Dossier Rémi Brague - Nuova Citeaux...Un laicismo radicale e militante che diffonde una specie di...
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Dossier Rémi Brague
Parte 1
AA. VV.
Per un’Europa fedele alla dignità umana1
Elisa Grimi 6 marzo 2019 Cultura
Sabato 23 febbraio si è svolto presso il senato di Parigi, a Palais du Luxembourg, il lancio della
piattaforma culturale della federazione europea “Uno di noi”, che riunisce organizzazioni pro-life e
pro-family di tutta Europa. Tema della giornata: “L’avvenire della cultura europea e il risveglio
delle intelligenze”. Numerosi gli intellettuali, filosofi, storici, giuristi, medici, che si sono riuniti
per discutere il manifesto “Per un’Europa fedele alla dignità umana”, stilato dal filosofo parigino
dell’Institut de France, Rémi Brague (lo trovate pubblicato di seguito in una traduzione a cura di
Rodolfo Casadei).
Ritorno alla ragione
A dare il benvenuto Thierry de La Villéjegu, direttore della Fondazione Jérôme Lejeune e vice-
presidente di One of Us, che ha abilmente evidenziato e richiamato a tutti i presenti il senso e lo
spirito del progetto: non quello di lamentare il disordine ambientale imperante e le rovine che lo
circondano, né di accendere contrasti per resistere agli assalti trasgressivi della modernità, piuttosto
quello di promuovere il ritorno della ragione, il risveglio delle coscienze anestetizzate, e una
riflessione sull’uomo, oramai soggetto sbriciolato e perfino “spezzato”.
Un tema questo, ha ribadito Thierry de La Villéjegu richiamando il filosofo Terenzio di Cartagine,
che riguarda ciascuno uomo in quanto essere umano. Ha quindi proseguito evidenziando come
politici e giornalisti siano asettici quasi non si aspettassero più nulla dall’essere umano e ha ribadito
l’importanza della bussola della ragione e dello stimolo della filosofia, ringraziando il professor
Brague per l’attenzione costante che ha riservato e riserva nel suo lavoro all’umano laddove molti
altri non lo vedono più, donando la fede alla ragione e la ragione alla fede. Ha inoltre sottolineato il
sostegno della Fondazione Lejeune al progetto “Uno di noi”, iniziativa questa lanciata nel 2013 in
opposizione al finanziamento da parte dell’Unione Europea a politiche aventi come obiettivo la
distruzione dell’embrione umano. Thierry de La Villéjegu ha richiamato le parole del professor
Jérôme Lejeune, ancora attuali: «La qualità di una civiltà si misura dal rispetto che essa ha per il più
debole dei suoi membri. Non ci sono altri criteri di giudizio».
Il manifesto non si limita a tratteggiare la crisi modernista della società contemporanea ma vuole
essere propositivo nel rimarcare la necessità dell’impegno da parte degli intellettuali nel ristabilire
in Europa i princìpi e i valori fondamentali, e nel volere urgentemente abbandonare un falso
egualitarismo e relativismo.
Ribadisce dunque quali priorità: l’affermazione della vita, la protezione della famiglia fondata sul
matrimonio tra un uomo e una donna, l’incoraggiamento alla natalità e alla sensibilizzazione
all’“inverno demografico”, l’affermazione della binarietà sessuale e il rifiuto di una ideologia di
genere, l’affermazione della libertà di pensiero, di espressione e d’educazione, la difesa della
riproduzione naturale e la marcata opposizione alla “maternità surrogata” e a tecniche di
fertilizzazione in vitro, lo sviluppo del potenziale della natura umana. Così conclude il manifesto:
«“Uno di noi” cerca di promuovere la vita umana in tutte le sue dimensioni ridando forza ai princìpi
1 www.tempi.it/per-uneuropa-fedele-alla-dignita-umana/
e agli ideali che hanno permesso la nascita e la continuazione della civiltà europea. Siamo motivati
più dall’entusiasmo e dalla speranza che dai nostri motivi di scontentezza o di sofferenza. Nel
disordine e nell’agitazione, noi vogliamo l’ordine giusto e la serenità. Nell’oscurità, cerchiamo la
luce».
Oltre a Rémi Brague, sono intervenuti al terzo forum: Katalin Novák, ministro per la Famiglia e
le politiche per la Gioventù del governo ungherese, Assuntina Morresi, docente di chimica fisica
all’Università di Perugia e membro del Comitato nazionale per la bioetica, il matematico Oliver
Rey, CNRS, Université Paris 1 Panthéon-Sorbonne, il filosofo Pierre Manent, direttore all’EHESS,
e il presidente della federazione “Uno di noi” Jaime Mayor Oreja, politico spagnolo del Partito
Polare Europeo già ministro degli Interni del governo Aznar.
il Movimento per la vita ha voluto rimarcare alla presenza di centocinquanta intellettuali e membri
delle associazioni pro-life.
C’è ora da sperare che la luce che si cerca nel buio pian piano emerga, seppur in modo inizialmente
lieve ma certo. Il lancio di questa piattaforma culturale è significativo, sia per l’impegno, nobile e
coraggioso, che vede riuniti per la prima volta intellettuali di diverse nazioni ed esponenti di molte
associazioni, sia per la provocazione che implicitamente rivolge a quelle istituzioni che in
primis dovrebbero interpellarsi sulla proposta culturale da loro sempre più dimessamente e
confusamente avanzata in ambito sociale, formativo ed educativo.
Il testo del manifesto
Per un’Europa fedele alla dignità umana
Sembra che negli ultimi decenni l’Europa sia rimasta senza morale. Per questo appaiono tanti segni
di scoraggiamento. Non si tratta di un conflitto fra due Europe alternative e rivali ma di una crisi
morale profonda che minaccia la sopravvivenza stessa della Europa come civiltà. Resta da vedere se
si tratta di una crisi che conduce ad un rinascimento o dell’annuncio del crepuscolo, della fine
dell’Europa.
