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1 Scuola di specializzazione per le professioni legali Università degli studi di Napoli Federico II I anno-I corso DIRITTO DELL’UNIONE EUROPEA I procedimenti davanti alla Corte di Giustizia e al Tribunale di prima istanza Avv. Anna Iermano

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Scuola di specializzazione per le professioni legali

Università degli studi di Napoli Federico II

I anno-I corso

DIRITTO DELL’UNIONE EUROPEA

I procedimenti davanti alla Corte di Giustizia

e al Tribunale di prima istanza

Avv. Anna Iermano

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Lezione del 1 marzo 2015

ORGANI GIURISDIZIONALI DELL’UNIONE EUROPEA

TRATTATO SULL’UNIONE EUROPEA TITOLO III

DISPOSIZIONI RELATIVE ALLE ISTITUZIONI

Articolo 13 1. L'Unione dispone di un quadro istituzionale che mira a promuoverne i valori, perseguirne gli obiettivi, servire i suoi interessi, quelli dei suoi cittadini e quelli degli Stati membri, garantire la coerenza, l'efficacia e la continuità delle sue politiche e delle sue azioni. Le istituzioni dell'Unione sono: – il Parlamento europeo, – il Consiglio europeo, – il Consiglio, – la Commissione europea (in appresso "Commissione"), – la Corte di giustizia dell'Unione europea, – la Banca centrale europea, – la Corte dei conti. 2. Ciascuna istituzione agisce nei limiti delle attribuzioni che le sono conferite dai trattati, secondo le procedure, condizioni e finalità da essi previste. Le istituzioni attuano tra loro una leale cooperazione. 3. Le disposizioni relative alla Banca centrale europea e alla Corte dei conti figurano, insieme a disposizioni dettagliate sulle altre istituzioni, nel trattato sul funzionamento dell'Unione europea. 4. Il Parlamento europeo, il Consiglio e la Commissione sono assistiti da un Comitato economico e sociale e da un Comitato delle regioni, che esercitano funzioni consultive.

Articolo 19 1. La Corte di giustizia dell'Unione europea comprende la Corte di giustizia, il Tribunale e i tribunali specializzati. Assicura il rispetto del diritto nell'interpretazione e nell'applicazione dei trattati. Gli Stati membri stabiliscono i rimedi giurisdizionali necessari per assicurare una tutela giurisdizionale effettiva nei settori disciplinati dal diritto dell'Unione. 2. La Corte di giustizia è composta da un giudice per Stato membro. È assistita da avvocati generali. Il Tribunale è composto da almeno un giudice per Stato membro. I giudici e gli avvocati generali della Corte di giustizia e i giudici del Tribunale sono scelti tra personalità che offrano tutte le garanzie di indipendenza e che soddisfino le condizioni richieste agli articoli 253 e 254 del trattato sul funzionamento dell'Unione europea. Sono nominati di comune accordo dai governi degli Stati membri per sei anni. I giudici e gli avvocati generali uscenti possono essere nuovamente nominati. 3. La Corte di giustizia dell'Unione europea si pronuncia conformemente ai trattati: a) sui ricorsi presentati da uno Stato membro, da un'istituzione o da una persona fisica o giuridica; b) in via pregiudiziale, su richiesta delle giurisdizioni nazionali, sull'interpretazione del diritto

dell'Unione o sulla validità degli atti adottati dalle istituzioni; c) negli altri casi previsti dai trattati.

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TRATTATO SUL FUNZIONAMENTO DELL’UNIONE EUROPEA TITOLO I

DISPOSIZIONI ISTITUZIONALI Sezione 5 La Corte di giustizia dell'Unione europea

Articolo 251 (ex articolo 221 del TCE)

La Corte di giustizia si riunisce in sezioni o in grande sezione, conformemente alle regole previste a tal fine dallo statuto della Corte di giustizia dell'Unione europea. Ove ciò sia previsto dallo statuto, la Corte di giustizia può riunirsi anche in seduta plenaria.

Articolo 252 (ex articolo 222 del TCE)

La Corte di giustizia è assistita da otto avvocati generali. Ove ciò sia richiesto dalla Corte di giustizia, il Consiglio, deliberando all'unanimità, può aumentare il numero degli avvocati generali. L'avvocato generale ha l'ufficio di presentare pubblicamente, con assoluta imparzialità e in piena indipendenza, conclusioni motivate sulle cause che, conformemente allo statuto della Corte di giustizia dell'Unione europea, richiedono il suo intervento.

Articolo 253 (ex articolo 223 del TCE)

I giudici e gli avvocati generali della Corte di giustizia, scelti tra personalità che offrano tutte le garanzie di indipendenza e che riuniscano le condizioni richieste per l'esercizio, nei rispettivi paesi, delle più alte funzioni giurisdizionali, ovvero che siano giureconsulti di notoria competenza, sono nominati di comune accordo per sei anni dai governi degli Stati membri, previa consultazione del comitato di cui all'articolo 255. Ogni tre anni si procede a un rinnovo parziale dei giudici e degli avvocati generali, alle condizioni previste dallo statuto della Corte di giustizia dell'Unione europea. I giudici designano tra loro, per tre anni, il presidente della Corte di giustizia. Il suo mandato è rinnovabile. I giudici e gli avvocati generali uscenti possono essere nuovamente nominati. La Corte di giustizia nomina il proprio cancelliere, di cui fissa lo statuto. La Corte di giustizia stabilisce il proprio regolamento di procedura. Tale regolamento è sottoposto all'approvazione del Consiglio.

Articolo 254 (ex articolo 224 del TCE)

Il numero dei giudici del Tribunale è stabilito dallo statuto della Corte di giustizia dell'Unione europea. Lo statuto può prevedere che il Tribunale sia assistito da avvocati generali. I membri del Tribunale sono scelti tra persone che offrano tutte le garanzie di indipendenza e possiedano la capacità per l'esercizio di alte funzioni giurisdizionali. Essi sono nominati di comune accordo per sei anni dai governi degli Stati membri, previa consultazione del comitato di cui all'articolo 255. Ogni tre anni si procede a un rinnovo parziale. I membri uscenti possono essere nuovamente nominati. I giudici designano tra loro, per tre anni, il presidente del Tribunale. Il suo mandato è rinnovabile. Il Tribunale nomina il proprio cancelliere, di cui fissa lo statuto. Il Tribunale stabilisce il proprio regolamento di procedura di concerto con la Corte di giustizia. Tale regolamento è sottoposto all'approvazione del Consiglio. Salvo quanto diversamente disposto dallo statuto della Corte di giustizia dell'Unione europea, le disposizioni dei trattati relative alla Corte di giustizia sono applicabili al Tribunale.

Articolo 255 È istituito un comitato con l'incarico di fornire un parere sull'adeguatezza dei candidati all'esercizio delle funzioni di giudice e di avvocato generale della Corte di giustizia e del Tribunale, prima che i governi degli Stati membri procedano alle nomine in conformità degli articoli 253 e 254. Il comitato è composto da sette personalità scelte tra ex membri della Corte di giustizia e del Tribunale, membri dei massimi organi giurisdizionali nazionali e giuristi di notoria competenza, uno dei quali è proposto dal Parlamento europeo. Il Consiglio adotta una decisione che stabilisce le regole di funzionamento

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di detto comitato e una decisione che ne designa i membri. Esso delibera su iniziativa del presidente della Corte di giustizia.

Articolo 256 (ex articolo 225 del TCE)

1 Il Tribunale è competente a conoscere in primo grado dei ricorsi di cui agli articoli 263, 265, 268, 270 e 272, ad eccezione di quelli attribuiti a un tribunale specializzato istituito in applicazione dell'articolo 257 e di quelli che lo statuto riserva alla Corte di giustizia. Lo statuto può prevedere che il Tribunale sia competente per altre categorie di ricorsi. Le decisioni emesse dal Tribunale ai sensi del presente paragrafo possono essere oggetto di impugnazione dinanzi alla Corte di giustizia per i soli motivi di diritto e alle condizioni ed entro i limiti previsti dallo statuto. 2. Il Tribunale è competente a conoscere dei ricorsi proposti contro le decisioni dei tribunali specializzati. Le decisioni emesse dal Tribunale ai sensi del presente paragrafo possono eccezionalmente essere oggetto di riesame da parte della Corte di giustizia, alle condizioni ed entro i limiti previsti dallo statuto, ove sussistano gravi rischi che l'unità o la coerenza del diritto dell'Unione siano compromesse. 3. Il Tribunale è competente a conoscere delle questioni pregiudiziali, sottoposte ai sensi dell'articolo 267, in materie specifiche determinate dallo statuto. Il Tribunale, ove ritenga che la causa richieda una decisione di principio che potrebbe compromettere l'unità o la coerenza del diritto dell'Unione, può rinviare la causa dinanzi alla Corte di giustizia affinché si pronunci. Le decisioni emesse dal Tribunale su questioni pregiudiziali possono eccezionalmente essere oggetto di riesame da parte della Corte di giustizia, alle condizioni ed entro i limiti previsti dallo statuto, ove sussistano gravi rischi che l'unità o la coerenza del diritto dell'Unione siano compromesse.

Articolo 257

(ex articolo 225 A del TCE) Il Parlamento europeo e il Consiglio, deliberando secondo la procedura legislativa ordinaria, possono istituire tribunali specializzati affiancati al Tribunale, e incaricati di conoscere in primo grado di talune categorie di ricorsi proposti in materie specifiche. Il Parlamento europeo e il Consiglio deliberano mediante regolamenti su proposta della Commissione e previa consultazione della Corte di giustizia o su richiesta della Corte di giustizia e previa consultazione della Commissione. Il regolamento sull'istituzione di un tribunale specializzato stabilisce le regole relative alla composizione di tale tribunale e precisa la portata delle competenze ad esso conferite. Le decisioni dei tribunali specializzati possono essere oggetto di impugnazione per i soli motivi di diritto o, qualora il regolamento sull'istituzione del tribunale specializzato lo preveda, anche per motivi di fatto, dinanzi al Tribunale. I membri dei tribunali specializzati sono scelti tra persone che offrano tutte le garanzie di indipendenza e possiedano la capacità per l'esercizio di funzioni giurisdizionali. Essi sono nominati dal Consiglio, che delibera all'unanimità. I tribunali specializzati stabiliscono il proprio regolamento di procedura di concerto con la Corte di giustizia. Tale regolamento è sottoposto all'approvazione del Consiglio. Salvo ove diversamente disposto dal regolamento sull'istituzione del tribunale specializzato, le disposizioni dei trattati relative alla Corte di giustizia dell'Unione europea e le disposizioni dello statuto della Corte di giustizia dell'Unione europea si applicano ai tribunali specializzati. Il titolo I dello statuto e l'articolo 64 del medesimo si applicano in ogni caso ai tribunali specializzati.

