Diritto Penale -Delitti contro la Vita

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I DELITTI CONTRO LA VITA (Patalano) I DELITTI CONTRO LA VITA NEL SISTEMA DEL CODICE PENALE I delitti contro la vita e l’incolumità individuale (capo I,titolo XII) offendono l’interesse all’integrità fisica e morale della persona. Il legislatore del 1930 ha seguito un criterio sistematico diverso da quello adottato nel codice penale del 1889,egli incrimina sia fatti che possono offendere le persone fisiche,sia fatti che possono offendere le persone giuridiche (es. diffamazione). I delitti contro la vita prendono in considerazione condotte lesive del bene individuale dell’esistenza,mentre i delitti contro l’incolumità personale riguardano quelle aggressioni che ledono o pongono in pericolo l’integrità del singolo. Nei codici preunitari la descrizione normativa dei delitti contro la vita si riferiva espressamente alla soppressione fisica dell’uomo. È importante stabilire quali requisiti deve possedere l’uomo affinché l’aggressione al bene della vita diventi rilevante. Nella dottrina tradizionale si discusse ampiamente se,ai fini della configurabilità dell’omicidio,il soggetto passivo dovesse essere oltre che vivo anche vitale. Parte della dottrina affermò che la condizione del fanciullo non vitale è solo apparenza di vita. Tale teoria fu respinta sul presupposto che la legge deve assicurare protezione alla vita umana qualunque sia la sua durata in quanto dal punto di vista giuridico non esiste una distinzione tra vita e vitalità. Questa concezione era basata sull’identico grado di pericolosità del reo. In alcuni casi diventa importante stabilire se il soggetto al momento dell’aggressione era in vita o meno ( ad es. quando un soggetto subisce quasi contemporaneamente una purità di aggressioni). La legge non fornisce una definizione normativa della morte valida in assoluto;in ogni caso si fa coincidere la morte con uno stato patologico di totale assenza delle funzioni vitali assolutamente irreversibile. 1

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I DELITTI CONTRO LA VITA (Patalano)

I DELITTI CONTRO LA VITA NEL SISTEMA DEL CODICE PENALE

I delitti contro la vita e l’incolumità individuale (capo I,titolo XII) offendono l’interesse all’integrità fisica e morale della persona. Il legislatore del 1930 ha seguito un criterio sistematico diverso da quello adottato nel codice penale del 1889,egli incrimina sia fatti che possono offendere le persone fisiche,sia fatti che possono offendere le persone giuridiche (es. diffamazione).I delitti contro la vita prendono in considerazione condotte lesive del bene individuale dell’esistenza,mentre i delitti contro l’incolumità personale riguardano quelle aggressioni che ledono o pongono in pericolo l’integrità del singolo.Nei codici preunitari la descrizione normativa dei delitti contro la vita si riferiva espressamente alla soppressione fisica dell’uomo. È importante stabilire quali requisiti deve possedere l’uomo affinché l’aggressione al bene della vita diventi rilevante. Nella dottrina tradizionale si discusse ampiamente se,ai fini della configurabilità dell’omicidio,il soggetto passivo dovesse essere oltre che vivo anche vitale. Parte della dottrina affermò che la condizione del fanciullo non vitale è solo apparenza di vita. Tale teoria fu respinta sul presupposto che la legge deve assicurare protezione alla vita umana qualunque sia la sua durata in quanto dal punto di vista giuridico non esiste una distinzione tra vita e vitalità. Questa concezione era basata sull’identico grado di pericolosità del reo.In alcuni casi diventa importante stabilire se il soggetto al momento dell’aggressione era in vita o meno ( ad es. quando un soggetto subisce quasi contemporaneamente una purità di aggressioni). La legge non fornisce una definizione normativa della morte valida in assoluto;in ogni caso si fa coincidere la morte con uno stato patologico di totale assenza delle funzioni vitali assolutamente irreversibile.Nondimeno,appare necessario individuare con estrema precisione il momento in cui ha inizio la vita dell’uomo: il legislatore ha individuato la nozione di uomo allargandone i confini fino a ricomprendere il feto durante il parto.Si deve precisare che l’aggressione alla vita può assumere una differente rilevanza a seconda delle prerogative o qualifiche del soggetto (si pensi al delitto di attentato contro il Presidente della Repubblica).Infine l’art. 575 c.p. consente di escludere che la legge punisca anche quegli atti diretti a sopprimere la vita dello stesso soggetto agente. Il suicido,in altre parole,non è punibile nel nostro ordinamento,nemmeno nell’ipotesi di tentativo,cioè quando la morte non si verifichi. Tuttavia ciò non significa che nel nostro ordinamento viga il principio dell’assoluta disponibilità della propria vita. La punibilità dell’omicidio del consenziente ne è la dimostrazione.

OMICIDIO DOLOSO

1) Il contenuto dell’intenzionalità dell’agente

Il codice penale distingue varie figure di omicidio in base al diverso stato dell’intenzione : omicidio doloso,colposo e preterintenzionale.

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Parte della dottrina invece distingueva l’omicidio in colposo e doloso,e quest’ultimo in volontario e preterintenzionale. Tale teoria,che riconduce arbitrariamente l’omicidio preterintenzionale allo schema del ferimento seguito da morte,non può essere accettata in quanto l’art 43 c.p nel definire l’elemento psicologico del reato,distingue nettamente il delitto doloso da quello preterintenzionale sulla base del diverso contenuto dell’intenzione rispetto all’evento verificatosi.Secondo l’art. 575 chiunque cagiona la morte di un uomo è punito con la reclusione non inferiore ad anni 21. Tale articolo,non riproduce la formula del vecchio art.364 codice Zanardelli,ove si faceva espresso riferimento “al fine di uccidere”. L’innovazione non fu accolta favorevolmente da alcuni giuristi,i quali sottolinearono la genericità dell’incriminazione contenuta nell’art. 575 che,privata dell’originario riferimento all’animus necandi,forniva la definizione di ogni omicidio e non soltanto quella dell’omicidio doloso. La Relazione ministeriale al codice penale fece tuttavia osservare che l’inciso “al fine di uccidere” era superfluo in quanto costituiva un’inutile ripetizione dell’elemento subiettivo già fissato nell’art. 43.Ne consegue che l’omicidio incriminato nell’art. 575 è quello doloso in quanto si richiede che l’evento morte debba essere preveduto e voluto dal soggetto come conseguenza della propria azione o omissione. Non basta quindi la previsione e volizione dell’evento,ma è necessario che il soggetto preveda l’aggressione al bene tutelato e intenzionalmente la realizzi come conseguenza del proprio comportamento.Del resto anche quando la morte si verifica in conseguenza dell’azione del colpevole,l’indagine sulla sussistenza o meno dell’intenzione di uccidere costituisce una tappa obbligata nell’accertamento della tipicità del fatto,per stabilire se si configura la fattispecie dolosa o quella preterintenzionale.

2) Le distinzioni del dolo

La dottrina considerando il rapporto esistente tra la previsione e la volontà dell’evento nonché la natura di quest’ultimo,ha elaborato diverse categorie di dolo.In primis,nell’ambito del dolo diretto o determinato bisogna distinguere tra dolo d’impeto e di riflessione. Mentre nel primo caso il colpevole si determina all’azione sotto una spinta improvvisa,nel secondo agisce con ponderazione.I problemi più delicati nell’individuazione del contenuto della volontà,ai fini della configurabilità dell’omicidio,sorgono in relazione al dolo eventuale che si ha quando l’agente prevede come possibile un certo evento,accettando il rischio del verificarsi del medesimo ed agendo anche a costo di determinarlo. In tal caso non si tratta di una volontà che ratifichi l’evento morte,ma di una volontà che pur mirando ad altro scopo,si pone consapevolmente a causa dell’evento stesso. La giurisprudenza dunque,tende a configurare il dolo eventuale come dolo di semplice rappresentazione. In altre parole l’agente si rappresenta come probabile o possibile l’evento più grave e ciononostante,agisce ugualmente anche a costo di cagionare tale evento. Il dolo eventuale va distinto nettamente dalla colpa cosciente che si configura quando il colpevole agisce con imprudenza nonostante la previsione dell’evento che si era ceri di evitare. Invece nel caso del dolo eventuale,l’agente accetta il rischio dell’avverarsi dell’evento lesivo determinandosi così a volerlo,sia pure indirettamente.Molto spesso la dottrina ha fatto coincidere il dolo eventuale con il dolo indeterminato, Questa specie di dolo è caratterizzato da una generica volontà di ledere e si tradurrebbe in un animus necandi soltanto in conseguenza del verificarsi dell’evento morte. La categoria del dolo indeterminato non è stata accolta nel nostro ordinamento per vari motivi: a) esso presenta insuperabili difficoltà in tema di tentativo quando la morte non si verifica; b) se la morte si

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verifica, è impossibile distinguere l’omicidio doloso da quello preterintenzionale,che anche si basa sull’animus laedendi. Non può concepirsi un dolo che anziché essere individuato ab inizio nel suo reale contenuto volitivo, debba determinarsi a posteriori nell’effetto che esso si è realizzato Inoltre è stato ritenuto che il dolo indeterminato non è accettabile in quanto limita l’oggetto del dolo solo ad uno dei suoi momenti;si accontenta cioè del momento rappresentativo senza prendere in considerazione il momento volitivo.Il Carrara ha osservato che l’omicidio doloso può essere dichiarato anche in presenza di un animus necandi implicito,cioè quando si usarono mezzi che per loro natura dovette prevedersi che avrebbero potuto cagionare la morte,ma questa non era voluta come risultato necessario dei propri atti. Si sottolinea però che la giurisprudenza è restia ad accettare la categoria del dolo indeterminato,in quanto con essa si svincola il contenuto della volontà del soggetto da ogni riferimento al risultato concreto della condotta. Il generico animus laedendi non è sufficiente quindi a configurare l’omicidio doloso. Il delitto previsto dall’art. 575 si integra anche nel caso di dolo alternativo,cioè quando il soggetto si rappresenta la possibilità del verificarsi di due eventi e si determina all’azione essendogli indifferente quale dei due risultati seguirà in concreto alla sua condotta.

3) L’accertamento della volontà omicida

Per l’accertamento della voluntas necandi ci si affida ad una serie di regole d’esperienza,la conformità alle quali è sufficiente per ritenere dimostrato tale fatto psicologico. Anche per l’omicidio doloso si può affermare quindi che l’esistenza di una volizione e di una rappresentazione si desume da circostanze esteriori.Gli elementi dai quali si ritiene di poter dedurre la prova della volontà omicida possono essere sistemati in due categorie. La prima comprende tutti gli elementi riconducibili all’autore del fatto e che quindi definiamo soggettivi come ad esempio i motivi a delinquere (detti comunemente causale del delitto),l’indole del reo,la sua particolare abilità nell’uso dell’arma,i rapporti con la vittima. Nella seconda categoria possono invece inquadrarsi tutte le circostanze esteriori o elementi soggettivi,che riguardano essenzialmente le modalità della condotta (anche susseguente al reato) e il mezzo omicida adoperato dal colpevole.a) La causale,cioè il movente che spinge il soggetto a compiere l’azione criminosa,è uno degli elementi da cui può desumersi l’animus necandi. Secondo la giurisprudenza,alla causale non può essere assegnato un autonomo valore probatorio;essa costituisce solo un elemento che concorre all’accertamento della voluntas necandi quando le modalità esteriori dell’azione e le altre circostanze del fatto già di per sé non la conclamino. Ad esempio la causale non è indispensabile quando è certa la colpevolezza del prevenuto,mentre lo diventa in caso di procedimento indiziario in cui può fornire al giudice il ragionevole convincimento della responsabilità dell’imputato.Questa sussidiarietà probatoria della causale rispetto ad altri elementi di valutazione,risale all’orientamento secondo cui,nel reato di omicidio,la mancanza di un movente non costituisce valida ragione per escludere l’animus necandi,poiché si può volere la morte di una persona anche per motivi futili o sproporzionati rispetto alla gravità del delitto.b) Ma la prova della volontà omicida spesso è affidata ad elementi oggettivi come il numero dei colpi e la violenza con cui questi sono stati inferti,nonché la loro direzione;si tratta cioè di elementi che rientrano nelle modalità del fatto.Altro elemento preso in considerazione è il mezzo con cui viene consumata l’aggressione. Si noti però che la potenzialità lesiva dell’arma non è da sola sufficiente a provare la volontà omicida,specie in tutti i casi in cui l’arma sia stata usata in modo anormale (si pensi ad un fucile usato come clava nel corso di una rissa). Più che la astratta potenzialità lesiva si devono

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prendere in considerazione le concrete modalità d’uso da parte del soggetto,cioè si dovrà provare che l’agente era pienamente consapevole della potenzialità lesiva del mezzo che adoperava (ad es. si è ritenuto configurabili l’omicidio doloso nel caso in cui uno dei contendenti aveva impugnato un cacciavite che si trovava nella sua automobile e aveva colpito l’avversario al cuore). L’errore sulla lesività del mezzo adoperato esclude il dolo in quanto determina nell’agente un’ erronea rappresentazione dei risultati della propria condotta,al punto che non si può dire che il soggetto abbia preveduto e voluto la morte dell’altro come conseguenza della sua azione (es. il caso di chi per scherzo usi una pistola ritenendola scarica e cagiona la morte di un altro).A conclusioni diverse si giunge nel caso in cui l’errore riguardi non l’attitudine offensiva dell’arma ma la sua concreta potenzialità. In questo caso l’agente non ignora che l’arma possa offendere,ma le attribuisce per una errata valutazione un minor carico offensivo (es. un soggetto volendo uccidere il suo avversario,ignorando le caratteristiche di una pistola che può sparare anche a raffica,colpisce una persona diversa da quella designata).

