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1 LE TEORICHE CONTABLI Dispensa a cura del Prof. Stefano Coronella ad uso esclusivo degli studenti 1. Premessa. Già nell’opera del Pacioli, fin dal XV secolo, la contabilità si basava sulla teorica “perso- nalistica” del conto, nel senso che ogni conto veniva intestato ad uno specifico soggetto (cas- siere, magazziniere, ecc.). Per molti secoli questo atteggiamento prevalse e si perfezionò nel XIX secolo, dopo l’egemonia francese dei Degranges, con Francesco Marchi e Giuseppe Cerboni, per poi essere rapidamente soppiantato dalla teorica dei conti “a valore” propugnata da Fabio Besta che dai primi anni del XX secolo prese definitivamente il sopravvento. Tuttavia, nella seconda metà dell’ottocento furono elaborate anche altre teoriche che po- tremmo definire “minoritarie” ma che vale comunque la pena di conoscere. Ciò posto, di seguito si procede a riassumere i loro tratti salienti. 2. La teorica personalistica. 2.1. Considerazioni introduttive. La teorica personalistica, in estrema sintesi, si basa sul principio di intestazione dei conti alle persone, ovvero ai singoli soggetti dell’attività economica. Le radici di tale impostazione logica si ritrovano lontane nel tempo, già con l’opera di Luca Pacioli. Invero, egli, pur proponendosi unicamente di spiegare il funzionamento del metodo bilan- ciante, si occupò, sebbene in maniera non organica, anche dei conti, traendone la prima em- brionale teorica. In particolare, il Paciolo individuò due categorie di conti: la prima si riferiva alle «perso- ne» – proprietario e terzi debitori e creditori (c.d. conti «personali») – mentre la seconda era ascrivibile alle «cose»: cassa, argenti e ori, cavedal, pro e danno, gioie legate e slegate, ar- genti lavorati, panni di lino, ecc. (c.d. conti «inanimati»). Mentre la spiegazione logismologica circa il contenuto della classe dei conti «persona- li» non poneva particolari problemi interpretativi, quella riguardante i conti «inanimati» ri- chiedeva l’artificioso intervento di una personalità immaginaria – che doveva sostituire quella reale – per far comprendere il complesso meccanismo degli accreditamenti e degli addebitamenti ( 1 ). Pertanto, si può affermare che «Il Paciolo avvia […] quel processo personificatorio dei conti accesi agli elementi materiali che si ritroverà nei secoli successivi in quasi tutte le opere di ragioneria». Tuttavia, si tratta «[…] di una personificazione asistematica che soltanto con l’opera del Marchi prima, del Cerboni dopo, assumerà i giusti toni della coerenza e della or- ganicità» ( 2 ). ––––––––– ( 1 ) L’atto di personificare i conti accesi ad elementi reali del patrimonio aziendale, in altri termini, era col- legato allo sforzo di fornire una spiegazione logica del significato degli addebitamenti e degli accreditamenti in tali conti, mancando, in effetti, l’idea precisa delle diverse personalità aziendali. ( 2 ) PODDIGHE FRANCESCO, Dai cinquecontisti a Francesco Marchi. Contributo alla conoscenza del proces- so formativo della logismologia, Colombo Cursi Editore, Pisa, 1973, pagg. 14-15. L’autore prosegue il ragiona- mento affermando che nell’opera del Pacioli di fatto venivano riconosciute solo le figure del proprietario e dei

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LE TEORICHE CONTABLI Dispensa a cura del Prof. Stefano Coronella ad uso esclusivo degli studenti

1. Premessa. Già nell’opera del Pacioli, fin dal XV secolo, la contabilità si basava sulla teorica “perso-

nalistica” del conto, nel senso che ogni conto veniva intestato ad uno specifico soggetto (cas-siere, magazziniere, ecc.).

Per molti secoli questo atteggiamento prevalse e si perfezionò nel XIX secolo, dopo l’egemonia francese dei Degranges, con Francesco Marchi e Giuseppe Cerboni, per poi essere rapidamente soppiantato dalla teorica dei conti “a valore” propugnata da Fabio Besta che dai primi anni del XX secolo prese definitivamente il sopravvento.

Tuttavia, nella seconda metà dell’ottocento furono elaborate anche altre teoriche che po-tremmo definire “minoritarie” ma che vale comunque la pena di conoscere.

Ciò posto, di seguito si procede a riassumere i loro tratti salienti.

2. La teorica personalistica. 2.1. Considerazioni introduttive.

La teorica personalistica, in estrema sintesi, si basa sul principio di intestazione dei conti

alle persone, ovvero ai singoli soggetti dell’attività economica. Le radici di tale impostazione logica si ritrovano lontane nel tempo, già con l’opera di

Luca Pacioli. Invero, egli, pur proponendosi unicamente di spiegare il funzionamento del metodo bilan-

ciante, si occupò, sebbene in maniera non organica, anche dei conti, traendone la prima em-brionale teorica.

In particolare, il Paciolo individuò due categorie di conti: la prima si riferiva alle «perso-ne» – proprietario e terzi debitori e creditori (c.d. conti «personali») – mentre la seconda era ascrivibile alle «cose»: cassa, argenti e ori, cavedal, pro e danno, gioie legate e slegate, ar-genti lavorati, panni di lino, ecc. (c.d. conti «inanimati»).

Mentre la spiegazione logismologica circa il contenuto della classe dei conti «persona-li» non poneva particolari problemi interpretativi, quella riguardante i conti «inanimati» ri-chiedeva l’artificioso intervento di una personalità immaginaria – che doveva sostituire quella reale – per far comprendere il complesso meccanismo degli accreditamenti e degli addebitamenti (1).

Pertanto, si può affermare che «Il Paciolo avvia […] quel processo personificatorio dei conti accesi agli elementi materiali che si ritroverà nei secoli successivi in quasi tutte le opere di ragioneria». Tuttavia, si tratta «[…] di una personificazione asistematica che soltanto con l’opera del Marchi prima, del Cerboni dopo, assumerà i giusti toni della coerenza e della or-ganicità» (2). –––––––––

(1) L’atto di personificare i conti accesi ad elementi reali del patrimonio aziendale, in altri termini, era col-legato allo sforzo di fornire una spiegazione logica del significato degli addebitamenti e degli accreditamenti in tali conti, mancando, in effetti, l’idea precisa delle diverse personalità aziendali.

(2) PODDIGHE FRANCESCO, Dai cinquecontisti a Francesco Marchi. Contributo alla conoscenza del proces-so formativo della logismologia, Colombo Cursi Editore, Pisa, 1973, pagg. 14-15. L’autore prosegue il ragiona-mento affermando che nell’opera del Pacioli di fatto venivano riconosciute solo le figure del proprietario e dei

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Invero, nei secoli successivi e fino al XIX, pur riscontrando diversi casi in cui si è ricorsi alla finzione della personificazione, nessun autore riuscì a dare senso compiuto alla teorica personalistica.

Ci provò, riscuotendo un vastissimo successo di pubblico anche in Italia, il Degranges (e a seguire il figlio) a partire dalla fine del XVIII secolo (3). La sua impostazione, tuttavia, come dimostrò efficacemente più tardi Francesco Marchi, non risulta ortodossa ed è contrassegnata da numerose imperfezioni e forzature.

Occorre quindi attendere la seconda metà del XIX secolo, ed in particolare l’opera di Francesco Marchi, affinché la teorica personalistica potesse dirsi veramente perfezionata, an-che dal punto di vista logico-tecnico.

Le teoriche personalistiche presero pertanto maggior corpo e trovarono maggiore coeren-za solo nella seconda metà dell’ottocento, a cominciare dal forte impulso dato da Francesco Marchi.

Dopo di lui, com’è noto, Giuseppe Cerboni ed i suoi numerosi seguaci imposero la logi-smografia, la quale si basa, appunto, sulla teorica personalistica del conto.

Tuttavia, non tutti i personalisti hanno la medesima visione delle cose. Nel presente para-grafo si procede pertanto ad illustrare le peculiarità delle principali posizioni dottrinali al ri-guardo.

2.2. La teorica personalistica di Edmond Degranges. La teorica personalistica di Edmond Degranges (padre), nota anche come «teorica dei

cinque conti generali» ha radici lontane nel tempo. Invero, come rileva correttamente il Ceccherelli, benché essa sia stata «[…] espressa in

forma completa soltanto sul finire del settecento […] ebbe vari accenni in opere di autori pre-cedenti» (4).

Il Degranges riuscì però brillantemente a sistematizzare i principi esposti dai suoi prede-cessori e a ridurre a cinque i «conti generali» intimamente correlati con gli «oggetti principali del commercio» (5).

Per il Degranges tali «oggetti principali del commercio» sono i seguenti: «Marchandises» («Merci»), «Argent» («Denaro»), «Effets à recevoir» («Effetti da ricevere»), «Effets à payer» («Effetti da pagare»), «Profits et pertes» («Profitti e perdite»).

Come vedremo fra breve, le denominazioni di tali «oggetti del commercio» saranno dal Degranges tali e quali ripresi come intestazioni dei cinque conti generali con l’eccezione del

––––––––– corrispondenti (creditori e debitori), mentre non era assolutamente chiara l’idea della personalità dei consegna-tari, ovvero delle persone a cui era affidata la custodia e la responsabilità degli elementi del patrimonio azienda-le. Inoltre l’argomentazione logismologica atta ad illustrare il funzionamento del sistema contabile era sprovvista di omogeneità. In altri termini, i conti aperti alle persone e quelli accesi alle cose non erano armonizzati conve-nientemente: essi costituivano un mero elenco slegato, privo di organicità e privo del ragionamento contabile at-to a giustificare il funzionamento del complesso unitario che essi avrebbero invece dovuto formare.

(3) Le opere dei Degranges ebbero decine di edizioni e furono tradotte in numerose lingue, diventando pre-dominati, a livello di teoria e di pratica, pressoché ovunque.

(4) CECCHERELLI ALBERTO, La logismologia, Casa Editrice Dottor Francesco Vallardi, Milano, 1915, pag. 77. «Precursori» della teorica personalistica dei «cinque conti generali» sono, in particolare: Jacques Savary, Claude Irson, Mathieu De La Porte, Samuel e Jean Pierre Ricard, Bertrand François e Nicolas Barrème, Pierre Giraudeau.

(5) Il Degranges espose la sua teorica per la prima volta nel 1795 nel sul volume intitolato La tenue des li-vres rendue facile, edito a Parigi. Nel 1818, anno della morte del Degranges, il libro aveva già avuto nove edi-zioni, ma il figlio – peraltro omonimo del padre – continuò ad aggiornare l’opera che continuò ad essere pubbli-cata anche dopo la morte di quest’ultimo, fino al 1897. La prima traduzione italiana dell’opera risale al 1837, a cui ne seguirono altre nel 1845, 1855, 1862 e 1870.

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denaro (Argent) il cui conto connesso venne ribattezzato «Caisse» (Cassa). D’altronde, il Degranges, negoziante anch’egli, si preoccupò principalmente di semplifi-

care il più possibile la partita doppia nella sua applicazione alle aziende individuali e ritenne quindi opportuno snellire anche l’impianto teorico della sua costruzione dottrinale (6).

Collegò pertanto ai «cinque oggetti del commercio» cinque conti, che egli individuò ap-punto, come necessari e sufficienti per la completa tenuta della contabilità.

Questi cinque conti, strettamente connessi alla persona del titolare (negoziante), sono co-stituiti da «Marchandises générales» («Merci»), «Caisse» («Cassa»), «Effets à recevoir» («Ef-fetti da ricevere»), «Effets à payer» («Effetti da pagare»), «Profits et pertes» («Profitti e perdi-te»).

