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2009 Università degli Studi di Palermo Dipartimento di Progetto e Costruzione Edilizia AGATHÓN AGATHÓN RFCA PhD Journal Recupero e Fruizione dei Contesti Antichi AGATHON_novembre_con correzioni artale:AGATHON.qxd 11/12/2009 10.28 Pagina 1

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U n i v e r s i t à d e g l i S t u d i d i P a l e r m oDipartimento di Progetto e Costruzione Edi l iz ia

AGATHÓNAGATHÓNR F C A P h D J o u r n a lR e c u p e r o e F r u i z i o n e d e i C o n t e s t i A n t i c h i

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In copertina:G. B. Piranesi, Veduta del Tempio di Giove Tonante,1756, acquaforte.

Dipartimento di Progetto e Costruzione Edilizia,Università degli Studi di Palermo

Pubblicazione effettuata con fondidi Ricerca Scientifica ex 60%e Dottorato di Ricerca

A cura diAlberto Sposito

Comitato ScientificoAlfonso Acocella, Tarek Brik (E.N.A.U., Tunisi),Tor Broström (Gotland University, Svezia),Giuseppe De Giovanni, Maurizio De Luca, GilloDorfles, Petra Eriksson (Gotland University, Svezia),Maria Luisa Germanà, Giuseppe Guerrera, MariaClara Ruggieri Tricoli, Marco Vaudetti.

RedazioneMaria Clara Ruggieri TricoliAngela Katiuscia Sferrazza

Editing e SegreteriaAngela Katiuscia Sferrazza

EditoreOFFSET STUDIO

Progetto graficoGiovanni Battista Prestileo

TraduzioniGolnaz Ighany, Alessandro Tricoli

Collegio dei DocentiAlberto Sposito (Coordinatore), Antonino Alagna,Giuseppe Carta, Giuseppe De Giovanni, Ernesto DiNatale, Tiziana Firrone, Liliana Gargagliano, MariaLuisa Germanà, Giuseppe Guerrera, Giuseppe LaMonica, Marcella La Monica, Renzo Lecardane,Alessandra Maniaci, Angela Mazzè, AngeloMilone, Maria Clara Ruggieri Tricoli, CesareSposito, Rosa Maria Vitrano.

Finito di stamparenel mese di Dicembre 2009da OFFSET STUDIO S.n.c., Palermo

Per richiedere una copia di AGATHÓN in omaggio,rivolgersi alla Biblioteca del Dipartimento diProgetto e Costruzione Edilizia, tel. 091\23896100;le spese di spedizione sono a carico del richiedente.

AGATHÓN è consultabile sul sitowww.contestiantichi.unipa.it

AGORÀGillo DorflesARTE E FOLLIA: IL GIARDINO INCANTATO DI FILIPPO BENTIVEGNA .................................................................... 3Alberto SpositoPIETRO CONSAGRA E L’ARCHITETTURA .............................................................................................................. 9Olimpia NiglioVERSO UNA STORIA DELL’ARCHITETTURA ANTISISMICA ....................................................................................15Giorgio SiderisPROGETTO DI RESTAURO DELLA MOSCHEA GAZI HASSAN PASCIA A KOS, GRECIA ............................................19

STOÀAlberto SpositoPROGETTARE LA RICERCA ................................................................................................................................ 23Marcella La MonicaHONORÉ DAUMIER: LITOGRAFO, PITTORE E SCULTORE .................................................................................... 25

GYMNÁSIONRocco CarusoL’ACROPOLI DI GELA: RICONFIGURAZIONE E FRUIZIONE ..................................................................................27Maria Désirée VacircaDELPHI: DALL’OMPHALÓS COSMICO AL MUSEO ARCHEOLOGICO .................................................................... 31Vincenzo MinnitiUNA COPERTURA PER LE MURA DI CAPO SOPRANO A GELA ............................................................................ 37Alberto DistefanoUN PROGETTO PER LA VALLE DEI TEMPLI AD AGRIGENTO ................................................................................ 41Mariangela NiglioRESTAURO DI UNA CHIESA BIZANTINA A EN-NITL IN GIORDANIA .................................................................... 45Alessandro TricoliARCHEOLOGIA URBANA E ATTIVITÀ COSTRUTTIVA .......................................................................................... 49Santina Di SalvoLUCE NEL MUSÉE NATIONAL DU MOYEN AGE ET DES THERMES DE CLUNY A PARIGI........................................ 51Carmelo CiprianoLA CARTA AUDIS E LE AREE EX-INDUSTRIALI....................................................................................................55Pietro ArtaleLEONARDO RICCI AL MONTE DEGLI ULIVI: ARCHITETTURA DA CONSERVARE ....................................................59Angela Katiuscia SferrazzaTRA CAMPAGNA E CITTÀ: TUTELA E VALORIZZAZIONE DEL PAESAGGIO PERIURBANO ........................................63Walter AngelicoLIBERTY: SUL RESTAURO DI VILLA ANTONIETTA A PALERMO ............................................................................67Golnaz IghanyLA SOSTENIBILITÀ INCONSAPEVOLE NELL’ARCHITETTURA D’ORIENTE ..............................................................71

A G A T H Ó NRFCA PhD JournalRecupero e Fruizione dei Contesti Antichi

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Questa edizione di Agathón, rispetto alla precedente del 2008, risulta integrata sot-to diversi aspetti. Innanzitutto, il Comitato Scientifico è stato ampliato con studiosi di al-tri ambiti territoriali: con i professori Tor Broström e Petra Eriksson della Gotland Uni-versity (Svezia) per il settore della tecnologia ambientale e della storia e il professor Ta-rek Brik dell'École Nationale d'Architecture et d'Urbanisme di Tunisi per il settore delrestauro: personalità tutte di alto spessore culturale cui diamo il nostro più calorosobenvenuto. Un tale ampliamento è mirato verso la internazionalizzazione dell’attivitàeditoriale, sostenuta, tra l’altro, dagli abstracts in lingua inglese per ciascun articolo eda brevi curricula per gli autori.

Nella prima sezione, Agorá, come lo spazio centrale e collettivo della pólis greca,sono ospitati alcuni contributi, tra cui quelli di Gillo Dorfles, Olimpia Niglio e GiorgioSideris. Nella seconda sezione, Stoá, come il portico in cui il filosofo Zenone insegnavaai suoi discepoli, sono riportati due temi presentati da Docenti del Collegio di Dottora-to, su questioni riguardanti da un lato la metodologia e l’assiologia in un progetto di ri-cerca, dall’altro l’arte di Honoré Daumier. Nella terza sezione, denominata Gymnásion,come il luogo del cimento per i giovani greci che si esercitavano nella ginnastica e veni-vano educati alle arti e alla filosofia, sono riportati i contributi di Walter Angelico, delDottore di Ricerca Rocco Caruso e dei Dottorandi Maria Désirée Vacirca, VincenzoMinniti, Alberto Distefano, Mariangela Niglio, Alessandro Tricoli, Santina Di Salvo,Carmelo Cipriano, Pietro Artale, Angela Katiuscia Sferrazza e Golnaz Ighany.

In questo numero manca la sezione istituita in precedenza e destinata ai giovanilaureati, denominata Sekós, come il luogo della casa destinata ai giovani di cui parlaPlatone (Rep., 460c). Infine, nella quarta di copertina, come di solito, è riportato il ca-lendario dei seminari, relativi agli Anni 2009 e 2010. Per concludere, è da sottolineareche questa iniziativa e l’attività editoriale sono state possibili grazie all’impegno delCollegio dei Docenti, in particolare grazie al lavoro straordinario del Dottorando di Ri-cerca Angela Katiuscia Sferrazza e al supporto indispensabile di tutto il personale tecni-co e amministrativo del Dipartimento.

Alberto Sposito

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ARTE E FOLLIA:IL GIARDINO INCANTATO DI FILIPPO BENTIVEGNA

Gillo Dorfles*

ABSTRACT – Published by “Novecento” in 1989, thiscritical reading by Gillo Dorfles shows an interdisci-plinary approach, able to gather art, architecture, scien-ce fiction, industrial design, advertising, fashion, musicand tradition. This article is certainly dated, but igno-red by many: it is about the Sicilian sculptor FilippoBentivegna, who left us this wonderful enchanted gar-den in Sciacca. Dorfles denotes, connotes and masterlyinterprets this work, searching for its aesthetic reasons.The article is here re-published for new readers todiscover.

Di fronte al Mare d’Africa, ai piedi delmonte Cronio, nel forte riverbero d’un

sole che gioca tra olivi, mandorli e vigneti, sor-geva, e ancora sorge, seppure modificato e ri-strutturato, il «Giardino Incantato» di FilippoBentivegna. Non si creda che l’appellativo di«Giardino incantato» sia una licenza poetica ouna trovata giornalistica: solo chi ignora la lim-pida atmosfera delle colline attorno a Sciacca,ancora carica degli umori d’un mare che videscontrarsi le triremi romane e puniche, moltoprima degli incrociatori alleati, e persino, si di-ce, aggirarsi i Ciclopi, potrà meravigliarsi diquesta definizione, forse un po’ troppo romanti-ca, forse troppo enfatica, ma che è senz’altroidonea a definire uno spettacolo, creato insiemedalla mano dell’uomo e dalla natura. Dalla Na-tura, perché le colline che salgono dolcementeverso il Monte San Calogero o Cronio, per usareun nome memore dell’antichità greca, a est del-l’abitato di Sciacca sono rimaste quasi intatte,anche se già in via d’essere invase dalle anoni-me costruzioni dei geometri locali; come è rima-sta intatta la loro vegetazione; mentre dalla ma-no dell’uomo sono uscite le sculture di cui miaccingo a discorrere e che costituiscono la pecu-

liare attrazione di questo «giardino».Del resto, di «giardini» si è sempre parlato in

Sicilia e in buona parte del mezzogiorno d’Italia:«giardini d’aranci» sono chiamati spesso gli agru-meti; «giardini di pietra» sono i luoghi di repertiarcheologici che ancora punteggiano l’isola daTaormina a Selinunte; e sono – in questa terracosì architettonicamente perfetta – giardini anchei più umili orti dove crescono melanzane e cipol-le, carciofi e meloni... Ma nel giardino di cui vor-rei trattare, oltre agli ulivi, ai mandorli e agliortaggi che un tempo erano coltivati dal suo pro-prietario, c’era un altro incredibile e insolito pro-dotto che ne costituiva il principale «raccolto»:erano le teste, scavate e scalpellate nella rocciadall’artista-contadino, dal l’«Eccillenza» artigiana,Filippo Bentivegna, detto anche, appunto per lasua singolare attività, «Filippu di li testi».

