Dislessia

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Disturbi specifici dell'apprendimento

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  • G. STELLA La dislessia evolutiva in Italia

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    Negli ultimi ventanni la dislessia evolutiva arrivata anche in Italia. Oggi tutti neparlano, non sempre sapendo con certezza a cosa si riferiscono (un disturbo del linguag-gio, un disturbo dellintelligenza, un generico problema di apprendimento?) ma, comun-que, non succede pi di dover insistere per far inserire largomento nel programma di unconvegno scientifico, oppure di dover convincere un intero consiglio di classe, preside intesta, che un bambino intelligente pu essere dislessico.

    Nelle scuole e nei convegni scientifici, negli ambulatori e nei centri di riabilitazioneil problema viene ormai affrontato come uno dei pi frequenti disturbi che possono rende-re difficile la crescita di un bambino.

    Ma dovera la dislessia prima degli anni 80, visto che in Italia nessuno neparlava?

    Dato che non si tratta di un virus o di una malattia contagiosa, dobbiamo pensare cheanche prima di quegli anni ci fossero molti bambini italiani dislessici, che per non veni-vano riconosciuti come tali.

    Due sono i fattori che hanno ritardato il riconoscimento della dislessia anche inItalia: la relativa facilit della nostra ortografia e lo sbilanciamento della psicologia clinicaitaliana, soprattutto di quella dellet evolutiva, verso modelli interpretativi di tipo psico-dinamico.

    La facilit della nostra ortografia

    La regolarit del sistema ortografico dellitaliano costituisce un elemento protettivorispetto allemergere delle difficolt di lettura, pertanto i bambini con disturbi di proces-

    Giacomo Stella

    La dislessia evolutivain Italia

    Vol. 1, n. 1, marzo 2004 (pp. 7-15)Edizioni Erickson Trento

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    samento della lingua scritta avranno minori difficolt rispetto ai loro coetanei inglesi, chedebbono imparare un codice ortografico altamente irregolare.

    Imparare a leggere in italiano talmente facile che molti bambini imparano da soliprima di andare a scuola, magari dai fratelli pi grandi. Alla fine della prima elementare,dopo soli 9 mesi di esercizio, il 90% dei bambini di et fra i 6 e i 7 anni in grado dileggere agevolmente un libro di narrativa per bambini.

    Chi non impara a leggere dunque una sorta di mosca bianca, una rarit cherisalta fra la massa di bambini che imparano senza sforzo le corrispondenze fra segnoe suono. Questo sicuramente uno dei motivi per cui la scoperta che esiste la disles-sia, cio un disturbo che ostacola lacquisizione di unabilit che appare tanto sempli-ce, in Italia ha stentato a imporsi e ha fatto tanto scalpore. importante sottolineareche questa semplicit una caratteristica dellitaliano scritto e che, quindi, per le altrelingue non cos rapida lacquisizione e non cos raro incontrare dei bambini condifficolt.

    Latteggiamento della psicologia clinica

    La psicologia clinica italiana ancor oggi in gran parte restia ad accettare le infor-mazioni riportate dalle neuroscienze sullorigine del disturbo di lettura e continua a consi-derare la dislessia come un disturbo essenzialmente emotivo o relazionale.

    La dislessia dipenderebbe dallansia che la prestazione scolastica scatena nel bambi-no, oppure da una cattiva relazione tra linsegnante e lalunno. Sarebbe la manifestazionedi problemi che il bambino vive in famiglia e che egli esprime in modo lecito, attraversouna modalit che non lo costringe a prendere posizione nel conflitto tra i genitori, riuscen-do tuttavia ad avere lattenzione di entrambi.

    La difficolt di apprendimento potrebbe scaturire anche da conflitti di natura com-petitiva con i fratelli (linvidia per il grande o la gelosia per il piccolo) o, in generale, coni coetanei.

