Diventare preghiera

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1 DIVENTARE PREGHIERA.  Fratelli nell’esperienza di Dio  Pubblicato in: Frati della Corda, febbraio 2008, 34-42. P. CARLO SERRI OFM 0. Introduzione. Francesco, un’eredità ambigua.  Parlare della preghiera di Francesco appare quasi un atto di presunzione. Corriamo ancora una volta il rischio di giudicare un uomo povero e indifeso, per trarne conclusioni saccenti. Il poverello di Assisi sopporta ancora lindigenza estrema di non poter difendere più la propria identità. Da vivo aveva rinunciato alla volontà propria, affidandosi solo a Dio. Da santo è diventato oggetto di interpretazioni, affidato al giudizio dei suoi critici. Nel Saluto alle Virtù egli stesso ha descritto la suprema obbedienza come laffidarsi in sottomissione assoluta a tutte le creature, persino alle bestie irragionevoli: ”La santa obbedienza confonde tutte le volontà corporali e carnali e ogni volontà propria, e tiene il suo corpo mortificato per l'obbedienza allo spirito e per l'o bbedienza al proprio fratello; e allora l'uomo è suddito e sottomesso a tutti gli uomini che sono nel mondo, e non soltanto ai soli uomini, ma anche a tutte le bestie e alle fiere, così che possano fare di lui quello che vogliono per quanto sarà loro concesso dall'alto del Signore (Cf. Gv 19,11) (SalVirt 14-18). Appartiene a tutti e tutti fanno di lui quello che vogliono. Non si può difendere dalle diverse e contrastanti interpretazioni che si fanno di lui. Lo studio critico del francescanesimo è diventato oggi una scienza difficilissima, riservata ad un manipolo di eruditi professori universitari, che coltivano i loro campi di indagine specializzati e che sono lontanissimi dal sentire della gente comune, che invece continua a vedere Francesco in modo poetico e trasognato. Per chi si accosta a lla ricerca storia su Francesco dAssisi e sul primitivo movimento francesca no resta sempre aperto il grande problema posto - ormai da

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DIVENTARE PREGHIERA.

 Fratelli nell’esperienza di Dio 

Pubblicato in: Frati della Corda, febbraio 2008, 34-42.

P. CARLO SERRI OFM 

0. Introduzione. Francesco, un’eredità ambigua. 

Parlare della preghiera di Francesco appare quasi un atto di presunzione.Corriamo ancora una volta il rischio di giudicare un uomo povero e indifeso,per trarne conclusioni saccenti. Il poverello di Assisi sopporta ancoral‟indigenza estrema di non poter difendere più la propria identità. Da vivo avevarinunciato alla volontà propria, affidandosi solo a Dio. Da santo è diventatooggetto di interpretazioni, affidato al giudizio dei suoi critici. Nel Saluto alle

Virtù egli stesso ha descritto la suprema obbedienza come l‟affidarsi insottomissione assoluta a tutte le creature, persino alle bestie irragionevoli:

”La santa obbedienza confonde tutte le volontà corporali e carnali e ogni volontàpropria, e tiene il suo corpo mortificato per l'obbedienza allo spirito e per l'obbedienzaal proprio fratello; e allora l'uomo è suddito e sottomesso a tutti gli uomini che sononel mondo, e non soltanto ai soli uomini, ma anche a tutte le bestie e alle fiere, cosìche possano fare di lui quello che vogliono per quanto sarà loro concesso dall'alto delSignore” (Cf. Gv 19,11) (SalVirt 14-18).

Appartiene a tutti e tutti fanno di lui quello che vogliono. Non si puòdifendere dalle diverse e contrastanti interpretazioni che si fanno di lui. Lostudio critico del francescanesimo è diventato oggi una scienza difficilissima,riservata ad un manipolo di eruditi professori universitari, che coltivano i lorocampi di indagine specializzati e che sono lontanissimi dal sentire della gentecomune, che invece continua a vedere Francesco in modo poetico e trasognato.

Per chi si accosta alla ricerca storia su Francesco d‟Assisi e sul primitivomovimento francescano resta sempre aperto il grande problema posto - ormai da

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cent‟anni - dalla questione francescana: qual è il volto autentico di Francesco,quello tramandato dalle fonti storicamente più attendibili? Qual è il suomessaggio autentico, che possa costituire per noi un‟eredità vivente? Francescoera un eretico o un santo? Un poeta o un organizzatore? Un mistico o un

apostolo?Per noi frati, esitanti a metà strada tra devozione ed erudizione, c‟è il

pericolo di perderci nel romanticismo evanescente o nel nozionismo più sterile.Dobbiamo rifuggire dalle interpretazioni riduttive. Francesco è un uomo di Dio,con una personalità variegata e polivalente. In quanto mistico è inimitabile. Ilsegreto del gran Re resta per sempre sigillato, e il mistero della sua vita dipreghiera ci resterà sempre precluso.