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PROCEDURA DI INFRAZIONE/RICORSO PER INADEMPIMENTO DELLO STATO

Articolo 258 TFUE (ex articolo 226 del TCE)

La Commissione, quando reputi che uno Stato membro abbia mancato a uno degli obblighi a lui incombenti in virtù dei trattati, emette un parere motivato al riguardo, dopo aver posto lo Stato in condizioni di presentare le sue osservazioni. Qualora lo Stato in causa non si conformi a tale parere nel termine fissato dalla Commissione, questa può adire la Corte di giustizia dell'Unione europea.

Articolo 259 TFUE (ex articolo 227 del TCE)

Ciascuno degli Stati membri può adire la Corte di giustizia dell'Unione europea quando reputi che un altro Stato membro ha mancato a uno degli obblighi a lui incombenti in virtù dei trattati. Uno Stato membro, prima di proporre contro un altro Stato membro un ricorso fondato su una pretesa violazione degli obblighi che a quest'ultimo incombono in virtù dei trattati, deve rivolgersi alla Commissione. La Commissione emette un parere motivato dopo che gli Stati interessati siano posti in condizione di presentare in contraddittorio le loro osservazioni scritte e orali. Qualora la Commissione non abbia formulato il parere nel termine di tre mesi dalla domanda, la mancanza del parere non osta alla facoltà di ricorso alla Corte.

Articolo 260 TFUE (ex articolo 228 del TCE)

1. Quando la Corte di giustizia dell'Unione europea riconosca che uno Stato membro ha mancato ad uno degli obblighi ad esso incombenti in virtù dei trattati, tale Stato è tenuto a prendere i provvedimenti che l'esecuzione della sentenza della Corte comporta. 2. Se ritiene che lo Stato membro in questione non abbia preso le misure che l'esecuzione della sentenza della Corte comporta‚ la Commissione, dopo aver posto tale Stato in condizione di presentare osservazioni, può adire la Corte. Essa precisa l'importo della somma forfettaria o della penalità, da versare da parte dello Stato membro in questione, che essa consideri adeguato alle circostanze. La Corte, qualora riconosca che lo Stato membro in questione non si è conformato alla sentenza da essa pronunciata, può comminargli il pagamento di una somma forfettaria o di una penalità. Questa procedura lascia impregiudicate le disposizioni dell'articolo 259. 3. La Commissione, quando propone ricorso dinanzi alla Corte in virtù dell'articolo 258 reputando che lo Stato membro interessato non abbia adempiuto all'obbligo di comunicare le misure di attuazione di una direttiva adottata secondo una procedura legislativa, può, se lo ritiene opportuno, indicare l'importo della somma forfettaria o della penalità da versare da parte di tale Stato che essa consideri adeguato alle circostanze. Se la Corte constata l'inadempimento, può comminare allo Stato membro in questione il pagamento di una somma forfettaria o di una penalità entro i limiti dell'importo indicato dalla Commissione. Il pagamento è esigibile alla data fissata dalla Corte nella sentenza.

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Procedura di infrazione ex art. 258 TFUE attivata per violazione della sentenza Traghetti del Mediterraneo* e conclusasi con la seguente sentenza:

SENTENZA DELLA CORTE DI GIUSTIZIA (Terza Sezione)

24 novembre 2011 (*)

«Inadempimento di uno Stato – Principio generale della responsabilità degli Stati membri per violazione del diritto dell’Unione da parte di un loro organo giurisdizionale di ultimo grado –

Esclusione di qualsiasi responsabilità dello Stato per interpretazione delle norme di diritto o per valutazione di fatti e prove da parte di un organo giurisdizionale di ultimo grado – Limitazione, da

parte del legislatore nazionale, della responsabilità dello Stato ai casi di dolo o colpa grave dell’organo giurisdizionale medesimo»

Nella causa C-379/10,

avente ad oggetto il ricorso per inadempimento, ai sensi dell’art. 258 TFUE, proposto il 29 luglio 2010,

Commissione europea, rappresentata dalla sig.ra L. Pignataro e dal sig. M. Nolin, in qualità di agenti, con domicilio eletto in Lussemburgo,

ricorrente,

* Corte di Giustizia, sentenza del 13 giugno 2006, causa C‑173/03, Traghetti del Mediterraneo SpA, in liquidazione c. Repubblica italiana: Il diritto comunitario osta ad una legislazione nazionale che escluda, in maniera generale, la responsabilità dello Stato membro per i danni arrecati ai singoli a seguito di una violazione del diritto comunitario imputabile a un organo giurisdizionale di ultimo grado per il motivo che la violazione controversa risulta da un’interpretazione delle norme giuridiche o da una valutazione dei fatti e delle prove operate da tale organo giurisdizionale. Infatti, escludere, in simili circostanze, ogni responsabilità dello Stato equivarrebbe a privare della sua stessa sostanza il principio secondo il quale gli Stati membri sono tenuti a risarcire i danni cagionati ai singoli da violazioni manifeste del diritto comunitario derivanti dalla decisione di un organo giurisdizionale nazionale di ultimo grado, in quanto una siffatta esclusione non garantirebbe ai singoli una tutela giurisdizionale effettiva dei diritti che il diritto comunitario conferisce loro (v. punti 33, 36, 40, 44, 46 e dispositivo). La responsabilità dello Stato membro per i danni arrecati ai singoli a causa di una violazione del diritto comunitario imputabile ad un organo giurisdizionale nazionale di ultimo grado può sorgere nel caso eccezionale in cui tale organo giurisdizionale abbia violato in modo manifesto il diritto vigente. Tale violazione manifesta si valuta, in particolare, alla luce di un certo numero di criteri quali il grado di chiarezza e di precisione della norma violata, il carattere scusabile o inescusabile dell’errore di diritto commesso, o la mancata osservanza, da parte dell’organo giurisdizionale di cui trattasi, del suo obbligo di rinvio pregiudiziale ai sensi dell’art. 234, terzo comma, CE, ed è presunta, in ogni caso, quando la decisione interessata interviene ignorando manifestamente la giurisprudenza della Corte in materia. A tal proposito, se non si può escludere che il diritto nazionale precisi i criteri, relativi alla natura o al grado di una violazione, da soddisfare affinché possa sorgere la responsabilità dello Stato per violazione del diritto comunitario imputabile ad un organo giurisdizionale nazionale di ultimo grado, tali criteri non possono, in nessun caso, imporre requisiti più rigorosi di quelli derivanti dalla condizione di una manifesta violazione del diritto vigente, quale precisata ai punti 53‑56 della sentenza 30 settembre 2003, causa C‑224/01, Köbler. Pertanto, il diritto comunitario osta ad una legislazione nazionale che limiti la sussistenza di tale responsabilità ai soli casi di dolo o colpa grave del giudice, ove una tale limitazione conducesse ad escludere la sussistenza della responsabilità dello Stato membro interessato in altri casi in cui sia stata commessa una violazione manifesta del diritto vigente (v. punti 42‑44, 46 e dispositivo).

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contro

Repubblica italiana, rappresentata dalla sig.ra G. Palmieri, in qualità di agente, assistita dal sig. G. De Bellis, avvocato dello Stato, con domicilio eletto in Lussemburgo,

convenuta,

LA CORTE (Terza Sezione),

composta dal sig. K. Lenaerts, presidente di sezione, dal sig. J. Malenovský, dalla sig.ra R. Silva de Lapuerta, dai sigg. T. von Danwitz (relatore) e D. Šváby, giudici,

avvocato generale: sig. N. Jääskinen

cancelliere: sig. A. Calot Escobar

vista la fase scritta del procedimento,

vista la decisione, adottata dopo aver sentito l’avvocato generale, di giudicare la causa senza conclusioni,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

1 Con il proprio ricorso, la Commissione europea chiede alla Corte di dichiarare che:

– escludendo qualsiasi responsabilità dello Stato italiano per i danni arrecati ai singoli a seguito di una violazione del diritto dell’Unione imputabile ad un organo giurisdizionale nazionale di ultimo grado, qualora tale violazione risulti da interpretazione di norme di diritto o di valutazione di fatti e prove effettuata dall’organo giurisdizionale medesimo, e

– limitando tale responsabilità ai soli casi di dolo o colpa grave,

ai sensi dell’art. 2, commi 1 e 2, della legge 13 aprile 1988, n. 117, sul risarcimento dei danni cagionati nell’esercizio delle funzioni giudiziarie e sulla responsabilità civile dei magistrati (GURI n. 88, del 15 aprile 1988, pag. 3; in prosieguo: la «legge n. 117/88»), la Repubblica italiana è venuta meno agli obblighi ad essa incombenti in forza del principio generale della responsabilità degli Stati membri per violazioni del diritto dell’Unione da parte di un proprio organo giurisdizionale di ultimo grado.

Contesto normativo nazionale

2 Ai sensi del suo art. 1, la legge n. 117/88 si applica «a tutti gli appartenenti alle magistrature ordinaria, amministrativa, contabile, militare e speciali che esercitano l’attività giudiziaria, indipendentemente dalla natura delle funzioni, nonché agli estranei che partecipano all’esercizio della funzione giudiziaria».

3 L’art. 2 di tale legge così recita:

«1. Chi ha subito un danno ingiusto per effetto di un comportamento, di un atto o di un provvedimento giudiziario posto in essere dal magistrato con dolo o colpa grave nell’esercizio delle sue funzioni ovvero per diniego di giustizia può agire contro lo Stato per ottenere il risarcimento dei

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danni patrimoniali e anche di quelli non patrimoniali che derivino da privazione della libertà personale.

2. Nell’esercizio delle funzioni giudiziarie non può dar luogo a responsabilità l’attività di interpretazione di norme di diritto né quella di valutazione del fatto e delle prove.