Le teste che, per lunghi anni fino al 1967,anno della sua morte, Bentivegna venne struttu-rando e scavando nella pietra locale e «coltivan-do» come se fossero frutti di quelle zolle al paridelle olive e degli ortaggi, costituiscono il lasci-to insolito e affascinante dell’artista, che durantetutta la sua esistenza ebbe la sola preoccupazionedi compiere questo suo sconcertante lavoro. Lepiù di tremila teste, scolpite senza interruzionenei cinquant’anni che separano il suo rientro dagliUSA dove, come vedremo, si recò bambino pertornarne adolescente, e l’anno della sua morte,hanno già dato origine a una loro storia, o forsepiuttosto a una leggenda che mi piacerebbe, qui,di riuscire ad arginare entro i suoi veri limiti: sen-za togliere quel tanto di magico e di mitico che laavvolge, e al tempo stesso senza insistere tropposugli aspetti agiografici e giornalisticamente sen-sazionali che già avvolgono il personaggio e che

Nella operosità scientifica che attraversa l’ampio arco della cultura figurativa, dalle due guerre ad og-gi, Gillo Dorfles ha espresso e continua ad esprimere un rigore etico con la speculazione critica e conla passione creativa della teoria. La curiosità di Dorfles per la comprensione delle grandi rappresenta-zioni della cultura nei suoi più svariati campi di applicazione lo ha portato ad assumere il ruolo di pro-tagonista nella critica dell’arte, dell’architettura, dell’industrial design e della moda. E ciò malgradola confessione: «non mi considero un filosofo, né un estetologo tradizionale, ma mi sono servito di co-noscenze autodidatticamente apprese per costruire una mia estetica, che sarà magari mutila e insuffi-ciente, ma che mi ha permesso di analizzare i linguaggi delle diverse arti senza essere ossequiante anessuna particolare scuola». Lo abbiamo rilevato in occasione della Laudatio pronunciata in occasio-ne del conferimento della Laurea Honoris Causa in Architettura Magistrale all’Università degli Studidi Palermo nell’aprile del 2007 e pubblicata su AGATHÓN dello stesso anno. Nell’ambito di una in-terdisciplinarietà, capace di tenere assieme arte, architettura, fantascienza, disegno industriale, pub-blicità, moda, musica e tradizione, si colloca questa sua lettura critica, pubblicata con i tipi della Edi-trice Novecento, datata di certo, ma ignorata dai più: si tratta di uno scritto sullo scultore siciliano Fi-lippo Bentivegna, che ha lasciato questo splendido giardino di pietra a Sciacca, e che Gillo Dorfles de-nota, connota e magistralmente interpreta, ricercandone le motivazioni estetiche. Alberto Sposito

Il Giardino Incantato a Sciacca (AG).

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rischiano di farne l’equivalente d’un «caso clini-co» anziché precisarne l’effettiva portata storicae artistica. Bentivegna, infatti, è già stato neglianni passati protagonista d’una densa cronacalocale, ricordata in numerosi articoli di giornalidel luogo, e persino registrata da un servizio tele-visivo svedese; non solo, ma alcune delle sue ope-re sono addirittura entrate a far parte dell’unicomuseo dedicato all’arte dei naïfs, dei dementi,degli «incolti»: quel Musée de l’Art Brut diLosanna, fondato per volontà di Dubuffet unaventina d’anni or sono, e che raccoglie una impo-nente documentazione di queste forme d’arte ano-mala ai margini della patologia. Eppure, tanto inItalia che all’estero, ben pochi sono al correntedell’esistenza di Bentivegna, anche perché benpochi si sono accorti dell’eccezionalità ma anchedel fascino (che vorrei definire decisamente arti-stico) delle sue sculture.

Sculture che non sono, come qualcuno potreb-be credere, soltanto la testimonianza d’una men-te compromessa; si dice, come vedremo più oltre,che Bentivegna fosse tornato dagli USA in segui-to a un alterco con un negro che l’avrebbe fero-cemente colpito al capo, ma che, per quanto sene può dedurre oggi dalle testimonianze di chi loconobbe, sono il frutto di un’attività in certo sen-so finalizzata a una precisa meta artistica, seppu-re avulsa da ogni normale intenzione di profes-sionalità e di lucro. È evidente, infatti, che l’ano-malia di Bentivegna non si può far rientrare sem-plicisticamente in quella d’un subnormale, o d’u-no schizofrenico, tanto più se la stessa è esplosasoltanto dopo l’episodio già riferito. D’altro can-to la sua integrità fisica, l’abilità nella sua atti-vità manuale finalizzata alle sculture, stanno adimostrare un’indubbia capacità ideativa edespressiva, indirizzata tuttavia in un senso unico,e da considerare perciò, almeno parzialmente,delirante. Le sculture – come dissi – consistonoquasi esclusivamente in «teste», che presentanotutte una certa «aria di famiglia» e che, proprio perquesto, risultano del tutto immaginarie anche se illoro autore le indicava con molti nomi di perso-naggi del luogo, o di personalità storiche dell’e-poca battezzando alcune di esse con i nomi diGaribaldi, Hitler, Mussolini...

Oltre alle teste, che alle volte risultano scolpiteanche sui tronchi di ulivi e mandorli del Giardino,si possono osservare alcuni esempi di figurazio-ni vagamente simboliche: profili di corpi femmi-nili, forme serpentine, segni a zig-zag o a raggie-ra, forme scanalate, che però raramente giungono

a concretarsi in vere e proprie strutture signifi-canti. Ma quello che costituisce un altro motivosingolare è la costruzione di alcune formazionivagamente piramidali ma sinuose, oggi sostituiteda blocchi di cemento entro i quali sono inseritee accumulate, quasi «impilate», moltissime testecosì che l’insieme appare come una formazioneunitaria, la cui sagoma ricorda, molto alla lonta-na, le muraglie del Parco Guell di Gaudi aBarcellona, dalle quali occhieggiano i volti, oraarcigni, ora severi, ora stralunati delle sculture.

Quale è stata la vera molla che ha messo inmoto questa incessante creazione? Quale è statoin realtà il significato che lo scultore attribuivaalle sue invenzioni che, oltre tutto, non volle maivendere né comunque alienare, e di cui rimane-vano al momento della sua morte prima che i visi-tatori locali e stranieri ne facessero man bassa,più di tremila esemplari? E impossibile decider-lo con certezza: sarebbe troppo facile tracciareun parallelismo con operazioni come quelle delfamoso schizofrenico svizzero Adolf Woelffli, ocome quella del romano Fernando Nannetti, auto-re d’uno sterminato graffito sulle pareti del mani-comio volterrano. In quei casi per altro, si tratta-va di due accertati e conclamati casi di schizo-frenia nei quali i meccanismi di perseverazione,dissociazione, figurazione delirante, erano piùche evidenti; mentre nel caso di Bentivegna lasua «fissazione» si limitava alla realizzazione del-le infinite teste, e dei pochi disegni e dipinti parie-tali senza che fosse mai emersa la necessità d’unsuo ricovero manicomiale, e senza che le sue ope-re rivelassero, come nel caso di Woelffli, diNannetti e di tanti altri «artisti-pazzi», un com-plesso delirio cosmogonico o politico.

Ecco perché ritengo che sia più giusto consi-derare il «Giardino» e le «Teste», nonché le «pira-midi» di sculture ammonticchiate e alcune delleimmagini pittoriche sulle pareti della sua casu-pola, quali autentiche «opere d’arte», sia pur rien-tranti in parte nella grande famiglia dell’Art Brut,sia pur catalogabili come arte «naïve», al pari diquelle del serbo Vojislav Jakić, pure lui ospitatonel museo dell’Art Brut, di alcuni naïfs jugosla-vi (Generalić) o della famosa Ol’Ma’Moses, l’a-mericana più che ottantenne autrice di tanti deli-ziosi dipinti dove l’ingenuità infantile si mesco-la a una perfettissima tecnica artigianale; per nondire poi di altri artisti quali Ligabue o Di Terlizzi,il famoso carabiniere degli anni trenta, entrambia metà strada tra la «vera» pittura e il gioco, tra lafantasiosità creativa e l’insufficiente abilità tec-

nica, così spesso scambiata per originalità. E allo-ra perché queste teste e questo Giardino (anche se,purtroppo, recintato e trasformato in Fondazioneha perduto oggi molto del suo fascino primitivo)appaiono così conturbanti ai nostri occhi?Probabilmente perché non sono mai stati succu-bi delle «mode» del tempo, dei dettami d’un inse-gnamento accademico, delle imposizioni e dallacorruttela d’un mercato. Per sua e nostra fortunaBentivegna non si è mai lasciato travolgere da ungiro d’affari che avrebbe potuto stimolarlo a pro-durre in maniera diversa; non ha mai consideratola sua opera come una possibile merce di scambio,come ebbe a diventare per tanti naïfs haitiani ejugoslavi, e come facilmente l’avrebbero fattadiventare alcuni dei suoi «collezionisti», di quel-li cioè che riuscirono a impadronirsi di alcunipezzi durante la sua vita o dopo la sua morte. Perqueste ragioni probabilmente la genuinità delleteste riesce ancora a parlarci con un linguaggiocarico di efficacia anche se non ne conosciamo indefinitiva né il codice né l’alfabeto.

Ma, prima di procedere in un’analisi un po’più circostanziata di alcune di queste opere, misembra indispensabile riassumere quei dati bio-grafici che formano il supporto di questa stranavicenda, umana e artistica insieme, esponendoquelle poche notizie che risultano dai documentiesistenti e da quanto abbiamo potuto raccoglieresul luogo dalla viva voce di alcuni dei conoscen-ti e degli estimatori di «Filippu di li Testi». Lastoria della sua vita è, in definitiva, molto sem-plice e lineare e insieme molto inconsueta, e nonpuò essere ignorata per chi voglia interpretarecon la maggior obiettività possibile la sua opera.Filippo, dunque, nasce nel 1888 a Sciacca, figliodi un Paolo, «marinaro», e di una CalogeraMonaco pure di Sciacca. Due fratelli maggioripare fossero già emigrati in America, e ancheFilippo quindicenne si avventurò verso il NuovoMondo, sistemandosi a Boston, dove già risiede-va una sorella e forse gli altri fratelli. Mentreun’ultima sorella rimase in Patria e sposò unMaffei da cui ebbe una figlia, tuttora vivente,nipote dunque e ultima erede di Filippo.

