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Andrea Camilleri - Petros Màrkaris Due Maestri del giallo si raccontano DOSSIER La Musica, Anima del popolo greco

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Andrea Camilleri - Petros MàrkarisDue Maestri del giallo si raccontano

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Foroellenico Anno IX n° 3 2006 pubblicazione bimestrale

a cura dell’Ufficio Stampadell’Ambasciata di Grecia in Italia

00198 Roma - Via G. Rossini, 4Tel. 06/8546224 - Fax 06/8415840

e-mail [email protected]

In copertina:in basso: concerto

di Mikis Theodorakis e Jorgos Dalàras, al centro: Manos Chatzidakis e Tsitsanis

Collaborazione giornalisticaTeodoro Andreadis Synghellakis

Hanno collaborato a questo numeroF. Bartellini, F. Buscemi, G. Corbò,

F. Ghidetti, T. Mavris, N. Oikonomidis, S. Pironti, T. Sangiglio, G. Serafini,

N. Venetsanou, C. Venturini

Impaginazioneeds

Per le foto si ringrazia:Athens News Agency, www.rebetiko.gr,

Elias Petropoulos autore del volume“Rembetika Tragudia” edizioni Kedros, Atene

è possibile consultare la versione digitale di Foroellenico presso il sito internet:

www.ambasciatagreca.itdove potete trovare anche informazioni

sull’attualità politica e culturale della Grecia

Questo numero è stato stampato presso il “Consorzio AGE”,

Via dei Giustiniani, 15 - 00196 Roma

In Questo Numero

4 La libertà regalatami da Serifosdi Claudio Venturini

7 La mia Greciadi Guido Corbò

10 I Maestri del “giallo”di Teodoro Andreadis SynghellakisAndrea Camilleri: “Il romanzo giallo permette di contrabbandare moltissime idee e contenuti”

14 La felicità e la sofferenza della scrittura, a colloquio con Petros Màrkaris

17 Marino Marini: il moderno ha un cuore classicodi Giuliano Serafini

19 La feta: il suo passaporto è solo grecodi Nikos Oikonomidis

22 La musica: specchio delle tradizioni

22 I canti popolari, il battito del cuore del popolo grecodi Tino Sangiglio

25 Intervista a Jorgos Papadakis, critico musicale di “Eleftherotypia”di Teodoro Andreadis Synghellakis

29 Rebetika, l’anima della musica popolare greca contemporaneadi Fernando Buscemi

33 Comunione di parole e musicadi Salvatore Pironti

37 L’“Entechno” il nuovo corso della musica grecadi Nena Venetsanou

38 Jorgos Dalàras, il geniodi Tassos Mavris

41 Yannis e gli altri. Un viaggio musicale da Olympos, nell’isola di Karpathos, fino alla Calabriadi Francesca Bartellini

43 La forte passione Greca del giovane Garibaldidi Francesco Ghidetti

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e d i t o r i a l e

Dal monte degli dei, l’Olimpo, fino agli angoli più remoti della Calabria. E poi, un salto indietro nel tempo nelBisanzio e negli anni bui dell’occupazione ottomana. Il nostro dossier è questa volta un viaggio sulle ali dellenote musicali. Un fiume di musica, per farvi ‘sentire’ le canzoni greche, per farvi cantare la nostra anima. Unfiume di poesia, che ha attraversato i secoli della storia raccontando la vita, i dolori, i sogni di intere genera-zioni. L’occasione ci è data dalla recente pubblicazione del libro di Fernando Buscemi ‘Storia della rebetica’,edito da Libreria Editrice Urso; nonché dalle parole del professore A. Melachrinos che afferma “la razza grecaha vissuto perché ha cantato”. La musica popolare ha tenuto insieme i greci nei 400 anni di schiavitù; haaccompagnato nella nuova Patria i profughi dell’Asia minore; ha consolato gli emigranti. E ancora oggi i greci,ispirati dal sole o dalla brezza marina, sono soliti cantare la vita con i versi di poeti premi Nobel come Seferise Elitis. Nella ‘lunga notte’ dei sette anni della dittatura militare tante di queste canzoni sono state censuratee perseguitate perché considerate eversive alla pari dei libri; allora, per assaporare la libertà, si sussurravanelle piccole osterie la musica di Mikis Teodorakis.

L’anima della musica greca viene spiegata in queste pagine da studiosi italiani; ed emerge nell’intervista delcantante Jorgos Dallaras, interprete raffinato e semplice dei più grandi compositori greci.

Dalla musica greca al Giallo mediterraneo. A colloquio con due tra i più grandi artefici del genere: gli scritto-ri Andrea Camilleri e Petros Markaris. I due autori parlano dei loro detective poco uguali ma tanto simili. Duetutori dell’ordine ‘sui generis’ che cercano di risolvere i casi più intricati senza l’aiuto del dna ma con la cono-scenza profonda dell’animo umano. Una bella intervista ai due protagonisti della letteratura moderna che, coni loro racconti da gustare non solo sotto l’ombrellone, sanno ricordarci quell’uomo schivo, così tanto umanoanche nei suoi difetti, che è l’uomo mediterraneo cantato da Omero.

In questo numero i nostri amici italiani, scrittori per caso, con i loro racconti su Serifos e la penisola diCalcidica, continuano a portarci in quella loro Grecia scoperta con i sandali e la macchina fotografica e amatacome solo una Patria del cuore si può amare.

Per l’appuntamento con i sapori della Grecia, protagonista è questa volta la Feta. Formaggio con tanto di cer-tificato d.o.c. europeo, compagno inseparabile del turista e tra gli ingredienti principi delle ricette greche.

Buona letturaViki Markaki

Sulle ali della musica,ispirati dal sole o dalla brezza marina

Sulle ali della musica,ispirati dal sole o dalla brezza marina

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Si dice Grecia e automaticamente il pensierocorre a spiagge incontaminate bagnate da un mareazzurro che quasi acceca. Si pensa subito allemille chiesette di un bianco virgineo macchiate

solo dalle cupole celesti e arroccate sugli scogli. Sirisvegliano i ricordi di stradine sterrate e ristoranti-ni affacciati sui porti illuminati da luci e turisti. Maqueste, diciamo la verità, sono un po’ visioni da

di Claudio Venturini

Claudio Venturini è il realizzatore di un documentario sul film di Roberto Rossellini “Roma,città aperta”, basato sul materiale conservato dalla famiglia di Aldo Venturini che fu il pro-duttore del film. Il documentario è stato presentato per la prima volta due anni fa a Saloniccoed ha rappresentato l’Italia quest’estate al festival mediterraneo della città di Lavrion, vici-no Atene.

Continua il nostro viaggio alla scoperta di alcuni tra i più affascinanti angoli della Grecia. DopoSamotracia, facciamo tappa a Serifos, perla delle Cicladi. Claudio Venturini ci prende per manoe ci conduce alla scoperta delle prelibatezze culinarie, delle tante chiesette e dei monasteri, inun’atmosfera magica che, spesso, è difficile riuscire a descrivere a pieno. Con Guido Corbò,invece, professore di fisica all’ università di Roma “La Sapienza”, ed autore di uno dei manua-li adottati più di frequente nelle scuole, risaliamo in Calcidica, nella penisola di Sithonía. Il suoviaggio parte dal ferry boat che attracca a Patrasso, nel più classico dei modi. Alle meravigliedella natura, alterna la sorpresa per la spontaneità nei contatti umani che si instaurano, tragreci e italiani, in assoluta semplicità. Anche imparando a lanciare i ciottoli - meglio se piatti eben levigati - in riva al mare.

La libertà regalatami da SerifosLa libertà regalatami da Serifos

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cartolina. Certo, innegabile che le cartoline faccia-no il loro lavoro, e se si tratta di Grecia, lo fannoforse meglio con i loro colori sgargianti, ma cattu-rare in una foto i mille ricordi che mi legano allaGrecia, e in particolare a Serifos, davvero mi sem-bra impossibile. Per un decennio il mio è stato unappuntamento fisso, ogni estate e ogni possibilesettimana libera la passavo in quest’isola, che orami porto dentro. Ho trascorso di certo delle seratecosì particolari e inaspettate che non faticherei adefinire magiche. Mi ricordo di una festa dedicata alpatrono dell’isola, in un settembre greco di qualcheanno fa, che mi avvolse all’interno di una chiesa astrapiombo sul mare. Al panigyri (la festa patrona-le) di Ai Sostis – è il nome della chiesetta dedicataa Gesù Cristo Salvatore – mi immergo per venti-quattro ore in balli, vini a profusione e specialitàculinarie – skepastaria (zuppa di ceci), luntzes (dallonza,un salume lasciato in eredità dai veneziani),marathotiganites (frittelle all’anice), fava, koftòmakaronaki (pasta corta al pomodoro) –. I turistiincuriositi si mischiano agli abitanti del luogo, un’e-sperienza impegnativa, anche dal punto di vistafisico, ma che al tempo stesso ti rende consapevo-le di aver vissuto davvero un momento unico.Durante tutto l’anno ed in particolare d’estate, allepiù di 120 chiese e chiesette sparse per lo più nellecampagne dell’isola, si svolgono i famosi panigy-ria,le feste dedicate ai Santi. Sono organizzate daiktitores, coloro che hanno assunto l’onore e l’one-re di prendersi cura di ogni singola chiesa. Offronocibo e vino ai pellegrini e commemorano così leanime dei loro defunti.

Ma di nuovo “magica” è la sola parola che mi tornain mente se penso ai diversi incontri fatti durante lemie vacanze a Serifos. Molte persone conosciutevivono gran parte dell’anno proprio nell’isola, fannolavori che non necessitano di giacche, cravatte oventiquattrore e il loro ufficio è una terrazza che dàsul mare e il solo rumore che potrebbe distrarli è

Claudio Venturini

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quello delle onde, alcontrario del trafficoche in questo momen-to sento fuori dalla miafinestra. Fragiskos,scrittore greco, e suamoglie Giosette diParigi. Nancy, un’ami-ca inglese che hadeciso di vivere glianni della pensioneproprio a Serifos, por-tando ogni estate consé i nipotini per tra-scorrere insieme levacanze. Altri amicidalla Svizzera e anco-ra dalla Germania.Una vera e propriacomunità europea chenegli anni sono diven-tati da semplici cono-scenti a veri amici, concui ogni mattina inizi a incontrarti per la colazione ola sera per sedersi ai tavolini di un locale e sorseg-giare ouzo, prima di improvvisare magari una cenainsieme in una casa o in una taverna, guidati dagliodori di olio e di dorate fritture.E alla fine, c’è proprio la libertà regalatami daSerifos e assaporata come una ricetta quasi mito-logica, come le storie, appunto, che si raccontanofra di loro gli abitanti sulciclope omerico Polifemo,accecato dal furbissimoUlisse, proprio nelle grot-te nel Nord Ovest dell’i-sola. Proprio dove percentinaia di anni i lavora-tori hanno continuato adestrarre il ferro dalleminiere, fino alla lorochiusura definitiva neglianni sessanta. E insiemealla libertà, l’amore cheormai ho per l’isola mi haspinto ad affittare pertutto l’anno una casa, checerco di raggiungere inogni momento libero. Edè fantastico poter vivereSerifos in mesi che non tiaspetti, senza turisti, allaricerca di spiaggette sco-nosciute, incontrandoanche la spiritualità checontraddistingue il monastero dell’isola, MoniTaxiarchon, dedicato all’Arcangelo Michele,costruito più di tre secoli fa e di cui si prende cura,oggi, un solo monaco, di nome Makarios (Beato).Ma anche poter avere l’occasione di scambiare

due chiacchiere e diventare amici con gli abitantidell’isola, i suoi fedeli “guardiani”, nei mesi dell’i-solamento invernale. Mi tornano sempre in mentele risate fatte al Bar di Yota, una affettuosa baristavicino alla Chora (capitale dell’isola), dove davve-ro ci si sente a casa. E scambiarsi racconti di vitacon Fedone, un greco che per puro caso si ritro-vò per eredità una casa a Serifos e che dopo un

primo approccio distan-te, quasi a voler solocapire a quanto potevarivendere la proprietà,non se ne è più liberato -la magia di cui si parlavaprima! - e che ogni annoincontro e saluto conuna domanda: “Ancoranon l’hai venduta lacasa?”Per molti anni ho divisole mie vacanze suSerifos con la mia com-pagna Claudia. E ilnostro vivere l’isola si ètrasformato anno dopoanno in un’abitudine irri-nunciabile, quasi cheSerifos fosse diventato ilterzo lato di un triangoloamoroso, ma assoluta-mente accettato, mai“incomodo”, che poi,

durante l’inverno, bastava ricordare con unosguardo tra noi per poterlo rivivere. Per sentire dinuovo il tepore del sole che sembra aver scelto laGrecia come luogo prediletto per splendere di piùe regalare i suoi raggi migliori.

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Fino all’età di trent’anni circa, la Grecia è stataper me il luogo dove era nata la nostra civiltà; doveerano nati i grandi filosofi dell’antichità. Tutto qui.D’altra parte, mia moglie, che aveva visitato laGrecia da ragazza, me ne aveva parlato in terminiche non conoscevo: la bellezza del mare, dellemontagne, degli antichi siti archeologici e, soprat-tutto, la cordialità e l’ospitalità dei greci.Finalmente decidemmo di passare una primavacanza in Grecia; nella penisola di Sithonia, inCalcidica, per l’esattezza. Io ero certamente bendisposto, ma mi aspettavo semplicemente unavacanza come le altre.Ebbene, appena arrivato a Patrasso, anzi un pocoprima, capii che la Grecia era la mia secondaPatria!Voglio raccontare brevemente il perché.A bordo della nave avevamo avuto i soliti problemiche si incontrano nel caricare la macchina e laroulotte ed eravamo stati aiutati da un marinaiocon il quale la comunicazione era praticamentegestuale: io non parlavo una parola di greco; miamoglie conosceva bene il greco antico, ma certa-mente con il greco moderno era tutto molto più dif-ficile! In pratica, con il marinaio avevamo scambia-to soltanto amichevoli sorrisi. Poco prima di arriva-re a Patrasso, dopo aver passato la notte, uscim-mo dalla roulotte e fuori… ci aspettava il marinaio

con un vassoio sul quale fumavano due caffè greciper i suoi amici italiani “una faccia, una razza”!Capii immediatamente cosa significava l’ospitalitàgreca e capii che mi trovavo a casa!Non era stata un’eccezione, quell’incontro con ilmarinaio; il seguito del viaggio continuò ad essereuna bellissima scoperta, sia delle meraviglie deiluoghi che della sincera affettuosità che trovavamoincontrando la gente.Sbarcato a Patrasso, fui colpito e affascinato daquelle che potrebbero essere considerate banali-tà ma che in me suscitarono una grande emozio-ne: le scritte sui negozi e sulle strade, in greco,naturalmente; e le voci e i richiami delle mammee dei bambini, in greco, naturalmente. Poi, soprat-tutto dai piccoli ristoranti e taverne, si udiva musi-ca: una musica bella e così diversa da quella cheero abituato ad ascoltare: a volte allegra, a voltestruggente, che certamente raccontava di amoriperduti.Su una spiaggia, vicino a Patrasso, guardavo ilmare con mia moglie; e ci scambiavamo le nostreprime impressioni di viaggio. Intanto mi divertivo alanciare sassi levigati cercando di farli rimbalzaresull’acqua. Mi si avvicinò un anziano signore cheaveva capito che eravamo italiani; con un sorrisomi offrì dei ciottoli piatti facendomi capire che quel-li erano proprio i più adatti allo scopo… Nella sem-

di Guido Corbò

La mia Grecia

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plicità e nella spontaneità del gesto, colsi ancorauna volta quella sensazione di amicizia e di ospi-talità che porto nel cuore.Decidemmo di proseguire il viaggio visitandoalcuni dei più importanti siti archeologici, prima diraggiungere la nostra meta. Di questi, ricordo inparticolare la rocca di Micene. Per me, trovarmilaggiù, a salire fatico-samente dopo esserepassato per la Portadei Leoni, fu la sensa-zione del conviveredell’antichissimo e delpresente. I siti archeo-logici greci hannoinfatti un’eccezionalefascino di “vitalità”che, almeno personal-mente, non riscontroin quelli italiani; comea Roma, per esempio,dove vivo. Qui sembrache tutto sia prontoper ricevere i turisti; inGrecia, invece, e inparticolare sulla roccadi Micene, sembrache scorra ancora lavita di tremila anni fa eche le antiche famigliesiano tornate dal lavo-ro, passando per quei

sentieri, poco prima del nostro arrivo.Visitammo altri luoghi eccezionalmente affasci-nanti, come il teatro di Epidauro e la magicaOlimpia, prima di proseguire verso nord.Arrivati finalmente in Calcidica, ebbi la visione diun dei più bei panorami del mondo: piccole baieracchiudono un mare cristallino e caldo, ideale

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...arrivati finalmente in Calcidica, ebbi la visione di uno dei più bei panorami del mondo:

piccole baie racchiudono un mare cristallino e caldo, ideale per nuotare...