 Non possiamo conoscere l‟azione interiore di Dio nell‟anima di un santo.Già Guglielmo di Saint Thierry, mistico e teologo cistercense, trovandosi adover scrivere la vita del suo grande amico e riformatore monasticoS.Bernardo è costretto a riconoscere francamente:

“sulla sua vita interiore - del Cristo che vive in lui - non possiamo scrivere nulla.Scriviamo una vita descrivendo le opere esterne compiute da Bernardo, quelle opereesterne che sono prova della sua vita interiore. Nel suo cuore non leggiamo, ma inquello che ha fatto si riflette la sua vita interiore”1.

È così con ogni santo, anche con Francesco: non possiamo leggere nellasua anima. Dobbiamo scrutare le tracce storiche che di lui ci restano per risalireai doni che Dio gli ha fatto. Egli è imitabile e modello normativo in quanto

 forma minorum. Lui ha voluto porsi esplicitamente come forma minorum:

“Noi che siamo vissuti con lui, siamo in grado di testimoniare a suo riguardo che... unavolta, notando come i frati già debordavano dai limiti della povertà e della discrezione

sia nei cibi che nelle altre cose, disse ad alcuni, con l'intenzione di rivolgersi a tutti: «Non pensano i fratelli che al mio corpo sarebbe necessario un vitto speciale? Eppure,siccome devo essere  modello ed esempio per tutti i fratelli, voglio che mi bastinoalimenti da povero e oggetti grossolani ed esserne contento” ( LegPer 2).

Francesco è maestro con l‟esempio della sua vita, più che con uninsegnamento teorico e sistematico. E la sua vita acquista la sua specificità soloperché segnata da un‟eccezionale esperienza di Dio. San Francesco risulterebbe

1 GUGLIELMO DI SAINT-THIERRY, Vita di San Bernardo, Opere/2, (Roma 1997) 37.

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assolutamente incomprensibile, come uomo e come santo, se non tenessimoconto del suo radicale e totale orientamento a Dio. Questo ha plasmato tanto lasua vita di preghiera quanto il suo modo di fare apostolato.

1. Francesco, un uomo che ha sperimentato Dio. 

1.1. Ad una meditazione seria appaiono certamente inaccettabili tutte leinterpretazioni di Francesco che vogliano ridurre Francesco - il novellus pazzus

2 di Dio - semplicemente all‟apprezzamento poetico o sociologico.

La straordinaria capacità che Francesco aveva - forse suo malgrado - diattirare e di sedurre le persone non può spiegarsi semplicemente con attrattive diordine umano. Testimonia bene il Celano come tutte le categorie di personevenivano attratte da quello che appariva come «un uomo dell‟altro mondo»: 

“Uomini e donne, chierici e religiosi accorrevano a gara a vedere e a sentire  il Santo diDio, che appariva a tutti come un uomo di un altro mondo. Persone di ogni età e sessovenivano sollecite ad ammirare le meraviglie che il Signore di nuovo compiva nelmondo per mezzo del suo servo. La presenza o anche la sola fama di san Francescosembrava davvero una nuova luce mandata in quel tempo dal cielo a dissipare lecaliginose tenebre che avevano invaso la terra...” (1Cel 36).

In verità la traduzione italiana offerta dalle Fonti Francescane è inefficacead esprimere la progressiva accelerazione con cui - secondo il Celano - le variecategorie di cristiani si pongono alla sequela del santo di Assisi3:

“Currebant viri, currebant et feminae, festinabant clerici, accelerabant religiosi, utviderent et audirent sanctum Dei, qui homo alterius saeculi omnibus videbatur. Omnisaetas omnisque sexus properabat cernere mirabilia, quae noviter Dominus per servumsuum operabatur in mundo. Videbatur certe tempore illo, sive per praesentiam sanctiFrancisci, sive per famam quaedam nova lux e caelo missa in terris, fugans universamtenebrarum caliginem, quae paene totam sic occupaverat regionem...” (1Cel 36).

Non si tratta semplicemente di una nuova ed originale tecnica pastorale. IlCelano individua in Francesco una «luce nuova» che proviene da Dio. Egli

2 «Et dixit Dominus michi, quod volebat, quod ego essem unus novellus pazzus in mundo»(CompAss 18; LegPer 114).3 C.  SERRI,   Risurrezione di Gesù e vita nello Spirito, in: Segno di fraternità. Rivista di

collegamento degli animatori vocazionali dei frati minori d’Italia. Anno XXII-108 (giugno1997) 7-13.

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  percepisce in Francesco un uomo profondamente segnato dall‟esperienza diDio. Si tratta di un uomo che vive nel radicamento divino il mistero profondodella sua persona. Il suo senso di autoidentità, la sua opzione fondamentaleesistenziale sono risposta al senso della presenza di Dio, in cui Francesco si è

immerso senza tentennamenti.Dio non è argomento di un discorso o meta di un riferimento etico. Si

tratta di una ricerca insonne e di una scoperta costante, inesauribile, maiappagata, in alcuni momenti lacerante e persino ossessiva. Il volto nascosto diDio sembra rivelarglisi progressivamente, e ogni guizzo della luce divinadiventa un riflesso che illumina anche l‟identità di Francesco , che si vede soloin riferimento a Dio «Chi se' tu, o dolcissimo Iddio mio? Che sono io, vilissimo

vermine e disutile servo tuo?» (Cf . Terza Considerazione sulle stimmate; FF  1915).