Filippo negli USA lavora a una linea ferro-viaria insieme ai fratelli ed è qui che si situa l’e-pisodio cruciale da cui pare tragga origine tutta lasua successiva vicenda esistentiva e artistica insie-me. Innamoratosi, o forse fidanzatosi, con unagiovane ragazza americana, Filippo viene coin-volto in una violenta lite con un rivale negro dacui riceve un potentissimo colpo alla testa; colpo

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che doveva risultare fatale al povero immigratoitaliano, il quale, oltre allo scorno subito, e all’a-more infranto, diventa vittima di una evidentealterazione del carattere e forse della stessa inte-grità mentale, dato che subito dopo questo epi-sodio viene fatto rimpatriare. Dopo il suo ritornoin patria le notizie che lo riguardano sono alquan-to incerte a prescindere da una annotazione ana-grafica del 1919 che lo situa quale residente aSciacca e «inabile» al lavoro e come tale usu-fruente d’una pensione d’invalidità. Sta di fatto,comunque, che dagli USA Filippo dovette farritorno non del tutto privo di mezzi, se poté,appunto con il denaro guadagnato in America,comprarsi quel poderino, che la sua frenetica atti-vità di «scavatore» di cunicoli sotterranei dovevain breve tempo trasformare nel «GiardinoIncantato». Durante gli anni che seguono il suorimpatrio, l’acquisto del podere, l’inizio dellalavorazione delle teste, e lo scavo dei cunicoli, lavita di Filippo non presenta nessun avvenimentodegno di rilievo e neppure la presenza di viaggi odi particolari contatti con artisti o con eventualiinsegnanti che potessero aver avuto una direttainfluenza sul suo lavoro.

Rinserrato nel suo giardino, frequentando sol-tanto gli stretti familiari, due nipoti con i qualinegli ultimi tempi andò ad abitare, Filippo sta allalontana da ogni rapporto col prossimo, che in par-te teme in parte disprezza; solo di rado accogliequalche visitatore quando ormai la fama delle sue«Teste» comincia a diffondersi e a trasformarsi inun fatto di cronaca cittadina. Si narra anche dialcuni suoi curiosi atteggiamenti, forse denunciantiuna sorta di delirio persecutorio e insieme di maniadi grandezza. Il fatto di aggirarsi per le vie dellacittà con in mano un corto bastone, quasi a mo’ discettro; il fatto di tenere in gran conto una sua ope-ra composta di alcune teste terminanti in una sor-ta di fallo, definita da lui Chiave dell’Incanto;come pure l’autoproclamarsi «Signore delleCaverne», per i numerosi cunicoli che veniva sca-vando nel suo podere, e addirittura «Eccillenza»...sono tutti, questi, comportamenti che da un latotestimoniano dell’evidente condizione di anomaliapsichica nella quale era scivolato dopo lo sciagu-rato episodio americano; dall’altro, il fatto che ilsuo vero interesse è ormai polarizzato sulla crea-zione delle teste e su tutto quanto ha attinenza conle stesse. Ed è così che, con un lento declino del-la sua vitalità e della sua salute e un affievolirsidelle capacità creative, giunge alla morte, avve-nuta nel 1967 all’età di 78 anni.

Naturalmente, a questi schematici dati bio-grafici altri se ne potrebbero aggiungere da chivolesse arricchire questa vicenda di ulteriori chia-roscuri romanzeschi; ma forse tali dati non fareb-bero che alterare l’autentica figura dello scultoredelle teste, come avviene ogni qualvolta si appli-cano sovraccostruzioni – vuoi agiografiche chedenigratorie – a una determinata personalità. C’è,comunque, chi insiste sulla sua scontrosità, suisuoi litigi con visitatori troppo insistenti; chi pro-clama la sua assoluta indifferenza per il denaro egli onori; chi, invece, afferma che specie negliultimi anni, dopo la visita della troupe televisivasvedese e un articolo sul settimanale Stern, eglisarebbe divenuto più avido di riconoscimenti eplausi, giungendo persino a partecipare a una festapaesana, in occasione del carnevale di Sciacca,accettando di sfilare insieme ai carri allegorici.E chi ancora avanza l’ipotesi (Delia Parrinello inun suo bel saggio) che alcuni capi del suo vestia-rio: un golf peloso, un berrettaccio, avrebberoassunto ai suoi occhi dei valori «magici», sicchésarebbe ammissibile considerarlo addirittura unasorta di «sciamano siculo».

Sia che si tratti di leggende o di effettiverealtà, queste non aggiungono né tolgono valorealla sua opera. Sarebbe, comunque, quanto maiazzardato istituire un parallelismo tra il cappello,il panciotto di feltro unto di Beuys, il grande edenigmatico artista tedesco recentemente scom-parso, e gli indumenti di Bentivegna: nel primocaso si tratta di gesti e azioni ricercati e voluticon assoluta coscienza, ai quali l’artista stessoattribuiva significati simbolici e addirittura occul-ti (non si dimentichi l‘appartenenza di Beuys alfilone antroposofico steineriano e la sua fede nel-la esistenza di particolari forze occulte); mentrenel secondo caso si tratta evidentemente soltantodi abitudini divenute col tempo stereotipi, e rien-tranti nel quadro di sfumato stato dissociativoparanoideo al quale ho già accennato, e sul qua-le avremo ancora occasione di ritornare.

A questo punto, come si può vedere già daquesti brevi cenni, la storia e il mito si confondonoe in certo senso si integrano. Se quelli che ho rife-rito sono gli scarsi appunti «storici», che ci sonostati tramandati e ai quali si potrebbe solo aggiun-gere qualche ovvia forzatura giornalistica o qual-che più o meno attendibile pettegolezzo paesano– dobbiamo invece soffermarci brevemente sul-l’aspetto che vorrei definire «mitico» di tutta que-sta vicenda. Molto della vita e dell’attività diBentivegna affonda in un terreno che è decisa-

mente tale: e come è noto, il mito è sempre situa-to fuori dal tempo cronologico e rimane fissatoentro una temporalità che affonda le sue radicinella favola, nella superstizione, in quel coacervodi elementi reali o immaginari che costituisconouna realtà «altra», che non si lascia alterare dalleminute vicende che di solito intralciano le crona-che «reali» dell’esistenza. Molto di quello che siriferisce alla vita di Bentivegna, al suo commer-cio con il prossimo ha il sapore d’una leggenda:il suo vivere appartato, estraneo ad ogni fame dilucro; la sua minuziosa cura per il «giardino»; lasua vita ascetica e il suo evidente misoginismo,forse dovuti a qualche ragione fisiologica o all’e-pisodio americano traumatico rispetto ai rappor-ti con l’altro sesso; e, negli ultimi anni, la suacostante preoccupazione di affermare la sua asce-sa a una «dignità» sovrana con l’autoproclama-zione di «Eccillenza», «Principe», «Signore del-le Caverne», ecc.; l’avere elevato alcuni suoi esti-matori al rango di «dignitari», ecc.: tutto questoinsieme di dati caratteriali e di atteggiamenti deli-ranti, fanno sì che si venga lentamente costruen-do un personaggio leggendario: «Filippu di liTesti» si trasforma, già in vita, in un mito localeche, oltretutto, porta visitatori e curiosi alla cittàe, in certo senso, eleva chi in origine era consi-derato soltanto un povero anormale a una picco-la «gloria locale».

«Filippu di li Testi» non è più dunque l’ere-mita balzano, e neppure il coltivatore inabborda-bile e scontroso, ma è divenuto l’eroe gloriosoche ha saputo costruirsi una vita a sua misura eche, con la sua cocciuta produzione di teste, vie-ne ad arricchire la notorietà di Sciacca istituendoquasi un bizzarro contraltare alle meravigliearcheologiche che punteggiano la SiciliaMeridionale da Selinunte ad Agrigento. Tutto ciòspiega perché, dopo la sua morte, le teste nonvenissero abbandonate o nascoste in mezzo alleerbacce e alle zolle dell’orto, come avveniva inprecedenza, ma divenissero oggetto costante diinteresse e quindi preda di furti, finché il Comunenon ebbe deciso di tutelarle con la istituzione d’u-na Fondazione e la recinzione del GiardinoIncantato.

Purtroppo ogni qual volta un elemento mitico,tanto se incarnato in un personaggio che in unparticolare oggetto rituale, viene sottoposto alleconsuete «leggi» del mondo finisce per perderemolto, se non tutto, della sua pregnanza. Lo si èvisto in moltissime occasioni. Per questo l’inef-fabile atmosfera dell’orto e della capanna-labo-

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ratorio di Bentivegna, isolati in mezzo ai campi eagli oliveti, oggi che sono stati rigorosamenterecintati e ripuliti, coi vialetti in acciottolato checonducono alla sua rustica dimora, e i muretti chereggono le centinaia e centinaia di teste cementateperché non possano venir rubate dai malinten-zionati, hanno perduto molto del loro primitivofascino. Come lo hanno perduto tanti altri luoghi«deputati» di antichi misteri o di recenti gloriosevicende: dall’acropoli di Micene al Labirinto diCreta, dalle Fosse Ardeatine ai Campi di stermi-nio nazisti, ormai imbalsamati e sterilizzati; dailuoghi sacri dedicati alle Madonne di Lourdes o diFatima, fino al Santuario – Ospedale – Albergo diS. Michele sul Gargano... Tutti luoghi dove il turi-smo, il consumismo, la superstizione, la com-mercializzazione e non più, o quasi, l’autenticafede, il primitivo rituale, hanno trasformato anti-chi e recenti luoghi sacri in ricettacoli e «santua-ri» del Kitsch.

Con tutto ciò la forza che emana da questeteste, la potenza occulta, sebbene del tutto nonintenzionale, di certi emblemi misteriosi (spiraliserpentine, corpi femminili intrecciati, pesci), per-mane ancora e continua ad agire sul visitatore chesappia isolarli dalle sovra costruzioni recenti,estranee al primitivo e autoctono GiardinoIncantato. Prima di sospendere questa cronistoriamitica e di passare ad una sia pur approssimativaanalisi delle opere di Bentivegna, una questione sipone, alla quale nessuno potrà rispondere consicurezza, ma che non può non costituire un ovviointerrogativo: qual è, o quale dobbiamo conside-rare che sia l’origine, la motivazione, la «pato-genesi» di queste opere, e come dobbiamo situa-re il loro autore, azzardando una ipotetica classi-ficazione psichiatrica? Preferirei rispondere che,in realtà, le opere vanno considerate di per sé,per il loro maggiore o minore valore artistico oalmeno per la loro maggiore o minore efficaciaespressiva, e che il loro autore debba essere valu-tato come artista dotato di indubbia vena creativa,a prescindere da ogni possibile etichetta scienti-fica che una diagnosi psichiatrica possa affib-biargli. E ritengo che sia questa la giusta manie-ra di porsi, non solo in questo caso, ma dinanzi aitantissimi casi di artisti «anomali», come puredinanzi a quello di grandi artisti universalmentericonosciuti come tali, ma presentanti evidentistigmate morbose.