3. Costituiscono colpa grave:

a) la grave violazione di legge determinata da negligenza inescusabile;

b) l’affermazione, determinata da negligenza inescusabile, di un fatto la cui esistenza è incontrastabilmente esclusa dagli atti del procedimento;

c) la negazione, determinata da negligenza inescusabile, di un fatto la cui esistenza risulta incontrastabilmente dagli atti del procedimento;

d) l’emissione di provvedimento concernente la libertà della persona fuori dei casi consentiti dalla legge oppure senza motivazione».

Fatti

4 L’art. 2 della legge n. 117/88 ha costituito oggetto, a seguito di un rinvio pregiudiziale, della sentenza 13 giugno 2006, causa C-173/03, Traghetti del Mediterraneo (Racc. pag. I-5177).

5 In tale sentenza la Corte ha affermato, ai punti 33-37, quanto segue:

«33 Considerazioni (…) connesse alla necessità di garantire ai singoli una protezione giurisdizionale effettiva dei diritti che il diritto comunitario conferisce loro, ostano (…) a che la responsabilità dello Stato non possa sorgere per il solo motivo che una violazione del diritto comunitario imputabile ad un organo giurisdizionale nazionale di ultimo grado risulti dall’interpretazione delle norme di diritto effettuata da tale organo giurisdizionale.

34 Da un lato, infatti, l’interpretazione delle norme di diritto rientra nell’essenza vera e propria dell’attività giurisdizionale poiché, qualunque sia il settore di attività considerato, il giudice, posto di fronte a tesi divergenti o antinomiche, dovrà normalmente interpretare le norme giuridiche pertinenti – nazionali e/o comunitarie – al fine di decidere la controversia che gli è sottoposta.

35 Dall’altro lato, non si può escludere che una violazione manifesta del diritto comunitario vigente venga commessa, appunto, nell’esercizio di una tale attività interpretativa, se, per esempio, il giudice dà a una norma di diritto sostanziale o procedurale comunitario una portata manifestamente erronea, in particolare alla luce della pertinente giurisprudenza della Corte in tale materia (v., a questo riguardo, sentenza 30 settembre 2003, causa C-224/01, Köbler, Racc. pag. I-10239, punto 56), o se interpreta il diritto nazionale in modo da condurre, in pratica, alla violazione del diritto comunitario vigente.

36 Come rilevato dall’avvocato generale al paragrafo 52 delle sue conclusioni, escludere, in simili circostanze, ogni responsabilità dello Stato a causa del fatto che la violazione del diritto comunitario deriva da un’operazione di interpretazione delle norme giuridiche effettuata da un organo giurisdizionale equivarrebbe a privare della sua stessa sostanza il principio sancito dalla Corte nella citata sentenza Köbler. Tale constatazione vale, a maggior ragione, per gli organi giurisdizionali di ultimo grado, incaricati di assicurare a livello nazionale l’interpretazione uniforme delle norme giuridiche.

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37 Si deve giungere ad analoga conclusione nel caso di una legislazione che escluda, in maniera generale, la sussistenza di una qualunque responsabilità dello Stato allorquando la violazione imputabile ad un organo giurisdizionale di tale Stato risulti da una valutazione dei fatti e delle prove».

Il procedimento precontenzioso

6 In data 10 febbraio 2009 la Commissione inviava una lettera alla Repubblica italiana in cui dichiarava che, escludendo qualsiasi responsabilità dello Stato italiano per i danni arrecati ai singoli a seguito di una violazione del diritto dell’Unione imputabile a un organo giurisdizionale nazionale di ultimo grado, qualora tale violazione risulti dall’interpretazione di norme di diritto o di valutazione di fatti e prove effettuate dall’organo giurisdizionale medesimo, e limitando tale responsabilità ai soli casi di dolo o colpa grave, ai sensi dell’art. 2, commi 1 e 2, della legge n. 117/88, la Repubblica italiana era venuta meno agli obblighi ad essa incombenti in considerazione del principio generale di responsabilità degli Stati membri per violazione del diritto dell’Unione da parte di un proprio organo giurisdizionale di ultimo grado.

7 Il 9 ottobre seguente la Commissione trasmetteva alla Repubblica italiana una lettera di diffida che restava senza risposta.

8 Con lettera del 22 marzo 2010 la Commissione faceva pervenire alla Repubblica italiana un parere motivato, invitandola ad adottare le misure necessarie per conformarvisi entro il termine di due mesi a decorrere dalla sua ricezione. Atteso che tale parere motivato restava parimenti senza risposta, la Commissione decideva di proporre alla Corte il presente ricorso.

Sul ricorso

Argomenti delle parti

9 La Commissione deduce che le menzionate disposizioni della legge n. 117/88, che hanno già costituito oggetto di esame da parte della Corte nella citata sentenza Traghetti del Mediterraneo, sono incompatibili con la giurisprudenza della Corte relativa alla responsabilità degli Stati membri per violazione del diritto dell’Unione da parte di un proprio organo giurisdizionale di ultimo grado, in particolare con la menzionata sentenza Köbler.

10 A sostegno del ricorso la Commissione deduce, sostanzialmente, due addebiti. Da un lato, contesta alla Repubblica italiana di avere escluso, ai sensi dell’art. 2, secondo comma, della legge n. 117/88, qualsiasi responsabilità dello Stato italiano per i danni causati a singoli dalla violazione del diritto dell’Unione da parte di un proprio organo giurisdizionale di ultimo grado, qualora tale violazione derivi da un’interpretazione di norme di diritto o dalla valutazione di fatti e prove effettuate dall’organo giurisdizionale medesimo. Dall’altro, la Commissione contesta alla Repubblica italiana di aver limitato, in casi diversi dall’interpretazione di norme di diritto o dalla valutazione di fatti e prove, la possibilità di invocare tale responsabilità ai soli casi di dolo o colpa grave, il che non sarebbe conforme ai principi elaborati dalla giurisprudenza della Corte.

11 L’istituzione fa valere, a tal riguardo, che, al punto 42 della menzionata sentenza Traghetti del Mediterraneo, la Corte, richiamandosi alla citata sentenza Köbler, ha rammentato che la responsabilità dello Stato per i danni arrecati ai singoli a causa di una violazione del diritto dell’Unione imputabile ad un organo giurisdizionale nazionale di ultimo grado può sorgere solamente per violazione manifesta del diritto vigente compiuta da tale organo giurisdizionale. La Commissione ricorda che tale violazione manifesta viene valutata, in particolare, alla luce di determinati criteri, quali il grado di chiarezza e di precisione della norma violata, il carattere scusabile ovvero inescusabile dell’errore di diritto commesso, ed è presunta, in ogni caso, quando la decisione interessata interviene ignorando

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manifestamente la giurisprudenza della Corte in materia. Inoltre, a parere della Commissione, non può escludersi che il diritto nazionale precisi tali criteri, criteri che non possono, in nessun caso, imporre requisiti più rigorosi di quelli derivanti dalla condizione della manifesta violazione del diritto vigente.

12 La Commissione deduce che, nella menzionata sentenza Traghetti del Mediterraneo, la Corte ha affermato, da un lato, che il diritto dell’Unione osta ad una legislazione nazionale che escluda, in maniera generale, la responsabilità dello Stato membro interessato per i danni arrecati ai singoli a seguito di una violazione del diritto dell’Unione imputabile a un organo giurisdizionale di ultimo grado, qualora tale violazione derivi da un’interpretazione di norme di diritto o da una valutazione di fatti e prove operate dall’organo giurisdizionale medesimo. L’istituzione ricorda, dall’altro, che la Corte ha parimenti dichiarato l’incompatibilità di una limitazione di tale responsabilità ai soli casi di dolo o colpa grave del giudice, ove una tale limitazione conduca ad escludere la sussistenza della responsabilità dello Stato membro interessato in altri casi in cui sia stata accertata una violazione manifesta del diritto vigente.

13 La Commissione aggiunge che dalla motivazione e dal dispositivo della menzionata sentenza Traghetti del Mediterraneo emerge, conseguentemente, che la Corte ha ritenuto che la normativa italiana in questione determinasse, al tempo stesso, un’esclusione della responsabilità dello Stato nel settore dell’interpretazione delle norme di diritto o della valutazione di fatti e prove nonché una limitazione della responsabilità negli altri settori di attività giurisdizionale, quali la nomina di tutori o le dichiarazioni di incapacità. In tal senso, nella causa da cui è scaturita la detta sentenza, la Corte avrebbe, da un lato, respinto l’interpretazione sostenuta dalla Repubblica italiana all’udienza, secondo cui la legge n. 117/88 conterrebbe unicamente una clausola limitativa della responsabilità per tutti i settori dell’attività giurisdizionale, e, dall’altro, rilevato l’incompatibilità con il diritto dell’Unione delle disposizioni di cui trattasi.

14 Il tenore dell’art. 2 della legge n. 117/88 sarebbe d’altronde inequivocabile a tal riguardo, in quanto la nozione di «colpa grave» figurerebbe ai commi 1 e 3 di tale articolo, ma non al secondo comma del medesimo.

15 Per quanto attiene al secondo addebito, la Commissione deduce che la giurisprudenza della suprema Corte di cassazione, fermo restando che essa non riguarda disposizioni connesse con l’interpretazione del diritto dell’Unione, ha interpretato la nozione di «colpa grave» in termini estremamente restrittivi, il che, in contrasto con i principi elaborati dalla giurisprudenza della Corte, determina una limitazione della responsabilità dello Stato italiano, anche in casi diversi dall’interpretazione di norme di diritto o dalla valutazione di fatti e prove.

16 A tal riguardo, la Commissione richiama due sentenze di detto giudice, pronunciate, rispettivamente, in data 5 luglio 2007, n. 15227, e 18 marzo 2008, n. 7272, secondo cui tale nozione sarebbe stata interpretata, sostanzialmente, in termini tali da coincidere con il «carattere manifestamente aberrante dell’interpretazione» effettuata dal magistrato. In tal senso, la Commissione menziona, in particolare, la massima della seconda delle menzionate sentenze in cui la suprema Corte di cassazione avrebbe affermato che i presupposti previsti dall’art. 2, terzo comma, lett. a), della legge n. 117/88 sussistono «allorquando, nel corso dell’attività giurisdizionale, (...) si sia concretizzata una violazione evidente, grossolana e macroscopica della norma stessa ovvero una lettura di essa in termini contrastanti con ogni criterio logico o l’adozione di scelte aberranti nella ricostruzione della volontà del legislatore o la manipolazione assolutamente arbitraria del testo normativo».

