denunciano, è nettamente più ampia e nascosta. Nel silenzio, che le garantisce un sicuro riparo dai
riflettori e ne amplia il potere d’azione, l’usura coinvolge tanti piccoli imprenditori, commercianti e
famiglie che la crisi economica ha contribuito a rendere più vulnerabili.
Oltre che per motivi di carattere sociale, culturale e morale (la vergogna o la perdita di una
propria immagine pubblica), le vittime - specialmente quando c'è di mezzo la criminalità – non
parlano per paura di possibili ritorsioni nei loro confronti o in ragione di minacce concretamente
subite o anche di violenze verbali, aggressioni fisiche o danneggiamenti ai propri beni.
Questo silenzio ha anche un ulteriore terribile risvolto: la perdita definitiva di ogni speranza.
Sono quasi all'ordine del giorno, purtroppo, le cronache che ci raccontano di vittime di usura, specie
imprenditori e commercianti, che in ragione dell’isolamento al quale sono costretti e soffocati dalla
morsa dei debiti, hanno scelto la strada del suicidio.
È dunque un fenomeno radicato, più di quel che ci si aspetti. Diffusa sull’intero territorio
nazionale e stratificata in differenti tessuti sociali, l’usura permea i territori principalmente perché
va incontro ad un bisogno presente ovunque, ma sicuramente incrementato da congiunture
economiche e sociali legate ai periodi storici. Oggi, poi, in presenza di politiche di accesso al
credito legale eccessivamente restrittive, rappresenta un'alternativa per piccoli imprenditori,
commercianti e privati cittadini in stato di sofferenza economica. Ed è proprio l'agire nell'ombra, da
un lato, e il silenzio dall'altro, che permettono al fenomeno usura di tessere una rete, e di garantirsi
una presenza stabile sul territorio. E radicata davvero in modo capillare.
Dagli strozzini ai colletti bianchi e alle mafie
L'usura è un fenomeno in continua evoluzione ed è eterogeneo al punto tale che sarebbe più
corretto parlare di usure, e cioè di una sua multiforme rappresentazione. Sta divenendo sempre più
complesso ed articolato e, per tale motivo, più pericoloso. Accanto alla figura dell’usuraio classico,
lo strozzino, stanno fiorendo nuove forme, spesso molto ben occultate, di crimini illegali. Si assiste
così ad una crescita strutturata del fenomeno, al proliferare di gruppi organizzati, spesso
professionisti, fino a giungere all'usura praticata dalle mafie, in costante espansione.
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Lo strozzino di quartiere trova spazio nelle micro aree urbane, nel vicinato, come
riferimento soprattutto per famiglie e piccoli commercianti e artigiani in forte sofferenza economica
e ormai privati dell'accesso al credito legale, persone non gradite alle banche. Figli della
disoccupazione, delle dipendenze, del gioco d'azzardo molto spesso, figli di una crisi che miete
sempre più vittime dietro l'angolo, ogni giorno senza che ci sia tempo per fermarsi, riflettere e
trovare una soluzione alternativa al ricorso all’usuraio. La figura classica di usuraio, seppure ancora
persistente, di fronte all’esigenza di quantità ingenti di denaro si trova impreparato. Lo strozzino
non dispone di liquidità necessaria a soddisfare le esigenze di un mercato in crisi. E se vuole
continuare a stare sul mercato, è costretto a rivolgersi egli stesso ad altri e il più delle volte clan
mafiosi. Disponendo di ingenti quantitativi di denaro, sono loro che finanziano gli strozzini con la
conseguenza che a pagarne le conseguenze sono una volta di più le vittime, costrette a pagare
interessi che comprendono anche quelli che i piccoli usurai devono pagare ai clan finanziatori19.
Anche il mercato economico illegale si evolve; alla domanda deve necessariamente adattarsi
l’offerta e per fare ciò si rende necessaria una maggiore strutturazione. Al singolo strozzino si
sostituiscono sempre più reti organizzate, gruppi di soggetti interessati e coinvolti a vario titolo in 19 Libera. Associazioni Nomi e Numeri contro le Mafie, Usura, il BOT delle mafie - fotografia di un paese strozzato, Roma 2012.
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traffici usurari. Una delle modalità attraverso cui oggi prende forma tale strutturazione è quella che
ha come attori professionisti o finanziarie: un'usura meglio conosciuta come dei colletti bianchi o
dalla faccia pulita. Sempre più spesso fatti di cronaca ci raccontano di associazioni che talvolta si
servono di professionisti o, più in generale, cercano collegamenti con persone operanti nel settore
del credito legale. Si tratta di insospettabili, rispettati nell’ambiente sociale in cui agiscono. Sono
imprenditori, commercialisti, avvocati, notai, bancari, finanche funzionari ministeriali e statali.
Conoscono molto bene i meccanismi del mercato del credito legale, e, spesso, anche le condizioni
economiche delle proprie vittime in quanto propri clienti. “L'usura della faccia pulita può assumere
diverse aspetti. Un primo gruppo è costituito da pseudo- società di intermediazione o di servizi
finanziari. Un fenomeno in espansione che gioca sulla fiducia nutrita da una persona bisognosa nei
confronti di una struttura apparentemente legale e impersonale. I prestiti di queste finanziarie non
sono mai di grossa entità e i tassi di interesse iniziali abbastanza tollerabili, il meccanismo di usura
o truffa scatta sul tasso di interesse che non è mai scalare, ma fisso o sull'obbligo di acquisto di
altri servizi tanto inutili, quanto onerosi. Un secondo gruppo è costituito da una ristrettissima
minoranza di professionisti insospettabili. Sono strutture costituite da investitori professionisti, che
operano di sponda con alcuni bancari infedeli, dai quali ricevono una clientela selezionata, e
intervengono per operazioni superiori a 20 mila euro. Un terzo gruppo è costituito più direttamente
da pochi infedeli bancari. Sono loro stessi che, conoscendo le difficoltà economiche del
malcapitato, si propongono per un prestito personale. Tutti e tre i gruppi hanno una finalità
comune: agiscono, non solo per lucrare sugli interessi, con la modalità del rinnovo degli assegni,
ma puntano ad una azione espropriativa. L'obiettivo è svuotare il malcapitato di ogni suo bene e
attività economica” 20.
L’evoluzione del fenomeno, però, vede oggi più che mai la crescita esponenziale dell’usura
di mafia. Un affare, come già detto, da sempre inviso alle mafie, di scarso interesse e giudicato
negativamente, ma che ultimamente è stato visto sempre più come un servizio funzionale, volto ad
accrescere il consenso sociale, ad entrare nell'economia pulita ma anche in territori vergini dal
punto di vista dell’aggressione mafiosa. L’interesse delle mafie riguarda esclusivamente le imprese
poiché va oltre l’interesse del debito e punta alla garanzia, all’accesso a compagini societarie di
imprese sane e insospettabili.
Anche in questo caso determinante è stata la crisi economica. Gli usurai di mafia
intervengono a “sostegno” di imprenditori o commercianti che necessitano di ingenti somme di
20 Sos Impresa/ Confesercenti, Insieme per rompere la solitudine, Relazione – No Usura Day 2012.
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denaro per continuare a mantenere in piedi l’azienda o per evitare di perdere delle commesse, per
pagare fornitori ecc. E tutto queste grazie soprattutto al fatto che oggi i mafiosi sono gli unici a
disporre di liquidità immediata.
Sono almeno 60 i clan censiti negli ultimi due anni dalle inchieste giudiziarie di diverse
procure antimafia del Paese che riguardano i reati associativi con metodo mafioso finalizzati
all’usura. Il giro d’affari che i clan riescono a generare è davvero difficile da calcolare con una
quantità di denaro enorme se si considerano i tassi d’interesse annui applicati. Questi variano da
regione a regione, passando dal 120% della provincia di Modena a circa il 1500% di Roma21. Il
flusso di denaro che ne deriva è, pero, la punta dell’iceberg dato che è possibile effettuare calcoli
solo in base alle denunce e alle successive inchieste giudiziarie che purtroppo danno del fenomeno
un quadro parziale. L’interesse che le mafie hanno per l’usura non si ferma però all’accrescimento
dei patrimoni attraverso la riscossione degli ingenti interessi, ma va oltre: controllo delle attività
economiche pulite mediante l’acquisizione di quote aziendali, aziende e attività commerciali in
difficoltà usate come "lavanderie", luoghi cioè nei quali riciclare tutto il proprio denaro sporco. Le
tre macro categorie evidenziate certamente non hanno la pretesa di esaurire le peculiarità del
fenomeno che, infatti, risulta particolarmente eterogeneo e complesso. E trova forme di attuazione
sempre più moderne e pericolose. Si adatta alle richieste del mercato e ai tessuti sociali in cui opera.
A tal proposito vale la pena citare il fenomeno dell'usura di giornata. Recente e negativo
segnale d'allarme di quotidiana sofferenza economica che coinvolge un numero sempre crescente di
piccole e medie imprese, piccoli commercianti e artigiani. L'usura di giornata consiste nel fenomeno
per cui, nell’arco di sole ventiquattro ore, vengono richiesti ed ottenuti prestiti la mattina,
mediamente una cifra che si aggira sui 1.000 euro, e vengono poi restituiti la sera stessa con una
maggiorazione di circa il 10%22 . Tale fenomeno, sempre più in espansione, riguarda piccoli
commercianti, ma anche titolari di attività di media dimensione, che, per resistere alle perdite, per
pagare i fornitori, per mantenere aperto l'esercizio, si rivolgono agli usurai.
Vittime e carnefici
Il rapporto che si instaura tra usuraio e usurato è estremamente condizionato dalle diverse
caratteristiche del fenomeno e al tempo stesso ne è caratteristica preminente esso stesso. Molto
21 Libera Associazioni Nomi e Numeri contro le Mafie, Usura, il BOT delle mafie – fotografia di un paese strozzato, Roma 2012. 22 Sos-Impresa, XIII Rapporto Le mani della criminalità sulle imprese, 2012.
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spesso gli usurati non si percepiscono come vittime. In tanti continuano a considerare l'usuraio un
amico, una sorta di benefattore anche quando la disperazione dovuta all’impossibilità di estinguere i
debiti contratti, si fa sempre più forte. A volte, anche nei casi in cui ci si rivolge ai centri
specializzati per chiedere aiuto, le vittime tendono a dare dell'usuraio un giudizio giustificatore. Ciò
avviene anche al termine di un percorso nel quale si è cercato in tutti i modi, ma invano, di far
fronte ai debiti, di gestire la situazione, temporeggiando, firmando altre cambiali o assegni post
datati, anche quando sopravviene la disperazione. La denuncia non è un approdo facile.
"È un amico, mi ha dato i soldi che mi servivano quando per la banca ero solo un cliente
indesiderato". Anche se poi i tassi d'interesse raggiungono percentuali tali da costituire altro debito
ingente con relative difficoltà di estinzione. "Grazie a quel prestito ho potuto tenere aperta
l'azienda", ma a quale reale prezzo? Dipendendo costantemente dall'usuraio, che gradualmente
opera per privare l’imprenditore del suo patrimonio.
Il ruolo delle Fondazioni e delle Associazioni antiusura, si rivela fondamentale in casi simili perché
le vittime necessitano di accompagnamento dal momento in cui si presentano per la prima richiesta
d'aiuto in poi, accompagnamento anche alla percezione del rapporto deviante e illegale che si è
instaurato tra loro e gli usurai.