4) aberratio ictus e cause di giustificazione : in particolare legittima difesa

L’art. 82 comma 1,prevede l’ipotesi in cui il soggetto attivo offenda una persona diversa da quella cui l’aggressione era diretta. In tal caso il colpevole risponde come se avesse commesso il reato in danno della persona che voleva offendere. Trattasi di un errore accidentale che di per sé è irrilevante;ai fini della punibilità del fatto realizzato in danno di persona diversa è necessario che l’altro evento,quello ideato dall’agente,assuma il carattere di offesa cagionata intenzionalmente.Si noti che l’art. 82 non si applicherà nel caso in cui il colpevole si prefigura la possibilità che in conseguenza della sua condotta,oltre alla vittima designata,potranno verificarsi anche la morte o lesioni di altre persone. Il colpevole risponderà di omicidio tentato o consumato.Ci si chiede se il soggetto di fronte ad una pericolo attuale di un offesa ingiusta, colpisca non l’aggressore ma un terzo, è configurabile nei confronti del terzo la legittima difesa ?Una prima tesi fa riferimento proprio all’aberratio ictus: nei confronti del terzo si potrà invocare la legittima difesa, sempre che l’offesa al terzo non sia stata determinata da colpa; “la giustificante sussiste anche per l’evento non voluto perché, per la responsabilità penale, la legge considera il fatto come se commesso contro la persona alla quale era diretto (art.82 c.p.) Patalano non è concorde con tale soluzione, in quanto ritiene che l’art. 82 presupponga un fatto antigiuridico; la legittima difesa riguarda esclusivamente il caso di chi reagisce contro il pericolo attuale che proviene dalla persona che lo ha generato, quindi letteralmente l’art. 52 non consente di giustificare l’offesa recata ad un terzo estraneo; il risultato diverso proprio perché non voluto dall’agente, non può essere scriminato a norma dell’art. 52 c.p. . Nella legittima difesa l’evento lesivo realizzato dall’aggredito è un evento voluto, nel senso che il soggetto, spinto dalla necessita di difendersi, commette intenzionalmente un fatto costituente reato.Quindi nei confronti di un soggetto diverso dall’aggressore non potrà parlarsi di legittima difesa, ma di stato di necessità. Questa soluzione può ritenersi corretta a condizione che l’omicidio del terzo non sia configurabile a titolo di colpa, e cioè che esso non si verifichi per imperizia, negligenza, imprudenza.

5) il dolo generale

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L’accertamento del nesso causale tra azione ed evento riveste importanza particolare nelle ipotesi in cui la morte della vittima derivi da una pluralità di condizioni,di cui solo alcune sono realizzate dal colpevole con animus necandi.La nostra legge penale accoglie il principio di equivalenza delle cause,secondo cui le cause concorrenti che da sole non siano sufficienti a determinare l’evento,sono tutte e ciascuna,causa dell’evento.Ad esempio risponderebbe di omicidio doloso colui che con animus necandi leda gravemente il soggetto passivo pur senza ucciderla,da convincersi del suo decesso e ne provoca in effetti la morte in conseguenza di atti diretti a nascondere occultare o sopprimere il cadavere,gettandolo in un pozzo.Un tale assunto è stato criticato in quanto il tentativo di operare un collegamento tra le due condotte sul piano della causalità,risulta arbitrario,dal momento che esse realizzano due eventi distinti. Secondo il Vannini,se l’agente dopo aver realizzato un comportamento doloso,ritiene erroneamente di aver cagionato l’evento voluto,e questo poi si verifica successivamente in conseguenza di un’azione realizzata dal reo per ottenere un fine diverso,ugualmente l’agente risponderà a titolo di dolo,perché la seconda azione è soltanto per errore non dolosa.Siamo dunque di fronte ad una vera e propria presunzione di dolo,fondata sul presupposto che la coscienza e volontà dell’evento,sussistendo nel momento iniziale della condotta sussistono anche nella fase successiva. I presupposti di questo orientamento si riconducono alla concezione del dolo generale che come possiamo notare estende l’ambito dell’elemento psicologico del reato e quindi della tipicità dell’omicidio doloso. Questa figura non fu mai fondata su presunzioni,ed anche in passato,quando si propose di introdurre una nozione legislativa di dolo generale contrapposta a quella di dolo particolare,si disse che il dolo generale ha le stesse conseguenze del dolo particolare.Ma come si diceva in precedenza,tali argomentazioni sono state largamente criticate. A ben vedere,nel caso prima prospettato,non si può ritenere applicabile l’art. 575. Mentre l’animus necandi ed il mancato verificarsi della morte,che caratterizzano la prima fase,possono dar luogo ad un tentato omicidio;nella seconda fase si configura un omicidio colposo perché l’agente non vuole la morte della vittima come conseguenza della sua azione.Si deduce che la nozione di dolo generale si pone in contrasto con la normativa sul rapporto di causalità.Le cause sopravvenute dunque interrompono il rapporto di causalità quando da sole sono sufficienti a produrre l’evento. Si noti che nell’omicidio volontario no è sempre agevole stabilire se l’evento morte sia effettivamente riconducibile,sotto il profilo causale ad un dato comportamento. Ad esempio,nonostante l’intenzione di uccidere,l’agente può rispondere solo di omicidio tentato,qualora nonostante l’idoneità della condotta a produrla,la morte sia stata conseguenza di concausa inseritasi nel rapporto causale e da sola sufficiente a produrla.

6) Il problema della rilevanza della condotta omissiva

Va detto preliminarmente che l’omissione affinché sia rilevante ai fini della configurabilità dell’omicidio,deve presupporre a carico del soggetto agente un obbligo giuridico di impedire la morte della vittima. Quest’obbligo può derivare direttamente dalla legge oppure dal fatto che il soggetto attivo sia investito di una particolare funzione (es. il medico),o ancora da un rapporto contrattuale. In questi casi quindi l’evento morte dipende sotto il profilo causale dalla violazione di tale obbligo giuridico.Ma cosa accade se l’omissione si ricollega ad un precedente comportamento doloso o colposo dell’agente (es. Tizio volendo cagionare solo una lesione personale a Caio,lo ferisce tanto gravemente che senza un immediato soccorso morirà,e poi omette di intervenire).Secondo parte della dottrina in questo caso si configurerebbe un’ipotesi di omicidio preterintenzionale sussistendo sempre il nesso di causalità tra l’azione diretta a cagionare le lesioni e la morte.

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Ma a ben vedere,potrebbe configurarsi l’omicidio doloso per omissione se risulta rispettata una specifica condizione e cioè che il soggetto attivo si prospetti la morte del ferito e,sia pure a titolo di dolo eventuale,ne voglia il verificarsi come conseguenza della condotta omissiva.Nel caso in esame la condotta del soggetto attivo si divide in due momenti: nel primo l’agente vuole cagionare le lesioni e l’evento si verifica;nel secondo il soggetto consapevole di aver cagionato ferite più gravi di quelle dovute,muta il proprio disegno originario e cagiona intenzionalmente la morte omettendo di prestare soccorso.

7) L’omicidio indiretto

Vi sono varie,fattispecie di omicidio nelle quali la morte è procurata attraverso mezzi inusuali la cui attitudine lesiva non è accertata. Si discute ad esempio se il reato in questione si configuri nel caso in cui la morte sia stata cagionata mediante contagio di sifilide.Si parlerà di omicidio volontario solo nel caso in cui sarà possibile accertare un grado di consapevolezza tale nell’agente per cui egli si è prefissato di provocare la morte della vittima;si consideri infatti che l’incertezza da parte del colpevole in ordine al verificarsi dell’evento non esclude il dolo,dal momento che il soggetto compie la condotta con l’intenzione di cagionare l’evento.Particolare interesse desta la questione relativa alla possibilità di configurare o meno l’omicidio volontario mediante mezzi giudiziari,cioè attestando dolosamente il falso a danno di un innocente in un giudizio capitale,spingendo poi il magistrato alla ingiusta condanna. La configurabilità dell’omicidio indiretto venne tuttavia criticata per le difficoltà provare la direzione degli atti morali verso l’evento di morte,ma anche per la diversa oggettività giuridica dell’omicidio rispetto alla calunnia e alla falsa testimonianza. Più che una causa di omicidio,queste ultime potrebbero definirsi un’occasione di omicidio. Inoltre il rapporto causalità tra la falsa testimonianza e l’evento morte è spezzato dall’intervento dell’Autorità giudiziaria dal momento che non potrebbe mai negarsi che la morte del condannato è pur sempre conseguenza del giudizio di un magistrato. L’intervento della decisone giudiziaria in altre parole,funzionerebbe da causa sopravvenuta.Si delinea perciò un particolare caso ove si applica l’art. 48 c.p : l’autore materiale o immediato del delitto sarà la Corte che pronuncia l’ingiusta sentenza, mentre l’autore mediato è colui che con la falsa testimonianza ha indotto in errore l’autorità giudiziaria. È questa dunque una classica ipotesi di reità mediata ove si esclude la punibilità dell’autore e la responsabilità ricade sull’autore della condotta ingannevole. Una volta accertato il nesso causale tra la condotta ingannevole e la condanna del soggetto innocente non potrà quindi porsi in discussione la configurabilità dell’omicidio doloso.L’omicidio indiretto si configura anche nel caso di consegna di militari stranieri in tempo di guerra e attraverso i c.d mezzi morali,anche in quest’ultimo caso bisognerà valutare se la morte sia dipesa dalla condotta dell’agente; qualora si possa dimostrare il rapporto di causalità bisognerà accertare la volontà omicida. Un esempio è dato dal caso in cui un soggetto offenda una persona particolarmente fragile di salute e con un turbamento le procura la morte.

LE AGGRAVANTI PREVISTE DAGLI ARTT. 576 E 577 C.P

Il codice Rocco ha previsto una disciplina delle aggravanti radicalmente nuova rispetto al codice Zanardelli,che attualmente sono raggruppate in base al criterio della diversa natura e misura della pena. Tuttavia la sistemazione negli artt. 576 e 577 delle circostanze che comportano rispettivamente la pena di morte e l’ergastolo,appare ormai superflua,per l’abolizione nel nostro ordinamento della pena di morte. Dunque in presenza di ogni circostanza si applicherà sempre la pena dell’ergastolo.

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Altra novità di rilievo attuata dal codice Rocco è la mancata previsione dell’omicidio col mezzo dell’incendio o inondazione,che rientra nel delitto di strage.Il legislatore,nella determinazione delle aggravanti ha considerato sia elementi subiettivi (intensità del dolo) sia elementi obiettivi come l’entità del danno o la natura dei mezzi impiegati.

a )Circostanze riguardanti le qualità della persona offesa : una delle tradizionali aggravanti si integra nel caso in cui l’offeso del reato sia un ascendente o discendente. Il legislatore ritenne però che la sola violazione del rapporto di parentela,sebbene gravissima,non legittimasse la pena capitale. Era necessario il concorso di ulteriori elementi come la perversità del movente,la crudeltà nella consumazione,ovvero l’aver adoperato mezzi oggettivamente fraudolenti come il veleno.. Le aggravanti di cui agli art. 576 n.2 e 577n.1 hanno un’indubbia natura soggettiva,dal momento che in ogni caso si tratta di circostanze che riguardano i rapporti tra il colpevole e l’offeso.Le circostanze in parola sono escluse dall’error in persona e dall’aberratio ictus.b ) Circostanze concernenti le qualità del soggetto attivo : L’omicidio è aggravato se a commetterlo è il latitante o dall’associato a delinquere per sottrarsi all’arresto,cattura,carcerazione o per procurarsi mezzi di sostentamento. Trattasi di una tipica aggravante soggettiva. Si noti che se l’omicidio non è commesso per una delle finalità previste all’art. 576 n. 3,si applicherà l’aggravante comune di cui all’art. 61.Tale circostanza non si ritiene applicabile alla figura dell’evaso nonostante ricorre la medesima ratio,in quanto anch’egli si è sottratto volontariamente ad un legittimo ordine di cattura o carcerazione.Per quanto concerne la qualità di associato a delinquere,questa assume rilevanza solo se attuale. In altre parole non assume alcuna importanza il fatto che il soggetto sia stato condannato in precedenza per il medesimo reato.È importante sottolineare che l’aggravante in esame si applica anche se l’omicidio venga consumato in danno di un privato cittadino che nei casi consentiti provveda personalmente all’arresto o alla cattura del latitante o associato.c ) Circostanze concernenti il mezzo omicida adoperato : Un’ulteriore aggravante è prevista se la morte è cagionata col mezzo di sostanze venefiche ovvero con altro mezzo insidioso. La ratio dell’aggravante sta nel fatto che la natura fraudolenta del mezzo,ostacolando la privata difesa,agevola il conseguimento del fine omicida. Va precisato che non ha rilevanza la modalità di somministrazione della sostanza in quanto persino la somministrazione di piccole dosi giornaliere purchè idonee a provocare col tempo la morte,può far configurare l’aggravante. Mai come per il veneficio,la configurabilità dell’omicidio dipende dalle caratteristiche del mezzo adoperato e dalla sua potenzialità lesiva. In tal caso il mezzo delittuoso è un elemento essenziale della struttura del fatto;infatti nel veneficio se viene a mancare l’aggravante non si configura il delitto nemmeno sotto forma di tentativo. Si ricorda che il concetto di mezzo insidioso comprende non solo i mezzi fraudolenti ma anche quelli violenti come una buca nascosta.Va detto infine che la circostanza in esame ha natura oggettiva in quanto attiene ai mezzi e alle modalità dell’azione.d ) Circostanze relative ai motivi della condotta omicida : per quanto concerne i motivi a delinquere la legge non fa altro che richiamare le aggravanti comuni previste nell’art. 61. Si ricorda che il motivo abietto è quello moralmente riprovevole e che evidenzia un’accentuata tendenza a delinquere del reo per la sua spiccata malvagità. Il motivo invece è futile quando è sproporzionato rispetto al reato commesso. L’aggravante in esame ha natura soggettiva.e ) Ulteriori circostanze infine riguardano le modalità della condotta. Tra esse ricordiamo l’aver adoperato sevizie,gli atti di libidine violenti,l’aver agito con particolare crudeltà.