17 A parere della Commissione, la responsabilità dello Stato italiano per violazione del diritto dell’Unione da parte di uno dei propri organi giurisdizionali di ultimo grado non può essere quindi fatta valere negli stessi termini stabiliti dalla giurisprudenza della Corte e risulta, in pratica, difficilmente invocabile.

18 Conseguentemente, sembrerebbe che, malgrado la pronuncia della menzionata sentenza Traghetti del Mediterraneo, il testo della legge n. 117/88 sia stato mantenuto inalterato e che la suprema Corte di

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cassazione non abbia modificato il proprio orientamento giurisprudenziale restrittivo, e ciò nonostante il fatto che detta sentenza abbia operato una «rielaborazione evidente» della normativa di cui trattasi.

19 La Repubblica italiana contesta l’inadempimento addebitatole.

20 A suo parere, la Commissione interpreta erroneamente la legge n. 117/88. L’art. 2 di detta legge conterrebbe unicamente una clausola limitativa della responsabilità, a prescindere dall’attività giurisdizionale in questione. Infatti, i presupposti fissati al primo comma dell’art. 2 della legge medesima, precisati, con riguardo alla nozione di «colpa grave», al successivo terzo comma, si applicherebbero parimenti nell’ambito del secondo comma dell’articolo stesso, relativo all’interpretazione di norme di diritto ed alla valutazione di fatti e prove.

21 Contrariamente a quanto sostenuto dalla Commissione, nella menzionata sentenza Traghetti del Mediterraneo la Corte non avrebbe respinto l’interpretazione dell’art. 2 della legge n. 117/88 sostenuta dalla Repubblica italiana, bensì si sarebbe limitata a rispondere alla questione pregiudiziale formulata dal giudice del rinvio.

22 Inoltre, in tale sentenza, la Corte non si sarebbe espressamente pronunciata sull’incompatibilità della legge n. 117/88 con il diritto dell’Unione. Orbene, la legge italiana non sarebbe di per sé in contrasto con la giurisprudenza della Corte, atteso che ai giudici nazionali sarebbe consentito procedere ad un’interpretazione di tale legge conforme ai requisiti del diritto dell’Unione e, in particolare, a quelli fissati nelle menzionate sentenze Köbler e Traghetti del Mediterraneo. Infatti, la nozione di «colpa grave» contenuta nella normativa italiana in esame coinciderebbe, in effetti, con la condizione della «violazione grave e manifesta del diritto dell’Unione», quale definita dalla giurisprudenza della Corte.

23 La Repubblica italiana deduce che un inadempimento potrebbe essere dichiarato solamente qualora la giurisprudenza nazionale interpretasse la legge n. 117/88 in termini non conformi a tali requisiti. Orbene, la Commissione non sarebbe stata in grado di dimostrare l’esistenza, successivamente alla pronuncia della menzionata sentenza Traghetti del Mediterraneo, di sentenze della suprema Corte di cassazione che accolgano un’interpretazione dell’art. 2 della legge n. 117/88 che presenti un collegamento con il diritto dell’Unione né, tanto meno, di sentenze che accolgano un’interpretazione di tale legge differente da quella sostenuta dal governo italiano.

24 Infatti, le due sentenze della suprema Corte successive alla citata sentenza Traghetti del Mediterraneo, richiamate dalla Commissione, non riguarderebbero una violazione dei principi del diritto dell’Unione. Inoltre, dette sentenze dimostrerebbero che la suprema Corte di cassazione ha inteso il terzo comma, dell’art. 2 della legge n. 177/88 quale strumento interpretativo del precedente secondo comma e che quest’ultimo comma non può essere pertanto inteso nel senso che costituisca una clausola di esclusione della responsabilità.

25 A sostegno di tale argomento, la Repubblica italiana sottolinea che la menzionata sentenza della suprema Corte di cassazione del 18 marzo 2008 non fa alcun riferimento all’art. 2, secondo comma, della legge n. 117/88, laddove, secondo la tesi sostenuta dalla Commissione, l’applicazione di tale disposizione avrebbe peraltro consentito alla suprema Corte di respingere il ricorso nella causa oggetto della sentenza stessa. Dalla mancata menzione di detto secondo comma dell’art. 2 deriverebbe che tale disposizione non può essere, in realtà, intesa nel senso che costituisca una clausola di esclusione della responsabilità.

26 L’errore di interpretazione della Commissione sarebbe parimenti evidenziato dall’affermazione, contenuta nella citata sentenza della suprema Corte di cassazione del 5 luglio 2007, secondo cui le «ipotesi specifiche» previste dall’art. 2 della legge n. 177/88, «hanno quale comune fattore» una negligenza inescusabile. Ne conseguirebbe che tale articolo dovrebbe essere complessivamente inteso nel senso che subordina il sorgere della responsabilità dello Stato al compimento di una negligenza di tal genere da parte del giudice nazionale.

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Giudizio della Corte

27 Si deve rilevare, in limine, che la Repubblica italiana non contesta l’applicabilità dell’art. 2 della legge n. 117/88 alle azioni di responsabilità proposte da singoli nei confronti dello Stato italiano per violazione del diritto dell’Unione da parte di uno dei suoi organi giurisdizionali di ultimo grado.

28 Le parti dissentono, tuttavia, sulla questione della conformità di tale articolo con il diritto dell’Unione e, in particolare, con la giurisprudenza della Corte.

29 Come rammentato da costante giurisprudenza, nell’ambito del procedimento per inadempimento ex art. 258 TFUE, se è pur vero che incombe alla Commissione dimostrare l’esistenza del preteso inadempimento, spetta allo Stato membro convenuto, una volta che la Commissione abbia fornito elementi sufficienti a dimostrare la veridicità dei fatti contestati, confutare in modo sostanziale e dettagliato i dati forniti e le conseguenze che ne derivano (v. sentenze 22 settembre 1988, causa 272/86, Commissione/Grecia, Racc. pag. 4875, punto 21; 7 luglio 2009, causa C-369/07, Commissione/Grecia, Racc. pag. I-5703, punto 75, e 6 ottobre 2009, causa C-335/07, Commissione/Finlandia, Racc. pag. I-9459, punto 47).

30 Si deve rilevare che, al di fuori dei casi di dolo e di diniego di giustizia, l’art. 2, primo comma, della legge n. 117/88 prevede che la responsabilità dello Stato italiano per violazione del diritto dell’Unione può sorgere qualora un magistrato abbia commesso «colpa grave» nell’esercizio delle proprie funzioni. Quest’ultima nozione viene definita nel successivo terzo comma, lett. a), quale «grave violazione di legge determinata da negligenza inescusabile». Ai sensi del secondo comma del medesimo articolo, nell’esercizio delle funzioni giudiziarie non può dar luogo a responsabilità l’interpretazione di norme di diritto né la valutazione dei fatti e delle prove.

31 In primo luogo, la Commissione contesta alla Repubblica italiana di escludere, per effetto dell’art. 2, secondo comma, della legge n. 117/88, qualsiasi responsabilità dello Stato italiano per i danni causati a singoli derivanti da una violazione del diritto dell’Unione compiuta da uno dei suoi organi giurisdizionali di ultimo grado, qualora tale violazione derivi dall’interpretazione di norme di diritto o dalla valutazione dei fatti e delle prove effettuate dal giudice medesimo.

32 A sostegno di tale primo addebito la Commissione deduce che tale disposizione costituisce una clausola di esclusione di responsabilità autonoma rispetto al disposto di cui ai commi 1 e 3 del medesimo art. 2.

33 Si deve ricordare, a tal riguardo, che, ai sensi dell’art. 2 della legge n. 117/88, la normativa italiana in materia di responsabilità dello Stato per i danni causati nell’esercizio delle funzioni giudiziarie prevede, da un lato, ai commi 1 e 3 di tale articolo, che tale responsabilità è limitata ai casi di dolo, di colpa grave e di diniego di giustizia, e, dall’altro, al secondo comma dell’articolo stesso, che «non può dar luogo a responsabilità l’attività di interpretazione di norme di diritto né quella di valutazione del fatto e delle prove». Dall’esplicito tenore di quest’ultima disposizione emerge che tale responsabilità resta esclusa, in via generale, nell’ambito dell’interpretazione del diritto e della valutazione dei fatti e delle prove.

34 Negli stessi termini il giudice del rinvio ha d’altronde esposto l’art. 2 della legge n. 117/88 nelle questioni pregiudiziali sottoposte alla Corte nella causa da cui è scaturita la menzionata sentenza Traghetti del Mediterraneo, come emerge dal punto 20 della medesima.

35 Orbene, ai punti 33-40 di tale sentenza, la Corte ha affermato che il diritto dell’Unione osta ad una legislazione nazionale che escluda, in maniera generale, la responsabilità dello Stato membro per i danni arrecati ai singoli a seguito di una violazione del diritto dell’Unione imputabile a un organo giurisdizionale di ultimo grado per il motivo che la violazione controversa risulti da un’interpretazione delle norme giuridiche o da una valutazione dei fatti e delle prove operate da tale organo giurisdizionale.

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36 La Repubblica italiana deduce, richiamandosi alle due sentenze della suprema Corte di cassazione menzionate supra al punto 16, che l’interpretazione dell’art. 2 della legge n. 117/88 operata dalla Commissione è erronea.

37 Tuttavia, a prescindere dal significato da attribuire al fatto che la motivazione della sentenza della suprema Corte di cassazione del 18 marzo 2008 non fa riferimento all’art. 2, secondo comma, della legge n. 117/88 nonché al passo della sentenza della Corte medesima del 5 luglio 2007, secondo cui le «ipotesi specifiche» previste all’art. 2 di tale legge hanno quale «comune fattore» una negligenza inescusabile, si deve rilevare che, a fronte dell’esplicito tenore dell’art. 2, secondo comma, di tale legge, lo Stato membro convenuto non ha fornito alcun elemento in grado di dimostrare validamente che, nell’ipotesi di violazione del diritto dell’Unione da parte di uno dei propri organi giurisdizionali di ultimo grado, tale disposizione venga interpretata dalla giurisprudenza quale semplice limite posto alla sua responsabilità qualora la violazione risulti dall’interpretazione delle norme di diritto o dalla valutazione dei fatti e delle prove effettuate dall’organo giurisdizionale medesimo, e non quale esclusione di responsabilità.