Il rapporto impari tra usurai e usurati ha alla base diverse ragioni.
Una è sicuramente dettata dallo stato di bisogno, dall’urgenza di liquidità. La necessaria
dipendenza da un altro soggetto che possa placare la sofferenza finanziaria, pone la vittima in uno
stato di inferiorità rispetto all’usuraio.
A ciò si aggiunge, in taluni casi, la paura di ritorsioni. Spesso le vittime subiscono continue
e ripetute minacce, dalle intimidazioni verbali alle aggressioni fisiche. In simili casi, può capitare
che le vittime chiedano aiuto per avere accesso a fondi che li facilitino a rientrare nel debito. A
volte tendono a non parlare affatto di usura. Nell'esporre la propria vicenda e le proprie esigenze
fanno cenno a prestiti con privati, ma non usano il termine usura.
Altra ragione, però, è da ricercare nella dinamica del fenomeno che induce le vittime
all'isolamento. Una famiglia o ancor più un impresa che sia ricorsa a prestiti a nero, tende
nonostante tutto a continuare a pensare all’usuraio come unica, possibile via d'uscita. Tra il silenzio
proprio delle dinamiche d'usura e l'accesso al credito legale negato, non sembra ci sia spazio per
alternative. Nonostante gli tolga il patrimonio, gli imponga obblighi e limiti alla sua stessa attività
per potervi inserire i propri interessi, l’usuraio è ancora potenzialmente in grado di dare qualcosa
55
alla vittima: altra liquidità, per pagare i fornitori e andare avanti nella quotidiana gestione
dell'azienda, in cambio dell'ennesimo assegno che nessun creditore accetterebbe. Com'è facile
intuire, tali circostanze innescano o hanno la potenzialità concreta di innescare una morsa entro la
quale la vittima viene stretta e soffocata. Ad una situazione simile e ancor prima che questa si
verifichi e si manifesti in tutta la sua potenziale pericolosità, c'è un'unica soluzione: la denuncia.
LE VARIABILI DELL’USURA: SOCIETÀ, ECONOMIA, TERRITO RIO
Il contesto sociale ed economico
Come già specificato nelle pagine precedenti, l’analisi del fenomeno dell’usura non può
prescindere dall’individuazione delle cause sociali che ad esso conducono. Le variabili socio
economiche di un territorio alimentano l’incidenza del fenomeno che cresce e si evolve a seconda
delle richieste del mercato. Un mercato su cui pesa il macigno della crisi economica che almeno dal
2008 sta condizionando l’intera economia mondiale, con pesanti ripercussioni nei diversi paesi.
L’Italia paga un prezzo alto. Lo pagano le famiglie e le imprese prima di tutto.
L’Istat, nel riferire la condizione dell’anno 2013, descrive un Paese in cui quattro cittadini su
dieci non sarebbero in grado di affrontare spese impreviste dell'ordine di 800 euro senza fare ricorso
al sostegno altrui. Il dato più allarmante si riferisce alla "condizione di grave deprivazione" in cui
sussistono almeno quattro delle nove condizioni di disagio stabilite dall'istituto nazionale di
statistica, e che, sempre secondo l'Istat, riguarda più di 8 milioni di persone. Un numero che mostra
tutta la sua rilevanza se confrontato con i 4 milioni registrati soltanto due anni fa.
Il numero di italiani in grave difficoltà è, quindi, più che raddoppiato, con incrementi
preoccupanti se si osservano le statistiche relative al Mezzogiorno, dove un italiano su quattro
(25,1%) è stremato dalla crisi.
56
Le cifre riportate riflettono non solo l'ulteriore peggioramento delle condizioni di vita dei
redditi più bassi, ma un pericoloso cedimento nella stabilità finanziaria anche dei ceti medi e
persino medio alti. "Nel 2012 circa il 48 per cento degli individui che cade in condizione di severa
deprivazione materiale proviene dal primo quinto di reddito equivalente, ma più di un quarto di
essi nell’anno precedente si collocava nei quinti di reddito più elevati (dal terzo in poi)"23.
23 7 Istat, Annuario Statistico 2013.
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Ci troviamo, quindi, di fronte ad una progressiva diminuzione dei redditi al consumo,
complice anche il dilagare dell’incertezza nel mercato del lavoro e i tassi di disoccupazione in
continua ascesa. La stessa situazione è fotografata anche dal "47° Rapporto" del Censis. Lo studio
riporta un ulteriore dato: sono quasi 8 milioni le famiglie che hanno ricevuto dalle rispettive reti
familiari una forma di aiuto nell'ultimo anno, e 1,2 milioni le famiglie che non essendo riuscite a
coprire le spese con il proprio reddito hanno fatto ricorso a prestiti di amici. Per il 72,8% delle
famiglie un'improvvisa malattia grave o la necessità di significative riparazioni per la casa o per
l'auto rappresentano un serio problema. Il pagamento di tasse e tributi (24,3%), bollette (22,6%),
rate del mutuo (6,8%) mette in difficoltà una quota significativa di italiani24.
La situazione si presenta ancora più allarmante nel sud del Paese. L'Italia, infatti, appare tra i
sistemi dell'Eurozona quello in cui più rilevanti sono le disuguaglianze territoriali. In termini di Pil
pro-capite il Centro-Nord, con 31.124 euro per abitante, è vicino ai valori dei Paesi più ricchi come
la Germania dove il Pil pro-capite è di 31.703 euro. Viceversa, i livelli del Mezzogiorno sono più
vicini o inferiori a quelli della Grecia (il Sud ha meno di 18.000 euro per abitanti e la Grecia registra
18.500 euro di Pil pro-capite)25.
La crisi non ha risparmiato, inoltre, i distretti industriali: tra il 2009 e il 2012, in un
campione di 56 distretti, il Censis ha stimato una flessione del numero di imprese pari al 3,8%: circa
2.000 unità produttive uscite dal mercato nell’arco temporale indicato.
La crisi colpisce soprattutto commercio e turismo. Solo nei primi otto mesi del 2013 hanno
chiuso 50mila imprese, con un saldo negativo di 20mila esercizi, al netto delle nuove attività
avviate. È il dato allarmante fornito dall’osservatorio di Confesercenti che segnala 32mila chiusure
nel commercio e 18mila nel turismo. Il fenomeno è diffuso in tutte le città italiane con una
particolare incidenza a Roma, dove si arriva quasi al ritmo di due chiusure di ristoranti al giorno.
I dati appena riportati costituiscono le variabili dell’usura. In questo scenario già precario
opera il fenomeno e proprio dalle difficoltà economiche di singoli e operatori economici trae
vantaggio. La criminalità tende a proliferare e l’usura come sua espressione sempre più redditizia.
Le sofferenze finanziarie in tempi di crisi e in termini di ritardi nei pagamenti, protesti, fallimenti
sono segnali d’allarme. La recessione e l'incremento della criminalità appaiono, dunque, in stretta
connessione. È quanto emerge da una recente indagine condotta da Censis e Confcommercio su un
campione di 400 imprese individuate per macro-area geografica, per classe dimensionale e per
24 Censis, Rapporto Annuale 2013 - 47° edizione. 25 Censis, La crisi sociale del Mezzogiorno, Ricerca 2013.
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settore produttivo. Il 75% del campione è costituito da imprese del commercio, il restante 25%
proviene da altri settori extra-agricoli26 . È stata così raccolta la percezione degli stessi operatori
economici sul dilagare della criminalità in ambiti imprenditoriali.
I risultati dell’indagine dimostrano che tra gli imprenditori è molto diffusa la sensazione che
la criminalità venga fortemente alimenta dal persistente ciclo economico negativo. Molto alto
appare il numero di imprenditori che considerano ormai radicate piccole o grandi forme di
criminalità, così come di quanti considerano i fenomeni criminali in aumento.
Alle numerose difficoltà di fare impresa in tempi di crisi sembra aggiungersi un’ulteriore
limite dato dalla crescita della criminalità nelle sue diverse manifestazioni. Rilevante appare il dato
relativo all’aumento dei fenomeni di usura ed estorsione, confermati da 25 imprenditori su 100 nel
primo caso e da 20 su 100 nel secondo. Circa la metà delle imprese coinvolte ha dichiarato di essere
a conoscenza di casi di usura ed estorsione in cui sono coinvolti imprenditori del proprio territorio.
Ben 72 imprenditori su 100, hanno sottolineato che uno dei problemi più difficili da
affrontare è dato dagli ostacoli che incontrano nel recuperare, per vie legali, crediti in sospeso. Ciò
risulta imputabile anche ai tempi troppo lunghi della giustizia ordinaria.
26 10 Indagine Censis - Confcommercio sulla crisi economica e la legalità, Cernobbio 2013.
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Tra quanti hanno preso parte all’indagine è diffusa, inoltre, la convinzione che molti
imprenditori facciano ricorso a canali di credito non ufficiali, molto vicini all’usura (37 imprenditori
su 100), e che nel circuito imprenditoriale operi sempre più la criminalità organizzata (36
imprenditori su 100). Rilevante appare anche il dato relativo ai frequenti cambi di titolarità di
attività commerciali. Per 52 imprenditori su 100 tali fenomeni potrebbero nascondere attività di
riciclaggio, a conferma della percezione diffusa di infiltrazioni della criminalità organizzata
nell’economia legale.
Indebitamento di famiglie e imprese
La principale conseguenza della crisi economica è quindi il progressivo impoverimento che
conduce alla necessità di accesso al credito. Questo fenomeno coinvolge tanto le famiglie quanto le
imprese che sempre più spesso in situazioni dettate dalla necessità di far fronte alle spese ordinarie
si vedono costrette a fare ricorso a crediti.
La Banca d’Italia conferma che oscilla intorno ai 22.000,00 euro l’indebitamento medio di
ciascuna famiglia italiana, e il dato, purtroppo, è in continua ascesa.
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Si tratta di debiti generati per lo più dall’accensione di mutui per l’acquisto della casa, dai
prestiti per l’acquisto di beni mobili, dai finanziamenti per la ristrutturazione di beni immobili e dal
credito al consumo, che rimane la voce più preoccupante perché segno tangibile della profonda
instabilità economica.
Più preoccupante appare il dato relativo all’indebitamento medio delle imprese che si
avvicina ai 180.000 euro; quasi il doppio dell’ultimo decennio.
L’ultimo studio promosso dall’Eurispes, fornendo i dati del ricorso al credito degli italiani,
ha rilevato che il 35,7% ha chiesto un prestito bancario negli ultimi tre anni (dato in aumento di 9,5
punti rispetto alla rilevazione 2012). Le categorie più bisognose di aiuti finanziari sono quelle con
contratti a tempo determinato (atipico o subordinato) e le partita Iva (44,2%), contro il 35,2% dei
lavoratori subordinati a tempo indeterminato. Il 47,8% dei prestiti riguarda cifre tutto sommato
ridotte, e cioè fra mille e 10mila euro, il 26,9% fra i 10mila e i 30mila euro, il 10,3% arriva a 50mila
euro, e il 15,1% fino a 100mila euro e oltre. Il 62,3% dei prestiti, inoltre, è stato chiesto per pagare
debiti accumulati e il 44,4% per saldare prestiti precedentemente contratti. La fascia d’età con
maggiori difficoltà risulta essere quella compresa fra i 45 e i 64 anni, a seguire ci sono quelli fra i
35 e i 44 anni. E' evidente, dunque, che una percentuale elevatissima di italiani vivendo in
condizione di disagio, non veda altre soluzioni se non quella di alimentare l’indebitamento.