Tali conti rappresentano la trasposizione – o se si preferisce, l’interfaccia – contabile dell’imprenditore («negoziante»): ne consegue che addebitando o accreditando uno di questi è come se si addebitasse o si accreditasse il negoziante medesimo.

Facile, essenziale ed efficace è anche la regola generale della contabilizzazione in partita doppia secondo questa teorica, ben sintetizzata nella massima: «débiter celui qui reçoit et cré-diter celui qui donne» (addebitare colui che riceve e accreditare colui che dà).

Più precisamente, occorre aprire un conto per ognuno dei cinque «oggetti generali del commercio», per poi procedere ad addebitarli e ad accreditarli ogni volta che il negoziante ri-ceve o dà degli oggetti della specie per il quale quel conto è aperto. Ciò gli consente di vedere cosa ha ricevuto o somministrato in merci, denaro, effetti da ricevere, effetti da pagare e ciò che ha perso o guadagnato.

La teorica dei cinque conti generali, benché non del tutto razionale e non scevra da difetti, trovò tuttavia terreno fertile anche in Italia, oltre che per la sua innegabile semplicità (7), an-che a causa della situazione politica allora vigente: il nostro Paese era infatti diviso in diversi Stati politicamente ed economicamente asserviti agli stranieri, il che aveva comportato, fra l’altro, un inesorabile decadimento dei nostri studi.

Francesco Marchi fu il primo che, in questo contesto, sicuramente non incoraggiante, e a prezzo di ingenti sforzi personali – di carattere morale e materiale – cercò, riuscendovi in buona parte, di contrastare l’ormai imperante teorica degrangiana.

2.3. La teorica personalistica di Francesco Marchi. Francesco Marchi ideò la sua teorica personalistica (8) in contrapposizione alla dilagante

teorica dei cosiddetti «cinquecontisti» (9), ovvero dei Degranges e dei loro seguaci (10).

––––––––– (6) È in questa sua estrema semplificazione logica che risiede il punto debole della teoretica degrangiana,

così come evidenzierà correttamente Francesco Marchi prima di proporre la propria. (7) Al riguardo, il Melis ci ricorda che in Italia: «Degli autori stranieri, nessuno ebbe tanta influenza quanta

ne esercitò il Degranges con la sua scuola: e le ragioni sono facili a intuirsi […] considerando che egli presentò una spiegazione molto semplicistica e semplicizzante della partita doppia in un momento in cui – da noi, più che altrove – ci si era smarriti in un’enorme moltitudine di conti». MELIS FEDERIGO, Storia della ragioneria. Contri-buto alla conoscenza e interpretazione delle fonti più significative della storia economica, Dott. Cesare Zuffi E-ditore, Bologna, 1950, pag. 723.

(8) Cfr. MARCHI FRANCESCO, I cinquecontisti ovvero la ingannevole teorica che viene insegnata negli istitu-ti tecnici del regno e fuori del regno intorno il sistema di scrittura a partita doppia, e nuovo saggio per la facile intelligenza ed applicazione di quel sistema, Tipografia Ff. Giachetti, Prato, 1867; Le scuole francese ed italiana nello insegnamento della contabilità a scrittura completa o doppia ed a scrittura incompleta o semplice, Tipo-grafia Ff. Giachetti, Prato 1868; La scienza e l’arte della tenuta de’ conti, Tipografia Vannini, Pescia, 1870.

(9) Non a caso, il suo primo e più importante lavoro – I cinquecontisti – è diviso in due parti: nella prima (pagg. 9-80) il Marchi espone la teorica degrangiana e provvede scientificamente a confutarla, evidenziandone i difetti e le incongruenze logiche; nella seconda (pagg. 81-199) propone il suo «nuovo saggio» logismologico, ovvero la sua teorica. In Francia, peraltro, quando Francesco Marchi scrisse la sua opera, l’impostazione degran-

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Per il Marchi i conti, qualunque sia la loro intestazione, «[…] devonsi ritenere tutti perso-nali e tutti reali, essendo persone i Capitalisti o il Capitalista dell’azienda, persone chi prende in consegna le mercanzie ed il danaro di essa, e persone coloro che ci sono in corrispondenza» e, prosegue, che tutte queste «[…] sono realmente debitrici per quanto hanno respettivamente in Dare e creditrici per quanto hanno respettivamente in Avere dell’azienda» (11).

E, al riguardo, impone la regola di «addebitare chi riceve un valore o chi di un valore di-vien debitore, ed accreditare chi lo dà o chi ne divien creditore» (12).

Ciò posto, la teorica del Marchi prevede che con la registrazione si raggiunga, contempo-raneamente, un duplice scopo: evidenziare le variazioni che si verificano nell’attivo, nel pas-sivo e nel patrimonio netto aziendale e, contemporaneamente, evidenziare i diritti ed i doveri che hanno verso l’azienda le persone che sono in relazione con essa.

I valori passivi sono così costituiti dai debiti che l’azienda ha verso terzi, detti corrispon-denti, i quali contemporaneamente possiedono un diritto alla riscossione verso l’azienda, men-tre i valori attivi sono rappresentati dai crediti che l’azienda vanta verso terzi, sempre detti corrispondenti – i quali, contestualmente, sono obbligati al loro pagamento – ed a cose mate-riali.

Per queste ultime, tuttavia, si possono individuare dei consegnatari, ovvero dei responsa-bili delle medesime (magazziniere, cassiere, ecc.).

Ne consegue che tutti i valori attivi e passivi mettono in evidenza diritti (dei corrispon-denti per i debiti aziendali) o doveri (dei corrispondenti per i crediti aziendali e per i conse-gnatari dei beni) di terzi nei confronti dell’azienda.

Il patrimonio netto scaturisce dalla somma algebrica fra attivo e passivo e rappresenta quanto spetta al proprietario (o negoziante), ovvero il diritto del medesimo a riscuotere nei confronti dell’azienda.

In definitiva, registrando i diritti ed i doveri dei corrispondenti, dei consegnatari e del proprietario, si mettono anche in evidenza l’attivo, il passivo ed il patrimonio netto della combinazione produttiva.

Dal punto di vista tecnico, si rende pertanto necessario aprire, nel libro mastro, un conto per ciascuna delle persone richiamate: si avranno quindi un conto acceso al proprietario e con-ti accesi ad ogni corrispondente e ad ogni consegnatario, tanti quanti essi sono.

Una critica a tale teorica risiede nel fatto che non in tutte le aziende si riscontrano persone incaricate della custodia dei beni materiali, ma è altrettanto vero che in questi casi è il proprie-tario che funge anche da consegnatario: basta pertanto tenere idealmente separate queste due qualità (proprietario e agente-consegnatario) e procedere a distinte annotazioni dei diritti e dei doveri relativi in capo al medesimo.

––––––––– giana stava già tramontando a favore della teorica del Vannier e dei suoi proseliti, la quale divideva, in sostanza, i conti in tre tipologie: i conti accesi al proprietario per il capitale e i profitti e le perdite, i conti accesi ai conse-gnatari per i valori commerciabili e i conti accesi ai corrispondenti per i debiti ed i crediti. Secondo tale impo-stazione, il «dare» e l’«avere» di ogni singolo conto si deve intendere come riferito non al proprietario ma alla casa di commercio, ovvero all’azienda verso la quale il proprietario è creditore del netto e dei profitti e debitore delle perdite. Come si noterà proseguendo nella lettura, la teorica del Vannier è analoga a quella del Marchi, quantomeno per l’individuazione dei soggetti – proprietario, consegnatari e corrispondenti – mentre si distingue da questa per il riferimento del «dare» e dell’«avere» all’azienda, mentre per il Marchi il «dare» e l’«avere» si riferiscono al gerente (l’amministratore).

(10) I seguaci più famosi del Degranges sono senz’altro il Jaclot e il Deplanque, le cui opere furono tradotte anche in Italiano. Nel nostro Paese l’impostazione cinquecontista era accettata pressoché da tutti gli studiosi dell’epoca, come si evince facilmente nel leggere le loro opere. Eppure ci sono stati casi di studiosi – famoso è quello del Parmetler – che, dopo aver letto le opere del Marchi, da accaniti sostenitori della teorica dei cinque conti si convertirono integralmente alle posizioni di quest’ultimo.

(11) MARCHI FRANCESCO, I cinquecontisti…, op. cit., pagg. 44-45, nota 1. (12) MARCHI FRANCESCO, I cinquecontisti…, op. cit., pag. 100. Con questo, il Marchi sostituì il principio di

fondo dei cinquecontisti francesi che prevedeva semplicemente di addebitare chi riceve e di accreditare chi dà.

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Analogo ragionamento vale qualora manchino altre figure «chiave» della teorica del Mar-chi (13).

I diritti ed i doveri delle tre categorie di soggetti sopra indicati – corrispondenti, conse-gnatari e proprietario – si riferiscono sempre all’azienda: se un soggetto è in debito, vuol dire che l’azienda è in credito verso il medesimo è viceversa (14).

Poiché ad ogni diritto corrisponde (per la controparte) un dovere, ne deriva che la regi-strazione deve essere necessariamente effettuata in partita doppia, con la conseguenza che è in debito chi riceve una cosa o assume il dovere di consegnare (dare) una cosa, mentre è in cre-dito chi dà una cosa o acquisisce il diritto di ricevere (avere) una cosa.

Per maggiore chiarezza viene inoltre proposta una scissione ideale della figura del pro-prietario che è al contempo capitalista (ovvero, investitore nell’azienda) e gerente (ovvero amministratore dell’azienda), benché queste due figure siano spesso coincidenti (soprattutto lo erano in quell’epoca).

Ciò in quanto nella figura del proprietario si individuano due distinte funzioni. Come capitalista egli è estraneo all’attività di gestione, limitandosi perciò ad immettere il

capitale netto nella combinazione produttiva e a subire le conseguenze che l’amministrazione dell’azienda comporta su di esso: acquisisce quindi il diritto agli incrementi di capitale matu-rati (utili) e risponde dei consumi di capitale (perdite) indotti dalla gestione.

Come amministratore compie gli atti amministrativi necessari per il corretto funziona-mento dell’azienda e, nel far questo, si trova in rapporto con altre persone, verso le quali ac-quisisce dei diritti ed assume degli obblighi.

Ne consegue che la figura dell’amministratore, generata dalla scissione ideale del proprie-tario, è un vero e proprio intermediario tra il proprietario-capitalista ed i terzi variamente coinvolti nella gestione, ovvero i consegnatari ed i corrispondenti e rappresenta pertanto l’azienda nei confronti di ognuno di questi (15).

Tra il proprietario-amministratore ed i terzi (consegnatari e corrispondenti) intercorrono i rapporti di diritto-dovere dovuti all’attività amministrativa, mentre tra il proprietario-capitalista e il proprietario-amministrazione intercorrono solo rapporti connessi ai fatti modi-ficativi del patrimonio in conseguenza della gestione (16).

L’amministratore, per la sua stessa natura e funzione, non può avere un credito o un debi-to netto, ma il suo credito deve essere sempre uguale al suo debito.