38 Il primo addebito della Commissione deve essere conseguentemente accolto.

39 In secondo luogo, la Commissione contesta alla Repubblica italiana di limitare, in casi diversi dall’interpretazione delle norme di diritto o dalla valutazione di fatti e di prove, la possibilità di invocare la responsabilità dello Stato italiano per violazione del diritto dell’Unione da parte di uno dei propri organi giurisdizionali di ultimo grado ai soli casi di dolo o di colpa grave, il che non sarebbe conforme ai principi elaborati dalla giurisprudenza della Corte. A tal riguardo, la Commissione sostiene, segnatamente, che la nozione di «colpa grave», di cui all’art. 2, commi 1 e 3, della legge n. 117/88, viene interpretata dalla suprema Corte di cassazione in termini coincidenti con il «carattere manifestamente aberrante dell’interpretazione» effettuata dal magistrato e non con la nozione di «violazione manifesta del diritto vigente» postulata dalla Corte ai fini del sorgere della responsabilità dello Stato per violazione del diritto dell’Unione.

40 Si deve ricordare, a tal riguardo, che, secondo costante giurisprudenza della Corte, tre sono le condizioni in presenza delle quali uno Stato membro è tenuto al risarcimento dei danni causati ai singoli per violazione del diritto dell’Unione al medesimo imputabile, vale a dire che la norma giuridica violata sia preordinata a conferire diritti ai singoli, che si tratti di violazione sufficientemente caratterizzata e, infine, che esista un nesso causale diretto tra la violazione dell’obbligo incombente allo Stato e il danno subito dai soggetti lesi (v. sentenze 5 marzo 1996, cause riunite C-46/93 e C-48/93, Brasserie du pêcheur e Factortame, Racc. pag. I-1029, punto 51; 4 luglio 2000, causa C-424/97, Haim, Racc. pag. I-5123, punto 36, nonché 24 marzo 2009, causa C-445/06, Danske Slagterier, Racc. pag. I-2119, punto 20).

41 La responsabilità dello Stato per i danni causati dalla decisione di un organo giurisdizionale nazionale di ultimo grado che violi una norma di diritto dell’Unione è disciplinata dalle stesse condizioni, ove la Corte ha tuttavia precisato che, in tale contesto, la seconda di dette condizioni dev’essere intesa nel senso che consenta di invocare la responsabilità dello Stato solamente nel caso eccezionale in cui il giudice abbia violato in maniera manifesta il diritto vigente (v. sentenza Köbler, cit., punti 52 e 53).

42 Dalla giurisprudenza della Corte emerge, inoltre, che, se è pur vero che non si può escludere che il diritto nazionale precisi i criteri relativi alla natura o al grado di una violazione, criteri da soddisfare affinché possa sorgere la responsabilità dello Stato in un’ipotesi di tal genere, tali criteri non possono, in nessun caso, imporre requisiti più rigorosi di quelli derivanti dalla condizione di una manifesta violazione del diritto vigente (v. sentenza Traghetti del Mediterraneo, cit., punto 44 nonché la giurisprudenza ivi citata).

43 Nella specie, si deve rilevare che la Commissione ha fornito, alla luce, segnatamente, degli argomenti riassunti supra al punto 16, elementi sufficienti da cui emerge che la condizione della «colpa grave», di cui all’art. 2, commi 1 e 3, della legge n. 117/88, che deve sussistere affinché possa sorgere la

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responsabilità dello Stato italiano, viene interpretata dalla suprema Corte di cassazione in termini tali che finisce per imporre requisiti più rigorosi di quelli derivanti dalla condizione di «violazione manifesta del diritto vigente».

44 In risposta a tale argomento della Commissione la Repubblica italiana si limita, sostanzialmente, ad affermare, da un lato, che le sentenze della suprema Corte di cassazione menzionate supra al punto 16 non riguardano una violazione del diritto dell’Unione e, dall’altro, che l’art. 2 della legge n. 117/88 può essere oggetto di interpretazione conforme al diritto dell’Unione medesimo e che la nozione di «colpa grave» di cui al detto articolo è, in realtà, equivalente a quella di «violazione manifesta del diritto vigente».

45 Orbene, indipendentemente dalla questione se la nozione di «colpa grave», ai sensi della legge n. 117/88, malgrado il rigoroso contesto in cui essa si colloca all’art. 2, terzo comma, della legge medesima, possa essere effettivamente interpretata, nell’ipotesi di violazione del diritto dell’Unione da parte di un organo giurisdizionale di ultimo grado dello Stato membro convenuto, in termini tali da corrispondere al requisito di «violazione manifesta del diritto vigente» fissato dalla giurisprudenza della Corte, si deve rilevare che la Repubblica italiana non ha richiamato, in ogni caso, nessuna giurisprudenza che, in detta ipotesi, vada in tal senso e non ha quindi fornito la prova richiesta quanto al fatto che l’interpretazione dell’art. 2, commi 1 e 3, di tale legge accolta dai giudici italiani sia conforme alla giurisprudenza della Corte.

46 Alla luce della giurisprudenza citata supra al punto 29, si deve concludere che la Repubblica italiana non ha confutato in termini sufficientemente sostanziali e dettagliati l’addebito contestatole dalla Commissione, secondo cui la normativa italiana limita, in casi diversi dall’interpretazione di norme di diritto o dalla valutazione dei fatti e delle prove, la responsabilità dello Stato italiano per violazione del diritto dell’Unione da parte di uno dei propri organi giurisdizionali di ultimo grado in modo non conforme ai principi elaborati dalla giurisprudenza della Corte.

47 Alla luce delle suesposte considerazioni, il secondo addebito della Commissione deve essere accolto ed il ricorso dalla medesima proposto deve ritenersi fondato.

48 Conseguentemente si deve dichiarare che:

– escludendo qualsiasi responsabilità dello Stato italiano per i danni arrecati ai singoli a seguito di una violazione del diritto dell’Unione imputabile a un organo giurisdizionale nazionale di ultimo grado, qualora tale violazione risulti da interpretazione di norme di diritto o di valutazione di fatti e prove effettuate dall’organo giurisdizionale medesimo, e

– limitando tale responsabilità ai soli casi di dolo o colpa grave,

ai sensi dell’art. 2, commi 1 e 2, della legge n. 117/88, la Repubblica italiana è venuta meno agli obblighi ad essa incombenti in forza del principio generale di responsabilità degli Stati membri per violazione del diritto dell’Unione da parte di uno dei propri organi giurisdizionali di ultimo grado.

Sulle spese

49 Ai sensi dell’art. 69, n. 2, del regolamento di procedura, la parte soccombente è condannata alle spese, se ne è stata fatta domanda. Poiché la Commissione ha concluso in tal senso, la Repubblica italiana, rimasta soccombente, deve essere condannata alle spese.

Per questi motivi, la Corte (Terza Sezione) dichiara e statuisce:

1) La Repubblica italiana,

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– escludendo qualsiasi responsabilità dello Stato italiano per i danni arrecati ai singoli a seguito di una violazione del diritto dell’Unione imputabile a un organo giurisdizionale nazionale di ultimo grado, qualora tale violazione risulti da interpretazione di norme di diritto o da valutazione di fatti e prove effettuate dall’organo giurisdizionale medesimo, e

– limitando tale responsabilità ai soli casi di dolo o colpa grave,

ai sensi dell’art. 2, commi 1 e 2, della legge 13 aprile 1988, n. 117, sul risarcimento dei danni cagionati nell’esercizio delle funzioni giudiziarie e sulla responsabilità civile dei magistrati, è venuta meno agli obblighi ad essa incombenti in forza del principio generale di responsabilità degli Stati membri per violazione del diritto dell’Unione da parte di uno dei propri organi giurisdizionali di ultimo grado.

2) La Repubblica italiana è condannata alle spese.

Procedura di infrazione ex art. 260 TFUE

SENTENZA DELLA CORTE (Grande Sezione), 2 dicembre 2014, causa C-196/13, Commissione europea c. Repubblica italiana

1) La Repubblica italiana, non avendo adottato tutte le misure necessarie a dare esecuzione alla sentenza Commissione/Italia (C-135/05, EU:C:2007:250), è venuta meno agli obblighi ad essa incombenti in forza dell’articolo 260, paragrafo l, TFUE.

2) La Repubblica italiana è condannata a versare alla Commissione europea, sul conto «Risorse proprie dell’Unione europea», a partire dal giorno di pronuncia della presente sentenza e fino all’esecuzione della sentenza Commissione/Italia (EU:C:2007:250), una penalità semestrale calcolata, per il primo semestre successivo alla presente sentenza, alla fine di quest’ultimo, a partire da un importo iniziale fissato in EUR 42 800 000, dal quale saranno detratti EUR 400 000 per ciascuna discarica contenente rifiuti pericolosi messa a norma conformemente a detta sentenza ed EUR 200 000 per ogni altra discarica messa a norma conformemente a detta sentenza. Per tutti i semestri successivi, la penalità dovuta per ciascun semestre sarà calcolata, alla fine dello stesso, a partire dall’importo della penalità stabilita per il semestre precedente, applicando le predette detrazioni per le discariche oggetto dell’inadempimento constatato messe a norma nel corso del semestre.

3) La Repubblica italiana è condannata a versare alla Commissione europea, sul conto «Risorse proprie dell’Unione europea», la somma forfettaria di EUR 40 milioni.

4) La Repubblica italiana è condannata alle spese.

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DENUNCIA1

ALLA COMMISSIONE DELLE COMUNITÀ EUROPEE

RIGUARDANTE INADEMPIMENTI DEL DIRITTO COMUNITARIO

1. Cognome e nome del denunciante:

2. Eventualmente rappresentato da:

3. Cittadinanza:

4. Indirizzo o sede sociale2:

5. Telefono/telecopiatrice/posta elettronica:

6. Settore e sede (-i) di attività:

1 L’uso del presente modulo non è obbligatorio. Una denunzia può essere presentata con semplice lettera alla Commissione, ma

è nell’interesse del denunciante includervi il massimo d’informazioni pertinenti. Il presente modulo può essere inviato per posta normale al seguente indirizzo:

Commissione delle Comunità europee

(alla cortese attenzione del Segretario generale)

Rue de la Loi, 200

B-1049 Bruxelles

BELGIO

È ammesso anche il recapito a mano presso uno degli uffici di rappresentanza della Commissione negli Stati membri. Il presente modulo è disponibile anche su supporto informatico, sul “server” Internet dell’Unione europea (http://ec.europa.eu/eu_law/your_rights/your_rights_forms_it.htm).