Dio non è un‟essenza filosofica o un‟entità spirituale vaga: si tratta delDio Trinitario, del Dio della storia. Penso che ormai si possa rispondere conrelativa tranquillità alla questione del cristocentrismo francescano. In realtà laspiritualità di Francesco è trinitaria, più che cristocentrica. Ogni volta che negliscritti di Francesco si parla di Cristo è in contesto trinitario, o in riferimentoall‟azione salvifica trinitaria. Come ha rilevato Nguyen-Van-Khanh nel suo

famoso studio sulla cristologia degli scritti di San Francesco:

“È insufficiente dire che la spiritualità di Francesco è cristocentrica: si deve aggiungereche prende il suo punto di partenza dallo Spinto Santo e si orienta verso il Padre” 4.

4 NGUYEN-VAN-KHANH N., Gesù Cristo nel pensiero di San Francesco secondo i suoi scritti,Milano 1984, 326-327. ”Si dice spesso che la spiritualità di Francesco è cristocentrica. È vero.Ma non è pan-cristica. Scrive A. de Vogüé che nel Maestro e in san Benedetto, per esempio

«Cristo è onnipresente, onniagente, in modo tale che la Seconda Persona sostituisce la Primanell‟ insieme dei rapporti tra Dio e gli uomini. È troppo poco in tal caso parlare dicristocentrismo. Si dovrebbe piuttosto dire che la spiritualità del Maestro è pan-cristica». (A.  

DE VOGÜE,   La paternité du Christ dans les règles de saint Benoît et du Maître,  in ”Vie

Spirituelle” 46 (1964), pp. 59 e 62). Quanto a Francesco, egli non perde mai di vista lapersona di Cristo, ma egli lo vede sempre come Mediatore, cioè sempre in relazione da unaparte col Padre e dall'altra con tutti gli uomini. È insufficiente dire che la spiritualità diFrancesco è cristocentrica: si deve aggiungere che prende il suo punto di partenza dallo SpiritoSanto e si orienta verso il Padre. Nella luce dello Spirito Santo per mezzo del Figlio diletto,verso il Padre celeste, ecco l‟itinerario che Francesco d‟Assisi ha seguito e che propone a tuttigli uomini. L‟originalità di Francesco è quella stessa del Vangelo. Dopo sette secoli, ilPoverello non cessa di essere attuale: è semplicemente perché il suo messaggio è quello stessodel Vangelo di Nostro Signore Gesù Cristo”.

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Ripercorriamo questo tragitto a ritroso. Francesco ha vissuto il misterodell‟Incontro con l‟ineffabile Dio che gli si rivela Padre. Fin dall‟inizio esprimeinfatti il passaggio alla vita nuova penitenziale con la scoperta della paternitànuova di Dio:

“D'ora in poi voglio dire: „Padre nostro, che sei nei cieli‟, non più ‟padre mio Pietro diBernardone‟" (3Comp 20).

Questa donazione a Dio Padre diventa sempre più assorbente nella suasovrabbondanza, fino a raggiungere un possesso totalizzante ed esclusivo nellavita di Francesco. Un testo della Regula non Bullata esprime bene questoradicalismo teologico:

“Nient'altro dunque dobbiamo desiderare, niente altro volere, nient'altro ci piaccia ediletti, se non il Creatore e Redentore e Salvatore nostro, solo vero Dio, il quale è ilbene pieno, ogni bene, tutto il bene, vero e sommo bene, che solo è buono, pio, mite,soave e dolce, che solo è santo, giusto, vero, santo e retto, che solo è benigno,innocente, puro, dal quale e per il quale e nel quale è ogni perdono, ogni grazia, ognigloria di tutti i penitenti e giusti, di tutti i santi che godono insieme nei cieli. Nientedunque ci ostacoli, niente ci separi, niente si frapponga. E ovunque, noi tutti, in ogniluogo, in ogni ora e in ogni tempo, ogni giorno e ininterrottamente crediamo

veramente e umilmente e teniamo nel cuore e amiamo, onoriamo adoriamo, serviamo,lodiamo e benediciamo, glorifichiamo ed esaltiamo, magnifichiamo e rendiamo grazieall'altissimo e sommo eterno Dio, Trinità e Unità, Padre e Figlio e Spirito Santo,Creatore di tutte le cose e Salvatore di tutti coloro che credono e sperano in lui, eamano lui che è senza inizio e senza fine, immutabile, invisibile, inenarrabileineffabile incomprensibile, ininvestigabile, benedetto, degno di lode, glorioso, so-praesaltato, sublime, eccelso, soave, amabile, dilettevole e tutto sopra tutte le cosedesiderabile nei secoli dei secoli. Amen” ( RnB c. XXIII 9-11).