Al tempo stesso, però, si assiste ad un progressivo ridursi dell’accesso effettivo al credito.
Le banche, infatti, in conseguenza di congiunture economiche come quelle appena esposte tendono
a inasprire le richieste di garanzia a copertura dei debiti, negando di fatto l’accesso ad una fetta
sempre più consistente di singoli ed operatori economici che la crisi ha declassato ormai a nuovi
poveri.
Studi condotti dalla Banca d’Italia affermano che le condizioni finanziarie delle imprese
hanno subito un peggioramento a causa del calo delle vendite e dell’aumento del costo del denaro. I
bilanci aziendali, resi fragili dal prolungato periodo di debolezza economica, sono appesantiti da un
debito elevato. La crisi del debito si è trasmessa alle imprese principalmente attraverso il
peggioramento delle condizioni di offerta praticate dalle banche, con più elevati tassi di interesse e
una più severa selezione della clientela: l’incidenza di imprese che sostengono di non avere ottenuto
l’intero ammontare del credito richiesto ha raggiunto il livello più elevato dall’inizio della crisi. Le
difficoltà finanziarie delle imprese si sono riflesse nell’aumento delle inadempienze nel rimborso
dei debiti e nella crescita sostenuta del numero dei fallimenti. Ciò riguarda soprattutto le piccole e
medie imprese, la quasi totalità delle imprese attive in Italia. Oltre alle difficoltà congiunturali esse
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si trovano a dover affrontare le limitazioni di accesso al credito dovute anche all’entrata in vigore
dell’accordo di Basilea2 che ha imposto regole molto rigide per l’erogazione di crediti da parte
degli intermediari finanziari. Le piccole e medie imprese sono ritenute più vulnerabili, motivo per
cui viene loro attribuito un rating molto basso. La conseguenza è che il più delle volte, non
fornendo garanzie ritenute sufficienti, si vedono negare ogni richiesta. Ma anche qualora riescano
ad ottenere l’accesso al credito, questo risulta appesantito da condizioni contrattuali particolarmente
gravose.
Le rigide condizioni del credito hanno danneggiato pesantemente le imprese, tanto che oltre
un terzo di quelle che hanno chiesto nuovi finanziamenti (il 12%) se li sono visti negare. A questo
peggioramento delle condizioni del credito, che risultano essere generalizzate per settori di attività
ed aree geografiche, le grandi imprese con acceso diretto ai mercati hanno reagito ricorrendo alle
emissioni obbligazionarie. Per le altre imprese invece, dipendenti dal canale del credito bancario, il
peggioramento delle condizioni del credito ha determinato seri danni, tanto che si registra un
aumento, al 19,2% sul totale, dei prestiti bancari che presentano anomalie nei rimborsi27.
Dalle statistiche ufficiali emerge che la contrazione dei finanziamenti bancari alle imprese si
è intensificata ed ha interessato tutte le classi dimensionali e le principali aree geografiche.
27 Banca d’Italia, La condizione finanziaria delle famiglie e delle imprese, Relazione 2013.
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Secondo rilevamenti dell’Istat vi è un diffuso peggioramento delle condizioni di accesso al
credito per le imprese, che riguarda sia il settore manifatturiero che quello dei servizi, confermando
che sono le piccole e medie imprese a vivere la sofferenza maggiore. Anche se la contrazione del
credito, rilevata fino a parte del 2013 ha riguardato tanto le aziende medio-grandi che quelle di
piccole dimensioni. Il livello del debito complessivo delle imprese è rimasto poco sotto l’80% del
PIL.
Sos Impresa denuncia che risultano più penalizzate le imprese con meno di venti addetti,
destinatarie del 19% dei finanziamenti al settore produttivo. Il record negativo spetta alle imprese
con un numero di addetti compreso tra le sei e le diciannove unità; contrariamente alle aspettative,
invece, il maggior contributo alla crescita delle sofferenze riguarda soprattutto le imprese con oltre
cinque addetti (+17,7% su base annua); per le imprese con meno di cinque addetti si registra un
aumento più contenuto (9,6%), raggiungendo la quota dell’11% dei prestiti totali; e dunque più
elevata di due punti percentuali rispetto alle imprese maggiori. Il complesso dei crediti deteriorati
(incagli, esposizioni ristrutturate, esposizioni scadute e/o sconfinate) sono aumentati in tutti settori
economici e, in maniera più significativa, nel comparto edilizio, raggiungendo il 18% dei prestiti
totali28.
28 Sos Impresa, Relazione No Usura Day 2012.
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Crescono anche i protesti e le cambiali non pagate. Gli ultimi dati forniti dal Cerved Group29
rilevano, infatti, tempi che si dilatano, le imprese ritardatarie diventano sempre più numerose, e così
pure le aziende protestate. La carenza di liquidità è anzitutto visibile nel monitoraggio effettuato
dallo stesso operatore sui tempi di pagamento delle imprese, con la quota di "ritardatarie" salita al
7,1%, quasi in linea con i picchi raggiunti nel 2009. Nei pagamenti è visibile una netta
differenziazione dei comportamenti, con una crescita significativa delle imprese che
saldano con ritardi superiori ai due mesi, ma anche di quelle che onorano le fatture entro i termini
concordati. Il risultato netto resta tuttavia negativo. Anche se va specificato che l'industria è
mediamente più virtuosa, con una quota di ritardatari che si riduce al 5,8%, ma all'interno di questo
ambito vi sono settori come largo consumo, mezzi di trasporto e sistema moda che sfiorano il 7%.
29 Cerved Group, Osservatorio sui protesti e i pagamenti delle imprese, n.11 giugno 2013.
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Nella relazione del Cerved Group si legge che nel primo trimestre del 2013 sono aumentati i
tempi medi di pagamento rispetto all’anno precedente (81,2 giorni rispetto ai 79,8 del 2012) e i
ritardi nella liquidazione delle fatture (21,1 giorni a fronte dei 19,1 del 2012).
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Nella relazione del Cerved Group si legge che nel primo trimestre del 2013 sono aumentati i
tempi medi di pagamento rispetto all’anno precedente (81,2 giorni rispetto ai 79,8 del 2012) e i
ritardi nella liquidazione delle fatture (21,1 giorni a fronte dei 19,1 del 2012).
Ancora più ampia è però la differenziazione su base geografica, dove Nord-Est e Nord-
Ovest contengono la quota dei gravi ritardi al di sotto del 6%, mentre nel Sud si registrano le
situazioni più critiche: in Calabria i pagamenti sono effettuati anche 44 giorni dopo le scadenze
concordate, in Sicilia i ritardi si attestano a 36 giorni, nel Lazio a 33 e in Campania e Sardegna a 31.
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Analoga situazione si verifica per i protesti, dove le differenze geografiche, già ampie,
tendono ad allargarsi. Tra gennaio e marzo del 2013 sono state oltre ventitremila le imprese non
individuali con almeno un protesto. L’aumento riguarda tutti i settori economici, ma è nell’edilizia
che si riscontra la maggiore diffusione del fenomeno.
Nei numeri assoluti, aggiungendo al calcolo le ditte individuali, la situazione è ancora
peggiore; ma il dato preoccupante è proprio quello legato alle realtà più strutturate, dove il livello di
protesti è superiore del 47% rispetto al periodo precedente alla crisi. Su base geografica, come
detto, le situazioni sono molto diverse, con Nord-Est e Nord -Ovest rispettivamente all'1,1% e
all'1,5% del totale, mentre per Sud e Isole l'incidenza delle aziende protestate sale al 2,9%, e cioè il
50% in più rispetto alla media nazionale30.
La conseguenza più ovvia è che per evitare protesti e fallimenti le piccole e medie imprese
siano costrette a rivolgersi ad intermediari finanziari, che però, dinanzi al rifiuto di una banca
vengono ricercati altrove. Un dato che non viene rilevato con facilità. Dall’indagine promossa
dall’Eurispes nel Rapporto Italia 2013, emerge che rispetto all’intera platea di richiedenti credito,
sono meno numerosi coloro che, non potendo accedere a prestiti bancari, ammettono di aver chiesto
denaro in prestito a privati: il 14,4%, e comunque, sono più che raddoppiati rispetto al 6,3% rilevato 30 Il Sole 24 Ore, Boom di protesti e ritardi, 13 marzo 2013.
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un anno fa. Questa scelta risulta più frequente al Sud: 19,8% contro il 16,2% delle isole e il 12% di
Nord e Centro31.
Si tratta di un evidente segnale di allarme poiché è proprio qui che si annida l'usura.
In uno studio precedente, lo stesso Istituto, aveva riportato un’indagine su un campione di
circa 1.200 persone. Agli intervistati veniva chiesto se fossero o meno a conoscenza di persone che
si rivolgono agli usurai per ottenere prestiti. Nel 25,2% la risposta era stata positiva. Più elevata è
stata la percentuale nelle aree meridionali: sopra la media nazionale con una percentuale di risposte
positive del 30,7%, seguite dal 29,1% del Centro Italia. A sud, inoltre, è risultato più alto il numero
delle mancate risposte (6,6%) rispetto alle altre aree nazionali32 Il quadro appena riportato offre
l’immagine di un Paese in forte sofferenza. La situazione peggiora notevolmente quando in capo ad
un unico soggetto, sia esso un nucleo familiare o un operatore economico, coesistono più debiti.
Con i dati appena esposti risulta evidente che si corre il rischio di passare da una situazione di
indebitamento ad una di sovra indebitamento, che il più delle volte si trasforma in una vera e
propria anticamera dell’usura. La spirale dei debiti, infatti, non sempre si ferma all’interno dei
confini dell’economia legale, e venendo meno la stabilità del mercato legale, ogni condizione per
cui si necessiti di credito diventa un’opportunità per il mercato dell’usura di trovare i propri
“clienti”.
L’usura in tempi di crisi
In un quadro di crescente insicurezza, dunque, cresce anche l’usura. Tuttavia, anche se
accomunate dalle condizioni sociali, sono diverse le motivazioni per le quali molti cadono nelle
mani degli strozzini. Se fino a qualche tempo fa le vittime o le potenziali vittime erano
prevalentemente persone non capaci di vivere un rapporto"equilibrato" con il denaro, o incapaci a
gestire in modo equilibrato normali situazioni debitorie, o anche vittime di dipendenze, a partire da
quella del gioco, oggi, invece, si tratta anche, e soprattutto, di famiglie sovra indebitate, che non
riescono più a gestire i debiti, ma anche operai, impiegati, talvolta professionisti, quanti hanno perso
all'improvviso un lavoro e quindi un'entrata economica certa, o anche chi è impossibilitato a coprire
spese mediche, o semplicemente affrontare le spese per un divorzio, ecc. Per le imprese, invece, le
31 Eurispes, Rapporto Italia, 2013. 32 Eurispes, L’usura: quando il credito è nero – L’IRU (Indice di Rischio Usura) traccia una mappa dell’Italia, 2010.