Nulla di più vacuo, di scarsamente scientificoe soprattutto di meno esteticamente probativo cheparlare della pittura di Van Gogh come di quellad’un maniaco depressivo o d’un paranoico, diquella di Dalì come di quella d’un maniaco ses-suale, o di quella di Pollock come di quella d’unalcolizzato cronico. Che particolari alterazionidel comportamento, del carattere, della cenestesi,e persino della percezione, possano risultare allabase di taluni spunti creativi, è indiscutibile; maquello che conta è il risultato effettivo di tali spun-ti e il fatto che gli stessi possano o meno esserefatti rientrare nell’ambito d’un’arte autentica enon solo d’una, più o meno episodica e incoordi-nata, espressione patologica, destinata ad essereesclusivamente sintomatica d’una grave compro-missione psichica. Che poi la «linea ondulante» diVan Gogh corrisponda a un momento di grandetensione nervosa; che gli aloni a raggiera attornoal sole dei suoi ultimi dipinti siano una spia del-le sue condizioni di esaltazione emotiva, ha unsignificato molto relativo per quanto riguarda l’ef-fettivo valore di questi dipinti. E lo stesso potre-mo dire per tantissimi altri casi di apparente oeffettiva alienazione, momentanea o duratura, digrandi artisti, i quali non per questo scadono difronte al nostro giudizio critico. In altre parole:sarà certo utile ai fini d’un’indagine psichica epsichiatrica far luce anche su alterazioni anato-mo-fìsiologiche e tanto più patologiche, ma que-sto non ci permetterà comunque di modificare ilnostro giudizio sulle opere in questione. Se è vero,ad esempio, che le sculture filiformi di Giacomettigli sono state suggerite da certe formazioni cal-caree del paese natale di Stampa, ciò non toglieche solo un artista come Giacometti avrebbe sapu-to trarre da questo spunto il germe d’un’inven-zione plastica così affascinante. Nel caso che quic’interessa sarebbe un vero errore affermare chefu soltanto il pugno d’un negro avvinazzato a faresplodere la creatività di Bentivegna.

Anche se abbiamo a che fare con una perso-nalità abnorme dove spunti paranoidei (sfociantiin un delirio di grandezza), sono evidenti, comesono evidenti le alterazioni caratteriali a probabilesfondo sessuale, con tutto ciò la nostra valuta-zione assiologia circa la sua opera non deve muta-re; come non muta quella che riguarda tante ope-re di Art Brut, conservate nel museo di Losanna,alcune delle quali sono indubbiamente soltanto

documenti di menti ammalate o di personalitàdemenziali, mentre per altre si pone con tutta evi-denza l’opportunità d’un giudizio di valore chele fa rientrare nell’ambito d’un’autentica produ-zione artistica.

Per quanto riguarda, pertanto, il problema deirapporti tra arte e follia, arte e «innocenza», alme-no due parole ancora s’impongono. Certo: in alcu-ne delle più caratteristiche creazioni dovute a casiconclamati di schizofrenia l’analisi di certecostanti espressive permette, fino a un certo pun-to, una diagnosi. Ne abbiamo infiniti esempi. Mabasterebbe citare due o tre dei casi più noti: quel-lo dello zurighese Woelffli, del veronese «Carlo»(studiato molto accuratamente una ventina d’an-ni or sono da Andreoli, Trabucchi e Pasa, e pub-blicato nei «Cahiers de l’Art Brut»), quello delmontenegrino Voislav Jakić (cui dedicò un saggiomolto esteso Aleksa Celebonovic negli stessi«Quaderni»), e più recentemente quello del giàricordato Fernando Nannetti, ricoverato perdecenni a Volterra, al quale Scabia e Trafeli han-no dedicato un’interessante pubblicazione («Illibro della vita», Pacini Ed., Pisa, 1985).

In tutti questi casi si danno delle particolaristigmate grafico-pittoriche che sono inconfondi-bili e che fanno immediatamente indirizzare ver-so ,la diagnosi di sindrome dissociativa. Si trat-terà, nel caso di «Carlo», della presenza del feno-meno della «trasparenza», della presenza di figu-re microscopiche e macroscopiche alternate, diesseri fantastici («i fiammiferi», i «pretini») di«numeri magici», e l’insistito uso di tratteggifinissimi alternati a macchie informali, e in gene-rale di insistite stereotipie che danno all’opera ilsuggello d’un’appartenenza alla sfera demenzia-le, anche se esistono alcune qualità che possia-mo senz’altro riconoscere come «artistiche»; mache sono stravolte dalle perseverazioni e dall’in-differenza rispetto alla paradossalità compositi-va. Stigmate molto analoghe si possono riscon-trare nella lunghissima serie di dipinti dello sviz-zero Woelffli, la cui fantasia onirica appare scon-finata ma sempre coartata dalla presenza di dise-gni stereotipati, dall’insistito bourrage dei fogli edal contenuto delirante delle figurazioni. Tuttielementi che ricorrono anche nell’opera – questacertamente non priva di una autentica carica fan-tastica e anche d’una indiscussa capacità rappre-sentativa – del contadino serbo; per il quale, tut-

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tavia, non si pone una diagnosi di schizofreniama piuttosto di psicosi allucinatoria cronica, subase paranoidea. E merita conto di rammentareanche l’insolita opera del paziente volterrano chedurante il suo lungo ricovero ebbe a incidere sulmuro e sulle pareti della scala del suo repartometri e metri quadri di graffiti dal contenuto total-mente delirante a base cosmologico-parascienti-fica.

Come è facile constatare da questi brevissimicenni circa alcune opere dovute a conclamati casidi pazienti psicotici, l’analogia con quelle diBentivegna è molto relativa e sfumata. InBentivegna, intanto, risulta secondario l’aspettografico e pittorico, data la prevalenza, nella suaopera, della scultura; non solo, ma manca, nellesculture e anche nelle pitture, quella costruzione«cosmogonica» quasi sempre presente negli altricasi, mentre viene posto un particolare impegnonel raggiungimento d’un preciso «stile», che –ne fosse o meno cosciente l’autore –, permette dirinvenire nelle sue opere un comune denomina-tore che denuncia la sua urgenza di formulare unpreciso messaggio: intima espressione del suopathos, e non solo ingenuo capriccio.

Esistono, tuttavia, alcuni elementi che fannooscillare il nostro giudizio anche verso il versan-te patologico; e questo a prescindere da quelli chesono i dati biografici che, già di per sé, ci parla-no d’una personalità certamente anomala. Qualisono, allora, questi elementi che possono parlarea favore d’una mentalità psicotica? Tra le costan-ti più tipiche d’una creazione «a sfondo psicotico»mi sembra di poter annoverare: 1) la presenza diun indiscutibile fattore perseverativo (individua-bile nell’iterazione coatta delle teste a totale sfa-vore di altre figurazioni); 2) la presenza, nei dise-gni e nei graffiti ancora esistenti sulle pareti del-la casetta-laboratorio, di quella modalità definitadi solito come bourrage, consistente cioè nelriempimento eccessivo, e pure esso coatto, di ognispazio disponibile in un determinato settore (nelnostro caso nella serie di grattacieli che certa-mente rivelano una volontà di combattere l’hor-ror vacui, 3) l’affiorare, in questi disegni e soprat-tutto nella figura del Grande Pesce, della tipicaraffigurazione «per trasparenza» già studiata,come è noto, nei reperti di popoli primitivi (daGiedion), e assimilata da altri (Arieti) alla men-talità primitiva di certi schizoidi; e finalmente, 4)

l’evidente impiego di nomi illustri e storici(Garibaldi, Mussolini) per indicare alcune teste,che in realtà non presentano nessuna assomi-glianza con tali personaggi ma che indicano inBentivegna non tanto l’intenzione di celebrarne lagrandezza, quanto di diventarne in certo sensol’arbitro e il «padrone» per il fatto d’averne ripro-dotto le sembianze o di aver creduto di farlo.

A questo punto, tralasciando d’insistere sulle,più o meno accettabili, ipotesi patogenetiche diquest’opera, vorrei soffermarmi ancora breve-mente sul problema più direttamente legato aduna, sia pur marginale e frammentaria, «analisistilistica» della stessa. Quale genere di scultura èquella di Bentivegna o, più in generale: comedobbiamo considerare, da un punto di vista stori-co e stilistico, le sue statue e i suoi disegni? Misembra del tutto fuori luogo cercare di istituiredei raffronti con altri scultori coevi o di poco pre-cedenti; scoprire analogie tra i busti di un Rodin,d’un Maillol, d’un Matisse e le sue teste, e tantomeno con opere di scultori astrattisti come Arp,Brancusi, Moore. Non c’è dubbio che «Filippudi li Testi», non ebbe rapporti e neppure infor-mazioni sulla situazione dell’arte contemporaneae che l’eventuale parentela, poniamo, con certifamosi ritratti di Marino Marini è del tutto occa-sionale. Eppure, non si può negare che la sua scul-tura possiede una sua inconfondibile originalitàche si manifesta anche nella stessa tecnica impie-gata dal suo autore.

Per quanto si riferisce al corpus più rilevanteper numero e consistenza, quello delle teste, ildiscorso mi sembra abbastanza semplice: le testesono, per la maggior parte, appena sbozzate conpochi abili colpi di scalpello o di sgorbia, i trattisegnati da incisioni profonde, gli occhi spessocostituiti soltanto da sporgenze globose, la boccada una netta incisura. Ma in molti altri esempla-ri i tratti sono più precisati; gli occhi ben diffe-renziati nei loro singoli elementi «guardano»intensamente il visitatore; i capelli sono realiz-zati con incisioni profonde e precise; l’espressio-ne del volto appare molto varia; il più delle vol-te cupa e assente, talvolta quasi estatica, rara-mente sorridente e benevola. Le teste inoltre sonospesso autonome e isolate, oppure facenti partedel masso lapideo o tufaceo nel quale sono statescavate ma difficilmente si prolungano oltre alcollo, appena accennato. Nel caso poi in cui le

teste sono inglobate nel compatto tessuto cemen-tizio o nella parete esterna della casa, la prefe-renza viene data a quelle più appiattite e menocurate tridimensionalmente. Da tutte le testecomunque emana un’indiscutibile aura di vitalitàe di potenza.