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LA PREMEDITAZIONE

1 ) Analisi dei vari orientamenti sul concetto di premeditazione

L’art 577 n.3 del c.p. prevede la pena dell’ergastolo nel caso in cui l’omicidio doloso sia commesso con premeditazione. La premeditazione è una aggravante speciale, ad effetto speciale per l’omicidio, in quanto comporta il mutamento della sanzione dalla reclusione all’ergastolo, mentre è una aggravante ad effetto ordinario per i delitti di lesione personale e omicidio preterintenzionale in quanto comporta un aumento della pena fino ad un terzo.Nonostante la gravità delle conseguenze sanzionatorie che sono ricollegate alla premeditazione, il codice penale in vigore si è limitato a farvi un semplice riferimento, senza definire cioè i requisiti, quasi come si trattasse di concetto unanimamente accolto in dottrina e in giurisprudenza. In realtà, si tratta di una nozione estremamente controversa e di difficile determinazione.È stato osservato da una parte della dottrina che una definizione legislativa della premeditazione non sarebbe necessaria in quanto si tratterebbe di un concetto generale, di un processo psichico interno all’animo umano, si tratterebbe dunque di una realtà giuridica intuitiva.Secondo altri, la definizione della aggravante in esame soddisferebbe principalmente la fondamentale esigenza di certezza del diritto, proprio in riferimento alle delicate conseguenze sanzionatorie che derivano dall’applicazione della circostanza in esame.L’opportunità o meno di definire legislativamente la premeditazione ha caratterizzato i lavori preparatori sia del codice del 1889 sia quello del 1930. Il legislatore del 1889 preferì omettere una definizione della premeditazione, intendendole attribuire quel significato comune e vero che è nella coscienza di tutti; la definizione si rilevava non solo superflua ma anche pericolosa.Oltretutto in un primo momento si ritenne di smembrare il concetto di premeditazione prevedendo al suo posto una serie di circostanze comuni che danno rilevanza ad elementi o situazioni ricompresse nella premeditazione. Tale idea fu però abbandonata in sede di redazione del progetto definitivo del codice. Sia il legislatore del 1889 si quello del 1930 hanno optato per la scelta di lasciare al giudice la determinazione dei caratteri di tale aggravante,ed infatti anche nell’attuale codice,la premeditazione è stata reintrodotta con una formulazione che ne dà per acquisito il concetto.

2 ) Le due teorie sul concetto di premeditazione

La dottrina ha sempre cercato di individuare la ratio della premeditazione, pervenendo però a risultati contrapposti. Possiamo distinguere due gruppi di teorie: oggettiva e soggettiva.a ) Il primo gruppo di teorie fa riferimento ad elementi di carattere oggettivo: preordinazione dei mezzi per la commissione del delitto; macchinazione; minorata difesa della vittima;L’assunto dal quale partono i sostenitori di tale orientamento si fonda sulla considerazione che la premeditazione è caratterizzata da una più accurata preparazione del delitto, la qual cosa determina una più facile realizzazione del delitto stesso da parte del soggetto agente, cui corrisponde, per il soggetto passivo, un’accentuata difficoltà di difendersi.La circostanza sarebbe quindi fondata sulla maggiore gravità del reato in considerazione delle caratteristiche della condotta e dei risultati negativi che questa ha nei confronti della vittima. A questa teoria è stato obiettato che la premeditazione non determina necessariamente una situazione di vantaggio per l’omicida né sotto il profilo della maggiore facilità di portare a termine il piano criminoso,né per la difficoltà di difendersi da una aggressione improvvisa.b ) Un secondo gruppo di teorie assegna all’aggravante una ratio soggettiva: la premeditazione viene ricondotta all’atteggiamento psicologico del reato. In questo gruppo si riconoscono molteplici posizioni.

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Una prima teoria individua il fondamento dell’aggravante nella freddezza e pacatezza d’animo. La premeditazione nasce nella calma dell’animo. Questa concezione si fonda sulla distinzione tra dolo d’impeto e dolo di proposito, e parte dal presupposto che solo in quest’ultimo caso il soggetto meriti una pena più severa, avendo realizzato la condotta criminale non in preda a cieca passione. In altre parole si identifica la premeditazione col motivo pravo.Invece ad avviso degli autori che sostengono il criterio ideologico,l’aggravante in esame sarebbe caratterizzata da una particolare deliberazione,frutto di una elaborazione intellettiva che va oltre il normale.Secondo Patalano tali teorie, anche se colgono taluni aspetti rilevanti della premeditazione,non spiegano il suo fondamento, anzi finiscono con il richiamare già autonome circostanze aggravanti: i motivi abbietti e futili per chi la fa coincidere con i motivi pravi, o i particolare mezzi adoperati, come ad esempio l’uso di sostanze venefiche. L’orientamento maggioritario parte dal presupposto che la ratio della premeditazione vada ricercata con riferimento alla totalità dell’ordinamento. La premeditazione altro non è che la forma più intensa del dolo, caratterizzata da una effettiva, matura riflessione del soggetto in ordine alla realizzazione dell’evento costitutivo del reato. È proprio la riflessione l’elemento che contrassegna la premeditazione e permette di individuarne il fondamento nella più intensa volizione dell’evento,nel perdurare di una decisione criminosa irrevocabile e costante che viene ponderata dall’agente.Nel caso di premeditazione quindi ricorre uno degli elementi previsti dall’art. 133 c.p. : il dolo nella forma più intensa. Si tratta di una conclusione che trova conferma anche nella relazione ministeriale secondo cui nel dolo vi è una scala che sale per gradi : dal dolo d’impeto,alla normale riflessione,alla premeditazione.

3 ) I rapporti tra premeditazione e dolo

Si pongono problemi di compatibilità tra la premeditazione ed alcune forme del dolo,in particolare con quelle che presuppongono una minore intensità della volizione. L’aggravante in esame è sempre incompatibile quando il colpevole abbia agito con dolo indiretto: eventuale o alternativo. Ed infatti se la premeditazione coincide con la forma più intensa della volizione del risultato della condotta, appaiono incompatibili con tale situazione psicologica tutte quelle ipotesi nelle quali l’agente ha accettato il rischio del verificarsi dell’ evento (dolo eventuale) oppure ha dimostrato indifferenza rispetto al verificarsi di uno piuttosto che di un altro (dolo alternativo).Proprio perché la premeditazione consiste nel proposito maturato di realizzare un determinato risultato, tanto che si può parlare di volizione eccezionalmente intensa dell’evento allora dovranno ritenersi logicamente incompatibili con questo stato psicologico tutti quelli nei quali il soggetto vuole solo indirettamente il risultato.La premeditazione,d’altra parte,può dirsi provata solo quando si accerti che il soggetto ha agito con dolo diretto, particolarmente intenso. Il che significa che deve sussistere non solo nella fase che precede la consumazione, ma sino a che questa non si sia verificata. Non si configura quindi l’aggravante in esame se l’agente pur avendo preordinato con largo anticipo i mezzi,al momento di sparare,agisce anche a rischio di uccidereSi deve tenere ben distinta la differenza tra premeditazione e preordinazione dei mezzi. Questa si risolve in una mera preparazione materiale del delitto che pertanto è sempre doloso; la premeditazione, pur se sovente si accompagna a tale preordinazione, sussiste solo se il colpevole, nella realizzazione dell’evento, attua il proposito delittuoso con matura riflessione dimostrando così di averlo perseguito con ferma e persistente risoluzione.Preordinazione e premeditazione sono fenomeni distinti, ma che possono configurarsi congiuntamente quando si premediti il delitto e se ne preordini anche il piano di esecuzione.

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4) La premeditazione c.d condizionata

Uno dei problemi in ordine all’oggetto della premeditazione è quello in riferimento all’ammissibilità o meno della premeditazione condizionata, ossia nel caso in cui il proposito omicida sia condizionato al verificarsi di un evento futuro ed incerto.La giurisprudenza ritiene l’ammissibilità , mentre la dottrina sul punto è estremamente divisa.Secondo Patalano non potrà esservi premeditazione nel fatto di chi subordini la decisione di togliere la vita ad altri, al verificarsi di una condizione futura. Di premeditazione si potrà parlare solo soltanto dal momento nel quale, verificatasi la condizione stessa, il soggetto si risolvi effettivamente all’aggressione. Prima di tale momento potrà parlarsi eventualmente di proponimento, di disegno delittuoso, non di premeditazione.Diverso è il caso di chi, dopo aver assunto la risoluzione criminosa, subordinasse poi l’esecuzione del delitto all’avverarsi di un dato evento.Non vi sono dubbi che il fatto di rimandare l’esecuzione ad un momento più propizio non fa venir meno la premeditazione: a condizione che il soggetto si sia, fermamente ed irrevocabilmente, risolto al delitto. Dunque l’ammissibilità o meno della premeditazione condizionata dipende dall’oggetto cui si riferisce la condizione. Se questa riguarda la decisione di uccidere o di ledere, nel senso che il soggetto si propone di farla dipendere dal verificarsi di un evento futuro ed incerto, l’aggravante non sussisterà; se invece è soltanto il momento o le modalità dell’esecuzione che l’agente si riserva di decidere quando si sarà avverato un dato accadimento, allora, con la realizzazione del delitto programmato potrà configurarsi la circostanza in esame. Ciò che conta quindi è la ferma e maturata decisione di uccidere o ferire altri,mentre a nulla rileva che una volta assunta tale determinazione,si riservi di decidere “il quando e il come”dell’aggressione in un secondo momento.Non potrà perciò parlarsi di premeditazione condizionata nel caso di chi delibera di uccidere un nemico la prima volta che lo incontra solo. In tale ultimo caso non si tratta di condizioni,ma di modi d’esecuzione;la determinazione è certa,mentre è incerta l’esecuzione.In conclusione,perché sussista premeditazione è necessario che l’accadimento cui l’agente subordini l’esecuzione,sia dallo stesso considerato come certo. Finchè l’agente si prospetta un’alternativa e non è in grado di stabilire con certezza quale delle possibilità si verificherà,non vi sarà premeditazione. Ad esempio non vi è premeditazione nel caso di un contadino che armatosi di fucile è pronto ad uccidere il ladro quando dovesse ritornare a rubare.

5 ) Premeditazione e aberratio ictus

Ai fini della premeditazione non è rilevante che il delitto venga realizzato con modalità e tempi diversi da quelli inizialmente programmati,oppure con un mezzo omicida piuttosto che un altro.Ci si chiede se sussiste la premeditazione nel caso si colpisca una persona diversa da quella presa di mira. Si pensi al caso di chi premediti di uccidere un acerrimo avversario somministrandogli una bevanda avvelenata e che questa venga bevuta da un’altra persona. In questa ipotesi in applicazione dell’art. 82 c.p., si configura un omicidio volontario aggravato dalla premeditazione posto che l’art. 60 c.p. esclude soltanto l’applicabilità delle aggravanti che riguardano le condizioni o qualità dell’offeso o i rapporti tra colpevole e offeso.Analoghe considerazioni,fanno ritenere che la premeditazione sussista anche nel caso in cui sia indeterminata la persona nei cui confronti si realizzerà l’omicidio o la lesione. Ed infatti l’individuazione dell’identità fisica della vittima attiene al momento dell’esecuzione del delitto,mentre sappiamo che la premeditazione attiene al precedente momento di formazione della volontà omicida.La premeditazione è invece esclusa quando si realizza un delitto per il quale la legge prevede l’aggravante,delitto che tuttavia è diverso da quello inizialmente progettato. In altre parole non

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sussiste premeditazione in tutti quei casi in cui l’agente intenzionalmente commetta un delitto diverso in attuazione di una decisione presa nel momento di esecuzione.