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situazioni si moltiplicano, passando da un investimento sbagliato, all’urgenza di pagare fornitori,
alla difficoltà di onorare le scadenze fiscali, fino a vere e proprie crisi aziendali. In tali situazioni,
l’imprenditore deve decidere se uscire definitivamente dal mercato o tentare nonostante le difficoltà
di restarci, ricorrendo però al parallelo mercato occulto.
Come sottolinea Sos Impresa nel suo "XIII Rapporto", la categoria più colpita dal fenomeno
dell’usura è quella dei piccoli commercianti che operano nella vendita al dettaglio: alimentaristi,
fruttivendoli, gestori di negozi di abbigliamento, fiorai, mobilieri33. Sono loro a pagare il prezzo più
alto. In gran parte si tratta di persone "mature" che hanno difficoltà a trovare una nuova
collocazione sul mercato del lavoro e di conseguenza cercano in ogni modo di evitare protesti o il
fallimento della loro attività, e così quando le porte del credito legale vengono chiuse il ricorso al
prestito a nero risulta l’unica possibile via d’uscita. Ma può anche capitare che ci si rivolga agli
usurai anche per aprire bottega o per avviare un’attività. Può accadere che ci si rivolga prima a
familiari e amici, e questi, nei casi in cui non siano loro stessi autori d'usura, rimandano ad altri
conoscenti inizialmente ben disposti. Si può, inoltre, chiedere consiglio ad un collega, ad un
imprenditore che ha già fatto ricorso all’usura, il quale può indicare un nome o un intermediario a
cui rivolgersi. Il suggerimento di un’apparente soluzione alle proprie difficoltà può far scattare la
convinzione che il ricorso agli usurai sia l’unica strada percorribile per evitare l’accumularsi delle
insolvenze. Spesso ci si indebita con più usurai per importi differenti e può capitare che si arrivi a
chiedere soldi in prestito proprio per cercare di estinguere un debito usuraio pregresso fino a che la
situazione non diventa insostenibile.
La crisi e coloro che la subiscono sono anch’essi variabili del fenomeno. È così che l’usura
di realizza in molteplici forme a seconda del settore d’interesse e delle disponibilità economiche
dello stesso usuraio. Gli usurai, pronti a fornire la cifra richiesta dietro firme di cambiali, assegni
post datati, non danno quasi mai la cifra pattuita e cercano sempre maggiori garanzie. Quando
rendono effettivamente disponibile il denaro richiesto pretendono una percentuale variabile di
interessi da restituire contestualmente alle rate del prestito o come pagamento secondario. Il piccolo
usuraio tende a muoversi nell’ambito del vicinato, tra le famiglie, e andando incontro alle esigenze
di queste ultime. Le reti organizzate e le mafie soprattutto, puntano a soddisfare le proprie mire,
instaurando rapporti con clienti imprenditori e commercianti. A seconda delle usure realizzate,
naturalmente cambiano i tassi d’interesse e le garanzie richieste. Inoltre, la differenza tra usura
classica e strutturata in merito alle dinamiche sociali è sostanziale. Nel caso dell’usura di quartiere
33 Sos Impresa, XIII Rapporto Le mani della criminalità sulle imprese, 2012.
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vittima e carnefice condividono uno stesso ambiente sociale e gli stessi valori, convivono nello
stesso spazio sociale. È praticata da un usuraio parassita il cui unico scopo è quello di lucrare il più
possibile sulle possibilità di liquidità di un singolo, sul rinnovo degli assegni, fingendo di
accontentarsi di un gioiello, un orologio d’oro, per concedere un proroga al pagamento o un
rinnovo.
I capitali d’usura sono generalmente risparmi, liquidità o il ricavato di piccoli reati.
L’usura strutturata, invece, è praticata da organizzazioni criminali o mafiose attraverso
gruppi costituiti da almeno una dozzina di partecipanti con compiti definiti34. Questi chiedono in
garanzia quote di partecipazione delle aziende, procure a vendere, compromessi di acquisto di case
o altri beni, ma anche assunzioni di personale. Fino ad arrivare a casi in cui l’usuraio “espropria”
l'azienda, ne sottrae la proprietà, lasciando l'usurato come dipendente a subire i traffici che da quel
momento in poi i prestatori sono liberi di compiere. Puntano alla spoliazione completa delle vittime
e, in alcuni casi, a coinvolgerli in altre pratiche illegali. Quelle attività commerciali diventano così
ottimi strumenti di riciclaggio per i capitali che provengono da altri reati: gioco d’azzardo,
ricettazione, fino ai proventi del racket e del traffico di droga.
È stato calcolato che in Italia, ogni giorno, l'industria del riciclaggio produce 410 milioni di
euro, 17 milioni all'ora, 285 mila euro al minuto, 4.750 euro al secondo. Bankitalia stima che
rappresenti da solo il 10% del PIL, attestandosi di poco sopra i 1.500 miliardi di euro. Con un
fatturato di 150 miliardi la holding del riciclaggio è la prima azienda del Paese Italia35.
L’indice di rischio usura. Tra calcoli e realtà: i rilevatori sociali
L'usura, si è detto, è un fenomeno tanto diffuso quanto sommerso, tanto che gli esigui dati
delle denunce ne danno un quadro estremamente inferiore alla sua reale portata numerica. Per
questa ragione e cercando di far emergere l’incidenza sociale dell’usura, in più studi è stato
proposto un metodo di calcolo in grado di evidenziare la percentuale di "rischio usura" presente
nelle diverse aree territoriali della Penisola. In questo lavoro abbiamo scelto di porre l’attenzione su
tre studi in particolare, quello proposto da Sos Impresa, quello elaborato dalla Cgia di Mestre e
34 L. Busà, B. La Rocca, L'Italia incravattata. Diffusione territoriale ed evoluzione del fenomeno usuraio, Ed. Altraeconomia 2010. 35 Pietro Grasso e Enrico Bellavia Soldi Sporchi - come le mafie riciclano miliardi e inquinano l'economia mondiale, Dali editore, 2011.
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quello promosso dalla Camera di Commercio di Roma a cura di Maurizio Fiasco. Il primo considera
un arco temporale di riferimento che comprende 10 anni (con ultimi dati disponibili riferiti al 2010).
Il secondo studio ha, invece, cadenza annuale e viene proposto in base alle rilevazioni degli anni di
pubblicazione. L’ultimo concentra l’analisi su dati 2010/2012.
• Sos Impresa: QRU – Quoziente Rischio Usura
Sos Impresa prende in considerazione tre tipologie di indicatori: statistico-penale, economico-
finanziario e criminologico. Il primo indicatore (ISP) fa riferimento alle denunce sulla base dei dati
forniti dall’Istat e dal Ministero dell’Interno. Suddividendo le denunce per Provincia e individuando
un coefficiente numerico si ricava l’indice del rapporto tra persone indagate e coinvolte e
popolazione residente. Il secondo indicatore (IEF) considera l’andamento delle sofferenze bancarie,
dei protesti e dei fallimenti, su dati della Banca d’Italia e Unioncamere, e misura, territorialmente il
numero di soggetti in difficoltà economica e potenzialmente attratti dal credito illegale. Il terzo
indicatore (IPS), infine, analizza la tipologia delle attività usuraie emerse in un dato territorio e ne
definisce la pericolosità sociale ed economica. In primo luogo vengono individuate tipologie
differenti d’usura, a ciascuna viene assegnato un coefficiente numerico che tiene conto del numero
delle persone coinvolte, dei tassi d’interesse praticati, dell’entità dei sequestri patrimoniali, del giro
d’affari stimato. Il coefficiente è stato poi messo in relazione con il numero relativo alla
popolazione residente, per ricavarne il livello di minaccia per i singoli debitori, famiglie e imprese.
Dai dati elaborati combinando i diversi indicatori è emersa una classifica decrescente di rischio
usura, a partire dalle Province nelle quali sono più alte le condizioni di rischio, perché più evidenti
le disfunzioni del sistema e più plausibili le condizioni di incontro della domanda e dell’offerta di
credito illegale.
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Pescara risulta la città italiana a maggiore rischio usura, seguita da due città siciliane,
Messina e Siracusa. Nella classifica delle città a rischio si trovano anche due città calabresi,
Catanzaro e Vibo Valentia. Taranto per la Puglia e Latina e Rieti come città laziali maggiormente
esposte al rischio usura.
• Associazione Artigiani e Piccola Impresa Cgia di Mestre: IRU – Indice Rischio Usura
Una classificazione differente emerge, invece, dallo studio promosso dalla Cgia di Mestre.
L’associazione di piccoli artigiani conduce un’analisi del rischio usura da ormai 15 anni. Il calcolo è
realizzato su base regionale, quantificando l’indice del rischio usura attraverso il confronto tra 8
indicatori regionalizzati:
1. il tasso di disoccupazione
2. i fallimenti
3. i protesti
4. i tassi di interesse applicati
5. le denunce di estorsione
6. le denunce di usura
7. il numero di sportelli bancari
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8. il rapporto tra sofferenze ed impieghi registrati negli istituti di credito.
In pratica è stato individuato l’indice del rischio usura attraverso la combinazione statistica
di tutte quelle situazioni potenzialmente favorevoli alla diffusione dello strozzinaggio. Attraverso
l’analisi combinata degli indicatori si è cercato di dimensionare l’emergenza usura e la sua
incidenza nelle aree più deboli del Paese. Nel quadro emerso per il 2012, la Campania, la Basilicata,
il Molise, la Calabria, la Puglia e la Sicilia sono le Regioni dove l’espansione di questo drammatico
fenomeno ha raggiunto livelli molto preoccupanti. Tra il maggio del 2012 e lo stesso mese di
quest’anno, la riduzione nell’erogazione dei crediti ha interessato soprattutto la Calabria (-4,3%,
pari ad una variazione di -374 milioni di euro), la Basilicata (-4,2% che corrisponde a -102 milioni),
la Sicilia ed il Molise (entrambe con -2,7% ed una contrazione rispettivamente di 789 e di 40
milioni di euro) e la Campania (-2,6% con un monte impieghi che è diminuito di 794 milioni di
euro). Dei 5 miliardi di euro in meno che in questo ultimo anno sono stati concessi alle famiglie
italiane, quasi 3 (pari al 59% del totale) sono stati tagliati proprio al Mezzogiorno.
(fonte: CGIA di Mestre, 2012)
73
Come evidenziano gli analisti della Cgia, “nelle aree dove ci sono più disoccupazione, alti
tassi di interesse, maggiori sofferenze, pochi sportelli bancari e tanti protesti, la situazione per
quanto riguarda il rischio usura è decisamente a rischio”36. Rispetto ad un indicatore nazionale
medio stabilito dagli esperti della Cgia pari a 100, la situazione più critica si presenta in Campania:
l’indice del rischio usura risulta infatti pari a 169,2 (ossia il 69,2% in più della media Italia), in
Basilicata si attesta al 159,2 (59,2% in più rispetto alla media Italia), in Molise si ferma a 153,1
(53,1% in più della media Italia), in Calabria a 150,4 (50,4% in più della media nazionale) e in
Puglia il livello si attesta a quota 139 (39% in più della media Italia).
Mentre i dati confermano un consolidamento del rischio usura nelle realtà del profondo Sud,
la situazione appare relativamente più tranquilla a Nord.