Perché una denuncia sia ricevibile, deve riguardare una violazione del diritto comunitario commessa da uno Stato membro.

2 Il denunciante è invitato ad informare la Commissione di ogni cambiamento d’indirizzo e di ogni altro fatto che possa incidere sul trattamento della denuncia.

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7. Stato membro o organismo pubblico che, secondo il denunciante, non ha ottemperato al diritto

comunitario:

8. Descrizione circostanziata dei fatti contestati:

9. Se possibile, menzionare le norme del diritto comunitario (trattati, regolamenti, direttive, decisioni ecc.) che, secondo il denunciante, lo Stato membro ha violato:

10. Menzionare l’eventuale finanziamento comunitario (se possibile, con i riferimenti) di cui lo Stato membro in causa beneficia o potrebbe beneficiare, in relazione ai fatti contestati:

11. Eventuali contatti già presi con i servizi della Commissione (se possibile, allegare copia della corrispondenza):

12. Eventuali contatti già presi con altre istituzioni od organi comunitari (per esempio, commissione per le petizioni del Parlamento europeo, mediatore europeo). Se possibile, indicare il riferimento attribuito da tali organi alla lettera del denunciante:

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13. Contatti già presi con le autorità nazionali a livello centrale, regionale o locale (se possibile, allegare copia della corrispondenza):

13.1 iniziative di tipo amministrativo (per esempio, esposto presso le competenti autorità nazionali a livello centrale, regionale o locale o presso il mediatore nazionale o regionale):

13.2 azioni o ricorsi dinanzi ai dei tribunali nazionali o altri procedimenti avviati (per esempio arbitrato o conciliazione). (Indicare se vi è già stata una decisione o sentenza e, in tal caso, allegarne il testo):

14. Indicare qui di seguito e allegare gli eventuali documenti giustificativi ed elementi probanti a sostegno della denuncia, comprese le disposizioni nazionali pertinenti:

15. Riservatezza (apporre una crocetta su una delle due caselle dell’opzione)3:

“Autorizzo la Commissione a indicare la mia identità nei Suoi contatti con le autorità dello Stato membro contro il quale è presentata la denuncia.”

“Chiedo alla Commissione di non indicare la mia identità nei Suoi contatti con le autorità dello Stato membro contro il quale è presentata la denuncia.”

16. Luogo, data e firma del denunciante/del rappresentante:

3 Si noti che, in determinati casi, ai fini del trattamento della denuncia, può risultare indispensabile che i servizi della

Commissione indichino l’identità del denunciante.

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(Nota esplicativa da riprodurre sul modulo di denuncia)

Ogni Stato membro è responsabile dell’applicazione del diritto comunitario (attuazione entro i termini, conformità e corretta applicazione) nel rispettivo ordinamento giuridico interno. A norma dei trattati, la Commissione delle Comunità europee vigila sulla corretta applicazione del diritto comunitario: di conseguenza, se uno Stato membro non lo rispetta, la Commissione dispone di poteri propri (il ricorso per inadempimento) per cercare di porre fine all’infrazione e, se necessario, adisce la Corte di giustizia delle Comunità europee. In seguito a una denuncia oppure in base a presunzioni d’infrazione da essa individuati, la Commissione prende le iniziative che ritiene giustificate.

S’intende per inadempimento la violazione da parte degli Stati membri di obblighi derivanti dal diritto comunitario. L’inadempimento può consistere in un comportamento attivo od in un’omissione. S’intende per Stato lo Stato membro che viola il diritto comunitario, qualunque sia l’autorità – centrale, regionale o locale – responsabile dell’inadempimento.

Chiunque può chiamare in causa uno Stato membro presentando denuncia presso la Commissione contro un provvedimento (legislativo, regolamentare o amministrativo) o contro una prassi imputabile a tale Stato, che il denunciante ritenga contrari ad una disposizione o ad un principio del diritto comunitario. Il denunciante non deve dimostrare un interesse ad agire in tal senso, né deve provare che l’infrazione denunciata lo riguarda a titolo principale e in forma diretta. Si rammenta che, per essere ricevibile, la denuncia deve riguardare una violazione del diritto comunitario da parte di uno Stato membro. Si precisa inoltre che è facoltà dei servizi della Commissione valutare se dare seguito o meno ad una denuncia, in base alle regole e alle priorità stabilite dalla Commissione stessa per l’avvio e la prosecuzione dei procedimenti d’infrazione.

Chiunque ritenga che un provvedimento (legislativo, regolamentare o amministrativo) o una prassi amministrativa sia contrario al diritto comunitario, prima di presentare denuncia alla Commissione o in parallelo con tale presentazione è invitata a rivolgersi alle autorità amministrative o giudiziarie nazionali (compreso il mediatore nazionale o regionale) o seguire procedure di arbitrato e di conciliazione. La Commissione consiglia di avvalersi di questi strumenti di tutela amministrativa, giudiziaria o di altro tipo previsti nel diritto interno prima di presentare una denuncia, dati i vantaggi che possono derivarne per il denunciante.

In genere, esperendo i mezzi di tutela disponibili a livello nazionale, il denunciante può far valere i propri diritti in forma più diretta e specifica (procedimento d’ingiunzione, annullamento di una decisione nazionale, risarcimento del danno) piuttosto che in seguito all’esito favorevole di un procedimento d’infrazione avviato dalla Commissione. Infatti, detto procedimento può richiedere talvolta un certo tempo prima di giungere a una conclusione poiché, prima di adire la Corte di giustizia, la Commissione è tenuta a seguire una fase di contatti con lo Stato membro interessato, per tentare di ottenere la cessazione dell’infrazione.

Inoltre, la sentenza con la quale la Corte constata l’inadempimento non produce effetti sui diritti del denunciante, poiché non è intesa a decidere su di una situazione individuale. Essa si limita a imporre allo Stato membro di conformarsi al diritto comunitario. Le domande di risarcimento provenienti da privati devono essere rivolte alle autorità giudiziarie nazionali.

A favore del denunciante sono previste garanzie amministrative esposte qui di seguito:

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a) Dopo che la denuncia è stata registrata presso il segretariato generale della Commissione, se viene ritenuta ricevibile, Le viene attribuito un numero ufficiale. Subito dopo viene inviata al denunciante una lettera in attestante la ricezione della denuncia e che comunica il numero attribuito; numero che è bene menzionare in ogni corrispondenza successiva. L’attribuzione di un numero ufficiale ad una denunzia non implica necessariamente l’avvio di un procedimento d’infrazione contro lo Stato membro in causa.

b) Qualora i servizi della Commissione decidano d’intervenire presso le autorità dello Stato membro contro il quale è stata presentata la denuncia, lo faranno rispettando la scelta del denunciante di cui al punto 15 del presente modulo.

c) Nei i limiti del possibile, la Commissione decide sul merito della pratica (avvio di un procedimento d’infrazione oppure archiviazione) entro i dodici mesi successivi alla data di registrazione della denuncia presso il segretariato generale.

d) Il servizio competente, qualora intenda proporre alla Commissione di decidere l’archiviazione della denuncia, ne informa previamente il denunciante. Inoltre, i servizi della Commissione tengono informato il denunciante sull’andamento dell’eventuale procedimento d’infrazione.

http://ec.europa.eu/eu_law/your_rights/your_rights_forms_en.htm La denuncia può essere inoltrata via mail all'indirizzo di posta elettronica [email protected] oppure per posta ordinaria al seguente indirizzo: Commission européenne

(Secretary-General) B-1049 Bruxelles

BELGIUM

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PROCEDURE DI INFRAZIONE-ITALIA

http://www.politichecomunitarie.it/struttura/15815/struttura-di-missione

Con DPCM del 28 luglio 2006 è stata istituita, presso il Dipartimento Politiche Europee, una

Struttura di missione con i compiti di prevenire l’insorgere del contenzioso comunitario e di

rafforzare il coordinamento delle attività volte alla risoluzione delle procedure d’infrazione.

Per quanto riguarda il primo dei due aspetti, la Struttura si propone un intervento il più possibile

anticipato, perfino anteriore all’apertura formale delle procedure, operando per garantire il

tempestivo recepimento del diritto comunitario e attivandosi presso la Commissione già in fase di

reclamo.

In relazione al secondo profilo, la Struttura svolge una funzione di assistenza e di coordinamento

delle Amministrazioni nazionali e di cura dei rapporti con la Commissione. In questo modo,

contribuisce attivamente alla risoluzione delle procedure d’infrazione e alla complessiva riduzione

dell’incidenza del contenzioso comunitario, obiettivi che costituiscono una delle priorità della

politica europea del Governo.

La Struttura di missione ha impresso un nuovo impulso alla gestione delle procedure d’infrazione,

rendendo più ordinato ed agevole il dialogo con la Commissione che ora può contare su un

interlocutore sicuro nella trattazione delle procedure di infrazione. In tal senso, particolarmente

significative sono le sempre più numerose decisioni della Commissione di autorizzazioni di contatti

tra i suoi Servizi e le autorità italiane, per la ricerca congiunta di soluzioni idonee a porre rimedio

alle procedure di infrazione.

Sul versante interno, la creazione della Struttura di missione mira ad un miglior coordinamento

della posizione da presentare alla Commissione in risposta alle richieste di informazioni, alle lettere

di messa in mora e ai pareri motivati, tramite la convocazione sistematica di riunioni con le

amministrazioni interessate.

Un altro importante strumento è quello delle riunioni pacchetto con le quali si procede, sotto la

presidenza del Dipartimento Politiche Europee, ad un esame congiunto tra la Commissione e le

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Amministrazioni interessate di un certo numero di procedure di infrazione o di casi ancora allo

stadio di reclamo afferenti ad uno stesso settore. Grazie al dialogo informale che le caratterizza ed

alla conseguente possibilità di fornire in via diretta i necessari chiarimenti e informazioni, le riunioni

pacchetto consentono un dialogo costruttivo e la ricerca di soluzioni condivise, così agevolando

una positiva conclusione di molte procedure già aperte o ancora allo stadio di reclamo.