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per nuotare; e alle spalle di chiguarda il mare si distende unafitta vegetazione che, verso l’in-terno, si inerpica lungo il fiancomontuoso della penisola. Ilmare, nella parte settentrionaleche si affaccia sul golfo delMonte Athos, è costellato dipiccole isole che si raggiungo-no molto facilmente e che offro-no bellissime spiagge.Proprio il Monte Athos regalapoi una visione veramentestraordinaria. Si vede infatti unampio cono roccioso che, dalmare, punta verso l’alto fino asuperare i duemila metri. Versola cima, la roccia è bianca; e lamontagna sembra sorprenden-temente coperta di neve anchein piena estate. Ho ancora negliocchi quelle prime impressionidi venticinque anni fa, che stocercando di descrivere.Ed eccomi così ora, dopoparecchi anni, sempre più inna-morato della Grecia. Ogni estate torno in questomeraviglioso paese con la mia famiglia, che nelfrattempo si è ampliata con l’arrivo di una bellissi-ma figlia (anche lei innamorata della Grecia), perpassare un mese di vacanze.Abbiamo vissuto recentemente un’altra bella espe-rienza andando a Kastellorizo per osservare l’e-clissi totale di Sole del 29 marzo 2006. Avevamo

visto quest’isola soltanto al cinema, nel film“Mediterraneo”. Arrivati laggiù, all’estremo confineorientale, abbiamo trovato una Grecia diversa daquella continentale, alla quale eravamo abituati;ma ancora paesaggi stupendi, mare incantevole etanta amicizia.Non c’è bisogno di dire che, tornati a casa, cisiamo rivisti “Mediterraneo” almeno un paio di

volte, per riconoscere iluoghi e per riviverequelle emozioni!Ecco, in sintesi, quelloche significa per me laparola “Grecia”. Daqualche anno abbiamocominciato, tutti e tre,a studiare la linguagreca; e adesso ciarrangiamo più omeno bene per capiree farci capire dai tantiamici che abbiamolaggiù.Nostra figlia, poi, vor-rebbe addirittura anda-re a vivere in Grecia!Perché no? Sarebbeper noi genitori un’oc-casione per tornareancora più spesso inquesta bellissima terrache continua a darcitanto!

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Quanto c’è di Andrea Camilleri nel carattere riflessivoe a tratti ombroso di Montalbano?

Di Andrea Camilleri credo che ci sia assai poco. È uncarattere composito, direi che si tratta di un insieme didiverse caratteristiche del carattere siciliano.

Parlando con Petros Markaris di un parallelo traMontalbano e il commissario Charítos, ci ha detto che,a suo parere, non c’è una corrispondenza tra i due“eroi”, ma tra gli ambienti, la realtà sociale, la “mediter-raneità” che li accomuna. Qual’è la sua opinione?

Concordo pienamente. Il commissario di Màrkaris,Charítos, non ha nulla del carattere di Montalbano.L’ispettore greco ha una famiglia, mentre Montalbano èun single, e ci tiene. L’ispettore greco, legge, mi pare,dizionari, mentre Montalbano legge romanzi. Piccolecose, che dimostrano, però, che ci troviamo davanti acaratteri decisamente diversi. A parte ciò, ci si deve tut-tavia domandare, per quale motivo, il romanzo polizie-sco, “di area mediterranea”, abbia assunto un’importan-za fondamentale, per la letteratura dei giorni nostri. Dalmomento che, in realtà, l’indagine sull’omicidio, è un pre-testo per mostrare uno spaccato della realtà sociale delmomento, nei vari paesi. C’è la Marsiglia di Jean Claude

Izzo, c’è il mio Montalbano, c’è la Grecia di Màrkaris edanche l’ispettore Alì, di Chraibi, che ci presenta la realtàdel Marocco. Questo è stato il grosso passo in avantifatto fare al romanzo giallo. Il contesto, sociale, economi-co, etnico, finisce col diventare di pari importanza con“l’evento” che ha mosso l’episodio del giallo.

Anche la particolarità di questa lingua italo-sicula parla-ta da Montalbano può essere uno degli elementi carat-terizzanti, particolari, a cui è dovuto il suo successo?

Questo è un bel problema. Perché è vero che in Italia,questa sorta di linguaggio semi-dialettale in parteinventato, in parte desunto dal dialetto vero, può avererappresentato un elemento di curiosità. Ma è altrettan-to vero che nel momento in cui il romanzo viene tradot-

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Maestri del “Giallo”

Una “doppia intervista”. Andrea Camilleri e Petros Markaris, due maestri del “giallo”, ci parlanodella loro ispirazione mediterranea, delle “parentele” che legano i loro protagonisti, e delle diffe-renze nella caratterizzazione più specifica dei personaggi. Una discussione che spazia, dalle let-ture utili da proporre ai giovani, sino alla possibilità di portare le storie dei commissari di poliziasul piccolo schermo, ed il loro debole per la buona cucina. Il commissario Charìtos eMontalbano, si sono in parte identificati con i loro autori, ed è, probabilmente, un procedimentoinevitabile. Ma, più di ogni altra cosa, la loro vera risorsa, è il dialogo aperto e proficuo, la comu-nicazione diretta, che si stabilisce con i lettori, oltrepassando ogni barriera sociale, travalicandole stesse categorie create dalle predilezioni letterarie. Petros Markaris e Andrea Camilleri, sonodue autori soddisfatti del loro lavoro, senza l’ansia opprimente di riuscire sempre a superare sestessi, grati alla vita per ciò che ha saputo regalargli. Foroellenico vi propone questo “dialogo adistanza”, nella speranza di riuscire a dar vita, nel prossimo futuro, ad un incontro reale, dove idue autori possano confrontarsi e riconfermare la loro stima ed amicizia reciproca.

di Teodoro Andreadis Synghellakis

Andrea Camilleri: “Il romanzo giallo permette di contrabbandare moltissime idee e contenuti”

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to, credo che per forza di cose, tutto ciò venga per-duto. Magari si tenta di riconquistarlo per altrestrade, che non sono certo quelle del dialetto. Lalingua mescitata che io ho adoperato, ha, proba-bilmente, avuto un senso. Per l’estero credo checontino molto di più - e ritorniamo al discorso diprima - l’ambientazione e il contesto.

Indipendentemente dalle intenzioni dell’autore, ognipersonaggio acquista una sua valenza, una suapersonalità. Il suo Montalbano, quanto è diventatoautonomo, negli anni? Ha acquisito carat-teristiche proprie che sono andate, forse,anche oltre le sue intenzioni?

Parliamo di un personaggio seriale - ecredo che Màrkaris si trovi nella mia stes-sa situazione - che presenta determinatidi problemi, che sono quelli della modifi-cazione del personaggio nel corso dellestorie. Se lei ne fa, come Simenon conMegret, un personaggio immutabile, eter-no, la Storia, o gli eventi della Storia chegli passano accanto, non lo sfiorano nem-meno. Mentre questi eventi sfioranobenissimo il commissario Charìtos.Altroché. Addirittura ci sono dei suoi col-leghi che sono stati con i colonnelli. Èassolutamente dentro la Storia dellaGrecia. Quindi bisogna stare molto atten-ti, perché un personaggio concepito inquesto modo, mostra una voglia di auto-nomizzazione. Nel caso mio personale,poi, la trasposizione televisiva, ha avutoun grandissimo successo. E quindi sirischia anche di essere condizionati, nonsolo dalla volontà di autonomia del personaggio,ma anche dal personaggio “altro”, che è quellotelevisivo. Confesso di dover fare una certa fatica,per non farlo “stingere” su quello letterario.

Qual’è il suo rapporto con la Grecia? La conosce?

Non sono mai stato in Grecia, e devo dire che èuno dei pochi paesi che mi fanno provare un rim-pianto. Me ne andrò con la voglia di conoscerla...Sono stato invitato, ma c’è una particolarità: il miosuccesso è arrivato tardi, e questo non è stato unmale. È stato un male per uno o due aspetti. Eduno è che la vecchiaia mi ha reso più “stabile”,con poca voglia di muovermi. Perciò, questi invitiche arrivano dall’Europa e anche oltre, devo dire,purtroppo, che arrivano tardi. Perché uno invec-chia, e, per esempio, ci sono cose che puoi e altreche non puoi mangiare... E lo dico io, che ero abi-tuato a mangiare in un certo modo, soprattuttocon un mio amico greco, Andreas Rallis. Si face-va mandare le cose dalla Grecia e mi diceva:Vieni che stasera si cena insieme. Queste cose,ormai, sono diventati ricordi, lontani nel tempo...(ride).

Come vive questo suo ruolo, che è quasi di“mostro sacro”?

L’essenziale è non prendersi sul serio, questa è la

prima cosa. Io credo di essere uno scrittore autoi-ronico, per potermi poi permettere l’ironia.Altrimenti, se prima non lo sei con te stesso, nonsei autorizzato ad essere ironico con gli altri.Questo mi salva da qualsiasi tentazione negativa.

Lei ha parlato della cucina. Anche in Montalbanoha un ruolo abbastanza importante....

Si, certo. Diciamo che non è una caratteristica delsolo Montalbano. Molti poliziotti letterari amanomangiare bene. Lo stesso Megret, tra la Brasseriee quello che gli prepara la moglie, mangia parec-chio... Montalbano non è un raffinato mangiatore.Non lo è per niente... Gli piacciono le cose genui-ne, che ai giorni nostri è sempre più difficile trova-re. Ora si comprano i filetti di pesce già pronti dariscaldare in due minuti. Quanto di peggio si possaconcepire per la buona cucina... Per mangiarebene, quindi, ci vuole, non solo il tempo per cuci-nare, ma anche il tempo necessario per poter man-giare. Montalbano, nei limiti del possibile, cerca dievitare il panino. Dedica il tempo giusto, per potergustare ogni pietanza, possibilmente in silenzio.

Si usa dire che il sonno potrebbe favorire la rifles-sione una volta svegli. In questo caso può valerelo stesso per la cucina?

A seconda dei casi. C’è chi, dopo avere mangiato,

...Lo stesso Megret, tra la Brasserie e quello

che gli prepara la moglie, mangia parecchio...

Montalbano non è un raffinato mangiatore.

Non lo è per niente.... Gli piacciono le cose

genuine, che hai giorni nostri

è sempre più difficile trovare...

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ha un momento di obnubilamento cerebrale. C’èchi, invece, come nel caso di Montalbano, dopouna bella mangiata, fa la passeggiata al molo e ilcervello diventa particolarmente produttivo...

Potrebbe indicare ai giovani un autore italiano eduno straniero a cui è particolarmente legato?

Ogni autore ha i suoi padri, anzi, è figlio di moltipadri. I miei sono sicuramente Gogol e Sterne fra glistranieri, e fra gli italiani, il Manzoni, tanto detestatoda molti. Tra i contemporanei, Gadda, Brancati ePirandello. Questi sono i nomi che posso consiglia-re, perché mi hanno portato a un certo risultato.

L’essersi occupato di regia e di testi, come autore,ha influenzato il suo lavoro di scrittore?

Indubbiamente. Innanzitutto ha condizionato lascrittura. Ad esempio, io decido di fare entrare ilpersonaggio, all’interno del romanzo, con un dialo-go, e solo dopo che ha parlato, lo descrivo. Il per-sonaggio, di solito si presenta, si mostra, e poi ini-zia a dire le sue battute. Io seguo il procedimentoinverso, un procedimento teatrale: lo faccio parlaree poi faccio vedere com’è fisicamente. Tutti i mieidialoghi hanno un taglio teatrale. I capitoli, invece,sono dei lunghissimi piano-sequenza. È inevitabi-le, perché vivendo in una civiltà delle immagini,non puoi scrivere un capitolo con gli stessi tempi e

gli stessi ritmi, che venivano usati primadel cinema e della televisione.

Mi pare che sia soddisfatto della traspo-sizione televisiva di Montalbano...

Molto, anche se è chiaro che ogni tra-sposizione, cinematografica o televisiva,è in realtà, un “tradimento necessario”.

Cercare di portare tutto quello che c’è in unromanzo, al cinema o alla televisione, è un impresain un qualche modo sbagliata. I tempi di una prosanarrativa sono totalmente diversi dai tempi cinema-tografici. Considerandolo quindi un danno, credoche il compito di un autore che partecipa alla stesu-ra di una sceneggiatura - come è stato nel mio caso- sia quello di riuscire a limitare i danni. Dire, a uncerto punto: “leviamo questo e teniamo quest’altro”.Sempre nel tentativo, di salvare lo spirito del rac-conto, piuttosto che la lettera. Un lavoro, che, leg-gendo i miei libri, può apparire facile, ma che è inrealtà molto complesso per gli sceneggiatori.Perché io sono solito scrivere, come dico, “a coda diporco”, ritornando cioè sull’argomento dopo variedivagazioni. Si tratta, tuttavia, di divagazioni soloapparenti, dal momento che sono innestate dentroil racconto. E quindi tagliare, diventa pericoloso.

Markaris ci ha detto di sentirsi molto più vicino alei che a Lucarelli, che non gli pare appartenga almondo propriamente mediterraneo. Lei cosa nepensa?

Markaris ha quasi settant’anni, io ne ho ottanta,mentre Lucarelli ne ha quaranta. Credo cheLucarelli, prim’ancora di ogni altra, cosa, abbia, ainostri occhi, la colpa della giovinezza. Ora stauscendo un lungo dialogo, molto interessante, tra

me e Carlo Lucarelli. Siamo duepersone che scrivono romanzi gial-li, con quaranta anni di differenzaanagrafica. È quindi ovvio, che io misenta più vicino a Màrkaris piuttostoche a Lucarelli, che pure stimo mol-tissimo.

Come può spiegare il fatto che il“giallo” riesca a prendere fascesociali e culturali così eterogenee?E, venendo al quotidiano, cosa nepensa della sua imitazione propostasempre più spesso da Fiorello?

Il “giallo” fa meno paura. Anche chinon legge moltissimo, si spaventameno, si accosta con più facilità alromanzo “giallo”. E così si possonocontrabbandare molte idee e conte-nuti da parte di tutti noi. Per quantoriguarda Fiorello, devo confessareche mi diverte. È stata una sua ini-ziativa, con questa storia - peraltrofalsa - del fumo... Lei può testimo-niare che io non fumo (ride ed inrealtà, ovviamente, dall’inizio del-

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Cercare di portare tutto quello che c’è in un romanzo, al cinema o alla televisione,

è un impresa, in un qualche modo sbagliata.I tempi di una prosa narrativa

sono totalmente diversi dai tempi cinematografici

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l’intervista, tiene una sigaretta in mano). Fiorello èuna delizia, perché fa dell’ironia molto garbata edelegante. Lo trovo bravissimo, ed ha anche lettosplendidamente un mio romanzo, proposto al pub-blico. Con un ritmo straordinario, con una capacitàdi comprensione naturale. Sono rimasto davveromolto contento...

Ci sono delle cose che non ha fatto fin adesso eche avrebbe voluto fare?

No. Devo dire che sono abbastanza soddisfattodella mia vita. Non credo di avere compiuto deigrossi errori di cui pentirmi. Solo piccoli sbagli chefacciamo tutti. Sulle cose importanti, credo di esse-re stato, in conclusione, in forma di consuntivo, unuomo abbastanza fortunato. Ho sempre vissuto,ho messo su famiglia, facendo il mestiere e le coseche mi piaceva fare. Se fossi stato un impiegato dibanca, non so se sarei riuscito a mettermi a scri-vere la sera, dopo esser tornato, stanco, a casa. Oun impiegato alle assicurazioni, e di esempi famo-si ne abbiamo... Non credo che avrei avuto questaforza. Perché, in fondo, sono stato abituato male,col poter fare sempre quello che amavo, riuscendoa guadagnarmi il pane.

Ha mai temuto che la sua creatività si potesseesaurire?

Sinceramente no. Credo che si esaurirà, inevita-bilmente, anche per un fatto di età. E tutto quelloche è un mutamento dovuto all’età, non lo dram-matizzo in nessun modo. Quindi non c’è nessunapaura. Vale a dire che ho avuto la saggezza, dasempre - anche da molto giovane - di sapere cheil ticket del biglietto di nascita acquistato, compor-tava, vecchiaia, decadenza, morte. È inutile che cifacciamo venire le depressioni perché non sono piùpossibili certe cose che si facevano quando si avevavent’anni. È nell’ordine delle cose, come anche l’e-saurimento di una capacità di scrittura. Uno nondice ben venga, ma è naturale che avvenga.

Sempre più spesso, però, leggiamo articoli dedi-cati alla generazione di “splendidi ottantenni”, eanche oltre... Articoli in cui viene citato lei, CarloAzeglio Ciampi, Margherita Hack, Rita LeviMontalcini... Sembra quasi che l’energia e la vogliadi vivere non si esauriscano mai. Come descrive-rebbe questo fenomeno?

Forse, a darci la voglia di vivere così a lungo, e direstare “sulla piazza”, politica, scientifica, lettera-ria, giornalistica, credo che sia stata l’esperienzadi vita. Avevamo vent’anni o poco meno durante ilfascismo e il nazismo, abbiamo conosciuto la libe-razione, abbiamo visto la rinascita e la democra-zia. Una generazione che ha vissuto, tutta, nell’or-dine della passione politica. Facendo, poi, qualun-que altra cosa, dal giornalista al bancario. Ma que-sto ci ha dato molta forza, come un bene cheabbiamo acquisito ma che temiamo di perdere.Quindi, restiamo sempre “in campana”, perchénon venga alterato. Mi spiego?

È quello chemanca oggi ai giovani?

I giovani, oggi, si sono trovati una strada abba-stanza facile. E nella facilità, ci vuole molta forzaper giudicare il proprio, relativo, benessere perquello che vale e non lasciarsi sopraffare. Unavolta i futuristi dicevano “guerra, sola igiene delmondo”. Ovviamente, non si può fare una guerraper far stare meglio i giovani, per fargli prenderepiù coscienza di sé. È chiaro. Ma è altrettanto chia-ro, che l’impegno nella società, anche solo colpensiero - non dico con le azioni - credo che giovimolto.

Com’è il suo rapporto con la Sicilia, con la suaterra, fatta di grandi chiaroscuri ?

Potrei rispondere usando gli stessi versi di unapoesia d’amore latina: odi et amo. Cioè a dire cheè un rapporto di odio e di amore. Ci sono stati deimomenti in cui mi sono vergognato di essere sici-liano, e ci sono dei momenti felici, in cui ero e sonofelice di essere siciliano.

È ottimista su una possibilità di sconfitta o margi-nalizzazione della mafia, sulla possibilità checambi qualcosa?