Invero, egli risponde verso il proprietario del patrimonio netto e verso i corrispondenti «creditori» del passivo, mentre sono i consegnatari ed i corrispondenti «debitori» a rispondere

––––––––– (13) Lo stesso Marchi al riguardo rileva quanto segue: «[…] sento dirmi, come potrà essere applicabile la

partita doppia in quelle aziende in cui non vi sieno né Gerente, né Cassiere, né Magazziniere ec. come ho fatto apparir che siano nell’azienda da me supposta? Rispondo: la partita doppia […] è applicabile a tutte le Aziende […] dalla più estesa e complicata come è quella di uno Stato, alla più piccola e semplice, qual […] è quella do-mestica di una Famiglia, perché in quelle Aziende ove non sieno persone diverse dal Proprietario il Gerente, il Cassiere, il Magazziniere ed altri consegnatari, come lo sono in quasi tutte le Aziende in grande ed in sociale, è il Proprietario stesso che riveste allora di ognuno di essi funzionari il carattere, e facendone le veci, ne ha pure i conti della indole di quelli propri de’ funzionari medesimi; talché come Cassiere, o come Magazziniere, o come Proprietario dell’azienda sarà sempre considerato come devon considerarsi i Corrispondenti e gli estranei conse-gnatari, cioè debitore per quanto ha in Dare e creditore per quanto ha in Avere di sé stesso, come Gerente dell’Azienda, che in tal qualità deve trovarsi sempre in bilancio di Dare ed Avere, mentre in ogni altra può tro-varsi ancora in isbilancio». MARCHI FRANCESCO, I cinquecontisti…, op. cit., pagg. 105-106.

(14) Nella costruzione concettuale del Marchi non può invece verificarsi che un soggetto possa essere in cre-dito o in debito verso un altro soggetto. In concreto, per Marchi l’azienda è il centro della vita economico-amministrativa.

(15) Secondo il Marchi l’amministratore rappresenta anche il proprietario nei confronti dei terzi ed i terzi nei confronti del proprietario, per cui si pone come «interfaccia» tra il primo ed i secondi e viceversa.

(16) Il ragionamento, ad evidenza, non cambia ma, anzi, diventa ancora più chiaro quando il proprietario è effettivamente una persona diversa dall’amministratore.

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verso di lui dell’attivo. Considerato che dall’equazione di bilancio si deduce che l’importo dell’attivo è uguale a

quello del passivo più il netto, il credito (complessivo) dell’amministratore è sempre bilancia-to dal suo debito (complessivo).

E poiché i crediti ed i debiti dell’amministratore sono i debiti ed i crediti che il proprieta-rio-capitalista ed i terzi hanno verso di lui, il suo conto si può desumere indirettamente dai va-ri conti aperti alle altre persone (proprietario-capitalista, consegnatari e corrispondenti) (17).

Per questo motivo, diventa superfluo, se non addirittura ridondante, aprire effettivamente un conto intestato a tale persona.

Ne deriva che, nella costruzione teorica del Marchi, il conto dell’amministratore, benché fondamentale in quanto «interfaccia» e intermediario fra i titolari di diritti ed obblighi, non viene effettivamente acceso, ma, per motivi di convenienza, resta sottinteso (18).

In definitiva, la teorica personalistica del Marchi prevede pertanto, in ultima analisi, come necessarie due serie di conti generali: la prima accesa al proprietario, la seconda ai terzi (con-segnatari e corrispondenti) (19) «[…] che si addebitano e si accreditano in modo inverso e si riferiscono all’azienda, personificata anche quest’ultima dall’amministratore o gerente, che non ha bisogno di costo espresso; ma nel suo conto sottinteso accoglie la contropartita di tutti gli altri e perciò si trova in continuo bilancio» (20).

In tal modo, il Marchi ha dimostrato che «[…] la bilancia fra il conto del proprietario da una parte e i conti dei consegnatari e dei corrispondenti dall’altra, è tenuta dell’amministratore» (21) e ha pertanto gettato le fondamenta della più nota logismografia cerboniana (22). –––––––––

(17) L’avere dell’ipotetico conto dell’amministratore coincide pertanto con l’attivo dell’azienda, mentre il dare di tale conto coincide con il passivo dell’azienda.

(18) Qualora si accendesse concretamente un conto intestato all’amministratore, ne conseguirebbero quattro tipologie di rapporti: due verso il capitalista-titolare e due verso i terzi (consegnatari e corrispondenti). L’amministratore è in debito verso il capitalista-titolare del patrimonio netto e dei suoi incrementi, mentre è in credito per i suoi decrementi. È poi in credito e in debito verso i terzi rispettivamente per l’attivo ed il passivo aziendale. Come si arguisce agevolmente, i rapporti dell’amministratore nei confronti del proprietario hanno per oggetto valori astratti, mentre nei confronti dei terzi hanno per oggetto valori concreti. Ne conseguirebbe la ne-cessità di intestare all’amministratore due distinti conti (o serie di conti) invece che uno solo: uno per i suoi debi-ti ed i suoi crediti verso il proprietario-capitalista, l’altro per i suoi debiti ed i suoi crediti verso i terzi. In questo modo, i rapporti tra amministratore e proprietario-capitalista evidenziano la situazione economica dell’azienda, mentre quelli tra amministratore e terzi evidenziano la situazione giuridica della medesima. A questo punto, se oltre al credito/debito delle persone che hanno interessi con l’azienda si registra anche il corrispondente debi-to/credito dell’amministratore viene raddoppiato il numero delle scritture necessarie e la partita si trasforma da doppia in quadrupla. Si verrebbero infatti ad aprire quattro distinti conti generali: il conto del proprietario-capitalista, il conto dell’amministratore nei suoi rapporti con il proprietario-capitalista, il conto dell’amministratore nei suoi rapporti con i terzi, il conto dei terzi (corrispondenti e consegnatari). Come si com-prende, i primi due conti, così come gli ultimi due, sono antitetici fra loro, nel senso che al credito del primo cor-risponde il debito del secondo e viceversa. Inoltre, il debito o il credito netto di ciascuno è lo stesso per tutti e quattro e coincide con il patrimonio netto. Pertanto, anche la partita quadrupla consente il controllo bilanciante, al pari della partita doppia, ma a differenza di quest’ultima risulta molto più complessa ed articolata. Ecco perché è preferibile evitare di accendere effettivamente un conto intestato all’amministratore. Per approfondimenti sul punto si rimanda al capitolo II, paragrafo 3.4.3.

(19) Nella propria confutazione alla scelta del Degranges di utilizzare cinque conti il Marchi arriva infatti, estremizzando il concetto, ad affermare che «due nelle partite doppie sono indispensabili i conti […] per ottenere il Bilancio ed il confronto delle sostanze». MARCHI FRANCESCO, I cinquecontisti…, op. cit., pag. 74.

(20) CECCHERELLI ALBERTO, La logismologia, op. cit., pag. 104. (21) DELLA PENNA FRANCESCO, Le istituzioni contabili, parte prima, Casa Editrice Castellani, Roma, 1946,

pag. 290. (22) Ovviamente, non mancarono le critiche al lavoro del Marchi. Lo stesso Ceccherelli evidenzia le più ri-

levanti, riconoscendo però che, nonostante gli errori ivi contenuti «La teorica esposta segna […] un progresso considerevole su quelle precedenti» e, ancora, che rispetto alle diverse teoriche personalistiche dell’epoca, quella «[…] del Marchi si presenta più completa, ed è innegabile che la distinzione fra i conti aperti al proprietario e ai

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2.4. La teorica personalistica di Giuseppe Cerboni. Giuseppe Cerboni fu, senza dubbio, il massimo esponente della teorica «personalistica»

italiana. Pur presentando molti aspetti in comune con quella del Marchi, la teorica personalistica

del Cerboni è tuttavia, in buona sostanza, differente da questa. La «logismografia» (23) cerboniana si fonda sulla necessità di distinguere, all’interno

dell’azienda, tre diverse qualità amministrative: possedere la proprietà e la supremazia della medesima, amministrarla e custodire le sue sostanze e risponderne materialmente (24).

Ad ognuna di queste «qualità» corrisponde l’operato di specifiche persone: il proprieta-rio, l’amministratore e i consegnatari (25).

Oltre a queste, vi sono i corrispondenti, ovvero coloro che si trovano in una posizione di credito o di debito verso il proprietario.

Le tre citate qualità amministrative vengono esercitate tramite un sistema di funzioni am-ministrative, dalle quali scaturiscono i fatti dell’amministrazione economica (26). Da questi ul-timi si originano i rapporti tra le diverse persone coinvolte nella dinamica aziendale.

Tali «rapporti» possono essere di tipo morale o di tipo giuridico: questi ultimi costitui-scono l’esercizio economico, nel quale non si può invece tenere conto dei rapporti di carattere puramente «morale».

Poiché i rapporti tra proprietario ed amministratore sono di ordine esclusivamente morale – in quanto il primo investe il secondo del potere di governo della propria azienda – nei con-fronti dell’amministratore non deve pertanto essere aperto nessun conto.

I rapporti tra il proprietario ed i consegnatari sono invece di tipo giuridico, in quanto que-sti ultimi rispondono giudizialmente dei beni loro affidati.

I rapporti tra il proprietario ed i corrispondenti sono anch’essi di tipo giuridico, poiché fra ––––––––– consegnatari è stata accettata e ripetuta da molti e sopravvive pur oggi nelle teoriche dei personalisti formandone anzi uno dei concetti cardinali». CECCHERELLI ALBERTO, La logismologia, op. cit., pag. 105. Fra le critiche mos-se all’impostazione del Marchi la più rilevante riguarda senza dubbio l’aver mantenuto o introdotto, come i cin-quecontisti che aveva censurato, una serie di finzioni ed astrazioni, prima fra tutte la presenza di un conto sottin-teso per l’amministratore. Non a caso tale finzione verrà poi rimossa con i successivi sviluppi della teorica per-sonalistica italiana ad opera di Giuseppe Cerboni. Secondo il Ceccherelli, a fronte dei numerosi appunti mossi contro il Marchi, questo è il vero, unico difetto da segnalare: «[…] di non aver saputo dare quella teorica che si era ripromesso di formulare, e soprattutto di non essersi saputo liberare da quelle astrazioni e finzioni che ad altri aveva così aspramente rimproverate, e che non potranno mai sostituire i principi scientifici». CECCHERELLI ALBERTO, La logismologia, op. cit., pag. 109, il quale, peraltro, ben sintetizza (pag. 105 e segg.) le diverse criti-che mosse alla teorica del Marchi dagli autori dell’epoca.

(23) Il termine logismografia è una parola complessa derivante dal greco che significa «descrizione ragiona-ta dei conti», ovvero è sinonimo di «ragioneria».

(24) In questo paragrafo si intende semplicemente illustrare la teorica personalistica del Cerboni e non l’intero impianto della logismografia.

(25) Superfluo rilevare, anche in questo caso, che nella maggior parte delle aziende dell’epoca queste tre fi-gure erano riunite nel proprietario, mentre nelle poche combinazioni produttive di dimensioni maggiori le relati-ve funzioni potevano arrivare ad essere esercitate da due o da tre persone distinte. Anche qualora più funzioni fossero esercitate dalla medesima persona si dovrebbe comunque considerare le stesse separatamente, come se si trattasse di persone, almeno formalmente, differenti.

(26) I fatti dell’amministrazione economica sono raggruppabili in tre categorie a seconda che: non diano luogo a variazioni nell’entità della sostanza netta del proprietario ma semplicemente a mutazioni nei valori che la costituiscono (ad es. l’acquisto di merce in contanti); diano luogo a variazioni della sostanza netta del proprie-tario senza che avvengano altre mutazioni negli elementi che la costituiscono (ad es. l’incasso di un affitto); dia-no contemporaneamente luogo a variazioni nella sostanza netta e a mutazioni dei relativi valori (ad es. una ven-dita in contanti ad un prezzo superiore rispetto a quanto pagato per l’acquisto della merce). Nel primo caso ab-biamo un fatto permutativo, nel secondo un fatto modificativo, nel terzo un fatto misto.