6) La prova della premeditazione

Per quanto attiene all’accertamento della sussistenza della premeditazione si tratta di stabilire se il soggetto abbia agito con quella forma più intensa di elemento soggettivo che si concreta in una più ponderata e matura riflessione dell’evento e della condotta da porre in atto per realizzarlo. Come avviene per la prova del dolo,anche per la premeditazione,l’esistenza di una volizione,rappresentazione o movente dipenderà esclusivamente da circostanze esteriori. Per la premeditazione l’indagine dovrà riguardare particolarmente la perseveranza della risoluzione criminosa nell’animo dell’agente dal momento in cui sorge il proposito a quello in cui trova la sua pratica attuazione senza soluzione di continuità oggetto specifico della prova dell’aggravante è la sussistenza di quel processo psicologico che, superando i limiti della normale riflessione, rileva maggiore intensità del dolo.Nell’accertamento dell’aggravante si dovranno prendere in considerazione le modalità della condotta realizzata dal soggetto e valutarle, con riferimento all’elemento che caratterizza e distingue la premeditazione rispetto al dolo comune. L’indagine dovrà cioè riguardare la perseveranza della risoluzione criminosa nell’animo dell’agente,dal momento in cui sorge il proposito sino a quello in cui il medesimo trova pratica applicazione. In questa indagine acquistano rilevanza preminente le circostanze dell’azione, nonché la sussistenza di un lasso di tempo tra la risoluzione criminosa e l’esecuzione del delitto., ma anche le modalità del fatto, i suoi precedenti, il comportamento successivo, la causale; deve trattarsi elementi concordanti e di significato inequivoco.Si ricorda infine che l’agguato,essendo una modalità dell’azione,può costituire indizio ma non prova della premeditazione.

7 ) Concorso di persone nel reato e premeditazione

Le incertezze di opinioni che contrassegnano il fondamento della premeditazione, si ripresentano nello stabilire se la premeditazione si estenda o meno ai partecipi.La giurisprudenza ritiene che nell’ipotesi di concorso di più persone nell’omicidio,l’aggravante della premeditazione riferibile solo a taluni dei concorrenti è applicabile a tutti, malgrado il suo carattere soggettivo, ove sia servita ad agevolare l’esecuzione del reato.Secondo Patalano, nonostante la qualifica formale attribuitale dal legislatore, dal punto di vista sostanziale, sarebbe estremamente arduo definire la premeditazione (come del resto la colpa con previsione, la recidiva, l’imputabilità) circostanza aggravante in senso proprio. Anche se si volesse propendere che si tratti di una circostanza aggravante soggettiva in quanto riguardante l’intensità del dolo, ugualmente si dovrebbe ritenere che non sia estensibile al concorrente. L’art. 118 c.p. infatti pone a carico dei concorrenti anche le circostanze soggettive, a condizione che “ hanno servito ad agevolare l’esecuzione del reato”Ciò significa che sono estensibili solo quelle circostanze soggettive che, dal punto strutturale, consentono una più agevole esecuzione del reato.Quid iuris, in che modo la premeditazione considerata come proposito criminale tenuto fermo e costante nell’animo di uno dei concorrenti, può agevolare l’esecuzione di un omicidio commesso da più persone? La giurisprudenza ritiene che detta agevolazione ad opera di uno si realizza con l’apprestamento di un piano di azione o con la predisposizione di mezzi idonei all’esecuzione. Ma in tal modo si ritorna all’antica concezione che riconduceva la premeditazione alla semplice macchinazione.

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Se invece consideriamo la premeditazione come proposito criminoso caratterizzato dalla matura riflessione, essa non può di per se agevolare l’esecuzione del reato, a meno di non confondere la ratio, il fondamento strutturale dell’aggravante con elementi ad essa estranei e dai quali è solo possibile dedurne la sussistenza.Pertanto l’aggravante in esame anche se tecnicamente potesse considerarsi una aggravante soggettiva, in base all’ultimo comma dell’art. 118 c.p., andrebbe valutata soltanto riguardo alla persona cui si riferisce poiché la premeditazione,per struttura non può mai agevolare l’esecuzione del reato. Se si estendesse semplicemente la circostanza significherebbe violare il principio della responsabilità penale delineando una ipotesi di responsabilità oggettiva.La stessa Corte Suprema ritiene che sia possibile l’estensione della premeditazione al correo, in quanto si fonderebbe su “un embrionale principio di colpevolezza”. Il concorrente ben si può rendere conto dell’altrui premeditazione attraverso le istruzioni impartite dal premeditante, riflettenti una lunga e profonda riflessione, dunque se ne giova volontariamente. In tal modo,si finisce per presumere nel concorrente la conoscenza dell’altrui premeditazione; ma tale ricostruzione non tiene conto della nozione della premeditazione: fatto interiore dello spirito consistente in una particolare concentrazione del dolo nel perdurare del malvagio divisamento nel tempo. In verità, se anche il correo si configura o sospetta dello stato psichico dell’altro,e coopera con lui,si giova non della premeditazione del correo,ma dell’attività preparatoria eventualmente già realizzata da questo. Quindi,la pura e semplice conoscenza del fatto che l’altro ha premeditato il delitto, se oggettivamente non è elemento sufficiente ad agevolare la riuscita del piano,no può equipararsi a premeditazione. Se i caratteri della premeditazione dovessero ravvisarsi anche nel correo, non vi sono dubbi che anche in capo a costui si configurerebbe l’aggravante, ma autonomamente, e quindi non vi sarebbe bisogno di estenderla ex art. 118 c.p..

8) Rapporti tra premeditazione,motivi a delinquere e infermità mentale

La premeditazione non è incompatibile con tutte quelle circostanze che aggravano o attenuano il reato in considerazione della qualità del motivo a delinquere. È stato giustamente sottolineato che la “gravità del motivo”non è requisito necessario della premeditazione. Si può infatti premeditare un delitto anche se ispirato da nobili motivi.La premeditazione in conclusione è compatibile sia con la circostanza attenuante dei motivi di particolare valore sociale che con quella dei motivi abietti o futili.La premeditazione inoltre non è neanche incompatibile con la provocazione.Infine la premeditazione non è incompatibile con quelle condizioni o cause che attenuano o elidono l’imputabilità,in quanto la capacità di intendere e di volere non è presupposto dell’elemento psicologico del reato.

L’OMICIDIO DEL CONSENZIENTE

1 ) Considerazioni generali : caratteri e requisiti del consenso

Il codice penale del 1930 ha introdotto con l’art 579 accanto all’omicidio volontario,una autonoma figura di reato che si configura quando si cagioni la morte di un uomo col suo consenso. Sotto la vigenza del codice Zanaderlli all’omicidio consensuale si applicava infatti la norma dell’omicidio volontario.L’art. 579 c.p. recita che:Chiunque cagiona la morte di un uomo, col consenso di lui e' punito con la reclusione da sei a quindici anni.Non si applicano le aggravanti indicate nell'articolo 61. Si applicano le disposizioni relative all'omicidio se il fatto e' commesso: 1) contro una persona

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minore degli anni diciotto; 2) contro una persona inferma di mente, o che si trova in condizione di deficienza psichica, per un'altra infermita' o per l'abuso di sostanze alcooliche o stupefacenti; 3) contro una persona il cui consenso sia stato dal colpevole estorto con violenza, minaccia o suggestione, ovvero carpito con inganno.

La norma dell’art. 579 c.p. parte dal presupposto dell’indisponibilità della vita umana, riaffermando che ogni soppressione di questo bene va sanzionata penalmente. Si tratta di un principio che trova anche conferma costituzionale all’art. 32 Cost. secondo cui il diritto alla salute è un diritto fondamentale del singolo ed un interesse della collettività. Nel nostro ordinamento quindi non solo è previsto il principio di disponibilità del proprio corpo,ma anche che il consenso della vittima non esclude il reato di omicidio.

Affinché possa trovare applicazione l’art. 579 c.p. è necessario che la vittima abbia prestato un consenso valido, dato cioè da un soggetto che sia in grado di rendersi conto delle conseguenze del suo atto e di volere liberamente il verificarsi di dette conseguenze. L’art. 579 c.p. distingue due gruppi di cause di invalidità: quelle che possono ricondursi alla attività del colpevole, come ad esempio il fatto di aver estorto il consenso con violenza o inganno, da quelle che derivano da una condizione personale della vittima in presenza delle quali la legge presume l’invalidità del consenso prestato. Si pensi alla minore età o all’infermità di mente dell’ucciso.

Irrilevanti sono la forma il modo in cui viene espresso il consenso purché si stato manifestato senza riserve. Inoltre quest’ultimo deve avere ad oggetto la morte della vittima e non una semplice lesione o percossa.

Il problema posto dall’art. 579 c.p. nella pratica giudiziaria è quello di provare in maniera decisiva che l’uccisione si ricollega ad una spontanea e libera manifestazione di volontà della vittima. In altre parole bisognerà accertare che nella vittima non vi sia nessuna infermità idonea a rendere invalido il consenso.

Perchè possa ritenersi applicabile l’art. 579 c.p. è necessario che il consenso permanga fino a quanto il colpevole non abbia commesso il fatto. Pertanto se nonostante la revoca del consenso il fatto venga comunque commesso il soggetto rispende di omicidio volontario.

Il consenso della vittima è un vero e proprio presupposto del fatto e pertanto non può non rientrare tra gli elementi che devono essere conosciuti dal colpevole. Per questo il delitto in esame non può essere commesso a titolo di colpa. Oltre al fatto che l’art. 579 c.p. non ha fa nessun riferimento alla colpa, un evento cagionato per colpa, e quindi non intenzionalmente, non potrebbe ricondursi al consenso della vittima.

2 ) L’errore sul consenso

Gli aspetti più delicati si hanno nel caso di divergenza tra volontà della vittima e quella del colpevole nei casi di erronea supposizione del consenso. Si pensi al caso di chi, interpretando come richieste di morte le espressioni di sconforto di un ammalato, lo uccida nella erronea convinzione di esaudire un suo desiderio. In tale ipotesi la dottrina non è concorde; secondo alcuni trova applicazione l’art. 47 c.p., ed il soggetto risponde di omicidio del consenziente in quanto l’errore cade su un errore essenziale del fatto. Secondo altri (antolisei9, se il consenso non sussiste, ma l’agente è ragionevolmente indotto a credere che vi sia, l’art. 579 sarà applicabile, perché alla supposizione erronea della presenza di un elemento che degrada un reato ad un altro minore della stessa indole, si applica l’ultimo comma dell’art. 59 c.p. per le cosiddette circostanze di esclusione della pena.

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Secondo Patalano tale impostazione non è condivisibile, in quanto opera un richiamo improprio all’art. 59 c.p., laddove il consenso ex art. 579 c.p. non può essere equiparato al consenso a quello previsto dall’art. 50 c.p. come causa di giustificazione dal reato. Il consenso ex art. 579 c.p. si riferisce ad un bene indisponibile e quindi non fa venir bene l’antigiuridicità del fatto.

Secondo Patalano l’unica disciplina applicabile è quella dell’art. 47, ultimo comma. Il soggetto si determina ad agire nell’erronea convinzione che la vittima abbia prestato il suo consenso; si verifica cioè un’ipotesi di errore sul fatto poiché il lato volitivo del processo psichico risulta inficiato da quello intellettivo.

L’art. 47, 2 comma c.p., prevede che l’errore sul fatto che costituisce un determinato reato non esclude la punibilità per un reato diverso.

Venendo a mancare uno degli elementi caratterizzanti del delitto di cui all’art. 579 c.p., cioè il consenso della vittima, la norma non può trovare applicazione. A norma dell’art. 47, 2 comma c.p., il colpevole risponde di un reato diverso, che nel caso prospettato è quello di omicidio volontario ex art. 575 c.p.

Pertanto se l’elemento specializzante dell’ipotesi prevista dall’art. 579 c.p. rispetto a quello prevista dall’art. 575 c.p. non sussiste effettivamente, è a quest’ultima che dovrà farsi riferimento per stabilire la tipicità del fatto.

È quanto si verifica del resto in tutte quelle ipotesi in cui la tipicità del fatto dipende da un suo presupposto ed il colpevole cade in errore sull’esistenza di questo presupposto. Si pensi a l caso di colui che attenti alla vita del Presedente della Repubblica ignorando che l’offeso possiede tali qualità. In questo caso l’errore, se fa venir meno il delitto di cui all’art. 276 c.p., non elude tuttavia la configurabilità dell’omicidio volontario, tentato o consumato.