Ci vorrà molto tempo. E soprattutto, il maggiorrischio, oggi, è dato dall’espandersi dell’infiltra-zione politica della stessa mafia. Una volta, unimportante Procuratore della Repubblica chevenne mandato in Sicilia, Giancarlo Caselli,disse: “guardate, la mafia è un fatto umano. Equindi come tutti i fatti umani, è destinata a mori-re”. Il problema è il tempo e la volontà di farlamorire. Spesso e volentieri manca, perché intor-no a questo c’è un’enorme quantità di interessi.Tuttavia, se Dio vuole, i cambiamenti in Siciliaavvengono. Avvengono in maniera, devo dire,poco visibile, ma vanno così nel profondo, damodificare il dna. Ci vuole un po’ di tempo percambiarlo, ma una volta modificato, non si tornaindietro.

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Come può presentare agli italiani che non loconoscono, il personaggio del commissarioCharìtos? In lui, ritroviamo anche delle caratteri-stiche di Petros Màrkaris?

Si tratta di un tipico pubblico dipendente dellaGrecia, con intorno a sé una tipica famiglia greca. Èentrato nella polizia durante la dittatura dei colon-nelli ed è cresciuto professionalmente con la logicadell’impiegato medio. Quello che gli permette peròdi distinguersi, sono la sua insistenza e la suacostanza, quasi unica, nel voler arrivare alla verità,per capire cosa è successo e la convinzione - senzaperò offrire giustificazioni teoriche - di dover far pre-valere la giustizia. E cioè: i cattivi devono esserearrestati, e per i buoni, deve essere fatta giustizia.Cose semplici. Dal momento che non si sposta daquesta linea, da bravo e diligente impiegato dellapubblica amministrazione, si trova a scontrarsi con isuoi superiori. I quali, spesso, sono disposti ad arri-vare a compromessi, ad entrare in giochi, da cuiCharitòs si tiene lontano.

Esiste una somiglianza con il suo carattere?

La mia caratteristica che ritrovo in Charìtos, è ilmodo di presentare i greci e la realtà del nostropaese, con molte osservazioni comuni.

Ci può parlare dell’importanza della sua collabora-zione con il regista Theo Angelopoulos?

Per ciò che riguarda il lavoro ed il rapporto perso-nale che si è instaurato, non posso che dire bene.Nel senso che, ho collaborato con un regista a cuidobbiamo opere che amo molto. Ho provato ancheun grande piacere nella parte pratica quotidiana,del lavoro e nel rapporto umano. Lavorare conAnghelopouolos, è davvero un’esperienza moltopositiva. E poi, credo che questa collaborazione,abbia fatto nascere anche un’amicizia che duraormai da trentacinque anni.

Nel libro “Il Che si è suicidato”, il commissarioCharìtos, malgrado sia costretto a rimanere a letto,indaga sul suicidio di tre vips, avvenuto in direttatelevisiva. Trae ispirazione anche dall’attualità, chepoi rielabora narrativamente?

Vorrei esprimermi con parole simili, ma non deltutto identiche. Il mio punto di partenza, è semprecostituito da dei fenomeni che osservo nella socie-tà. Fenomeni di tipo sociale, politico, ma non stret-tamente personali. Non mi interessa il delitto det-tato da motivazioni personali.

Con il suo sguardo riesce a vedere sin dall’inizio il

punto di arrivo, oppure ogni storia ha un grandis-simo tasso di libertà, di autonomia creativa?

Non so mai come andranno a finire le mie storie.Ho in mente solo uno schema a grandi linee, manon conosco mai con precisione dove mi condurràla trama.

La realtà sociale di oggi, a suo avviso, offre moltispunti per uno scrittore?

Credo che si tratti di una realtà fosca. Una realtàideale, per un autore di libri gialli.

Ha visitato numerosi paesi europei. I suoi libri sonostati tradotti in molte lingue ed all’estero il suonome viene identificato, molto spesso, con aGrecia. Si tratta di un peso, di una responsabilità,di un onore? Come lo vive?

Credo che uno scrittore possa parlare del suopaese, della sua società, con cognizione. “Paese”non nel senso di nazione, ma più come realtà poli-tica e culturale. È normale, quindi, per me che vivoqui ed uso la lingua di questo popolo, far nasceretutte le mie storie dal contesto greco. Come è d'al-tronde naturale che Camilleri parli della Sicilia, eche Montalbàn parli di Barcellona. Così anch’io, viparlo di Atene. Allo spesso tempo, bisogna tenerconto anche di un altro parametro: dal momentoche le caratteristiche sociali del romanzo giallocontemporaneo sono così forti, come logica con-seguenza, abbiamo uno strettissimo rapporto conla città. Un fenomeno che si può osservare in tuttoil mondo del “giallo”, non solo nei miei libri.

Come vive il fatto che la Grecia, che nel secoloscorso, è stata spesso identificata con la poesia,con Elitis, Kavafis, Ritsos, Seferis, venga oggi rap-

La felicità e la sofferenzadella scritturaa colloquio con Petros Màrkaris

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presentata e “riconosciuta”, anche grazie ad unoscrittore di “gialli”?

La precedenza e la predominanza della poesianelle lettere greche, non ha avuto solo conseguen-ze positive. Certo, abbiamo offerto al mondo ungran numero di poeti, che da unpiccolo paese, nessuno si sareb-be aspettato. L’altra faccia dellamedaglia, è che la lingua dellapoesia, è diventata così forte, dadanneggiare la prosa. Per moltis-simi anni, gli scrittori greci, dava-no peso alla parola e non alla sto-ria. Cosa che ha portato, inevita-bilmente, ad una difficoltà dicomunicazione col lettore euro-peo medio, che chiede prima ditutto una buona storia, e poi unostile accurato. Noi, però, influen-zati dalla poesia, abbiamo datoprecedenza allo stile, ponendodegli ostacoli all’affermazionedella prosa neogreca nel conte-sto europeo. Io ho cercato ditenere sempre in mente la storia,il come riuscire a sviluppare ilµυ′ θος ho evitato di cadere anche in un’altra trappo-la: non ho accettato, che per soddisfare i lettorieuropei, avrei dovuto creare un romanzo con per-sonaggi cosmopoliti, che girano tutto il VecchioContinente. Io sono stato sempre convinto del fattoche una storia avvincente, con personaggi interes-santi, si può svolgere ad Atene, a Naussa, aBucarest o in qualunque altro posto. La gente laleggerà comunque.

Lei ha una identità cosmopolita. Sua madre eragreca, suo padre di origine armena, è cresciuto aCostantinopoli, è vissuto a Vienna ed inGermania. Si definisce “prima di tutto europeo”.Questa sua molteplice identità - che caratterizzaun buon numero di greci- aiuta e influenza il suolavoro di scrittore?

Molto, moltissimo. Sentendomi a mio agio in unvasto spazio geografico e culturale, posso rivolge-re uno sguardo più attento al particolare, alla real-tà greca. In modo più chiaro, in armonia con ilresto dell’Europa. Per uno scrittore che vive in unpaese il quale appartiene oggi ad un Unione aventicinque membri, questa è una cosa moltoimportante. Ovviamente, scrivo partendo dalla mialingua e dal mio paese. Questo però non significa,che nel mio sguardo, nel mio modo di interpretarele cose, non ci sia anche un riferimento alla piùvasta realtà europea.

Il suo rapporto con la scrittura è più un bisognoimpellente o un piacere?

Avrà sentito molti genitori dire ai figli: “ho una clini-ca intera che ti aspetta. Se non diventi medico tidiseredo”. Oppure: “figlio mio, abbiamo uno studiolegale avviato, devi fare l’avvocato”. Ha mai sentitoun genitore dire al figlio “se non diventi un artista ti

diseredo?” Mai. Perché l’arte, oltre al meravigliosorapporto con gli altri e con te stesso, no ha nien-t’altro da offrirti. Quando decidi di scrivere, o più ingenerale, di dedicarti all’arte, lo fai perché la senticome necessità impellente, perché non puoi farealtrimenti. Quindi, è prima di tutto un bisogno. A

volte - ma non sempre - è ancheun piacere. Può essere anche unpotente veleno. Il tutto dipendedal processo creativo, che non èmai fatto solo di fiori, di lussi e diagi. È anche un processo pienodi tormento, che ti tiranneggia, titortura l’anima.

Cosa ci può dire delle sue lettu-re?

Posso dire che oggi, a sessanta-nove anni, leggo con la stessapassione di quando ne avevodiciannove. Leggo riviste di poli-tica e di cultura, libri, romanzi,ricerche. Di tutto. E che per me,la lettura è un grande piacere.Fortunatamente, non sonoentrato nella logica secondo laquale la casalinga che frigge i

pesci, poi non se li vuole mangiare. Io li friggo eme li mangio senza alcun problema, con grandegoduria.

Se dovesse dare un consiglio a un giovane chedeve iniziare a leggere, o provare ad approfondi-re, cosa gli direbbe? Cos’è che l’ha portata avoler scrivere?

Ad un giovane che desiderasse avvicinarsi alla let-tura, consiglierei di leggere comunque e sempre, diprovare ad opporsi ad una cultura televisiva cheviene imposta oggi nella società e non solo inGrecia. La televisione, spadroneggiando ovunquesenza limiti, diventa un fattore negativo.Consiglierei quindi i giovani di cercare di riequili-brare la situazione, leggendo, dai giornali - prefe-rendo quindi la stampa scritta - fino ad ogni gene-re di libro. Senza provare dei rimorsi, se alcune let-ture non li entusiasmano e decidono di scartarle.Perché la lettura obbligata, invece di avvicinare ailibri, ci allontana. A una persona che volesse pro-vare a scrivere, direi che, attraverso la lettura,dovrebbe innanzitutto capire quali sono i suoiorientamenti. E che per molti anni, è necessarioriuscire a leggere e scrivere contemporaneamente.

Esiste un autore greco ed uno straniero che amain modo particolare?

Tra i greci amo Stratìs Tsìrkas. Trovo che la sua tri-logia sia una delle migliori che possa offrire la let-teratura neogreca. Lo amo davvero molto.Ovviamente, poi, un autore, non deve avere unrapporto diretto con me e la mia realtà, per poter-mi piacere. Può essere anche molto lontano.Tsìrkas scrive di un altro periodo storico, moltoaperto, cosmopolita, anche se con un aroma di

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decadenza. Trovo che riesca a modellarela storia in modo magistrale. Per quantoriguarda gli autori stranieri, è molto diffici-le sceglierne uno. Non leggo solo giallisti,mi appassionano tutti i generi e non vorreifar torto a nessuno.

L’hanno paragonata a Camilleri. “Il com-missario Charìtos è il fratello greco diMontalbano”, abbiamo letto. Lei, cosa cipuò dire riguardo a questa parentela?

In Germania mi paragonano a Brunetti diDonna Leon, in Francia a Megret, in Italiaa Montalbano. Si tratta, purtroppo, dellafacilità con cui alcuni scelgono di descriver-ti. Ci sono sicuramente delle caratteristichecomuni, tenendo specialmente conto delfatto che si tratta di poliziotti. Ma allo stessotempo, posiamo dire che si differenzianoper moltissime cose: ad esempio,Montalbano vive solo, con un rapporto nontroppo stabile con Lidia, la sua donna,mentre Charìtos ha una famiglia. Malgrado tutto,però, secondo me, il punto che più avvicina tuttiquesti eroi del giallo, è la cucina. Montalbano, permangiare ciò che ama, va alla ricerca anche dellatrattoria più isolata, la moglie di Megret cucina inmodo superbo, ed anche Charitòs prova piacere nelgustare le pietanze di Adrianì. Se ci allontaniamodalla cucina, rivengono a galla le differenze: Megretè uno che mostra grande compassione per gli umili,Charitòs è invece sarcastico e cinico, Montalbano èsarcastico, ma interviene spesso nelle vicende inmodo molto dinamico, a differenza del mio commis-sario. Vorrei quindi che cercassimo di rimanere lon-tani dalle facili etichettature, dettate dal predominioassoluto del linguaggio pubblicitario.

Cosa ci può dire del suo rapporto con Camilleri?

Ci vogliamo molto bene. Stimo sinceramente il suolavoro, e leggo i suoi romanzi con vera gioia, anchese, non conoscendo l’italiano e leggendo in tradu-zione, perdo le sfumature. I miei amici italiani, midicono, che in “versione originale”, il risultato è anco-ra più apprezzabile. In questi giorni, sto finendo dileggere un suo romanzo e direi che amo moltissimoil suo modo umano di presentare Montalbano, ilcome descrive, ad esempio, un suo ricovero in ospe-dale. Quello che ci unisce, non sono tanto i protago-nisti, quanto l’ambiente, il Sud ed il Mediterraneo.Che offrono spesso spunti simili, nel senso che lepersone, i personaggi, le nostre società, sono moltovicine. In particolare l’Italia del Sud e la Grecia. Moltopiù di quanto non possa assomigliarci la realtàdescritta da Lucarelli, a Bologna. Perciò, chi amaparagonare me e Camilleri, dovrebbe avere lapazienza di soffermarsi di più sulla realtà sociale...

Il fatto che sia lei che Camilleri abbiate passato lamezza età, vi aiuta forse a gettare uno sguardo piùcritico e acuto sulla società?

Ho rivolto sempre uno sguardo critico alla società.Solo che quando avevo trentacinque anni volevocambiarla e rifondarla, mentre ora, a sessantano-ve, la guardo con immensa amarezza e sarcasmo.

Ho capito che, ovviamente, io non sono in grado dicambiarla e non so neanche se, alla fine, questasocietà, voglia cambiare davvero. Io pensavo fosseovvio, ma non lo è affatto. Quando ho presocoscienza di ciò - in età ormai matura - ho iniziatoa vedere le cose da una certa distanza e con unaforte dose di ironia.

In Italia, Montalbano è diventato un grande suc-cesso, grazie una serie televisiva di Rai Uno, unlavoro molto accurato. Lei presterebbe il suocommissario al piccolo schermo per un progettosimile, con un buon regista e dei bravi sceneg-giatori?

Con molto piacere, a patto che si tratti di una serietelevisiva di qualità e non di un qualcosa che ricor-da le soap operas, e che ci fosse dietro un registaattento ed un attore di talento. Ma credo che sareb-be necessario aprire i propri orizzonti e cercare unacoproduzione, perché parliamo, sicuramente dicosti rilevanti. Quello che chiedo alla Grecia, anchein un senso più in generale, è di riuscire a gettarelo sguardo un po’ oltre, di comprendere che ci sonosempre degli orizzonti più vasti e di non essere, avolte, troppo “grecocentrica”.

La sua ricerca creativa continua, ha ancora deiprogetti che vuole realizzare, o si sente appagato?

Ho iniziato dal teatro, sono passato alla traduzio-ne, per raggiungere poi la sceneggiatura ed appro-dare, infine, al romanzo. Cos’altro devo fare? Direiche va bene così... Cos’altro devo perseguire,ricercare? La mia ultima tappa, il romanzo, mi hareso sinceramente felice. Se mi verrà offerta l’oc-casione di scrivere ancora delle sceneggiature colmio amico Theo Anghelopoulos, non mi tireròindietro, ma non mi posso occuparmi di troppecose contemporaneamente. Nel senso che, in unafase della vita, la molteplicità può essere moltofeconda, ma da un’età in poi, può diventare unostacolo. Lo scrittore, deve cercare di capire quan-do questa attività multiforme finisce di costituireuno stimolo e si tramuta in peso.

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Il primo e peraltro unico viaggio in Grecia di MarinoMarini data all’aprile del 1935, quando solo da qual-che anno l’artista toscano aveva deciso di dedicarsialla scultura, lui che all’Accademia di Firenze era“nato” invece pittore e incisore (attività che avrebbecomunque ripreso dopo la seconda guerra mondia-le). Per un “etrusco vero” come amava definirsi, nonè difficile immaginare che quella risalita alle radicistesse dell’arte occidentale sarebbe stata determi-nante a indicargli la strada. Dall’Etruria alla Grecia,nelle aspettative di questo trentenne benestante lacui vicenda umana e creativa può smentire tantaletteratura sull’artista maudit, il passo apparivabreve quanto necessario. Si trattava “appena” di unritorno alle origini, di sé e della nostra coscienza col-lettiva, là dove la storia dell’umanità sconfina con ilmito, memoria “maggiore”di tutti.Ad avviarlo sul suo cammino damasceno eranostati certamente Fidia e i marmi dell’Acropoli, mapiù ancora la scultura del VI secolo, quella bloccata,grave e solenne dove l’arcaico sa confrontarsi, ispi-randola, con l’estetica della più audace modernità.Marino era questo che andava cercando: “intercet-tare” cioè nell’antico e nei suoi fulgidi modelli quel-la classicità senza tempo che gli avrebbe permes-so di collocare l’opera al di sopra delle correnti che

stavano trasformando il suo secolo in una sorta dicampo di battaglia dove l’obiettivo supremo daconquistare sembrava la “contemporaneità”: quasil’arte dovesse ripetere i percorsi e i meccanismidella scienza. Prima simbolismo ed espressioni-smo, poi cubismo, futurismo e metafisica; e anco-ra astrattismo, surrealismo, realismo e informale,una conquista dopo l’altra, per un traguardo ineso-rabilmente mobile e irraggiungibile.Dall’arcaismo greco e mediterraneo, Marino assor-be dunque l’impassibile compattezza plastica delMaestro di Olimpia che saprà tradurre superba-mente nei primi Cavalieri (1936-39) insieme all’o-pulenza muliebre che nel modello della GrandeMadre trovava il suo archetipo assoluto. Fin daallora, anche per lui, come per Karl Kraus, “l’origi-

MARINO MARINI:IL MODERNO HA UN CUORE CLASSICOAlla Glittoteca Nazionale di Atene, dal 27 giugno al 31 ottobre, la prima retrospettiva greca di Marino Marini, uno dei massimi scultori italiani del XX secolo

di Giuliano Serafini - curatore della mostra

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ne” diventava senza possibilità di dubbio “la meta”.Paradossalmente Marino avanzava à rebours,verso il passato - là dove la civiltà umana era statapiù giovane e più vicina agli dèi - incontro a quel-l’età dell’oro per la quale l’”esistere” apparivaancora più necessario dell’“essere” (adirla questa volta con Werner Fuchs ).La figura della Pomona, cui Marinoaveva cominciato a lavorare giàalla fine degli anni Venti, esprimeuna femminilità elementare e sim-bolicamente prossima ai riti dellafertilità che, pur nella sua deriva-zione mitica finisce per conqui-stare, ancor più che i nudi diMaillol, (a cui l’artista ha sicura-mente guardato, come peraltro haguardato a Donatello, MedardoRosso e ad Arturo Marini)un’autoreferenza assoluta.Il tema del Cavaliere costi-tuisce l’alternativa poeticaed espressiva, potrem-mo dire “fisiologica”, aquella figura. È l’icona diuna simbiosi epica tra uomo e animale uniti, nellaconquista e nella caduta, da uno stesso ineluttabi-le destino. Nella mitologia privata di Marino, sareb-be stata la statua equestre di Enrico II ammiratanella cattedrale di Bamberg nel 1934 a ispirargliquesto grande filone; ma l’importante è che già daallora l’artista avesse deciso per un minimo tema-tico, ribadito fino all’ossessione, certo che - sono lesue parole - “in arte quello che conta non è ciò chesi esprime, ma come lo si esprime”.