La crisi attuale
Da molti secoli l’Europa vive della fedeltà ad una triplice eredità che essa riceve dalla filosofia
greca, dal diritto romano e dalle religioni della Bibbia: l’ebraismo ed il cristianesimo. A questo
bisognerà aggiungere due sue creazioni proprie: la scienza moderna e il riconoscimento delle libertà
fondamentali. Senza questa eredità non si possono comprendere né la cultura europea né le sue
grandi creazioni artistiche. Non è un caso che la Università sia stata una delle espressioni più alte
della civiltà europea, la sua grande istituzione culturale. La grandezza dell’Europa, la sua missione
comune nei riguardi dei popoli e delle nazioni, deriva da questa triplice eredità a da queste sue due
grandi creazioni.
È anche in questo spirito che alcuni dei padri fondatori della Comunità europea hanno agito, con
l’intenzione di rendere impossibile una guerra in Europa. È nello stesso spirito che oggi “Uno di
Noi” intende difendere la vita opponendosi a certe derive presenti nell’Unione Europea.
Se l’Europa muore la causa sarà una mancanza di fedeltà a se stessa. In effetti la crisi attuale è il
risultato dell’indebolimento di questi cinque elementi costitutivi della sua identità.
§ La filosofia ha subito il duplice attacco della negazione della sua definizione autentica come
ricerca della verità, e la sua sostituzione con altre forme di ricerca, in particolare scientifiche,
certamente apprezzabili, che però appartengono a un altro ordine.
§ Lo spirito del diritto romano è in agonia davanti al positivismo giuridico che pretende che
qualunque cosa possa essere diritto purché assuma la forma di una legge dello Stato
approvata a maggioranza e davanti all’ “uso alternativo del diritto”, che lo pone al servizio di
interessi politici o ideologici.
§ Un laicismo radicale e militante che diffonde una specie di “cristofobia”. Non solo si nega la
fede cristiana ed il suo valore, ma anche il suo contributo alla cultura europea, mentre è
evidente che l’Europa le deve il meglio della sua arte, del suo pensiero e dei suoi costumi.
§ Nemmeno la scienza è libera da minacce, come il disprezzo nei confronti della scienza pura, il
relativismo e l’idolatria della tecnica.
§ Lo Stato di diritto fa fatica a difendersi dai suoi propri errori ma anche dagli attacchi dei regimi
totalitari o demagogici e dalle azioni di coloro che cercano di imporre le loro rivendicazioni
con le manifestazioni di piazza e con la violenza.
Non mancano sintomi che confermano questa diagnosi. Fra gli altri la caduta del tasso di natalità, la
crisi della famiglia e del matrimonio, la negazione dell’identità culturale dell’Europa e dei suoi
elementi costitutivi; la moda del relativismo, il multiculturalismo, gli attacchi alla libertà di
coscienza e di espressione, la negazione del senso della vita, il rifiuto della oggettività dei princìpi
e delle regole morali, l’accettazione sociale dell’aborto, dell’eutanasia e di altri attentati contro la
dignità della vita umana, l’ideologia di genere e certe forme di femminismo radicale, le ingiustizie
come la miseria, il degrado delle condizioni di vita, le guerre o lo sfruttamento dei minori, la
negazione del senso del dolore, considerato come il male supremo, l’occultamento della morte, il
disprezzo della persona come essere unico e responsabile, l’espansione dell’ateismo. In poche
parole, la disumanizzazione dell’uomo.
L’impronta del cristianesimo
Questi ultimi fatti, cioè l’espansione dell’ateismo e la sua conseguenza che è la negazione della
condizione umana in ciò che ha di più sacro, più che sintomi sono le cause principali di una crisi
che si può superare solo recuperando il senso di queste grandi realtà minacciate: la filosofia, il
diritto, la religione, la scienza e la garanzia delle libertà fondamentali.
Fra i contributi delle religioni bibliche, ed in particolare del cristianesimo, alla formazione dello
spirito europeo, si trovano l’idea di un Dio personale e dell’amore come essenza di Dio, la
concezione della persona e della sua dignità, il senso della creazione, la speranza di una pienezza di
vita immortale, la libertà e responsabilità dell’uomo (nozione, questa, condivisa con il pensiero
classico), l’idea della coscienza o della soggettività e del primato della vita interiore in cui si
incontra la verità, il perdono e il comandamento dell’amore universale, lo sviluppo del concetto di
sovranità popolare, della libertà e dei diritti umani.
È soltanto nello spazio in cui il cristianesimo ha segnato gli spiriti e le istituzioni che sono potuti
apparire e svilupparsi l’Illuminismo, i regimi politici moderni e la scienza matematizzata della
Natura. Ciò che temiamo, pertanto, non è la Modernità, ma solo le sue deformazioni, che forse oggi
sono dominanti. I nostri avversari non sono la libertà, la ragione e la scienza ma il dispotismo,
l’irrazionalità di una affettività incontrollata e l’ignoranza. Molti sono coloro che deplorano i mali
che soffriamo ma che contribuiscono a distruggere, certamente senza saperlo, ciò che potrebbe
curarli. Si lamentano della malattia ma al tempo stesso disprezzano la sua cura.
Quello che vogliamo
“Uno di noi” vuole contribuire al ripristino dell’Europa come forza morale positiva attraverso il
ripristino dei suoi valori e principi fondamentali.
