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Informatore di vita parrocchiale
ANNO XXI- n. 3
SETTEMBRE 2010
Sede:
Piazza San Maurizio, 10
21040 VEDANO OLONA (VA)
Tel. 0332.400109 - www.parrocchiavedano.it
IN QUESTO NUMERO …
EDITORIALE ................................................................... 4
VITA DELLA CHIESA
La beatificazione del caridnal Newman……......7
VITA PARROCCHIALE
Il 25° di ordinazione di
don Giuseppe Marinoni .................................... 9
Programma festa patronale............................. 12
Un amico è un sostegno potente; chi lo trova
ha trovato un tesoro ........................................ 13
STORIA DELLA CHIESA
Le “cose nuove” di Papa Leone XIII ............... 15
INVITO ALLA LETTURA
L’isola del mondo ............................................ 18
La schiena di Parker ....................................... 19
VITA D’ORATORIO
Oratorio 2010…un’altra avventura .................. 20
Cavalese… che campeggio! ........................... 21
Proposte cinematografiche ............................. 22
UN SANTO PER AMICO
Vescovi Milanesi - I Parte ............................... 23
IN MARGINE A UNA POESIA
Come le foglie ................................................. 27
NOTE D’ARCHIVIO ...................................................... 29
RICORDIAMO CHE… ................................................... 30
Direttore responsabile
Don Roberto Verga
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EDITORIALE
Carissimi,
quest’anno ricorre il IV centenario della can-
onizzazione di san Carlo Borromeo, grande
vescovo milanese e co-patrono, con
sant’Ambrogio, della nostra diocesi. Per
questo l’Arcivescovo ha voluto porre al
centro del nuovo anno pastorale proprio san
Carlo: saremo così aiutati ad approfondire
questa figura affascinante, nella convinzione
che guardando ai santi possiamo procedere
nel nostro cammino, perché essi sono come
guide sicure che ci indicano dove porre i
piedi nella nostra salita verso la cima della
montagna, quella santità a cui tutti siamo
chiamati.
don Roberto
L‟Arcivescovo ha voluto scrivere, per il
nuovo anno pastorale, una lettera ai fedeli
ambrosiani, dal titolo: «Santi per vocazione!».
In essa, che si apre con l‟invito alla santità
quale espressione matura del cristianesimo
sull‟esempio di San Carlo, si sviluppano
quattro capitoli. Il primo, introduttivo, «Da
Gerusalemme a Gerico», riprende la parab-
ola del Buon Samaritano quale metafora del
cammino nel mistero di Dio e nell‟amore per
il prossimo. Gli altri tre - «San Carlo e la croce
di Cristo», «San Carlo e la santità della Chi-
esa», «San Carlo e la vocazione del cristiano»
- rileggono la parabola nella filigrana della
vita e della santità del grande Borromeo e si
chiudono ciascuno con proposte pastorali
(«Va‟ e fa‟ anche tu così») suggerite dall‟Ar-
civescovo. Oltre alla lettera ai fedeli ambro-
siani, è stato preparato anche un sussidio,
«In cammino con San Carlo», in cui si trovano
sette «Schede degli impegni del percorso
pastorale». Eccole: carta di comunione per la
missione; avvio e rilancio della fase battesi-
male dell‟iniziazione cristiana; segni concreti
di carità; per una rinnovata pastorale vocazi-
onale; visita alle famiglie; formazione di base
dei laici; preghiere e gesti per il Quarto cen-
tenario della canonizzazione di san Carlo.
Come sussidio alla riflessione pubblichiamo
una recente intervista che il cardinal Tetta-
manzi ha rilasciato per introdurre il nuovo
anno pastorale.
Sarà san Carlo la figura spirituale al centro
del nuovo anno pastorale: perché?
«L‟anno pastorale che inizierà tra pochi
giorni sarà molto importante per la Chiesa di
Milano: il 1° novembre ricorrerà il IV cen-
tenario della canonizzazione di san Carlo. La
nostra diocesi, negli ultimi decenni, ha cele-
brato con solennità due altri importanti anni-
versari: nel 1965, con il cardinale Giovanni
Colombo, venne ricordato il IV centenario
dell‟ingresso in Diocesi del Borromeo. Paolo
VI, che da poco aveva lasciato Milano perché
divenuto pontefice, aveva inviato un bellis-
simo Radiomessaggio ai fedeli ambrosiani.
Poi, nel 1984, il cardinale Carlo Maria Mar-
tini volle ricordare i 400 anni della morte di
san Carlo. In questa occasione Giovanni
Paolo II venne, per la seconda volta, a Mi-
lano a concludere il grande anniversario. Per
questo IV centenario della canonizzazione
siamo desiderosi di poter ricevere dal Santo
Padre Benedetto XVI una Lettera alla nostra
5
Chiesa ambrosiana, in attesa che venga tra
noi nella primavera del 2012 per il VII Incon-
tro Mondiale delle Famiglie che, per sua
scelta, si terrà nella Città di Milano. Un se-
colo prima, per il III centenario della canoniz-
zazione di san Carlo, il papa Pio X aveva
promulgato l‟Enciclica Editae saepe, mentre
l’Arcivescovo di Milano di allora - il cardinal
Andrea Carlo Ferrari - aveva scritto ben tre
Lettere pastorali».
Qual è il tema chiave del cammino che at-
tende la Diocesi?
«Per il nuovo anno pastorale vorrei sottolin-
eare con grande forza la fondamentale vo-
cazione di tutti alla santità. L‟anno scorso
abbiamo parlato di “Pietre vive” per indicare
il nostro essere Chiesa, ma noi sappiamo
che le pietre vive sono tali solo nella misura
in cui sono “sante”. Il grande e vero destino
di tutti è la santità. Di qui il nostro impegno a
far sì che tutta la molteplice attività pas-
torale della Diocesi abbia come sua linfa
vitale la consapevolezza, lo slancio, la gioia
del sentirsi quotidianamente chiamati alla
santità.
Guarderemo a san Carlo per capire in che
modo, su quali strade è diventato santo,
anche se - come tutti - aveva i propri difetti».
Una figura ricca quella del compatrono della
diocesi di Milano. Quali aspetti vuole eviden-
ziare?
«Due i tratti fondamentali della sua spiri-
tualità che desidero sottolineare. Il
primo è il suo amore di dedizione alla
Chiesa, alla Chiesa concreta: fu ar-
civescovo per tutti, in mezzo alla gente,
dentro il suo popolo. Pur morendo a soli
46 anni, egli ha compiuto la Visita pas-
torale tre volte in una diocesi molto
estesa, che allora contava circa seicen-
tomila abitanti. Visite fatte a cavallo o a
piedi in montagna, con gli scarponi chio-
dati ai piedi, pur di arrivare dappertutto.
È questo un grande messaggio anche
per la Chiesa di Ambrogio e Carlo di
oggi: la mission-
arietà non sig-
nifica solo andare
dovunque per an-
nunciare e testi-
moniare il Van-
gelo, significa
anche accogliere
le persone che
incontriamo o
vengono a noi per
i più diversi mo-
tivi, anche non religiosi. Rinnovo ancora una
volta l‟invito perché nel prossimo anno pas-
torale le nostre comunità cristiane si lascino
coinvolgere nello slancio missionario di an-
nunciare l‟amore di Dio per tutti attraverso
parole e gesti di ascolto, dialogo, accog-
lienza, solidarietà.
Il secondo tratto - in realtà è il primo, quello
sorgivo di ogni altro - della spiritualità di san
Carlo è il suo amore appassionato al Croci-
fisso. Tra i tantissimi quadri che sono sparsi
in diocesi e che lo ritraggono, i più ce lo pre-
sentano con gli occhi fissi sul Crocifisso o nel
raccoglimento della preghiera, della contem-
plazione. Dall‟amore per il Crocifisso san
Carlo traeva il suo amore per ogni uomo, so-
prattutto se povero, malato, solo ed emargi-
nato».
Povertà e sobrietà sono temi che in questi
anni lei ha fortemente richiamato agli am-
brosiani...
EDITORIALE
6
EDITORIALE
«Il cardinale Borromeo fu anche esemplare
per la vita di povertà e di essenzialità da lui
liberamente scelta. La sobrietà, che significa
giusta misura nell‟uso delle cose, ha un rap-
porto profondo con questa povertà, che è
vivere con tutto ciò che il Signore ci dona e
che comunque non è nostro possesso o pro-
prietà che non può essere condivisa.
La sobrietà parla di donazione, apertura,
condivisione con gli altri. In questo senso la
sobrietà diventa la “cifra” moderna del
come, evangelicamente, noi siamo
chiamati a usare i doni che il Signore ci offre
ogni giorno».
Nei due suoi più
recenti interventi
si è rivolto in
modo accorato
alla Città. In oc-
casione dell’ucci-
sione a pugni per
strada della si-
gnora filippina
Emlou ha chia-
mato tutti a sen-
tirsi responsabili
d i t u t t i .
N e l l ’ o m e l i a
dell’Assunta ha
chiesto a chi ha
un incarico di guida e responsabilità nella
società di lavorare per il bene comune e non
per il proprio tornaconto. Guardando alla Mi-
lano di oggi, san Carlo quali parole aggi-
ungerebbe?
«Più che parole offrirebbe fatti, ossia una
straordinaria testimonianza di vita total-
mente dedita agli altri e al loro bene: non
affatto al proprio interesse. Lo vedo in mezzo
alla gente, pronto ad accogliere il grido dei
poveri e degli ultimi. Dalla chiesa passa alle
strade della Città, le attraversa portando
sulle spalle e nel cuore la Croce. La mostra a
tutti perché, guardando alle ferite e alle
piaghe del Signore, possano riconoscere
l‟amore misericordioso di Dio e possano, a
loro volta, testimoniarlo agli altri con le opere
della carità compassionevole e della sacro-
santa giustizia reclamata dai deboli e dagli
oppressi.
Il Cristo della croce è per tutti, non rifiuta a
nessuno il suo amore che libera e salva. Imi-
tarlo in questo non è solo sequela di lui e del
suo Vangelo, ma è anche amore alla Città,
servizio autentico al bene comune. È la
Croce la vera sorgente e la spinta più forte
della speranza. E di una nuova speranza ha
oggi bisogno la nostra Città».
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VITA DELLA CHIESA
Il Santo Padre Benedetto XVI nel suo prossimo
viaggio in Inghilterra beatificherà il cardinal New-
man, grande protagonista della chiesa moderna.
Per questo presentiamo un breve profilo bi-
ografico e spirituale del prossimo beato.