Per questo, molto più delle Pomone che restanolegate al loro immutabile stereotipo, nel corso dellaproduzione scultorea di Marino il Cavaliere evolve esi rinnova secondo le modalità di una variazionemusicale: sempre identico a se stesso, si potrebbedire nel suo codice genetico e nella tensione plasti-ca dei volumi, pur nella straordinaria mutazione delleforme. Così il cavaliere disarcionato diventa Miracolo (1953-57), titolo bellissimo che allude all’estasi e alprodigio fatale della caduta, per trasformarsi subi-to dopo in Grido (1960 ca), estrema testimonianzadi una tragedia che va oltre il senso della rappre-sentazione per diventare “dramma” della forma esfiorare la sintesi astratta.Accanto ai due temi principali, in mostra viene pre-sentata una selezione di ritratti compresi tra il 1931e il 1960 (tra cui quelli dell’amatissima moglieMarina, di Melotti, Germane Richier, Strawinky,Arp, Chagall) che costituiscono sicuramente ilmomento più alto toccato da questo genere inepoca moderna, là dove memorie della sculturafuneraria etrusca convivono con la ritrattistica elle-nistica per produrre esiti plastici di sapore espres-sionista. Prodigiosi studi sul movimento “imploso”del corpo sono invece le Danzatrici e i Giocolieri(1935-46) che Marino ci presenta un attimo primae/o uno dopo l’azione, quando la loro energia fisi-ca sembra convertirsi in pensiero e sospensionespirituale (per Giocoliere del 1946 il riferimento a

Michelangelo giovane non sarò azzardato). Unaserie di dipinti che vanno dal 1928 al 1970,

dove ritroviamo l’eterna tematica dellaPomona e del Cavaliere “rivisitata” da unatavolozza decisamente fauve, nonchéuna raccolta di acqueforti e litografie chetestimoniano di un talento “etnico” chenon potrà mai fare a meno del mestiereda artigiano, concludono questo primomemorabile appuntamento espositivodi Marino in terra ellenica.Appassionata e intelligente fautrice del-l’evento che alla Glittoteca Nazionalesegue le grandi mostre di Moore,

Kapralos e Gonzàlez, è MarinaLambraki-Plaka, direttrice della

Glittoteca stessa e della PinacotecaNazionale/Museo Alexandros

Soutzos. Mia preziosa assisten-te Artemis Zervou, curatricedella Pinacoteca Nazionale. Aparte i due prestiti della Eric and

Salome Estorick Foundation di Londra e dellaGalleria d’Arte Moderna di Milano, tutte le operevengono dalla Fondazione Marini di Pistoia e dalMuseo Marini/San Pancrazio di Firenze.A inaugurare la retrospettiva di Marino, che coinci-de con l’apertura al pubblico della collezione per-manente di scultura moderna e contemporaneaellenica della Glittoteca, è stato il Presidente dellaRepubblica Ellenica Kàrolos Papoulias.

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Uno dei prodotti tipici della Grecia, indissolubil-mente legato all’estate ellenica, quintessenzadella straordinaria “insalata greca”, è la famosa“Feta”. È parte essenziale delle abitudini alimen-tari dei greci sin dall’adolescenza. Parliamo di unprodotto che rende il nostro paese riconoscibile,dalle vetrine dei negozi e dei supermercati ditutto il mondo, insieme all’ineguagliabile yogurtgreco.

LA VERA “FETÀ” È SOLO QUELLA GRECA!Nell’autunno scorso la Corte di giustizia delleComunità europee, ha ratificato il nome “feta”come prodotto greco di denominazione protetta.Una profonda soddisfazione per Atene, che aspet-tava da tempo questo riconoscimento. Il Ministrodello Sviluppo Agricolo e Alimentare della Grecia,Evanghelos Basiakos, ha voluto dichiarare alriguardo: “dopo continui sforzi, l’azione coordinatae sistematica del governo di Atene e dei servizi delMinistero dello Sviluppo Agricolo e Alimentaredella Grecia, in particolare nella sua fase finalefino alla delibera, è stata coronata da un vero suc-cesso. La Corte delle Comunità europee, con que-sta storica decisione, stabilisce irrevocabilmenteche la “feta” non rappresenta una denominazionecomune ed è esclusivamente greca.In particolare, la Corte ha respinto tutti i ricorsi pre-sentati dagli altri stati membri (Danimarca,Germania, Francia, Gran Bretagna) che si oppo-nevano alla registrazione della feta come prodottodi denominazione protetta.I produttori greci della feta, sostenuti dalla decisio-ne della Corte europea, hanno ora la possibilitàesclusiva di offrire il loro prodotto sul mercatoeuropeo. Un’esclusività legata alla qualità edanche, alle tradizioni culturali greche.Dopo questo risultato di portata storica, la Greciaproseguirà nei suoi sforzi coordinati e sistematici,in collaborazione con i rappresentanti delle autori-tà competenti, per promuovere in modo ancora piùefficace la vendita e la distribuzione della fetaanche in nuovi mercati.”

UN CASO CON UN ITER GIURIDICONel 2002, la Commissione aveva registrato la“feta” come prodotto di denominazione protetta,indicando così il formaggio bianco in salamoia pro-veniente dalla Grecia. Questa denominazione, èstata quindi riconosciuta a livello comunitario,potendo essere usata solo per il formaggio prove-niente dalla Grecia.Affinche la “feta” (che non indica il nome di unaregione, o un paese) potesse essere definita comeprodotto di denominazione protetta, doveva venireconsiderata ufficialmente un prodotto agricolo o ali-mentare proveniente da una ben precisa zona geo-grafica con particolari caratteristiche naturali eumane capaci di conferirgli la sua peculiare identità.Per quanto riguarda l’argomentazione secondo laquale la “feta” costituirebbe una denominazionecomune, la Corte ha constatato che, effettivamen-te, formaggi bianchi in salamoia vengono prodottida anni non solamente in Grecia ma in vari paesibalcanici e nel Sud - Est del Mediterraneo, mahanno denominazioni diverse da quella della“feta”.

IL PASSATO E LA TRADIZIONE DI UNA DELIZIALe variazioni del formaggio nazionale greco sonodue: la feta dura, più piccante e forte e la feta mor-bida, più ricca e meno salata. In entrambe le varia-zioni viene usato lo stesso latte e seguito lo stes-so processo di produzione con la differenza che lafeta morbida va stagionata per poter conservarepiù umidità.“È un formaggio ‘fraintenso’ , la gente crede checontenga molti grassi, ma non è così. La percen-tuale minima dei grassi della feta è del 19%, parec-chi formaggi ne contengono molti di più”, affermauno dei più vecchi produttori di feta in Attica,Kiriakos Kostarelos, che si dedica a questo lavorodal 1937.In più, la feta può provenire da varie regioni gre-che, con delle variazioni nel gusto. Infatti, moltinegozi di gourmet e supermercati di alto livello intutto il mondo propongono ai loro clienti la feta

LA FETA: il suo passaporto è solo greco

di Nikos Oikonomidis

LA FETA: il suo passaporto è solo greco

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greca, prodotta inpiù regioni.Esistono molti tipi difeta: quella dalsapore che si avvici-na a quello dei limo-ne, prodotta in parti-colare nella regionedi Dodoni con unricco retrogusto eduna struttura robu-sta.La feta conser-vata nei barili hauna struttura ricca eun gusto forte, colle-gati direttamente allegno nel quale ilformaggio viene sta-gionato. Ci sono altritipi di feta, morbida,quasi fruttata, conun che di dolce che

rimane nel palato. La feta caprina è di colore bian-co latte, è croccante ed ha un retrogusto acido. Il“kalathaki”, un tipo di feta a forma di cesto dall’iso-la di Lemno, conserva, appunto, la trama del cestoin cui viene asciugata ed è molto densa.

MA ANCHE UN FUTURO DELIZIOSO....!La incontriamo in ogni casa greca. È il “nostro” for-maggio. Ogni anno, in Grecia, ne vengono prodot-te più di centoquindicimila tonnellate, mentre vienestimato che ogni cittadino greco ne consumiapprossimativamente 10 kg nell’arco dei dodicimesi. Il suo sapore ricco e denso, impreziosisce daanni le tavolate della domenica, l’insalata greca, letorte salate tradizionali, come anche lo spuntinoquotidiano.La feta viene prodotta nella Grecia continentale, inTessaglia, in Epiro, Macedonia,Tracia, Peloponneso, Lesbocon latte di pecora o di capra,proveniente esclusivamente daanimali allevati in queste regio-ni, e alimentati con la flora, inmodo naturale.“Il nostro paese non è unpascolo infinito. Ogni regioneha la sua identità e questo èmolto importante per quantoriguarda ciò che definiamocome feta. Ad esempio, gli ani-mali che crescono in Epiro sialimentano con la flora di que-sta zona. Quindi, il latte cheprodurranno sarà diverso daquello dell’Attica”, spiegaKiriakos Kostarelos.La produzione della feta copreun arco di nove mesi all’anno,da novembre fino ad agosto.

I ritmi di produzione sono più intensi durante laprimavera, la stagione, cioè, in cui le pecore pro-ducono più latte. Il ph del latte non può essereinferiore al 6,5% e i grassi non devono scenderesotto il 6%. In seguito, il latte viene filtrato, paste-rizzato e passato da un rigeneratore, congelato inenormi pentoloni, affinché raggiunga la tempera-tura di coagulazione. In questi pentoloni, vieneaggiunto anche il caglio, “quello genuino e tradi-zionale che prepariamo noi”, dice l’anziano pro-duttore dell’Attica. Poi, viene tagliata a piccoli cubie messa in delle forme per essere asciugata.Subito dopo, viene salata e lasciata riposare finoal giorno a venire, quando va posta in barili condell’aggiunta di salamoia e trasferita nelle cameredi stagionatura ad una temperatura di 18 gradi.Quando la prima fase dello stagionatura è com-pletata, il formaggio viene trasferito in delle came-re di coagulazione dove la temperatura oscilla dai2 ai 4 gradi. Dopo due mesi di stagionatura, la fetaè pronta per essere venduta.Dal momento in cui il formaggio viene messo nelbarile, deve essere seguito, osservato continua-mente. “Devi osservare il suo comportamento, coc-colarlo - come dicono, con naturalezza, i produtto-ri -. Il risultato finale, l’aroma ricco e deciso, il sapo-re pieno, piccante, un po’ acido della feta, è fruttodell’arte e dell’esperienza di ogni caciaio.”Secondo la maggior parte dei produttori, la feta èal massimo del suo sapore e del suo aroma dopo5 mesi di stagionatura.Il consiglio del caciaio: non dimenticate di provarela feta prima di comprarla. Se è secca o di coloregiallo, questo significa che il barile è rimasto aper-to per molti giorni e il formaggio ha perso una partedella sua umidità. Ritornando a casa, la dovreteconservare in un vaso sigillato o ben avvolta nellacarta e, comunque, sempre in frigo.Quando decidete di gustarla, dovrete accompa-

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gnarla anche con la bevanda adeguata: iniziandoquelle tradizionali, la retsina (Mesoghion), l’ouzo elo tsipuro (la grappa), o, più semplicemente, unabirra fredda.

IL PROVRBIO GRECO: “Insieme al basilico, innaffiaanche il suo vaso”L’ARTE DELLA FETA SALVA QUELLA DEI BARILI

“Dal barile, nasce un’altra feta. Il legno, essendo unmateriale poroso, permette al formaggio di respira-re. Lo rende più ricco, più pieno”, come ci assicura-no i migliori produttori di feta in tutta la Grecia.La Commissione europea, per concedere allaGrecia il diritto esclusivo sulla produzione dellafeta, ha imposto standard severi, chiedendo che il

formaggio venga prodotto in modo tradizionale.Così, l’uso di barili in legno per la stagionatura èdiventato obbligatorio.“In passato, le imprese di costruzione di barili performaggi e vini erano un’attività redditizia”, assicu-ra Jannis Zampos, proprietario, insieme a suo fra-tello Kostas, di una delle ultime fabbriche di barilinella zona di Metsovo. “Adesso, anche se la pro-duzione di feta e di vino è aumentata, la richiestadi barili è diminuita. La maggior parte dei barilerihanno trasformato i loro laboratori in grandi fale-gnamerie”.Secondo i maestri del barile di Metsovo “la lavora-zione del legno è sempre stata la loro industriapesante, seconda solo al turismo”. Le vigne diMetsovo sono state il fattore principale per la spe-

cializzazione dei barilieriprofessionisti nella regio-ne. Era impossibile, perogni famiglia, non conser-vare dei barili nel suoscantinato, anche per chinon possedeva dellevigne. Lo stesso valevaanche per il formaggio e isuoi derivati, in una zonacon molti pascoli. I barili dilegno sono stati sempreuna parte della tradizionedel processo produttivo,ed ora, grazie anche alladecisione della Corte digiustizia europea, hannotutto il diritto di sperare dinon venir confinati in uningiusto prepensionamen-to...

Traduzione di Valia Tsonou

CONIGLIO RIPIENO DI FETA

Dosi per 4-6 persone

Ingredienti:Un coniglio di mediagrandezza, 1/2 kg. di feta,2 cucchiai di burro, ori-gano, sale e pepe q.b.

Preparazione:Il coniglio pulito ed epu-rato delle interiora vienecosparso con l’origano, ilsale ed il pepe. Ungere il coni-glio con il burro e riempirlo con la feta.Poi chiuderlo cucendo l’apertura con il filo.Avvolgerlo in carta oleata e legarlo nuovamente.

Dosi per 4 persone,

ingredienti:

2-3 zucchine grandi, 1uovo, 100 gr. di fetagreca, 1/2 cipolla, origa-no, prezzemolo, sale epepe q.b., 1 bicchiere dipane grattugiato, farina,olio di oliva extravergine.

Preparazione:Lavare le zucchine e tritarleinsieme alla feta.Aggiungere la cipolla finementetritata, l’origano, il prezzemolo, l’uovo, il pane grattugiato, un pizzico di sale e di pepe.Ottenuto l’impasto, preparare le polpette, infarinarle e friggerle nell’olioextravergine di oliva. Possono essere gustate sia calde che fredde.

POLPETTE DIVINE ALLE ZUCCHINE (KOLOKITHOKEFTEDES)

Ricette dello chef Antonio Militsis

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LE ORIGINI

I canti popolari costituiscono il grande libro dipoesia e lo specchio fedele dei sentimenti piùprofondi che ogni popolo esprime e possiede.Quasi tutti i popoli possiedono e custodisconogelosamente lo scrigno prezioso dei loro cantipopolari in cui hanno riversato il succo del signi-ficato del proprio esistere ma forse nessun popo-lo come quello greco ha sviluppato questa formadi espressione riversando nei suoi canti non solo

la voce dei sentimenti e delle tradizioni masoprattutto l’anelito al riscatto dal secolare ser-vaggio e quindi lo schiudersi di un nuovo modo diesprimersi e di raccontarsi, cioè di una nuova let-teratura. I canti popolari greci nella loro enormevarietà ed eterogeneità, nella loro capacità diessere duttili nella forma, plastici nelle immagini,lievi e seducenti nei toni, non hanno mai queicaratteri che connotano la poesia popolare deglialtri popoli, ossia quella innata ruvidezza e quel-la spiccata elementarietà; e ciò forse è dovuto al

La musica greca, questa sconosciuta. A volte confusa,genericamente con la musica orientaleggiante, a volte nota-ta per la sua spiccata differenza con il pop dell’Europa occi-dentale, a volte scoperta quasi per caso, in una taverna emai più abbandonata... Foroellenico vi invita ad un breveviaggio, all’interno di questo mondo, quasi inesplorato. Unacircumnavigazione che parte dal canto demotico, simbolodella grecità, anche nei periodi cruciali, come la formazionedello Stato Ellenico, nella prima metà del XIX secolo. Perarrivare a parlare del Rebetiko - o della Rebetika, a secondadelle sensibilità e delle traduzioni - di una musica che è nataai margini della società ed è riuscita ad esprimere, il profon-do e vero essere dell’anima popolare. Vi proponiamo, poi,un’intervista con Jorgos Dalaras, una delle voci che meglioha saputo farsi interprete, nel senso più ampio della parola,di speranze, dolori e passioni dei greci, con una sinceritàche arriva dritta al cuore.Il riferimento a Mikis Theodorakis, è d’obbligo: l’innovatore,il maestro, colui che ha unito la tradizione alta, con quellapopolare. E poi Nena Venetsanou, che ci spiega cosa signi-fica, a suo parere, lo stile “entecnho”, della canzone greca.A seguire, i nuovi nomi della scena musicale ellenica, pro-posti dal critico musicale, Jorgos Papadakis.Questo e altro ancora, riempie le pagine del nostro dossier.Senza la pretesa di fornire conoscenze esaustive, ma conla speranza di creare curiosità e interesse, stimolando l’ap-profondimento. E con uno sguardo alla musica tradizionale di Olympos, un paese dell’isola diKarpathos, in cui ritroviamo antiche parentele con un’altra terra del Sud, la Calabria. Due mondiparalleli, in cui la musica non costituisce un mestiere, ma una vera ragione di vita.