L’Europa deve recuperare il senso della superiorità dello spirito sulla materia ed il gusto
dell’eccellenza. Deve abbandonare il cammino del falso egualitarismo e del relativismo. Una chiave
di questo si ritrova nella riforma dell’educazione, che deve recuperare, rafforzare e diffondere i
contributi benefici della civiltà europea.
I beni materiali necessari alla vita devono essere al servizio del bene comune. Il sistema proprio
dell’Europa è quello dell’economia sociale di mercato. Questa sarà sempre preferibile ai sistemi
collettivisti, purché essa tenga presente che le leggi del mercato non sono applicabili a tutti gli
ambiti della vita sociale. Esistono un gran numero di realtà e di beni che, come avevano capito già i
Romani, non sono oggetto di commercio fra gli uomini,
I nostri sforzi sono volti a risvegliare la coscienza europea, fondata sul patrimonio comune
spirituale e culturale che ha forgiato l’Europa e su una lealtà comune verso i diritti fondamentali
della persona. A tal fine vogliamo sensibilizzare l’opinione pubblica e per questo prenderemo
posizione sulle questioni più pertinenti che emergono sia nella vita politica che nel dibattito civile.
Le nostre priorità
Orienteremo in particolare la nostra riflessione e la nostra azione sulle seguenti priorità.
1- Affermazione della vita
Il diritto alla vita dipende dalla semplice appartenenza alla specie umana e non da fattori accidentali
come l’età, il sesso, il grado di sviluppo o il possesso di determinate capacità. L’embrione umano
possiede il genoma proprio della nostra specie, con caratteristiche che lo costituiscono come un
individuo unico, irripetibile e distinto da sua madre e da suo padre. Dal momento della concezione
si genera un nuovo essere umano che si sviluppa in modo continuo, coordinato, graduale e
autonomo se nulla glielo impedisce.
“Uno di noi” difenderà la vita del bambino non nato con proposte che, a seconda delle diverse
circostanze, offrano la maggiore protezione possibile della vita umana dal concepimento fino alla
morte naturale.
Allo stesso modo, “Uno di noi” veglierà sul rispetto dell’identità genetica umana. Si opporrà alle
esperienze di alterazione genetica di embrioni umani che mirano a “migliorarli” o ad attribuire loro
caratteristiche determinate, specialmente quando la sicurezza di questi procedimenti non raggiunge
il massimo che si può esigere in base all’etica medica. Le recenti notizie relative a interventi di
alterazione genetica su zigoti umani rendono urgente una tale presa di posizione.
La protezione della vita umana si va indebolendo anche al suo punto terminale: la vecchiaia, la
disabilità o la malattia incurabile. “Uno di noi” lotterà contro la legalizzazione della eutanasia e
contro l’accanimento terapeutico e promuoverà le cure palliative che rispettano la vita della persona
nella sua fase terminale.
2- Protezione della famiglia fondata sul matrimonio fra uomo e donna
La tendenza attualmente dominante in Europa è quella del declino del matrimonio come
fondamentodella famiglia. L’ortodossia “progressista” difende e promuove “l’apparizione di nuovi
modelli di famiglia”. Noi al contrario pensiamo che stiamo vivendo una crisi della famiglia che ha
effetti assai nocivi per l’avvenire della nostra società.
“Uno di noi” si oppone alla ridefinizione del matrimonio (oggi l’introduzione del matrimonio fra
persone del medesimo sesso, domani la poligamia, ecc.) ed appoggerà le misure dirette a proteggere
la famiglia fondata sul matrimonio fra un uomo e una donna.
3- Incoraggiamento della natalità e sensibilizzazione a riguardo dell’”inverno demografico”
Un tasso di natalità largamente inferiore a quello che permette il rinnovamento delle generazioni
conduce il continente verso il declino socio-economico, rende insostenibile a lungo termine lo Stato
sociale e porta, se prolungato indefinitamente, alla pura e semplice estinzione.
“Uno di noi” appoggerà misure volte a sostenere la natalità e sensibilizzerà la società europea sulla
gravità dell’inverno demografico.
4- Affermazione della binarietà sessuale e rifiuto della ideologia di genere
L’umanità è composta di uomini e di donne. La cosiddetta “teoria del genere” pretende tuttavia di
sostituire la nozione biologica di sesso con quella culturale di “ genere”, che sarebbe costruita e
convenzionale. Questa ideologia, che non ha alcun fondamento scientifico e sopprime uno dei
fondamentali pilastri antropologici (l’umanità sessuata), vuole imporsi come modello educativo.
“Uno di noi” opererà perché questo modello non possa imporsi; promuoverà invece una educazione
sessuale e affettiva integrale che rispetti le convinzioni morali delle famigliee non comporti una
sessualizzazione prematura dell’infanzia.
5- Affermazione della libertà di pensiero, di espressione e di educazione
Siamo pericolosamente vicini ad una dittatura del “politicamente corretto”. Una nuova asfissiante
ortodossia che, paradossalmente, coincide col più assoluto relativismo intellettuale ed etico, soffoca
la libertà di dibattito in tutta Europa, che sia nelle università, nei parlamenti e nei mezzi di
comunicazione.
“Uno di noi” difende la libertà di pensiero, di espressione e di educazione in tutti gli ambiti della
cooperazione europea e denuncerà , ove si verifichi, l’uso abusivo dei “ delitti di odio” o della
proibizione di “discriminazioni” come strumenti di terrore e di imposizione di una uniformità
ideologica.
6- Affermazione della riproduzione naturale; opposizione alla gestazione surrogata
La cosiddetta “gestazione surrogata” implica la cosificazione della gestante, ridotta ad essere un
“contenitore” spersonalizzato, e la mercificazione della riproduzione (utero in affitto) .