    Insomma, i motivi per spiegare le difficolt di lettura con argomenti comunementeclassificati come di natura psicologica, intendendo con questi richiamare il disagio psi-coemotivo, sono numerosi e si trovano comunque, dato che in effetti difficolt emotive erelazionali sono sempre presenti nel bambino dislessico e spesso sono anche pi evidentidel problema di lettura.

    I disturbi del comportamento che un bambino manifesta in classe per evitare ilcompito che gli viene richiesto sono per linsegnante certamente pi disturbanti deglierrori di lettura. Linstabilit motoria e il rifiuto di leggere o di fare i compiti che ilbambino oppone alle insistenze del genitore sono certamente pi fastidiosi e ansiogenidel disturbo in s.

    Tuttavia, bisogna evitare lerrore di scambiare le cause con gli effetti. I problemi dicomportamento o di relazione che abbiamo descritto sono spesso leffetto delle frustrazio-ni ripetute, piuttosto che la causa che le generano.

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    Cos la dislessia evolutiva?

    un disturbo di automatizzazione dei processi di decodifica dei segni scritti, cheostacola lacquisizione della lettura fluente. La dislessia presente quando lautomatiz-zazione dellidentificazione della parola (lettura) non si sviluppa, o si sviluppa in manieramolto incompleta, o con grandi difficolt (Gersons-Wolfensberger e Ruijssenaars, 1997).A causa di questo disturbo il bambino dislessico legge lentamente e con errori.

    Dopo oltre trentanni in cui si intensificata la ricerca sui disturbi specifici di ap-prendimento (DSA) e in particolare sulla dislessia evolutiva (DE), non esiste ancora uni-vocit di vedute su che cosa sintenda con questo termine in ambito clinico, e non esisteancora pieno accordo su quale sia leziopatogenesi del disturbo.

    Sin dallinizio del secolo, con il termine DE si indicavano i bambini che si di-stinguevano dagli altri cattivi lettori per caratteristiche eziologiche, neurologiche ecognitive. Si pensava, cio, che i bambini con difficolt in lettura, ma un alto gradointellettivo, fossero da considerare un gruppo distinto dagli altri. Hinshelwood, nel1917, coni per questi bambini il termine word-blindness (cecit per le parole), collo-cando la causa del disturbo essenzialmente in un deficit nellemisfero sinistro, relatoa fattori visuospaziali.

    Per molti anni, in effetti, si pens che la causa dei DSA e della DE fosse ricondu-cibile a un unico fattore che potesse spiegare tutte le caratteristiche del disturbo. soloin questi ultimi trentanni che questa idea stata messa in crisi. Negli anni 70 e 80,soprattutto, si abbandonata lidea della dislessia evolutiva come disturbo prevalente-mente visuospaziale, per accreditare sempre di pi alla base del disturbo i fattori fonolo-gici nelle componenti di consapevolezza fonologica (Stanovich, 1986), di memoria fo-nologica e di accesso alle informazioni fonologico-lessicali. Negli anni, si sono succe-dute anche altre interpretazioni della DE, tuttavia esse sono state scarsamente avallateda dati sperimentali; orientamenti che hanno postulato, come causa dei diversi sintomi,i fattori emotivo-relazionali, e orientamenti che hanno ipotizzato difetti posturali o delloschema corporeo.

    Si rileva invece un buon grado di accordo tra i ricercatori nel postulare una relazionetra la DE e il disturbo di linguaggio (Stanovich, 1986; Frith, 1985).

    Vi sono molti dati sperimentali e clinici a sostegno di tale ipotesi. I soggetti con DEincontrerebbero difficolt in compiti sia di codifica fonologica sia di recupero dellinfor-mazione codificata in memoria. Il disturbo si manifesterebbe anche nellutilizzo stesso deicodici fonologici per mantenere linformazione verbale nella memoria di lavoro, e i sog-getti con DE non raggiungerebbero un grado di consapevolezza sufficiente per ci checoncerne la struttura fonologica della parola.

    facile comprendere come queste insufficienze possano interferire nellapprendi-mento e nellautomatizzazione dei processi di lettura, ed facile ritenere che il riconosci-mento lento e impreciso di una parola scritta, unito a un deficit di tipo linguistico a livellolessicale, potrebbero spiegare gli ostacoli che affrontano i dislessici nel comprendere testiscritti. Inoltre, molto frequente che il linguaggio sia interessato da alcuni deficit anche inquei casi in cui non presente un pregresso disturbo di linguaggio.