La Struttura di missione si fa anche carico di organizzare e coordinare numerosi incontri a

Bruxelles tra amministrazioni centrali o locali e i Servizi della Commissione per la discussione di

singole procedure d’infrazione, incontri che rappresentano un'utile occasione per fornire

chiarimenti e assumere impegni con l’istituzione comunitaria. Nei rapporti con le amministrazioni

interessate da procedure d’infrazione una particolare insistenza viene posta sulla necessità della

canalizzazione attraverso il Dipartimento della corrispondenza in materia con la Commissione,

anche in vista della creazione di un Archivio informatico nazionale delle procedure di infrazione, la

cui predisposizione è in fase di avanzata progettazione.

EUR-Infra

EUR-Infra è l'archivio informatico nazionale delle procedure di infrazione realizzato dal

Dipartimento Politiche Europee per rendere più efficiente la trattazione dei casi di non conformità

dell'ordinamento interno rispetto al diritto comunitario.

E' la prima volta che viene realizzato uno strumento che raccoglie tutte le procedure di infrazioni

aperte e consente di effettuare ricerche secondo diversi parametri di interesse, quali il tipo di

violazione, la materia, lo stadio della procedura e l'Amministrazione capofila, offrendo informazioni

utili sia a fini statistici che operativi.

Ma EUR-Infra rappresenta anche un nuovo strumento di lavoro per tutte le amministrazioni

coinvolte nelle procedure di infrazione che avranno la possibilità di accedere (sezione del sito non

visibile al pubblico) a informazioni relative allo stato della procedura e a tutta la documentazione in

forma digitalizzata della pratica.

In tal modo, sarà possibile gestire con maggiore efficacia le procedure e poter contare su dati e

informazioni completi, attendibili ed ufficiali sulla situazione delle procedure d'infrazione a carico

dell'Italia, grazie ad un'attività di costante aggiornamento curata direttamente dai responsabili dei

dossiers.

EUR-Infra è stato presentato nel corso di una conferenza stampa l'8 gennaio 2008.

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I numeri delle infrazioni

Aggiornamento al 26 febbraio 2015

Le procedure d'infrazione a carico del nostro Paese si attestano a 91, di cui 75 riguardano casi di

violazione del diritto dell'Unione e 16 attengono a mancato recepimento di direttive.

Suddivisione delle procedure per settore

Affari economici e finanziari 5

Affari esteri 2

Affari interni 6

Agricoltura 1

Ambiente 16

Appalti 5

Comunicazioni 2

Concorrenza e aiuti di stato 5

Energia 3

Fiscalità e dogane 9

Giustizia 4

Lavoro e affari sociali 4

Libera circolazione dei capitali 1

Libera circolazione delle merci 1

Libera circolazione delle persone 3

Libera prestazione dei servizi e stabilimento 4

Pesca 1

Salute 6

Trasporti 11

Tutela dei consumatori 2

Totale 91

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LEGGE 24 dicembre 2012, n. 234

Norme generali sulla partecipazione dell’Italia alla formazione

e all'attuazione della normativa e delle politiche dell'Unione europea.

GU n.3 del 4-1-2013. Entrata in vigore del provvedimento: 19/01/2013

Art. 14

Informazione al Parlamento su procedure giurisdizionali e di pre-contenzioso riguardanti l'Italia

1. Il Presidente del Consiglio dei Ministri o il Ministro per gli affari europei, sulla base delle

informazioni ricevute dalle amministrazioni competenti, trasmette ogni tre mesi alle Camere, alla Corte

dei conti, alle regioni e alle province autonome un elenco, articolato per settore e materia:

a) delle sentenze della Corte di giustizia dell'Unione europea relative a giudizi di cui l'Italia sia stata parte

o che abbiano rilevanti conseguenze per l'ordinamento italiano;

b) dei rinvii pregiudiziali disposti ai sensi dell'articolo 267 del Trattato sul funzionamento dell'Unione

europea da organi giurisdizionali italiani;

c) delle procedure d'infrazione avviate nei confronti dell'Italia ai sensi degli articoli 258 e 260 del

Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, con informazioni sintetiche sull'oggetto e sullo stato del

procedimento nonchè sulla natura delle eventuali violazioni contestate all'Italia;

(….).

Art. 15

Controllo parlamentare sulle procedure d'infrazione riguardanti l'Italia

1. Il Presidente del Consiglio dei Ministri o il Ministro per gli affari europei comunica alle Camere,

contestualmente alla ricezione della relativa notifica da parte della Commissione europea, le decisioni

assunte dalla stessa Commissione concernenti l'avvio di una procedura d'infrazione di cui agli articoli 258

e 260 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea. Della comunicazione viene informato il

Ministro con competenza prevalente, nonchè ogni altro soggetto pubblico il cui comportamento sia messo in

causa dal ricorso o dalla procedura d'infrazione di cui al primo periodo.

2. Entro venti giorni dalla comunicazione di cui al comma 1, il Ministro con competenza prevalente è

tenuto a trasmettere alle Camere una relazione che illustra le ragioni che hanno determinato

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l'inadempimento o la violazione contestati con la procedura d'infrazione, indicando altresì le

attività svolte e le azioni che si intende assumere ai fini della positiva soluzione della procedura stessa. La

relazione è trasmessa contestualmente al Presidente del Consiglio dei Ministri o al Ministro per gli affari

europei. Le Camere possono assumere al riguardo tutte le opportune deliberazioni in conformità ai rispettivi

Regolamenti.

3. Il Presidente del Consiglio dei Ministri o il Ministro per gli affari europei informa senza ritardo le Camere

e la Corte dei conti di ogni sviluppo significativo relativo a procedure d'infrazione basate sull'articolo 260 del

Trattato sul funzionamento dell'Unione europea.

……………………………..

Art. 30 Contenuti della legge di delegazione europea e della legge europea

1. La legge di delegazione europea e la legge europea, di cui all'articolo 29, assicurano il periodico

adeguamento dell'ordinamento nazionale all'ordinamento dell'Unione europea.

2. La legge di delegazione europea, al fine dell'adempimento degli obblighi di cui all'articolo 1, reca:

a) disposizioni per il conferimento al Governo di delega legislativa volta esclusivamente

all'attuazione delle direttive europee e delle decisioni quadro da recepire nell'ordinamento

nazionale, esclusa ogni altra disposizione di delegazione legislativa non direttamente riconducibile al

recepimento degli atti legislativi europei;

b) disposizioni per il conferimento al Governo di delega legislativa, diretta a modificare o abrogare

disposizioni statali vigenti, limitatamente a quanto indispensabile per garantire la conformita'

dell'ordinamento nazionale ai pareri motivati indirizzati all'Italia dalla Commissione europea ai sensi

dell'articolo 258 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea o al dispositivo di sentenze di

condanna per inadempimento emesse della Corte di giustizia dell'Unione europea;

(…)

3. La legge europea reca: a) disposizioni modificative o abrogative di disposizioni statali vigenti in

contrasto con gli obblighi indicati all'articolo 1; b) disposizioni modificative o abrogative di disposizioni

statali vigenti oggetto di procedure d'infrazione avviate dalla Commissione europea nei confronti

della Repubblica italiana o di sentenze della Corte di giustizia dell'Unione europea; c) disposizioni

necessarie per dare attuazione o per assicurare l'applicazione di atti dell'Unione europea; d) disposizioni

occorrenti per dare esecuzione ai trattati internazionali conclusi nel quadro delle relazioni esterne

dell'Unione europea; e) disposizioni emanate nell'esercizio del potere sostitutivo di cui all'articolo 117,

quinto comma, della Costituzione, in conformita' ai principi e nel rispetto dei limiti di cui all'articolo 41,

comma 1, della presente legge.

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(…)

Art. 41 Poteri sostitutivi dello Stato

1. In relazione a quanto disposto dagli articoli 117, quinto comma, e 120, secondo comma, della

Costituzione, fermo restando quanto previsto dal decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, i

provvedimenti di attuazione degli atti dell'Unione europea possono essere adottati dallo Stato nelle

materie di competenza legislativa delle regioni e delle province autonome al fine di porre rimedio

all'eventuale inerzia dei suddetti enti nel dare attuazione ad atti dell'Unione europea. In tale caso, i

provvedimenti statali adottati si applicano, per le regioni e per le province autonome nelle quali non sia

ancora in vigore la relativa normativa di attuazione, a decorrere dalla scadenza del termine stabilito

per l'attuazione della rispettiva normativa dell'Unione europea e perdono comunque efficacia dalla

data di entrata in vigore dei provvedimenti di attuazione di ciascuna regione e provincia autonoma. I

provvedimenti statali recano l'esplicita indicazione della natura sostitutiva del potere esercitato e del

carattere cedevole delle disposizioni in essi contenute. I predetti atti normativi sono sottoposti al

preventivo esame della Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province

autonome di Trento e di Bolzano.

2. Nei casi di cui all'articolo 37, qualora gli obblighi di adeguamento ai vincoli derivanti

dall'ordinamento dell'Unione europea riguardino materie di competenza legislativa o amministrativa delle

regioni e delle province autonome, il Presidente del Consiglio dei Ministri o il Ministro per gli affari

europei informa gli enti interessati assegnando un termine per provvedere e, ove necessario, chiede che la

questione sia sottoposta all'esame della Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le

province autonome di Trento e di Bolzano per concordare le iniziative da assumere. In caso di mancato

tempestivo adeguamento da parte dei suddetti enti, il Presidente del Consiglio dei Ministri o il Ministro

per gli affari europei propone al Consiglio dei Ministri le opportune iniziative ai fini dell'esercizio dei poteri

sostitutivi di cui agli articoli 117, quinto comma, e 120, secondo comma, della Costituzione, ai sensi del

comma 1 del presente articolo e delle altre disposizioni vigenti in materia.

Art. 43 Diritto di rivalsa dello Stato nei confronti di regioni o di altri enti pubblici responsabili di

violazioni del diritto dell'Unione europea

1. Al fine di prevenire l'instaurazione delle procedure d'infrazione di cui agli articoli 258 e seguenti

del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea o per porre termine alle stesse, le regioni, le province

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autonome, gli enti territoriali, gli altri enti pubblici e i soggetti equiparati adottano ogni misura necessaria

a porre tempestivamente rimedio alle violazioni, loro imputabili, degli obblighi degli Stati nazionali derivanti

dalla normativa dell'Unione europea. Essi sono in ogni caso tenuti a dare pronta esecuzione agli obblighi

derivanti dalle sentenze rese dalla Corte di giustizia dell'Unione europea, ai sensi dell'articolo 260,

paragrafo 1, del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea.