Per questo “Uno di noi” appoggia il divieto di “gestazione surrogata”, mentre promuove
contemporaneamente alternative lecite per le coppie formate da un uomo e da una donna che hanno
difficoltà nella generazione o nella gestazione, come l’adozione. Ugualmente si opporrà alla
eventuale produzione di uteri artificiali come alternativa alla riproduzione naturale.
7- Sviluppo delle potenzialità della natura umana
I progressi delle tecnologie NBISC ( nanotecnologie, biotecnologie, informatica, scienza cognitiva)
potrebbero presto permettere l’alterazione dei fondamenti stessi della natura umana.
Non ha senso progettare una tale alterazione quando tanti aspetti inerenti alla natura umana così
come essa è già oggi restano da promuovere. E cioè lo sviluppo della solidarietà, il rispetto
dell’altro, il miglioramento delle condizioni di vita specialmente nei paesi meno avanzati, la lotta
per migliorare la salute, l’educazione e tutto ciò che contribuisce al benessere, ecc.
“Uno di noi” si oppone dunque ai progetti cosiddetti “transumanisti”: la modificazione genetica
dell’embrione umano, la creazione del “superuomo” in laboratorio, la criogenizzazione umana.
Queste pratiche potrebbero implicare la fine dell’unità della specie, che sarebbe allora divisa in
diverse umanità con capacità differenti, e potrebbero anche condurre alla fine dell’uomo così come
noi oggi lo conosciamo.
Conclusione
“Uno di noi” cerca di promuovere la vita umana in tutte le sue dimensioni ridando forza ai princìpi
e agli ideali che hanno permesso la nascita e la continuazione della civiltà europea. Siamo motivati
più dall’entusiasmo e dalla speranza che dai nostri motivi di scontentezza o di sofferenza. Nel
disordine e nell’agitazione, noi vogliamo l’ordine giusto e la serenità. Nell’oscurità, cerchiamo la
luce.
(Traduzione dal francese di Rodolfo Casadei)
1
Leçon inaugurale de la Fondation Jérôme Lejeune
R. Brague 9 octobre 2018
Je ne suis nullement spécialiste des questions qui sont les vôtres et que ces cours vous
permettront d’approfondir. Mais au fond, cela tombe bien, car j’ai à vous dire des choses
qui, j’espère, ne feront pas double emploi avec l’enseignement qui va vous être dispensé.
Je voudrais ici mettre en avant quelques idées. J’en ai trouvé sept.
1) Il n’existe pas une « bio-éthique ». Il est commode de forger ce terme pour désigner un
domaine particulier de la morale. Je viens de dire que le mot de bio-éthique était commode.
C’est ce qui l’a fait créer en 1926 par un théologien allemand du nom de Fritz Jahr (1895-
1953). Il entendait par là une extension du respect de la vie aux animaux et végétaux. La
commodité du terme est indéniable ; mais il faut voir aussi à quoi il sert concrètement.
C’est souvent à isoler un domaine, à installer autour de lui un cordon sanitaire pour le
mettre à l’abri des exigences de la morale commune. Si bien que, pour citer une formule
bien frappée d’Olivier Rey, « la ‘bioéthique’ consiste à approuver ce que l’éthique
réprouve1 ».
Or, il n’existe pas de morales spécifiques. Par exemple, on parle souvent de « morale
sexuelle ». En tout cas, quand on ose encore parler de morale, on a même tendance à la
réduire à cela. Au point que « immoral » signifie pour la plupart de nos contemporains
quelque chose comme « débauché », alors qu’on ne songerait pas à appeler « immoral »
l’auteur d’un crime. Il n’existe pas plus de morale sexuelle que de morale automobile,
même si un conducteur n’est pas censé faire n’importe quoi : il doit observer des
comportements qui lui permettent de ne pas mettre en danger sa vie, celle de ses passagers,
celle des piétons et des autres conducteurs.
Ce qui existe réellement, ce sont des applications de la morale commune à des domaines
particuliers. Les règles les plus générales de celle-ci (les maximes) comme la « règle d’or »
ou celles qui en sont la monnaie, comme les Dix Commandements, s’appliquent aux
domaines les plus divers. Ne pas tromper son conjoint // ne pas tricher aux cartes // ne pas
gruger ses clients sont des règles parallèles. Les domaines sont différents : conjugal,
ludique, économique, mais le principe est le même. Il y a certes une différence de gravité
entre l’adultère et la triche aux cartes, mais le principe est le même : transgresser des règles
dont on suppose que les autres les respectent.
2) On considère communément comme une évidence le fait que l’on demande le
témoignage de médecins, et même qu’on leur accorde une autorité là où il s’agit de se
prononcer sur la légitimité d’une pratique. Certes, ils ou elles disposent des instruments
adéquats et des connaissances qui leur permettent de s’en servir de façon convenable. Mais
1 O. Rey, Leurre et malheurs du transhumanisme, Paris, Desclée De Brouwer, 2018, p. 46.
2
cela suffit-il ? Voilà qui est loin d’aller de soi. Il faut ici distinguer : d’une part, il y a le
médecin en tant que médecin, comme détenteur d’un savoir et d’une expérience qui lui
permettent d’accomplir certains actes dont d’autres sont incapables. Il y a d’autre part le
médecin comme être humain qui a étudié la médecine et qui, en outre, comme tout être
humain, a d’autres dimensions : une vie privée, éventuellement une vie de famille, une vie
économique comme consommateur, une vie politique comme citoyen. Il ou elle a en tout
cas une conscience, nourrie ou non par une vie philosophique, spirituelle et/ou religieuse.
Celui-ci, que j’appellerai avec un sourire l’homme-médecine, est bien sûr appelé à se
prononcer sur la légitimité morale de ses propres pratiques. Il les connaît de l’intérieur,
puisqu’il y est passé maître. Mais sa compétence pour juger de leur valeur morale est
exactement la même que celle de tout être humain et son jugement a le même poids, ni
plus, ni moins.