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    Le due vie per leggere

    Per spiegare la lettura viene universalmente accettato il modello a due vie(Coltheart, 1978). La prima via, detta fonologica, prevede la conversione delle singo-le unit grafiche in fonemi, e il fatto di giungere, attraverso un processo di fusione,alla rappresentazione fonologica della parola. Questa procedura consente di leggerele parole incontrate per la prima volta e dunque anche le parole inventate (non-paro-le), ma pi lenta dellaltra in quanto richiede un processo di analisi sequenzialemolto accurato.

    La seconda via, definita via lessicale (o di accesso diretto), ipotizza laccesso allessico ortografico, cio alla rappresentazione in forma scritta della parola, e consente unaccesso pi rapido, ma limitata alle parole conosciute.

    Il lettore esperto utilizza entrambe le vie e la via lessicale sicuramente rinforzatadallesercizio in quanto le parole pi frequenti vengono pi facilmente inserite nel magaz-zino ortografico.

    Uno dei maggiori indicatori diagnostici del disturbo per il sistema ortografico del-litaliano rappresentato dalla lettura delle non-parole: esse, infatti, possono essere letteattraverso le regole di trasformazione grafema-fonema e non attraverso un accesso lessi-cale diretto.

    Anche nelle altre ortografie vi sono molti dati sperimentali a conferma del fatto chenei soggetti con DE la lettura delle non-parole risulti peggiore della prestazione ottenutada bambini normodotati con uguale et cronologica, ma anche pi scadente di quella dibambini comparati per il livello di lettura raggiunto.

    La diagnosi di dislessia

    Ancora oggi si tende a diagnosticare i bambini con DE seguendo il criterio delladiscrepanza tra QI e prestazione in lettura.

    La diagnosi di dislessia viene dunque fatta confrontando le abilit di lettura adalta voce con il livello cognitivo, che deve essere adeguato.

    I parametri da considerare sono, nella lettura ad alta voce, la velocit di decodi-fica (espressa dal numero di sillabe lette per ogni secondo) e laccuratezza, espressanel numero di errori compiuti.

    La velocit di lettura ad alta voce di un testo nei bambini italiani tende a crescerecostantemente dalla prima elementare alla terza media, quando si raggiunge una velocitdi lettura di circa 5,5 sill./sec., considerata vicina a quella delladulto.

    Esistono test ben standardizzati per la verifica delle capacit di lettura di parole enon-parole e per la lettura del testo, e questi consentono di evidenziare, per gli individuidislessici italiani, un divario persistente soprattutto nel parametro della velocit, mentresembra meno compromesso laspetto accuratezza, che tende rapidamente a migliorare nelcorso dello sviluppo (Stella et al., 2003).

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    Le origini biologiche della dislessia evolutiva

    Le basi neurobiologiche della dislessia oggi sono universalmente riconosciute. Laconoscenza delle basi patogenetiche della dislessia ha subito un grande impulso con lav-vento delle neuroimmagini, in particolare le neuroimmagini dinamiche come la PET o larisonanza magnetica funzionale. Questi strumenti sono in grado di mostrare le variazionidi attivazione delle aree cerebrali in conseguenza di determinati compiti e, quindi, consen-tono di evidenziare le differenze di funzionamento di zone della corteccia del cervellodegli individui dislessici. Gli studi di risonanza magnetica funzionale e di microbiologiahanno ulteriormente precisato la natura di queste piccole alterazioni che determinano sot-tili ma significative modificazioni dellattivit delle cellule neuronali di alcune aree cere-brali e finiscono per influenzare in modo determinante funzioni complesse e delicate comeil linguaggio, la lettura e la scrittura. Non si tratta di lesioni in senso stretto, ma di peculia-rit di alcune zone della corteccia, che esprimono variazioni individuali dello sviluppo diun sistema complesso come il cervello.