2. Lo Stato esercita nei confronti dei soggetti di cui al comma 1, che si rendano responsabili della

violazione degli obblighi derivanti dalla normativa dell'Unione europea o che non diano

tempestiva esecuzione alle sentenze della Corte di giustizia dell'Unione europea, i poteri

sostitutivi necessari, secondo i principi e le procedure stabiliti dall'articolo 8 della legge 5 giugno 2003,

n. 131, e dall'articolo 41 della presente legge.

3. Lo Stato ha diritto di rivalersi nei confronti dei soggetti di cui al comma 1 indicati dalla

Commissione europea nelle regolazioni finanziarie operate a carico dell'Italia a valere sulle risorse del

Fondo europeo agricolo di garanzia (FEAGA), del Fondo europeo agricolo per lo sviluppo rurale

(FEASR) e degli altri fondi aventi finalità strutturali.

4. Lo Stato ha diritto di rivalersi sui soggetti responsabili delle violazioni degli obblighi di cui al comma 1

degli oneri finanziari derivanti dalle sentenze di condanna rese dalla Corte di giustizia dell'Unione

europea ai sensi dell'articolo 260, paragrafi 2 e 3, del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea.

5. Lo Stato esercita il diritto di rivalsa di cui ai commi 3, 4 e 10:

a) nei modi indicati al comma 7, qualora l'obbligato sia un ente territoriale;

b) mediante prelevamento diretto sulle contabilità speciali obbligatorie istituite presso le sezioni di

tesoreria provinciale dello Stato, ai sensi della legge 29 ottobre 1984, n. 720, per tutti gli enti e gli

organismi pubblici, diversi da quelli indicati nella lettera a), assoggettati al sistema di tesoreria unica;

c) nelle vie ordinarie, qualora l'obbligato sia un soggetto equiparato e in ogni altro caso non rientrante

nelle previsioni di cui alle lettere a) e b).

(…)

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Illecito dello Stato italiano-legislatore per violazione del diritto dell’UE

Sulla natura della responsabilità: Corte di cassazione, Sezioni unite civili, Sentenza 17 aprile 2009, n. 9147 4.8. Sulla base del descritto complesso di principi e regole, va data continuità all'indirizzo della giurisprudenza da ultimo richiamata, secondo cui i profili sostanziali della tutela apprestata dal diritto comunitario inducono a reperire gli strumenti utilizzabili nel diritto interno fuori dallo schema della responsabilità civile extracontrattuale e in quello dell'obbligazione ex lege dello Stato inadempiente, di natura indennitaria per attività non antigiuridica, che il giudice deve determinare in base ai presupposti oggettivi sopra indicati, in modo che sia idonea a porre riparo effettivo ed adeguato al pregiudizio subito dal singolo. La qualificazione in termini di obbligazione indennitaria, del resto, consente di assoggettare allo stesso regime giuridico sia il caso, come quello in esame, di attuazione tardiva di una direttiva senza alcuna previsione di riparazione del pregiudizio per l'inadempimento, sia quello dell'intervento legislativo specifico, preordinato alla disciplina dell'obbligazione risarcitoria (come avvenuto, ad esempio, con il d.lgs. n. 80 del 1992, art. 7, comma 2, in tema tutela dei lavoratori subordinati in caso di insolvenza del datore di lavoro, su cui la citata Cass. n. 8110/2002). E ciò in linea con il principio secondo cui la qualificazione della situazione soggettiva dei privati deve farsi con esclusivo riferimento ai criteri dell'ordinamento giuridico interno (cfr. Cass., sez. un., 27 luglio 1993, n. 8385), imponendo l'ordinamento comunitario soltanto il raggiungimento di un determinato risultato. 4.9. In conclusione, per realizzare il risultato imposto dall'ordinamento comunitario con i mezzi offerti dall'ordinamento interno, si deve riconoscere al danneggiato un credito alla riparazione del pregiudizio subito per effetto del c.d. fatto illecito del legislatore di natura indennitaria, rivolto, in presenza del requisito di gravità della violazione ma senza che operino i criteri di imputabilità per dolo o colpa, a compensare l'avente diritto della perdita subita in conseguenza del ritardo oggettivamente apprezzabile e avente perciò natura di credito di valore, rappresentando il danaro soltanto l'espressione monetaria dell'utilità sottratta al patrimonio. 4.10. Ne consegue che la pretesa risarcitoria azionata dal C., insorta nel momento in cui il pregiudizio si è verificato, è assoggettata al termine di prescrizione ordinaria (decennale) perché diretta all'adempimento di un'obbligazione ex lege (di natura indennitaria), riconducibile come tale all'area della responsabilità contrattuale. Ciò comporta il giudizio di infondatezza dell'eccezione di prescrizione, considerato che la sentenza impugnata afferma che, in ogni caso, la prescrizione decorreva solo dal conseguimento dell'attestato di specializzazione (5 novembre 1992), ritenendo maturato il credito risarcitorio a questa data; che questa affermazione non ha formato oggetto di contestazione da parte del ricorrente; che la domanda giudiziale - tra l'altro preceduta da atto interruttivo del 22 giugno 2000 (fatto riferito dal ricorrente) - è stata proposta il 25 gennaio 2001.

Sulla prescrizione: Corte di cassazione, sez. III civile - sentenza 17 maggio 2011, n.10813

1. Nel caso di direttiva comunitaria sufficientemente specifica nell’attribuire diritti ai singoli, ma non self-executing, l'inadempimento statuale alla direttiva determina una condotta idonea a cagionare in modo permanente un obbligo di risarcimento danni a favore dei soggetti che successivamente si vengano a trovare in condizioni di fatto tali che, se la direttiva fosse stata adempiuta, avrebbero acquisito il o i diritti da essa riconosciuti, con la conseguenza che la prescrizione decennale del relativo diritto risarcitorio non corre, perché la condotta di inadempimento statuale cagiona l'obbligo risarcitorio di die in die.

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2. Qualora, nel caso di direttiva comunitaria sufficientemente specifica nell’attribuire diritti ai singoli, ma non self-executing, intervenga un atto legislativo di adempimento parziale della direttiva sotto il profilo oggettivo verso tutti i soggetti da essa contemplati, dall'entrata in vigore di detto atto inizia il decorso della prescrizione decennale dell'azione di risarcimento danni di tali soggetti per la parte di direttiva non adempiuta. 3. Qualora, nel caso di direttiva comunitaria sufficientemente specifica nell’attribuire diritti ai singoli, ma non self-executing, intervenga invece un atto legislativo di adempimento della direttiva che sia parziale sotto il profilo soggettivo, nei senso che, o provveda solo per il futuro, o provveda riguardo a determinate categorie di soggetti fra quelle cui la direttiva era applicabile, accomunate esclusivamente dal mero dato temporale della verificazione delle situazioni di fatto giustificative dell'acquisto del diritto o dei diritti per il caso che la direttiva fosse stata attuata tempestivamente, il corso della prescrizione per i soggetti esclusi non inizia, perché la residua condotte di inadempimento sul piano soggettivo continua a cagionare in modo permanente il danno e, quindi, a giustificare l'obbligo risarcitorio. 4. Qualora, nel caso di direttiva comunitaria sufficientemente specifica nell’attribuire diritti ai singoli, ma non self-executing, l'atto di adempimento parziale sul piano soggettivo concerna alcuni dei soggetti riguardo ai quali si erano verificate situazioni di fatto giustificative dell'acquisto del diritto o dei diritti per il caso che la direttiva fosse stata attuata tempestivamente, scelti, però, sulla base di circostanze fattuali diverse dal mero dato temporale che li accomuna, la condotta di inadempimento per i soggetti esclusi non può più dirsi cagionare in modo permanente la situazione dannosa nei loro confronti, con la conseguenza che riguardo ad essi inizia il corso della prescrizione decennale del diritto al risarcimento. 5. Il diritto al risarcimento del danno da inadempimento della direttiva n. 82/76/CEE, riassuntiva delle direttive n. 75/362/CEE e n. 75/363/CEE, insorto a favore dei soggetti che avevano seguito corsi di specializzazione medica negli anni dal 1 gennaio 1983 all'anno accademico 1990-1991 in condizioni tali che se detta direttiva fosse stata adempiuta avrebbero acquisito i diritti da essa previsti, si prescrive nei termine di dieci anni decorrente dal 27 ottobre 1999, data di entrata in vigore dell'art. 11 della l. n. 370 del 1999.

LEGGE 12 novembre 2011, n. 183 - Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (Legge di stabilita' 2012). (11G0234) (GU n.265 del 14-11-2011 - Suppl. Ordinario n. 234 )

Art. 4 , co. 43 Riduzioni delle spese non rimodulabili dei Ministeri

Comma 43. La prescrizione del diritto al risarcimento del danno derivante da mancato recepimento nell'ordinamento dello Stato di direttive o altri provvedimenti obbligatori comunitari soggiace, in ogni caso, alla disciplina di cui all'articolo 2947 del codice civile* e decorre dalla data in cui il fatto, dal quale sarebbero derivati i diritti se la direttiva fosse stata tempestivamente recepita, si è effettivamente verificato. *prescrizione quinquennale

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Vedi Cassazione 1850/2012: Tale norma non essendo di natura interpretativa, vale solo per i fatti verificatisi successivamente alla sua entrata in vigore. Pertanto, per i fatti verificatisi prima si applica il termine di prescrizione decennale. Cassazione civile , sez. lavoro, sentenza 08.02.2012 n° 1850 In tema di responsabilità dello Stato per mancato recepimento di direttive comunitarie, la norma introdotta dall'art. 4, comma 43, della legge n. 183 del 2011, secondo la quale la prescrizione del diritto al risarcimento del danno soggiace al termine quinquennale ex art. 2947 cod. civ., vale soltanto per i fatti verificatisi successivamente alla sua entrata in vigore, poiché essa non evidenzia i caratteri della norma interpretativa, idonei a sottrarla al principio di irretroattività; ne consegue che, per i fatti anteriori alla novella, opera la prescrizione decennale, secondo la qualificazione giurisprudenziale nei termini dell'inadempimento contrattuale. (Principio affermato in fattispecie relativa al danno da omesso recepimento delle direttive CEE sui compensi dei medici specializzandi).