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di loro nascono – specularmente – diritti e doveri in conseguenza delle operazioni poste in es-sere: per ogni creditore si crea un debitore e viceversa.

Ne consegue che le scritture riguardanti l’esercizio economico si avvalgono di conti che sono sempre di carattere giuridico e, si aggiunge, anche personale.

Ciò nel senso che ogni somma movimentata a causa di un fatto amministrativo deve sem-pre essere registrata, contemporaneamente, a debito di una persona e a credito di un’altra.

Invero, il proprietario, indipendentemente dal fatto che amministri o meno l’azienda, è, di fatto, creditore delle attività e debitore delle passività rispetto ai consegnatari ed ai corrispon-denti, ovvero verso l’agenzia (27).

Il credito o il debito netto del proprietario si modifica nel tempo in conseguenza di costi o ricavi, utili o perdite, connessi a fatti modificativi o fatti misti (28).

I fatti permutativi, ovvero le commutazioni di oggetti costituenti il patrimonio aziendale, così come il passaggio di denaro o di oggetti da un agente o corrispondente ad un altro, non-ché il consumo di una rendita simultaneo alla sua produzione – ammesso che l’importo della commutazione, del passaggio o della compensazione sia identico – non alterano né la condi-zione economica del proprietario né quella degli agenti e dei corrispondenti.

Tale impostazione consente, nel caso di fatti misti, di procedere alla loro registrazione in due maniere differenti.

Se, ad esempio il proprietario è contemporaneamente creditore di 130 verso l’agenzia (ovvero consegnatari e corrispondenti) e debitore di 100 nei confronti della medesima, si po-trà procedere a registrare un credito di 130 in testa al proprietario e un debito di 100 in capo all’agenzia, oppure, limitarsi a portare la sola differenza di 30 a credito del proprietario.

Scegliendo la prima impostazione scritturale si evidenzia la situazione giuridica dell’azienda, mentre con la seconda si appalesa la sua situazione economica.

Per registrare entrambe le situazioni si rende necessario aprire due conti in capo al pro-prietario e all’agenzia: uno di tipo integrale, l’altro di tipo differenziale (29).

2.5. Confronti e considerazioni critiche. Le tre teoriche personalistiche seguite in Italia nella seconda metà dell’ottocento presen-

tano un importante tratto in comune: in tutte, infatti, i conti sono sempre intestati a persone. Ognuna di esse, però, presenta peculiari caratteristiche distintive.

Nella teorica personalistica Degrangiana, i conti sono tutti riferiti al proprietario (nego-ziante) ed al centro dell’attenzione vengono posti i diritti ed i doveri che lo stesso ha nei con-fronti dei terzi con cui entra in relazione.

––––––––– (27) In definitiva, i conti «generali» sono di due tipi: il conto acceso al proprietario, che viene chiamato con-

to «patrimoniale», ed il conto acceso – insieme – ai consegnatari ed ai corrispondenti, che viene chiamato conto «dell’agenzia» o «agenziale». Si badi, questa impostazione è sostanzialmente aderente a quella del Marchi il quale, come ricordato poc’anzi, per dimostrare l’infondatezza delle teoriche «cinquecontiste» – quindi la necessi-tà di aprire cinque conti generali – affermò che la partita doppia poteva essere tenuta con due soli conti.

(28) I fatti modificativi, lo ricordiamo, danno luogo a mutamenti della sostanza netta del proprietario senza tuttavia che intervengano altre variazioni negli elementi che la costituiscono, mentre i fatti misti danno contem-poraneamente luogo a variazioni nella sostanza netta e a mutazioni dei relativi valori.

(29) Com’è evidente, il conto integrale verrà aperto a fronte di tutti i crediti e tutti i debiti intercorrenti fra il proprietario e l’agenzia (per valori di 130 e 100 nel nostro esempio), mentre il conto differenziale si aprirà solo in corrispondenza delle somme che fanno mutare il credito ed il debito netto (per un valore di 30, nel nostro e-sempio). I conti generali – accesi quindi, rispettivamente, al proprietario e all’agenzia – possono essere conside-rati, ciascuno, sotto due aspetti diversi, dal che risultano quattro conti: il conto integrale del proprietario, il conto integrale dell’agenzia, il conto differenziale del proprietario, il conto differenziale dell’agenzia. La logismografia può quindi essere tenuta anche in partita quadrupla, come d’altra parte si può ottenere una scrittura in partita quadrupla esplicitando il conto dell’amministratore impiegando la teorica personalistica del Marchi.

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Poiché per ognuno dei cinque conti il proprietario può risultare debitore o creditore, ad ogni accredito (o addebito) di uno di essi, dovrà necessariamente corrispondere un addebito (o accredito) di un altro conto.

Ma, come sottolineato da più autori, l’artificio della personificazione dei conti utilizzato dal Degranges che riferisce tutti i conti generali al proprietario conduce ad una conclusione illogica ed errata. Invero, in ogni rilevazione contabile il proprietario finirebbe, contempora-neamente, con l’addebitare ed accreditare sé stesso.

In altri termini, il proprietario paga e incassa il denaro, riceve e consegna la merce, cede e riceve gli effetti. Egli è, in sintesi, proprietario e consegnatario al tempo stesso.

Se questo è, tutto sommato, accettabile in una piccola azienda, non lo è in una combina-zione produttiva di più grandi dimensioni, dove si riscontra sistematicamente una scissione materiale tra il proprietario ed i consegnatari e, sempre più spesso, anche tra il proprietario e l’amministratore (30).

Di tali circostanze ha tenuto opportunamente conto Francesco Marchi per la costruzione della sua teorica, giustificando il principio della costante uguaglianza tra il dare e l’avere nella partita doppia attraverso l’individuazione di due conti generali, logicamente contrapposti: il conto del proprietario ed il conto dei terzi (consegnatari e corrispondenti) (31).

Inoltre, egli ha giustificato in maniera logica il meccanismo dell’addebito e dell’accredito di ogni conto individuando una figura fittizia – l’amministratore – generata dalla scissione i-deale dell’imprenditore in proprietario-capitalista e, per l’appunto, amministratore, quale «intermediario» tra il proprietario-capitalista ed i terzi.

La logica su cui si fonda la teorica del Marchi – quindi delle figure del proprietario in contrapposizione ai terzi consegnatari e corrispondenti, nonché dell’amministratore come en-tità fittizia – è stata sostanzialmente ripresa da Giuseppe Cerboni.

Per questo motivo, a quest’ultimo sono state mosse pesanti accuse di plagio da parte degli eredi del Marchi.

A ben guardare, tuttavia, non può non notarsi come la teorica personalistica del Cerboni, benché in molti punti simile a quella del Marchi, sia da questa profondamente diversa.

Vero è che il Cerboni si è ispirato, forse anche notevolmente, alle idee innovative del Marchi, ma poi da queste si è discostato, individuando un percorso teorico personale che si basa su una concezione spiccatamente «giuridica» del patrimonio aziendale.

Si pensi, inoltre, al fatto, non trascurabile, che nella teorica del Marchi viene considerato anche il conto dell’amministratore (o gerente) (32), sebbene esso sia sottinteso.

L’impostazione cerboniana, invece, non ammette mai, neppure come sottinteso, il conto dell’amministratore.

In merito alle somiglianze e alle aderenze fra le due impostazioni teoriche, il De Gobbis così si esprime: «Ambedue aprono conti al Proprietario, ai Consegnatari, ai Corrispondenti; tuttavia, malgrado questa coincidenza, le due teoriche [si] differenziano essenzialmente per il –––––––––

(30) Accettando pedissequamente l’impostazione cinquecontista si può addirittura giungere a conclusioni pa-radossali ed assurde. Il Mondini, ad esempio rileva che: «L’attivo dell’inventario comprende generalmente diritti reali del proprietario su cose e diritti personali verso i debitori. Ora, se aprendo i conti in base all’inventario si addebitano con giusta ragione i conti dei debitori per i crediti di conto che ha il proprietario, non si può spiegare come per i diritti reali su cose debba invece essere addebitato il proprietario nei conti di cassa, di magazzino, di mobili, ecc. La conclusione risulta allora che l’attivo dell’inventario, il quale è un completo diritto del proprieta-rio, sarebbe rappresentato parte da conti di debito di terzi debitori, e parte da conti di debito del proprietario, si avrebbero cioè elementi positivi ed elementi negativi, il che è un massimo assurdo». MONDINI ETTORE, La teori-ca italiana personalistica dei metodi scritturali a partita doppia ed in logismografia, in MASSA GIOVANNI (a cu-ra di), Monografie di ragioneria generale, Amministrazione del «Monitore dei Ragionieri», Milano, 1911, pag. 279.

(31) Ognuno di essi si suddividerà poi in conti di dettaglio. (32) Che, lo si ricorda, deriva dalla scissione del conto del proprietario in due: capitalista e, per l’appunto,

amministratore.

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carattere e la materia del conto del Proprietario e per i rapporti intercedenti tra le varie perso-ne, a cui i conti sono aperti» (33).

Invero, mentre il Marchi suppone che i conti accesi al Proprietario, ai Consegnatari ed ai Corrispondenti non siano in relazione fra loro, ma con il conto dell’Azienda o dell’Amministratore che funziona da interfaccia, per il Cerboni, invece, le relazione di debito e di credito intercedono direttamente fra il Proprietario da una parte ed i Consegnatari ed i Corrispondenti dall’altra.

Fra le teorica del Marchi e quella del Cerboni risultano pertanto differenti la natura del conto acceso al Proprietario ed il carattere dei rapporti che intercorrono tra le diverse persone a cui i conti vengono aperti.

In effetti, per il Cerboni il conto del Proprietario è un conto integrale, in quanto ne sono oggetto tutti i diritti e le obbligazioni nei confronti degli Agenti e dei Corrispondenti, mentre secondo il Marchi il conto del Proprietario è un conto differenziale, poiché il suo oggetto è rappresentato solo dalla differenza tra tali diritti ed obbligazioni, in altri termini dalla diffe-renza tra l’attivo ed il passivo; ovvero, in ultima analisi, dal capitale netto.

Mentre poi il Marchi, lo ribadiamo, mette prevalentemente in evidenza la situazione eco-nomica dell’azienda, l’accento, per il Cerboni, si posa invece sulla sua situazione giuridica.

Non va, infine, dimenticato che, mentre il Marchi si preoccupò esclusivamente di formu-lare una teorica che potesse spiegare coerentemente il funzionamento del metodo della partita doppia (tradizionale), il Cerboni andò oltre (34). Egli infatti, partendo dalla teorica personali-stica, costruì un nuovo congegno contabile che, pur restando ancorato ai presupposti della par-tita doppia, mostra una serie di tratti distintivi che conferiscono al medesimo una qualche ori-ginalità.