36 Cgia Mestre, Allarme credito: crollano i prestiti al Sud, aumenta l’usura, Rapporto e calcolo dell’Indice Rischio Usura per il 2012.
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LEGENDA:
1) Tasso di disoccupazione = Indice regionale con Italia base 100 del rapporto tra persone in cerca di lavoro e totale forza lavoro
2) Sofferenze/Impieghi = Indice regionale con Italia base 100 del rapporto tra sofferenze bancarie e impieghi
3) Sportelli bancari = Indice regionale con Italia base 100 del rapporto tra la popolazione di età da 15 anni in su e gli sportelli bancari
4) Tassi interesse = Indice regionale con Italia base 100 dei tassi attivi applicati alla clientela ordinaria
5) Protesti = Indice regionale con Italia base 100 del rapporto tra i protesti e la popolazione di età dai 15 anni in su
6) Procedure concorsuali = Indice regionale con Italia base 100 del rapporto tra imprese sottoposte a "procedura concorsuale" e il numero di imprese attive
7) Denunce usura = Indice regionale con Italia base 100 del rapporto tra denunce di usura e popolazione di età dai 15 anni in su
8) Denunce estorsione = Indice regionale con Italia base 100 del rapporto tra denunce di estorsione e popolazione di età dai 15 anni in su.
La realtà meno ‘esposta’ a questo fenomeno è il Trentino Alto Adige, con un indice del
rischio usura pari a 49,2 (50,8% in meno della media nazionale). Seguono la Valle d’Aosta, con
57,6 (42,4% in meno della media Italia) e il Friuli Venezia Giulia, con un indice del 69,7 (30,3% in
meno della media nazionale). Il Piemonte però è la realtà geografica del Nord con l'indice di rischio
più alto (84,6).
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• Maurizio Fiasco per la Camera di Commercio di Roma: Indebitamento patologico e
credito illegale, l’esposizione al rischio d’ indebitamento e usura
Di rischio usura si parla anche nello studio condotto da Maurizio Fiasco e promosso dalla
Camera di Commercio di Roma37. L’analisi dettagliata riguarda il progressivo impoverimento di
famiglie e imprese e il conseguente indebitamento. Quando l’indebitamento assume dimensioni non
più sostenibili si rende sempre più concreto il pericolo di finire nelle reti usurarie. La ricerca si
propone quindi di calcolare un indice di esposizione al rischio di indebitamento patologico e usura
per le singole province italiane. L’analisi è stata condotta prendendo in considerazione quattro tipi
di indicatori: di rilevanza finanziaria, sociale, economica e criminologica, ciascuno dei quali basato
su ulteriori indicatori ritenuti particolarmente idonei a tracciare un quadro attento del livello di
esposizione per singola provincia.
Più nel dettaglio, lo studio ha considerato i seguenti indicatori:
1. Indicatori finanziari: finanziamenti accordati; Finanziamenti utilizzati; Sofferenze bancarie.
2. Indicatori sociali: indice di dotazione di infrastrutture sociali (italia=100); Infortuni sul
lavoro denunciati su 100.000 abitanti; Indice di inserimento occupazionale (stranieri);
Indicatore di lavoro in proprio (% stranieri su totale imprenditori); Indice di coerenza tra
reddito e consumi; percentuale di spesa per gioco su reddito disponibile.
3. Indicatori economici: imprese in fallimento su 1.000 imprese registrate; Imprese
commerciali su 100 imprese attive; Persone in cerca di occupazione su 100.000 abitanti;
numero di protesti su 100.000 abitanti; Imprese in fallimento su 1.000 imprese cessate;
Valore aggiunto pro capite; Tasso di disoccupazione totale 15-64 anni.
4. Indicatori criminologici: rapine; Estorsioni; Usura; Associazione per delinquere;
Riciclaggio e impiego di denaro; Danneggiamento seguito da incendio; Associazione di tipo
mafioso. Dalla combinazione degli indicatori considerati si giunge alla formulazione di un
ranking complessivo che offre un quadro dettagliato dell’esposizione al rischio di
indebitamento e usura sul territorio. Di seguito verranno riportati i dati riguardanti le 25
province che risultano maggiormente esposte al rischio.
37 Maurizio Fiasco (a cura), Indebitamento patologico e credito illegale, Camera di Commercio di Roma, 2013.
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Come si evince dai dati appena riportati, le 25 province più esposte al rischio, ultime nella
classifica completa, sono tutte province del Mezzogiorno. Le regioni maggiormente coinvolte sono
la Campania e la Calabria con tutte le province coinvolte. La Sicilia con sette delle sue nove
province e la Puglia in cui maggiormente esposte risultano essere le province di Taranto, Brindisi,
Foggia e Bari. Latina e Frosinone le province più esposte nel Lazio. Lo studio evidenzia, inoltre,
come siano situate tutte a Nord le province in cui il rischio risulta minore, prima tra tutte Bolzano,
cui seguono nelle prime posizioni, Sondrio, Cuneo, Belluno e Trento. Il quadro che emerge è quello
di un’Italia nettamente divisa in due: tra i territori del Nord considerati meno esposti e quelli del
Sud in cui i valori del rischio si fanno via via più allarmanti.
Sotto il profilo della divisione territoriale i risultati dei tre studi proposti risultano concordi.
Il calcolo dell’indice di rischio usura condotto attraverso indicatori differenti, anche se inseriti in
77
macro aree d’indagine molto vicine tra loro, attestano una maggiore pericolosità di cadere vittime
d’usura per le regioni e province del Mezzogiorno. Sono tutte meridionali, infatti, le province
considerate a maggior rischio dai tre studi. Variano di poco i risultati, ma per esempio la provincia
di Latina compare sia nello studio di Sos Impresa che in quello promosso dalla Camera di
Commercio di Roma che, inoltre, all’esposizione al rischio indebitamento e usura della regione
Lazio dedica un approfondimento. Lo stesso si può dire per le province calabresi di Catanzaro e
Vibo Valentia, Messina e Siracusa per la Sicilia. Non compare, invece, tra le prime 25 province a
rischio individuate dall’ultimo studio citato, la provincia di Pescara (con punteggio 285) che risulta,
invece, essere la prima per esposizione nello studio di Sos Impresa.
Ulteriori raffronti possono essere condotti tra lo studio sull’indebitamento patologico e
quello effettuato dalla Cgia di Mestre, seppure il primo opera su un livello provinciale e il secondo
su base regionale. Tuttavia, se si considera il numero di province esposte per singole regioni, si può
affermare che la Campania e la Calabria risultano in entrambi gli studi tra le regioni in cui è più
evidente l’esposizione al rischio usura. Nell’elenco di regioni pubblicato dalla Cgia di Mestre la
Calabria è al quarto posto appena dopo il Molise. Seguono Puglia e Sicilia. Nell’elenco di province
esposte secondo l’ultimo studio riportato, tali regioni sono tutte coinvolte. Il dato discordante
riguarda, invece, la regione Basilicata che risulta essere la seconda regione più esposta al rischio
secondo gli analisti della Cgia, mentre nessuna delle due province lucane compare tra le 25 più
esposte nella seconda analisi. Le province di Potenza e Matera risultano avere un punteggio
rispettivamente di 312 e 315, collocandosi ad un po’ di distanza dalle prime. È importante ricordare
però che nella classificazione proposta dall’ultimo studio, le province italiane tutte, si differenziano
una dall’altra per pochissimi punti assegnati. Le uniche province che si staccano nettamente dalle
altre sono Bolzano (1.000) e Sondrio (803). Per le altre si va da un raking di 195 per Napoli a 535
per Cuneo. Si può, quindi, affermare che nonostante l’apparente divisione territoriale Nord/Sud
della Penisola, le situazioni di sofferenza sono diffuse così quanto il rischio di divenire vittime
d’usura.
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I DATI DELL’USURA: I NUMERI SOMMERSI
L’usura e il mondo produttivo
Le imprese sono sempre più nelle mire degli usurai. Il numero di imprenditori e
commercianti coinvolti nel fenomeno cresce costantemente, così come cresce, purtroppo, il numero
delle cessazioni di attività a causa dell’usura. Siamo evidentemente di fronte ad uno scenario che si
allontana dalle statistiche ufficiali.
Le Associazioni di categoria che monitorano le condizioni delle imprese e i centri antiusura,
osservatori privilegiati del fenomeno, forniscono dati allarmanti di fronte ai quali le denunce si
rivelano in tutta la loro insufficienza nel dimensionare il fenomeno.
Secondo i dati forniti da Sos Impresa, la categoria più colpita è quella dei commercianti e
dei piccoli artigiani, almeno il 60% dei casi d’usura che coinvolge le imprese. È possibile stimare il
numero dei commercianti coinvolti in rapporti usurari in non meno di 200.000 unità.
Inoltre poiché ciascuno, s’indebita con più strozzini le posizioni debitorie si moltiplicano
superando le 600.000 unità, ma ciò che è più preoccupante è che in almeno 180.000 casi sono con
associazioni per delinquere di tipo mafioso finalizzate all’usura38.
È, inoltre, plausibile stimare l’immenso ammontare dei proventi d’usura pagato dai
commercianti, in non meno di venti miliardi di euro. In poco più di dieci anni il numero degli usurai
è cresciuto fino ad arrivare ad oltre 40.000. Nella maggior parte dei casi si tratta di soggetti noti
all’Autorità Giudiziaria. Questo dato vede crescere sempre di più la presenza di un’usura di mafia,
con la crescita di affiliati o quantomeno vicini ai clan mafiosi. 38 Sos Impresa – Confesercenti, Insieme per rompere la solitudine, Relazione – No Usura Day 2012.
79
Analizzando più nel dettaglio i dati riportati da Sos Impresa, emerge che su base regionale i
commercianti coinvolti risultano più numerosi in Campania, circa 32.000. Se poi si prende in
considerazione la percentuale dei commercianti coinvolti in giri usurai, salta al primo posto il Lazio.
Nel Lazio sono 28.000 i commercianti colpiti dall’usura, pari a quasi 35% delle attività
economiche attive nella regione, per un giro d’affari stimato in 3,3 miliardi di euro. Roma, in
particolare, è da decenni il luogo per eccellenza dell’usura. Nella Capitale si riescono a trovare tutte
le fenomenologie fino ad oggi note del sistema: dal singolo usuraio, pensionato o libero
professionista, alle bande di quartiere, dalla criminalità organizzata alle finanziarie degenerate.
Nella classifica pubblicata da Sos Impresa segue, con 13.000 commercianti coinvolti, pari al 34%
degli attivi, la Calabria. Critiche anche le situazioni della Sicilia (29,2%), il Molise (28%),
l’Abruzzo (25,2%) la Puglia (19,2%), il Molise (18,7%).
Secondo un’elaborazione della Confesercenti, dal 2010 al 2012, sono state oltre 245.000 le
attività commerciali al dettaglio, della ristorazione e dei piccoli artigiani costrette a chiudere. Di
queste almeno il 40% deve la sua cessazione all’aggravarsi di problemi finanziari, a un forte
indebitamento e all’usura.