Le premier, que j’appellerai le technicien, n’a, en tant qu’il est simple détenteur d’un savoir
et d’un savoir-faire, aucun jugement à porter sur la valeur des actes qu’il pratique. Certes, il
a de ces actes une connaissance de première main que les autres ne possèdent pas. Mais
risquons une comparaison, la question de la peine de mort. Le seul technicien compétent en
la matière est le bourreau—le patient ayant en général un avis biaisé avant l’opération et du
mal à le donner après celle-ci. Or, qui songerait à inviter un bourreau sur un plateau de
télévision où l’on discuterait de la peine de mort ?
Plus sérieusement, mais dans le même ordre d’idées, on peut noter, et j’ai déjà eu
l’occasion de le faire, un intéressant glissement dans l’usage de l’adjectif « médical ».
Naguère, il désignait encore une activité thérapeutique, orientée vers une fin déterminée, à
savoir, traiter une pathologie. Aujourd’hui, on entend souvent par là n’importe quel acte, y
compris donner la mort, pourvu que cet acte soit accompli par des gens diplômés, en blouse
blanche et dans un milieu antiseptique—et bien entendu s’il donne lieu au versement
d’honoraires.
3) Nos arguments sont purement rationnels et donc de portée universelle. Nous ne roulons
pas pour nous-mêmes, mais pour l’humain en général. Nous nous fondons sur une
anthropologie de valeur universelle.
Il est bien connu, c’est enfoncer des portes ouvertes que de le rappeler, qu’il existe
plusieurs formes de solution aux problèmes posés par le caractère sexué de la reproduction
humaine. Il existe donc plusieurs formes de familles : polygamie, polyandrie, etc. Il existe
plusieurs formes de parentalité, p.ex. des sociétés dans lesquelles les enfants sont élevés par
les frères de la mère et non par le géniteur. Les ethnologues nous bassinent avec la diversité
humaine et nous rappellent jusqu’à l’écœurement que le mariage monogame n’est qu’une
forme parmi d’autres. Il y a en tout cas un point commun à toute la reproduction humaine,
il est biologique : pour faire naître un enfant, il faut un père qui l’engendre et une mère qui
le porte et l’enfante. Or, il est intéressant de remarquer que le mariage monogame, tel qu’il
s’est développé dans la lignée de civilisation qui a abouti à nos sociétés démocratiques et
industrielles, est celui qui serre au plus près le naturel.
Un signe du caractère universel de nos arguments est la Manif pour tous de 2013. A la
différence de la grande manifestation pour l’école libre en 1984, elle ne défendait pas les
3
intérêts des catholiques, mais ceux des enfants à naître, quels qu’ils soient. C’est d’ailleurs
pourquoi j’y ai participé, alors que, tout aussi catholique, et même avec des jambes de
trente ans de moins, j’étais resté chez moi en 1984. On rappellera la paresse intellectuelle,
l’illusion des médias (si ce n’est leur mensonge) quant au caractère confessionnel du
mouvement. Certes, l’Église conserve une capacité de mobilisation que peu d’organisations
possèdent encore ; d’où la présence de beaucoup de catholiques dans les rangs des
manifestants. Mais il ne s’agissait pas d’un combat des catholiques en tant que tels, encore
moins d’un combat pour défendre le bifteck des cathos.
Or, que l’on puisse défendre autre chose que son bifteck à soi est de moins en moins bien
compris. En 2013, on entendait souvent dire, par des gens bien intentionnés : « Mais
pourquoi, vous autres chrétiens, vous opposez-vous au prétendu ‘mariage pour tous’ ? Cela
ne vous retire rien ; cela ne vous empêche nullement de continuer à voir dans le mariage un
sacrement, et donc de vous marier à l’église, entre personnes de sexe opposé. Chacun a sa
conception de ce qu’est un mariage ! » Cette objection est abjecte. Elle suppose que l’on
n’aurait le droit de se soucier que de son propre avantage catégoriel. Et pas, par exemple,
du bien de l’enfant, quel qu’il soit, que l’on prive d’un père ou d’une mère.
4) J’ai dit plus haut qu’il n’y avait pas de morale biologique. Je généralise : Il n’existe
même pas de morale avec une épithète : laïque, juive, bouddhique, islamique, « moderne »,
etc. Ce que l’on appelle ainsi, ce sont des coutumes, éventuellement rattachées à une
autorité divine. Et voici le plus dur à avaler : Il n’existe pas de morale chrétienne. Les
Chrétiens s’efforcent de respecter la morale commune.
Car morale commune il y a. Les sages de tous les temps et de toutes les civilisations
s’accordent sur des principes de base. Ils constituent ce que C. S. Lewis, dans un livre dont
je vous recommande la lecture, appelait le Tao. Cet universitaire anglais, converti au
christianisme, avait choisi à dessein ce mot chinois pour ne pas donner l’impression de
prêcher pour sa propre religion2. Ledit Tao constitue un ensemble de préceptes qui
s’articulent les uns sur les autres, et forment un équilibre toujours délicat à négocier.
Qu’est-ce qui varie, alors ?
D’une part, l’accent mis sur certaines vertus plutôt que sur d’autres. C’est à cela que se
limitent les « mille et un buts » dont parlait Nietzsche. Les Grecs, les Perses, les Hébreux
faisaient porter l’accent sur différents modèles d’excellence humaine3. Certains exaltaient
la bravoure militaire, mais personne parmi les autres ne prêchait la lâcheté ; certains
mettaient au premier rang la véracité, mais personne parmi les autres ne recommandait le
mensonge ; certains insistaient sur le respect dû aux parents, mais personne parmi les autres
ne demandait qu’on leur crache dessus, etc.