    Quanto alle cause che provocano queste differenze nellarchitettura neuronale, oggisi ritiene che siano prevalentemente di natura eredo-familiare.

    Vi sono dati che provengono da studi su gemelli mono e dizigoti che confermereb-bero il ruolo del fattore genetico nella DE. In una ricerca condotta condotta ventanni fa su338 coppie di gemelli il grado di somiglianza per il disturbo era dell81% per i monozigotie del 29% per i dizigoti.

    Gi molto tempo prima Hermann, in una ricerca svolta su 20 coppie di gemelli,aveva trovato unincidenza per i monozigoti del 100% e per i dizigoti del 33%.

    Un altro dato a sostegno di unipotesi genetica sarebbe la differente incidenza deldisturbo in soggetti maschi e femmine (4:1) che spiegherebbe il deficit come carattere legatoal sesso, anche se questa differenza nel genere non viene descritta da tutti gli studiosi.

    La dislessia evolutiva espressione di un ritardo oppure diun deficit persistente?

    Le difficolt nellidentificazione dei pattern caratteristici della dislessia evolutiva sirende ancora pi evidente se pensiamo alla dislessia evolutiva in rapporto alla dislessiaacquisita, cio alla perdita della capacit di lettura conseguente a una lesione cerebrale. Se vero, infatti, che il modello a due vie mutuato dalla neuropsicologia e relativo alla formaacquisita stato utile anche per lo studio del fenomeno in et evolutiva, permettendo didistinguere le forme a prevalente espressione fonologica e la forma a prevalente espres-sione visivo-lessicale, esso non in grado di descrivere adeguatamente la caratteristica dicronodipendenza della dislessia in et evolutiva.

    Infatti i modelli a due vie non sono riusciti a descrivere in modo soddisfacente le fasievolutive del bambino con problemi in lettura e nemmeno le integrazioni che avvengono du-rante lo sviluppo in un bambino dislessico tra apprendimento e vie di accesso danneggiate.

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    Inoltre questi tipi di modelli non riescono a rendere conto della co-occorrenza deisintomi che con grande frequenza si manifestano nelle differenti funzioni (lettura, scrittu-ra, calcolo). Anche in questo numero sono discussi aspetti delle variazioni nel rapporto tralettura e scrittura nel corso delle fasi di acquisizione.

    Anche se si sono postulate architetture di evoluzione dellapprendimento di letturain bambini normodotati sulla base delle quali, poi, si sono formulate ipotesi sul possibilesviluppo ed evoluzione del deficit di lettura, c la necessit di unanalisi approfondita sucome i bambini con dislessia evolvano nel corso del tempo, e come il sistema si organizziin rapporto alle difficolt di processamento e alla maturazione generale.

    In altri termini, importante capire come cambi il bambino con DE nel corso dellascolarizzazione, in modo da calibrare gli interventi riabilitativi, ma anche le aspettativedella famiglia e della scuola.

    Il bambino con DE che frequenta la terza elementare non uguale a quello chefrequenta la prima media o a quello che frequenta la scuola media superiore. Come cam-biano le sue capacit? Come cambiano i suoi bisogni rieducativi?

    evidente che un modello che spieghi e che renda conto dello sviluppo e del-lapprendimento della letto-scrittura in bambini con DE pu contribuire a un appro-fondimento teorico della DE e pu favorire decisioni relative alla prognosi e alle scel-te riabilitative.