3. La teorica dei conti «a valore». L’invenzione, di carattere assolutamente fondamentale per lo sviluppo della nostra disci-

plina, della teorica dei conti «a valore» si deve a Fabio Besta. Mentre le teoriche personalistiche, ed in particolare quella Cerboniana, mettevano l’accento

sui diritti ed i doveri delle persone coinvolte nella combinazione produttiva, la teorica dei conti «a valore» (35) guarda ai valori relativi ai beni costituenti il patrimonio aziendale (36). –––––––––

(33) DE GOBBIS FRANCESCO, Ragioneria generale…, op. cit., pag. 190. (34) Al Marchi spetta senz’altro il merito di aver saputo contrastare efficacemente, in un periodo di grande

crisi delle istituzioni contabili del nostro Paese, la teorica dei cinquecontisti e di avere altresì contribuito a gettare le basi per la costruzione della teorica personalistica italiana, successivamente sviluppata e perfezionata dal Cer-boni. Da questo punto di vista, il Marchi può essere, in un certo senso, definito come un precursore del Cerboni. Peraltro, quest’ultimo rivolse parole di vivo apprezzamento al Marchi a seguito della pubblicazione del volume sui «cinquecontisti»: «Io me ne stava raccolto nei miei lavori nei silenziosi uffici del Ministero della Guerra, quando, sul cadere del 1867 un grido di gioia risuonò per l’aere dei ragionieri d’Italia in seguito alla pubblica-zione di un libro dovuto alla mente arguta e pensosa di Francesco Marchi di Pescia», citato da: CECCHERELLI ALBERTO, La logismologia, op. cit., pag. 110. Molti ferventi cerboniani hanno però tentato di ridimensionare l’indiscusso valore del lavoro del Marchi per dare maggior risalto a quello del Cerboni. Il Bellini, ad esempio, definisce le pagine de «I cinquecontisti» come «modeste», mentre l’opera del Cerboni viene indicata come «gi-gantesca». Cfr. BELLINI CLITOFONTE, Il pensiero e l’opera di Giuseppe Cerboni, in AA.VV., Conferenze intorno alla vita e alle opere di Giuseppe Cerboni tenute in occasione delle onoranze tributategli dai ragionieri italiani, Tipografia Cartiere Centrali, Roma, 1914, pag. 97.

(35) Per inciso si rileva che la teorica dei conti «a valore» è nota anche come teorica razionalista o come teo-rica positivista.

(36) Il Besta fece derivare la propria teorica partendo dai concetti degli economisti generali ed in particolare dal valore d’uso, valore di costo, costo di produzione e valore di cambio, per poi giungere al prezzo. Afferma infatti egli stesso: «La teoria del valore e quella della moneta sono fuori dei confini della materia che io professo. Con tutto ciò, siccome la ragioneria, in quanto è arte, studia e modera la vita della ricchezza nelle aziende, e la

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In altri termini, non si registrano diritti e doveri, ma movimenti di attività e di passività e, di conseguenza, del netto patrimoniale.

L’oggetto del conto viene così ad essere il valore del patrimonio aziendale, ovvero dei singoli elementi – attivi e passivi – che lo costituiscono e dei connessi elementi derivati da es-so (il netto, comprensivo di utili e perdite) (37).

Si evidenzia in tal modo la concreta situazione economico-patrimoniale dell’azienda. Peraltro, se non fosse per il valore, non si noterebbero differenze sostanziali rispetto alla

teorica materialistica, che ha rappresentato la prima reazione critica rispetto a quella persona-listica e che guardava agli elementi costituenti il patrimonio stesso (38).

È quindi la centralità del «valore» dei conti a rappresentare la vera novità – di carattere rivoluzionario – della teorica bestana.

Tutti gli elementi patrimoniali presentano infatti un «minimo comune denominatore»: la moneta di conto, la quale, appunto, costituisce l’unità di misura del valore (39).

Invero, il conto, afferma il Besta, può definirsi come: «[…] una serie di scritture riguar-dante un oggetto determinato, commensurabile e mutabile, e aventi per ufficio di serbar me-moria della condizione e misura di tale oggetto in un dato istante e dei mutamenti che va su-bendo, in maniera da poter rendere ragione dello stato di codesto oggetto in un tempo quale si voglia» (40).

In altri termini, per il Besta il conto racchiude una serie di note relative al valore attribuito all’oggetto di riferimento in un determinato tempo, nonché le relative variazioni del medesi-mo.

Per questo motivo, tale teorica si basa sull’assunto – di carattere fondamentale – che i conti devono essere aperti non alle persone, ma ai valori, in quanto questi sono ciò che più in-teressa l’obiettivo della rilevazione contabile (41).

In tal modo, il patrimonio nel suo insieme diventa un aggregato commensurabile, ovvero misurabile attraverso la moneta di conto.

Ciò posto, secondo la teorica «a valore» esistono tre grandi serie di conti: una accesa agli elementi attivi del patrimonio, una accesa ai suoi elementi passivi ed un’altra accesa al patri-––––––––– ricchezza solo per via del valore è commensurabile, così è d’uopo indagare secondo quali criteri e quali norme possa ottenersi nei vari casi la determinazione del valore, come, vo’ dire, si possa fare la valutazione della ric-chezza che forma la dotazione di un’azienda in un dato istante e dei mutamenti che essa va, con vicenda più o meno assidua, subendo». BESTA FABIO, La ragioneria, seconda edizione riveduta ed ampliata col concorso dei professori Vittorio Alfieri, Carlo Ghidiglia, Pietro Rigobon, Parte Prima, Ragioneria generale, volume I, Casa Editrice Dottor Francesco Vallardi, Milano, 1909, pag. 215.

(37) Nella teorica bestana non sono da considerarsi accesi al proprietario neppure i conti dello stato patrimo-niale iniziale e quelli connessi ai risultati economici dell’esercizio.

(38) La teorica materialistica ha costituito, in un certo senso, la base di partenza per lo sviluppo della teorica dei conti «a valore». Essa si discostava infatti da quella personalistica per il fatto di osservare l’oggetto del con-to, senza tuttavia riuscire a trovare un suo senso compiuto, che invece fu individuato appunto dal Besta con i conti «a valore».

(39) Così si esprime il Besta: «Un patrimonio […] può riguardarsi anche come un tutto di cui debba cercarsi la misura […]. Vuolsi considerare questi beni [quelli costituenti il patrimonio], non ostante la varietà loro, in un aspetto in tutti conforme, vuolsi contemplare per tutti una grandezza comune, costante, tale insomma che possa esprimersi con uno stesso denominatore. In tutti si può riguardare il valore, che è loro attributo essenziale e ca-ratteristico, che anzi nella universalità dei casi è la sola grandezza comune a tutti; e i valori possono esprimersi omogeneamente considerando in luogo dei diversi elementi patrimoniali quantità varie di uno stesso bene fungi-bile, di una stessa moneta, ad esempio con le quali essi possano scambiarsi. Solo per via del valore divengono i beni economici commensurabili». BESTA FABIO, La ragioneria…, volume I, op. cit., pag. 71.

(40) BESTA FABIO, La ragioneria…, La ragioneria, seconda edizione riveduta ed ampliata col concorso dei professori Vittorio Alfieri, Carlo Ghidiglia, Pietro Rigobon, Parte Prima, Ragioneria generale, volume II, Casa Editrice Dottor Francesco Vallardi, Milano, ristampa 1920, pag. 292.

(41) Fra l’altro, è doveroso ricordare che l’introduzione della teorica dei conti «a valore» del Besta è stata fondamentale anche per gli sviluppi successivi. Senza di essa neppure il Sistema del reddito dello Zappa avrebbe potuto vedere la luce, quantomeno nella sua forma ortodossa, poiché questo si basa proprio su tale teorica.

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monio netto. Rispetto ai valori iniziali, durante l’esercizio si assisterà poi ad incrementi o decrementi

dei diversi elementi patrimoniali in funzione dell’attività amministrativa, la quale potrà inci-dere anche sul netto patrimoniale.

Il sistema bilanciante della partita doppia funziona anche in questo caso, perfettamente. Tuttavia, invece di uguagliare in ogni momento, come nella teorica personalistica, crediti

e debiti – in senso lato – verso corrispondenti e consegnatari (più il netto), sono i valori attivi che in ogni momento uguagliano i valori passivi (più il netto) (42).

Per dimostrare tale assunto, è sufficiente riflettere su come i fatti amministrativi possono influire sul patrimonio:

– aumentando e diminuendo contemporaneamente l’attivo (come nel caso dell’acquisto o della vendita in contanti di un bene);

– diminuendo e aumentando contemporaneamente il passivo (come nel caso del conso-lidamento di un debito a breve termine);

– aumentando contemporaneamente l’attivo e il passivo (come nel caso dell’acquisto di beni a dilazione);

– diminuendo contemporaneamente l’attivo e il passivo (come nel caso del pagamento di un debito);

– aumentando l’attivo e aumentando contemporaneamente il capitale (come nel caso della vendita di un servizio con regolamento in contanti);

– diminuendo l’attivo e diminuendo contemporaneamente il capitale (come nel caso di un acquisto di un servizio con regolamento in contanti);

– aumentando il passivo e diminuendo il capitale (come nel caso dell’acquisto di un servizio con regolamento a dilazione);

– diminuendo il passivo e aumentando il capitale (come nel caso della «capitalizzazio-ne» di un debito).

Oltre a queste categorie di effetti si deve tenere conto dei riflessi «misti», dove l’aumento e la diminuzione degli elementi patrimoniali avviene per valori che non si compensano perfet-tamente, andando così ad incrementare il netto.

È questo, ad esempio, il caso che si riscontra nella vendita di un bene ad un valore supe-riore rispetto al costo di acquisto, la quale comporta una diminuzione dell’attivo – in relazione al bene ceduto – un aumento dell’attivo – in rapporto all’entrata di denaro o alla nascita del credito – e, per la parte eccedente – un incremento del capitale.

Oppure, ancora, il caso dell’acquisto di beni a dilazione con il riconoscimento di uno sconto «condizionato» (43) sul totale che comporta un aumento dell’attivo – relativo al bene acquistato – e un incremento del passivo – in relazione al sorgere del debito e, per la differen-za dovuta allo sconto, un incremento di capitale.

Quelle citate rappresentano tutte le diverse categorie di effetti che i fatti amministrativi possono causare sul patrimonio aziendale.

Ne consegue, pertanto, che ad ogni incremento dell’attivo deve corrispondere, per il me-desimo valore:

– un decremento dell’attivo stesso, oppure – un incremento del passivo, oppure

––––––––– (42) Come si nota, la teorica bestana segna un forte punto di discontinuità, di «rottura», rispetto al personali-

smo contabile che, in maniera più o meno strutturata e consapevole, è stato alla base della prima forma di conta-bilità in partita doppia ed è sopravvissuto per secoli, fino a quando, appunto, non ha lasciato il passo alla teorica del Besta.

(43) Lo sconto, lo si ricorda, può essere «condizionato» al verificarsi di un determinato evento (il raggiun-gimento di una determinata soglia di ordini, al pagamento anticipato rispetto alla data pattuita originariamente, ecc.) o «incondizionato», ovvero indipendente da qualsiasi circostanza. Solo nel primo caso lo sconto deve esse-re esplicitato in contabilità, mentre nel secondo si rileva direttamente il valore netto relativo alla transazione.

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– un incremento del netto, oppure – un decremento dell’attivo e un aumento del netto, oppure – un incremento del passivo e un aumento del netto. Ad evidenza, ad un decremento dell’attivo corrispondono effetti contrari a quelli illustrati.

Il ragionamento è poi esattamente speculare per quanto riguarda gli incrementi ed i decremen-ti del passivo.

Se, quindi, nei singoli conti registriamo a sinistra gli aumenti dei valori attivi e a destra le loro diminuzioni, mentre contabilizziamo a sinistra le diminuzioni dei valori passivi (e del ca-pitale) ed a destra i relativi incrementi, si ottiene, in ultima analisi, che il totale delle somme registrate nella medesima sezione di tutti i conti deve sempre risultare uguale alle somme re-gistrate nell’altra sezione di tutti i conti.