John Henry Newman, primo di 6 fratelli, nasce a
Londra il 21 febbraio 1801. Il padre, John, era
un banchiere mentre la madre, Jemina Foun-
drinier, discendeva da ugonotti emigrati dalla
Francia dopo la revoca dell'Editto di Nantes. Nel
1808 Newman entra nella scuola di Ealing (in
quei tempi fuori Londra) dove ricevette un'edu-
cazione elevata e mani-
festò la sua notevole
intelligenza. Nel 1817
entra nel Trinity College
di Oxford dove ottenne il
titolo accademico di
"Bachelor of Arts". Il 13
giugno 1824 viene ordi-
nato diacono nella Chi-
esa Anglicana e divenne
coadiutore della parroc-
chia di St. Clement ad
Oxford. Il 29 maggio
1825 viene ordinato
sacerdote anglicano. Dal
1826 al 1832 si occupa
della formazione cul-
turale di molti studenti
universitari e fu in
stretto contatto con
Pusey, John Keble e Hur-
rel Froude. Il 14 marzo
1828 diventa parroco
nella chiesa universitaria
di St Mary, dove svolse
una intensa attività pastorale, soprattutto medi-
ante la predicazione che riscosse molti consensi,
fino al 1843. Ad Oxford, poté ascoltare, era il 14
luglio 1833, il discorso di John Keble "National
Apostasy", sermone che segnò il sorgere dell'Ox-
ford Movement, di cui Newman divenne la figura
più rappresentativa. Newman rinunciò alla par-
rocchia universitaria di St. Mary e il 9 aprile
1842 si ritirò con alcuni amici a Littlemore, dove,
lavorando alla stesura del celebre "Essay on de-
velopment of christian Doctrine", maturò la sua
conversione alla Chiesa Cattolica.
Quando nel 1846 Newman si reca a Roma as-
sieme ad alcuni compagni, anch'essi anglicani
convertitisi al cattolicesimo, non è ancora sicuro
di entrare in un ordine religioso oppure diventare
un sacerdote secolare. Nel Memorandum del
1848 Newman scrive che si prese in considerazi-
one il progetto di entrare nell'ordine dei Reden-
toristi ma alla fine si scelse l'Oratorio di San
Filippo Neri.
Newman iniziò a frequentare la Chiesa Nuova e i
sacerdoti della comunità. Quando prese la deci-
sione ufficiale di diventare Oratoriano chiese in
via formale al Papa di poter fondare un Oratorio
a Birmingham e richiese
di poter adeguare le Cos-
tituzioni dell'Oratorio
romano alle necessità
presenti in Inghilterra.
Nel 1847 Newman as-
sieme a sei compagni
inizia il noviziato presso
l'abbazia di Santa Croce
dove un'ala dell'edificio
viene messa a loro dis-
posizione. In quattro
mesi vennero studiate le
Costituzioni, la spiritu-
alità e le tradizioni
dell'Oratorio.
Dopo l 'ordinazione
sacerdotale, il 2 febbraio
1848, confortato dall'in-
coraggiamento di Papa
Pio IX fondò il primo Ora-
torio di San Filippo Neri
in Inghilterra. Nel 1854
Newman viene nominato
rettore dell'Università
Cattolica di Dublino, carica che ricopre per quat-
tro anni. Il 12 maggio 1879 Newman fu creato
Cardinale da Papa Leone XIII, che in tal modo gli
riconobbe "genio e dottrina". Il neo Cardinale
scelse come motto "cor ad cor loquitur", perché
egli non pretese mai di fare qualcosa di grande
che fosse ammirato dagli altri, ma di comunicare
con la semplicità e la cordialità dell'amico
quanto era richiesto dal principio: "prima di tutto
la santità". Dopo alcuni anni di crescente debo-
lezza, celebrò la sua ultima Messa in pubblico il
giorno di Natale del 1889 e morì nella sua cam-
era a Edgbaston l'11 agosto 1890, dopo aver
La beatificazione del cardinal Newman
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VITA DELLA CHIESA
sperimentato ed offerto con fede tante soffer-
enze ed incomprensioni, sospetti ed opposizioni,
acuite dalla straordinaria sensibilità del suo
animo. Sua Santità Benedetto XVI procederà al
Rito di Beatificazione domenica 19 settembre
2010, nel corso della Celebrazione da lui pre-
sieduta nell‟Arcidiocesi di Birmingham.
Profilo spirituale
Definito il Padre "assente" del Concilio Vaticano
II durante e dopo le assisi conciliari, il cardinale
Newman era una guida sicura - affermò di lui
Paolo VI - per tutti coloro che “sono alla ricerca di
un preciso orientamento e di una direzione at-
traverso le incertezze del mondo moderno” ed
anticipò riflessioni teologiche ed orientamenti di
pensiero che risuonarono abbondantemente
nell‟ultimo Concilio Ecumenico, tanto da far dire
a molti che egli è il moderno “Dottore della Chi-
esa”.
“In occasione del secondo centenario della nas-
cita del Venerato servo di Dio John Henry New-
man - scriveva Giovanni Paolo II nella lettera
Pontificia commemorativa dell‟anniversario (che
segue a quelle che lo stesso Pontefice indirizzò
negli anniversari del 1979 e del 1991) - mi
unisco volentieri ai Vescovi dell‟Inghilterra e del
Galles, ai sacerdoti dell‟Oratorio di Birmingham e
a una schiera di voci in tutto il mondo, nel lodare
Dio per il dono del grande Cardinale inglese e
per la sua duratura testimonianza. […] Newman
nacque in un‟epoca travagliata non solo politica-
mente e militarmente, ma anche spiritualmente.
Le vecchie certezze vacillavano e i credenti si
trovavano di fronte alla minaccia del razional-
ismo da una parte e del fideismo dall‟altra. Il ra-
zionalismo portò con sé il rifiuto sia dell‟autorità
sia della trascendenza, mentre il fideismo
distolse le persone dalle sfide della storia e
dai compiti terreni per generare in loro una
dipendenza insana dall‟autorità e dal sopran-
naturale. In quel mondo Newman giunse
veramente a una sintesi eccezionale fra fede
e ragione che per lui erano “come due ali
sulle quali lo spirito umano raggiunge la con-
templazione della verità” (cfr. Fides et ratio,
Introduzione; cfr. ibidem, n. 74). Fu la con-
templazione appassionata della verità a con-
durlo a un‟accettazione liberatoria
dell‟autorità le cui radici sono in Cristo, e a
un senso del soprannaturale che apre la
mente e il cuore umani a una vasta gamma
di possibilità rivelate in Cristo."
Newman era stato educato nella Chiesa Angli-
cana, aveva conosciuto a quindici anni una
prima “conversione” spirituale che lo introdusse
nel cammino della perfezione evangelica, era
diventato sacerdote nella sua Chiesa e parroco
di St. Mary, aveva fondato il Movimento di Oxford
per lo studio dei Padri della Chiesa e la storia del
cristianesimo antico, aveva scoperto nella Chi-
esa Cattolica la Chiesa di Cristo ed aveva deciso
di entrarvi nel 1845 con un passo di enorme
coraggio, nel 1847 ricevette a Roma l‟ordinazi-
one sacerdotale: una vita vissuta alla luce della
coscienza formata, nel calore della preghiera,
nell‟incessante studio e nell‟annuncio apostolico
della Verità: “profonda onestà intellettuale,
fedeltà alla coscienza ed alla grazia, pietà e zelo
sacerdotale, devozione alla Chiesa di Cristo ed
amore per la sua dottrina, incondizionata fiducia
nella Provvidenza ed assoluta obbedienza al vol-
ere di Dio” caratterizzano - scriveva Giovanni
Paolo II nella Lettera commemorativa del I cen-
tenario dell‟elevazione alla sacra Porpora - “il
genio di Newman”.
“Rendendo grazie a Dio - conclude la Lettera
Pontificia del 2001 - per il dono del venerato
John Henry Newman, in occasione dei duecento
anni della nascita, preghiamo affinché questa
guida certa ed eloquente nella nostra perplessità
diventi anche nelle nostre necessità un interces-
sore potente al cospetto del trono della grazia.
Preghiamo affinché la Chiesa proclami presto
ufficialmente e pubblicamente la santità esem-
plare di uno dei campioni più versatili e illustri
della spiritualità inglese”.
9
VITA PARROCCHIALE
Quest’anno don Giuseppe Marinoni, per sette
anni coadiutore a Vedano, presenza cara a
tutti i vedanesi, festeggia il 25° di ordinazio-
ne sacerdotale. Abbiamo pensato di intervi-
starlo, così da condividere con lui questo
momento di gioia e di ringraziamento al Si-
gnore.
Come è nata e si è sviluppata la tua vocazione
sacerdotale? In seminario poi come è matu-
rata e consolidata e quali "maestri della fe-
de" ti hanno confermato su questa strada?
R.: Di per sé questa domanda dovremmo ri-
volgerla a Dio: è Lui che chiama, a noi la ri-
sposta. A questo proposito ricordo che la pri-
ma lettura, scelta per l‟Ordinazione Sacerdo-
tale, era Deuteronomio 7 dove Dio ricorda ad
Israele che è stato scelto non perché più for-
te o migliore di altri popoli ma soltanto per
amore.
Riconosco quindi che è questo Amore di Dio
che mi ha affascinato fin da piccolo chia-
mandomi alla sua sequela. Ho scoperto que-
sto amore affascinante: nella vita dei preti
che ho incontrato, nella bellezza della liturgi-
a, che sempre mi ha attratto, e nell‟interesse
per la vita di Gesù e per il racconto della Bib-
bia e dei Vangeli.
Poi è venuta la bellissima esperienza del Se-
minario (10 anni) fatta di
amicizia e di preti: l‟amicizia
con tanti compagni di vita
che hanno dato a me, figlio
unico, la gioiosa scoperta di
una nuova fraternità; e preti
veri educatori dal pulpito e
nel confessionale: penso ai
padri spirituali e rettori, e
dalle cattedre di scuola, i
miei insegnanti.
Seminario, soprattutto, è stato
per me l‟incontro con Gesù,
lì ho imparato a conoscerlo,
ad amarlo, ho scoperto la
gioia e la bellezza della preghiera, della Lec-
tio Divina e dell‟ adorazione.
Inoltre Seminario ha voluto dire la gioia e la
fatica dello studio: mi hanno dato un metodo
(le cose belle hanno sempre un prezzo) e la
gioia per la bellezza della nostra fede cristia-
na cattolica, attraverso lo studio della Bibbia
e della Teologia.
Giugno 1985 prima destinazione da novello
sacerdote a Vedano Olona: come hai mosso
i primi passi in mezzo ai giovani e quali i ri-
cordi più belli o significativi?
R.: Il primo passo, non diverso da quello di
oggi, prete di 50 anni da 25 anni, la quotidia-
na scoperta che il prete altro non è che un
discepolo e un apostolo di Gesù, un discepo-
lo che sempre cerca di ascoltarlo e conoscer-
lo per amarlo e seguirlo, e un apostolo che
desidera far conoscere e amare Gesù ai suoi
fratelli.