L‟esperienza di Lui sorpassa ogni capacità espressiva linguistica. Dio ètutto il bene; al di fuori di lui non c‟è nulla. Spazio, tempo, pensiero ed affetti,vita e bellezza, tutto è Dio o dono di Dio. Tutto allora deve essere inglobato inDio, ricondotto a Dio, riferito a lui. Il mondo intero, come dirà Bonaventura, èscala Dei 5. Ogni lode dunque è degna solo di Dio. Nessun altro valore sussistedinanzi a Lui. Niente è contrapponibile a Dio. Sembra dire: sei ineffabile, mio

5 S.  BONAVENTURA,   Itinerarium mentis in Deum I, 2, Opere di S. Bonaventura V/1 Roma1993: “ipsa rerum universitas sit scala ad ascendendum in Deum”.

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Signore, ma io ti conosco, perché vivo di Te. È un “Todo y nada” forse piùradicale di quello dell‟ascetica carmelitana. 

La lode e il rendimento di grazie assumono allora il ritmo della vita. Ilrespiro diventa preghiera, tutta la vita diventa preghiera, perché riconduce tutto

alla lode di Dio. Francesco stesso diventa preghiera, secondo la notissimaespressione di Tommaso da Celano:

"...dirigeva tutta la mente e l'affetto a quell'unica cosa che chiedeva a Dio: non eratanto un uomo che prega, quanto piuttosto egli stesso tutto trasformato in preghieravivente (2Cel 95)

6.

Francesco è trasformato in preghiera perché è totalmente rivolto a Dio: il

cuore e la mente sono rivolti al Signore.

“E guardiamoci bene dalla malizia e dall'astuzia di Satana, il quale vuole che l'uomonon abbia la sua mente e il cuore rivolti a Dio” ( RnB XXII,19).

Questo «cuore rivolto a Dio» evoca il prologo del vangelo di Giovanni,dove si dice che “ il Verbo era verso Dio” (o` lo,goj h=n pro.j to.n qeo,n Gv 1,1).Essere rivolto verso il Padre è caratteristico del Figlio, sia nell‟eternità della

Trinità immanente, sia nella storicità salvifica della Trinità economica. Tutta lavita del Figlio comporta la sua relazionalità obbediente e amorosa verso ilPadre, fino al compimento del mistero pasquale.

Lo stesso «cor ad Deum» evoca l‟atteggiamento liturgico del prefazio:«Sursum corda. Habemus ad Dominum». All‟inizio della preghiera eucaristicarivolgiamo i nostri cuori al Signore per compiere degnamente il sacrificoeucaristico.

Badiamo bene: non si tratta di una forzatura moralistica, ma di una intima

conformazione, d‟amore e di intelletto, ai desideri del Signore considerato ilSommo Bene e la fonte di ogni pace. Si realizza l‟unificazione dei desideri. Dio  diventa l‟unico desiderabile. Questo vuol dire pregare: Dire a Dio “Tu sei”,come nelle Lodi di Dio Altissimo.

6 “Omnem sic et intuitum et affectum in unam quam petebat a Domino (Ps 26,4) dirigebat,totus non tam orans quam oratio factus” (2Cel 95).

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1.2. L‟incontro con il Signore diventa storia e carne nell‟incontro con ilcrocifisso. La croce è la forma della rivelazione. Si può dire semplicemente cheFrancesco ha sperimentato la rivelazione dell‟amore di Dio nel mistero di Cristocrocifisso, secondo l‟insegnamento di Giovanni:

“Carissimi, amiamoci gli uni gli altri, perché l'amore è da Dio: chiunque ama ègenerato da Dio e conosce Dio. Chi non ama non ha conosciuto Dio, perché Dio èamore. In questo si è manifestato l'amore di Dio per noi: Dio ha mandato il suounigenito Figlio nel mondo, perché noi avessimo la vita per lui. In questo sta l'amore:non siamo stati noi ad amare Dio, ma è lui che ha amato noi e ha mandato il suo Figliocome vittima di espiazione per i nostri peccati. Carissimi, se Dio ci ha amato, anchenoi dobbiamo amarci gli uni gli altri. Nessuno mai ha visto Dio; se ci amiamo gli unigli altri, Dio rimane in noi e l'amore di lui è perfetto in noi. [13]Da questo si conosceche noi rimaniamo in lui ed egli in noi: egli ci ha fatto dono del suo Spirito” (1Gv 4,7-12).

L‟esperienza di Dio è esperienza d‟amore. L‟amore di Dio si comunicanella povertà del crocifisso che espia il peccato e, per mezzo dello Spirito, sitrasforma in amore fraterno. Si tratta di un amore condivisibile e unificante.L‟incendio dello Spirito lo rende possibile.

“La speranza poi non delude, perché l'amore di Dio è stato riversato nei nostri cuoriper mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato” ( Rm 5,5).

“Tutti quelli infatti che sono guidati dallo Spirito di Dio, costoro sono figli di Dio. Evoi non avete ricevuto uno spirito da schiavi per ricadere nella paura, ma avetericevuto uno spirito da figli adottivi per mezzo del quale gridiamo: « Abbà, Padre!»” ( Rm 8, 14-15).