OMICIDIO PRETERINTENZIONALE

1 ) Le concezioni sulla natura giuridica della preterintenzione

L’omicidio preterintenzionale è disciplinato dall’art. 584 c.p., che recita: “Chiunque con atti diretti a commettere uno dei delitti preveduti dagli art. 581 e 582, cagiona la morte di un uomo è punito con la reclusione da dieci a diciotto anni”In altre parole l’art. 584 c.p. incrimina la condotta di colui il quale con atti diretti a ledere o a percuotere cagiona la morte di un uomo. Esso va letto in combinazione con l’art. 43 c.p, dove il legislatore oltre ad una definizione di dolo e di colpa ci fornisce una definizione di preterintenzione. L’art. 43 c.p. stabilisce che il delitto è preterintenzionale, o oltre l’intenzione, quando dall’azione o dall’omissione deriva un evento più grave di quello voluto dall’agente.In tale contesto dunque è necessario richiamare anche l’art. 83 c.p., ossia l’istituto dell’ “aberratio delicti”, dove l’evento che si realizza è diverso da quello voluto dal soggetto agente.Tradizionalmente l’omicidio preterintenzionale era visto come una forma di attenuazione dell’omicidio volontario. Quasi sempre l’accento veniva posto sulla “prevedibilità” dell’evento morte; evento non voluto ma che si riteneva dovesse essere almeno prevedibile da parte del soggetto agente. Il requisito della prevedibilità fu però eliminato dal codice Zanardelli. Tuttavia,la dottrina sosteneva che né dalla relazione ministeriale,né dalle relazioni delle commissioni parlamentari,risultava che si sia voluto escludere l’estremo della prevedibilità. Anche l’attuale art. 584 c.p. non fa riferimento alla previsione o alla prevedibilità ma ciò non

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esclude che non sia necessaria una prevedibilità dell’evento nell’ambito dell’omicidio preterintenzionale. Tale fattispecie criminosa ha suscitato notevoli dubbi interpretativi.Distinguiamo due grandi scuole di pensiero.Un primo orientamento sostiene che l’omicidio preterintenzionale consiste in misto di dolo con riferimento alla realizzazione dei reati di lesioni e percosse, e di responsabilità oggettiva con riferimento all’evento morte. Secondo tale orientamento giurisprudenziale era necessario che l’azione diretta a ledere o a percuotere fosse dolosa e se da questa azione derivava casualmente l’evento morte, questo veniva posto comunque a carico del soggetto, anche se rispetto all’evento morte non si potesse configurare alcun tipo di partecipazione psicologica del soggetto agente, nemmeno sotto il profilo della colpa; tale orientamento parte da un presupposto che è quello della interpretazione del 584 c.p. di norma che si compone di due diversi reati, come una sorta di reato complesso, composta da un lato da un reato di lesione o percosse tentato o consumato e da un altro lato da un omicidio che eccezionalmente viene attribuito al soggetto agente a titolo di responsabilità oggettiva. Non si tratterebbe quindi di un solo delitto,ma di un’ipotesi di concorso fra reati.Tale indirizzo comporta una serie di considerazioni:

La preterintenzione è presentata dal legislatore all’interno dell’art. 43 c.p. come una ipotesi intermedia tra il dolo e la colpa;

L’art. 42 c.p., nel parlare di responsabilità oggettiva la distingue dalla responsabilità preterintenzionale;

Considerazioni di carattere costituzionale: l’interpretazione dell’omicidio preterintenzionale come misto di dolo e colpa risulta molto più conforme al dettato costituzionale; l’art. 27 Cost. esclude non solo la responsabilità del fatto altrui, ma anche la responsabilità oggettiva (tutte le volte in cui l’evento è posto a carico del soggetto senza che vi sia alcuna partecipazione psicologica al fatto);L’interpretazione del 584 c.p. come reato complesso non è da ritenere corretta, in quanto l’art. 584 c.p. fa riferimento ad una forma di imputazione soggettiva dell’evento che è la preterintenzione, la quale è espressamente prevista all’art. 43 c.p. come criterio autonomo di imputazione.Vi sono anche altre considerazioni: in primo luogo non è vero che l’art. 584 c.p. richieda la consumazione di un reato di lesioni o di percosse o la realizzazione di un tentativo. Infatti confrontando l’art. 584 c.p. con un'altra fattispecie di “aberratio delicti” ossia il 586 c.p.,notiamo che mentre il primo richiede atti diretti a commettere i reati di lesioni o di percosse, diversamente il 586 richiede che si realizzi un vero e proprio delitto doloso; la differenza tra le due fattispecie ci rende evidente che nell’omicidio preterintenzionale non si richiede il tentativo o la consumazione di un reato di lesioni o di percosse, ma richiede qualcosa di meno: atti diretti a ledere o a percuotere.

Un secondo orientamento qualifica l’omicidio preterintenzionale come un misto tra dolo e colpa, ritenendo che vi debba essere dolo nella prima fase, ossia negli atti diretti a ledere o percuotere, e colpa nella seconda fase, cioè l’evento morte deve derivare per colpa del soggetto agente L’attribuibilità dell’evento morte a titolo di colpa deriverebbe anche dall’analogia strutturale della preterintenzione con la colpa, in entrambi i casi da un’azione volontaria deriva un risultato non voluto; la teoria generale è quella dell’art. 83 c.p. Secondo il Carrara,l’omicidio preterintenzionale rappresenta il massimo grado della colpa,ma ciò che lo distingue dall’omicidio colposo,è che l’autore ebbe volontà di offendere. Molti autori però non parlano di colpa per imprudenza,negligenza o imperizia,ma esclusivamente di colpa per inosservanza di leggi. Si tratta cioè di una forma di colpa presunta.

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Si noti però,che per integrare il reato in esame non è sufficiente una qualsiasi inosservanza di legge. È necessaria l’inosservanza,sia pure sotto la forma del tentativo,degli artt. 581-582 c.pLa responsabilità preterintenzionale deriverebbe dalla violazione degli artt. sulle percosse e sulle lesioni, violazione che produrrebbe come conseguenza non voluta la morte del soggetto passivo. Ma per l’omicidio preterintenzionale non si può ritenere che vi sia stata una violazione delle norme incriminatrici di lesione o di percosse, neanche sotto forma di tentativo. In realtà la teoria del dolo misto a colpa,fallisce nella sua aspirazione a salvaguardare l’unità dell’omicidio preterintenzionale,in quanto ancora una volta si parla di una duplicità di eventi,che sono : lesioni o percosse e morte.

2 ) I caratteri dell’elemento psicologico e l’ambito di configurabilità del fatto tipico

Per chiarire le incertezze determinate da quella parte della dottrina che inquadra l’omicidio preterintenzionale come un’ipotesi di concorso di reato,va in primo luogo precisata la diversità sostanziale tra l’art. 584 e tutte quelle ipotesi in cui la morte dell’offeso aggrava la pena di un delitto già consumato ( es. l’abbandono di minori).Nell’omicidio preterintenzionale,la morte invece rappresenta l’evento del reato;è l’elemento costitutivo di un illecito che si configura a prescindere dalla punibilità,come delitto consumato o tentato,degli atti diretti alla realizzazione di uno dei reati previsti dall’art. 581 e 582 c.p.Sappiamo che nell’art. 584,l’evento si pone oltre l’intenzione del reo,e realizza una lesione più grave del bene intenzionalmente aggredito. Ma questa osservazione non è sufficiente per tracciare i confini della punibilità nell’ambito di tale reato.Ai fini della tipicità del fatto,bisogna chiedersi quale sia l’elemento psicologico del delitto. La dottrina si limita a dire che esso consiste nell’animo di nuocere e nell’assoluta mancanza dell’animo di uccidere.La condotta tipica nell’omicidio preterintenzionale consiste nella realizzazione volontaria di un comportamento antigiuridico,in quanto intenzionalmente diretto all’aggressione del bene dell’incolumità individuale,cui segue però un evento più grave di quello progettato;evento che poteva essere evitato dall’agente mediante un controllo più attento del decorso causale.Dunque l’art. 584 si configura come un’ipotesi speciale di aberratio delicti. Tale rapporto di specialità si evidenzia sia nei confronti dell’art. 83 che disciplina in generale l’aberratio deliciti,che nei confronti dell’art. 586,che prevede un’ipotesi più generale rispetto all’omicidio preterintenzionale,in quanto la morte deve essere conseguenza non voluta di un qualsiasi fatto preveduto dalla legge come delitto doloso.

3) Il contenuto dell’intenzionalità dell’agente,errore sul fatto e configurabilità dell’omicidio preterintenzionale.

La tipicità dell’omicidio preterintenzionale viene ancorata dalla legge alla realizzazione di una condotta intenzionalmente diretta a ledere l’incolumità individuale. Pertanto non si configurerà la fattispecie in esame nel caso di uno schiaffo dato non per percuotere la vittima ma per ingiuriarla,oppure nell’ipotesi di colui il quale,nel dare una spinta ad un altro soggetto al fine di allontanarlo,ne cagioni una caduta e quindi inopinatamente la morte. In tal caso,il contenuto dell’intenzionalità del colpevole,evidenzia che questi non volle attentare all’incolumità fisica dell’aggredito,ma agì con l’intento esclusivo di coartare la volontà del soggetto passivo.Non si configura inoltre l’omicidio preterintenzionale nel caso in cui la lesione,da cui derivò la morte,sia stata cagionata per colpa ( es. l’infermiere che per errore somministra all’ammalato una eccessiva dose di medicinale provocandone la morte). In quest’ultimo caso infatti venendo meno la volontarietà della lesione,viene meno anche il presupposto della preterintenzione.

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Si deduce quindi che la conformità al modello legale previsto all’art. 584,va ricavata tenendo presenti le fattispecie incriminate a titolo di lesione volontaria o di percossa. Il venir meno ad esempio per errore sul fatto,del requisito dell’intenzionalità degli atti diretti a realizzare uno dei due delitti citati,fa automaticamente configurare l’omicidio colposo e non il delitto previsto all’art.584.In merito all’errore,ricordiamo che esso è rilevante solo se ha ad oggetto gli atti diretti a commettere un delitto di lesioni personali o percosse e non anche l’evento morte.Le suddette considerazioni portano ad escludere in via definitiva che l’omicidio preterintenzionale si configuri come un reato complesso risultante dalla fusione del reato di lesione volontaria,tentato o consumato,e di omicidio colposo.È importante sottolineare che,sotto il profilo psicologico,l’omicidio preterintenzionale presuppone due requisiti: uno positivo,cioè la sussistenza dell’animus laedendi;uno negativo,cioè l’assenza dell’animus necandi. L’aggressione in altre parole deve essere realizzata allo scopo di cagionare un danno alla persona e non la sua morte. Quindi l’accertamento della preterintenzione richiede un’attenta valutazione delle modalità di realizzazione della condotta e soltanto l’assenza dell’animus necandi porterà ad escludere l’omicidio volontario. L’assenza della volontà omicida si deduce dagli stessi elementi dai quali si ricava, in senso positivo, la sua esistenza ai fini dell’omicidio doloso. L’indole del colpevole, le precedenti manifestazioni dell’animo, la causa a delinquere, la natura delle armi adoperate, il numero e la direzione dei colpi.È stato ritenuto in giurisprudenza che in relazione alla potenza dei mezzi usati, si riconosca che l’evento letale era immancabile, deve concludersi che questo, nella normalità dei casi, non può non essere stato voluto dall’agente, sia pure con dolo indeterminato.

4) I caratteri della condotta punibili nell’omicidio preterintenzionale

L’art. 584 c.p. fa riferimento agli atti diretti a ledere o percuotere. L’espressione in parola significa atti intenzionalmente diretti a ledere o a percuotere. In mancanza di questa intenzione, l’atto che cagiona la morte del soggetto passivo non configura il delitto di cui all’art. 584 c.p . L’evento morte sarà punibile ex art. 586 c.p. sempre che ve ne siano i presupposti.Il presupposto per il verificarsi dell’omicidio preterintenzionale è che il soggetto non voglia realizzare l’evento morte; l’evento morte deve essere conseguenza della condotta ma deve essere una conseguenza non voluta dal soggetto agente.Estremamente controversa è la questione se l’espressione atti diretti di cui all’art. 584,sia equivalente a quella adoperata dall’art. 56 che fa riferimento al compimento di atti idonei,diretti in modo non equivoco a commettere un delitto.Secondo un primo orientamento le due espressioni si equivalgono in quanto l’omicidio preterintenzionale nella sostanza è il delitto di percossa o lesione seguito da morte.Altri autori fanno invece osservare che nonostante l’analogia tra le due formule,non bisogna dimenticare che l’art. 584 non fa menzione delle note caratteristiche del tentativo e precisamente della idoneità e non equivocità della direzione degli atti. Quindi,non è necessario che i delitti di cui agli artt.581 e 582 , presupposto del 584, siano tentati o consumati. Dovrebbe essere sufficiente invece una condotta rivolta a compiere l’uno o l’altro reato,che abbia prodotto la morte del soggetto passivo. Non occorre in particolare che si tratti di atti idonei in quanto l’idoneità dell’azione non potrebbe mai valutarsi rispetto all’evento delle lesioni o percosse,dal momento che non è questo l’evento del delitto di cui all’art. 584. Nell’art. 584 c.p. il legislatore richiede soltanto atti diretti, senza fare alcun riferimento all’idoneità degli atti. L’idoneità degli atti deve essere misurata rispetto all’evento del reato, ossia l’evento morte. Questo è un elemento molto importante che ci permette di comprendere

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la ratio del trattamento sanzionatorio più grave dell’art. 584. Invece,riferire l’idoneità degli atti al delitto di lesioni o percosse risulterebbe estremamente errato,in quanto un atto idoneo a ledere,potrebbe anche non essere ugualmente idoneo a cagionare la morte come conseguenza non voluta dell’atto stesso.Infine per quanto concerne il requisito della direzione degli atti,esso va inteso nel senso che la condotta del reo deve tendere da un punto di vista oggettivo e soggettivo alla commissione di uno dei reati previsti dagli artt. 581 e 582.L’art. 586 è norma generale rispetto al 584, in quanto se non ci fosse il 584,alcune delle condotte incriminate esso,potrebbero essere punite ai sensi del 586 c.p.; ci si riferisce alle condotte nelle quali l’’evento morte deriva come conseguenza di un reato consumato di lesioni o di percosse.