Per questo l‟ essere prete lo si sperimenta in
pienezza, non in astratto e da soli, ma
all‟interno di una comunità, la Chiesa, dove
si vive quella comunione e missione, oggi
tanto indispensabile per vivere e annunciare
il Vangelo in questo mondo che cambia.
Penso infatti che il mio essere prete debba
molto alle tre comunità parrocchiali, più il
collegio, che ho incontrato in questi 25 anni,
Il 25° di ordinazione di don Giuseppe Marinoni
10
VITA PARROCCHIALE
e per questo se continuamente ringra-
zio il Signore per il dono bellissimo della
vocazione sacerdotale, non mi stanco di
ringraziare le tre comunità di Vedano
Olona, Tradate e Gorla Maggiore che mi
hanno accolto e insegnato che cosa si-
gnifica essere prete.
Tra le “mie” comunità (dico così perché
mi siete cari, siete parte integrante della
mia vita) Vedano ha nel mio cuore un posto
unico e particolare. Lì concretamente ho
imparato ad essere e a fare il prete, si può
dire che si è compiuto il passaggio dalla
teoria (seminario) alla pratica (la parroc-
chia).
I ricordi e i doni più belli sono certamente le persone, don Giuseppe (detto: don Giu-
seppone) che con sua sorella Carla mi
ha accolto con premura e affetto,
l‟eredità che don Angelo mi ha consegnata e
che subito mi ha spronato ad intraprendere
un serio lavoro spirituale in mezzo ai giovani
fatto di presenza in oratorio (come dimenti-
care le bellissime vacanze fatte in monta-
gna), catechesi e predicazione (i tre giorni di
esercizi spirituali vissuti come il momento
forte della proposta), confessioni e direzione
spirituale, una comunità di adulti, di famiglie,
di ammalati che mi hanno testimoniato una
fede matura in Gesù Cristo.
Tra queste persone non posso non fare due no-
mi, la zia Vincenza e il sempre presente Enzo
che in quegli anni sono stati la mia famiglia.
A tutti devo ripetere il mio grazie.
Un ulteriore passo nel cammino sacerdotale è
a Tradate nel 1992; qui l'essere prete e la
tua azione pastorale si è ampliata in una re-
altà più complessa: che cosa hai ricevuto e
dato e cosa porti come bagaglio dell'espe-
rienza tradatese?
R.: Il passaggio da Vedano a Tradate mi è
costato molto perché sentivo che tanto anco-
ra c‟era da fare in mezzo a voi, ma,
nell‟obbedienza al Vescovo e alla volontà di
Dio, ho trovato la pace del cuore.
Il ministero cambiava in parte perché mi era chiesta una triplice attenzione su tre fronti
pastorali tutti estremamente stimolanti: la
parrocchia, il collegio-scuola cattolica, il de-
canato. Ricordo questi 10 anni come anni di
maturazione umana, cristiana e pastorale.
Potrei riassumere in due attenzioni pastorali, che sempre devono accompagnarmi, il dono
dell‟esperienza tradatese: lavorare sempre
di più in profondità dedicando molto tempo
all‟ascolto di Dio e del cuore dell‟uomo; lavo-
rare sempre di più insieme creando collabo-
razione e corresponsabilità.
Per questo col passare degli anni sento di aver bisogno per “essere” e “fare” il Prete dei due
doni che la splendida pagina di Emmaus (Lc
24,13-32), ci presenta: i doni della Parola e
del Pane. Annuncio della Parola, anzitutto
quella di Dio, ascoltata, meditata, pregata,
predicata, condivisa, studiata; e poi l‟ atten-
zione alla Parola della gente che si può a-
scoltare quotidianamente nelle case, sulle
strade, soprattutto nel dialogo personale o
nel sacramento della riconciliazione. Lo
spezzare del Pane: quello eucaristico, cuore
della fede della vita dei credenti, che nutre la
fede del popolo di Dio e dei suoi ministri,
che si nutrono di Cristo, lo adorano, lo ama-
no, fanno “comunione”; e poi il Pane della
carità, della fraternità, della condivisione,
dell‟amicizia, della comprensione e del per-
dono.
11
VITA PARROCCHIALE
Nel 2002 parroco a Gorla Maggiore e ora an-
che decano della Valle Olona; l'esperienza
sacerdotale giunge alla sua pienezza: come
stai vivendo e operando questa "stagione"
della tua vita?
R.: La quotidiana e affettuosa vicinanza a
due bravi parroci, don Giuseppe a Vedano e
don Luigi (oggi vescovo e vostro vicario) a
Tradate, è stata la miglior scuola pratica per
imparare a fare il parroco.
Lo stile pastorale di questi due sacerdoti mi ha sostenuto nell‟accogliere con serenità e fidu-
cia questo nuovo incarico che mi chiedeva
una responsabilità su tutta una comunità,
dal bambino che nasce al morente che si
appresta a vivere l‟incontro definitivo con il
Signore. In questo senso si può parlare di
una pienezza del ministero del parroco per-
ché abbraccia tutto l‟arco della vita umana e
cristiana.
Con sorpresa, anzitutto mia, i miei confratel-
li nel 2006 mi hanno chiesto di svolgere un
ulteriore ministero come decano per coordi-
nare il cammino pastorale delle 14 parroc-
chie del decanato Valle Olona.
Ma l‟essere parroco e anche decano non
sono, come suggerisce la domanda, la pie-
nezza dell‟esperienza sacerdotale. Da que-
sto punto di vista sento ancora di essere in
cammino per vivere un discepolato del Si-
gnore Gesù sempre più autentico e un apo-
stolato sempre più generoso, carico
dell‟entusiasmo dei primi anni e
dell‟esperienza di 25 anni.
Pienezza sacerdotale è quanto ho scelto come regola di vita (ai giovani di allora dico: vi ri-
cordate l’insistenza sulla regola di vita?) e
che ho scritto sull’immaginetta del 25° :
“Teniamo fisso lo sguardo su Gesù che dà
origine alla fede e la porta a compimen-
to” (Ebrei 12,2).
Pienezza sacerdotale per un prete di 50 anni, nell‟anno del suo 25°, si potrebbe sintetizza-
re in questa frase: “dalla santità desiderata
alla povertà offerta”.
Ringrazio il Signore che ha messo nel mio
giovane cuore il desiderio della santità (così
ho iniziato tra voi il mio ministero) e lo ringra-
zio ancora di più perché sa accogliere anche
la povertà della mia inadeguata risposta co-
me quel piccolo dono che posso offrire alla
gloria di Dio e per il bene dei fratelli.
A voi carissimi, sempre legati da questi vincoli di
fede e di sincero affetto, chiedo il dono di
una preghiera al Signore. Grazie
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VITA PARROCCHIALE
SETTEMBRE 2009
PROGRAMMA FESTA PATRONALE
Mercoledì 15 In San Pancrazio
Giovedì 16 Ore 20,30 triduo di preparazione alla festa patronale
Venerdì 17
Sabato 18 Dalle 15,00 confessioni in chiesa parrocchiale
Ore 18,00 Messa e apertura pesca di beneficenza
Ore 21.00 In chiesa parrocchiale concerto d’organo
Domenica 19 Ore 11,30 S. Messa solenne
Ore 12,30 pranzo in oratorio (prenotazioni entro giovedì 16)
Ore 20,30 processione (*)
Il Gruppo Alpini presenzia, scortando la statua di S. Maurizio
(*) La processione partirà dalla chiesa parrocchiale e percorrerà via dei martiri, Papa Innocenzo, Casa
di riposo, via Garibaldi, Fara Forni, Don Minzioni, Spech, Sciesa, 1° Maggio, Matteotti.
Lunedì 20 Ore 20,30 In chiesa parrocchiale solenne concelebrazione in suffragio
di tutti i defunti
PROGRAMMA FESTA DELL’ORATORIO
Domenica 26 Ore 10,00 S. Messa in chiesa parrocchiale
Ore 12,30 pranzo in oratorio (prenotazioni entro giovedì 23)
Ore 14,30 grandi giochi per ragazzi e genitori
13
VITA PARROCCHIALE
"Un amico è un sostegno potente; chi lo
trova ha trovato un tesoro" (Sir 6, 14 ss).
C’era una volta un complesso di sette strumenti
musicali: erano un pianoforte, un violino, una chi-
tarra classica, un flauto, un sassofono, una cor-
netta e una batteria. Vivevano nella medesima stanza, ma non andava-
no d’accordo. Erano così orgogliosi che ognuno
pensava di essere il re degli strumenti e di non
aver bisogno degli
altri. Non solo, ma
ciascuno voleva
suonare le melodie
che aveva nel cuo-
re e non accettava
di eseguire uno
spartito. Tutti rite-
nevano ciò un’ im-
posizione intollera-
bile che violava la
loro libertà di e-
spressione.
Quando al mattino
si svegliavano o-
gnuno cominciava
a suonare libera-
mente le proprie melodie e per superare gli altri
usava i toni più forti e violenti. Risultato: un infer-
no di caotici rumori. Sicché tutti chiamavano quel
complesso l’Orchestrana.
Una notte capitò che la batteria non riuscisse a
chiudere occhio per il nervoso. Per passare il tem-
po cominciò a scatenarsi con le sue percussioni.
Fu la goccia che fece traboccare il vaso. Per la
prima volta tutti gli strumenti si trovarono
d’accordo su una cosa: la decisione di andare o-
gnuno per conto suo.
Stavano per uscire quando alla porta bussò una
bacchetta con uno spartito sotto il braccio in cer-
ca di strumenti da dirigere.
Parlando con garbo e diplomazia chiese loro di
fare una nuova esperienza, quella di suonare o-
gnuno secondo la propria natura, ma con note,
ritmi e tempi armonizzati.
“Con un occhio guardate lo spartito, con l’altro i
miei cenni, dopo che avrò dato il via, disse la bac-
chetta”.
Un po’ perché erano molto stanchi del caos in cui
vivevano, un po’ per la curiosità di fare una nuova
esperienza, accettarono.
Si misero a suonare con passione dando ognuno
il meglio di se stesso e con una obbedienza totale
alla bacchetta… magica.
A mano a mano che
andavano avanti si
ascoltavano l ’un
l’altro con grande pia-
cere. Quando la bac-
chetta fece il cenno
della fine un’immensa
felicità riempiva il loro
cuore: avevano ese-
guito il famoso “Inno
alla gioia” di Beetho-
ven. L’Orchestrana
e r a d i v e n t a t a
un’Orchestrina.
Come si fa a stare
insieme?
La sfida è prendere coscienza che siamo differen-
ti.
Noi siamo differenti per età, per provenienza so-
ciale, per formazione, cultura, sesso, lavoro, e può
sorgere una domanda: come si fa ad entrare in
rapporto, in comunione con l‟altro? Con il dialogo!