Molto spesso, inoltre, anche i tentativi di salvare la propria attività avvengono in un contesto
di marginalità economica in cui l’usura garantisce la sua presenza. Non tutte le attività chiudono
80
definitivamente. Alcuni tentano di intraprendere un’attività diversa, spostandosi verso un altro
settore commerciale, cambiando la propria ragione sociale. Altri provano ad intestare l’attività a
figli o altri familiari pur di evitare l’uscita dal mercato. Si tratta di cittadini che non godono di
accesso al credito legale, o peggio, ne sono stati espulsi. I dati fino ad ora riportati indicano
l’esistenza di una vera e propria società invisibile, che troppo spesso sfugge alle rilevazioni
statistiche, finendo per alimentare, con considerevoli traffici di denaro, un mercato parallelo.
Uno spaccato del fenomeno: l’esperienza della Fondazione Interesse Uomo
La Fondazione antiusura Interesse Uomo dopo dieci anni di attività sul territorio della
Provincia di Potenza e con quasi 2.000 persone incontrate, opera sull’intero territorio nazionale dal
2012 attraverso gli sportelli “SOS Giustizia” di “Libera. Associazioni, nomi e numeri contro le
mafie”. Nelle pagine successive saranno presentati i dati fino ad ora raccolti attraverso l’incontro e
l’ascolto delle vittime d’usura. Si intende in tal modo offrire uno spaccato del fenomeno, che
nonostante i limiti dati dal breve periodo di attività nazionale, già possono fungere da spunto di
riflessione.
I dati raccolti si riferiscono al 2012 e al 2013. Provengono in parte dagli sportelli “SOS
Giustizia” e in parte dalla stessa Fondazione. Sono state 238 le persone a rischio usura e già vittime
di usura incontrate negli ultimi due anni. Di seguito verrà posta l’attenzione sui soli casi di usura.
Le vittime sono in gran parte uomini, circa il 77% del campione considerato, anche se
appare rilevante il 23% di vittime femminili, per lo più interessate dal fenomeno congiuntamente
alle proprie reti familiari. Non mancano, comunque, casi di imprenditrici o libere professioniste che
cadono nelle maglie dell’usura.
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La distinzione per area geografica di provenienza evidenzia una maggiore concentrazione
delle vittime incontrate a Sud (67%), percentuali molto ravvicinate tra loro forniscono i dati della
presenza dei casi d’usura intercettati a Nord (18%) e Centro Italia (15%).
Il prestito a nero risulta nel 47% dei casi destinato a coprire sofferenze economiche
riconducibili alle imprese o alle attività commerciali per pagare fornitori, in alcuni casi per
sopperire a delle perdite economiche o ancora per riconvertire l’attività e per aiutare i figli ad
avviarne una. Nel 30% dei casi, il ricorso all’usura è dovuto a situazioni familiari. La gran parte
delle storie d’usura rientranti in questa percentuale è generata da varie esigenze economiche. Si
tratta di casi di forte sovra-indebitamento, famiglie che non riescono a coprire le spese per il mutuo
o per finanziarie. In molti casi l’esposizione è tale da necessitare il ricorso a debiti ulteriori per
coprire i pregressi. Il restante 23% riguarda i casi in cui le vittime non hanno fornito informazioni
chiare sulla destinazione del prestito.
82
Al di là della destinazione ultima del prestito, le cause che ne generano la necessità di
accesso sono le più varie. Le percentuali più alte riguardano le cause riferibili alla gestione
dell’impresa (33%), la gestione economica familiare (22%) e la gestione dell’attività commerciale
(14%) e i debiti pregressi (12%). Seguono, poi, con percentuali inferiori le cause riferibili alla
disoccupazione della vittima (6%), gioco e dipendenze di diversa natura (5%) e la necessità di
coprire spese mediche per una malattia (2%). Resta un ulteriore 6% di casi che riguardano altri tipi
di ragioni come l’acquisto di un’automobile o la ristrutturazione dell’appartamento o anche un
improvviso cambiamento nella gestione familiare.
83
Per quanto riguarda le denunce, i dati a disposizione evidenziano una buona percentuale di
quanti hanno deciso di denunciare gli usurai. Il 44% di coloro che si sono rivolti alla Fondazione
l’hanno fatto dopo aver denunciato. Il più delle volte per ricevere assistenza nella fase post
denuncia, aiuto nell’accesso ai fondi previsti dalla legge per le vittime, consulenza legale o anche
solo per chiedere informazioni sull’iter post denuncia. Il 18% delle vittime incontrate, invece, è
stato accompagnato alla denuncia. Il più delle volte si tratta di persone spaventate e disperate che
vanno aiutate a capire l’importanza della denuncia. Infine, il 38% delle vittime incontrate ha deciso
di non denunciare e il più delle volte si è limitato soltanto ad un primo contatto con la Fondazione.
Le tipologie del reato incontrate sono per lo più riconducibili all’usura classica (44%), in cui
l’usuraio condivide lo stesso ambiente delle vittime, spesso è un parente, un collega o un vicino.
Alle volte l’usura è operata da piccoli delinquenti, in là negli anni che tendono a lucrare sulle
vittime. Nel 32% dei casi, invece, si è incontrata l’usura organizzata, compiuta da una rete criminale
locale e in alcuni casi legata a clan mafiosi. Alcune delle vittime incontrate hanno collaborato con la
propria denuncia ad avviare indagini che hanno portato alla luce reti usuraie operanti sul territorio.
Un ulteriore 5% di casi riguarda l’usura bancaria. Il 19% invece non è specificato poiché le notizie
fornite dalle vittime non hanno permesso di identificare con chiarezza il tipo di usura subita.
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Le storie d’usura incontrate disegnano un quadro entro il quale l’usura di vicinato, la piccola
usura miete ancora le sue vittime. Cresce al tempo stesso l’usura organizzata, e ancor più quella di
mafia, e inevitabilmente cresce anche il numero delle sue vittime preferenziali: gli imprenditori e i
commercianti. Chi tra loro decide con coraggio di uscire dal silenzio, dà spesso l’avvio con la
propria denuncia ad operazioni delle forze dell’ordine che possono portare alla luce le ramificazioni
dell’usura sul territorio.
I dati ufficiali: le denunce
L’analisi del fenomeno da un punto di vista quantitativo è quanto di più marginale e difficile
si possa evidenziare in merito all’usura. Una delle caratteristiche del fenomeno è, come già
ricordato, il suo vivere e proliferare nel silenzio. Le fonti ufficiali che ne attestano la presenza
riguardano principalmente le denunce. I numeri che emergono sono però talmente esigui da
rischiare di sottostimare il fenomeno.
Dal 1996, anno di emanazione della legge antiusura, ad oggi i dati parlano di un progressivo
calo delle denunce, salvo una lieve ripresa nel periodo più recente. Al ridursi delle denunce
corrisponde, però, un aumento del numero delle persone denunciate a conferma della sempre
maggiore strutturazione del fenomeno che oramai vede agire reti organizzate composte da persone a
vario titolo coinvolte nel reato. Sempre più spesso è proprio la denuncia nei confronti di un singolo
usuraio a far scattare indagini dalle quali emerge la rete di criminali coinvolti. Ponendo l’attenzione
sul dato relativo al numero delle denunce pubblicato annualmente dal Ministero dell’Interno e
85
dall’Istat, in riferimento al periodo compreso tra il 2009 e il 2012 (ultimo dato consolidato
disponibile), si può osservare una progressiva diminuzione delle denunce che soltanto nel corso
dell’ultimo anno di riferimento sembra invertire tale tendenza. In numeri assoluti si è passati dai
464 delitti denunciati nel 2009 ai 405 del 2012.
Se poi i dati vengono scomposti su base territoriale appare evidente che il maggior numero
di delitti denunciati si registrano nell’area meridionale della Penisola. Segue poi il Nord mentre i
numeri tendono a ridursi nelle aree del Centro e delle Isole. Pur trattandosi di dati numerici poco
consistenti si può notare come per le aree del Sud, Nord e Centro Italia si sia verificata una costante
diminuzione che sembra si interrompa solo per l’ultimo anno considerato. Anche se è importante
specificare fin d’ora che non per tutte le regioni considerate all’interno di tali aree vi è la stessa
incidenza del fenomeno. Per quanto riguarda l’area insulare del Paese invece la situazione appare
piuttosto costante, sia da un punto di vista numerico che di territori effettivamente coinvolti poiché,
come si dirà in seguito, le denunce riguardanti tale area sono quasi del tutto registrate nella regione
Sicilia.
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Analizzando più nel dettaglio la situazione che emerge dai dati ufficiali per l’anno 2012, si
può procedere ad un’analisi su base territoriale. Nel 2012 le denunce per i delitti d’usura hanno
subito un lieve aumento rispetto agli anni precedenti. 405 rispetto ai 352 del 2011 con un
incremento percentuale pari al 15,06. Se dai numeri assoluti si passa a quelli relativi alle singole
aree territoriali, si può procedere ad un raffronto tra regioni. Nell’area del Nord Italia le 135
denunce per il delitto d’usura sono così ripartite: 52 casi sono stati rilevati in Lombardia, 28 in
Piemonte e 26 in Emilia Romagna. Seguono le denunce raccolte nelle regioni del Veneto (18),
Liguria (6), Friuli Venezia Giulia (3), Trentino Alto Adige e Valle d’Aosta (1).
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La situazione dell’Italia Centrale appare fortemente disomogenea. Oltre metà dei 67 delitti
d’usura denunciati dalle Forze di Polizia sono concentrati nella regione Lazio (34), cui segue la
Toscana (23). Numericamente inferiori risultano essere i delitti d’usura denunciati nelle regioni
Marche e Umbria, entrambe con 5 casi individuati.
La situazione dell’Italia Meridionale, in cui il numero dei delitti d’usura denunciati risulta
essere maggiore rispetto alle altre aree del Paese (158), appare così suddivisa: la Campania è la
regione con il maggior numero di denunce (73), seguono la Puglia (39) e l’Abruzzo (28). Risultano
inferiori i dati provenienti da Calabria (12), Molise (3) e Basilicata (3).
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Dei 45 delitti denunciati nell’area insulare dell’Italia nel corso del 2012, la percentuale più
rilevante si trova in Sicilia con ben 40 casi ai quali si aggiunge un più contenuto dato proveniente
dalla Sardegna (5).
Raffrontando questi dati con i più recenti numeri forniti dalla Direzione Investigativa
Antimafia, relativi al primo semestre del 201339, si nota in alcune particolari aree del paese una
crescita dei casi segnalati sulla base dei dati delle denunce e delle successive operazioni antiusura.
Sono poco più di duecento i fatti reato individuati da gennaio a giugno dell’anno considerato.
Le segnalazioni, ripartite per regioni, evidenziano in alcuni casi un’inversione di tendenza
rispetto ai periodi precedenti. Mentre in numeri assoluti sembra vi sia un incremento dei casi
d’usura accertati rispetto al 2° semestre del 2012, la situazione a livello regionale mostra situazioni
tra loro molto diverse.
39 Relazione del Ministro dell’Interno al Parlamento sull’attività svolta e i risultati conseguiti dalla Direzione Investigativa Antimafia, 1° semestre 2013.
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In particolare emerge un notevole aumento dei casi segnalati in Sicilia, 44 solo nei primi sei
mesi del 2013 a fronte dei 40 casi dell’intero anno precedente. Una crescita dei casi d’usura si
desume anche dal dato riportato per la regione Emilia Romagna: 39 denunce mentre nel corso del
2012 ne sono state raccolte solo 26. Più contenuto appare l’incremento per le regioni Marche, Friuli
Venezia Giulia e Molise. Nelle altre regioni non si registrano variazioni rilevanti rispetto
all’andamento medio dei casi noti del fenomeno, fatta eccezione per le regioni Lombardia,
Campania e Calabria in cui i dati risultano in progressiva diminuzione.