Come si comprende, pertanto, il meccanismo bilanciante della partita doppia funziona perfettamente anche in questo caso, ma si perdono i significati originari dei termini «dare» ed «avere» (44).

Con l’avvento dei conti «a valore» i concetti di dare e di avere diventano quindi delle me-re convenzioni terminologiche, da intendersi come sinonimi, rispettivamente, di «sezione si-nistra» e «sezione destra» dei conti (45).

4. Il contrasto tra la teorica personalistica e quella dei conti «a valore»: lo scontro dot-trinale fra Giuseppe Cerboni e Fabio Besta.

Come si evince dalla pagine che precedono, le differenze fra la teorica personalistica cer-

boniana e quella dei conti «a valore» sono notevoli. La prima apre i conti alle persone, al fine di mettere in evidenza i relativi diritti e doveri,

con particolare riferimento ai loro «crediti» ed ai loro «debiti». La seconda apre i conti ai valori degli elementi patrimoniali, allo scopo di appalesare le

variazioni che questi subiscono per effetto della gestione e rifiuta, pertanto, la personalità dei conti (46).

Ciò si può giustificare, anche teoricamente, osservando che i consegnatari in realtà non sono responsabili dei «beni», ma del «valore» dei beni che detengono. Un analogo ragiona-mento vale per i corrispondenti (sia creditori che debitori), i quali hanno diritto a riscuotere o il dovere di pagare quel valore connesso al proprio credito o debito.

In questo modo, i conti perdono integralmente il loro significato giuridico, proprio della teorica personalistica, per assumere invece un significato economico.

E il Besta, dalla sua cattedra di Ca’ Foscari prima ancora che con i suoi libri a stampa, cercò di diffondere, tale visione.

Il Masi al riguardo così si esprime: «Il Besta sin dagli inizi del suo insegnamento aveva negato il contenuto scientifico della nuova dottrina cerboniana, aveva negato che i conti fosse-ro accesi a persone vere o fittizie e aveva scoperto che i conti nella loro intima essenza aveva-no un elemento indispensabile, il valore» (47). –––––––––

(44) Tale significato può in qualche modo considerarsi ancora pertinente solo con riferimento ai crediti ed ai debiti.

(45) E si perde, naturalmente, anche il concetto giuridico dei conti proprio della teorica personalistica ed in particolare di quella cerboniana.

(46) Anche il modus operandi nell’attività di studio e ricerca del Cerboni e del Besta era estremamente di-verso. Il primo prediligeva l’approccio deduttivo, secondo il quale prima si rifletteva teoricamente sul fenomeno e poi si tentava di applicarlo alla realtà, mentre il Besta propugnava l’approccio induttivo, in base al quale prima si doveva osservare la realtà e poi da essa cercare di derivare regole generali di comportamento.

(47) MASI VINCENZO, La ragioneria nell’età moderna e contemporanea, testo riveduto e completato da Car-lo Antinori, Giuffrè Editore, Milano, 1994, pag. 331.

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Pertanto, e non poteva essere altrimenti, fra la le due teoriche e fra i loro più illustri soste-nitori (Cerboni e Besta) iniziò nell’ultimo ventennio del XIX secolo un aspro confronto che vide, sulle prime, uscire vincitrice la teorica tradizionale (personalistica).

Solo con il XX secolo la teorica dei conti «a valore» si affermò e decretò definitivamente la soccombenza del «personalismo» contabile.

Il primo scontro, invero molto duro, su larga scala tra le due diverse impostazioni teori-che, come anticipato in premessa, avvenne durante il primo congresso dei ragionieri italiani svoltosi a Roma nel mese di ottobre del 1879.

E, in questa sede, i cerboniani, molto più numerosi, ebbero il sopravvento. Ciò scatenò, nell’anno successivo, la reazione del Besta, con la nota prolusione tenuta in

occasione dell’inaugurazione dell’anno scolastico 1880-81 della Scuola superiore di commer-cio di Venezia (48).

Ma i tempi non erano ancora maturi: «Certo è da pensare che nei primi tempi in cui co-struiva e diffondeva la sua nuova dottrina in ragioneria il Besta era praticamente solo o quasi, contro le dottrine personalistiche. Anche tralasciando di dire che allora il Cerboni era conside-rato quasi da tutti come un maestro, anzi il maestro e la stessa bibliografia in quel tempo era a favore dei personalisti, laddove pochi erano i seguaci delle teorie bestane […]. Il Besta di ve-ramente innovatrice non ha che la memorabile Prolusione […] del 1880» (49), mentre, aggiun-giamo, il Cerboni, dalla sua parte aveva, oltre che la copiosa bibliografia a suo nome, decine di scritti di suoi allievi e seguaci i quali erano fervidamente impegnati a diffondere a macchia d’olio il metodo logismografico.

Negli anni immediatamente successivi, tuttavia, la «spinta» logismografica si esaurì, anche a causa del fatto che i seguaci del Cerboni, fatta eccezione per Giovanni Rossi, si preoccupa-rono più di applicare la teorica logismografica alle diverse tipologie di aziende piuttosto che farne progredire i contenuti in termini scientifici. E con il nuovo secolo la scuola del Besta – e la relativa teorica dei conti «a valore» – diventò dominante in tutti gli istituti tecnici e le scuo-le superiori di commercio del Regno.

5. Le teoriche «minoritarie». 5.1. Considerazioni introduttive.

Come è stato evidenziato nei paragrafi precedenti, le teoriche che hanno maggiormente

interessato ed appassionato gli studiosi nel periodo di analisi sono state quella personalistica e quella dei conti «a valore». Tuttavia, accanto a queste due teoriche nel secondo ottocento ne sono state formulate altre – quella materialistica e quella matematica – le quali hanno avuto però, almeno sul momento, scarso seguito (50). Per completezza, oltre a queste va ricordata –––––––––

(48) Fra le numerose critiche mosse alla teorica personalistica (ed in particolare al Cerboni ed ai suoi studi) nella prolusione si legge quanto segue: «[…] a me sembra gravissimo errore quello di Francesco Marchi, di Giu-seppe Cerboni e de’ seguaci loro, i quali, in luogo di badare a quegli organi e a quelle facoltà [si riferisce agli or-gani aziendali ed alle loro competenze] astraendo dalle persone, considerano a dirittura queste, e pongono l’esistenza separata di Proprietari, d’Amministratori e di Agenti come cardine di tutta la teorica di conti. Ma poi-ché […] non sempre, di rado anzi, quelle persone realmente esistono le une dalle altre disunite, codesti autori, non potendo disconoscere tal fatto, sono poi costretti a supporre congiunte in una persona sola più persone di-stinte, tanto distinte da avere fra esse diritti e obbligazioni giuridiche. È egli possibile dare a una teorica più fra-gile base?». BESTA FABIO, La ragioneria. Prolusione letta nella solenne apertura degli studi per l’anno scolasti-co 1880-81 alla R. Scuola superiore di commercio in Venezia, Tipografia dell’Istituto Coletti, Venezia, 1880, pag. 13.

(49) MASI VINCENZO, La ragioneria nell’età moderna e contemporanea, op. cit., pag. 333. (50) La teorica matematica, è stata invece molto rivalutata nella seconda metà del XX secolo, in concomi-

tanza con l’avvento degli elaboratori elettronici e dei relativi programmi di contabilità.

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anche la teorica mista, la quale altro non è che un tentativo, in realtà non ben riuscito, di me-diare fra quella personalistica e quella materialistica.

In chiusura di capitolo si procede pertanto, a delinearne, seppure succintamente, le carat-teristiche.

5.2. La teorica materialistica.

Come più illuminato interprete della teorica «materialistica» viene normalmente indicato Emanuele Pisani, inventore della Statmografia, il quale si pone, in un certo senso, a metà stra-da tra il Cerboni e il Besta, pur avvicinandosi – almeno dal punto di vista della teorica profes-sata – maggiormente a quest’ultimo (51).

Invero, a prima vista la teorica materialistica non risulta sensibilmente dissimile da quella dei conti «a valore», tanto che da molti studiosi viene confusa con questa.

In realtà, si tratta di due teoriche ben differenti, di cui la materialistica precede, sia in ter-mini temporali che logici, quella dei conti «a valore».

Nella teorica «materialistica» si riscontrano infatti conti aperti agli elementi del patrimo-nio (denaro, merci, crediti, debiti, ecc., che si incrementano, si decrementano e si permutano), ma l’oggetto del conto rimane tuttavia il nome (l’intestazione) del medesimo (52).

Per questo motivo, nella teorica materialistica, le voci dare e avere vengono sostituite dal-le voci carico e scarico, proprio per negare fermamente la personalità dei conti e far invece apparire la loro consistenza fisica, di carattere oggettivo (53).

Il meccanismo bilanciante della partita doppia risulta comunque perfettamente funzionan-te anche in questo caso, secondo una logica analoga a quella ricordata per la teorica dei conti «a valore», ma, come si è segnalato, l’accento si pone non sui valori, bensì sugli oggetti di os-servazione (da cui la sostituzione di dare e di avere con carico e scarico).

Analogamente alla teorica dei conti «a valore» la teorica materialista intende tenere sotto controllo gli elementi relativi al patrimonio aziendale: i quali possono essere attivi, passivi e differenziali.

Anche in tal caso, dunque, l’oggetto del conto viene ad essere il patrimonio aziendale, ovvero i singoli elementi – attivi e passivi – che lo costituiscono ed i connessi elementi deri-vati da esso (il netto, comprensivo di utili e perdite).

Come si comprende, quindi, dal conto, analogamente alla teorica bestana, si desumono in-formazioni economico-patrimoniali e non informazioni giuridiche (54). Tuttavia, alla teorica ma-terialistica manca, per così dire, il completamento logico, costituito dal valore dei conti (55).

Invero, con l’abbandono del personalismo contabile non può considerarsi sufficiente il passaggio dai conti intestati al soggetto ai conti intestati all’oggetto, ma si rende necessario ri-flettere anche sul valore di tali conti, come correttamente fece Fabio Besta.

D’altronde, come è stato correttamente osservato: «Né autentico cerboniano né consape-

––––––––– (51) Si può affermare che il Besta, in un certo senso, ha migliorato l’impianto logico della teorica materiali-

stica arricchendo il concetto di materialità, che recepisce nella sua impostazione teorica, con quello del valore. (52) Nella teorica materialistica i fatti amministrativi vengono considerati in sé, indipendentemente dalle

persone che li compiono: i conti sono quindi sganciati dalle persone e assumono pertanto un contenuto oggettivo. Nella teorica dei conti «a valore», si va oltre: alla materialità del conto si aggiunge il valore, che diventa addirit-tura predominante, in quanto diviene l’oggetto stesso dei conti.

(53) Neppure i conti dello stato patrimoniale iniziale e quelli accesi ai risultati economici vengono aperti al proprietario.

(54) Il Pisani fece però in modo che alla sua statmografia si potessero applicare sia la teorica materialistica che quella personalistica, anche contemporaneamente.

(55) In altri termini, la teorica materialistica guarda al patrimonio, mentre la teorica bestana guarda al «valo-re» del patrimonio.

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vole precursore del Besta, Pisani appare piuttosto l’anello mancante che lega due dottrine ma anche due epoche della storia del nostro paese:

– il passaggio dalla teoria personalistica del Cerboni, alla teoria dei conti a valore del Besta;

– il passaggio da un’economia […] agricola (in cui prevaleva l’azienda domestico-patrimoniale) ad una economia industriale in cui le aziende capitalistiche si dedicano esclusivamente ad attività industriali, bancarie e mercantili» (56).