La musica: specchio delle tradizioni

DOSSIER

di Tino Sangiglio

I canti popolari, il battito del cuore del popolo greco

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fatto che la Grecia - cioè, è il caso di dire, il popo-lo greco -, impossibilitata ad esprimere persona-lità artistiche d’alto profilo, fu costretta a ripiega-re in una forma secondaria d’espressione poeticaqual è appunto il canto popolare; ma nel contem-po avvenne che, essendo que-sta l’unica forma espressivapossibile, essa non solo potéattingere misure degne dell’ar-te ma soprattutto essere edaffermare l’espressione piùimmediata, genuina e perfettadell’anima greca.È stato così che i canti popolarigreci (δηµοτικα′ τραγου′ δια ), lecui origini si perdono nel buiodei tempi, sono stati capaci ditenere vivi ed intatti i caratterifondamentali della razza e delpopolo greci; ovvia quindi l’af-fermazione di A. Melachrinòssecondo cui “la razza greca havissuto perché ha cantato”.Ma il significato della presenzadi questo corpus immenso dicanti popolari non si esauriscein questa, peraltro essenziale, specificità, giacchéessi costituiscono anche qualcosa d’altro e dipeculiare, sono cioè la genuina, autentica espres-sione delle capacità creative di un popolo in un’e-poca di servaggio e di decadenza non solo civilema anche letteraria ed artistica, e dunque rappre-sentano la coscienza di un popolo e di una razzache nella forma letteraria depositano i lasciti, leeredità, le prerogative della propria tradizione edella propria cultura. Questo spiega perché tutta lapoesia popolare greca è anonima, essendoespressione corale di un popolo e di una razza,dove non esiste alcun proposito di affermare indi-vidualità quanto piuttosto di perpetuare un’identità.

Il canto popolare greco viene dunque da una sortadi tradizione orale che procede, s’accumula e s’in-grossa nei secoli: i canti scorrono di bocca inbocca, passano da paese a paese, da città a città,da zona a zona - alcuni ancora ai giorni nostri - e

in questo loro scorrere libero esenza argini si integrano, si com-pletano, si perfezionano, si incro-ciano con materiali sempre piùraffinati ed elaborati fino a diven-tare vere e proprie creazioni d’ar-te e a contenere in sé quella cari-ca e quella tensione che sarannoalla base della espressione lette-raria ed artistica della Grecia unavolta che essa raggiungerà ecompleterà la propria affermazio-ne di libertà e di indipendenza.Ma come e dove nascono i cantipopolari greci? Essi nascono diret-tamente dalla fantasia e dallacreatività del popolo giacché sonoi tesori più preziosi e naturali cheesso possiede; e come tali nasco-no d’istinto, spontaneamente, cosìcome nascono le esigenze natura-

li e quotidiane, con l’immediatezza delle sensazio-ni e dei sentimenti che ritmano e cadenzano la vita.Sono questi canti ad essere i testimoni del lavoro edella fatica del popolo, i compagni delle sue soffe-renze e delle sue pene, le voci del suo cuore e delsuo animo. Il greco con essi è vissuto, in patria o interre straniere: dalla sua culla alla sua tomba ilcanto popolare ha viaggiato e vissuto con lui, s’ènutrito di tutte le fasi della sua avventura terrena,con tutti gli accadimenti d’ordine sociale, con tuttele peripezie di una storia nazionale millenaria. Inquesti canti si compendiano tutte le tappe della sto-ria e dell’esistenza dei Greci: le prodezze dell’orgo-glio nazionale dei klefti, gli aneliti alla libertà dei

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combattenti, la dolcezza dell’atmosfera domestica,il fascino della bellezza femminile, lo spirito indomi-to e innovativo dei giovani, la pena dell’amara emi-grazione e del nero esilio, il maschio disprezzodella morte. E poi la grazia della donna, l’affettomaterno, l’amore appassionato, il peso del lutto, lapietà per i defunti.Tutto il popolo è il creatore anonimo di questi canti:contadini, pastori, donne, klefti e combattenti, rap-sodi e cantori nomadi che di paese in paese tra-mandano racconti di fantasia ma innervati sudense e incancellabili tradi-zioni. É cioè il popolo checrea per il popolo: “Il cantore- come dice ancoraMelachrinòs - allegorizzandosente parlare le montagnetra loro, parla al sole, allaluna, alle stelle, ai fiumi, alsuo cavallo, agli alberi e aglioggetti stessi, dà ad ognicosa una voce umana”.Dunque davvero una poesiadel popolo, dal popolo e peril popolo. Una poesia cheesprime compiutamente unpopolo e nel contempo loriscatta. In quanto poesia diignoti e di anonimi, senzanessuna preoccupazione dievidenziare nomi d’autori,essa è spontanea e, colandodi bocca in bocca, da unaperiferia all’altra, con leaggiunte, gli incroci, gli adat-tamenti che col tempo si sommano in un coagulomisteriosamente coerente e lineare, in grado diprodurre una lingua che scorre ben modellata esinuosa, un ritmo che si cadenza morbido e musi-cale; e tutto ciò che dice rappresenta il comunesentire di un intero popolo al punto che ognunopuò considerarla come cosa propria, del tutto sua.

Questi canti nascevano per essere cantati conl’accompagnamento di uno strumento musicale,altri per essere cantati e ballati e possono definir-si quindi anche come canti da ballo o ballate.Nascevano infatti dall’abitudine di intonare canzo-ni nelle campagne e nei villaggi in occasione, peresempio, del ritorno della primavera, delle prati-che della vendemmia e della mietitura o della rac-colta dei frutti e dei prodotti dei campi, ciò che èancora vivo in alcune zone della Grecia, accom-pagnando il canto con la danza. Dunque in essispesso danza, canto e poesia sono indissolubil-mente uniti e la danza si può considerare unasorta di accompagnamento mimico della poesia.Esattamente com’era nella danza degli antichigreci; ed esattamente com’era nell’uso dell’anticaGrecia c’è una naturale e costante interazione trala parola e la musica, tra poesia e canto. Parola,danza e musica sono i tre dati organici basilaridella maggior parte dei canti popolari greci. Inquesto senso è ovvio che questi canti siano emi-nentemente nazionali dato che appartengono atutti i Greci, ai colti come agli illetterati. La poesiapopolare greca ha così tutti gli elementi tipici diquesto genere, che sono quelli che infatti si ritro-vano in tutte le altre poesie popolari; ma in quellagreca, va ribadito, c’è qualcosa di diverso e di piùalto, e cioè una grande plasticità delle immagini,l’uso di originali incipit cui segue una conclusione

sempre avvincente e a trattidrammatica, una dolcezzadi tono e un sentire non ple-beo, elementi non rintrac-ciabili nelle poesie popolaridegli altri Paesi che si muo-vono, di regola, tra le stret-toie insuperabili della grez-za elementarità e dellamelensa sentimentalità. Equesta differenza si rifletteanche nella lingua e nellafattura formale; se è veroche in questi canti abbonda-no i termini turchi e quelli diderivazione italiana (vene-ta), questa presenza in real-tà è solo esteriore e occa-sionale, funzionale e stru-mentale: mentre infatti neiracconti popolari e soprat-tutto nei romanzi fantasticigreci il riferimento all’ele-mento straniero è evidente,

nei canti popolari non è possibile rinvenire nessu-na influenza esterna; tutto invece è locale, nazio-nale, greco insomma.

Dall’introduzione del volume “Canti popolari grecidal Libro dell’amore”, a cura di Tino Sangiglio,Edizioni della Comunità greco-orientale, Trieste.

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Gli stranieri, tendono spesso a definire la musi-ca greca “orientale”, per sottolinearne le differen-ze con quella dell’Europa occidentale. Forse sitratta di una formula un po’ approssimativa, nontroppo precisa... Cosa ne pensa?

L’impressione degli stranieri che la musica grecasia, in generale, “orientale”, è dovuta al fatto che latradizione della musica popolare greca, è a strettocontatto con la musica ecclesiastica “colta”, cono-sciuta anche come “bizantina”, la quale, com’ènoto (assieme alla musica degli arabi), è conside-rata l’erede dell’antica musica greca. Ma la musi-ca greca, non è solo “orientale”, dal momento chela nuova tradizione della musica greca “colta”, cheparte dal XIX secolo, è esclusivamente occidenta-le. L’orientamento dei dotti e dei maestri verso lamusica europea, ha creato, come conseguenza,un bilinguismo, che ha fatto nascere un grandefermento ed accesi confronti (in particolar modoall’inizio del XX secolo), da parte dai rappresen-tanti della Scuola Nazionale Greca. Fermenti econfronti che continuano, in alcune occasioni, finoai nostri giorni.

La musica greca, come è riuscita a superare l’e-terna divisione tra le influenze e lo stile occidenta-le ed orientale?

Direi come è sempre successo. La Grecia, è statain tutta la sua storia, un punto di incontro (e discontro) tra diverse civiltà. Lo “scontro” dello spiri-

to apollineo e di quello bacchico, inizia dalla prei-storia. Lo scontro diventa influenza reciproca e glielementi opposti tra loro, vengono assorbiti dalleforze creative di ogni luogo. Si crea così una nuovaidentità piena di caratteri molto originali e di unforte contenuto. Così come avvenne, d’altronde,con le contaminazioni culturali del Medio Evo e deiperiodi storici a seguire, ad esempio a Napoli, inItalia, o in Andalusia, in Spagna. Non direi, quindi,che la musica greca ha superato la sua “doppiaidentità”, ma che continua a conviverci, in modoarmonico e creativo.

Qual’è stato il ruolo innova-tivo e di rottura del Rebetiko,nell’ambito della musica edella società greca?

Il vero Rebetiko era il generedi musica di coloro che vive-vano ai margini della socie-tà. Con la sua originalità e lasua verità, senza sensi diinferiorità e con secondi fini,una posizione chiara, checaratterizza i suoi esponenti- spesso anonimi - nel lororapporto con la musica. Lamusica del Rebetiko ha valo-rizzato elementi della tradi-zione locale, senza venireinfluenzata dalle tendenzepropagandate dai dotti, dei

Mikis Theodorakis in una recente apparizione

L’intervista a Jorgos Papadakis

Manos Chatzidakis

L’intervista a Jorgos PapadakisCritico musicale del quotidiano di Atene “Eleftherotypia”di Teodoro Andreadis Synghellakis

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maestri, dei musicisti, ma anche della società, chepuntava ad osannare la superiorità della musica“europea”. L’elemento di rottura del Rebetiko, si puòritrovare nell’esser riuscito a esprimere la verità,così come la vedeva, a contatto col sentire musica-le del popolo. Anche se bisogna ricordare che ilRebetiko, non è stato “ascoltato” dalla società bor-ghese dell’epoca. Al contrario, fu oggetto di perse-cuzioni: la dittatura di Metaxàs, del 1936, impose aidischi del fonografo una censura preventiva, con-trollando non solo i versi, ma ancor di più la musica

del Rebetiko, sottraendo dalla melodia quegli ele-menti che suonavano come “orientaleggianti”. Neglianni del primo dopoguerra ha preso la sua rivincita,con importantissimi autori di estrazione popolare,che sono riusciti a farlo arrivare dai margini, finoall’interno delle classi popolari. Parallelamente,hanno ampliato le tematiche, ed hanno valorizzatoelementi, che, provenienti da Est e da Ovest, arric-chivano la musica greca. Inoltre, hanno ravvivatol’interesse dei due grandi innovatori della musicagreca, Manos Chatzidakis e Mikis Theodorakis.

La musica greca del secolo scorso, ha i suoi espo-nenti più rappresentativi in Mikis Theodorakis eManos Chatzidakis. Lei ha parlato di un vero e pro-prio punto di rottura, rispetto agli autori degli anni’60. Come potrebbe presentare questi due maestriai lettori italiani?

Ho indicato come punto di rottura nella storia dellacanzone greca, l’intervento artistico (ognuno dadiverse direzioni) di Mikis Theodorakis e ManosChatzidakis che abbiamo vissuto verso la fine deglianni ’50. Rappresenta la conclusione di un periodolungo e particolare (riguardo all’argomento in que-stione) iniziato con la fondazione dello stato greco.La Grecia è forse l’unico paese al mondo, dove ilbilinguismo musicale è durato così a lungo. Unaconseguenza dello sbaglio e della leggerezze deiresponsabili della cultura, della musica e dell’ap-parato statale, appena creato, che nel XIX secolo,considerarono la tradizione musicale greca comeun lascito della turcocrazia. Un lascito che andavadimenticato, facendo posto all’arte “europea”, rite-nuta superiore. Malgrado il fatto, che la tradizionemusicale, rimasta integra e viva, costituisse allorala sola chiave a disposizione per creare un senti-mento patriottico nei musicisti dotti e dei maestri.Theodorakis e Chatzidakis non sono i primi ad

aver compreso che bisogna-va riuscire ad assorbire ivalori che la tradizione avevaconservato. Si tratta di unaquestione che era stataposta anche precedente-mente, negli anni ’30, senzaperò arrivare ai dei risultaticoncreti. A quanto pare,quello che non permettevaagli autori del passato divenire realmente a contattocon l’anima musicale dellaGrecia, ha trovato sviluppofecondo in Theodorakis.Cos’era? Una questionemolto particolare: il nostropaese dispone di una tradi-zione colta (bizantina) maanche di una tradizionemusicale popolare, con unacaratteristica comune rispet-to a tutte le altre realtà

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Nena Venetsanou

Elli Paspalà

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dell’Europa. Si può parlare di una tradizione con-temporaneamente più antica e più moderna. Piùmoderna, per il fatto che la separano appena cen-tottant’anni dalla liberazione nazionale. Più antica,perché prima della dominazione ottomana, la civil-tà greca, nelle sue diverse fasi, avevano generato,sviluppato e fatto conoscere l’arte stessa dellamusica. A questo dobbiamo aggiungere anche ladifferenza fondamentale della realtà musicalegreca dalla varietà musicale europea.Un problema tutto speciale - se non un vicolocieco - che la maggior parte degli autori e musici-sti greci ha scelto di affrontare adottando esclusi-vamente il punto di vista “europeo”.Chatzidakis e Theodorakis sono riusciti ad entrarecon forza, non proprio nel nucleo del Rebetiko edella musica popolare, ma nella loro terra di prove-nienza. Ciò che è apparso chiaro sin dal primomomento, è che erano riusciti ad arrivare a notevo-li risultati che si basavano sulla tradizione, coinvol-gendo tutte le classi sociali (ed in particolar modoquelle popolari) come se fosse la cosa più normale,la più ovvia, una logica conseguenza, che però nonsi era, fino ad allora, resa visibile. Il passo decisivo,che divise il vecchio dal nuovo, fu l’opera Axion Estì(Dignum Est) di Odysseas Elytis, musicata da MikisTheodorakis. Quest’opera fondamentale, mostracon forza le sensibilità artistiche e le posizioni cheda tempo esprimeva Mikis Theodorakis: “la musicaè la più alta forma creativa, anche se, tuttavia, le

opere non devono rimanere estranee al più vastopubblico. La distanza esistente tra la vita delle clas-si popolari e la musica che viene loro offerta, pro-voca una crisi, in particolar modo nel settore sinfo-nico”.Nell’“Axion Estì”, che rappresenta una delle piùcomplesse e più complete opere poetiche dell’e-poca contemporanea, Theodorakis è riuscito arendere palese la consistenza musicale e sonora.Il “nuovo”, è rappresentato soprattutto da un’atmo-sfera fino ad allora sconosciuta - ed al contempofamiliare - che portava in dote alla coscienza col-lettiva, rafforzandola, la continuità storica, con ele-menti che appartenevano tanto alla tradizionemusicale, quanto alle tecniche “occidentali” ecreando un nuovo clima, attraverso il quale, lamusica e la poesia, ritrovavano il loro ruolo e laloro posizione, all’interno di un insieme variegato.Quest’opera costituisce un punto di rottura, unnuovo inizio perché innalza, senza deformarli, glielementi della tradizione, ponendoli ad un livello incui possono rivendicare i loro diritti, i diritti di unacreazione artistica. Dal momento che la tradizionenon è qualcosa di pittoresco (come cerca di pre-sentarcela l’approccio folklorico del nostro tempo)ma un valore della cultura, prezioso, polisemanti-co, che nasce dagli artisti-creatori.

Se dovesse scegliere cinque nomi di cantanti omusicisti greci, da consigliare al pubblico italiano,

Mikis Theodorakis

Maria Faranduri

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spiegando per quale motivo si trovano ad esserepiù vicini alle sue preferenze artistiche ed alla suasensibilità, chi proporrebbe?

Proporrei tre nomi noti e due meno noti - tutti invita -dal momento che coloro che ci hanno lascia-to non solo sono numerosi, ma si trovano ,perforza di cose, anche fuori dall’onnipresente giocodella concorrenza...Alkinoos Ioannidis, perché dispone, in grandequantità, di tutto ciò che oggi richiede l’arte dellacanzone ed anche dei restanti elementi che esigela società: talento, gioventù, presenza, stile, com-portamento, ecc.

Nena Venetsanou, per l’estetica che esprimecome artista, la sua limpidezza, la sua luminositàe teatralità nella voce, qualità rare, che danno alcontempo una forte unicità.Maria Faranduri, per il pathos e la sincerità versola sua arte. Per la sua sensibilità, nel settore inter-pretativo, ma anche per il suo luminoso esempio,come cantante della resistenza greca, contro ladittatura del 1967.Elli Paspalà, perché nella sua voce predominal’elemento drammatico. Una voce che ricorda lasostanza di epoche e cose che si perdono nel-l’abbondanza e nella facilità dei surrogati di oggi.Una voce che riesce a far vibrare corde invisibili,

che non si palesano facilmen-te, che scoviamo molto dirado.Infine, il giovane ZachariasKarounis, il quale non è anco-ra noto al vasto pubblico. Staterminando il suo dottorato inmusicologia ed ha inciso tredischi. Chi vorrà segnare que-sto nome, credo che lo ritrove-rà presto in cima alla lista deinuovi cantanti greci, dalmomento che rappresenta unostraordinario esempio di tecni-ca (non conosce quasi nessunostacolo, quando si tratta direalizzare quello che gli sug-gerisce la sua fantasia creati-va) ed anche nell’ambito del-l’interpretazione, è dotato diuna sensibilità e di una creati-vità davvero uniche.