Lo Spirito Santo ci riempie dell‟amore, fino al punto da conformarci alCristo e farci rivivere la stessa relazione di figliolanza e di obbedienzasacrificale che egli ebbe verso il Padre. Possiamo dunque dire veramente«Abbà», come Gesù.

1.3. Animato dallo Spirito. Ora possiamo ben comprendere l‟essenzialità dell‟operazione dello Spiritosecondo Francesco.

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”Quei frati ai quali il Signore ha concesso la grazia di lavorare, lavorino con fedeltà econ devozione così che, allontanato l'ozio, nemico dell'anima, non spengano (Cf . 1Tes 5,19) lo spirito della santa orazione e devozione, al quale devono servire tutte le altrecose temporali” ( RB V,1-2).

”E coloro che non sanno di lettere, non si preoccupino di apprenderle, ma faccianoattenzione che ciò che devono desiderare sopra ogni cosa è di avere lo Spirito delSignore e la sua santa operazione, di pregarlo sempre con cuore puro e di avere umiltà,pazienza nella persecuzione e nella infermità, e di amare quelli che ci perseguitano e ciriprendono e ci calunniano ( Mt 5,44); beati quelli che sopportano persecuzione a causadella giustizia, poiché di essi è il regno dei cieli ( Mt 5,10). E chi persevererà fino allafine, questi sarà salvo” ( Mt 10,22; RB X,8-10).

L‟azione dello Spirito del Signore crea in noi l‟imitazione e la conformitàcon Cristo povero e crocifisso. Lo Spirito genera la preghiera, la pazienza,l‟umiltà, la purezza di cuore e l‟amore per i persecutori. Da qui nasce la  

  preghiera: da un contatto con lo Spirito che dipinge in noi l‟immagine delFiglio. Non è studio o deduzione pastorale. È un impatto vivo con il Dio vivo.

2. La preghiera della fraternità

2.1.La preghiera non appartiene solamente alla vita privata di Francesco, ma hacaratterizzato la primitiva comunità minoritica. Francesco fu un maestro dipreghiera? Intendeva esserlo? Ma più radicalmente possiamo chiederci: è

  possibile insegnare a pregare? Gesù è l‟unico Maestro e realizza il suomagistero per mezzo dello Spirito Santo che prega in noi.

Essendo molto realisti e guardando con verità alla nostra vita possiamodire che Francesco, come ogni santo, più che un maestro è un segno e unaprovocazione alla preghiera. Francesco si offre ai fratelli come una nostalgia e

desiderio di Dio, come segno e testimonianza incarnata dell‟espropriazioneoperata da Dio nella sua vita. Francesco insegna a pregare con la vita, a chidesidera imitarlo. Così il Celano descrive il magistero spirituale di Francesco aRivotorto:

“In quel tempo i frati gli chiesero con insistenza che insegnasse loro a pregare, perché,comportandosi con semplicità di spirito, non conoscevano ancora l'ufficio liturgico. Edegli rispose: «Quando pregate, dite: Padre nostro! e: Ti adoriamo, o Cristo, in tutte le

tue chiese che sono nel mondo e Ti benediciamo, perché con la tua santa croce hairedento il mondo ». E questo gli stessi discepoli del pio maestro si impegnavano ad

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osservare con ogni diligenza, perché si proponevano di eseguire perfettamente nonsolo i consigli fraterni e i comandi di lui, ma perfino i suoi segreti pensieri, seriuscivano in qualche modo a intuirli” (1Cel 45).

Richiesto di un insegnamento sulla preghiera Francesco in realtà si limitaad indicare le preghiere comuni del cristiano, come il Padre nostro o lapreghiera alla croce. Quando egli stesso si compone un Ufficio personale non faaltro che utilizzare i testi biblici che conosceva, dalla liturgia della Chiesa. Lamaggior parte delle sue preghiere scritte che ci sono state tramandate sonopreghiere di amplificazione biblica, ossia ripensamenti e meditazioni personalisu testi a lui offerti dalla Scrittura e dalla liturgia7. Basti pensare al commento alPadre nostro, alle antifone mariane, alle Lodi di Dio altissimo. La forza

dell‟insegnamento dunque non consisteva nell‟originalità dei suoi contenuti.I frati sono spinti ad imitare la vita di Francesco quando lo vedono

 pregare, quando si rendono conto che veramente egli considera Dio “ Deus meus

et omnia”.È tale l‟esperienza di Bernardo di Quintavalle, nella famosa notte in cui decidedi seguire Francesco. L‟episodio è narrato nella sua vita riportata nellaChronica XXIV Generalium. Francesco sta dormendo in casa di Bernardo equesti lo spia, di notte, ascoltando la famosa espressione “  Deus meus et 

omnia »:

“Francesco… si levò e, alzando in alto la mente e il volto, con le mani elevate, tuttoinfiammato con indicibili lacrime e con devota lentezza ripeteva continuamente questeparole: «Dio mio e mio tutto, Dio mio e mio tutto». E così, ripetendo per quasi tutta lanotte queste parole, non diceva altro… e infatti, da uomo devoto e umile… avendoun‟umile opinione di sé, attribuiva tutto a Dio e con devota ammirazione riferiva a Luitutte le grazie. Messer Bernardo… avendo visto tutto, alzatosi al mattino, tutto accesodi devozione, disse a san Francesco: « Frate Francesco, ho fatto proposito di

abbandonare del tutto il mondo, e di seguirti, e fare tutto quello che micomanderai»”8

7 C. PAOLAZZI, Lettura degli scritti di Francesco d’Assisi, Milano 1987, 31-51.8  “Franciscus...surrexit et mente et vultu sursum intendens, elevatis manibus, totus ignituscum indicibilibus lacrymis et devota morositate haec verba continue replicabat: «Deus meus etomnia, Deus meus et omnia». Et sic quasi per totam noctem haec replicans aliud non dicebat...namque vir devotus et humilis… de se humiliter sentiens, totum Deo attribuens cum quadamdevota admiratione eidem gratias referebat. Quae omnia cum dominus Bernardus...conspiceret, surgens mane totus devotione succensus, dixit sancto Francisco: «FraterFrancisce, ego proposui penitus mundum relinquere et te sequi ac facere quaecumquemandaveris mihi»”.  Vita Fratris Bernardi de Quintavalle, in: Chronica XXIV Generalium

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Bernardo spia la preghiera di Francesco, come farà anche frate Leone sulmonte della Verna, in una circostanza simile. I frati vedono che Dio è tutto perFrancesco e che tutto il nostro bene va restituito a Dio. Per tutto bisogna rendere

grazie. Appare che la preghiera è la forza da cui Francesco attinge la vita e lamissione. I frati capiscono che è Dio il centro dell‟esistenza di Francesco edunque lo seguono nella stessa avventura. La preghiera rivela il volto segreto diDio, che attira con fascino irresistibile. La fraternità può essere fondata solosull‟assoluto di Dio. Sarebbe veramente patetico voler cercare un diversofondamento alla nostra vita.

2.2. La preghiera dunque è l‟anima della fraternità , perché siamo entrati tutti infraternità per cercare Dio. Dovremmo ricordarci sempre perché siamo entrati inconvento. La preghiera probabilmente è l‟occasione migliore per farlo. Ci siritrova intorno a Dio perché si crede ancora alla propria vocazione e si cercacontinuamente di conoscerla meglio per attuarla più perfettamente.

Thomas Merton, il famoso monaco trappista americano, ha scritto che ladomanda « Cosa cerchi?» è il principio di base della spiritualità monastica (esecondo noi di ogni vita religiosa):

“Se vogliamo vivere da monaci, dobbiamo tentare di capire cosa siaeffettivamente la vita monastica. Dobbiamo tentare di raggiungere le fonti da cuiscaturisce la vita. Dobbiamo conoscere le nostre radici spirituali, per poterle affondarepiù profondamente nel terreno. Ma la vocazione monastica è un mistero. Non puòquindi essere esaurientemente espressa in una formula chiara e concisa. È un dono diDio e non la comprendiamo appena lo riceviamo, poiché tutti i doni di Dio,specialmente quelli spirituali, hanno in sé qualcosa della Sua intimità e del Suomistero. Dio si rivela a noi nel dono della vocazione ma lo fa con gradualità. Ilmistero della nostra vocazione, è vita nascosta con Cristo in Dio (cf . Col 3,3). Se sia-

 Ordinis Minorum, Analecta Franciscana III, edita a Patribus Collegii S. Bonaventurae, AdClaras Aquas (Quaracchi), MDCCCXCVII, p. 35-36. Autore della Chronica è Frate Arnaldode Seranno (de Serrand), già Ministro di Aquitania e riformatore dell‟Ordine in Spagna. Lamaggior parte della Cronaca è scritta prima del 1369, anche se arriva fino al 1374. È fonte pergli scrittori successivi dell‟Ordine, quali Mariano da Firenze, Marco da Lisbona, NicolaGlassgerger e quindi il Wadding. L‟autore non eccelle nell‟arte critica, ma riferisceabbastanza fedelmente e diligentemente quel che trova nelle sue fonti sulla storia dei primisecoli francescani. Bisogna notare che quando l‟autore riferisce della grande controversia sulla

  povertà tra Communità dell‟Ordine e Spirituali, si mostra in tutto seguace della Comunità,per cui il suo giudizio su alcuni spirituali va preso cum grano salis (Cf . AnFr III, Praefatio p.XII).

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mo veri monaci dovremo infatti costantemente riscoprire cosa significhi esseremonaco e non esauriremo mai la pienezza di significato della nostra vocazione.Quando entriamo in monastero possiamo avere o non avere una precisa coscienza sulperché abbiamo lasciato il mondo. Possiamo dare una risposta, più o meno chiara, alla

domanda: "Perché sei venuto qui?". Ma questa è una di quelle domande chedovremmo porci continuamente nel corso della nostra vita monastica: "Cosa staifacendo qui? Perché sei venuto qui?". Non che sia una domanda di cui nonconosciamo la risposta, ma tendiamo a dimenticarla.Talvolta esitiamo a porci questa domanda, temendo che possa minare le fondamentadella nostra vocazione. Ma è una di quelle domande che non dovrebbero mai essereeluse. Se la prendiamo seriamente, rafforzeremo la nostra vocazione. Se la eludiamo,anche con un santo pretesto, possiamo aprire la strada all'indeterminazione della nostravocazione. Il monaco che cessa di domandarsi: 'Amice, ad quid venisti?" ( RB 60,3; cf .