4 ) Condotta omissiva e configurabilità del delitto

Secondo una parte della giurisprudenza il delitto in esame potrebbe configurarsi anche attraverso una condotta omissiva. Questo orientamento parte dal presupposto che siccome la lesione può commettersi sia mediante un azione che mediante una omissione, anche l’omicidio preterintenzionale può configurarsi indifferentemente, con una condotta attiva o omissiva.L’assunto tuttavia non tiene conto del fatto che l’art. 584 c.p. fa espresso riferimento ad atti diretti a commettere uno dei delitti di cui agli artt. 581 e 582 c.p. e per tale motivo è da escludere la configurabilità del delitto in esame a titolo omissivo. Nella previsione dell’incriminazione quindi non rientrano tutte quelle condotte che non si estrinsecano in comportamenti positivi. Né può avere rilievo il fatto che le lesioni di cui all’art. 582 possono configurarsi sia mediante azioni che omissioni,dal momento che l’altro delitto cui si riferisce il 584,cioè le percosse,possono consumarsi esclusivamente con un’azione e mai con una condotta omissiva

5 ) Offesa di persona diversa (aberratio ictus) e configurabilità dell’omicidio preterintenzionale

Secondo la giurisprudenza nell’ipotesi di omicidio preterintenzionale commesso nei confronti di una persona diversa da quella che l’agente voleva percuotere o ferire,ricorre la figura dell’aberratio ictus. Infatti il reato commesso nel suo nucleo doloso,è identico a quello voluto,mentre muta soltanto il soggetto passivo. Volendo approfondire l’indagine,nel caso di omicidio preterintenzionale per aberratio ictus,l’unica peculiarità rispetto all’ipotesi ordinaria ex art. 82 è che l’elemento deviante,determinante la divergenza tra la volizione e la realizzazione,investe non soltanto la persona cui l’offesa era diretta,ma anche l’evento cagionato rispetto a quello voluto. Es. Tizio intende ferire Caio,ma poi per errore uccide Sempronio. Proprio la diversità dell’evento avrebbe dovuto indurre a pensare che in tal caso non riceveva applicazione l’art. 82. Ma secondo tale orientamento,siccome nell’omicidio preterintenzionale,l’ulteriore evento è posto a carico dell’agente a prescindere dal contenuto della volontà,una divergenza tra voluto e realizzato in ordine all’entità dell’offesa non ha rilevanza in quanto è la stessa norma incriminatrice a non dargli alcun peso.Tale ricostruzione non appare condivisibile in quanto l’art. 82 si riferisce alle ipotesi in cui il colpevole cagioni,in danno di un soggetto diverso,il medesimo tipo di offesa che intendeva realizzare in danno della vittima designata,mentre l’art. 584 incrimina un’ipotesi in cui la condotta produce un’offesa diversa da quella progettata.L’assurdità di questa conclusione si rinviene nel caso in cui il soggetto, oltre ad uccidere una persona diversa da quella presa di mira, leda anche la vittima designata; in questo caso il soggetto risponde di lesioni volontarie e omicidio colposo, che sommate arrivano ad una pena massima di circa 8 anni, considerato che per l’omicidio preterintenzionale la pena è di 18 anni.

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Dunque l’art. 82 risulta applicabile solo ai delitti dolosi e non anche quelli puniti a titolo preterintenzione o di colpa. Nel caso in esame si configura invece un’aberratio delicti ai sensi dell’art. 83 in quanto il soggetto realizza un reato diverso da quello per il quale aveva posto in essere la condotta e risponderà di omicidio colposo e non di omicidio preterintenzionale.La formulazione dell’art. 584 d’altronde,incrimina la commissione di atti intenzionalmente rivolti a realizzare una lesione o percossa e fa quindi espresso riferimento ad un’offesa che si rivolge ad una persona determinata,di cui poi oltre l’intenzione si cagiona la morte. Viene in rilievo quindi la diversità dei risultati e non quella di soggetti.

6 ) Il rapporto causale nell’omicidio preterintenzionale

Nell’omicidio preterintenzionale,in virtù del fatto che la morte deriva come conseguenza non voluta da una condotta orientata a produrre un risultato diverso,e cioè una percossa o lesione,è necessaria una rigorosa verifica del nesso causale specie per accertare in quali casi l’evento più grave possa ascriversi all’azione del colpevole e quando invece dipenda da cause sopravvenute,da sole sufficienti a produrlo.Senza dubbio anche nell’omicidio preterintenzionale si applicano le regole sancite dagli artt. 40 e 41 c.p. in base ai quali il rapporto di causalità non è escluso dal concorso di cause simultanee,preesistenti o sopravvenute,mentre soltanto a quest’ultime può attribuirsi un’efficacia interruttiva quando da sole sono state sufficienti a produrre l’evento.Nell’omicidio preterintenzionale il rapporto di causalità va concepito come una successione necessaria e uniforme,nel senso che la condotta può dirsi condizione dell’evento se è astrattamente idonea a produrla. In altre parole è necessario accertare che al di là dell’intenzione dell’agente,la condotta possiede l’efficienza causale a determinare la morte.Si denotano però forti difficoltà nella determinazione dei limiti d’applicabilità dell’art 584.Si è ad esempio affermato che se con l’azione produttiva della lesione,concorre nella produzione della morte la l’azione colposa del terzo,quest’ultimo risponde di omicidio colposo,mentre l’autore della lesione dolosa risponde di omicidio preterintenzionale. Quest’esempio può farci capire come la dottrina non sia riuscita ad individuare un valido criterio per distinguere cause sopravvenute ma irrilevanti ai fini del nesso causale (Tizio bastona Caio,che per il sopraggiungere di un infezione,conseguenza della ferita muore),da cause che pur concorrendo con l’azione del colpevole sono sufficienti a produrre da sole l’evento ( Tizio bastona Caio,che a causa delle ferite riportate corre all’ospedale e durante il tragitto viene investito da un terzo e muore).Un ulteriore nodo problematico concerne la rilevanza o meno sull’evento morte di stati patologici preesistenti,specie quando la condotta del colpevole si è concretizzata in percosse o lesioni di lieve entità. Secondo l’orientamento dominante,sussiste il rapporto di causalità tra la lesione o percossa e la morte tutte le volte che l’azione del colpevole,pur se oggettivamente sfornita di efficacia causale rispetto all’evento morte, abbia inciso direttamente sulle condizioni infermità della vittima. Si esclude invece il nesso di causalità,quando in considerazione delle gravi condizioni di salute dell’aggredito,la lesione o percossa è semplice occasione dell’evento morte. Insomma la causa occasionale è solo il momento liberatore dell’evento morte e non ha una autonoma efficienza causale.

7 ) La prevedibilità della morte

Il requisito della prevedibilità viene ammesso o negato a seconda che si ritenga la preterintenzione un’ipotesi di responsabilità oggettiva,un misto di dolo e colpa oppure un delitto colposo originato da un comportamento doloso.

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Secondo molti giuristi il criterio della prevedibilità dell’evento non ha rilevanza in quanto è necessario indagare soltanto sul rapporto tra la conseguenza non voluta e il fine dell’agente. Secondo un altro orientamento invece l’evento è addebitato al reo sulla base di una presunzione di prevedibilità.In generale il fatto di ritenere irrilevante la prevedibilità dell’evento più grave,si risolve un una presunzione dell’elemento psicologico,presunzione che non è ammessa dal codice Rocco.La mancanza del requisito della prevedibilità può portare seri problemi di colpevolezza o meno nel caso in cui l’evento morte derivi da caso fortuito. È ovvio però che se la morte deriva da caso fortuito ed è quindi assolutamente imprevedibile,non può imputarsi all’autore delle lesioni o percosse. Dunque anche nell’omicidio preterintenzionale al di fuori della prevedibilità non vi è possibilità per un giudizio di colpevolezza.La giurisprudenza tuttavia non sembra orientata a tale principio e anche quando la morte era da attribuirsi ad un evento assolutamente accidentale,ha ritenuto configurabile l’omicidio preterintenzionale.Citiamo il caso di un soggetto che usa un fucile come bastone,supponiamo poi che dal fucile parta un colpo mortale a seguito di uno strappo sul grilletto determinatosi da un tralcio di vite impigliato in esso. In tal caso bisognerebbe però considerare che l’evento morte è occasionato e non cagionato dalla condotta del colpevole.Bisognerebbe dunque escludere sia la preterintenzione che la colpa,ed ammettere la responsabilità solo per eventuali delitti dolosi di lesioni o percosse.

8 ) Concorso di persone

Nel caso in cui Tizio dà mandato a Caio di percuotere Sempronio,e Caio non volendo ne cagiona la morte,trova applicazione l’art. 116 in base al quale i concorrenti risponderanno entrambi di omicidio preterintenzionale. Ed infatti il delitto in parola è sicuramente diverso da quello effettivamente voluto da tutti i concorrenti e si verifica come conseguenza sia della condotta del mandante che del mandatario.Diversamente se Caio cagiona intenzionalmente la morte, rispondono in applicazione del secondo comma, di omicidio volontario. La volontà divergente tra esecutore e mandante non incide sulla configurabilità a carico di entrambi della medesima ipotesi di reato, e potrà soltanto far beneficiare di una diminuzione della pena al concorrente che volle il reato meno grave.Un ulteriore caso si ha qualora mandante e mandatario si accordino per l’esecuzione di un omicidio volontario e l’esecutore,agendo in concreto al solo fine di ledere o percuotere la vittima,ne cagioni oltre l’intenzione la morte.Secondo una parte della dottrina,in tal caso mentre l’autore materiale dovrebbe rispondere di omicidio preterintenzionale,a carico del mandante si configura la fattispecie dell’omicidio doloso,in quanto questi con la sua volontà omicida si è reso causa mediata della morte della vittima.Ma a ben vedere in un simile contesto trova applicazione l’art. 116,secondo cui : i concorrenti rispondono del reato effettivamente commesso,anche se sia diverso da quello voluto da taluno di essi,sempre che l’evento sia conseguenza della loro azione o omissione. Il secondo comma specifica poi,che la pena è diminuita per chi volle il reato meno grave.l’art. 116 c.p. ci porta a punire anche i concorrenti per omicidio preterintenzionale.Dunque Siamo di fronte ad un’ipotesi di estensione normativa della tipicità, ove la condotta dei soggetti diversi dall’esecutore ripete la propria tipicità dalla condotta dell’esecutore.Infine si ricorda che anche nelle ipotesi di concorso morale,risulta applicabile la circostanza attenuante prevista dall’art.114 in base alla quale: il giudice qualora ritenga che l’opera prestata

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da talune persone nel reato abbia avuto minima importanzanella preparazione o esecuzione del reato,può diminuire la pena.

9 ) Legittimità costituzionale dell’art. 584 in relazione all’art. 27 Cost.

In dottrina si è sempre posto un problema di legittimità costituzionale dell’art. 584 c.p. in ordine alla compatibilità con l’art. 27, comma 1 della Cost. Questa norma nel dichiarare che la responsabilità penale è personale, risulta in contrasto con tutte quelle norme che prevedono ipotesi incriminatrici nelle quali l’evento morte è posto a carico dell’agente sulla base del solo nesso di causalità (cd responsabilità oggettiva). Si deve rilevare che l’art. 584 non è inquadrabile in quelle ipotesi nelle quali l’evento morte è posto a carico del soggetto a prescindere dall’atteggiamento psicologico. Il requisito della prevedibilità dell’evento letale, come fondamento del giudizio di rimprovero, esclude che nell’omicidio preterintenzionale l’evento più grave possa essere attribuito al soggetto a prescindere dalla concreta possibilità che questi lo abbia preveduto.Della legittimità dell’art. 584 c.p. si è dubitato anche sul rilievo che il trattamento sanzionatorio comminato dalla suddetta norma per l’omicidio preterintenzionale è più severo e maggiore di quello contemplato dalla L. 194 del 1978, che prevede il caso di morte conseguita all’interruzione della gravidanza provocata con azioni dirette a cagionare lesioni. La Corte Costituzionale ha respinto l’eccezione rilevando che le due ipotesi si riferiscono in realtà a situazioni diverse.All’omicidio preterintenzionale si applicano sia le circostanzi speciali che quelle comuni. È senz’altro applicabile la circostanza di aver agito per motivi abietti e futili, minorata difesa, abuso di pubblica funzione. Per quanto riguardi le circostanze speciali, l’art. 585 c.p. aumenta sensibilmente la pena dell’omicidio preterintenzionale se ricorre taluna delle circostanze previste per l’omicidio volontario.