2 C. S. Lewis, The Abolition of Man, Oxford, 1943, ch. 2 : The Tao ; tr. I. Fernandez : L’Abolition de
l’homme, Ad Solem, 2015, p. 59-77 et Appendice, p. 101-113.
3 Nietzsche, Also sprach Zarathustra, I : Von tausend und Einem Ziele, in : Kritische Studienausgabe,
Munich, dtv, 1980, t. 4, p. 75. Allusions à Homère, Iliade, VI, 208 ; Hérodote, I, 136, 2 ; Exode 20, 12.
4
D’autre part, ce qui varie, c’est le domaine d’application. La plupart du temps, les règles
morales valent à l’intérieur d’un groupe. Le « prochain » (ער) que la loi de Moïse oblige à
« aimer comme soi-même » (Lévitique, 19, 18) signifiait à l’origine, le contexte le montre,
le membre du même groupe ethnique. En revanche, ceux qui sont étrangers au groupe sont
de bonne prise.
Quelques exemples : on peut voler les poules d’un gadjo, mais on doit respecter la propriété
de l’autre tzigane ; on peut tuer un ennemi ou un mécréant, mais on doit protéger ses
concitoyens ou ses frères dans la foi ; on peut asservir un nègre, mais on doit veiller aux
droits du gentleman blanc ; on peut racketter un cave, mais on doit être régulier envers les
autres membres du milieu, s’ils sont de la bande, etc.
5) Les Chrétiens voient de l’humain là où les autres n’en voient pas, n’en voient pas encore
ou n’en voient déjà plus. Il me faut répéter ici ce que j’avais l’intention de développer moi-
même ailleurs, fin mai, à la Valence espagnole, au congrès de One of us. Je le ferai très
brièvement, en disant : Les Chrétiens voient de l’humain de plein droit là où les autres n’en
voient pas, ou ne voient que de l’humain au rabais. Dans l’Antiquité, ils se faisaient déjà
remarquer parce que, pour eux, une femme, un embryon ou un nouveau-né, un esclave, un
païen étaient aussi pleinement humains qu’un mâle, qu’un adulte, qu’un homme libre,
qu’un juif.
Il importe de prendre conscience de nos vrais ancêtres intellectuels. Nous l’ignorons trop
souvent, et même, pire, nous acceptons trop facilement de nous laisser enfermer dans la
généalogie réactionnaire dont nos adversaires nous affublent. Historiquement parlant, nous
sommes les successeurs des anti-esclavagistes qui réclamaient l’abolition de la traite, puis
celle de l’esclavage ; nous sommes les successeurs des socialistes du XIXe siècle (mais
aussi des légitimistes, d’ailleurs) qui réclamaient l’interdiction du travail des enfants ; nous
sommes les successeurs des suffragettes qui réclamaient le droit de vote pour les femmes.
Tous ces braves gens étaient d’ailleurs eux-mêmes les héritiers des Chrétiens, qu’ils l’aient
été consciemment ou non, volontairement ou non.
6) Peut-on dire que le christianisme « interdit » telle pratique, comme, dans l’Antiquité,
l’exposition des nouveaux-nés indésirables ou comme, aujourd’hui comme autrefois,
l’avortement ? Ce n’est pas faux, mais c’est laisser de côté l’essentiel. La prétendue
« interdiction », une forme de « répression », est en fait le revers négatif de quelque chose
de tout à fait positif. Elle est la conséquence d’un regard que l’on a décidé de porter sur la
réalité.
Ce regard qui voit de l’humain là où les autres n’en voient pas, de quelle nature est-il ? Il ne
relève pas de l’optique des yeux de chair. On peut observer pendant des heures, ou même
en s’aidant d’un microscope, un embryon, un nourrisson, un comateux, etc. sans y voir une
personne. On songe au mot attribué à Cabanis ou à Broussais : « L’âme ? Cela fait trente
ans que je dissèque, et je n’ai jamais rencontré cet animal-là ! » Mais chercher l’âme dans
un corps in-animé, c’est-à-dire, par définition, privé d’âme, les médecins auraient pu y
passer non pas trente ans, mais trente siècles...
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Mais même un adulte en pleine possession de ses facultés ne se révèle pas d’emblée comme
une personne. On peut très bien décider de n’y voir rien de plus que du « matériau
humain », en différents styles : un consommateur à satisfaire, un client à fidéliser, un
organisme à réparer, un électeur potentiel à faire bien voter, un objet érotique à baiser, de la
chair à canon à envoyer au casse-pipes, une force de travail à exploiter, etc., etc. Et à
supposer que le cauchemar dit « transhumaniste » se réalise jamais, l’homme « augmenté »
aura du mal à voir encore de l’humain dans ceux qui, n’ayant pas eu l’argent pour se payer
l’implantation des puces sauveuses, seront restés au bord du chemin.
Le regard qui est ici nécessaire est d’un autre ordre. Il est plutôt, si je puis me permettre de
jouer sur les mots, moins un regard qu’un égard.
7) J’ai dit auparavant, c’était mon troisième point, que nos arguments sont purement
rationnels. Or, nous rencontrons ici un paradoxe: il n’y a plus guère aujourd’hui que ceux
qui croient en Dieu, et tout particulièrement les Chrétiens, pour défendre la raison. Les
autres n’y voient rien de plus que le résultat d’un processus de sélection naturelle, lui-même
rendu nécessaire par le jeu de forces aveugles. Nous sommes rationalistes, et peut-être
même les seuls rationalistes conséquents.