In linea con le rilevazioni degli anni precedenti appare la classificazione delle categorie di
vittime del fenomeno usuraio. Secondo i dati riportati, l’attività usuraria ha coinvolto in gran parte
privati cittadini, subito seguiti dalla categoria dei commercianti e degli imprenditori. In misura
minore, poi, i liberi professionisti.
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L’analisi della situazione rilevata dalla DIA relativa alla provenienza delle persone
denunciate e/o arrestate nell’arco temporale preso in considerazione rende in maniera evidente
come il numero delle persone coinvolte nel reato d’usura sia in primo luogo ben più consistente del
numero dei fatti reato individuati e quanto sia massiccia la presenza di cittadini italiani tra gli autori
del reato d’usura, circa il 94% del totale (608 solo nei primi sei mesi del 2013 a fronte dei 551
segnalati per il semestre precedente.
I numeri appena riportati non danno un quadro obiettivo del fenomeno. Non parlano delle
diverse configurazioni del fenomeno. Il numero di denunciati e arrestati, come pure un
91
approfondimento sui fatti di usura possono, però, offrire un quadro più preciso dell’evoluzione del
mercato usuraio e dei suoi attori. Ben altri numeri sono, infatti, quelli forniti da Fondazioni
antiusura e Associazioni di categoria che confermano quanto sia riduttivo parlare d’usura facendo
riferimento ai soli numeri ufficiali. È quanto attestano anche le relazioni semestrali della Direzione
Investigativa Antimafia. Oltre a sottolineare la crescente presenza dell’usura di mafia, nella
relazione sulle attività del primo semestre 2013 si parla di vere e proprie consorterie criminali che
si presentano alle potenziali vittime quali risolutori di situazioni economiche sia individuali che
aziendali, anche se è da sottolineare che molto spesso sono le stesse vittime a prendere contatti con
le reti usuraie. Le dinamiche del reato che le Direzioni Distrettuali Antimafia dislocate sul territorio
nazionale hanno avuto modo di osservare, vedono sempre più presente la figura del mediatore, colui
al quale è affidato il compito di studiare, individuare ed avvicinare le potenziali vittime ed
instaurare con loro un rapporto di fiducia tale da condurle ad accettare l’offerta usuraria. Il compito
del mediatore è inoltre quello di verificare la vulnerabilità delle vittime e l’ammontare del
patrimonio. Maggiormente esposte al rischio usura sono naturalmente le fasce più deboli della
popolazione, famiglie monoreddito e piccole e medie imprese che costituiscono però il numero più
elevato degli attori del sistema economico italiano.
I commercianti e gli imprenditori colpiti dall’usura risultano numerosissimi, in particolar
modo nelle regioni a rischio, mentre le Forze di polizia e l’Autorità Giudiziaria vengono a
conoscenza solo di un numero esiguo di casi. La diffusa reticenza a denunciare è determinata in
alcuni casi anche dal tentativo di evitare conseguenze economiche che sono spesso collegate al
fenomeno, come la presentazione all’incasso di assegni o effetti cambiari dati a garanzia del
prestito, in misura tale da condurre al fallimento.
È questa espressione di un meccanismo insito nel fenomeno, come più volte si è ricordato in queste
pagine. Ed è per questo che l’urgenza, alla quale Istituzioni e osservatori del fenomeno sono
chiamati oggi, è fare in modo che le vittime non scelgano il silenzio per paura di perdere tutto,
subendo poi l’imposizione degli usurai nelle proprie scelte. Perché questi numeri cambino, è
fondamentale rendere le denunce convenienti.
92
STRATEGIE DI CONTRASTO AL FENOMENO
Gli strumenti normativi: pregi e difetti
L’attuale legge "anti-usura", la 108 del 7 marzo 1996 (in vigore a tutti gli effetti il 3/4/1997)
sostituisce definitivamente gli artt.644 e 644 bis del cod. pen. (riguardanti rispettivamente l’usura
vera e propria e quella impropria: la prima configurante il caso in cui l'usurato versa in stato di
bisogno e la seconda concernente i casi in cui l’usurato svolge attività imprenditoriale o
professionale e si trova in condizioni di difficoltà economiche – finanziarie).
La legge introduce nel sistema giuridico italiano alcune novità, atte ad inquadrare l’usura tra
i reati perseguibili. Tra le novità più importanti si trova la considerazione dello stato di bisogno
quale aggravante del reato. È stabilito inoltre il tasso usurario con l’introduzione di un limite oltre il
quale gli interessi sono considerati sempre usurari. Il tasso soglia è calcolato ogni tre mesi dalla
Banca d’Italia. Il debitore, inoltre, quale persona offesa, ha diritto sia alla restituzione degli interessi
sia al risarcimento dei danni: non solo morali ma anche patrimoniali (art.14, comma 4) per aver
dovuto subire perdite e mancati guadagni a causa dell’usura. Altra novità è data dall’introduzione
della possibilità per le Associazioni e Fondazioni, riconosciute per la prevenzione del fenomeno
dell’usura, di costituirsi parte civile nei giudizi penali contro l’usura stessa (art.10).
La maggiore novità proposta dalle legge 108 ci sembra però quella enunciata agli artt. 14 e
15, che prevedono l’istituzione di speciali fondi per le vittime e per quanti sono a rischio:
- Il Fondo di solidarietà per le vittime dell’usura (art.14): si applica ai soli fatti verificatisi a
partire dall’01/01/1996 ed è finalizzato all’erogazione di mutui senza interessi a soggetti che
esercitano attività imprenditoriale, commerciale, artigianale o di lavoro autonomo che siano
parti offese in procedimenti penali per il reato di usura.
- Il Fondo per la prevenzione del fenomeno dell’usura (art.15): finalizzato all’erogazione di
contributi a Consorzi o Cooperative di garanzia collettiva detti CONFIDI oppure a Fondazioni
e Associazioni riconosciute per la prevenzione del fenomeno dell’usura.
Tutte queste organizzazioni, infatti, possono contribuire alla prevenzione del fenomeno
dell’usura garantendo le banche per finanziamenti a medio o a breve termine a favore di singole
persone ma anche piccole e medie imprese che non hanno più accesso al credito ordinario.
93
Tuttavia, per quanto questa legge risulti essere un "paletto" legislativo di indubbia importanza
nel contrasto all'usura, dopo quasi venti anni dalla sua promulgazione non si può dire che abbia dato
i frutti sperati. Il reato, per esempio, non è emerso in tutta la sua gravità, tanto è vero che
paradossalmente proprio dal momento dell'introduzione della legge il numero di denunce è andato
progressivamente diminuendo.
La fissazione del tasso soglia, che nell’intenzione del legislatore doveva consentire di
rendere più certo il reato, ha di fatto rallentato l’iter della giustizia. Quasi sempre, a fronte di
conteggi complicati, i magistrati si avvalgono di periti di parte per verificare che si sia sforato il
tasso soglia, allungando in tal modo i tempi delle indagini preliminari e alimentando un contenzioso
che si muove al di fuori del contesto di contrasto alla criminalità sia comune che organizzata40.
L’aiuto dello Stato attraverso il Fondo di Solidarietà non si può dire che sia il massimo della
celerità, minato com'è, spesso, da lungaggini burocratiche, che certo non infondono fiducia nelle
vittime. E molto spesso, quando i finanziamenti arrivano, non riescono più ad assolvere la funzione
per la quale sono stati stanziati. Le imprese, le vittime non possono attendere anni - quelli dello
svolgimento dei processi - per salvare l’attività che infatti il più delle volte è costretta a chiudere.
L’attuazione dell’azione penale è, infine, il vero dramma. Non accade sempre, infatti, che l’autore,
o gli autori del reato, vengano davvero colpiti. L’usuraio è arrestato solo in flagranza di reato,
mentre le sentenze arrivano solo dopo molto tempo, a meno che, visti i tempi biblici della giustizia,
non finisce tutto in prescrizione.
E' come trovarsi, di fatto ad una vera e propria depenalizzazione del reato, un aspetto che a
dire il vero in tempi di crisi come questi emerge in tutta la sua pericolosità, visto che in un certo
senso si ha la sensazione che in qualche modo si stia ritornando alla percezione della funzione
sociale dell’usuraio, che siano semplici strozzini o clan mafiosi.
Ecco perché la via maestra resta la denuncia e quindi la collaborazione con autorità
inquirenti e forze dell'ordine.
Altro motivo per cui si rivela sempre più importante, come si diceva prima, il fatto che
Fondazioni e Associazioni antiusura si possano costituire parte civile nei processi per usura. In
questo modo la vittima, spesso lasciata sola, quando in un’aula di tribunale è chiamata ad affrontare
gli usurai può contare sulla presenza di chi in quel momento rappresenta la società civile. Cosa
ancora più importante, poi, se alla sbarra con l'accusa di usura si trova un clan mafioso.
40 Relazione dell’assemblea napoletana antiracket e antiusura svoltasi a Napoli il 7 ottobre 2013. Proposte di Sos Impresa - Rete per la Legalità.
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Dalla parte delle vittime: gli attori del contrasto
Come si è appena ricordato, se si intende parlare di strategie di contrasto all’usura occorre
che si lavori di concerto. Gli attori chiamati a svolgere un ruolo di sostegno alle vittime e di
prevenzione nei casi di rischio renderanno tanto più efficace il proprio compito quanto più saranno
in grado di lavorare in maniera sinergica. Istituzioni e Forze di Polizia insieme a Fondazioni e
Associazioni antiusura, Associazioni di categoria e Consorzi Fidi. Nelle pagine seguenti si cercherà
di soffermare l’attenzione su ciascuno di loro, in particolar modo in merito ai compiti e alle
metodologie di contrasto all’usura loro tipiche.
Commissario Straordinario per il Coordinamento delle iniziative antiracket e antiusura e Comitato di solidarietà.
Il Commissario è nominato, su proposta del Ministro dell'Interno, con decreto del Presidente
della Repubblica e previa delibera del Consiglio dei Ministri, in base alle disposizioni in materia
previste dalle legge n.400 del 1988. Tale ruolo può essere affidato anche a persone esterne alla
pubblica amministrazione, qualora vi sia una consolidata esperienza nell'attività di contrasto al
fenomeno delle estorsioni e dell'usura. Il compito del Commissario è quello di coordinare le attività
antiracket e antiusura sul territorio nazionale. Come stabilito all’art. 19 della legge n. 44/1999, tale
figura presiede, inoltre, il Comitato di solidarietà per le vittime dell’estorsione e dell’usura, che ha il
compito di deliberare sulle istanze di accesso al Fondo di solidarietà. Annualmente il Commissario
rende noti i dati relativi alla propria attività e quelli relativi alle elargizioni del fondo. Nella più
recente relazione sono stati presentati i dati relativi all’accesso al fondo e quelli delle richieste del
2012. Delle 701 istanze pervenute dalle Prefetture, circa due terzi hanno riguardato vittime di usura.
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Osservando la provenienza territoriale delle istanze, si può notare che, su un totale di 462
Istanze per usura, queste siano giunte in numero maggiore dalle regioni Lombardia (66), Emilia
Romagna (60) e Campania (50).