Accanto alle teste che costituiscono la summadi tutta l’attività di Bentivegna, non possono pas-sare sotto silenzio alcune opere minori ma nonmeno intriganti: minori perché più rare e repli-cate meno volte, ma altrettanto e forse più sug-gestive per alcuni contenuti che forse permettonodi trarre qualche ipotesi circa le intenzioni figu-rative e simboliche del loro autore. In alcuni diquesti casi, tra i più tipici, sono pietre scolpite aforma di abitazioni che stanno a metà tra la costru-zione rustica, la casa-torre e il grattacielo. In altreè più evidente la somiglianza con delle normalicase rustiche: s’intravvedono le forme del tettospiovente, le porte e le finestre per un insieme ditre piani. Invece nelle prime l’apparenza è quel-la di una vera e propria casa-torre, che però,potrebbe anche ricordare la sagoma del gratta-cielo dato che, oltre al portone d’ingresso, tutto ilvolume della costruzione è costituito dall’alter-narsi d’una trentina di bande rilevate orizzontaliche comprendono i due corpi della torre centralee di quella laterale, mentre non risultano nell’e-dificio posto all’estrema destra. L’immagine delgrattacielo, del resto, come abbiamo visto, è unadelle costanti nell’iconografia bentivegnana per-ché lo riconduce alla sua avventura americana eappare insistentemente dipinta sulle pareti dellasua abitazione.

Queste pietre scolpite a mo’ di abitazioni e ditorri non sembrano presentar nessuna parentelacon il gruppo delle teste; ma, a chi consideri piùattentamente alcuni dei disegni sulle pareti dellacapanna-laboratorio, risulterà subito evidentel’immagine di una grande testa dipinta tra duegrattacieli, quasi a indicare una sorta di identifi-cazione tra testa e casa, tra uomo e casa. La testa,dunque, come equivalente simbolico dell’interoindividuo; la casa (il grattacielo) come equiva-lente di un’umanità indifferenziata; o nel caso delgrattacielo, dell’umanità «americana». Che se poivolessimo rifarci alla nota assimilazione freudia-na di casa = donna (si pensi alla nota espressionetedesca di alte Schachtel = vecchia scatola, a indi-care la donna), potremmo giungere ad affermare

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che, in questo caso, la casa può essere intesa conpiù verosimiglianza quale simbolo maschile anzi-ché femminile, come provano altresì le figuredove appaiono dei tipici tetti aguzzi e addiritturadelle torri la cui sommità è acuminata dunquecon significato analogo a quello dei campanili,dei minareti, di ogni sagoma dall’aspetto fallico.

Che questa elementare interpretazione psica-nalitica possa corrispondere al vero (e del restopoco mi preme che questo «vero» sia d’ordinepsicologico o antropologico, dato che l’aspettoche più mi importa di rilevare è pur sempre quel-lo estetico!) lo provano altre figurazioni comequelle riferite ai pesci. Pesci e grattacieli sono,pure esse, figurazioni ricorrenti: pesci che nuota-no sopra i grattacieli, e un pesce molto grandegremito di pesci più piccoli e sulla cui interpre-tazione non mi sembra ci possano essere moltidubbi. Il pesce, innanzitutto, si può considerare unanimale totemico per tutte le popolazioni mari-nare e dunque per quelle rivierasche siciliane; edè logico che Bentivegna, anche se la sua attivitàè stata piuttosto quella dell’ortolano che del pesca-tore, abbia avvertito che il pesce costituiva quasiuna familiare «forma totemica» locale. Il padre diBentivegna, come abbiamo visto, era definito ana-graficamente come «marinaro» e lo stessoBentivegna aveva fatto per mare l’unico suo fata-le viaggio per e dalle Americhe. Il pesce quindipuò certo costituire un riferimento diretto con ilmitico soggiorno statunitense. Tutto questo senzabisogno di scomodare altre e più complesse asso-ciazioni simboliche e rituali che non mi sembra ilcaso di ricordare. Tra «Pesce» e «Cristo»; tra«pesci zodiacali» e segni duplici e gemellari; tra«pesce» e «delfino», inteso come «animale por-tante» e dunque materno contrapposto alla con-sueta simbologia maschile del pesce, non man-cherebbe il materiale per chi volesse a tutti i costiestendere l’esegesi delle sculture e dei disegni diBentivegna e farli assurgere a misteriosi messag-gi d’una simbologia occulta e paesana. Non sitralascia invece di considerare, le immagini delpesce grande «incinto» di pesci piccoli, dove l’im-magine materna e insieme paterna convivono e

si compenetrano e dove, oltre al fenomeno «psi-cotico» della «trasparenza», cui ho dianzi accen-nato, appare anche un indubbio motivo di pola-rizzazione sessuale.

E si ponga anche mente a un’altra opera diestremo interesse: quella scultura dove due pescisono raffigurati affiancati e contrapposti a costi-tuire un’unica struttura lapidea e dove i quattroocchi e le due teste d’ogni animale creano unasorta di sdoppiamento che sostituisce la coda conun’altra testa e che, nell’insieme, dà vita a unafigurazione ovoidale e appuntita alle due estre-mità. Anche in questo caso dando ogni premi-nenza alle teste e sacrificando le code, quasi avoler significare che è il capo a contare.

Una figurazione simile a quella del pesce eforse con significati analoghi è quella dell’uccel-lo: una delle opere più criptiche ma anche più«azzardate». In questa scultura molto allungata èpresente soltanto il becco e il collo dell’uccello,mentre il corpo si continua e compenetra con unaformazione ambigua antropo-zoomorfa reggentea sua volta una testa. Ho già avuto occasione didire come Bentivegna avesse definito un suo lavo-ro dove apparivano delle figure femminili allac-ciate come Chiave dell’Incanto. Questa e pochealtre sculture presentano parti diverse del corpoumano: alcune corpi femminili appena abbozzati,altre corpi maschili ripiegati su se stessi. Tutteopere che indicano come, di tanto in tanto, la venafantastica di Bentivegna fosse trascinata lontanadalla stereotipia delle «teste» e tentasse di evade-re da questa inflessibile iterazione per abbordarefigurazioni diverse e più complesse, che forse lasua tecnica non era ancora in grado di realizzare apieno e che perciò venivano il più delle volteabbandonate prima d’essere compiute. È abba-stanza facile avanzare l’ipotesi che ragioni d’or-dine pratico, carenza di materiale idoneo o diffi-coltà nella resa, gli avessero impedito di svilupparemaggiormente questo genere di composizioni.

Anche se la preoccupazione figurativa è sem-pre alla base dei lavori di Bentivegna, esistonoalcune opere o frammenti di opere nei quali vie-ne data più rilevanza alla configurazione astratta,

all’elemento compositivo, e dove le figure sonosolo complementari d’una più vasta strutturazio-ne aniconica. Un esempio tra i più efficaci è quel-lo dove una figura appare quasi sdraiata sul fian-co, col volto atteggiato a un lieve sorriso estatico,mentre una appendice quasi a forma di bracciocirconda delle formazioni a bugnato triangolari,unite nella parte inferiore al «braccio» stesso,mentre nella parte inferiore esistono altre com-plesse strutture geometrizzanti: un rettangolo conspartizioni interne triangolari e delle estro- e intro-flessioni pure a bugnato che lo circondano.Quest’opera è tra le più affascinanti e dimostrache Bentivegna possedeva anche un’innata capa-cità di costruire delle forme non figurative entroun insieme altamente significativo dal punto divista plastico anche se sarebbe stolto volere conciò attribuirgli la volontà di creare dei lavori deci-samente «astratti». In realtà, quando non è la figu-ra a preoccuparlo, lo è soltanto quella che potrem-mo definire una spontanea volontà decorativa,che si esprime appunto con questi elementi geo-metrizzanti che accompagnano le figure.

Mi sembra, a questo punto, superfluo insiste-re nell’esemplificazione di altre caratteristiche diqueste opere; caratteristiche che, del resto, risul-tano evidenti a chiunque, attraverso la splendidadocumentazione fotografica di Melo Minnellache ha saputo rendere, alle teste e alle altre figu-re di Bentivegna, quella vitalità e quella incredi-bile efficacia plastica «mitica» che oggi in parteè stata soffocata dalla loro sistemazione troppometodica e rigorosa entro il recinto, del resto indi-spensabile, della «Fondazione». Credo pertantoche coloro che non conoscono de visu quest’o-pera possono trarne un’idea più che fedele, anzi incerta misura «potenziata» dalle stupende imma-gini fotografiche di questo volume. Immagini cheera giusto cercare in tutti i modi di tramandare edi fissare perché non andasse perduta la testimo-nianza d’una personalità unica nel suo genere; einoltre perché questa testimonianza ci permettes-se di credere nella continuità artistica d’un popo-lo, d’una regione, d’una civilizzazione.Quell’incontro di motivazioni etiche ed esteticheche, in un dato momento storico, consentono aun individuo, tra i mille e i milioni, di trasfor-marsi nel depositario d’una singolarissima caricaespressiva, al di fuori da ogni schema didattico e«culto», ci dimostrano come lo stesso possa arri-vare a superare le valenze e le limitazioni d’unepoca, d’una scuola, d’una tradizione, e possacosì trasformarsi in autentico mito.

* Gillo Dorfles (Trieste 1910), ordinario di Estetica, hainsegnato nelle Università di Firenze, Milano, Trieste eCagliari ed è stato visiting professor presso le Universitàdi Cleveland, Buenos Aires, Città del Messico, New Yorke altre sedi, svolgendo contemporaneamente un’intensaattività di critico d’arte e di saggista. Tra le opere princi-pali, con diverse edizioni, di cui alcune tradotte in Paesieuropei ed extra-europei: L’Architettura Moderna(1954), Le Oscillazioni del Gusto e l’Arte Moderna(1958), Ultime Tendenze dell’Arte oggi (1961), Il Dise-gno Industriale e la sua Estetica (1963), L’Estetica delMito (1967), Artificio e Natura (1968), Il Kitsch: Antolo-gia del Cattivo Gusto (1968), Il Divenire della Critica(1976), L’Intervallo perduto (1980), La Moda della Moda(1980), Elogio della Disarmonia (1986), Il Feticcio quoti-diano (1989), Fatti e Fattoidi (1997). Relativamente aglianni 1930-1999 l’Accademia di Architettura di Mendri-sio ha segnalato n. 2520 scritti, tra libri, cataloghi dimostre, testi in cataloghi di mostre, ecc.

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PIETRO CONSAGRA E L’ARCHITETTURA

Alberto Sposito*

ABSTRACT – The article focuses on some artistic worksand significant writings of Sicilian sculptor PietroConsagra. In its works sculpture, painting and archi-tecture respond to a rigorous design approach.Gleaning between Author’s poems and the articles writ-ten on his work by many art critics, themes like fronta-lity and bi-frontality are here described and analysed.These issues are not only sculptural, but they involve thecity, the road and the architecture.