Dovremmo saper dialogare. Conoscersi è alla ba-
se dell'amicizia, senza conoscersi non c'è amicizia
o questa è un sentimento ideale e vago. La nostra
vita è una crescita e ricerca continua, anche se
con progressi o fermate. L'amicizia è uno dei luo-
ghi fondamentali della crescita nostra, crescita
che ha sì una dimensione strettamente personale,
ma anche familiare, di gruppo.
Gesù fa così con i suoi amici e vuole fare così an-
che con noi. Tutti gli incontri di Gesù nel Vangelo,
in particolare la relazione con i suoi amici predilet-
ti, gli apostoli, sono cammini di crescita, di stimolo
a migliorarsi. Gesù molto spesso sostiene i suoi
amici, li stimola ad andare avanti, a non avere pa-
ura.
14
VITA PARROCCHIALE
Questo cammino di crescita è continuato e pro-
gredito durante la vacanza di quest‟anno in Fore-
sta Nera, incantevole regione della Germania
meridionale. Durante i nostri incontri serali, dopo
aver pregato con i bambini, l‟argomento di di-
scussione era “cercare Dio” attraverso
l‟esperienza di Dio dell‟altro: durante il tempo
libero, parlando di Lui, cercando l‟essenziale,
ispirandoci alla vita dei Santi o affrontando il
difficile compito di genitori/educatori.
Concludevo, nel precedente articolo, sostenendo
che ogni partecipante alla vacanza ogni volta
portava a casa molto più di quanto si aspettasse;
anche questa volta è andata così. Dobbiamo
essere noi stessi, con la nostra diversità, par-
tendo da ciò che ci unisce che, per noi cristiani,
si realizza in Dio.
“Oh guata : un fungo, e quivi un altro:
oh quanti funghi usciti son per tutto ap-
pena han vista quella poca di piova” Giacomo Leopardi
La vacanza….
47 persone (chi più, chi meno, grandi e piccini)
contagiate dalla passione per la raccolta del fun-
go più pregiato: Il Porcino (Boletus Edulis). Mai
visti così tanti e così facili da cogliere. Il dispia-
cere per il tempo non clemente è stato superato
dal regalo che i boschi della zona ci hanno fatto
in maniera così generosa. Accompagnati dagli
sguardi indifferenti !?! degli abitanti i nostri più
accaniti “fungiatt”, incuranti della pioggia, hanno
riempito cestini e contenitori di fortuna con deci-
ne di chili di porcini, esibendoli poi come trofei
durante il dopocena.
Incuranti degli aspetti logistici (pulitura, conser-
vazione, trasporto) i più appassionati hanno ac-
cumulato la loro fortuna in ogni angolo della ca-
sa, custodendo gelosamente il bottino accumula-
to. Solo pochi sono finiti in cucina, peraltro biso-
gnosa di un aiuto gustoso, perché è proprio vero
che è…
“Facile regalare argenti e ori, una toga, un
mantello: regalare funghi, questo è difficile”.
Marziale (poeta romano)
Nonostante tutto questo siamo anche riusciti a
fare le escursioni che avevamo programmato. Il
bel tempo della seconda parte della settimana ci
ha poi permesso di gustare totalmente le bellez-
ze naturali del posto, che, a proposito ,si chiama
Todtmoos, e anche l’accogliente piscina comu-
nale. La tanto attesa partita Italia-Germania infi-
ne è stata sostituita con una meno gloriosa, ma
altrettanto agonistica, Genitori-Figli.
Insomma un bilancio ancora una volta sicura-
mente positivo, e quindi di stimolo per cercare
sempre nuove occasioni per stare insieme.
A presto
Mario
15
Il 15 maggio 1891 fu promulgata l‟enciclica
Rerum novarum di Leone XIII, dedicata alla que-
stione sociale. «Destò gran meraviglia», scriveva
don Luigi Sturzo 12 anni dopo, «quando questo
vecchio di circa 82 anni pubblicò l‟enciclica… e
allora, nell‟agitarsi delle teorie che presiedono
allo sviluppo di questa corrente sociale, quel do-
cumento parve quasi socialista; e persino i giova-
ni ancora liberali nell‟animo loro borghese temet-
tero; temettero molti, anche ecclesiastici, di que-
sta nuova forza unita al popolo, e dalle lontane
Americhe si volevano sconfessati i Cavalieri del
lavoro e dall‟Austria vicina i cristiani sociali di
Lueger e delle nazioni latine i democratici cristia-
ni».
In poche parole, don Sturzo descrisse effettiva-
mente l‟effetto di quella “bomba” pontificia, e
insieme sintetizza situazione e forze dei pionieri
del cristianesimo sociale nel mondo. I cavalieri
del lavoro, negli Stati Uniti, erano un‟associazione
operaia d‟ispirazione operaia cristiana non con-
fessionale, con oltre 700 mila iscritti, osteggiata
da alcuni vescovi, ma difesa da altri,fra cui James
Gibbons, vescovo di Baltimora. I cristiano-sociali
avevano suscitato un ampio movimento nel mon-
do germanico, soprattutto per l‟azione del vesco-
vo di Magonza, von Ketteler. In Austria questo
movimento aveva dato vita al partito cristiano-
sociale, guidato da Karl Lueger, che fu poi a lun-
go borgomastro di Vienna; e origini analoghe ave-
vano in Francia e in Italia i gruppi democratici
cristiani, che operavano però in condizioni molto
più difficili.
Già si è detto del ritardo con cui il mondo cattoli-
co prese coscienza della questione sociale
nell‟età contemporanea, per una scarsa consape-
volezza storica delle leggi del mercato capitalisti-
co, mentre si vedevano con preoccupazione le
tendenze dell‟associazionismo operaio a muover-
si in maniera autonoma sul piano professionale e
politico. Non si devono sottovalutare mote grandi
iniziative assistenziali e professionali nate in
campo cattolico, già ispirate al concetto della fun-
zione sociale della proprietà, e alla critica del libe-
rismo classico.
Ma fu solo a partire dal 1870 in avanti che si an-
dò sviluppando (in Francia, Belgio, Germania, Au-
stria, Svizzera) una vigorosa corrente di studi so-
ciali, tendenti a superare la vecchia concezione
dell‟economia caritativa. In questi anni cominciò
a operare l‟Unione di Friburgo, grande laboratorio
internazionale
di ricerche,
che vedeva i
cattolici impe-
gnati a fondo
nella questio-
ne sociale. In
Italia si occu-
pavano del
problema la
sezione di e-
conomia so-
ciale cristiana
dell‟Opera dei
Congressi (la
prima “Azione cattolica” a livello nazionale nel
nostro Paese) e l‟Unione cattolica di studi sociali,
presieduta da Giuseppe Toniolo. Tutta questa
attività di ricerca preludeva alla comparsa della
Rerum novarum, la più grande e più studiata en-
ciclica di Leone XIII.
Nato a Carpineto romano nel 1810, Gioacchino
dei conti Pecci era entrato dopo l‟ordinazione sa-
cerdotale nella diplomazia pontificia, e dal 1843
al 1846 fu nunzio apostolico in Belgio, dove il
dibattito assai vivo sulla questione sociale lasciò
in lui più di un segno. Divenne poi vescovo di Pe-
rugia, guidando per un trentennio quella diocesi,
e nel 1877 fu nominato camerlengo della Chiesa.
Morto Pio IX, un conclave rapido (36 ore) lo eles-
se al pontificato il 3 marzo 1878.
Le sue preoccupazioni per la miseria operaia so-
no già presenti nelle sue 2 prime encicliche, en-
trambe del 1878: la In scrutabili Dei consilio e la
Quod apostolici numeris. Esse già contengono
più di un accenno alle teorie sul diritto di proprie-
tà, sulla divisione dei beni e sulla lotta di classe.
Nella seconda, poi, Leone XIII insiste sull‟attività
assistenziale, e invita i cattolici a fondare società
operaie e artigiane, «che, poste sotto la tutela
della religione, abituino tutti i loro soci a tenersi
contenti della loro sorte, a sopportare con merito
la fatica e a menar sempre quieta e tranquilla la
vita. Paternalismo e invito alla rassegnazione so-
no dunque ancora prevalenti in questi testi ponti-
fici.
Con la Rerum novarum siamo molto più avanti.
La condizione operaia non vi è affrontata di lato,
ma interamente, in tutta la sua complessità. Ecco
perché la sua apparizione suscitò allarme nel
mondo più conservatore e grande entusiasmo fra
i cattolici, forse più per quel che rappresentava in
Le “Cose Nuove” di Papa Leone XIII
STORIA DELLA CHIESA a cura di Gianluca
16
quel momento che per il contenuto programmati-
co.
Essa diede un aiuto importante a quei militanti
che combattevano lo Stato assenteista, ed erano
impegnati nell‟organizzazione dei mezzi di difesa
degli operai contro la legge del profitto. Tra essi,
Carlo de Cadorna, don Luigi Sturzo, don Romolo
Murri, ispiratori dei gruppi democratici cristiani.
L‟enciclica non dava soluzioni definitive; non sce-
glieva tra uomini professionali semplici, formate
cioè da soli operai o da soli datori di lavoro, e u-
nioni professionali miste, con operai ed imprendi-
tori insieme; ma affermava il principio della liber-
tà di associazione, e ricordava che questo diritto
traeva origine dalla natura stessa intrinsecamen-
te socievole dell‟uomo; perciò l‟associazione, pur
essendo nell‟ambito dello Stato, non deduceva il
suo diritto all‟esistenza dal riconoscimento stata-
le.
Alla stesura del testo della Rerum novarum si
dedicarono uomini di forte preparazione filosofi-
ca, come il gesuita Matteo Liberatore e il cardina-
le Tommaso Zigliara, autori rispettivamente del
primo e del secon-
do schema. Il ter-
zo schema è una
rielaborazione del
testo di Zigliara,
corretta e riveduta
dal cardinale Maz-
zella e da padre
Liberatore, esten-
sore del testo defi-
nitivo.
L’usura
“divoratrice” e il monopolio
L’enciclica comincia con l’indicare la causa della
questione dell‟insorgere sociale: l‟abolizione delle
antiche corporazioni di arti e mestieri senza nulla
sostituire ad esse. «Accrebbe il male», afferma il
testo, «una usura divoratrice che, sebbene con-
dannata tante volte dalla Chiesa, continua lo
stesso sotto altro colore, per opera di ingordi spe-
culatori. Si aggiunga il monopolio della produzio-
ne e del commercio, tanto che un piccolissimo
numero di straricchi ha imposto all‟infinita molti-
tudine di proletari un giogo poco meno che servi-
le».