247 sono state le istanze accolte nel 2012 e oltre 19 milioni di euro le somme erogate, dato
comprensivo anche di istanze pervenute negli anni precedenti. In particolare, per le vittime di usura
sono stati deliberati circa 9,3 milioni di euro. L’ammontare dei fondi stanziati, suddiviso per
regioni, risulta interessare in maniera preminente Campania, Sicilia, Puglia e Lazio. I settori
maggiormente interessati nei casi di usura sono il Commercio, le Costruzioni e la Ristorazione.
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Nell’ultimo anno, secondo quanto reso noto dal Comitato di solidarietà per il sostegno alle
vittime di estorsione e usura, 302 sono stati gli accoglimenti delle istanze di accesso al fondo, 174
quelli riguardanti l’usura. Essi hanno coinvolto soprattutto le regioni Sicilia, Campania, Puglia e
Lazio.
Il totale delle somme deliberate è stato di circa 31.102.102 euro. Per il sostegno alle vittime
di estorsione è stata stanziata la somma di 10.221.730 euro, mentre per il sostegno alle vittime di
usura si è passati dai 9.270 milioni del 2012 ai 20.880.371 euro nel 2013.
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Confidi
Altri attori coinvolti nel processo di contrasto al fenomeno sono i Confidi. Generalmente
costituiti in forma di Cooperativa o di Consorzio tra associazioni di categoria imprenditoriali e
ordini professionali che operano in una data area geografica. I Confidi hanno il compito di offrire
consulenza alle micro, piccole e medie imprese presenti sul territorio e prestare garanzia fino
all’80% alle banche o ad intermediari finanziari che concedono prestiti alle imprese in difficoltà.
La stessa normativa antiusura affida loro tale ruolo e fondi per le imprese. Con l'introduzione della
legge 108/96, ai Confidi che hanno costituito un apposito fondo speciale è affidato il 70% delle
risorse previste dal Fondo per la Prevenzione (art.15), il restante 30% è assegnato alle Associazioni
e Fondazioni antiusura per facilitare l'accesso al credito a soggetti in sofferenza economica.
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Fondazioni
Le Fondazioni antiusura, riconosciute e iscritte presso il Ministero del Tesoro, svolgono la
propria attività a sostegno di soggetti in stato di sofferenza economica, attraverso assistenza e
prestazione di garanzie presso banche ed altri intermediari finanziari per un più facile accesso al
credito. Ma nell’azione di contrasto all’usura sono impegnate a svolgere un ruolo di sostegno e
accompagnamento delle vittime d’usura alla denuncia. Oggi più che mai il ruolo delle Fondazioni
appare essenziale.
Di fronte ad un fenomeno che muta velocemente volto e strategie di azione, è sempre più
necessario uscire da un certo immobilismo al quale anche il mondo dell’antiusura finisce sovente
per approdare correndo spesso il rischio di fungere solo da banche per i poveri cristi.
Occorre agire infatti anche sotto un altro duplice aspetto: a sostegno delle vittime,
garantendo loro una presenza che le accompagni alla denuncia e durante l’iter giudiziario, ma anche
politicamente, facendo sentire cioè la propria voce all’esterno, al fianco dei riferimenti istituzionali
sul territorio, sollecitando un dibattito costruttivo sul fenomeno perché ogni attore sociale si senta
chiamato alle proprie responsabilità: dallo Stato al sistema bancario affinché attraverso un lavoro
condiviso si creino le condizioni sociali ed economiche per contrastare l’usura alla radice.
Non bisogna mai dimenticare, infatti, che in fondo l’usura è solo la conseguenza di un
sistema malato dal punto di vista economico, sociale e culturale, e le vittime sono tutto sommato il
prodotto finale di questo sistema. Per questo motivo è fondamentale impegnarsi per garantire un
solido tessuto sociale, sostegno a chi denuncia e promuovere azioni di prevenzione.
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LE NUOVE PROSPETTIVE. SPUNTI DI RIFLESSIONE PER RENDERE PIÙ EFFICACE IL CONTRASTO
Come si è già detto, l'usura ha radici antiche e particolare elasticità nell'adattarsi a luoghi e
tempi diversi, all'evolversi del mercato. È però un fenomeno che non può essere contrastato con i
soli strumenti di mercato, ma che deve essere arrestato con interventi mirati e rapidi, fondati su
principi di solidarietà sociale ed economica.
Come sostenere le vittime, allora? Come contrastare gli usurai? Come assicurare alle vittime
la sicurezza di essere parte di una rete e non singoli soggetti abbandonati dalle Istituzioni e dalla
stessa società civile, sia che non trovino il coraggio di denunciare sia che, invece, lo trovino? È
fondamentale fare in modo che un imprenditore non abbia dubbi nel denunciare, e non debba
confrontarsi con colleghi che portano avanti la propria attività "grazie all'usura", e altri che,
scegliendo invece la via della denuncia, non sono riusciti ad evitare il fallimento. Accompagnare
alla denuncia resta un obiettivo primario, così come non abbandonare le vittime nel percorso post
denuncia. Fare in modo che sentano di essere supportate dallo Stato anche nella fase di rientro nel
mercato. Fare in modo che questo rientro si verifichi. In sintesi, appare estremamente urgente
offrire strumenti che rendano la denuncia conveniente.
Colpire le reti usuraie significa realizzare tutto ciò che è possibile per colpire i loro interessi,
attuando strategie idonee a frenare il sempre più pressante ingresso della criminalità, in special
modo quella mafiosa, nell'economia legale. Parlare di sostegno alle vittime rischia di non essere
sufficiente se non si creano le condizioni perché la denuncia si mostri davvero conveniente, e
perché gli usurai vengano davvero colpiti nel vivo del loro interesse. Per ottenere risultati concreti,
dunque, è fondamentale agire tempestivamente, su un duplice fronte: giudiziario ed amministrativo.
Sarebbe prima di tutto fondamentale che le indagini si chiudessero in tempi brevi, almeno quelli
previsti dalla legge, e soprattutto fosse garantita celerità nello svolgimento dei processi, unica
strada per far si che il reato venga davvero perseguito.
Altrettanto importante sarebbe garantire sicurezza e tutela a quanti scelgono la via della
denuncia fin da subito e, nei casi in cui le vittime siano considerate realmente a rischio, accorciare i
tempi per ricorrere all’inserimento nell'apposito programma di protezione. Troppo spesso i
denuncianti avvertono una mancanza di protezione e con i tempi solitamente dilatati, partendo dalla
fase dalle indagini per arrivare al momento dell'istituzione del processo, le vittime potrebbero essere
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costrette a condividere lo stesso ambiente dell’usuraio, incontrarlo per strada, vivere nella paura e
nell’incertezza a causa di un sistema che finisce per non dimostrare di essere dalla loro parte.
Sotto un profilo amministrativo l’iter post denuncia necessita di altrettanta velocità.
Difatti, uno dei maggiori problemi con i quali ci si confronta, e talvolta ci si scontra, è proprio la
dilatazione dei tempi di accesso ai benefici di legge, sia per quel che concerne il rilascio della
sospensiva dei termini ex art. 20 della legge 44/99, sia per le erogazioni del Fondo di solidarietà
previsto dall’art.14 della legge 108/96. L’esperienza di tanti imprenditori e commercianti dimostra,
infatti, che anche nei casi in cui le istanze vengono accolte, i fondi arrivano quando è troppo tardi
per evitare la chiusura della propria attività.
Nella più recente Relazione della Direzione Nazionale Antimafia, a tal proposito, si legge
che una delle questioni che necessita di trovare una soluzione è quella relativa ai tempi di istruttoria
per usufruire dei benefici previsti dalla legge. Troppo spesso dal momento della presentazione della
domanda alla conclusione del procedimento e quindi all'emissione di un decreto di accoglimento o
meno, passa più di anno. È questo un tempo troppo lungo che in molti casi vanifica l'efficacia dello
strumento normativo. La DNA, individuando il problema nelle lungaggini burocratiche relative al
trasferimento dei dati dalle Forze dell'ordine e dall'Autorità Giudiziaria alle Prefetture UTG locali,
propone di sviluppare sistemi di digitalizzazione per garantire tempi di istruttoria più rapidi e snelli.
Ma non solo. Ci sembra altrettanto necessario garantire una forma di sostegno da parte dello
Stato alla vittima che dopo aver denunciato e aver abbandonato la propria terra per essere inserito
in un programma di protezione, lascia beni, attività e proprietà. A quel punto si potrebbe
immaginare una sorta di Curatore amministrativo che aiuti il denunciante sotto protezione a non
perdere tutto ciò che si è lasciato alle spalle. Così come sarebbe altrettanto necessario assicurare a
quanti denunciano un concreto sostegno per ricominciare a svolgere la propria attività. Visto che
sempre più frequentemente le vittime, anche se denunciano, si trovano ad affrontare enormi
difficoltà di reinserimento nell'economia legale, per via di una pressione fiscale che continua a non
fargli sconti, di logiche "senza sconti" dello stesso sistema bancario, o anche a causa dei ritardi nella
burocrazia dell'iter di accesso ai benefici di legge, perché non immaginare che venga assegnato loro
un bene confiscato alla mafia e alla criminalità nel quale poter riavviare la propria attività
lavorativa? Continuare a versare in condizioni economiche disastrose anche dopo la denuncia, o
peggio ancora, a causa della denuncia, non è certamente incoraggiante per chi ha fatto della
convenienza nella denuncia il proprio cavallo di battaglia!
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Appare, inoltre, fondamentale monitorare la fase di rientro delle aziende nel mercato e,
soprattutto, fare in modo che questo rientro avvenga. Garantendo, per esempio, la non pignorabilità
dell'attività commerciale o imprenditoriale delle vittime il cui reinserimento nell'economia legale
grazie ai fondi dell'art.14 potrebbe avvenire proprio assicurando loro la possibilità di riprendere la
propria attività lavorativa. Le aziende rientrate nel mercato, che falliscono dopo poco sono
numerosissime e il più delle volte ciò accade a causa dei vincoli amministrativi che scattano in
automatico creando un vero e proprio vortice del recupero crediti da parte degli operatori finanziari.
Il ruolo di banche e intermediari finanziari non è affatto marginale. Chiamare anche loro ad
assumere un ruolo di contrasto al fenomeno dell'usura è un dovere. Anch'essi, in qualità di attori
sociali, dovrebbero essere investiti di responsabilità, di concerto con le altre istituzioni.
In conclusione, se, come si è detto, il fenomeno usura cresce adattandosi ad esigenze dettate
dalle nuove povertà, figlie della società odierna, le strategie di contrasto devono necessariamente
incrementare la propria efficacia. Contrastare l'usura non significa, però, soltanto tamponare
l'urgenza. Ma anche prevenirne le cause e in ogni caso offrire alle vittime una soluzione alternativa
all’usura, una prospettiva che dia alla legalità un valore reale oltre che morale. In altri termini
significa operare attraverso uno sguardo più ampio, immaginare percorsi di contrasto e soluzioni
concrete in grado di agire a lungo termine. Perché un singolo o un operatore economico non abbia
dubbi sul ricorso alla denuncia è fondamentale che tutti insieme si dia risposta certa alle domande
che alimentano quei dubbi.