Tra i più noti scultori della contempora-neità italiana è Pietro Consagra, nato nel

1920 a Mazara del Vallo (TP) e morto di recente;ha studiato all’Accademia di Belle Arti di Paler-mo e si è trasferito a Roma nel 1944, dove è vis-suto svolgendo un’intensa attività artistica, conampi riconoscimenti anche a livello internazio-nale. Nella sua lunga attività ha trattato ancheaspetti legati alla pittura e all’architettura, di cuiqui riportiamo alcune considerazioni legate allacittà e alle costruzioni. Come per molti sicilianicontemporanei, da Salvatore Quasimodo a Sal-vatore Fiume, la stagione della cultura classicasembra costituire la matrice del Consagra, cheha alimentato riflessioni, teorie, approcci e spe-rimentazioni, segnando gran parte della produ-zione artistica contemporanea. Come nelle piat-te figure nere o rosse della pittura vascolare gre-ca, da quella protocorinzia a quella ellenistica,Pietro Consagra assume la frontalità come teoriae prassi artistica. Distaccandosi dalle strutturetotemiche e tridimensionali, in cui è prevalentela dimensione verticale, di ascendenza costrutti-vistica, nelle nuove opere il Consagra esalta labidimensionalità, eliminando il volume, cosìsottraendo la scultura al suo spazio tradizionale,per porlo in un campo ideale. I Colloqui, realiz-zati tra il 1952 e il 1962, come ha rilevato Ga-briella Di Milia, sono «ubicati in modo da deter-minare un punto di vista unico»; tali opere «siimpongono in un’attraente bivalenza: i tagli, leabrasioni delle lastre, contrapposte in una vi-brante superficie, esprimono le emozioni indivi-duali dell’artista, mentre la sublimazione dellavisione frontale smaterializza la scultura sino arenderla schermo sensibile in rapporto con la li-nea dell’orizzonte»1.

Successivamente, tra il 1967 e il ’68, visitan-do le città americane, Pietro Consagra rimanecolpito dalla città verticale e da architetti comeSullivan, nelle cui opere trova una forte caricaemotiva. Il clima americano «determina nelloscultore l’esigenza di un’architettura che contra-sti l’abuso di funzionalismo, nell’intensità di unacomunicazione estetica. Il Consagra considera le

possibilità che offre lo spessore massimo; nascecosì, sempre nel 1968, l’idea di un Edificio Fron-tale che porterà al sogno di una città interamentecreata da artisti. Gli edifici proposti dal Consa-gra, con modelli in acciaio inossidabile dai con-torni curvilinei, hanno due identiche ma oppostefacciate trasparenti e spazi interni che coincidonocon la struttura esterna. I piani curvi continui e idiversi livelli creati dalle pendenze favorisconoun “comportamento creativo” sia in chi vi abita,facendogli assumere insolite posizioni oblique,sia in chi vi passa davanti, che può usufruire dapiù punti di vista della immediata e totale visioneche la bifrontalità assicura. Infatti Pietro Consa-gra dispone i suoi edifici direzionali del 1968 inserie di tre e in posizione sfalsata, in modo darenderli interamente visibili da più parti»2. Fron-talità e bifrontalità sfuggono alla centralità e ri-chiedono una vista parallela alla linea dell’oriz-zonte; ma la bifrontalità occupa uno spazio piùvasto e determina due campi di eguale valore.Come commenta Gabriella Di Milia, la dupliceprospettiva offre la possibilità di osservare unastessa scultura in diverse condizioni di luce e inun opposto orientamento, che inverte la destra ela sinistra. «Lo spettatore è spinto a non fissarel’attenzione sull’opera da un solo punto di vista,ma a mettere in atto una riflessione considerandola visione dall’altra parte. Nella nuova geografiadella bifrontalità la scultura di Consagra, impos-sessandosi di un grande spazio, raggiunge unrafforzato impatto pur mantenendo il ruolo collo-quiale con lo spettatore»3.

Dopo il ‘68 segue una ricca produzione arti-stica che sviluppa il tema del bifrontalismo: leMuraglie e gli Addossati del 1976, i Ferri bi-frontali di Charleston del 1978, la Stella di Gi-bellina del 1982, le Porte del Cremlino del 1990e le Porte di Giano del 1995; sono tutte opere discultura che assumono la dimensione e la consi-stenza dell’architettura, sono edifici che si attra-versano e s’impongono, talvolta in modo ecces-sivo sul territorio, come nel caso della Stella aGibellina. A questi lavori segue la Città Fronta-le, un’idea vissuta come esigenza artistica e co-me provocazione sociale e politica. Così com-menta Giovanni Maria Accame: «La Città Fron-tale nasce da un naturale sviluppo della sculturadi Consagra nel momento in cui giunge alla ri-flessione sull’incidenza degli spessori, da quelliminimi a quelli massimi, questi ultimi coinci-denti appunto con la dimensione di un edificio,ma nasce anche come reazione all’esperienzadelle città americane compiuta nel suo lungo

Dall’alto: una Porta del Cremlino (1990) e una dellePorte di Giano (1995).

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soggiorno negli Stati Uniti tra il 1967 e il ’68.Opponendosi a una concezione puramente fun-zionale, dove la funzionalità è il risultato di unaarmonizzazione di obiettivi e interessi economi-ci, la Città Frontale si rivolge allo sguardo. Allemetropoli deprimenti e noiose, che sollecitano lafuga verso la natura per trarre attimi di sollievo,Consagra si ribella e pensa a una città, da vederead occhi aperti»4.

Giovanni Accade mette in rilievo l’approc-cio rigorosamente progettuale del Consagra, os-servando la lunga gestazione nell’ambito del di-segno, le valutazioni con gli ingrandimenti inscala, la costruzione di modelli, la riflessione suivolumi, la scelta del plastico per la forma defini-tiva, lo studio dei colori che meglio si accordanocon il disegno delle facciate e che smaterializza-no la consistenza dei volumi o delle superfici,approccio al progetto che può offrire esiti diffe-renti. E così conclude: «Non troviamo, dallaCittà Frontale agli ultimi edifici realizzati, unoscardinamento della progettualità, una volontàdi sottrarre la creazione di forme plastiche aiproblemi di progettazione. Abbiamo inveceun’idea del progetto altamente responsabile neiconfronti della forma che esprime. Il progetto,nel contesto in cui interviene, ha il controllo del-la forma, il dovere e la possibilità di soddisfareesigenze diverse, senza mai tradire la sua libertàcreativa, che è l’unica a garantirgli un segno diautenticità. È all’essere libero e autentico chel’architetto, troppe volte, rinuncia. Architetti maipiù è un grido di addio definitivo che l’artistanon compie felicemente, ma necessariamente,nella constatazione ultima, acuta e bruciante, dicome il disordine è più veloce del progetto»5.

Ma sul grido Architetti mai più ci sofferme-remo in seguito. Qui soffermiamoci su alcuneparole chiave, citando lo stesso Consagra. In-nanzitutto sulla frontalità, che «è come un pianoverticale su cui tutti gli avvenimenti arrivano esi attaccano. Tutti gli arrivi si definiscono allostesso modo. Tutti i fenomeni risultano pari»6.Poi sulla città, che è espressione dei modi di vi-vere; essa «per uno scultore è una emozione pla-stica della vita, è una fantasia realizzabile e am-bigua oltre l’opera d’arte. La Città per l’artista èun rischio moralistico che deve essere inteso co-me una nuova responsabilità»7. Poi ancora sof-fermiamoci sulla strada: «Una città è le stradeche ha. La strada deve avere un significato di at-trattiva colloquiale, per il piacere dell’occhio elo stimolo a pensare. La strada è fatta dalla pre-senza delle facciate»8. Infine, l’artista parla dellacasa, «come luogo inqualificabile se non comestrumento di tortura insidioso che induce all’a-dattamento e a resistervi per più della metà dellanostra vita»9. Particolarmente soffermiamocisulla Città Frontale, una città che si legge fron-talmente e che si caratterizza per le facies che lacompongono, una città progettata da un architet-to, che può diventare artista, per un fruitore, chepuò essere anche un utente.

«Se siamo sicuri che un edificio deve supe-rare le sue funzioni pratiche, tanto da affermareche più che funzionale e retorico, opulento, de-magogico, deve essere un’opera nuova, un’ope-ra che rifletta un rapporto nuovo tra fruitore eoggetto, è chiaro che vogliamo affrontare uncampo minato: addentrarci nella responsabilitàdi aver fiducia in una diffusione differente dellacoscienza plastica a livello dell’opera d’arte. Sesiamo anche sicuri che un individuo diventa arti-sta nella ricerca di un modo espressivo e tangibi-

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Edificio Frontale n. 10, 1968, acciaio inox, cm 49 x 108,5 x 12.

Edificio Frontale n. 12, 1968, acciaio inox, cm 75 x 105 x 12.

Edificio Frontale n. 15, 1968, acciaio inox, cm 89 x 109 x 13.

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Giustapposizione di tre Edifici Frontali del 1968.

Due Edifici Frontali del 1968.

Tris Tamburato n. 1, 1968 (Edifici Frontali n. 11, 10 e 12), foto Ugo Mulas.

le, della sua idea di liberazione e della sua ideadi partecipazione, come esperienza di uomo chevive un suo mondo da un suo punto, per una de-terminabile presa di possesso nella società, dob-biamo aver fiducia nella capacità dell’architettodi diventare quel personaggio diverso per quel-l’opera nuova quando si troverà in una situazio-ne diversa da quella attuale. Se l’architetto puòaffrontare tale situazione nuova e diventare arti-sta, teniamo presente che l’artista, il pittore, loscultore, è già nella situazione nuova per esserearchitetto […] Se ora consideriamo la CittàFrontale come una dimensione oltre i problemiplastici e introduciamo in essa tutta una serie diconcetti che riguardano la vita, i rapporti sociali,le cose, nella grande apertura dobbiamo regi-strare, accogliere la presenza del nuovo perso-naggio che costituisce il fruitore: l’autore, ilpartner dell’artista»10.

La Città Frontale è composta da edifici fron-tali che vanno ideati come opere d’arte. Se l’esi-stenza di ciascun edificio «è basata come luogodi lavoro, la sua struttura deve essere adeguataalle seguenti esigenze: 1. esigenze dell’autoreesterno, 2. esigenze della progettazione comeopera d’arte, 3. esigenze dell’autore interno, 4.esigenze tecniche». E dopo aver specificato le di-verse esigenze, Consagra descrive la forma dellaCittà Frontale, che non è prestabilita e che rispet-to all’autostrada può svilupparsi in tre modi: nor-male, quadrangolare, parallela; definisce la City,il campo ampio m 220, i suoi elementi piani everticali, le cerniere che collegano gli elementipiani con quello alto, le zone riservate al traffico(il traffico motorizzato non ha accesso alla City edal parcheggio per la City resta da fare un per-corso di m 110), la sfalsatura degli edifici, le pro-spettive non solamente le ortogonali ma anche leoblique, la compenetrazione degli edifici e la tra-sparenza dell’uno dietro l’altro. E così ottimisti-camente conclude. «La Città Frontale è possibi-le, può nascere oggi e dovrebbe già essere im-piantata: non è una città del futuro. Siamo tuttiabbastanza intelligenti, abbastanza nevrotici, ab-bastanza desiderosi di star bene, abbastanza fan-tasiosi per non essere stanchi, avviliti, frustrati,dalla città attuale e da quelle avveniristiche. Nonvorremo più stare dentro dei cubi, non vorremmoche ci proponessero di abitare dentro sfere e tubi.Non vorremmo stare dentro alcuna dimensioneprestabilita dal carattere di produttività standar-dizzata. Non vorremo stare dentro alcun concettodi stabilizzazione»11.