Accennando alla soluzione socialista della trasfor-
mazione della proprietà privata in quella colletti-
va, l‟enciclica difende la proprietà privata come
diritto di natura. La terra con i suoi beni è data
all‟uomo in usufrutto universale. E questo usu-
frutto, per realizzarsi, ha bisogno della proprietà
privata. Contro le dottrine della lotta di classe,
Leone XIII sostiene il principio dalla collaborazio-
ne fra le classi, aggiungendo: «Dei capitalisti poi e
dei padroni sono questi i doveri: non tenere gli
operai in luogo di schiavi; rispettare in essi la di-
gnità della persona umana, nobilitata dal carat-
tere cristiano. Agli occhi della ragione e della fede
non è il lavoro che degrada l‟uomo ma anzi la no-
bilita col metterlo in grado di vivere con l‟opera
propria onestamente: quello che veramente è
indegno dell‟uomo è abusarne come di cosa a
scopo di guadagno». L‟enciclica si chiude con
l‟invito ai cattolici a dare «tutta la forza dell‟animo
e la generosità dello zelo» per contribuire alla so-
luzione dell‟ “arduo problema”operaio.
La nascita dell’Azione cattoli-
ca
Appena proclamato il Regno d’Italia (1861) nac-
que fra i cattolici il desiderio di unione, per oppor-
si alle leggi anti-clericali, e anche per difendere
ciò che restava dello Stato pontificio. Nel 1865 si
costituì a Bologna l‟Associazione cattolica per la
difesa della libertà della Chiesa in Italia: persegui-
tata dal governo, visse soltanto pochi mesi. Sor-
sero però altre iniziative: nel 1868, sempre a Bo-
logna, nacque la Società della Gioventù Cattolica
Italiana, a opera di Mario Fani e Giovanni Acqua-
derni. Nel 1870 a Firenze, allora capitale, fu fon-
data l‟Unione Cattolica Italiana per il progresso
delle buone opere in Italia.
Dopo la caduta dello Stato pontificio si sentì il
bisogno di un vigoroso coordinamento delle attivi-
tà cattoliche, e fu lanciata l‟idea di Congressi na-
zionali periodici. Il primo si riunì a Venezia nel
1874; durante il secondo (Firenze, 1875) nacque
l‟dea di un‟opera permanente, destinata a prepa-
rare i successivi congressi e a costituire comitati
regionali, diocesani, parrocchiali: così nacque
l‟Opera dei Congressi e dei Comitati cattolici in
Italia. L‟animava uno spirito intransigente nei
confronti dello Stato accompagnato da ferma ob-
bedienza alla Santa Sede e da uno sforzo di pe-
netrazione attraverso istruzioni religiose, econo-
mico-sociali, culturali; e anche attraverso iniziati-
STORIA DELLA CHIESA
17
STORIA DELLA CHIESA
ve per la conquista di
amministrazioni locali.
Tuttavia i dirigenti
dell‟Opera non riusciro-
no a capire i tempi nuo-
vi: si perpetuò così una
certa confusione tra
azione religiosa, sociale
e politica, e tra i compiti
del clero e quelli del
laicato.
Papa Pio X, nel luglio
1904, decise di scioglie-
re l‟Opera, ristrutturan-
do il movimento cattoli-
co italiano sulla base di
3 Unioni: quella popola-
re, quella economico-
sociale, quella elettora-
le. Si delineò quindi una
d i s t i n z i o n e t r a
“movimento cattolico”e
azione cattolica più
strettamente intesa, che restava compito
dell‟Unione popolare (diretta inizialmente da To-
niolo e promotrice fra l‟altro delle settimane so-
ciali) e dalla risorgente Società della Gioventù
cattolica. All‟Unione popolare, poi, Benedetto XV
attribuì nel 1915 maggiori responsabilità, e una
struttura basata su una giunta centrale e su giun-
te diocesane, per coordinare attività delle asso-
ciazioni allora esistenti; e cioè, oltre alle Unioni, la
Gioventù cattolica, l‟Unione donne (nata nel
1909) e la Federazione universitari (Fuci), nata
nel 1896 al Congresso di Fiesole.
Questo schema si esaurì dopo la prima guerra
mondiale, con la nascita della Confederazione
italiana del lavoro (Cil) e del partito popolare, di
ispirazione cristiana nettamente aconfessionali.
Vennero sciolte successivamente sciolte le Unio-
ni, e Pio XI riordinò l‟Azione cattolica su 4 “rami”
fondamentali: Gioventù maschile, Gioventù Fem-
minile, Unione donne,
Unione uomini, oltre
alla Fuci. Lo stesso
papa Ratti ne precisa-
va lo spirito definen-
d o - l a q u a l e
«partecipazione dei
laici all‟apostolato
gerarchico della Chie-
sa».
Questa era l‟Azione
cattolica destinata a
operare durante il
regime fascista. E si
può senz‟altro affer-
mare che co-sì confi-
gurata ebbe la possi-
bilità di sopravvivere
in una fase di totalita-
rismo politico (e uno
degli obiettivi fonda-
mentali del Concorda-
to del 1929 fu pro-
prio quello di assicurare questa sopravvivenza),
di restare “altra” dal fascismo stesso e dalle sue
organizzazioni, e di poter svolgere un ruolo deter-
minante sia durante la Resistenza che dopo il
fascismo. Nel 1946, con nuovi statuti, Pio XII re-
stituì poi piena responsabilità ai laici e incoraggiò
lo sviluppo di un vasto e capillare associazioni-
smo per categorie.
18
STORIA DELLA CHIESA INVITO ALLA LETTURA a cura di Sergio
L’isola del mondo
Ci sono romanzi che hanno la pretesa di essere
“totali”, di dare cioè una visione e un‟interpretazi-
one che abbraccia la vita e la realtà in modo am-
pio e profondo. Tale è L’isola del mondo, dello
scrittore americano Michael D. O. Brien, autore di
alcuni bei romanzi di stampo apocalittico, come Il
Nemico e Il Libraio, già recensiti su queste pagine
in passato.
Anche L’isola del mondo si colloca nel mezzo del
grande scontro tra Bene e Male, ma questa volta
tutta la vicenda è legata alla vita di Josip Lasta,
poeta croato, figura inventata dello scrittore, ma
che possiede tutti i tratti della storia reale. Nella
vicenda biografica di Josip il conflitto tra Bene e
Male emerge in modo forte, poiché egli si trova fin
da piccolo a subire le ferite della buia storia del
„900: prima la seconda guerra mondiale, poi le
persecuzioni compiute dai comunisti jugoslavi
contro i cattolici, con violenze e morti, distruzioni
e prigionie. Ma Josip riusce a fuggire dalla Jugo-
slavia, verso l‟Italia e poi l‟America, dove il pro-
tagonista vive il confronto con il consumismo
esasperato che toglie all‟uomo il gusto della
bellezza e della semplicità.
Josip nel cammino della vita comprende, con
dolore ma al tempo stesso gioia, che le sue soffer-
enze non sono senza un senso, se associate a
quelle del Crocifisso: è nella fede che egli rilegge i
mali subiti, fino ad arrivare alla capacità di riap-
pacificarsi con il proprio passato e i criminali che lo
hanno abitato. Dunque O‟Brien non rinuncia a porre
dei temi e delle tesi forti alla base del libro: non a
caso tornano tre domande nel racconto: “Chi sei?
Da dove viene? Dove vai‟”; alla fine il protagonista
riuscirà a rispondere, in modo implicito, quando capisce che solo nella fedeltà a Cristo l‟uomo può
veramente essere uomo, può sperimentare l‟amore e il perdono, così come solo per opera dello
Spirito Santo il male può diventare fonte di bene per gli altri e per sé. In questo percorso Josip gi-
ungerà a riappropriarsi della capacità di godere della bellezza, per cui dopo molte sofferenze, rius-
cirà nuovamente a riprendere la penna e scrivere poesie, che sono il suo canto d‟amore per la vita e
per il creatore, come il volo di una rondine, la lastavica in croato, l‟uccello bellissimo che accom-
pagna Josip per tutta la sua vita.
L’isola del mondo,
di Michael D. O’Brien,
San Paolo, 843 pagine, 26 €
19
STORIA DELLA CHIESA INVITO ALLA LETTURA a cura di Alvisio
La schiena di Parker
Ho voluto conoscere Flannery O‟Connor, quando ho saputo
qual è stata la malattia che l‟ha portata alla morte.
Flannery O‟Connor è una delle voci più originali e prestigio-
se della letteratura americana del Novecento. Nacque nel
1925 in Georgia; colpita da lupus eritematoso, la malattia
che le aveva portato via il padre e che allora concedeva
aspettative di vita assai brevi, convisse per ben 15 anni
con il suo male e morì nal1964,dopo aver scritto racconti e
romanzi che sono diventati pietre miliari nella letteratura
americana. La sua ristretta produzione letteraria è caratte-
rizzata da uno stile chiaro, veloce, realistico, che dà vita a
vicende per lo più grottesche e violente, in un brulicare di
simboli e rimandi. I suoi sono personaggi strampalati che si
rivelano inflessibili cercatori di assoluto, anime pervicace-
mente chiuse in se stesse, fino a quando un fatto imprevi-
sto non sopravviene a scardinarne convinzioni e chiusure. Al Meeting per l’amicizia fra i popoli di Rimini si è parlato
anche di lei; io non ho perso nessuna occasione di appro-
fondire la sua personalità e la sua opera: ho seguito le con-
ferenze che trattavano di lei e ho visitato la mostra che
illustrava la sua vita e i suoi scritti.
Il libro che invito a leggere è una raccolta dei racconti più
significativi, che insegnano a guardare con stupore la real-
tà così com‟è, perché in ogni immagine, in ogni situazione
c‟è una densità di mistero che richiede una prospettiva più
ampia e più attenta della scena umana. “Più a lungo guar-
date un oggetto e più mondo ci vedrete dentro” diceva Flan-
nery che restava “imbambolata” di fronte al mistero dei suoi
personaggi molto terrestri: nelle sue opere dominano l‟ascolto, il rispetto e l‟obbedienza nei confron-
ti della realtà, tanto che lei non temeva di guardare in faccia ciò che appare brutto, il malato, il grot-
tesco.
Ti aspetti dal libertino un‟azione da libertino, dal devoto un‟azione devota, dal filantropo un‟azione
generosa e così dal cattivo un‟azione malvagia; ma sarà così? I suoi personaggi sembrano in ogni
istante sul punto di compiere qualsiasi azione, allineati a un “via” che è al principio di ogni loro possi-
bilità; non ci si può fidare della logica e della coerenza, perché il mistero della libertà dell‟uomo ca-
ratterizza l‟opera narrativa della O‟Connor e l‟imprevedibilità è alla base della sua arte. Così la sal-
vezza può venire da una assassino e, invece, un cieco egoismo può essere l‟espressione di un filan-
tropo umanista.