 Mt 26,50) forse ha cessato di essere monaco” 9 . 

2.3. Pregare in fraternità dunque dovrebbe essere tanto ovvio quanto cercareDio. Dovrebbe essere lo sgorgare spontaneo e coerente di una comune ricerca eperfezionamento della nostra vocazione religiosa. La mia preghiera alimenta lavita dei miei fratelli quanto e più ancora di quanto sostenga la mia. A sua voltala preghiera dei fratelli custodisce e alimenta il mio cammino vocazionale piùefficacemente forse di quanto non lo facciano le mie stesse preghiere.

Purtroppo non sempre abbiamo coscienza di tutto questo. Già ai tempi diFrancesco le cose cominciavano a complicarsi. Francesco stesso deveintervenire con durezza e severità, manifestando chiaramente di non riuscire adaffrontare la situazione con serenità e pacatezza. Nella Lettera a tutto l‟Ordinearriva a minacciare e rinnegare quei frati che non accettavano di buon grado ledisposizioni comuni sulla preghiera liturgica dell‟Ufficio Divino e ledisposizioni della regola:

“Perciò scongiuro, come posso, frate H. (Elia) ministro generale, mio signore chefaccia osservare da tutti inviolabilmente la Regola, e che i chierici dicano l'ufficio condevozione, davanti a Dio, non preoccupandosi della melodia della voce, ma dellaconsonanza della mente, così che la voce concordi con la mente, la mente poi concordicon Dio, affinché possano piacere a Dio, mediante la purezza del cuore, piuttosto cheaccarezzare gli orecchi del popolo con la mollezza del canto.Per quanto mi riguarda, io prometto di osservare fermamente tutte queste cose, comeDio mi darà la grazia, e le insegnerò ai frati che sono con me perché le osservino,riguardo all'ufficio e alle altre norme stabilite dalla Regola. Quei frati, poi, che non

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vorranno osservare queste cose, non li ritengo cattolici, né miei frati; non li voglioneppure vedere né parlare con loro, finché non ab  biano fatto penitenza” ( EpOrd 40-44).

Francesco si rende conto che deve navigare ormai controcorrente,litigando persino con i frati e interrompendo talvolta i rapporti con essi. Deveproporsi di praticare e di insegnare uno stile di vita che non è più condiviso datutti, come invece avveniva nei primi tempi. Nel testamento appare ancora piùaspro e disperato, ed arriva ad invocare il carcere e la consegna nelle mani delCardinale protettore per i frati che rifiutano la preghiera o la fede cattolica.

Qui risiede tutto il problema che appare ancora dinanzi a noi nella sua

evidenza. La preghiera è la reale forza di ogni vita spirituale, personale ecomunitaria. Ma pur essendo un valore teoricamente apprezzato ed esaltato finoalla nausea, non diventa, poi, di fatto, il centro della nostra vita. Che fare?

3. La preghiera e la speranza per i frati oggi. 

3.1. Come creare le condizioni dell‟esperienza di Dio nella preghiera? Dobbiamo riscoprire il carattere assolutamente personale della nostra vocazione

e dunque del nostro rapporto con Dio. Devo riscoprire il mio stare faccia afaccia con Dio, la vita cristiana come ricerca incessante del volto di Dio. Devoriscoprire la vita spirituale come vita d‟amore, di comunione, di desiderio. Nonsi tratta di stabilire l‟orario delle pratiche, quanto di plasmare una vita che siacalamitata dal desiderio e dal gusto di Dio. Il Signore mi ha chiamato e a luirenderò conto della mia vita.

3.2. Dobbiamo riscoprire il valore della nostra professione religiosa. E al centrodella vita religiosa non troviamo delle opere o dei servizi, ma la nostraconsacrazione a Dio.

A partire dal Concilio Vaticano II il concetto di consacrazione si è postosempre più alla base della teologia della vita religiosa. „E una costante delMagistero negli anni '80, che trova le sue radici più profonde nella parola diDio: Il tema della consacrazione appare centrale in due documenti delMagistero,  Elementi Essenziali (1983) e Redemptionis Donum (1984).

9T.  MERTON, Un vivere alternativo, (titolo originale The Monastic Journey), ed. Qiqajon,Torino 1994, 32-33.

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"Mentre precedentemente la dottrina sulla vita consacrata si incentravaprevalentemente sull'analisi dei voti, si nota ora una sempre maggiore preoccupazionedi evidenziare ciò che unifica i voti. Essi sono « l'espressione di una totale

consacrazione a Dio e, insieme, il mezzo che porta alla sua pratica attuazione » ( RD 7).Questi due documenti vengono così ad incentrare l'attenzione in modo sempre piùrilevante, rispetto al passato, sulla consacrazione come elemento costitutivo ecaratterizzante la vita consacrata" 10.