L’OMICIDIO COLPOSO

1 ) Caratteri generali e nesso causale

L’omicidio colposo è disciplinato dall’art. 586 c.p., il quale stabilisce al primo comma: “Chiunque cagiona per colpa la morte di una persona è punito con la reclusione da sei mesi a cinque anni”.L’omicidio colposo si distingue da quello doloso e da quello preterintenzionale per il diverso elemento psicologico del reato. Nell’ipotesi incriminata dall’art. 589 c.p. l’agente non vuole, come conseguenza della sua azione, il verificarsi dell’evento morte, ma tale evento si verifica a causa di negligenza o imprudenza o imperizia, ovvero per inosservanza di leggi, regolamenti, ordini o discipline. Nel descrivere la condotta incriminata dell’art. 589 c.p. il legislatore fa genericamente riferimento alla colpa, la cui definizione è contenuta nell’art. 43, 3 comma c.p., dove espressamente si richiede che l’evento, anche se preveduto, non sia voluto dal soggetto. Il mancato riferimento all’involontarietà dell’ evento, all’interno dell’art. 589 c.p., si spiega con il fatto che questo requisito è già indicato nell’art. 43c.p., come carattere generale del delitto colposo.Per quanto riguarda il rapporto di causalità valgono le regole generali fissate dal c.p. negli art. 40 e 41 c.p.,; Non sarà sufficiente una condotta imprudente o negligente, ma occorre che l’evento letale sia conseguenza della condotta colposa, azione o omissione,realizzata dal soggetto.

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I problemi più delicati si pongono quando si tratta di stabilire in quali casi possa ritenersi interrotto il rapporto di causalità tra la condotta e l’evento morte. Sul punto vi sono diversi e contrari orientamenti giurisprudenziali:Un parte della giurisprudenza ha individuato con sufficiente precisione il rapporto di stretta consequenzialità che deve legare direttamente la morte della vittima alla condotta dell’agente.Così, secondo una parte della giurisprudenza, il nesso causale non è interrotto nell’ipotesi in cui, per colpa, si siano create le condizioni ambientali necessarie affinché l’evento potesse verificarsi in seguito all’illecito commesso da altro soggetto; dunque in base a tale orientamento risponde di omicidio colposo l’infermiere di un manicomio che lasciò abbandonato in un locale adibito al deposito un ragazzo frenastenico il quale morì per conseguenza di violenza carnale ad opera di altri ed imputabile alla mancata sorveglianza da parte del colpevole.Un diverso orientamento giurisprudenziale, ritiene che il comportamento negligente si deve configurare non come causa adeguata dell’evento, ma come semplice “occasione” della morte della vittima.Ciò che rileva è che l’agente avesse determinato per colpa le situazioni ambientali necessarie al verificarsi dell’evento.In base a tale orientamento rispondono di cooperazione nel delitto di cui all’art.589 c.p., sia l’infermiere, che trascura la dovuta vigilanza di un’ inferma di mente ricoverata,sia quest’ultimo che abbia lasciato sulla scrivania un coltello da caccia, se detta inferma, fulmineamente impossessandosene, con esso si sia procurata la morte. Secondo Patalano il delitto di omicidio colposo sussiste soltanto quando la condotta sia causa adeguata della morte e non anche nel caso in cui la negligenza abbia posto in essere una semplice occasione per il verificarsi dell’evento. Dunque la condotta del medico che ad esempio aveva lasciato incustodito il coltello da caccia si configura come pura e semplice occasione del suicidio dell’inferma di mente, posto che detto evento era sicuramente evitabile con un comportamento più attento e diligente da parte dell’infermiera che aveva uno specifico obbligo giuridico di sorveglianza.Per il concorso di persone nel reato ex art. 113 c.p. occorre che una condotta pienamente legittima possa assumere rilevanza penale e solo a condizione che il soggetto con il suo comportamento manifesti la propria adesione psicologica all’azione imprudente o negligente commessa dall’autore materiale del fatto.Per decidere se si configuri una ipotesi di cooperazione (art. 113 c.p.), quando la causazione dell’evento è il risultato sul piano causale di due diversi comportamenti, dei quali uno sia formalmente atipico, si deve stabilire se il comportamento atipico è stato realizzato in adesione psicologica al primo; se cioè tra la condotta formalmente atipica e quella che realizza in concreto l’evento sussista uno specifico collegamento psicologico, nel senso che l’agente realizzi il comportamento al fine, ad esempio, di agevolare o sollecitare la successiva condotta negligente o imprudente dalla quale poi derivi concretamente l’evento. In tema di esclusione del rapporto di causalità per causa sopravvenuta, il legislatore ha adottato la teoria della causalità adeguata.

2 ) Limiti di configurabilità e soggetto attivo

La configurabilità dell’omicidio colposo è da ritenersi esclusa soltanto in presenza di fatti eccezionali e quindi imprevedibili. Dottrina e giurisprudenza, in più occasioni, hanno ribadito il principio secondo cui il fatto colposo è escluso dal caso fortuito che a sua volta si identifica in un’accidentalità che opera come causa non conoscibile, ineliminabile con l’uso della comune prudenza e diligenza. Per dar vita al caso fortuito, una tale accidentalità, ossia un avvenimento eccezionale ed atipico, deve verificarsi in modo del tutto improvviso,

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impreveduto ed imprevedibile tale cioè da impedire all’agente di adeguare tempestivamente la propria condotta alla situazione createsi.Di conseguenza l’ambito della tipicità del fatto colposo punito nell’art. 589 c.p. è contrassegnata dall’inevitabilità dell’evento letale, ossia la concreta possibilità di impedire il verificarsi della morte altrui tenendo un comportamento conforme alla regola di condotta.Uno dei problemi che si pongono in tema di omicidio colposo riguarda l’individuazione del soggetto attivo,cioè del soggetto che per il fatto di possedere particolari qualità o qualifiche,si configura come garante dell’altrui vita e incolumità. La norma fa riferimento a “chiunque”, si tratta pertanto di un reato comune, per la cui configurabilità non è richiesto il possesso di particolari qualifiche giuridiche. È stato rilevato che pur riferendosi alla generica formula del chiunque il soggetto attivo debba possedere particolari qualità o qualifiche, ovvero configurarsi come garante della vita altrui e dell’altrui incolumità individuale. Del fatto colposo risponde sempre il soggetto che, in considerazioni delle funzioni, degli obblighi o dei poteri (di direzione, di controllo, di sorveglianza, di intervento ecc. ) di cui risulti in concreto investito, è il garante dell’osservanza della regola di cautela o di diligenza prevista dalla legge per la tutela dell’altrui incolumità.È necessario accertare il soggetto investito di tale posizione di garanzia.Ci sono stati diversi orientamenti giurisprudenziali ed un progressivo passaggio da una concezione formalistica (in materia di infortuni sul lavoro) volto a ritenere che il titolare della posizione di garanzia fosse il soggetto formalmente investito di determinate qualifiche formali (es. il datore di lavoratale) ad una tendenza sostanziale volta a verificare in concreto il soggetto investito in concreto di determinati poteri e fosse quindi nel caso concreto responsabile penalmente.3 ) La colpa professionale

Il concetto di colpa si connota per la relatività dei criteri di accertamento. Nell’interpretazione dell’art. 589 c.p. il concetto di colpa non è inteso in un significato univoco, valido in assoluto ed in ogni caso. L’imprudenza, l’imperizia e la negligenza vanno valutate tenendo presente il tipo di attività cui si riferisce il fatto colposo, e non in astratto. Ad esempio nella competizione sportiva la negligenza, imprudenza ed imperizia vanno valutate non alla stregua dei comuni criteri di accertamento ma alla tregua delle particolarità stesse della competizione sportiva, dove fattori come l’agonismo ed i connessi elementi del rischio e dell’audacia restringono l’ambito della sfera dell’imprudenza e dell’imperizia. Dunque è il perseguimento degli scopi che si riconnettono istituzionalmente allo sport, e l’adeguatezza dell’azione al perseguimento di questi fini a costituire il limite della tipicità del fatto. Viene a delinearsi una nozione di colpa sportiva che solo in parte coincide con quella comune.Un discorso a parte si deve fare per la colpa cd “professionale”. La Corte Costituzionale ha condiviso l’orientamento che, partendo dalla normativa civilistica, assegna anche in materia penale all’imperizia un significato diverso da quello comunemente accolto per le ipotesi di colpa comune. È stato rilevato che la colpa professionale, con particolare riferimento all’esercizio sanitario, ha un profilo tutto proprio, poiché i concetti di imperizia, negligenza o imprudenza presentano in quel campo peculiari caratteristiche, anche per il frequente interferire dell’elemento del rischio e del fortuito. La prudenza e cautela del sanitario non possono arrivare fino al punto di compromettere la salute del malato. Le scelta di una cura rischiosa, pure nell’incertezza della diagnosi, va senz’altro adottata tutte le volte che il mancato intervento condurrebbe a morte il malato, mentre i danni che dall’intervento stesso potrebbero derivare, sarebbero sicuramente meno gravi della morte. In alcune ipotesi l’osservanza di una regola cautelare, come quella di attendere una chiara sintomatologia prima di intervenire, può configurarsi come comportamento colposo per imprudenza o per imperizia. Per la caratteristica finalità dell’arte sanitaria il medico verrebbe meno al suo fondamentale dovere di diligenza se non tentasse con ogni mezzo di recuperare la salute dell’ammalato. La scelta di una terapia

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rischiosa, non può far configurare un’ ipotesi di colpa per imprudenza quando il sanitario predisponga tutte le cautele di per se idonee a ridurre il pericolo di eventi dannosi. Per quanto riguarda l’imperizia nell’esercizio della professione sanitaria, la giurisprudenza ha operato una distinzione tra prestazioni specialistiche e non. Nel caso di prestazioni specialistiche trova applicazione la colpa grave che ha origine nella mancata applicazione delle cognizioni generali e fondamentali attinenti alla professione, in tal caso la valutazione della responsabilità in caso di prestazioni specialistiche effettuate da chi non sia in possesso del relativo diploma di specializzazione, non può prescindere dalla considerazione delle cognizioni generali e fondamentali proprie di un medico specialista nel relativo campo, e non facendo riferimento alle cognizioni fondamentali di un medico generico.

4 ) Le cause di giustificazione

Un problema particolarmente delicato è quello relativo alle cause di giustificazione nel caso di omicidio colposo. La questione si è posta in giurisprudenza principalmente per il consenso dell’avente diritto e per la legittima difesa. Per quanto riguarda il consenso dell’avente diritto (art. 50 c.p.), è stato ritenuto che questa norma non sia applicabile nel caso in cui l’evento leda il bene giuridico indispensabile della vita umana. Si tratta di un interpretazione che, rifacendosi alla indisponibilità del bene vita, esclude l’applicabilità dell’art. 50 c.p. secondo cui il consenso scrimina soltanto quando sia prestato da una persona che possa validamente disporre del diritto leso o messo in pericolo. Tale impostazione è confermata dalla punibilità come autonoma figura di reato dell’omicidio del consenziente.Secondo un'altra impostazione la non applicabilità della causa di giustificazione discenderebbe dalla struttura stessa del delitto colposo. La qualificazione della fattispecie in esame,si basa sempre sulla colpa, cioè sulla negligenza, imprudenza ed imperizia, alle quali non si dà consenso.Si deve rilevare che nell’omicidio colposo l’evento non è voluto ed il consenso non potrebbe mai riguardare il verificarsi della morte. Per la configurabilità delle cause di giustificazione la lesione del diritto deve essere sempre voluta.Per quanto attiene all’applicazione della legittima difesa, è stato rilevato in giurisprudenza che la scriminante di cui all’art. 52 c.p. giustifica l’azione diretta alla lesione di un bene giuridico di altri in quanto il reato viene commesso per la necessità di difendere un diritto proprio o altrui; anche la legittima difesa presuppone la volizione dell’evento. Nei reati colposi l’evento che si verifica a causa di imprudenza, imperizia, ovvero per inosservanza di leggi, regolamenti, ordini o disciplina non è mai voluto.In dottrina, tuttavia,è stato sostenuto che quando si accerti che l’uccisione è stata involontaria, per cui non può trovare applicazione l’art. 55 c.p., ai fini della punibilità del fatto come omicidio colposo, non basta che sia volontaria l’azione. Perché sussista la colpa l’azione volontaria deve anche potersi qualificare come imprudente, negligente o imperita.Secondo Patalano, sembra che il legislatore abbia ritenuto che l’azione necessitata possa essere anche colposa. Si pensi al caso di Tizio che faccia partire involontariamente un colpo di pistola, impugnata per difendersi dall’aggressione di un gruppo di persone; si dovrà stabilire se vi è stato o meno eccesso di difesa, e nel secondo caso, in base all’art. 55 c.p., il fatto sarà punito a titolo di omicidio colposo. In riferimento alle cause di giustificazione più di volontarietà del risultato sarebbe opportuno parlare di volontarietà dell’azione difensiva, nel senso che ai fini della scriminante è indifferente che l’aggredito diriga intenzionalmente la sua azione alla realizzazione dell’evento del reato in danno dell’aggressore. La necessità difensiva costituirebbe la ratio della non punibilità di tutti i reati realizzati in quella situazione , siano essi dolosi o colposi. Lo stesso art. 52 c.p. utilizza l’espressione “fatto”, che come si deduce

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dall’art. 42, comma 2 c.p., può valere sia per ipotesi criminose punite a titolo di dolo che per quelle punite a titolo di colpa.