    Da tali premesse emerge chiaramente la necessit e lutilit di affrontare lo studionaturale della dislessia evolutiva. Lo studio e lapprofondimento delle difficolt incontra-te dai bambini con disabilit in lettura lungo larco della scolarit obbligatoria pu dareindicazioni sulla modalit di intervento e sulle possibilit di decidere se sia pi opportunointervenire sui bambini in modo mirato, rendendo pi efficienti meccanismi specifici diprocessamento (Bakker, in Stella, 1996), o se sia pi utile modificare il contesto medianteluso del computer, dellassistente ortografico e di ausili per decodificare linformazionescritta (ibidem).

    Gli orientamenti teorici di ricerca che hanno interpretato in diversi modi la DE nelcorso degli anni hanno, naturalmente, influenzato i diversi percorsi riabilitativi: dalla psi-comotricit, alla logopedia, alla psicoterapia, alle lenti correttive.

    Anche i percorsi riabilitativi ispirati alle ipotesi pi accreditate non hanno dato sod-disfacenti effetti e non spiegano talune evidenze cliniche interessanti (ibidem).

    Solo negli ultimi anni sono aumentate le ricerche sulla storia naturale del disturbo. Ildibattito negli anni pi recenti si focalizzato sulla questione se le caratteristiche della di-slessia evolutiva siano tali da poter affermare che si sta parlando di una deviazione dal mo-dello di sviluppo normale, o se le caratteristiche del bambino dislessico sono da considerarsisimili a quelle di un buon lettore di uno o due anni pi giovane. La questione presuppone duedifferenti modelli teorici che hanno diverse ripercussioni sia in campo clinico sia in ambitodi ricerca. Rimane ancora vaga la questione relativa al fatto se i bambini con dislessia evolu-tiva siano meglio caratterizzati da un modello di deficit o da uno di rallentamento.

    Il modello di deficit presume che il cervello sia organizzato in modo diverso neibambini con dislessia e, di conseguenza, prevede che il gap che essi hanno rispetto aibambini pi giovani, comparati al livello di lettura raggiunto, non possa essere recuperato.

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    Il secondo modello, che pu essere definito di lentezza nello sviluppo, presuppone chei bambini che hanno problemi di lettura differiscano dagli altri nella quantit di sviluppodi una certa capacit.

    Allinterno di questo modello esistono diverse varianti. La versione pi forte preve-de che labilit, che inizialmente si presenta a un livello inferiore di adeguatezza nei bam-bini con DE rispetto ai bambini normodotati in lettura e pi giovani possa anche, senzabisogno di intervento, raggiungere un grado di idoneit.

    La versione meno forte non prevede necessariamente il recupero dellabilit; vieneipotizzata la non differenza di capacit cognitive tra buoni e cattivi lettori, sempre con-frontati per il livello di lettura raggiunto.

    C anche chi sostiene che, dopo unanalisi accurata della distribuzione di casi condifficolt in lettura, dopo lo studio di fattori eziologici e di correlati neuropsicologici, nonsi possa considerare la dislessia evolutiva una patologia a s stante (Share, 1995). Lautri-ce inquadra il disturbo come la coda bassa di una distribuzione normale. Vi sono ancheposizioni intermedie (Shaywitz et al., 1992) in cui si sostiene lipotesi della differenzaqualitativa tra soggetti dislessici e bambini senza alcuna disabilit in lettura e pi giovani,confrontati per il livello di lettura raggiunto. Essi sostengono che i bambini con DE faccia-no meno uso delle informazioni offerte dal contesto.

    Proprio perch il deficit sembra essere localizzato a livello dei processi automatici,il soggetto con DE sar portato a utilizzare delle strategie compensatorie che probabil-mente il soggetto buon lettore non ha mai dovuto sviluppare.