Or, notre époque restreint la rationalité au domaine des sciences expérimentales et de tout
ce qui se mesure. Selon la formule du physicien allemand Max Planck : « est réel ce qui
peut se mesurer » (wirklich ist, was sich messen läßt). Le reste de l’expérience humaine
(esthétique, morale, politique, etc.) étant abandonné à l’affectivité. Celle-ci, l’affectivité, est
en train de rompre toutes les digues par lesquelles la raison la canalisait.
Les Chrétiens ont foi en la raison, une foi qui va jusqu’à l’adoration, puisqu’ils en font
même un nom de Dieu, le Verbe. Ils confessent qu’au commencement était non la
cacophonie d’un Big Bang, mais le logos, le sens, la raison.
C’est dans la confiance en la raison créatrice que la formation que vous entamez s’enracine.
Je vous souhaite d’en profiter au maximum.
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Libérer les intelligences européennes
La plate-forme culturelle que nous lançons aujourd’hui se situe dans le sillage
de l’initiative citoyenne One of us qui, il y a déjà cinq ans, demandait le
respect de la vie humaine sur tout le parcours de celle-ci, de la conception à la
mort naturelle. On se souvient qu’elle se situait déjà au niveau européen, et
qu’elle avait recueilli près de deux millions de signatures.
Nous nous proposons aujourd’hui d’élargir la perspective et d’aller jusqu’aux
fondements de notre engagement, c’est-à-dire de tirer au clair la conception
que nous nous faisons de l’homme—pour le dire en termes un peu prétentieux,
notre anthropologie. Celle-ci n’est pas un folklore qui serait propre à une tribu
en voie d’extinction. Elle est au contraire le fondement sur lequel reposait,
qu’on le sache ou non, qu’on le veuille ou non, la civilisation dont nous avons
la chance d’être les héritiers.
1. Nous avons choisi de mentionner, dans le titre de cette rencontre, l’idée de
liberté, et même la tâche d’une libération. Il s’agit, selon nous, de « libérer les
intelligences européennes ». Ce qui suppose que des pouvoirs sont à l’œuvre,
qui s’attachent à les asservir.
Et en effet, on peut sentir un peu partout une sorte de terreur intellectuelle en
faveur de certaines représentations du monde et de l’homme. C’est une terreur
douce, non sanglante, une terreur soft. Elle reste discrète, mais d’autant plus
efficace. Elle agit, par exemple, en excluant par avance certaines questions.
Ainsi, chaque fois que l’on parle d’un débat « sans tabous », il y a fort à parier
que cela veuille dire que toutes les questions seront abordées — à l’exception,
bien entendu, de celles qui pourraient fâcher.
Cette terreur agit en sacralisant certaines prétendues « avancées », supposées
irréversibles, bloquées comme elle le sont par un cliquet sur la roue dentée de
l’Histoire. Au niveau des institutions, elle s’arrange pour que l’argent public
subventionne les organisations qui travaillent dans le bon sens, c’est-à-dire
souvent contre le bon sens… Au niveau des personnes, elle livre ceux qui
posent lesdites questions gênantes aux ricanements sur ordre des médias et à la
culpabilisation systématique par nos bons apôtres à l’esprit d’ouverture. Elle
promeut la carrière de ceux qui pensent bien, alors qu’elle bloque celle des
dissidents qui pensent, tout court. Elle donne le plus large écho aux idées
reçues, elle les répercute à l’infini, alors qu’elle tue par le silence celles qui
s’écartent du droit chemin.
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2. J’ai dit « libérer les intelligences ». Car il s’agit bien des intelligences.
Je n’ai pas dit: lever les inhibitions et donner libre cours aux passions. Que
celles-ci soient tristes ou gaies étant ici de peu d’importance, car il y a aussi
des imbéciles heureux.
Je n’ai pas dit: se laisser emporter par tous les fantasmes. Les réseaux sociaux
les véhiculent sans contrôle et sous le couvert d’un anonymat qui permet de
donner libre cours à son envie, à son ressentiment, voire à sa haine. Ces
fantasmes sont manipulés par quiconque veut conquérir ou conserver le
pouvoir.
Je n’ai pas dit non plus: se laisser envahir par des sentiments, que ceux-ci
soient de culpabilité morose envers le passé, et donc paralysants, ou qu’ils
soient au contraire d’exaltation imprudente devant l’avenir radieux que nous
promet la puissance réelle ou rêvée de la technologie.
J’ai parlé des intelligences européennes. L’usage de cet adjectif ne vise
nullement à limiter l’intelligence à une époque de l’histoire ou à un espace
géographique, encore moins à une race. Il ne prétend rien de plus que prendre
acte d’un fait: c’est dans le monde européen, augmenté de ses pseudopodes
dans le reste du globe, que la terreur intellectuelle dont j’ai parlé se laisse
observer. Et, s’il est vrai que ce qui sauve croît précisément là où le danger
culmine, c’est là aussi que nous avons une chance d’œuvrer pour la libération.
Si l’Europe, « petit cap de l’Asie » reste encore capitale — peut-être pour pas
très longtemps…, si l’Europe reste la tête pensante du monde, et si le proverbe
est vrai selon lequel la tête est ce par quoi le poisson pourrit, alors il se trouve
que nous avons notre place juste là où tout risque de se décomposer. Cette
malchance peut devenir une occasion. Quoi qu’il en soit, elle nous fait un
devoir d’intervenir.
3. Nous ne sommes pas les premiers à sentir peser sur nous une telle tâche et à
entreprendre un tel travail. A vrai dire, il sera probablement sans cesse à
reprendre, comme l’histoire nous apprend qu’il l’a été, peut-être depuis
toujours.
En tout cas, notre tentative se replace dans un héritage déterminé. Celui de
ceux qui, tout au long de l’histoire, ont défendu la raison, la liberté et la
dignité de chaque homme. Ces héros n’ont pas attendu notre vache sacrée
historiographique, les « Lumières ». Ou plutôt, la lumière n’a pas attendu le
siècle qui a cru en avoir le monopole et n’a cessé de s’en vanter.