Il nostro occhio, spesso talmente abituato a vedere le cose sempre allo stesso modo, é atrofizzato,
incapace di scoprire la ricchezza profonda e misteriosa. Leggere le pagine di Flannery compie il pro-
digio, e lì dove prima vedevi nero, adesso sei in grado di vedere le forme e i colori di un mondo che
neanche immaginavi.
Come verrà accolto Parker, strano e libertino personaggio di uno dei racconti di Flannery, che ha il
corpo interamente coperto di fantastici tatuaggi e che decide un giorno di stupire la brutta e pia don-
na che ha sposato offrendo a lei tutta la sua schiena tatuata con la più bella icona del volto di Cri-
sto?
Alla fine si capisce che Flannery O‟Connor non lascia scampo; la sua scrittura è una sfida che rilancia
sempre il “prendere o lasciare”.
La schiena di Parker,
di Flannery O’Connor
20
VITA D’ORATORIO
Oratorio feriale 2010…un’altra avventura
Anche quest‟anno l‟oratorio feriale ha stupito
tutti: ci sono stati nuovi canti, una nuova caccia
al tesoro e un nuovo titolo che ha ispirato tutte le
nostre preghiere e i nostri balli. Sin dal primo
giorno l‟atmosfera calorosa del nostro grande
gruppo si sentiva: si respirava l‟adrenalina dei
ragazzi impazienti di giocare e divertirsi, un po‟ di
tensione di noi animatori speranzosi di riuscire a
farli sentire come in una grande famiglia, preoc-
cupati di non dimenticare i passi dei balletti nuovi
imparati poco prima! Come resoconto finale devo
proprio dire che “ci siamo riusciti!”; i ragazzi non
perdevano mai la voglia di mettersi in gioco ogni
volta, e i più piccoli si sono legati a noi animatori
davvero moltissimo: è stata una bella soddisfazi-
one. Durante la preghiera don Adalberto inven-
tava sempre dei piccoli giochi per coinvolgerci
tutti e farci memorizzare le letture e questo ci
ricordava molto don Enrico che faceva travestire
gli animatori da santi! Quello che mi ha sorpreso
molto è stata la partecipazione sempre attiva dei
più piccoli alle preghiere: avevano sempre la
mano alzata per dire la loro idea; il loro entusi-
asmo è stato ammirevole e dovremmo prenderne
spunto un po‟ tutti. Ogni settimana in chiesa c‟er-
ano degli scenari diversi a cui il don si ispirava
per le sue preghiere e ogni giorno apparivano
nuovi personaggi da storie straordinarie e mi
sento in dovere di dire che tutto ciò è stato accu-
ratamente disegnato e colorato dal grandissimo
Stefano Banfi con l‟aiuto dei ragazzi del laborato-
rio di pittura! Bravi davvero…Adesso passiamo
alle gite, altro ingrediente fondamentale dell‟ora-
torio. Sono state ben due, la prima a Minitalia,
dove tutti i ragazzi hanno potuto ammirare le
meraviglie dell‟Italia in un solo pomeriggio, e la
gita alle piscine Tre Re, in cui abbiamo notato
veri talenti del nuoto e dei tuffi dal trampolino! In
entrambe le gite le presenze sono state nu-
merose e siamo molto contenti di questo. Oltre
alle gite del mercoledì anche il venerdì era un
giorno speciale della settimana. Tutti i ragazzi
partecipavano alla messa mattutina delle 11.00
e poi mangiavamo la pizza o la pasta in oratorio
con il gelato e ci intrattenevamo un po‟ con i bal-
letti prima di iniziare i grandi giochi. I ragazzi dalla
5° elementare uscivano in paese accompagnati
da noi animatori per la caccia agli animali, in cui i
ragazzi devono trovare gli animatori e rincorrerli
per avere la loro firma, oppure per alla caccia agli
oggetti, ovvero la ricerca degli oggetti più strani,
da articoli sportivi a vecchie foto, che i ragazzi
devono recuperare in casa. Ma i più piccini non
sono rimasti con le mani in mano! Infatti anche
per loro si sono organizzati giochi con l‟acqua o
cacce al tesoro entro le mura dell‟oratorio. Ma
parlando di caccia al tesoro mi viene proprio in
mente l‟ultimo giorno in cui si proclama la
squadra vincitrice con l‟ultimo giocone: quello di
quest'anno si chiamava batta-caccia navale, ed è
stata una specie di grande battaglia navale a
tappe molto faticosa, ma originale. Ogni squadra,
infatti, doveva cercare dei biglietti con i nomi
delle navi da guerra o delle boe, ma non sempre
questi biglietti portavano punti alla squadra. Le
prime tre tappe consistevano in questa caccia ai
bigliettini per le vie del paese, mentre nell‟ultima
si doveva cercare un foglietto con scritta la parola
oro in uno scatolone pieno zeppo di altri pezzet-
tini di carta! La fantasia e la varietà di giochi ha
caratterizzato quest‟anno di oratorio. Tacciamo il
nome della squadra vincitrice, perché sono state
tutte delle grandi squadre. Aspettiamo impazienti
di organizzare il prossimo oratorio e di rivedere i
ragazzi entusiasti come non mai… infine
per concludere ringraziamo tutti Enzo e
la sua invincibile pazienza, i cuochi che
facevano la pasta il venerdì (che
buona!), Silvia e la sua bella voce, natu-
ralmente don Adalberto e la nostra guida
Battino! E infine grazie alle persone più
importanti…Grazie ragazzi!!
Antonia
21
VITA D’ORATORIO
Cavalese… che campeggio!
Quest‟anno il campeggio estivo è stato fonte di
nuove esperienze, soprattutto per i più grandi,
infatti Don Roberto ha chiesto anche ai ragazzi
più giovani di partecipare alla vacanza in veste di
animatore e molti, me compresa, hanno accetta-
to con entusiasmo, anche se voleva dire avere
una grossa responsabilità. La partenza è stata il
10 luglio verso le 9 di matti-
na, il viaggio è stato davvero
lungo, ma i cori che si eleva-
vano dagli ultimi posti del
pullman lo hanno reso molto
piacevole! Una volta arrivati
in hotel, un bellissimo hotel a
4 stelle, ci siamo sistemati
nelle camere e subito dopo
c‟è stato il primo incontro di
preghiera, mentre alla sera
abbiamo diviso i ragazzi a
squadre. Il giorno abbiamo
subito avuto la prima gita:
non è stata pesante, ma il
posto era davvero bello! Ab-
biamo mangiato in un gran-
de prato vicino ad alcuni la-
ghetti di alta montagna e dopo aver fatto un po‟
di foto ci siamo incamminati verso l‟albergo per
una bella doccia. Le gite si alternavano a pome-
riggi presso un oratorio locale, accanto a un gran-
de parco, dove si facevano i tornei di calcio e ba-
sket o dove qualche pigrone schiacciava un piso-
lino sulle panchine! La seconda gita è stata me-
morabile e davvero faticosa! Abbiamo camminato
a lungo per circa due ore e mezza sino a raggiun-
gere un rifugio a 2671 metri d‟altezza. Il paesag-
gio era mozzafiato, si poteva toccare il cielo con
un dito e i paesi e le case sembravano così insi-
gnificanti e fragili confrontate con l‟imponenza e
la maestosità delle montagne e del cielo, davvero
bello. Al rifugio non ci siamo trattenuti molto, giu-
sto il tempo di consumare il pranzo al sacco e di
immortalare il paesaggio in una foto. La sera era-
vamo tutti distrutti, quindi abbiamo fatto alcuni
giochi per divertirci, come il mega cruciverba o il
sudoku prima di andare finalmente a dormire!
Abbiamo fatto tanta fatica, ma la ricompensa fi-
nale è stata incredibile. Incredibile come l‟ultima
Messa celebrata all‟aperto. È stato il momento
principale dell‟ultima gita, il penultimo giorno di
campeggio. Eravamo di fronte alle Pale di San
Martino, un gruppo di cime maestose che face-
vano da sfondo al nostro momento di preghiera.
L‟altare è stato fatto con tutti i nostri zaini, che,
come ha sottolineato una ragazza del nostro
gruppo da soli non valgono molto, ma tutti insie-
me hanno costruito qualcosa di divino, qualcosa
cioè che ci porta al Signore, presente lì, sopra i
nostri poveri zaini! Probabilmente la messa è sta-
to uno degli avvenimenti più
emozionanti di questo cam-
p e g g i o , c o m p r e s a
l‟assemblea fatta l‟ultimo
giorno in cui ognuno ha e-
spresso i propri pensieri o le
emozioni che la vacanza ha
suscitato: in quest‟occasione
sono state dette frasi molto
toccanti. Ogni sera è stata
occupata da giochi belli e
coinvolgenti che noi animato-
ri abbiamo preparato con
molto impegno, ma l‟ultima
sera è stata particolarmente
interessante perché organiz-
zata dai ragazzi. Si trattava
della corrida, ovvero ognuno
preparava uno scathc durante il giorno e durante
la serata si esibiva; non sono mancati gli scherzi
(tratto caratteristico dell’ultima serata di campeg-
gio), le barzellette (che raccontava un ragazzo di
singolare simpatia!) e i balli. È stato molto diver-
tente e ringraziamo il don per il gelato e la coca
cola che ci ha offerto a fine serata! Devo ammet-
tere che gli ultimi momenti sono stati i più belli
perché ormai eravamo tutti uniti, abbiamo stretto
amicizia con parecchi ragazzi sia durante le pas-
seggiate in paese o le gite, ma anche alla sera
22
quando noi animatori eravamo intenti a girovaga-
re per i corridoi assicurandoci che i ragazzi faces-
sero silenzio (anche se forse parlavamo di più
noi!). Più si è uniti e più ci si diverte e si approfon-
disce l‟amicizia. Il viaggio di ritorno è stato tran-
quillo, perché eravamo tutti stanchi, e all‟arrivo ci
siamo salutati tutti con un abbraccio calorosissi-
mo. È stata davvero una bella esperienza, ma-
gari siamo partiti distaccati, magari con delle
antipatie verso qualcuno, o conoscendo solo
poche persone, ma siamo arrivati alla fine uniti,
con un gruppo unico, pronti ad aiutarsi tutti. La
rifarei mille volte una vacanza così. Bravi ragaz-
zi!
Antonia
Proposte cinematografiche
In questo numero suggeriamo i seguenti films in
dvd:
Fratelli d’Italia, di Claudio Giovannesi, (Italia
2009). Il film analizza il fenomeno dell‟immigrazi-
one, con attenzione alle seconde generazioni
immigrate in Italia e racconta la vita di tre ado-
lescenti di origine straniera che frequentano lo
stesso istituto tecnico: un diciasettenne rumeno
che ha un rapporto conflittuale con i compagni di
classe e la prof. di
italiano. Poi c‟è
Masha, diciottenne
bielorussa adottata da
una famiglia italiana,
che vorrebbe incon-
trare il suo fratello di
sangue; infine un
sedicenne egiziano
nato a Roma e fidan-
zato con un'italiana,
ma osteggiato in
questo dalla famiglia
(problema quanto mai
attuale). Luce puntata su conflitti e identità,
amori e delusioni, sogno e realtà di questi tre
giovani.