Gli Edifici Frontali, pensati dal Consagraper la Città Frontale, di cui riportiamo alcuneimmagini, sono opere contrassegnate con i nn.10, 12, 13, 14 e 15, che sono del 1968, mentre iprogetti di facciata, con il primo disegno nel1992, sono del 1995: Facciata rosa con nove fi-nestre, Facciata bianca con pilastri, Facciatavioletta con nove finestre, Facciata verdina connove finestre; edifici uguali per forma, ma diver-si per colore e per i tagli delle porte, delle fine-stre e dei pilastri. Sulla facciata così commentalo stesso Consagra: «È stata improvvisa una pa-rete tagliata a grandi immagini morbide volantiinimmaginabili prima. La bellezza del fuori-po-sto, dell’inclinata che governa alternata e unacostruita raffigurazione controllata, modificata,goduta e nuova e ricca nel fare felice un sogget-to. Fuori dal piombo e dalla livella l’abitazionesi suppone una libera spazialità fuori da tutto ciòche garantisce la perfezione preordinata»12. So-no due ricerche stilisticamente differenti: la pri-

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ma viene improntata da una sinuosità organica,da un’abbondanza espressivistica, quasi baroc-ca; la seconda gioca sulla spartito geometricodella facciata, con tagli, lacune o abrasioni, mo-danature, decorazioni (immagini morbide volan-ti inimmaginabili prima), colori, trasparenze di-verse; la prima fa parte del clima dell’utopiagiapponese (metabolysm), e dell’espressionismotedesco alla Scharoun; la seconda ricerca si col-lega con continuità alla produzione scultoreadello stesso Consagra, agli Addossati del 1976,alle Interferenze del 1985, come anche alle Pro-minenze del 1992.

Più tardi parlerà ancora dell’America: «Ogninotte a Manhattan si incontrano gli occhi di tuttigli architetti del mondo mentre sognano. Il grat-tacielo, il leader dominatore dell’intero orizzon-te, il superbo paladino del potere economico, daqualche anno è entrato in metamorfosi. Manhat-tan vive una nuova era. Al grattacielo gli si sonoaccostati nuovi grattacieli che con altri accostatiformano immense muraglie. L’accostamento hadeterminato promozione di immagine. Fare par-te della muraglia significa partecipare di un va-lore aggiunto che si è rivelato il più consistentetesoro di New York. La muraglia si configuracome la più potente alleanza economica. La ver-ticalità, la linearità dei profili, attirano come or-gani di riproduzione altre linearità. Il grattacielose rimane isolato rischia di dover lottare controsintomi di difficoltà impreviste. Da noi i centristorici stanno rannicchiati nel terrore degli assal-ti. Troppi occhi la mattina si aprono con cupidi-gia»13. E ai giovani architetti lancia un messag-gio: «Giovani di Architettura, giovani architettidestinati a seguire modelli tecnici standardizza-ti, se soffrite di inutilità del vostro inserimento esiete delusi di come si prepara il futuro senza sti-

Edificio Frontale Meeting a Gibellina, in cemento armato e vetro, 1972-’83.

La Città Frontale, rispetto all’autostrada, può risultare: 1) normale; 2) quadrangolare; 3) parallela.

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Nella Città Frontale ogni edificio risulta sfalsato, consente trasparenze e diverse prospettive; le ondate del trafficosi arrestano alla City.

moli, ribellatevi. Date carica al vostro dubbio, alvostro sospetto. Non chiudete gli occhi. Le ope-re costruite devono essere accolte dalle necessitàe nello stesso tempo dalla partecipazione. L’ar-chitettura contemporanea invece non ha consen-so. Costruire è un messaggio o un abuso, un fur-to, un ingombro. L’architettura ha un altissimoquoziente di imposizione. Quando si apre uncantiere in città, viene voglia di contestare. Mala banalità impianterà la bandiera. L’architettodeve uscire dalla bassa tenuta culturale. L’archi-tettura ha voglia di morire?»14

Da questo scarno florilegio, da questa sceltadi passi significativi dell’Autore e dei criticid’arte, emergono molti elementi che investonola cultura che si riferisce all’arte, ma che coin-volge l’architettura e la città15. Alcune considera-zioni che qui, per brevità, si accennano. Controla crescita incontrollata della città, contro il ra-zionalismo e il funzionalismo esasperato, control’unificazione, la standardizzazione e l’indu-strializzazione ovunque e ad ogni costo, agli ini-zi degli anni Sessanta nascono i primi segni diuna protesta, di una cultura alternativa; ne sonoda esempio l’utopia giapponese con il gruppodel Metabolysm, il brutalismo di Le Corbusier,di Kunio Mayekawa o l’espressionismo di HansScharoun o di Paolo Soleri16. E da questi anni, fi-no alla crisi energetica degli anni Settanta chefavorirà l’atteggiamento post-moderno dei primianni Ottanta, intercorre un periodo di quasi quat-tro lustri, in cui è collocabile la poetica e l’operaartistica di Pietro Consagra che coinvolge l’ar-chitettura. La sua Città Frontale, che nasce daiColloqui, è pubblicata nel 1969; molti edificifrontali sono del 1968 e i progetti di facciata ar-rivano al 1995. L’Edificio Frontale Meeting èstato progettato per Gibellina (Trapani) nel 1972e completato nel 1983. Da qui due brevi consi-derazioni: 1) che la storia dell’architettura con-temporanea consideri la produzione artistica delConsagra, secondo i parametri definiti dal Rina-scimento ad oggi e sintetizzati da Nicola Abba-gnano17; 2) che la critica dell’arte e dell’architet-tura consideri adeguatamente il contributo chelo scultore siciliano ha offerto al dibattito cultu-rale e figurativo dell’ultimo quarto del secoloscorso.

Sulla questione critica, a mio avviso, sarà daprivilegiare il metodo che rifiuta la settorialitàaccigliata della storia, della filosofia, dell’arte odella critica tout court, in favore di un’interdi-sciplinarietà capace di tenere assieme arteficio enatura, arte e ambiente, pittura, scultura e archi-tettura con la storia. Come ha osservato AlbertoSavinio, la critica non va intesa come maledizio-ne, né come benedizione di un’opera artistica,ma come telos verso la creazione artistica. Essanon è un dio senza cuore, ma un dio che deve«sedere anche più in alto delle arti, e in certomodo contenerle in sé», promuoverle, guidarle.Ma poi «chi ha detto che la funzione della criticaè di criticare? La critica ha una funzione moltopiù importante che è di inventare»18. E ripren-dendo un frammento di Eraclito nel saggio Ana-dioménon del 1919, là dove il filosofo greco as-serisce che bisogna «conoscere la ragione chegoverna il tutto penetrando il tutto», dato che «lanatura ama nascondersi», Savinio non dichiaraaltro che la dittatura della verità è finita e che co-mincia la libertà del pensare; e conclude che«ciò che si deve ricercare in un’opera d’arte è lostato d’intelligenza»19.

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NOTE

1) P. CONSAGRA, Scultura e Architettura, a cura di G.M. Accame e G. Di Milia, Mazzotta, Milano 1996.Cfr. G. DI MILIA, “Consagra. Scultura e architettura”,p. 35.2) G. DI MILIA, op. cit., p. 40.3) G. DI MILIA, op. cit., p. 42.4) G. M. ACCAME, “Consagra, una scelta frontale”, inP. CONSAGRA, Scultura e architettura, a cura di G. M.Accame e G. Di Milia, Mazzotta, Milano 1996, p. 59.5) G. M. ACCAME, op. cit., p.61.6) Da P. CONSAGRA, U. MULAS, Fotografare l’arte,Fabbri, Milano 1973.7) P. CONSAGRA, Architetti mai più, Prearo Editore,Milano 1993, p. 17.8) Da P. CONSAGRA, op. cit., 1996, p. 11.9) Architetti mai più, p. 20. Cfr. anche il programmatelevisivo Abitare, una casa, un desiderio, a cura di A.MULAS, RAI/3, 1986.10) Architetti mai più, p. 21.11) Da P. CONSAGRA, La Città Frontale, De Donato,Bari 1969.12) Da P. CONSAGRA, op. cit., 1996, p. 1213) P. CONSAGRA,“Il sogno degli architetti”, in Archi-tetti mai più, p. 15.14) Da P. CONSAGRA, op. cit., 1996, p. 15.15) Oltre alle opere citate, cfr.: G. LA MONICA, Gibelli-na, ideologia e utopia, ILA Palma, Palermo 1981;P. CONSAGRA, Frontalität, Catalogo Mostra al Museod’Arte Moderna, Bolzano 9 giugno - 27 agosto 2000;P. CONSAGRA, Opere 1947-2000, Mazzotta, Milano 2001.16) Sull’utopia giapponese del gruppo Metabolysm esul brutalismo ho pubblicato a Roma il volume dal ti-tolo Architettura e Industria nel Giappone, dall’Istitu-to Universitario Statale di Architettura di Reggio Ca-labria, Roma 1975, una lettura dello sviluppo tecnolo-gico riferito all’industrializzazione edilizia e alleespressioni architettoniche. Su Paolo Soleri, cfr. il miocontributo “Sulla probabile influenza della culturametabolica giapponese nella formazione di Soleri”, inRi-pensare Soleri, a cura di A. I. Lima, Jaca Book, Mi-lano 2004, pp. 210-218.17) Le condizioni formulate dal filosofo Abbagnano,che la conoscenza storica sia prospettivistica, indivi-duante, selettiva, ecc., sono state da me riprese nel vo-lume Tecnologia Antica, Dario Flaccovio , Palermo2007, pp. 29-30.18) A. SAVINIO, L’arte italiana e la Critica, in “ValoriPlastici”, III, 5, Sett.Ott. 1921, pp. 106-109. Gli scrittisull’arte di Alberto Savinio sono raccolti in A. SAVI-NIO (a cura di G. Montesano e V. Trione), La nascita diVenere, Adelphi, Milano 2007.19) Cfr. l’articolo di A. SAVINIO, Arte = Idee moderne,in “Valori Plastici” I, 1 Nov. 1918.