Alkinoos Ioannidis

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Sono state due grandi passioni a spingermi ascrivere questo libro: la passione per la Grecia e lapassione per la musica.La prima, la passione per la Grecia, è una passio-ne antica, nata ai tempi della scuola quando, nellamia mente di giovane studente del Liceo Classico,cominciavano a farsi strada i primi dubbi su cosafosse la vita, su come bisognasse affrontarla, suquali fossero i veri valori da custodire e da tra-smettere.Fu allora che molte risposte a questi miei dubbi mivennero dagli autori classici greci, ma ancor prima,quando, dall’analisi stessa delle parole, imparaiche non bisogna mai fermarsi alla superficie dellecose, perché ogni parola nasconde e racchiude insé un significato più profondo. Ecco, già questa fula prima grande scoperta, il primo grande donoche la Grecia mi offrì: imparai che non bisogna maifermarsi alle apparenze.Un altro grande dono me lo fecero i grandi pensa-tori greci, a partire da Socrate che con il suo“Conosci te stesso” mi indicò la strada da seguire.E io ho sempre fatto tesoro di questi preziosi inse-gnamenti.Poi, di colpo, questa incredibile fonte di conoscen-za che sembrava non dovesse mai esaurirsi, siinterruppe, lasciandomi dentro una grande ama-rezza e, come ho scritto nell’introduzione del mio

libro, la sensazione profonda di essere statoabbandonato.Così la Grecia rimase per lungo tempo, dentro di

me, una Terra lontana, neltempo e nello spazio. Neltempo perchè il sogno dellagrande Grecia sembravaessersi concluso con gli studiclassici; nello spazio, perchéera come se fosse ormai inuti-le andare in Grecia, credendoche essa non potesse darmipiù niente.E invece, come un boome-rang che ti restituisce quelloche credevi di avere definitiva-mente perduto, quando menome l’aspettavo, ecco che laRebetika mi riporta clamoro-samente ad una nuova stagio-ne “classica”, mi ripropone laGrecia come grande maestra.

RReebbeettiikkaa,, ll’’aanniimmaa ddeellllaa mmuussiiccaa ppooppoollaarree ggrreeccaa ccoonntteemmppoorraanneeaadi Fernando Buscemi,medico - scrittore autore di “Storia della Rebetika”Libreria Editrice Urso

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Ormai sono trascorsi quasi dieci anni da quandoho potuto realizzare per la prima volta quello cheper me era un sogno, andare a visitare quei luoghi,almeno una parte, che così profondamente eranoradicati nel mio immaginario. Avevo dentro unagioia incredibile, vedere iluoghi di Omero, Argo,Tirinto, Micene, Atenenaturalmente e poiOlimpia, vedere tuttequelle gloriose città o iloro resti ed ero assoluta-mente convinto che dopoaverle viste, il sogno sisarebbe definitivamenteinfranto, si sarebbe con-cluso con un altro abban-dono, forse più amaro delprimo, perché pensavoche una volta visti queifantastici luoghi, nient’al-tro la Grecia avrebbepotuto darmi e nonavrebbe avuto più sensotornare in Grecia.Così ancora una volta,insieme alla gioia divedere realizzato unsogno, covavo dentro di me l’amarezza di doverlodi nuovo abbandonare, un sogno che pensavosarebbe definitivamente finito al mio ritorno con ilsalpare della nave che da Patrasso mi avrebberiportato in Italia.Ma mi sbagliavo profondamente, non avevo messoin conto le mille risorse di questa bellissima, marto-riata, terra. Non appena giunsi in Grecia e dopo avertrovato una sistemazione, infatti, avvertii subito chec’era nell’aria qualcosa che mi “prendeva”, ma lì per

lì non riuscivo a capire cosa fosse. Poi, quasid’improvviso, mi resi conto: la chiave per

capire ciò che mi affascinava stava pro-prio “nell’aria”. Era quella musicalità

“nuova”, quelle note, quei toni parti-colari e inconsueti che mi prende-

vano d’improvviso, entrando in unsupermercato, mentre stavo

seduto al tavolo di un’acco-gliente, calda taverna;

mentre gustavo qualchesquisita, quanto per meinsolita, pietanza: erala musica. Fu soloallora che mi resiconto del fascino diquella musica.Cercai di saperne dipiù, e scoprii nuovi

strumenti, nuovi ritmi.Una nuova magia

“greca” ricominciava dentro di me e mi faceva sco-prire una Grecia viva, attiva, una Grecia che avevaripreso in sé le redini delle proprie sorti. Questa sco-perta mi rese felice.Fu come riprendere il discorso là dove lo avevo

lasciato.Una nuova passione siinnestava così sulla prima,la passione per la musicarebetika.All’inizio ero portato adascoltare solo i brani piùvicini al mio gusto musica-le, evitando gli altri. Sonostate la conoscenza dellastoria da cui ha tratto origi-ne questo genere musicalee una maggiore compren-sione dei testi, a permetter-mi di apprezzare maggior-mente quelle canzoni cheavevo scartato in prece-denza e che si sono rivela-te poi le più belle, le piùpregnanti ed emozionanti.E sono rimasto affascinatodalla Rebetika, dai temisemplici delle canzoni, dalle

note accattivanti e attraenti, dalle voci pacate, dis-tensive, dai ritmi tranquilli che tornavano finalmen-te a farmi rivivere, a farmi danzare, seppur conmodalità diverse, in antichi quanto rilassanti spaziinteriori.

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Così mi è venuta la voglia di saperne di più riguar-do a questo nuovo aspetto della Grecia, non più laGrecia dei templi, delle tragedie e dei filosofi, mariguardo alla grande tragedia che ha colpito ilpopolo greco nell’ultimo secolo, sfociata poi nella“Catastrofe” dell’Asia Minore.Dopo una breve introduzione nella quale ho spie-

gato che cosa sia la Rebetika,ho affrontato ogni volta unargomento, per così dire,“nuovo”, collegandolo alprecedente secondo unoschema “a strati”, cosicchéla comprensione avvenis-

se in maniera graduale eprogressiva, facendo sìche al lettore restasseun po’ di curiosità che

lo spingesse ad andareavanti. Inoltre, all’interno diogni storia o di ogni nuovoargomento, ho fatto qual-

che breve excursus per farconoscere un po’ di più la

Grecia di oggi, che è sìuna bellissima terra, ma

che ancora oggi vienepresentata secondo gli ste-

reotipi di mare, sole,vacanze.

Perciò, convinto che si ama qualcosa solo se la siconosce, ho cercato di farne vedere qualche altroaspetto, per molti versi sconosciuto a noi Italiani,coniugando la storia con quella musica, laRebetika, appunto, che secondo me costituisceun secondo punto di partenza, dopo il primodella Rivoluzione del 1821, per una riunifica-zione completa della Grecia dopo i secoli buidella dominazione ottomana.Ho cercato perciò di inserire nella storiadella Rebetika un insieme di particolari attia dimostrare che alla Rebetika hannocontribuito un po’ tutte le regioni e tuttigli strati sociali della Grecia, ognunadando il suo contributo, storico e cul-turale.Ho citato spesso perciò, ora unoscrittore, ora un generale, oraun pittore e così via, per incu-riosire il lettore e spingerloa volerne sapere di più, adavere una conoscenzasempre più ampia e reali-stica della Grecia di oggi,una Grecia viva e moderna, che conserva tuttaviagrandi, grandissime tracce del suo illustre passato.E devo dire che la storia della Rebetika si prestabenissimo a questo scopo. Spiega per esempiocosa c’è dietro quella grande e talvolta disordinataurbanizzazione di Atene, ma anche la magnificen-

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za di tanti suoi palazzi ela bellezza della moder-na città. Ma spiegaanche, appunto, il fasci-no che deriva dall’incon-tro fra l’Oriente el’Occidente che inGrecia, e ad Atene inparticolare, è molto evi-dente.Tuttavia qualche limite misono dovuto imporre per-ché il libro fosse di facilelettura anche per chi,poco o nulla sapendodella storia greca degliultimi secoli e dellaRebetika in particolare,rischiava di annoiarsidietro troppe informazio-ni tecniche. Così, peresempio, ho evitato didilungarmi su questioniprettamente musicali,che sono di caratterespecialistico.Ho cominciato, col parlare dei luoghi nei quali laRebetika ha preso corpo, cioè i Cafè-Aman, i teke-des e le prigioni, tre ambienti molto diversi fra loro,ma che nella Grecia continentale diventano il luogodove confluisce gente proveniente da ogni zona dicultura greca.Ho presentato quindi la figura del rebeta: comeandava vestito, il suo modo di parlare, il suo stiledi vita. Ho affrontato il tema della Catastrofe del1922, cercando di descrivere, anche attraversodelle testimonianze, il dramma della popolazione.Ho presentato le caratteristiche principali dellamusica rebetika e cioè innanzitutto i principali stru-menti dei rebeti, soffermandomi un più a lungo sul

buzuki e sul baglamàs; ho fatto solopoco più di un accenno ai dromi, spie-gando brevemente cosa sono, masenza dilungarmi, perché un discorsopiù ampio sarebbe risultato troppospecifico per il lettore.

Qualcosa di più hodetto delle danzepraticate dai rebeti,ma anche qui senzaapprofondire troppo.Invece ho creduto disoffermarmi sullecanzoni e sui lorotemi, in quanto costi-tuiscono l’elementoprincipale per lacomprensione dellavita del rebeta.Questi temi sonomolte volte quelli dellamalavita, la droga, l’a-more, la povertà, ilcarcere; temi ai quali,negli ultimi anni dellaRebetika, si sostitui-scono quelli della pro-testa, prima contro lacensura imposta dalgenerale Metaxas nel1937, e poi control’occupazione tede-sca del 1941.Ho ritenuto opportu-no poi fare un excur-sus sulla evoluzionedella Rebetika, dal

suo sorgere fino a quando lentamente non si tra-sforma in musica laika e fino ai nostri giorni, dopoche c’è stata una giusta rivalutazione di questogenere musicale, fino ad arrivare alla Rebetikadella Diaspora.Concludo il libro narrando brevemente la vita diquelli che sono stati alcuni dei protagonisti dellaRebetika, ossia i più grandi rebeti, da Vamvakarisa Tsitsanis, da Roza Eskenazi fino a Dalaras che,benché non sia un rebeta, ha tuttavia permesso amolta gente, me compreso, di venire a conoscen-za di questo straordinario genere musicale, ripren-dendo molte delle canzoni cantate dai rebeti.

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IIEERR ...alla Rebetika hanno contribuito

un po’ tutte le regioni e tutti gli strati sociali della Grecia,

ognuna dando il suo contributo,storico e culturale...

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Chi fra i tanti visitatori della Grecia, e noi tra que-sti, non ha colto la magia del suono della linguagreca?Il vocio intenso e partecipato sottolinea i gesti delvivere quotidiano, si esprime attraverso modiintrinsecamente musicali eco di un’antica melodiache non riesce a spegnersi. Nei mercati, nei caffé,negli autobus, dovunque, per non dire della liturgiaecclesiastica, origine di ogni canto, impensabilesenza il suo andamento melico. Qualcosa ci ricor-da che la cultura di un popolo non passa soloattraverso documenti storici, ma come corrente lopercorre di bocca in bocca.La storia è nota, potremmo partire dai poemi ome-rici, cristallizzazione di un lungo percorso poeticodiscendente dalla tradizione orale. La poesia,infatti, non era destinata alla lettura individuale,ma alla performance pubblica, affidata all’esecu-zione di un singolo o di un coro con l’accompa-gnamento di uno strumento musicale, senza peraltro escludere la danza. Nella poesia greca vi erauna stretta correlazione tra realtà sociale e politicaed il concreto agire dei singoli nella collettività.Patrimonio comune: il mito.Il termine µουσικη′ designava la poesia nel suoinsieme quale comunione di parole e musica.Qualcosa, credo, di molto vicino al nostro concet-to di canzone; e la canzone popolare attingendoalla ricchezza della trasmissione e della tradizioneorale è qualcosa di analogo al concetto di poesiacome era concepito dagli antichi greci.La musica popolare nella sua formulazione indi-pendente dalla cultura dominante “ufficiale” prose-guiva per sua natura il patrimonio orale della poe-

sia greca nella composizione, nella comunicazio-ne e nella trasmissione; e la rebetika come mani-festazione della cultura popolare è, secondo l’opi-nione di molti, l’ultima espressione storica dellatradizione orale della canzone ellenica.

LA STRUTTURA DELLA REBETIKA: I DROMILa canzone rebetika è scritta a ritmo di danza, ciònon significa che debba necessariamente essereballata, ma che i tre elementi: canzone, ritmo didanza e accompagnamento musicale sono sem-pre presenti.È innegabile che la musica rebetika abbia subito,anche dal punto di vista terminologico, l’influssodella musica turca, dunque considerare la rebeti-ka come una variante della musica popolare delmediterraneo orientale la cui origine risale adarabi e bizantini.Melodie, quelle popolari greche, affini a quellademotica ed ecclesiastica. Questo significa che lecanzoni rebetika non sono basate su scale dimaggiore o minore, come nella musica occidenta-le, ma su un tipo modale (1) che può anche esse-re compilato in forma di scala, che ha frasi carat-teristiche o modelli di movimento. In questo casoalcune note sono più importanti di altre e alcunerelazioni sono enfatizzate.Come nella musica araba dove sono presenti cen-tinaia di modi o makam ciascuno dei quali sentitocome possedesse un carattere speciale, adegua-to ad una particolare emozione, umore, tempo,giorno etc., un po’ come i rag della musica india-na.I primi musicisti di rebetika conservarono per un

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COMUNIONE DI PAROLE E MUSICA

di Salvatore Pironti,editore, libraio, traduttore dal greco dei romanzi di Kostula Mitropoulou

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po’ la parola turca che assumerà in seguito ladizione di dromo (strada) “Quando scrivi una canzone triste, non puoi met-terle un dromo rast. Il dromo deve essere solidalealla musica e alle parole… affine al sentimentoche hanno le parole così deve essere il dromo”(2).Così anche la parola, di origine araba, taximi staad indicare la (spesso lunga) introduzione musica-le nella quale il musicista esplora i dromi in cui lacanzone sarà sentita. “il taximi è facoltativo e sichiama in questo modoperché sistema le notesecondo il suo spirito”(3).I dromi più importantisono 12 tra cui quelli rast,haizen, hirat, ousak etc.

STRUMENTIOriginariamente nellacanzone rebetika eranousati per l’accompagna-mento una varietà di stru-menti molto ampia, dalvecchio oud o outi, alsanduri, al violino, allafisarmonica e innumere-voli altri. Come abbiamovisto il buzuki e il bagla-ma divennero presto i veristrumenti delle rebetika,soprattutto il buzuki piùsemplice da suonare perle sue dimensioni e unagamma di suoni piùampia e più vicina, in altezza, alla voce maschile.

DANZANei caffè aman erano eseguite danze che proveni-vano un po’ da tutta l’area dell’impero ottomano.Fra le tante furono lo zebekiko (nel caratteristicoritmo di 9/8) e il hasapiko (lento o veloce: hasapo-serviko) danza del macellaio, quelle maggiormen-te usate dai rebetis.

“Tutte le canzoni rebetika si danzano. Circa la metàsono zebekika l’altra metà hasapika. Lo zebekiko èun ballo individuale. Ogni mangas balla a modosuo, assolutamente personale. Il ballerino di zebe-kiko danza guardando a terra. Il volto serio, quasiminaccioso. Quando suona l’orchestra in pistadanza un solo mangas… Il hasapiko è danzato dadue o tre mangas che devono essere amici straor-dinari, poiché questa danza ha bisogno di un sin-cronismo perfetto dei movimenti”(4).

Potrà sembrare a qualcunoche da un punto di vistaesclusivamente musicale lacanzone rebetika possa con-siderarsi non più interessantee creativa di altre forme dellamusica popolare greca, che isuoi versi nel migliore dei casipossano risultare composi-zioni originali come i demoticicanti Klefti, banali nel peggio-re. Che tutto sommato ladanza costituita da passisemplici, per i quali non è pre-visto un grande impegno fisi-co, non sia l’apoteosi delladestrezza. C’è da chiedersiallora da dove derivi la magiadi questa musica. È anchevero che i suoi migliori rap-presentanti, da Vanvakaris aTsitsanis si sono rivelatistraordinari esecutori, manon è ciò in questione. Ciò

che importa è la coesione e la coerenza tra vita edarte, tra musica ed espressione di un’umanità checoglie in pieno non solo la lotta per sopravvivenza,ma i segni epocali di un passaggio storico. “Le can-zoni rebetika sono le canzoni delle anime ferite, deisemplici, dei poveri, degli amanti non corrisposti”.Dopo i rebetis la musica non sarà più la stessa,ma anche il mondo sarà cambiato, ed anche se οιµα′ γκες δεν υπα′ ρχουν πια, (I mánghes non esisto-

no più) la loro musica è anco-ra capace di commuovere edeccitare l’ascoltatore. Questoè qualcosa che ha che farecon l’unità di questi uomini edella loro musica.Il rebetiko è la chiara esempli-ficazione di come la sorgenteoscura del canto riveli la pro-fonda radice popolare di quellamusica, il canto diventa di tuttiperché risponde agli affettinaturali, ai costumi, alle tradi-zioni del popolo, e non a casoancora oggi quei contenuti equella formulazione fannodella musica greca un patrimo-nio culturale senza pari inEuropa.