Per la  RD ( n. 7) essa è una nuova consacrazione, che costituisce unanuova vita per Dio in Cristo Gesù. È un‟alleanza di mutuo amore e fedeltà traDio e l'uomo (EE 5).Già Paolo VI, parlando nel 1973 all'Unione internazionale dei SuperioriGenerali, e riferendosi alla crisi di certi religiosi, diceva:

"Molti oggi, in nome di un apostolato più libero, e, secondo loro, più efficace,contestano o abbandonano la vita religiosa. Non si erano consacrati a Dio nella castità,nella povertà e nell'obbedienza (con tutti gli aiuti, ma anche con i necessari limiti checiò comporta) ma ad una attività, per svolgere la quale la vita religiosa doveva servireda mezzo. Quando questo, a loro modo di vedere, non si verifica più, l'abbandonano.Ed è ancora per questo motivo che molti altri, pur vivendo esteriormente da religiosi,

lo fanno con estrema fatica, perché interiormente non si sentono tali. La loroconsacrazione rimasta a livello giuridico e formale, è ridotta alla "pratica " dei voti,perché il  Dio al quale si dovevano consacrare è rimasto per loro esistenzialmente

ignoto. La conseguenza è che "l'appartenenza" a Lui è stata sostituita con l'inserimentoin una istituzione, e la vita religiosa è stata ridotta ad una struttura. In tali condizioniessa diventa solo un peso che si finisce o col rifiutare o col sopportare inrassegnazione. Da qui le defezioni o il triste spettacolo di persone che, pur essendosiufficialmente consacrate all'amore, ne diventano la negazione vivente" ( L’Osservatore

 Romano, 19.XI.1973).

3.3. Dobbiamo personalmente riscoprire la verità e la gravità del patto dialleanza che ci lega alla fraternità e farcene onestamente carico. Dovremmocontinuamente convertirci, rispondendo ad un impulso interiore, senza attendereimposizioni giuridiche dall‟esterno. La mia parola, gli impegni che holiberamente assunto dovrebbero avere per me un valore infinitamente piùdecisivo di qualsiasi imposizione esterna.

10 F.  CIARDI, La vita consacrata nel presente della Chiesa e del mondo, in: AA.VV., Vita

consacrata, un dono del Signore alla sua Chiesa, Leumann (Torino) 1993, 29.

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Anche Francesco alla fine si è arreso e ha capito che non si può fardiventare santo nessuno per forza. La Compilatio Assisiensis testimonia questomomento di grande sconforto di Francesco, che vede i frati dare un cattivoesempio e ne resta tanto addolorato da riconsegnare a Dio la sua famiglia

religiosa.

“Francesco ...ripeteva spesso ai frati, sia nei Capitoli che nei trattenimenti intimi: « Ioho giurato e risoluto di osservare la Regola, e allo stesso impegno si sono obbligatitutti i frati. E dunque, da quando lasciai il governo della fraternità a causa delle miemalattie, per il maggior bene dell'anima mia e dei fratelli, verso di loro non ho chel'obbligo del buon esempio... I frati hanno la loro Regola, e hanno giurato diosservarla. Affinché non si appiglino a scuse, quando al Signore piacque di costituirmiloro prelato, l'ho giurata anch'io, e intendo osservarla fino alla mia morte. Dalmomento che i frati sanno benissimo cosa è loro dovere fare e cosa evitare, a me nonresta che ammaestrarli con il comportamento. Per questo sono stato dato loro mentrevivrò e dopo che sarò morto»” ( LegPer 87).

Conclusione: Bisogna riaccendere il fuoco... altrimenti non c’è molto da

sperare. 

Diceva il Ministro Generale Giacomo Bini: La Priorità per l‟Ordine è lo spirito

di orazione.

“La priorità, al singolare, è lo spirito di preghiera, lo spirito di orazione. Perché siamoconvinti di questo? Perché vediamo che nell'Ordine manca questo fuoco. C'è un certoscoraggiamento. Ci sono molti abbandoni nella vita religiosa, in tutti i continenti, daparte di giovani e anche di meno giovani. C'è, qualche volta, una crescita del lavoro dafare. Ma spesso è una fuga, più che un lavoro. Fuga dagli altri, fuga da Dio.Ricordo una frase di Francesco che per me è fondamentale: "Ciò che i Frati devonoavere sopra ogni cosa è lo spirito del Signore e la sua santa operazione" ( RB 10).L'avere non sono le cose; l'avere non è la scelta; l'avere non è la competenza. L'avere,per Francesco, è lo Spirito del Signore. Oggi le strutture non salvano più. Quindi, o c'èquesto cuore rivolto al Signore o non credo che ci sia molto da sperare” (Fraternitas,1998 n. 33).

Fr. CARLO SERRI OFM

St. Saviour‟s Monastery P.O.B. 186

91001 Jerusalem - ISRAEL