    La rieducazione

    La rieducazione del bambino dislessico un elemento decisivo per lo sviluppo dellesue abilit di letto-scrittura, a patto che si tenga conto di due fattori:

    1. lobiettivo dellintervento non devessere quello di guarire il bambino dalla sua di-sabilit, ma piuttosto di aiutarlo a ridurne gli effetti sullacquisizione delle abilit im-portanti come la lettura, la scrittura e il calcolo;

    2. lintervento va collocato nellarco dellintero processo di sviluppo con proposte di tipodiverso; ci significa evitare aggressioni terapeutiche indifferenziate e interminabili,saper scegliere i tempi in cui intensificare lintervento e saperli alternare con fasi in cuilunico aiuto consiste nel monitoraggio attento delle prestazioni.

    In realt a tuttoggi non sappiamo se vi sia un indirizzo rieducativo pi efficace dialtri, un po per loggettiva difficolt di misurare lefficacia di un metodo e ancor pi per laproblematicit di confrontarlo con altri approcci.

    Tuttavia bisogna dire che in questi ultimi anni si sono riportati progressi nella prati-ca rieducativa, in quanto lo studio dei modelli ha contribuito a orientarla teoricamente e arendere pi rigorose le metodologie.

    Ci fa ben sperare sui risultati che si potranno ottenere per ridurre le conseguenzefunzionali del deficit di lettura, anche se le terapie basate su bizzarre interpretazioni del

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    rapporto fra motricit e lettura o postura e lettura continuano a mantenere una loro attrat-tiva su genitori e insegnanti.

    Le conclusioni sulle quali c un buon grado di consenso sono che, anche a causadella variabilit del disturbo, non esiste un unico approccio rieducativo applicabile a ognibambino dislessico, tuttavia la rieducazione deve essere task oriented, cio orientataverso il cuore dellabilit che si deve facilitare. Inoltre Gersons-Wolfensberger e Ruijsse-naars (1997), sulla base di unampia rassegna delle principali ricerche, escludono connettezza un qualche effetto sulla lettura e sulla scrittura dei programmi di recupero dellefunizioni psicomotorie. Va detto che la rieducazione specialistica dei disturbi congenitinon pu essere protratta fino alla scomparsa delle difficolt, in quanto, come attestanomolte ricerche (Stella, 2001), questo obiettivo viene raggiunto solo nelle dislessie lievi.Nelle forme severe il disturbo rimane presente e attivo per tutto il corso della scolaritobbligatoria e oltre, ma non per questo si pu pensare che il bambino possa essere tenutoin trattamento per un periodo cos lungo.

    Bisogna saper riconoscere il momento in cui la rieducazione deve essere interrottaper lasciare spazio agli strumenti compensativi. Proseguire la terapia specialistica quandonon ce n pi bisogno pu essere controproducente, perch pu provocare rifiuto da partedel bambino.

    La sospensione della terapia rieducativa non significa che non si debba pi fare nullaper lindividuo dislessico, in quanto oggi gli strumenti informatici possono utilmente com-pensare alcune funzioni automatizzate dal bambino che non ha disturbi di apprendimento:lettura dei testi, scrittura e calcolo.

    Gli strumenti compensativi aiutano il bambino dislessico ad assolvere alle richiestedella scuola per studiare sui libri di testo, comporre testi e svolgere le operazioni aritmeti-che che, in assenza di automatismi, sono esposte a numerosi errori.

    Qualunque sia la gravit del deficit di lettura, non si deve dimenticare che il bambi-no dislessico per definizione un bambino intelligente e che quindi lacquisizione deicontenuti curricolari non gli preclusa. Anche quando la sua difficolt cos severa daessere considerato cieco per la lettura, il bambino dislessico pu apprendere, e quindiha il diritto di apprendere. Limportante trovare strade alternative per aiutarlo.

    La sfida per il futuro degli individui dislessici riguarda dunque sia lavvio precoce diprocedure di rieducazione, sia la sperimentazione di strumenti compensativi sempre piefficaci.

    Bibliografia

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    Gersons-Wolfensberger D.C.M. e Ruijssenaars J.J.M. (1997), Definition and treatment of dyslexia:A report by the Commitee on Dyslexia of the Health Council of the Netherlands, Journal ofLearning Disabilities, vol. 30, pp. 209-213.

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