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IL CAMBIAMENTO, LE CONSEGUENZE DELLACATASTROFE DELL’ASIA MINOREIn quegli anni la Grecia, fu interessata da intensiflussi migratori sia interni che esterni. Il raddop-piamento della superficie nel 1912, ma soprattuttola catastrofe dell’Asia Minore del 1922, provocaro-no un massiccio arrivo di profughi sconvolgendo lagià debole struttura economica e sociale dellostato greco.I profughi con il loro carico di tradizione e di musicacontribuirono alla ulteriore diffusione dello stile musi-cale detto smirneico, già noto attraverso gli aman.Diverse le modalità di composizione e rappresen-tazione tra rebetiko e smirneico. Al contrario delrebetiko, i versi dello smirneico, a parte quelli tra-dizionali, avevano una struttura molto semplice,generalmente in rima, onde favorire l’improvvisa-zione. Nella rebetika i versi cominciano ad arric-chirsi, diventano più forti, riflettendo spesso lacondizione sociale dell’autore che spesso è ancheesecutore. Altra fondamentale differenza è il climaesotico, orientaleggiante che si respirava negliaman, dove la donna era al centro dello spettaco-lo sostenuta da un’orchestra, detta compagnia,composta da molti strumenti(5).Il rebetis è un eroe solitario e i principali strumen-ti adottati sono il buzuki e il baglamas.“Dal 1938, circa, in poi il rebetiko diviene autosuffi-ciente e avendo preso ormai ciò che doveva, prose-gue da solo. Sostanzialmente caratteristico è il fattoche, mentre nei primi due versi abbiamo una solavoce, nel terzo e quarto vi sono due o più, dove una,

spesso, è femminile; quasi sempre quando esconole altre voci, sentiamo una nuova frase musicale.Questo tipo di canzone accomuna quasi tutti i com-positori del periodo classico, da Toundas a Baiaderaa Tsitsanis a Papaioannou.” (Marangakis)

MALAVITA (6)

I grandi centri del XVIII secolo: Smirne, Salonicco,Siros, Kavala, Costantinopoli, Volos, erano cittàdove, prima che Atene si sviluppasse, avevanouna loro vita autonoma, commercio, industria, eavevano un carattere cosmopolita. Queste città,non a caso erano tra i porti più importanti delmediterraneo orientale. Vi si formò abbastanzapresto una piccola borghesia, un ceto popolare tracui possiamo inserire i lavoratori portuali e dellefabbriche, i pescatori, ma anche i lavoratori sal-tuari e quanti giravano nel sottobosco microcrimi-nale, quelli che in termini generali potremmo asso-ciare alla malavita.

Musica animata da uno spirito autenticamente ellenico

reinterpretato, a sua volta,dalla sensibilità di alcuni

dei musicisti più geniali e visionariche la Grecia abbia mai avuto...

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La canzone rebetika era la canzone della malavitagreca, era, più esattamente, la canzone dei rebetis.“Questi uomini avevano una loro vita sociale, com-pletamente separata da quella borghese, vivevanoin determinati quartieri detti machalas (rione).Anche lo svago del rebetis e dell’uomo del popoloin generale, era diverso da quello del borghese odel paesano. Non possedendo l’organizzazionesociale tipica del paese o la vita regolata e rispet-tosa del borghese, il rebetis cercava di divertirsiogni volta che aveva un po’ di soldi in tasca. Non siaspettavano le feste patronali,le nozze, la domenica, come ilpaesano o il borghese” (Politi).I profughi dell’Asia Minore purnon appartenendo alla malavi-ta, finirono per condividere lecondizioni sociali dell’emargi-nazione di cui erano i rebetisl’espressione più diretta.Le canzoni dei profughi, in con-giunzione alla tradizione demo-tica ed al patrimonio musicaledelle isole, costituirono il sub-strato che condusse alla crea-zione della rebetika.La grande carica innovativa edemotiva, nonché la professio-nalità dei musicisti provenientidall’Asia Minore influenzòsenza dubbio lo stile dei rebe-tis, come i musicisti microasiati-ci finirono per adottar forme e modi della canzonerebetika.Del resto non vi era una rigida delimitazione di spazi.I luoghi di esibizione spesso combinavano i dueaspetti, aman e tekès, caffè e taverne rappresenta-vano territori di libero scambio dell’ispirazione musi-cale, anche se il codice rebetiko restava in parte, percerti versi ideologicamente, chiuso in una sorta dipurezza che potremmo definire “manghitudine”“Generalmente, sostiene Petropulos, si può direche il rebetis o mangas è una persona che vive inuna sua maniera originale al di là dalle convenzio-ni sociali. Il rebetis ha disprezzo delle cose consa-crate: non si sposava, non prendeva sottobracciola sua amica, non indossava colletto o cravatta,

camminava piegato, odiava mortalmente gli sbirri,disprezzava il lavoro, non usava mai ombrello, aiu-tava i deboli, fuma hashish, reputava la prigionesegno di valore, etc.”Normalmente, i musicisti, i rebetis non godevanodi buona fama, erano spesso coinvolti in risse,contrabbando e altre baruffe di strada, alimentava-no essi stessi questa immagine, per questo ilbuzuki era considerato uno strumento sospettocome ricorda il Baiadera.La distinzione tra rebetis e mangas è storicamen-

te difficile e non sempre chiaranella lingua comune. Per quan-to concerna le canzoni, è stori-camente accertato che neglianni 30 dello scorso secolo laparola rebetis circolava e iden-tificava persone che agivanonell’ambito musicale dei buzu-ki.A riguardo il compositoreKostas Birbas dice “…è sba-gliato confondere il rebetikocon il manghico… ce n’eranodi canzoni scritte da Marco,Batis e altri….le rebetikacominciano a prendere un’altraforma. Abbandonano pianpiano le parole dei mangas, ein molte canzoni la musica siaddolcisce…”

Due degli strumenti più caratteristici della musicapopolare greca: il sanduri (in alto) e lo outi (a destra)

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NOTE1) Modalità: termine usato nella teoria musicale occidentale, e

per estensione nelle teorie concernenti altre culture antiche eorientali (greca,indiana, cinese, araba) per indicare un parti-colare sistema organizzato di intervalli adottato nella praticamusicale. Secondo i teorici greci, le melodie erano contraddi-stinte da un carattere (ethos) particolare l’armonia basata suqueste produceva effetti sulla volontà e sulla psiche umana.

2) Questo il pensiero di Stelios Kiromitis, uno dei grandi rebe-tis.

3) id.4) Petropulos, Mikrà rebetika.5) Accanto a strumenti della tradizione come saz, sanduri,

kanoni, vi erano anche clarino, fisarmonica, ed il ritmo didanza era scandito dalla cantante attraverso piccole per-cussioni o campanelli.

6) Il musicista Baiadera ci invita a distinguere tra ladri e fuma-tori di hashish, gente tranquilla tutto sommato.

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Lo stile “entechno” della canzone greca è natonegli anni ’50 ed il primo che ha coniato questo ter-mine è stato Mikis Theodorakis.“Entechno” indica ciò che guarda verso l’arte erappresenta la volontà dell’intellighenzia di valoriz-zare la canzone popolare greca. Lo stile “entech-no” si basa su due momenti della rinascita spiri-tuale dell’ellenismo del ventesimo secolo: la gene-razione degli anni ’30 e quella degli anni ’60. Sitratta di un processo che ha come fine l’introduzio-ne della canzone popolare nei canoni della musicacosiddetta “alta”, per metterla, però, al contempoin discussione, poiché la “grande musica”, nel suocomplesso, considerava la canzone come ungenere semplice, come un mezzo di divertimento,di scarso valore.L’entechno ha tuttavia dimostrato che la canzonepopolare può essere nobile tanto nei suoi principiquanto nei suoi fini, conservando allo stessomomento le sue origini popolari.Questo stile ha fatto emergere anche un altro livel-lo della lingua greca, che si è basato esclusiva-mente sulla poesia e non solo quella dei poetigreci. La coincidenza felice è che l’entechno hafatto la sua comparsa nel momento in cui la radio,il cinema e la discografia avevano raggiunto l’apice.

Questo nuovo stile si è così diffuso ed è diventatoun punto di riferimento per tutto il mondo greco.Due sono stati i pilastri di questa corrente musica-le greca contemporanea. Due compositori chehanno collaborato con esponenti e gruppi cultura-li, contribuendo al riforire delle arti nella Greciacontemporanea. Manos Chatzidakis è stato il pio-niere, il mèlode, il grande lirico; Mikis Theodorakisè stato invece l’originale, il drammatico, il grandeleader. Questi due compositori, lavorando in con-dizioni difficili, sono riusciti a cambiare la musicagreca. Prima che facessero la loro comparsa, igreci ascoltavano marce militari, noiosi salmi reli-giosi, sbiaditi valzer e tanghi demodè.La loro presenza,e la loro personalità rivoluziona-ria, ma specialmente le loro canzoni, sono statecosì determinanti, che in breve tempo tutti hannoiniziato ad occuparsene e tutta la Grecia si è divi-sa in due gruppi di fans, uno di Chatzidakis e l’al-tro di Theodorakis. Nelle loro canzoni hannoespresso le contraddizioni, la varietà e la diversi-tà delle opinioni all’interno della società greca.“Con Mikis - diceva Manos Chatzidakis - nonsiamo mai stati rivali, perché ci siamo trovatientrambi dalla stessa parte”.

Traduzione di Athanasia Athanasopoulou

L’“Entechno” il nuovo corso della musica greca di Nena Venetsanou

Mikis Theodorakis

Manos Chatzidakis (a destra) insieme a Tsitsanis

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“Le musiche delle mie canzoni, in particolar modo quelle dei cicli“trentesimo e quarantesimo parallelo”, le porto dentro sin da bambino.Quelle trasmesse dalle radio, che noi chiamavamo radio di ricezionemondiale, ed anche dalle stazioni degli stati vicini, come la Bulgaria, laTurchia, la Romania e qualche volta del Libano, di Israele, della Tunisia,dell’Italia e della Sicilia. Erano stazioni radiofoniche su frequenze lonta-ne, che in un modo o nell’altro, riuscivamo a captare.Da bambino, avevo questa mania. Mio zio mi aveva portato una pic-cola radio di ricezione mondiale e stavo vicino all’apparecchio perdelle ore, ad ascoltare questi tipi di musica. Subito dopo, provavo asuonarla con i miei strumenti musicali, con le mie chitarre. Quando poisono arrivati i registratori, provavo a posizionarmi su varie frequenze ese trovavo qualcosa di bello, inserivo il registratore e conservavo sulnastro alcuni pezzi. Certo, ci riuscivo raramente, non ero un buon tec-nico, ma non ti nascondo che ascoltando poi la registrazione, ci ritro-

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Protagonista della canzone greca da trentacin-que anni, ha interpretato, davvero di tutto. DalRebetiko, fino alla canzone popolare e i ritmi latini.È un musicista autodidatta, perfezionista, con unospiccato senso dell’ironia. È nato nel quartierepopolare di Kokkinià, al Pireo, figlio del famosorebeta Loukàs Dalàras. Da molti anni, collezionastrumenti musicali ed altri oggetti.Ha iniziato a cantare e a suonare la chitarra poco piùche adolescente, a sedici anni. Due anni dopo, nel1968, ha registrato il suo primo Lp. Intere generazio-ni sono cresciute con le canzoni di quel decennio(dalla fine degli anni ’60 fino a tutti ’70). Con le can-zoni di Stavros Koujoumzis, con la voce di JorgosDalàras, trasmesse dai piccoli transistor.Dalàras è il cantante popolare per eccellenza e sipotrebbero scrivere pagine a non finire sulle suecollaborazioni. Una lista lunghissima di partecipa-zioni, dischi, concerti in Grecia e all’estero.Volendo limitarci ai numeri, gli otto milioni di dischivenduti sono, indubbiamente, un dato eloquente...Con le sue canzoni “latin” ha superato i 600.000dischi venduti, ha riempito gli stadi con Al Di Meola e Paco de Lucia. Vogliamo parlare, solo fino al 1981, deisuoi cinquecento concerti in tutto il mondo (tra i pochi, allora, rappresentanti della musica greca all’estero)dello stadio di Wembley stracolmo, del Brendan Byrne Arena di New York... Ma anche della sua passione

civile e dei concerti per sostenere Cipro, ferita e occupata.Un altro grande capitolo riguarda le sue collaborazioni con grandiorchestre di tutto il mondo: dalla Metropoli Orchestra dell’Olanda, l’or-chestra russa Osipov, la Filarmonica di Israele e molte altre.Si è dimostrato coerente con ciò che ha amato e rimane coerente versola sua arte. Molti si domandano cos’altro può cantare Jorgos Dalàras...A volte lo fanno con invidia, a volte con amore. Comunque sia, a partetutto “la strada rimane sempre strada”, come ha cantato più volte.

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di Tassos Mavris

JORGOS DALÀRAS, il genio

Tassos Mavris, responsabiledella trasmissione in italianodella radio multilingue delcomune di Atene

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vavo dei veri capolavori. Con generi di musi-ca che pian piano sentivo non essere tantoestranei ai nostri. A volte si assomigliavanonei ritmi, a volte nel suono degli strumenti.Ovviamente, cambiava la “scuola”. La scuoladi musica araba, come sai, presenta sicura-mente delle sue particolarità. In questo modo,ho scoperto che la scuola araba, ha un rap-porto diretto con il flamenco. Dopo ho studiatoed ho imparato tutto anche a livello teorico...Ho notato anche che la scuola della musicaItaliana è particolare. Il suono del mandolinosomiglia al nostro bouzouki! Ho osservato anche che i ritmi dell’Oriente edell’Asia Minore sono sicuramente imparen-tati ai ritmi della musica italiana napoletana!Dopodiché ho iniziato ad ascoltare la musicabalcanica e i gruppi della Yugoslavia e dellaBulgaria.Mi è poi apparso chiaro che le canzoni turcheassomigliavano tanto alle nostre, perché-come certamente sai anche tu - molte sonogreche e viceversa.Quando non c’erano tumulti e guerre, i nostri duepopoli vivevano in pace e i musicisti si sono influen-zati a vicenda. D’altronde, quando gli abitantidell’Asia Minore sono venuti in Grecia, hanno cam-biato totalmente il nostro scenario musicale. Maguardando anche più in là, verso le canzoni ebrai-che, le canzoni libanesi, persino le melodie e le scalearmene, constatiamo che sono vicine alle nostre...

Che cos’è allora la canzone per te?

È un’avventura, un viaggio che non si ferma mai.Fino all’ultimo momento del mio esistere mi occu-però di musica.

Col passare deli anni, è cam-biato qualcosa nel modo diinterpretare le tue canzoni? C’èqualcosa di preciso che haicambiato?

Vedi, le persone cambiano: cre-sciamo e maturiamo. Lasciamoda parte alcune cose, ne pren-diamo altre di cui non ci siamooccupati prima, e di certo cambiail nostro timbro vocale. Un giova-ne di 18 anni (l’età in cui ho ini-ziato) canta in un determinatomodo, una persona matura in unaltro. Certo che le cose cambia-no. Tutto muta, ma tutto presentaun proprio particolare interesseed alla fine è piacevole. Quelloche non cambia in me è l’amoreper il canto.

Ti stressa il successo che puòavere un tuo nuovo disco,messo a confronto col prece-dente?

No, per niente. L’unica cosa chemi stressa è suonare bene, fare

bene le prove, che lo spazio dove suoneremo siaattrezzato, che il nostro supporto tecnico sia per-fetto, che i nostri strumenti musicali siano accor-dati e che si sia in vena di suonare tutti insieme.Queste sono le cose che mi stressano.

Avendo un programma così pieno, puoi godereanche di alcuni piaceri quotidiani?

Sì, certo. Durante le prove io mi emoziono!

Qual’è stata per te l’influenza decisiva?

Ci sono state tante influenze, ma se parliamo delnostro paese, io sono stato influenzato dai canti

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HANNO SCRITTO DI LUI:

“… Temperamento!” - STUTTGARTER ZEITUNG

“… Uno dei migliori esecutori, un musicista fantastico che comunicatanta forza, bellezza e dolore. Persino negli spazi più grandi, crea unafamiliarità unica con il pubblico (…) È vero, è carismatico, è un can-tante!” - YEDIOT ACHRONOT

“… La sua musica, un misto di tante figure della tradizione delMediterraneo-Orientale: in un’unica

espressione della canzone, diventa l’emblema della varietà della cul-tura neogreca”. - TIME OUT

“… La comunicazione tra cantante e pubblico si instaura fin dall’ini-zio di un concerto, con un filo che unisce, un discorso piacevole edamichevole tra una canzone ed l’altra, riuscendo ad offrire al pubbli-co molte possibilità di cantare insieme. La voce forte, lirica ed affa-scinante di Dalàras rompe la barriera della lingua”. - VARIETY

“… Non smette mai di cercare, di rinnovarsi, di tentare e di sorpren-dere (…)”. - HAMISHMAR

“…È un originale eroe del folclore, un cantante di protesta che èvenuto fuori dai quartieri poveri del Pireo ed è diventato il ‘sommo’cantante del Rembetico”. - THE EVENING STANDARD

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popolari, dai canti dell’Asia Minore, dalla musicabizantina e dal rebetico. Ma le canzoni che mi hannosegnato, sono prima di tutto quelle di MimisKoujoumtzis, di Loizos e di Kaldaras, che hanno perme un significato tutto particolare. Anche quelle diMikis Thodorakis e di Chatzidakis, ovviamente... Miriferisco alla scuola che ha fatto rinascere la canzo-ne greca e l’ha resa esteticamente superiore.

Pensi che la globalizzazione nella musica faccia sìche i cantautori procedano a passi timidi, in quel-lo che vorrebbero esprimere? Che forse esistanopensieri geneticamente modificati anche in questosettore dell’arte?