Welcome di Philippe Lioret, (Francia 2009). La
pellicola narra la vicenda, con finale purtroppo
drammatico, di un ragazzo curdo di 17 anni
scappato dall'Iraq in guerra per raggiungere a
Londra la sua ragazza, Mina, di cui è follemente
innamorato. Si analizza, pertanto, la sua odissea
piena di insidie e la sua condizione, una volta
arrivato in Francia, di immigrato clandestino con
l'unica protezione “paterna” di un istruttore di
nuoto. Stride ed è anche una sorta di critica,
partendo da ciò che viene descritto nel film, il
titolo Welcome (benvenuto)...
Vezio
23
A partire da questo numero la rubrica “Un
santo per amico” vi proporrà a puntate la
vita dei vescovi che hanno retto la nostra ar-
cidiocesi. Abbiamo scelto di far precedere la
biografia del primo vescovo, Sant‟Anatalo, a
quella dell‟apostolo Barnaba, tradizional-
mente ritenuto il fondatore dell‟ Archidioece-
sis Mediolanensis.
San Barnaba apostolo
Non è facile scrivere la biografia di un santo
come Barnaba. Nei primi anni di vita della
Chiesa la maggior parte delle notizie era tra-
mandata per via orale (il primo Vangelo ad
essere scritto, quello di Marco, vedrà la luce
quasi trent‟anni dopo l‟inizio del ministero
apostolico) e per questo molte informazioni
sui primi Apostoli sono frammentarie. Nel
caso di Barnaba, per esempio, le fonti parla-
no genericamente di na-
scita avvenuta nel I seco-
lo, senza specificare se
fosse avanti o dopo Cri-
sto. È certo, invece, che
sia originario di Cipro: il
futuro apostolo è citato
per la prima volta da San
Luca nel capitolo 4 degli
Atti degli Apostoli, nei
versetti 36 e 37, quando
si narrava dell‟unione dei
primi cristiani nei periodi
immediatamente succes-
sivi alla Pentecoste, ai
primi miracoli e alle pri-
me predicazioni di Pietro.
“Così Giuseppe, sopranno-
minato dagli apostoli Barnaba, che significa
«figlio dell'esortazione», un levita originario di
Cipro, che era padrone di un campo, lo ven-
dette e ne consegnò l'importo deponendolo
ai piedi degli apostoli.”
Non era dunque palestinese di nascita men-
tre lo erano le radici della sua famiglia, origi-
naria della Giudea ed imparentata con quel-
la dell‟evangelista Marco, del quale Barnaba
era cugino, come ci testimoniò San Paolo
nella Lettera ai Colossesi (4,10).
“Vi salutano Aristarco, mio compagno di carce-
re, e Marco, il cugino di Barnaba, riguardo al
quale avete ricevuto istruzioni - se verrà da
voi, fategli buona accoglienza”
Proprio a Barnaba era stato affidato l’ebreo
Saulo subito dopo la caduta sulla via di Da-
masco e la sua conversione: divenuto nel
giro di breve tempo uno dei “pezzi grossi”
della prima comunità cristiana, sarà Barnaba
a farsi garante di Paolo presso quei fedeli
che ancora diffidavano di colui che, fino a
poco tempo prima, li aveva aspramente per-
seguitati ed aveva assistito alla barbara ucci-
sione del primo martire, Santo Stefano.
“Venuto a Gerusalemme, cercava di unirsi con
i discepoli, ma tutti avevano paura di lui, non
credendo ancora che
fosse un discepolo. Allo-
ra Barnaba lo prese con
sé, lo presentò agli apo-
stoli e raccontò loro co-
me durante il viaggio
aveva visto il Signore
che gli aveva parlato, e
come in Damasco ave-
va predicato con corag-
gio nel nome di Ge-
sù” (Atti degli Apostoli,
9, 26-27).
I due continuarono a far
“coppia fissa” in occa-
sione della prima mis-
sione ufficiale di Barna-
ba, mandato dalla chie-
sa di Gerusalemme ad Antiochia, la terza cit-
tà dell‟Impero Romano dopo Roma ed Ales-
sandria d‟Egitto, dove si erano registrate pa-
recchie conversioni di pagani, inizialmente
non accolte con favore da alcuni membri del-
la comunità, che rimproverarono Pietro: “Sei
entrato in casa di uomini non circoncisi e hai
VESCOVI MILANESI – 1a PARTE
a cura di Mauro UN SANTO PER AMICO
24
mangiato insieme con loro!” (Atti degli Apo-
stoli, 11,3).
“La notizia giunse agli orecchi della Chiesa di
Gerusalemme, la quale mandò Barnaba ad
Antiochia. Quando questi giunse e vide la
grazia del Signore, si rallegrò e, da uomo vir-
tuoso qual era e pieno di Spirito Santo e di
fede, esortava tutti a perseverare con cuore
risoluto nel Signore. E una folla considerevo-
le fu condotta al Signore. Barnaba poi partì
alla volta di Tarso per cercare Saulo e trova-
tolo lo condusse ad Antiochia. Rimasero in-
sieme un anno intero in quella comunità e
istruirono molta gente; ad Antiochia per la
prima volta i discepoli furono chiamati Cri-
stiani” (Atti degli Apostoli, 11,22-26).
Le successive destinazioni dei due apostoli
furono le loro rispettive terre natali, dappri-
ma Cipro e poi l‟Asia Minore, regione corri-
spondente all‟odierna Anatolia, la porzione
asiatica della Turchia. Li accompagnerà nella
loro seconda missione (narrata nei capitoli
13 e 14 degli Atti) il futuro evangelista Mar-
co, che farà da assistente a Paolo durante la
predicazione a Cipro, ma poi abbandonerà i
suoi compagni di viaggio al momento
d‟imbarcarsi alla volta dell‟Asia Minore, forse
perché spaventato dalle fatiche dei lunghi
trasferimenti o dalle ostilità incontrate. La
defezione di Marco non piacque a Paolo che,
al momento di partire per la terza missione,
non lo volle portare con sé. L‟episodio causò
anche una rottura con Barnaba, che sceglie-
rà proprio il cugino come suo compagno di
viaggio, quando fece ritorno a Cipro.
“Dopo alcuni giorni Paolo disse a Barnaba:
«Ritorniamo a far visita ai fratelli in tutte le
città nelle quali abbiamo annunziato la paro-
la del Signore, per vedere come stanno».
Barnaba voleva prendere insieme anche
Giovanni, detto Marco, ma Paolo riteneva
che non si dovesse prendere uno che si era
allontanato da loro nella Panfilia e non ave-
va voluto partecipare alla loro opera. Il dis-
senso fu tale che si separarono l'uno dall'al-
tro; Barnaba, prendendo con sé Marco, s'im-
barcò per Cipro. Paolo invece scelse Sila e
partì, raccomandato dai fratelli alla grazia
del Signore” (Atti degli Apostoli, 15, 36-40).
S o -
n o
questi gli ultimi atti certi ed ufficiali della vita
di San Barnaba, che da questo momento
non è più citato nel testo degli Atti e che, se-
condo alcuni testi bizantini redatti tra il VII e
l‟VIII secolo, si sarebbe avvicinato a Pietro,
seguendolo a Roma. Dalla capitale
dell‟impero avrebbe in seguito raggiunto
l‟Italia settentrionale, dove avrebbe fondato
la Chiesa di Milano. Secondo la tradizione
sarebbe accaduto il 13 marzo dell‟anno 53,
in un giorno nel quale la futura metropoli era
avvolta da un bianco manto di neve che si
sarebbe sciolta al passaggio dell‟apostolo,
per lasciar spazio ai primi fiori primaverili.
Barnaba sarà martirizzato da un gruppo di
giudei a Salamina, col supplizio del fuoco,
probabilmente nell‟anno 61.
Sant’Anatalo
Tutti gli anni, il 25 di settembre, l’Arcidiocesi
di Milano celebra la festa di Sant‟Anatalo,
con la quale sono ricordati anche tutti i ve-
scovi milanesi assurti a santità. Nella memo-
ria si fa un solo nome e non a caso, perché
quello di Anatalo è il primo nome a compari-
re nella lista dei vescovi milanesi. Resse
l‟arcidiocesi per circa 8 anni, dal 55 al 63, e
UN SANTO PER AMICO
25
non molto si conosce sulla sua persona, sem-
pre a causa della mancanza di fonti dirette.
Pensate che solo il suo nome fu scritto in ben
8 maniere diverse, spaziando da Anatalone
ad Anatelon, da Anatolo ad Anatolio, per arri-
vare agli orientaleggianti e quasi impronun-
ciabili Anatalofle, Anatelofl e Anatolofle. Si
trova menzione scritta per la prima volta di
lui ottocento anni dopo le sue gesta, citato
dal monaco longobardo Paolo Diacono nel
testo “Gesta episcoporum Mettensium”,
scritto per conto del vescovo Angilramno di
Metz.
Un‟altra fonte, la “Datiana historia ecclesiae
mediolanensis”, redatta nell’XI secolo da un
autore rimasto anonimo, gli assegna una
doppia cattedra, per aver retto anche la dio-
cesi di Brescia dal 50 al 63.
Gli storici hanno però appurato che, con mol-
ta probabilità, la cronologia tramandata da
queste tradizioni fu “inventata” proprio nell‟XI
secolo, quando i milanesi retrodatarono la
storia dell‟arcidiocesi al fine di stabilire una
pari anzianità con la Chiesa di Roma, in mo-
do da esentarsi dalla soggezione verso
ques‟ultima, con la quale erano entrati in
conflitto a causa dell‟eresia dei Patarini e del-
la malcolta riforma imposta da Papa Gregorio
VII (la “riforma gregoriana”). Sempre secondo
gli studiosi, lo stesso apostolo Barnaba non
sarebbe mai arrivato fino a Milano e, forse,
nemmeno in Italia.
Tutti i primi atti della nostra arcidiocesi, dun-
que, sarebbero avvolti da un alone di leggen-
da, secondo la quale Anatalone fu discepolo
non solo di Barnaba ma anche dello stesso
Pietro, che lo avrebbe personalmente inviato
a Milano come primo pastore. Si dice anche
che fu costretto a vivere nella clandestinità a
causa della persecuzione di Nerone, ma qui
la leggenda non regge al confronto con i dati
storici, perché racconta che la morte lo a-
vrebbe colto nell‟anno 63, ovvero dodici mesi
prima dell‟inizio di tale persecuzione (che, tra
l‟altro, si verificò nella sola città di Roma).