5.3. La teorica matematica. La teorica matematica fa capo a Giovanni Rossi, insigne studioso e valente logismologo.

Essa fu formulata sul finire del XIX secolo e per la prima volta esposta nel Trattato dell’unità teoretica dei metodi di scrittura a partita doppia (57).

Secondo tale teorica, tutti i conti sono elementi matematici e quindi su di essi è possibile effettuare le operazioni di calcolo.

Invero, secondo il Rossi, indipendentemente dal suo significato economico, giuridico o amministrativo, il conto deve essere considerato nei suoi elementi quantitativi (58). –––––––––

(56) BONACCHI MASSIMILIANO, La missione della ragioneria: il contributo di Emanuele Pisani, in «Ritratti d’Autore n° 2», Quaderno n° 3, Area Didattica e di Ricerca in Storia della Ragioneria, Coordinatore: Giuseppe Catturi, XV Ciclo, A.A. 1999/2000, Stamperia della Facoltà di Economia, Siena, s.d., pag. 39. Similmente si era già espresso Pasquale Arena, secondo il quale: «[…] il Pisani appare […] come un soggetto di transizione-collegamento che cerca da una parte una mediazione con la corrente personalistica […] cerboniana, e da un’altra parte anticipa i principi della corrente […] bestana». ARENA PASQUALE, L’origine della Statmografia Economi-ca come modello culturale agro-aziendale, in AA.VV., Contabilità e cultura aziendale, op. cit., pagg. 145-146.

(57) Cfr. ROSSI GIOVANNI, Trattato dell’unità teoretica dei metodi di scrittura in partita doppia, Stabilimen-to tipo-litografico degli Artigianelli, Reggio Emilia, 1895. Successivamente, venne perfezionata con il seguente volume: ROSSI GIOVANNI, Teoria matematica della scrittura doppia italiana (metodo algebrico – metodo grafi-co), Tipografia Popolare, Reggio Emilia, 1901.

(58) Sino ad ora noi abbiamo distinto il profilo economico-patrimoniale da quello giuridico dei conti. A que-sto punto si rende necessaria una precisazione per quanto riguarda l’ulteriore aspetto – quello amministrativo – che il Rossi ricorda nel suo volume. Egli afferma infatti che: «La materia formante obbiettivo delle scritture computistiche è […] economica, giuridica e amministrativa. In quanto è economica, si presenta sotto forma di ricchezza, di capitali, di beni di uso, di bisogni, di prodotti, di spese, di consumi, di profitti, di perdite e via di-scorrendo: in quanto è giuridica, si presenta sotto forma di patrimoni, di crediti, di debiti, di diritti, di obbligazio-ni, di competenze e simili: in quanto è amministrativa, si presenta sotto forma di beni dati in consegna e distri-buiti a persone e ad organi dell’azienda, di beni consegnati ad altre aziende, di beni e di rendite da accertare, di crediti da riscuotere, di prodotti da eseguire, di debiti da pagare, di spese da soddisfare e in molte altre guise». ROSSI GIOVANNI, Trattato dell’unità teoretica dei metodi di scrittura in partita doppia, op. cit., pag. 577. La di-stinzione tra il significato economico, giuridico ed amministrativo dei conti si riconnette direttamente alle fun-zioni (economiche, giuridiche ed amministrative) dell’azienda, così come evidenziate dal Rossi in un suo prece-dente studio. Cfr. ROSSI GIOVANNI, L’ente economico-amministrativo studiato secondo la materia, le funzioni, l’organizzazione e la varietà delle sue forme. Introduzione alla scienza della logismografia generale, Volume I°, Stabilimento Tipo-litografico degli Artigianelli, Reggio dell’Emilia, 1882, pag. 89 e segg. e lo schema di sintesi presente nel Volume II° (stessi estremi bibliografici), pag. 11. Peraltro, il significato «amministrativo» dei conti (riferito alla «proprietà») deve essere interpretato in stretta connessione con quello «giuridico» dei medesimi (ri-feriti ai diritti ed agli obblighi che dal diritto di proprietà scaturiscono). Tra l’altro, tale significato «amministra-tivo» si riconnette principalmente ai conti attinenti alle scritture finanziarie (ovvero del bilancio di previsione), i quali trovano il loro fondamento, oltre che nel diritto, per l’appunto, nella scienza amministrativa. Benché esse esulino dall’oggetto del presente lavoro, ci sembra opportuno precisare che il significato «amministrativo» dei conti si esplica come di seguito descritto. Il proprietario ha il «diritto» di amministrare la propria ricchezza ed il «dovere» di amministrarla bene. Se affida tale incarico ad un terzo, egli ha il «diritto» di veder accertata l’entrata e l’uscita ed il «dovere» di riconoscerne l’accertamento; ha inoltre il «dovere» di concedere i mezzi economici necessari all’amministratore per svolgere la propria attività ed il «diritto» di conoscerne il relativo impiego. Dal canto suo, l’amministratore ha il «dovere» di accertare l’entrata ed il «diritto» di vedersi riconosciuto l’accertamento, nonché il «diritto» di disporre dei mezzi per poter amministrare l’azienda ed il «dovere» di ren-

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In questo modo, ogni conto appare formato da due serie di quantità omogenee che hanno significato e segno opposto.

Ne consegue che se una di queste serie di quantità è positiva, l’altra sarà negativa, e se at-tribuiamo ad entrambe un segno, questi non potranno essere che il più ed il meno.

All’interno del conto, le quantità vengono pertanto ad assumere una specifica posizione: se a sinistra si mettono le quantità positive a destra andranno quelle negative, e viceversa (59).

Invero, dal punto di vista matematico è assolutamente indifferente iscrivere le quantità positive o negative a sinistra o a destra, basta che ci sia la corretta contrapposizione fra i se-gni.

Se, convenzionalmente, si assume che le quantità positive vengono iscritte a sinistra, quelle negative andranno a destra: questa, peraltro, è la scelta che risulta più coerente rispetto al metodo della partita doppia tradizionale.

A questo punto, ogni singolo conto deve essere interpretato come un’equazione, dove le due sezioni (sinistra e destra) possono essere sommate algebricamente fra loro e, in questo modo, possono anche originare un saldo.

Se, ad esempio, indichiamo con «a1» l’importo della sezione di sinistra e con «a2» l’importo della sezione di destra del conto «A», avremo la seguente rappresentazione grafica:

a1 a2 Dal punto di vista «matematico» tale conto corrisponde all’espressione matematica (a1 –

a2) che conduce alla determinazione del saldo «s»: a1 – a2 = s. Ovviamente, invertendo le colonne del conto, quindi i membri dell’equazione, tutto cam-

bia di segno e quindi si avrà: a2 – a1 = – s. Ciò posto, si comprende come tale teorica ci consenta di eseguire qualsiasi operazione sui

conti: addizione in primis, ma, tecnicamente, anche sottrazione, moltiplicazione e divisione. Se si prendono in considerazione due conti «A» e «B» con le rispettive sezioni (a1 e a2) e

(b1 e b2), essi potranno essere sommati colonna per colonna:

a1 a2 + b1 b2 ottenendo il seguente risultato:

a1 + b1 e a2 + b2 Ciò in quanto (a1 – a2) + (b1 – b2) = (a1 + a2) – (b1 + b2). In virtù della teorica matematica, i conti possono formare delle uguaglianze ed

un’uguaglianza di conti costituisce un mastro (60). Dalla semplice equazione di bilancio (A = P + N), dove: «A» è la somma delle attività, «P» è la somma delle passività, «N» è il capitale netto, mediante dei passaggi matematici (61) si giunge alla seguente eguaglianza:

––––––––– dere conto dell’utilizzo dei medesimi. Cfr. BESTA FABIO, La ragioneria…, volume II, op. cit., pag. 382. Il signi-ficato giuridico ed il significato amministrativo dei conti sono pertanto indissolubilmente legati, tanto che, in concreto, vengono considerati assieme e disgiunti solo per finalità scientifiche o di chiarezza espositiva.

(59) Si ipotizza l’utilizzo del «conto» tradizionale a sezioni divise e contrapposte, che è quello che meglio si presta per questa teorica.

(60) Il Rossi ha elaborato un complesso concetto di «mastro a partita doppia» di derivazione matematica, partendo appunto dal principio dell’uguaglianza dei conti.

(61) Se A = P + N, si può ottenere che A – P = N ed ancora che A – P – N = 0. Se indichiamo con A’, P’ e N’ rispettivamente le attività, le passività ed il netto al termine dell’esercizio, alla fine del periodo amministrati-

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αA + δP + δN = δA + αP + αN

dove: «αA» e «αP» rappresentano, rispettivamente, gli aumenti di ogni singola specie di attività

e di passività; «δA» e «δP» rappresentano, rispettivamente, le diminuzioni di ogni singola specie di atti-

vità e di passività; «αN» e «δN» rappresentano, rispettivamente, gli aumenti e le diminuzioni del netto pa-

trimoniale. Sommando, membro a membro, in questa uguaglianza lo stato patrimoniale iniziale (A =

P + N) avremo la seguente uguaglianza generale:

A + αA + δP + δN = P + δA + αP + αN + N la quale sintetizza l’intero movimento amministrativo avvenuto nell’arco dell’esercizio: Ora, nell’uguaglianza «αA + δP + δN = δA + αP + αN» si possono concretamente realiz-

zare tre diverse fattispecie. Invero, la gestione può aver comportato un aumento del netto, una sua diminuzione, op-

pure può non aver influito sul medesimo, lasciando inalterata la situazione d’inizio periodo. Nel primo caso si ha:

(αA + δP) – (δA + αP) = αN ad indicare che si sono manifestati fatti modificativi aumentativi del netto. Nel secondo caso si ha:

(αA + δP) – (δA + αP) = δN ad indicare che si sono manifestati fatti modificativi diminutivi del netto. Nell’ultimo caso si ha:

(αA + δP) – (δA + αP) = 0 ad indicare che si è avuto solo un effetto compensativo dovuto a fatti permutativi, i quali

non producono alcun movimento sul patrimonio netto (62). ––––––––– vo le espressioni sopra riportate risulteranno le seguenti: A’ = P’ + N’, da cui A’ – P’ = N’ ed ancora che A’ – P’ – N’ = 0. Durante l’esercizio, è noto, avvengono una serie di eventi che comportano la modificazione dell’entità dell’attivo, del passivo e del netto. Indicando con α e δ, rispettivamente, gli incrementi ed i decrementi, i quali possono associarsi alle attività (A) e alle passività (P), avremo che i valori delle attività (A’) e delle passività (P’) a fine esercizio saranno determinati come segue: A’ = A + αA – δA e P’ = P + αP – δP. Sostituendo tali fattori nella formula generale A’ – P’ = N’ avremo che: (A + αA – δA) – (P + αP – δP) = N’. Da cui: (A – P) + (αA + δP) – (δA + αP) = N’. In altri termini, il netto iniziale, aumentato degli incrementi di attività e delle diminuzioni di passività e diminuito delle riduzioni di attività e degli aumenti di passività eguaglia il patrimonio netto finale. Se a questo punto si indica con (N’ – N) il risultato economico, dato per l’appunto dalla differenza fra il patri-monio netto alla fine e all’inizio del periodo, questo si potrà anche scrivere come: (N’ – N) = (αA + δP) – (δA + αP). Ma i fatti amministrativi durante l’esercizio possono produrre aumenti e diminuzioni per uguale valore, ov-vero delle compensazioni che quindi non incidono sull’entità del patrimonio netto. Se indichiamo con γ questi aumenti e diminuzioni di carattere compensativo e con αN e δN rispettivamente gli incrementi e le riduzioni del netto, avremo che: (αA + δP) – γ = αN e (δA + αP) – γ = δN, da cui αA + δP + δN = δA + αP + αN.