Sì, esistono. La globalizzazione, da una prima let-tura, come abbiamo imparato ad interpretarla negliultimi 3-4 anni, ha effetti non troppo positivi. La glo-balizzazione della musica, intesa in modo corretto,è ciò che allarga la comunicazione tra la gente.Intendendola in modo esteticamente corretto.Porta più vicino mentalità diverse, culture diverse,persone diverse, ma in modo positivo e pacifico.Direi che è un modo ideale, la globalizzazione dellamusica è già inclusa nelle scale, nei suoni musica-li, negli strumenti musicali presenti in ogni posto.Proprio questo è il lato positivo della musica.La globalizzazione, contiene in sé anche alcunesbavature e contempla anche gli cheque, gli asse-gni bancari, una rete elettronica che imbrigliaanche le canzoni e diventa ormai come il vino cheti beve e che tu non riesci a bere.

L’industria della musica necessita di produzioniper i mercati. L’artista può arrivare a dire che èquesta industria ad avere in mano il potere?

Probabilmente, sì. Capita anche questo. Ma non èsempre vero e non si esprimono tutti allo stessomodo. Dovremmo far attenzione a chi si esprime,in quale momento e contesto e cosa vuole direesattamente. E vedere se riesce a spiegare quelche dice, perché si dicono tante cose che nonhanno un senso...

L’ambiente della musica contemporanea, e, più ingenerale, le persone di cultura, come possonogiocare correttamente il loro ruolo ?

Questo è un lungo discorso, dato che ognuno di noipercepisce in modo personale il proprio ruolo nellasocietà. Non so però, quanto si percepisca il proprioruolo nella Storia. Non dimentichiamo, poi, che esi-stono due storie. C’è la piccola storia umana e quel-la essenziale, quella dell’Universo. Di fronte a quest’ultima, l’uomo, non so cosa sia. Dipende da comeognuno percepisce il proprio posto all’interno diquesto spazio. Ognuno di noi va avanti, secondo la

sua sensibilità, secondo le proprie conoscenze,secondo la tenacia che lo contaddistingue . A voltesegue la massa, a volte cambia direzione tentandodi proporsi nella sua unicità. Questo, poi, dipendedalla capacità che caratterizza ognuno.

Cosa ti permette di riposarti fisicamente e spiri-tualmente?

Faccio tante cose. Prima di tutto, riposo vuol direastinenza dallo stress e dai tormenti della fatica,dalla meschinità umana e dalla quotidianità. Nonche la nostra quotidianità non presenti anche ele-menti positivi, ma in generale, in queste grandicittà, più o meno come negli ospedali psichiatrici,la situazione è davvero un po’ problematica.

Cosa sogni per il futuro?

Un mondo più vero, con tante virtù, ed un mondodove, dato che ha in sé due elementi, il bene e ilmale, prevalga il primo. Ciò che oggi disegna l’uo-mo a tinte fosche è soprattutto l’amore per la vio-lenza.

Cosa hai da dire a coloro che ti ascoltano e che tileggono?

Di scegliere belle canzoni e di tapparsi le orecchiequando si trovano davanti, canzoni fatte senzacura, fatte proprio coi piedi...

“Esistono pochi angeli che cantano,Esistono poche canzoni di angeli,Esistono mille violini nel pugno della mia mano…”

Tratto dalla collana di Tassos Mavris, “La Passione”

Ognuno di noi va avanti, secondo la sua sensibilità, secondo le proprie

conoscenze, secondo la tenacia che lo contaddistingue...

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Francesca Bartellini, attrice e regista, ci parla deldocumentario che ha scritto e diretto, dedicato allamusica tradizionale di Olympos, un villaggio dell’i-sola di Karpathos, nel Dodecanneso . Un viaggioche arriva sino alla Calabria “greca”, in compagniadi Yannis Pavlidis, che suona musica “orale”, dalleorigini millenarie. Nella sua musica, composizioneed esecuzione, si fondono, costituiscono un’unità.Ad Olympos, da dove Yannis proviene, tutti suona-no la lira, la zampuna, o il liuto. Si tratta di unamusica ancestrale, studiata da molti musicologi difama mondiale. Yannis insegna ai giovani, che simostrano entusiasti di poter ritornare al passato,

per conoscerne ed approfondirne le tradizioni. E incompagnia della regista italiana, si reca nella terradel grecanico, in Calabria, per scoprire le comuniradici musicali, che uniscono da millenni le terredella Grecia e del Sud Italia.

Come mai avete scelto Karpathos per questodocumentario? Avete voluto dare anche una pro-fondità storica, visto che gli abitanti insistono moltosulle loro origini doriche...?

Certo, il fatto è che i miei documentari nasconosempre per un percorso personale. Incontro delle

persone, decido che c’è un soggettoche mi interessa, e poi lo approfondi-sco. Ero a Rodi, per un altro docu-mentario che ho presentato al Festivaldelle donne del Mediterraneo, e pro-prio li, in una caffetteria, ho incontratoYannis Pavlidis, il protagonista.Abbiamo parlato in perfetto italiano emi ha spiegato che voleva scrivere unlibro per preservare il suo patrimoniomusicale, che sta scomparendo. Mi haquasi lanciato un segnale, facendomicapire che bisognava fare un film.Quest’uomo ha un numero infinito diconoscenze che gli è stato tramanda-to da generazioni.Era un’occasione unica e il mio amoreper la Grecia e certamente, per lamusica, mi ha spinto a fare questo film.Andando a Olympos, parlando dellamusica, è venuta fuori la loro ascen-

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Yannis e gli altri. Un viaggio musicale da Olympos, nell’isola di Karpathos, fino alla Calabria.di Francesca Bartellini

Yannis e gli altri. Un viaggio musicale da Olympos, nell’isola di Karpathos, fino alla Calabria.

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denza dorica, è stato come aprire la porta di unpassato lontanissimo. Non sono le parole diOmero, ma è la musica. In un certo qual modo, unqualcosa di ancora più forte...Se dovesse parlare di questa musica in base allesue sensazioni, come la potrebbe descrivere?C’è qualcosa di magico, di inebriante, di quasiipnotico, in questi suoni. Loro suonano tantissimo,anche la sera, andando avanti, a volte, fino alle seidel mattino. In passato, poi, con le Madinades,improvvisavano su un tema, e continuavano pergiorni e giorni. È una musica in parte simile, inparte completamente diversa, da quella del NordAfrica, che ti trasporta, sicuramente, in un ambitolegato alla spiritualità pagana.Come è nata l’idea di proporre un parallelismo trala musica grecanica e quella di Karathos?È stato sempre a causa di Pavlidis, che volevaandare a trovare i greci di Calabria. Ho pensatoche se avessi coinvolto il festival Paleà Riza perinvitarlo, il suo desiderio si sarebbe potuto realiz-zare. Nel film si vede che al gente loguarda, quasi come qualcosa disacro, in special modo i vecchi. C’èla scena dove lui presenta il suostrumento e dice quasi ai grecanici“il vostro non va bene perché non siè evoluto nel tempo, è troppo gran-de”. Non ha lo sguardo dell’etnomu-sicologo, ma di chi vuole suonare,con lo spirito di chi vuole mantenerevivo quel tipo di musica. A un certopunto del film, vengono paragonatele due lire. E Yannis dice: “vedete, lalira di Olympos, in alto, non è cositozza”. I calabresi sono rimasti construmenti antichi originari, senzacambiamenti, mentre la lira diKarpathos - forse anche per i con-tatti con il vicino oriente - ha subíto

variazioni, e si può veramente pensare che sial’antenato del violino...Il suo documentario si concentra sui bambini cheimparano a suonare. Questa trasmissione delsapere, anche per una via “strettamente pratica”,mi pare l’abbia molto colpita...Si tratta proprio della base del mio film. Sono statamolto attratta dal fatto che questi ragazzi voglianoimparare sinceramente e vadano particolarmentefieri di questa tradizione. Rappresentano la spe-ranza che questa musica orale, non vada persa,ma che continui ad essere vista come una vera ric-chezza dell’animo,. Il fatto che ci siano dei bambi-ni, dei ragazzi, che si interessano ad apprendere,è come riuscire a salvare una lingua dalla scom-parsa, dalla morte. Ed è proprio per questo chePavlidis ha voluto scrivere il suo libro, è per questoche insegna, prima di tutto, a questi ragazzi, adimparare ad ascoltare...Lui spiega come si muovo-no le labbra e come accompagnare lo strumento,come si balla, come si aiuta il danzatore a ballare.Spiega tutti i meccanismi fondamentali, che iragazzi non ritrovano più nella vita quotidiana.La musica è presentata come una esperienzatotalizzante, quasi una seconda vita. Vediamo cia-battini o agricoltori, che, con vera passione,costruiscono gli strumenti con le proprie mani.Un’esperienza molto diretta ....Sono persone che abitano nello stesso villaggio,ma non si guadagnano da vivere con la musica, laquale rimane pur sempre un fatto amatoriale.Hanno un mestiere, e poi, oltre il lavoro, suonano.Anche se, spesso, arrivano a sfiorare il professio-nismo. Si tratta di un microcosmo che ha mante-nuto queste distinzioni. Bisogna dire, certo, cheultimamente, gli abitanti di Olympos vengono invi-tati piuttosto spesso a suonare e sono pagatianche bene, soprattutto ad Astoria, negli StatiUniti, dove vivono molti immigrati greci. Ma lamusica continua a far parte della vita di tutti gior-ni, continua ad essere, ancor meglio, il significatodella vita. Con un senso più spirituale che pratico,come poi è stato per millenni...

T.A.S.

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Questione di feeling. Tra Garibaldi e la Grecia è stato amore eterno. Fin dagli inizi della vita dell’Eroe deiDue Mondi. Ed è stato un amore non casuale. Infatti, l’educazione politica di Garibaldi avviene per mare.Lui, prima semplice mozzo poi comandante di navi attraversa in lungo e largo il Mediterraneo. Ne cono-sce, si potrebbe dire, ogni singolo scoglio. Prendiamo, per fare un primo, semplice, esempio l’anno 1827.Garibaldi salpa da Nizza con la “Cortese”. Direzione: Mar Nero. I preparativi sono febbrili. Il tempo scap-pa via. C’è il rischio, concreto non solo teorico, di trovare i porti bloccati dai ghiacci. E, per uomini che vivo-no di commercio marinaro, sarebbe la catastrofe. Inizia la navigazione, difficile, perigliosa.Tre volte la naveguidata da Garibaldi è attaccata dai pirati. Ma lui capisce subito che non si tratta di ‘pirateria’ tout court.No, c’è qualcos’altro. E nei periodi di ‘stanca’, fermo nei porti per aspettare di ripartire, il nostro eroe haoccasione di parlare, di confrontare le sue idee con marinai di tutto il mondo. Sa che è in atto la lotta delpopolo greco contro l’Impero ottomano. Sa che illustri protagonisti della sua epoca (dall’immortale Byronall’italiano Santorre di Santarosa) non hanno esitato un attimo a impugnare la spada per l’’“Ellade libera”.Sa, insomma, che la pirateria ‘di corsa’ è autorizzata dal governo provvisorio e, non a caso, nel suo primoesilio in Sudamerica, anche lui userà lo stesso metodo per la Repubblica del Rio Grande do Sul che sicontrappone, armi in pugno, all’Impero brasiliano. Oppure, prendiamo a esempio un altro anno: il 1828.Sempre a bordo della Cortese, Garibaldi si ammala. Non si è mai capi-to bene di che cosa. Fatto sta che deve essere lasciato aCostantinopoli. E non sarà un soggiorno di breve durata: riuscirà atornare a Nizza solamente nel 1831, quindi tre anni dopo. ACostantinopoli viene aiutato dalla comunità italiana, in partico-lare da una donna di Nizza (la città che, nel 1807, aveva datoi natali al Nostro), Luisa Sauvaigo, “una di quelle creature –scrive – che mi hanno fatto credere sempre esser la donna lapiù perfetta di tutte le creature”. Per sbarcare il lunario e nonpesare eccessivamente sui suoi ospiti, insegna italiano, fran-cese e matematica. Ma non insegna soltanto. Vuole ancheimparare. Gli si prospettano due possibilità: lo studio delturco o del greco. Garibaldi non ha esitazioni, e sceglie laseconda opzione. Del resto, una testimonianza più tardadimostra quanto la Grecia fosse entrata nel suo cuore.Giovan Battista Cuneo, primo biografo di Garibaldi,anch’egli nato nel 1807, iniziatore del Nizzardoai segreti della Giovine Italia, l’associazionefondata da Giuseppe Mazzini, grandissi-mo giornalista, ricorda che “Giuseppeaveva una decisa inclinazione peiGreci e pei loro canti popolari, di cuisovente egli ricorda con desiderio eaffetto, le armonie e i versi”.Inclinazione che “gli rimasenell’animo, frutto di quei viag-gi e delle reminescenze deiprimi studi”. In questo caso,Cuneo si riferisce agli annidell’esilio in Sudamerica esegnatamente in Brasile eUruguay. Da quelle terre lon-tane non riusciva a dimenti-

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La forte passione Greca del giovane Garibaldidi Francesco Ghidetti

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care la Grecia. Ma se facciamo un salto dagli anniQuaranta del XIX secolo al 1862 – quandoGaribaldi ha già messo a segno il suo capolavoropolitico e militare, la spedi-zione dei Mille che liberòtutto il Meridione d’Italia –vale la pena ricordare unepisodio illuminante e‘buffo’ al tempo stesso. IGreci contano molto sul-l’aiuto garibaldino per orga-nizzare una rivolta genera-le dei popoli balcanici con-tro l’Impero ottomano.Addirittura, nell’estate del1862, viene firmato – comeci racconta uno dei massi-mi storici dell’Ottocento,Antonio Liakos – un patto dimutuo soccorso tra alcuniinviati di Ottone e StefanoTurr, il generale ungheresetra i più stretti collaboratoridi Garibaldi. Due emissarivengono mandati dalGenerale. Questi apre laporta, non li saluta nemme-no, si mette a sedere, prendeuna chitarra e, con la sua bellissima voce, comin-cia a cantare, in greco, l’inno patriottico scrittoprima dell’insurrezione ellenica del 1821 da RigasFereos. Vi potete immaginare le facce degli amicigreci. Stupefatti e lusingati al tempo stesso chie-dono: “Generale, dove avete imparato così bene lanostra lingua?”. Garibaldi sorride: “Al principiodella guerra per l’indipendenza ellenica mi trovavocon la mia nave a Mitilene. Là conobbi un capita-no greco che cantava, malinconicamente, questomagnifico inno. Mi piacque, lo imparai e spessotorno a cantarlo accompagnandomi alla mia chi-tarra”. Ma per Garibaldi la Grecia non era solo unaterra che lottava per la sua libertà o un ‘luogo del-l’anima’, struggente e da ricordare con nostalgia.No, l’“Ellade risorta” era anche un punto di riferi-mento. Il Generale difficilmente alzava la voce operdeva la pazienza. I memorialisti garibaldini, daGiuseppe Bandi a Giuseppe Cesare Abba, hannoreso immortali i suoi sguardi che valevano ben piùdi un ordine. Ciò nonostante, qualche volta batte-va, letteralmente, i pugni sul tavolo. Come quando,disgustato dalle condizioni dell’Italia incatenata datiranni e tirannelli, esclamò: “Se gli italiani avesse-ro potuto esprimere capi partigiani comeCostantino Eparca, Karaiskaki e Kolokotrones, ilmio Paese sarebbe stato liberato!”. E i giovanigreci ricambiavano con passione l’amore diGaribaldi. Come scrisse uno dei primi storici che sioccuparono dei rapporti tra Italia e Grecia nelRisorgimento, stiamo parlando di Kostas Kerofilas,

non sono rari i volontari, specie di Atene eSalonicco, che partono alla volta dell’Italia perindossare la camicia rossa. E che, addirittura – è il

caso Zissis Sotiriu nellasfortunata campagna diAspromonte del 1862 –vanno in galera per l’Eroedei Due Mondi. Ma questinon sono che pochiappunti che, comunque,danno l’idea di un rappor-to stretto tra Garibaldi e laGrecia.Il discorso andrebbe allar-gato a tutta l’epopearisorgimentale dei duePaesi. Pensate, a esem-pio, che il Papa vietò l’i-scrizione all’Università diBologna a studenti greci.Un’odiosa discriminazio-ne che aveva un precisointento politico: evitareche le idee di libertàpotessero germogliaretroppo estesamente.Insomma, i giovani elleni-

ci erano visti come “perico-losi rivoluzionari”. E, inoltre, c’è da tenere in consi-derazione che non solo Garibaldi, ma moltissimialtri italiani, nel corso di tutto l’Ottocento, non esi-tarono a lasciare una vita tranquilla per battersiper le idee della Patria amica. Argomenti studiaticon profitto da insigni studiosi contemporaneicome Angelo Tamborra (che ha scritto un fonda-mentale volume su Garibaldi e l’Europa) oFrancesco Guida, autore di un corposo saggio suMarco Antonio Canini, filelleno di grande fascino. Il‘garibaldinismo’ non si ferma al Risorgimento, maprosegue anche dopo. E, in tutte le prove che lagiovane nazione greca dovette sostenere contromille nemici mai mancherà l’apporto italiano.Magari vestito in camicia rossa, nel ricordo e nel-l’omaggio a chi, per primo, aveva capito l’impor-tanza dei rapporti tra le due nazioni, le loro comu-ni speranze, le loro comuni paure.Si badi bene: non è solo un ‘affratellamento’ milita-re, ma un proficuo scambio sui maggiori problemi(sociali, economici, culturali) di quell’Ottocentoche, non a caso, è stato definito “il secolo dellaStoria”. Per dirla con Liakos, insomma, “in Grecia,dal 1860 al 1912, l’immagine di Garibaldi, la suavigorosa eloquenza, il suo mito erano continua-mente presenti come speranza di un’altra viaverso la libertà”.

(Francesco Ghidetti è giornalista del gruppo “LaNazione”, “Quotidiano Nazionale”, “Resto delCarlino”)