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Quelques noms peuvent nous rafraîchir la mémoire: celui de saint Grégoire de
Nysse qui, au IVe siècle, protesta contre l’esclavage, car comment asservir une
créature faite à l’image de Dieu ? ; celui du Pape Innocent III qui, au début du
XIIIe siècle, sonna le glas de l’ordalie, bien mal appelée « jugement de Dieu »,
en interdisant aux clercs d’y participer ; celui des jésuites allemands Adam
Tanner et Friedrich von Spee, qui, au début du XVIIe siècle, s’élevèrent contre
les procès de sorcellerie et s’opposèrent à l’usage de la torture, qui extorquait
des aveux toujours trop conformes aux attentes des juges.
Plus tard, après la Révolution, les guerres de l’Empire et les débuts sauvages
de l’industrialisation, nous revendiquons aussi des ancêtres. Ainsi, les grands
enquêteurs qui décrirent la misère des familles ouvrières, les parlementaires
qui firent voter les premières lois sur le travail des enfants, les travailleurs qui
rétablirent la protection que les corporations leur avaient assurée jusqu’à leur
abolition en 1791, en lui donnant la forme nouvelle des syndicats.
4. Aujourd’hui, ce en faveur de quoi nous nous engageons — la vie, la raison,
la liberté, l’égale dignité de tout homme — tout cela pourrait passer pour des
évidences, si ce n’est des banalités. Peut-être y eut-il jadis un temps béni où
ces principes étaient paisiblement possédés et partagés. Personne ne les
remettant en question, il n’était nul besoin de les défendre, ni même de leur
donner une formulation explicite.
Ces principes, il fallait seulement les faire respecter. Cela se faisait d’ailleurs
tant bien que mal, et souvent plutôt mal que bien. L’examen de conscience et
la repentance pour les fautes commises par notre civilisation, et parfois au
nom même de la civilisation, voilà une très bonne chose. Encore faut-il qu’elle
ne nous masque pas l’opportunité de battre notre coulpe sur notre poitrine à
nous et non, commodément, sur celle de nos ancêtres.
Quoi qu’il en soit de cette image du passé, il est de fait que nous vivons à une
époque où il faut réaffirmer les évidences, redire des platitudes, et où l’on ne
peut le faire sans risquer gros. Il y a déjà un peu plus d’un siècle, Chesterton
l’avait prophétisé: un temps viendra où l’on allumera des bûchers pour y
brûler ceux qui osent rappeler que deux et deux font quatre, où l’on devra tirer
l’épée pour défendre le droit de dire que, l’été, les feuilles sur les arbres sont
vertes. Nous y sommes.
5. Libérer les intelligences, ai-je dit. Mais la liberté pour quoi faire ? Eh bien,
en un sens, pour ne rien faire de particulier. La liberté est une fin en soi. Une
liberté qui « servirait » à quelque chose, une liberté qui serait donc au service,
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servante, voire servile, serait contradictoire et se détruirait elle-même. Saint
Paul l’écrivait déjà dans son épître aux Galates: « le Christ nous a libérés pour
la liberté ».
La liberté consiste pour chaque chose à être soi-même, à être ce qu’elle est, à
aller jusqu’au bout de tout ce qu’elle peut être. Ici, cette liberté est celle des
intelligences. Si celles-ci sont invitées à se libérer, c’est tout simplement pour
faire ce pour quoi les intelligences sont faites: Chercher la vérité, la
comprendre, et la dire. Non pas au sens de ce « chacun sa vérité » que l’on ne
cesse de nous seriner et dont on voudrait qu’il devienne, paradoxalement,
l’opinion commune. Non pas la vérité d’un pays, d’une civilisation, d’une
époque, d’une classe d’âge, d’un sexe et, entre autres, surtout pas celle d’une
Église. Mais la vérité de toute personne, la vérité que tous peuvent partager,
celle autour de laquelle une authentique communauté peut se rassembler dans
la paix.
Nous ne défendons aucun groupe, même pas celui ou ceux au(x)quel(s) il se
trouve que nous appartenons par notre naissance ou par nos choix. Le seul
club dont nous nous reconnaissions membres, non d’ailleurs sans fierté, est le
genre humain. Nous ne défendons les intérêts de personne de particulier, et
surtout pas les nôtres. Contrairement à ce qu’on voudrait faire croire, nous ne
roulons pas pour nous-mêmes. Bien au contraire, nous cherchons à étendre la
protection à ceux qui ne peuvent même pas encore, ou qui ne pourront jamais,
ou qui ne peuvent plus, faire valoir eux-mêmes leurs droits.
6. C’est à ceux-ci que nous prêtons notre gosier puisque nous, nous sommes
en mesure de parler. Serons-nous écoutés ? Ce n’est pas notre faute si notre
faible voix détonne dans le concert. C’est d’ailleurs le plus souvent un concert
silencieux. C’est le silence assourdissant de tous ceux qui sentent confusément
qu’ils devraient prendre la parole. Mais, comme ils se croient seuls à voir ce
qu’ils voient et à penser ce qu’ils pensent, ils se laissent intimider et préfèrent
laisser le micro aux endormeurs et aux menteurs.
Pourquoi prenons-nous la parole ? Nous n’avons pas choisi de nous sentir
responsables, quel que soit notre nombre, de ce qui concerne tous les hommes.
Nous n’avons pas choisi de nous sentir en devoir de parler. Nous n’avons
qu’une peur, c’est que les générations futures, pour peu qu’il y en ait, nous
accusent de non-assistance à civilisation en danger. Malheur à nous si nous
nous taisons!