5 ) La colpa stradale

L’art. 589 c.p. prevede al secondo comma, una circostanza aggravante speciale dell’omicidio colposo che si configura quando il fatto è commesso con violazione delle norme sulla disciplina della circolazione stradale o di quelle sulla prevenzione degli infortuni sul lavoro. Per quanto riguarda la colpa strale la Corte Costituzionale ha stabilito, in riferimento all’art. 3 Cost., che non è fondata la questione relativa agli art. 138 c.stad. e 589, 2 comma c.p., per i quali in caso di omicidio colposo commesso con violazione delle norme sulla circolazione stradale l’infrazione amministrativa non è assorbita nel fatto penalmente sanzionato. L’eccezione avrebbe fondamento solo se si ritenesse che l’art. 589, comma 2 c.p. è prevista un ipotesi di reato complesso e non di concorso di reati.La colpa stradale,presenta aspetti non facili da definire; l’art. 111 cds, impone ai conducenti un obbligo di prudenza al fine di non creare pericolo per altrui incolumità o intralcio alla circolazione, anche se non incorre nella inosservanza di specifiche disposizioni di legge. La violazione di questo dovere integra in ogni caso un omicidio colposo aggravato di cui all’art. 589, comma 2 c.p..Con riferimento alla ipotesi relativa alla violazione di norme per prevenzione di infortuni sul lavoro, è stato ritenuto che l’aggravante sussiste non solo quando sia contestata la violazione di specifiche norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro, ma anche quando la contestazione abbia ad oggetto l’omissione della adozione di misure ed accorgimenti per la più efficacia tutela della integrità fisica dei lavoratori, in violazione dell’art. 2087 c.c. tale norma prevede un preciso obbligo in capo all’imprenditore, diretto ad eliminare, nell’esercizio dell’impresa, ogni situazione di pericolo dalla quale possa derivare un evento dannoso.La colpa stradale presenta, dunque, numerose caratteristiche peculiari e spesso controverse. L’obbligo di osservanza della norma cautelare di condotta non viene meno per il solo fatto di rispettare le disposizioni sulla circolazione stradale.Il terzo comma dell’ art. 589 c.p. prevede l’ipotesi in cui l’evento morte riguarda più persone. Tale articolo stabilisce:“ Nel caso di morte di più persone, ovvero di morte di una o più persone e di lesioni di una o più persone, si applica la pena che dovrebbe infliggersi per la più grave delle violazioni commesse aumentata fino al triplo, ma la pena non può superare gli anni dodici”.Come rilevato dalla giurisprudenza, non ritratta di una figura di reato continuato,di cui all’art. 81 (inammissibile per i delitti colposi per il fatto dell’unicità del disegno criminoso), ma di un caso di unificazione legislativa che, secondo alcuni sarebbe riferibile alla nozione di reato complesso, mentre secondo altri configurerebbe un caso di unificazione legislativa operata dal legislatore soltanto “quoad poenam” .

MORTE O LESIONI COME CONSEGUENZA DI ALTRI DELITTI

1 ) Art. 586 c.p nel sistema dei delitti contro la vita e incolumità individuale

Tale fattispecie è disciplinata dall’art. 586 c.p., il quale stabilisce che:”Quando da un fatto preveduto come delitto doloso deriva, quale conseguenza non voluta dal colpevole, la morte o la lesione di una persona, si applicano le disposizioni dell'articolo 83, ma le pene stabilite negli articoli 589 e 590 sono aumentate” (L’aumento è entro 1/3).Il codice Zanardelli non prevedeva questa figura criminosa;del resto l’autonoma previsione dell’art. 586,anche nel codice Rocco potrebbe apparire superflua,posto che l’art. 83 nel disciplinare i casi di aberratio delicti,ricomprende anche l’ipotesi in questione. Ed infatti in

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entrambi i casi l’agente risponderà di entrambi gli eventi e per il secondo ne risponde a titolo colposo.Dunque l’art. 586 non rappresenta un’eccezione rispetto all’art. 83 ma costituisce piuttosto una norma speciale rispetto a questa,in quanto disciplina l’ipotesi nella quale l’elemento specializzante è costituito dal fatto che l’agente,come conseguenza di un delitto doloso,senza volerlo,cagione l’evento di morte o di lesione di un soggetto.La relazione al codice Rocco ha sottolineato che la norma in esame è stata introdotta per inasprire la pena in tema di delitti di sangue..Vi sono però anche altre fattispecie che prevedono la morte o lesione come conseguenza non voluta di altri delitti: es. artt. 572 (maltrattamenti) , 591 (abbandono di minori) ,593 (omissione di soccorso).Ma l’art. 586 si distingue da tali fattispecie per due motivi: in primis esso non ancora la configurabilità del reato al fatto che la morte derivi dolosa già in astratto potenzialmente lesiva del bene della vita o incolumità;in secondo luogo ai fini dell’art.586 non è necessario che l’evento si verifichi in danno del medesimo soggetto passivo in danno del quale era stato realizzato il delitto doloso.Un innovativo orientamento ha sottolineato che l’art. 586 contiene una norma generale inapplicabile solo quando gli eventi non voluti in essa menzionati ( morte o lesione personale) siano espressamente previsti come elementi costitutivi o aggravanti di reati complessi

2 ) Rapporto causale e limiti di applicabilità

Il problema più delicato nell’interpretazione dell’art. 586 è quello di stabilire il tipo di connessione che deve sussistere tra l’evento non voluto e quello intenzionalmente cagionato dall’agente.In dottrina e in giurisprudenza si sono sostanzialmente delineati due orientamenti:il primo individua nell’art. 586 c.p. un’ipotesi di responsabilità oggettiva, per cui l’agente risponde dell’evento morte o lesioni, sulla base del solo rapporto di derivazione causale, quindi a prescindere dall’elemento psicologico; Il secondo orientamento fa riferimento ad un’ipotesi di responsabilità colposa.La giurisprudenza ha mostrato i propri favori per il primo orientamento.In tale ottica non è infrequente che il reato in esame si ritiene configurabile sulla base di una semplice connessione occasionale o fortuita tra l’evento doloso e quello verificatosi. Il rapporto tra il delitto doloso voluto e l’evento non voluto è quindi di pura causalità materiale,sicchè l’autore del delitto doloso risponde a titolo di colpa dell’evento non voluto indipendentemente ed anche in assenza di qualsiasi errore o fatto colposo od accidentale.Di conseguenza l’accertamento della configurabilità dell’ipotesi in esame si risolve per il profilo psicologico in un accertamento della mancanza di intenzionalità rispetto all’evento,mentre sotto il profilo causale è sufficiente che l’agente abbia posto in essere con la sua azione dolosa,una qualsiasi condizione per il verificarsi dell’evento.Anche per il secondo orientamento,che ravvisa nella norma in esame un’ipotesi di colpa presunta per inosservanza di leggi,la responsabilità per l’evento finisce col fondarsi sul semplice rapporto di derivazione causale,e cioè su una sorta di responsabilità oggettiva.Patalano ritiene che nessuno dei due orientamenti delineati riesce ad individuare la ratio della norma che prevede un aumento di pena rispetto all’ipotesi di omicidio colposo e di lesioni colpose.A ben vedere,il fondamento della responsabilità risiede nella attitudine del fatto doloso realizzato dall’agente a cagionare la morte o la lesione. Questo evento deve presentarsi come un risultato adeguato alle modalità di realizzazione del fatto doloso. Si dovrà stabilire se la condotta che l’agente realizza nell’intento di cagionare un dato risultato antigiuridico, sia adeguata sotto il profilo causale , a produrre l’evento non voluto previsto dall’art. 586 c.p.

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(causa adeguata). In definitiva si richiede un rapporto di causalità adeguata tra l’evento morte o lesioni e un delitto doloso.Si devono ritenere pertanto esclusi dalla previsione del delitto in esame tutti quei casi nei quali la morte o la lesione siano collegati alla commissione di un delitto doloso da un semplice rapporto di occasionalità.La ratio dell’aggravio della pena va ricercato nel fatto che lo scopo della norma è quello di predisporre una più accentuata tutela della vita e dell’incolumità individuale. Dunque l’art. 586 non si applicherebbe nel caso in cui un rapinatore urti violentemente un passante durante la fuga,cagionandone la morte. In tal caso l’evento morte è indipendente dal reato di rapina e potrebbe configurarsi un omicidio colposo.Diverso sarebbe se la lesione venisse cagionata dal rapinatore in seguito ad uno spintone dato ad un passante,nel corso di una colluttazione con un agente. In questo caso la lesione sarebbe la diretta conseguenza della condotta violenta costitutiva del delitto di rapina.La pena prevista dal 586 è più severa rispetto a quella comminata per altri casi di aberratio delicti perché il fatto base è potenzialmente lesivo di un bene intangibile per eccellenza quale l’incolumità individuale.

3 ) La ratio dell’art. 586 c.p

Siamo ora in grado di comprendere che l’art. 586 viene in essere in tutte quelle ipotesi in cui la lesione della vita o dell’incolumità individuale,costituisce un risultato soltanto eventuale delle modalità di realizzazione di una qualsiasi condotta dolosa.La norma in esame quindi ha una valenza sussidiaria ed è destinata ad essere applicata in tutte quelle ipotesi in cui la morte non sia conseguenza di una condotta dolosa diretta a: 1) realizzare intenzionalmente l’uccisione di un uomo; 2) realizzare lesioni o percosse (omicidio preterintenzionale); 3) morte o lesione prevista come aggravante di un reato complesso.Ai fini della configurabilità del delitto in esame la giurisprudenza segue due criteri fondamentali:

1) Secondo un primo criterio che possiamo definire oggettivo,(perché si fonda sulla considerazione dell’interesse violato dalla commissione del delitto doloso) l’ipotesi delittuosa di cui all’art. 586 c.p. riguarda esclusivamente i fatti di morte o di lesione derivati, come eventi non voluti, da un delitto doloso diretto a violare un bene giuridico diverso da quello della vita e dell’incolumità individuale. Deve quindi trattarsi di un delitto diverso da quello di lesioni.

2) Un secondo criterio che possiamo definire soggettivo, ritiene che l’ipotesi in esame non si applica se la morte o le lesioni furono intenzionalmente perseguiti dall’agente.L’art. 586 farebbe riferimento ad un evento dannoso non voluto che derivi da un’azione dolosa non diretta a ledere l’altrui incolumità. Dunque l’accertamento per la configurabilità dell’art. 566 c.p. va effettuato tenendo conto della volontà dell’agente;l’intenzionalità della lesione da cui derivi la morte darà luogo all’omicidio preterintenzionale,se invece le lesioni sono conseguenza non voluta,realizzate in occasione di un delitto doloso,allora si configura l’art. 586.In giurisprudenza ed in dottrina si ritiene che l’art. 586 c.p. si applica anche nell’ipotesi in cui la morte o la lesione derivano, come conseguenza non voluta, da un delitto tentato in quanto vi sarebbe una grande assonanza tra la norma in esame e l’art. 83. Ma l’art. 586 c.p. adopera una formulazione diversa rispetto all’art. 83 c.p., esso infatti richiede che l’evento diverso da quello voluto derivi da un fatto preveduto come delitto doloso. Nell’art. 586 c.p. non è sufficiente, come nell’art. 83 c.p., che l’evento sia diverso da quello voluto dall’agente; si richiede che la morte o la lesione siano conseguenza non voluta, ed ulteriore, derivante dalla commissione di un fatto che presenti tutti gli elementi tipici di un delitto doloso,di un fatto cioè completo di tutti gli elementi costitutivi che ne determinano la consumazione.Non vi è dubbio dunque che nell’art. 83 l’agente risponde a titolo di colpa dell’evento realizzato e non voluto anche nel caso di tentativo. Invece se la morte o lesione si verifica in

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seguito ad un delitto tentato,il soggetto risponderà secondo le regole del concorso di reati del tentativo realizzato e di omicidio colposo o lesione colposa ove ne ricorrono gli estremi.La dottrina tende ad escludere l’applicabilità dell’art. 586 nel caso in cui le lesioni o l’omicidio siano conseguenze involontarie dei delitti dolosi contro la vita o l’incolumità individuale. Si è però notato che questo punto di vista non è stato trasfuso nell’art.586 che non pone,sotto tale aspetto alcuna limitazione.Sembra però assurdo paragonare le lesioni volontarie a quelle che si verificano oltre l’intenzione.

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