(62) Nel testo abbiamo fatto ricorso al metodo matematico per spiegare la teorica del Rossi. Ad un analogo

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Pertanto, con questa proposta dottrinale, che possiamo definire «sopra le parti» ed «auto-noma» rispetto a quelle già illustrate, si è cercato di superare, contemporaneamente, le teori-che precedenti proponendo non un compromesso fra di esse ma una visione completamente nuova e diversa (63).

Tuttavia, il Ceccherelli, al riguardo rileva che l’impostazione «matematica», presa in sé e considerata «[…] nei riguardi strettamente logismologici» presenta «[…] una palese limita-zione di principi, e per questo stesso motivo non […] [può] assurgere a quella generalità che della teorica del conto deve costituire il carattere principale. La teorica matematica considera nel conto esclusivamente l’elemento numerico, che per quanto importante, non costituisce tut-to il conto, e perciò non può essere accettata come teorica generale» (64).

Ma, sotto questo profilo, lo stesso Rossi era consapevole dell’incompletezza della teorica matematica: lui stesso dichiarò che, oltre al significato quantitativo, il conto presenta anche un significato economico, giuridico ed amministrativo.

Al riguardo il Mondini rileva che egli «[…] ammette che i vari metodi di scrittura che so-no stati inventati sin qui non hanno soltanto una parte formale e matematica, sono governati da speciali dottrine, le quali sono tutt’altro che d’accordo tra loro […]. Si scorge dunque come Giovanni Rossi ha considerato la teorica matematica come una sola parte della teorica genera-le dei metodi scritturali, quella che riguarda il meccanismo, ma non riguarda il fine. Se alla te-orica matematica dei metodi […] si aggiungono altre tre teoriche speciali, la economica, la giuridica e l’amministrativa, esse riducono ad unità di concetti tutti i metodi passati, presenti e futuri» (65).

5.4. La teorica mista. Vale, infine, la pena di rammentare, seppur brevemente, anche la posizione dottrinale di

alcuni studiosi che, per così dire, si sono collocati in maniera intermedia tra la teorica perso-nalistica e quella materialistica (e anche rispetto a quella dei conti «a valore») e per questo motivo la loro «costruzione» teoretica può essere definita «mista».

L’origine di tale teorica, si fa risalire al Crippa, al Villa ed al Tonzig, ovvero alla scuola «lombarda». Questi autori, infatti, insieme ai conti personali intestati al proprietario ed ai cor-rispondenti, consideravano anche i conti materiali intestati alle cose (66).

Tuttavia, lo si deve rilevare, almeno per quanto riguarda le prime formulazioni di tale co-struzione dottrinale – siamo nella prima metà dell’ottocento – più che di una teorica «mista» deve parlarsi, più propriamente, di una teorica personalistica «incompleta».

Invero, essa si basa sui precetti di carattere «personalistico» ma non riesce, come poi han-no invece fatto Francesco Marchi prima e Giuseppe Cerboni poi, ad applicarli compiutamente ––––––––– risultato si giunge anche con il «metodo grafico», il quale si avvale dei conti del mastro, arrivando a dimostrare che in un libro mastro a partita doppia, la somma algebrica di tutti i conti è sempre uguale a zero.

(63) In effetti, il Rossi era giunto a sintetizzare la teorica matematica dopo anni di lavoro passati ad analizza-re tutti i diversi contributi contabili e dopo aver quindi individuato un denominatore comune a tutte le differenti impostazioni che è, per l’appunto, l’elemento numerico.

(64) CECCHERELLI ALBERTO, La logismologia, op. cit., pagg. 158-159. (65) MONDINI ETTORE, La teorica italiana personalistica dei metodi scritturali a partita doppia ed in logi-

smografia, op. cit., pagg. 309-310. L’autore prosegue sottolineando che qualcuno vorrebbe tuttavia limitare la teorica del metodo delle scritture alla sola parte matematica, trascurando gli altri aspetti.

(66) Al riguardo, il Melis ci ricorda quanto segue: «Il Villa, sulle tracce degli autori austriaci (in particolare dello Schrott) e del Crippa, formula una teorica mista del conto, imperniata, per una parte, sulla ‘teorica persona-listica’ e, per l’altra, sulla ‘teorica materialistica’ (i cui rudimenti si rinvennero nella ‘Scrittura doppia ridotta a Scienza’ del D’Anastasio) […]. Tale teorica costituì l’essenza delle idee professate dalla cosiddetta Scuola Lom-barda […], che fu capeggiata dal Villa in Lombardia e che, nel Veneto, ebbe l’assertore più influente in Antonio Tonzig». MELIS, FEDERIGO, Storia della ragioneria…, op. cit., pag. 750.

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all’intero sistema dei conti (vengono esclusi, infatti, i conti dei consegnatari). Tale impostazione non fu del tutto abbandonata e, anzi, venne ripresa in considerazione

da alcuni – in verità pochi e poco noti – autori nella seconda metà dell’ottocento quando già era violento lo scontro tra fautori della teorica personalistica e quella dei conti «a valore», nel tentativo di individuare una «terza via» per la soluzione del problema.

Nell’ambito della teorica personalistica «pura», lo ricordiamo, può apparire criticabile ammettere la personalità dei conti anche per quanto riguarda quelli intestati ai consegnatari. A ben guardare, infatti, nella maggior parte delle aziende i consegnatari – distinti formalmente dal proprietario – o, di fatto, non esistono (e quindi tutte le relative funzioni vengono «assor-bite» dal proprietario) (67), o esistono solo in parte (e quindi il proprietario «assorbe» comun-que almeno alcune di tali funzioni).

Inoltre, quando i consegnatari esistono, essi rispondono del bene che hanno in consegna e non del suo valore, ma, al contempo la loro posizione non può essere considerata alla stregua di quella dei «corrispondenti». Invero, il debito dei consegnatari per i beni di cui sono respon-sabili ha più carattere amministrativo che giuridico: lo dimostra il fatto che il proprietario con-tinua a disporre liberamente di tali beni dati in consegna e li considera sempre come di sua proprietà.

Peraltro, mentre la personalità dei conti accesi ai corrispondenti è più facilmente dimo-strabile, più difficoltoso è giustificare la personalità dei conti accesi ai consegnatari, soprattut-to quando questi mancano e vengono, per così dire, impersonati dal titolare.

Di conseguenza, questa teorica mista propone l’apertura di conti «personali» per il pro-prietario ed i corrispondenti e di conti «materiali» per i beni.

L’equazione della scrittura doppia risulta così modificata: l’attivo è sempre pari al passivo sommato col netto, ma l’attivo viene ad essere costituito dai crediti verso i corrispondenti e dai beni materiali, mentre il passivo è rappresentato dai debiti verso i corrispondenti.

I conti accesi agli elementi «materiali» metterebbero così in evidenza la situazione speci-fica dell’azienda, i conti accesi agli elementi «immateriali» – ovvero alle parti ideali del pa-trimonio netto (capitale, rendite e spese) – dimostrerebbero la sua situazione economica, men-tre quelli aperti a tutti coloro che si trovano in relazione con l’azienda attraverso posizioni di credito o di debito (i conti personali) dimostrerebbero la situazione giuridica della medesima.

Come già evidenziato, tale impostazione teorica non riuscì ad introdursi che marginal-mente nell’acceso dibattito fra cerboniani e bestani e, di fatto, non ebbe seguito (68).

6. Considerazioni conclusive. La partita doppia si fonda su una specifica teorica che dà significato ai diversi conti e li

mette in relazione fra loro. La teorica del conto, pertanto, è sorta con la scrittura doppia. Già nell’opera del Pacioli si trovano infatti i germi della teorica personalistica, anche se

maturata in maniera «inconsapevole». Tale teorica è sopravvissuta e si è perfezionata fino alla fine del XIX secolo, in Italia co-

me all’estero. Nel nostro Paese, dopo una parentesi di asservimento agli studiosi stranieri, soprattutto

francesi, la teorica personalistica è stata ripresa e migliorata, principalmente per mano di

––––––––– (67) Nella teorica personalistica pura, lo rammentiamo, il proprietario può anche svolgere le veci di specifici

«consegnatari» qualora essi non siano presenti in azienda. Il titolare può essere quindi anche magazziniere, cas-siere, ecc..

(68) Se si escludono infatti i pochi scambi di battute sull’argomento nelle riviste dell’epoca, tale teorica non ha lasciato tracce nello sviluppo delle nostre discipline.

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Francesco Marchi e di Giuseppe Cerboni nella seconda metà dell’ottocento. Nell’ottocento sono però apparse anche la teorica materialistica, la teorica mista, la teori-

ca matematica e la teorica dei conti «a valore». Quest’ultima, in particolare, in breve tempo (nei primi anni del XX secolo) ha soppiantato

la teorica personalistica permettendo gli sviluppi ulteriori della nostra disciplina che avrebbe-ro condotto alla successiva ideazione del sistema del reddito (che si basa appunto sui conti «a valore») da parte di Gino Zappa (69).

Ciò ha comportato, tra l’altro, la perdita del significato originario delle voci «dare» ed «a-vere» che sono rimaste come semplici convenzioni terminologiche.

Peraltro, lo si è evidenziato, il conto possiede un significato economico oppure giuridico (e anche, in stretta connessione, amministrativo) a seconda della teorica seguita.

Tuttavia, questi diversi «punti di vista», in realtà, non sono necessariamente incompatibi-li, ma devono essere interpretati come complementari.

In questo senso, condividiamo l’idea del Rossi, il quale si domanda: ci «[…] si potrebbe chiedere se può fondarsi una teoria completa dei metodi basandosi soltanto sopra uno solo di questi ordini di principi. La risposta […] non può essere che negativa, imperocché una teorica di conti che si basi soltanto sopra uno solo di quei tre ordini di principii non può che essere difettosa […]. Ond’è che, da qualunque lato si guardino le cose, a voler che la teoria delle scritture sia completa in tutte le sue parti e schiettamente scientifica, deve essere fondata sui tre accennati ordini di principii, che non possono andare disgiunti, perché si completano a vi-cenda» (70).

È evidente che poi, all’atto pratico, uno dei tre aspetti prevarrà sugli altri e assumerà maggiore pertanto enfasi a seconda della teorica prescelta (71).

––––––––– (69) Il sistema del reddito non avrebbe potuto innestarsi in una teorica personalistica in quanto fondamentale

per esso sono i valori dei conti – a partire da quelli «numerari» o «monetari» – i quali si basano sulla moneta quale «misura» del valore.

(70) ROSSI GIOVANNI, Trattato dell’unità teoretica dei metodi di scrittura in partita doppia, Stabilimento ti-po-litografico degli Artigianelli, Reggio Emilia, 1895, pagg. 577-578.

(71) «[…] un conto qualsiasi, considerato nella unità della materia che esso rappresenta, è un insieme eco-nomico, giuridico ed amministrativo; è la rappresentazione di un fatto complesso, di un concetto multiforme, ma unico nella sostanza e nell’essenza, sebbene nell’arte possa convenire di indicare in modo esplicito il carattere relativo o predominante che nel conto si intende considerato». ROSSI GIOVANNI, Trattato dell’unità teoretica dei metodi di scrittura in partita doppia, op. cit., pag. 579.