Un‟altra incongruenza riguarda la costruzione
di una chiesa dedicata al Salvatore, secondo
la tradizione innalzata sul luogo dove si trova-
va un tempio pagano, terreno sul quale oggi
sorge la chiesa di San Giorgio al Palazzo: ma
questa, in realtà, fu eretta sui resti di un pa-
lazzo appartenuto all‟imperatore Diocleziano,
vissuto quasi 300 anni dopo gli eventi che ci
interessano.
Verso il V secolo alcune pezze di lino che era-
no venute in contatto col suo corpo al mo-
mento della morte furono trasportate nella
cappella “ad Concilia Sanctorum” e venerate
come reliquie. Rimane ignoto il luogo della
sua sepoltura, simbolicamente celebrata nel-
la chiesa di San Babila, anche se sul
“Beroldo Nuovo” (calendario liturgico del
1263) si può leggere che le spoglie di
Sant‟Anatalo furono tumulate nella chiesa di
San Floriano a Brescia, dove effettivamente
nel 1472 furono rinvenute delle sue reliquie,
oggi conservate nella cattedrale.
San Caio
Poche notizie certe si hanno anche su questo
vescovo, ritenuto da una parte degli studiosi
il primo vero vescovo di Milano. Resse
l‟arcidiocesi per 22 anni, dal 63 all‟85, e
anch‟esso è indicato dalla tradizione come
discepolo di Barnaba e come personaggio
coinvolto nella persecuzione neroniana.
Sempre la leggenda narra che fu lui a battez-
zare la famiglia dei protomartiri milanesi, co-
stituita dai genitori Vitale e Valeria e dai figli
gemelli Gervasio e Protasio, tutti venerati co-
me santi.
Dopo la sua morte la cattedra rimase vacan-
te, sprovvista di un pastore, per 12 anni, fino
al 97. In mancanza di conoscenze, la tradizio-
ne si è sbilanciata verso due spiegazioni per
questa lunga “sosta”: si è parlato
dell‟occupazione della sede episcopale da
parte di un non meglio identificato prelato
ma, ed è questa la versione più plausibile,
anche dell‟assenza di un pastore a causa
della seconda persecuzione cristiana, inten-
tata dall‟imperatore Domiziano (scomparso
nell‟anno 96).
San Castriciano
UN SANTO PER AMICO
26
Talvolta citato come Castriziano, il terzo ve-
scovo milanese resse l‟arcidiocesi per ben
41 anni, dal 97 al 1 dicembre del 138, il
giorno della morte.
A differenza dei predecessori non era di e-
strazione popolare, ma aveva studiato, i-
struendosi seguendo i sermoni di
Sant‟Anatalo e di San Caio. Si dice anche
che quest‟ultimo lo avesse prescelto “in
pectore” quale suo successore.
Grazie alla mitezza dell’imperatore Nerva,
che fece cessare le persecuzioni, Caio riuscì
a convertire al cristianesimo un gran numero
d‟idolatri e a costruire ben tre chiese a Mila-
no. La prima fu innalzata sull‟area dell‟ hor-
tus Philippi, nella zona dove oggi sorge la
Basilica di Sant‟Ambrogio, poi furono erette
le cosiddette basiliche Porziana e Fausta
(corrispondenti alla chiesa di San Vittore al
Corpo e alla cappella di S. Vittore in Ciel d'O-
ro, che si trova all‟interno di Sant‟Ambrogio).
Discordanti le notizie sul luogo della sepoltu-
ra, che non è mai stata rinvenuta. La
“Datiana historia” indica che fu seppellito
nel cimitero di Porta Romana (nello spazio
che attualmente si colloca tra le basiliche di
San Nazaro in Brolo e di San Calimero) men-
tre antichi cataloghi riportano alla scompar-
sa chiesa paleocristiana di San Giovanni in
Conca, sconsacrata dagli austriaci nel XIX
secolo, ceduta ai valdesi ed infine demolita.
Ne rimangono scarsi resti in superficie
(visibili in Piazza Missori) e l’intera cripta,
l‟unica romanica oggi presente a Milano.
UN SANTO PER AMICO
27
Era domenica, il primo di novembre del 2009, poco dopo mezzogiorno, quando, uscendo da messa, ho
visto lo spettacolo che mi ha ispirato questo testo: un turbinio di foglie mulinava nell‟aria contro il cielo
azzurro: foglie dorate o rossicce, quasi tutte insieme, si staccavano dai rami dei tigli della piazza, per un
poco danzavano in libertà, poi scivolavano a terra a coprire le macchine e l‟asfalto. La sera di quel primo
novembre, dopo la visita al cimitero, ho scritto. So che ora sono fuori tempo… ma tant‟è: la cosa è certa
al di là di ogni discussione o parere contrario; anche per chi è ostinato a far finta di niente, il fatto è sicu-
ro: arriva l‟autunno e le foglie cadono.
È per lo meno seccante: esci di casa senza il maglioncino e hai freddo; lo indossi e ti dà fastidio perché,
invece, quel giorno fa ancora caldo. È seccante perché ti obbliga a constatare che le cose cambiano, e
cambiano senza che tu possa minimamente metterci il becco! Soprattutto è seccante perché, se le cose
cambiano, vuol dire che passano; scorrono trascinate dal fiume del tempo.
E mi son ricordato dell‟antico poeta greco. L‟ho letto da ragazzo a scuola e allora mi sembrava strano
che un tale Mimnermo si lamentasse perché la gioventù, che a me sembrava immutabile ed eterna, fos-
se invece destinata a passare:
“Al modo delle foglie che nel tempo
fiorito della primavera nascono
e ai raggi del sole rapide crescono,
noi simili a quelle per un attimo
abbiamo diletto del fiore dell’età,
ignorando il bene e il male per dono dei Celesti.
Ma le nere dèe ci stanno a fianco,
l’una con il segno della grave vecchiaia
e l’altra della morte. Fulmineo
precipita il frutto di giovinezza,
come la luce d’un giorno sulla terra.
E quando il suo tempo è dileguato
è meglio la morte che la vita.”
Eppure, anche se confusamente, capivo che aveva ragione lui e mi chiedevo che destino avrebbe avuto
la mia foglia. Ora so che a scuola cercano di farti credere che in fondo si tratta di un‟immagine lettera-
ria, di un puro gioco linguistico caro ai poeti delle più diverse culture: quando torna l‟autunno quel
«come le foglie», riappare nella sua inquietante verità, magari nella forma dei versi di Ungaretti:
«Si sta come
d’autunno
sugli alberi
le foglie».
Come le foglie di Mimnermo
a cura di Alvisio IN MARGINE A UNA POESIA
28
E spesso prevale la conclusione nichilista: tutto finisce in niente! Poi qualche insegnante “illuminato”
tenta di consolarti, dicendo che a primavera le foglie ricrescono e tutto rinasce.
Ma tu senti che è un panteismo del tutto insoddisfacente: rinasceranno pure delle foglie, ma la foglia
che sei tu dove va a finire?
È ancora una volta Leopardi che dà la risposta inquieta:
“Lungi dal proprio ramo,
povera foglia frale,
dove vai tu? Dal faggio
là dov'io nacqui, mi divise il vento.
Esso, tornando a volo
dal bosco alla campagna,
dalla valle mi porta alla montagna.
Seco perpetuamente
vo pellegrina, e tutto l'altro ignoro.
Vo dove ogni altra cosa,
dove naturalmente
va la foglia di rosa,
e la foglia d'alloro.”
Basta una foglia che cade per spingere alla domanda sul destino. Destino, cioè destinazione, scopo,
meta: siamo immersi nel tempo che è cambiamento, moto. Verso dove?
La saggezza del popolo cristiano sa che quel moto non è casuale: «Non casca foglia che Dio non voglia».
E il cristiano Dante sapeva che quel «dove» dipende anche dalle nostre libere scelte. Per questo la gran-
de metafora delle foglie autunnali è posta all‟inizio dell‟Inferno per descrivere le anime che scendono
dalla barca di Caronte:
«Come d’autunno si levan le foglie
l’una appresso de l’altra, fin che ‘l ramo
vede a la terra tutte le sue spoglie».
Ma c’è un posto, lassù in Paradiso, dove non c’è autunno che tenga.
Lo ricorda Cacciaguida, avo di Dante, che parla dei beati come di un albero che «frutta sempre e mai
non perde foglia».
29
Vivono in Cristo Risorto
28. SCORPIONI Stamura anni 84 08.03.2010
29. DI LAVANZO Duria anni 91 30.05.2010
30. CASOLA Bruno anni 91 02.04.2010
31. RHINER Ruth anni 52 04.04.2010
32. MARIANI Camilla anni 95 08.06.2010
33. ALBINI Cecilia anni 54 30.04.2010
34. FILOSA Cristina anni 89 30.04.2010
35. LAMERA Maria Erminia anni 87 09.05.2010
36. BAROCELLI Eleonora anni 88 10.05.2010
37. GUZZETTI Franca anni 70 12.05.2010
38. BARAUSSE Maria Concetta Assunta anni 81 17.05.2010
Rinati in Cristo
06.06.2010
28. ZAVAGLIA Leonardo
01.08.2010
29. MASPERO Lisa Angela Ester
Uniti nell‟amore di Cristo
9. MESISCA Roberto e IURA Jessica 05.06.2010
10. LARGHI Gianluca e PEDROSO Jessica Adriane 05.06.2010
11. LACERRA Elio e CARPANESE Valentina 12.06.2010
12. BUSATA Davide e BRUNO Giovanna 03.07.2010
13. CIRAULO Davide e MARTINENGO Elisabetta Maria 17.07.2010
14. BOTTAZZINI Matteo e SPORTELLI Patrizia 17.07.2010
15. TOLOMEI Marco e MIOLO Elena 31.07.2010
NOTE D’ARCHIVIO
30
RICORDIAMO CHE...
Il Battesimo comunitario viene celebrato la prima domenica di ogni mese alle ore 15.00.
I genitori interessati sono pregati di ritirare in parrocchia il foglio della domanda di iscri-
zione.
Il venerdì precedente la domenica dei battesimi, alle ore 20.30, RIUNIONE PREBATTESI-
MALE PER GENITORI, MADRINE E PADRINI in casa parrocchiale.
Ogni primo venerdì del mese alle ore 18.00 viene celebrata una S. Messa in suffragio
dei defunti nel mese precedente.
NUMERI TELEFONICI UTILI
Casa Parrocchiale (don Roberto Verga) Tel. 0332.400109
ORARIO SANTE MESSE
Festivo
ore 18.00 (sabato)
ore 8.30 - 10.00 - 11.30 - 18.00
Feriale
ore 8.30 (in chiesa parrocchiale)
ore 18.00 (in san Pancrazio)