* Alberto Sposito, Professore Ordinario in Tecnologiadell’Architettura all’Università degli Studi di Palermo, èCoordinatore del Dottorato di Ricerca in Recupero eFruizione dei Contesti Antichi. Esperto in storia dellatecnologia, s’interessa principalmente delle tematiche le-gate al recupero, al restauro e alla conservazione dei ma-nufatti antichi, in particolare dei siti archeologici.

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Sopra: la grande scultura bifrontale in cemento armato nella Fiumara d’Arte a Castel di Tusa, Messina; sotto: Ferro Trasparente, 1978, altezza m 2,84; Sassi di Matera; a destra: Progetto di facciata, 1992.

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ABSTRACT – The history of scientific knowledge andespecially of antiseismic architecture generate in us asense of awareness of the complex work done by dif-ferent research communities since the past centuries.This knowledge, passed down from history, give us atry-out with our counterparts of the past, with theirhypotheses and their perspectives, allowing us to re-read them with coherence, scientific rigor and withoutdisciplinary perimeters. This path allows to observethe reality with objectivity and especially to see our-selves as partners of a research and an exploration thatnever ends.

La successione dei terremoti che ha colpi-to soprattutto l’Italia a partire dall’età

moderna ha contribuito a ricostruire vicende diestremo interesse culturale, sociale e politico. Inriferimento a periodi storici non particolarmentedistanti dalla nostra epoca, soprattutto se ci rife-riamo ai primi documenti di natura tecnica, sonostati ritrovati Trattati e Cronache di autori di di-versa formazione che per ragioni differenti han-no descritto i danni prodotti da particolari feno-meni naturali tra cui i terremoti.

Con riferimento all’età moderna tra la fine delXV e la prima metà del XX secolo si registrano sulterritorio italiano numerosi e disastrosi eventisismici. Solo per maggiori disponibilità di docu-mentazione storica e di cronache locali si rilevauna situazione molto particolare nell’ItaliaMeridionale tra la fine del XVII e i primi anni delXX secolo. In realtà la ricchezza di informazionidocumentate inerenti principalmente l’Italia delSud ci lascia facilmente dedurre che i maggiorifenomeni sismici hanno interessato proprio questiterritori. È ancora facilmente intuibile che princi-palmente in occasione di eventi calamitosi forte-mente disastrosi questi venivano descritti all’in-terno di relazioni in grado spesso anche di quan-tificare l’ammontare dei danni subiti1. È questo ilcaso di due eventi molto importanti che hannointeressato l’Italia; il terremoto del 9 Gennaio 1693in Valle di Noto in Sicilia e il terremoto del Il 5 feb-braio 1783 che ha investito i territori della Cala briaUlteriore. Ma prima di entrare nel merito di que-sti eventi e delle analisi e della documentazionedescrittiva e progettuale prodotta, soprattutto aseguito dell’evento del 1783, analizziamo breve-mente alcune fonti classiche e rinascimentali cheanticipano tematiche affrontate a partire dalla finedel XVIII secolo con un approccio meno empiri-co e fantasioso ma certamente più scientifico2.

Le fonti classiche – Ripercorrendo brevemente iprincipali riferimenti storici, certamente vanno

citati Aristotele e Seneca. Quest’ultimo inNaturales quaestiones, opera suddivisa in settelibri, dedica l’intero sesto libro proprio ad ana-lizzare il fenomeno del terremoto ripercorrendo leposizioni e le affermazioni dei suoi predecessori.

Ricordando il terremoto del 62 d.C. a PompeiSeneca scrive: «I fulmini non hanno mai brucia-to completamente un popolo; un clima pestilen-ziale ha vuotato delle città, non le ha fatte spari-re: questo flagello, invece, ha un’estensioneimmensa ed è inevitabile, insaziabile, rovinosoper intere popolazioni. Infatti, non ingoia solocase o famiglie o singole città, ma fa sprofonda-re popolazioni e regioni intere, e ora le copre dirovine, ora le seppellisce in profonde voragini enon lascia neppure una minima traccia da cuiappaia che ciò che non esiste più un tempo è esi-stito, ma sulle città più famose il suolo si stendesenza alcun’impronta del loro antico aspetto».

Ed ancora riflettendo sul disastroso fenomenoafferma che «Sbagliamo, infatti, se crediamo chequalche parte della terra sia esente e immune daquesto pericolo: tutte sono sottomesse alla mede-sima legge; la natura non ha generato niente chefosse immobile; qualcosa cade un giorno, qual-cosa un altro giorno e, come nelle grandi città sipuntella ora questa casa ora quella, così in questoglobo terrestre va a pezzi ora questa parte oraquella». Ma l’aspetto interessante che emerge dallibro di Seneca è la ricerca che lo studioso fa neltentare di ricercare le cause del fenomeno ed asse-risce: «Alcuni hanno creduto che la causa per cuila terra è scossa fosse nell’acqua, altri nel fuoco,altri nella terra stessa, altri nell’aria, altri in piùd’uno di questi elementi, altri in tutti; certi hannodetto che per loro era chiaro che la causa fosse unadi queste, ma non era chiaro quale3».

Ripercorrendo le teorie di Aristotele, Strabone,Democrito e di Epicuro, Seneca giunge alla con-clusione che la causa del terremoto è l’aria: «èquest’aria a essere capace di effetti così straordi-nari, poiché in natura non c’è niente di più poten-te, niente di più energico, e senza di essa neppu-re gli elementi più violenti mantengono la loroforza: l’aria attizza il fuoco; le acque, se togli ilvento, restano immobili: esse prendono slancioquando un soffio le spinge. E l’aria può disperderegrandi estensioni di terra e sollevare dal di sottonuove montagne e far apparire in mezzo al mareisole mai viste prima». Conclude poi che al ter-remoto sono associati altri fenomeni quali le epi-demie, le esalazioni pestilenziali, la pazzia degliuomini.

Un’altra fonte storica attendibile è certamen-

VERSO UNA STORIADELL’ARCHITETTURA ANTISISMICA

Olimpia Niglio*

Giovanni Vivenzio, Frontespizio della Istoria de’tremuoti, Napoli 1783, Archivio di Stato di Napoli.

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te quella di Gaio Plinio Secondo, meglio notocome Plinio il Vecchio, scrittore, naturalista masoprattutto cronista di numerosi eventi naturalidisastrosi che hanno colpito la penisola di cuiricordiamo ancora il terremoto del 62 d.C. dellacittà di Pompei poi distrutta dall’eruzione del 79d.C. Con specifico riferimento a Pompei la cro-naca, riportata nella Naturalis Historia, è inte-ressante perché lui stesso ricorda che al momen-to dell’eruzione vulcanica in città erano ancoraattivi i cantieri per la ricostruzione post-sisma del62 d.C4. A sua volta Plinio nel descrivere questifenomeni naturali si riferiva ai Libri V e VI del-la Geografia dello studioso greco Strabone cheimputava, come ricorda Seneca, le cause all’aria.

In realtà sono numerose le fonti classiche incui vengono descritti i fenomeni sismici, princi-palmente dell’area Mediterranea, il tutto avvoltoin un alone di misterioso prodigio le cui causeerano quasi sempre imputabili a fenomeni di nonchiara provenienza. Interessante al riguardo risul-tano gli studi, a noi più recenti, condotti in ambi-to archeologico e geologico che hanno consenti-to di mettere in relazione anche aspetti più tecni-ci, come la ricostruzione delle case o di interecittà, con i fenomeni naturali calamitosi5.

precisione con cui è costruita una costruzione perdurare nel tempo. Ancora sottolinea il ruolo delcostruttore quale principale artefice della buonaedificazione. Diversamente nel Trattato non si faalcun accenno ai fenomeni naturali che determi-nano danni alle costruzioni.

Le fonti rinascimentali: Pirro Ligorio e StefanoBreventano – Con riferimento alle fonti rinasci-mentali si deve a Pirro Ligorio (1513-1583) ilprimo progetto di casa antisismica. Nell’operamanoscritta conservata presso l’Archivio di Statodi Torino, XXX Libri delle Antichità, al Libro 28,Ligorio raccoglie le principali teorie sui fenome-ni sismici, a ricordo soprattutto dei numerosi ter-remoti di area mediterranea e illustra il primo pro-getto di casa antisismica dell’area occidentale. Iltrattato sviluppa una riflessione sui terremotiriguardante il piano teorico, etico, storico e appli-cativo, entro canoni per noi lontanissimi mainquadrato nella visione allora dominante, quellaaristotelica, che è coraggiosamente vista cometeoria inadeguata seppure priva di alternative. Intale contesto il Ligorio propone una riflessionesulla tipologia costruttiva più adatta per edificida realizzarsi in zona sismica8.

Coevo all’opera dell’architetto napoletanoPirro Ligorio è il “Trattato del Terremoto” diStefano Breventano, accademico di Pavia, scrittoa seguito del terremoto che il 16 novembre 1570aveva interessato la città di Ferrara9.

Il Breventano ricollegandosi alle teorie propriedegli antichi e di alcuni studiosi a lui più con-temporanei afferma che «Questo horrendo e spe-ventevol accidente (secondo l’opinione della mag-gior parte de’ Filosofi e specialmente di AristotelePrincipe e Maestreo de’ professori di filosofia) ècagionato da essalationi o spiriti rinchiusi nellecaverne della terra i quali per sopragiungimento dialtra materia spinti e ristretti, furiando, procuranodi uscire quindi, e di salire in alto come è pro-prio della loro natura: onde in quello agitamentocagionano un gran tremore e movimento in terrail qual dura infin tanto che quegli spiriti rompen-do facciano alcuna apritura10».

Nella sua descrizione termina il Libro I con unparagrafo dedicato a “rimedij ò repari constra iterremoti” e scrive che «Li rimedi (come ricordaPlinio contra questi dannosissimi e spaventosiaccidenti) sono, che si faccino spessi pozzi, eprofonde cave, per le quali possa uscire ed essa-lare il concepito spirito. Negli edificij dice esse-re sicurissimi gli archivolti, i cantoni delle mura,le porte, le cantine, perché fanno resistenza allescambievoli percosse. Le mura fatte de mattoniricevono manco danno, che le fatte de sassi, òmarmi. Ma questo s’è veduto haver poco ò nullagiovato in alcuni terremoti11».

Ancora ricorda come l’imperatore Traianoaveva ordinato che per evitare danni gravi allecostruzioni in caso di terremoto bisognava ridur-re la loro altezza e che il puntellare le strutturenon era una pratica da perseguire. Ma anche neltrattato del Breventano non riscontriamo riferi-menti tecnici sull’arte del buon operare nel porrerimedi antisismici alle costruzioni.

Verso un approccio scientifico: tra XVII e XVIIIsecolo – Le due catastrofi del 1693 (Valle diNoto) e del 1783 (Calabria Ulteriore), di cuiabbiamo accennato in premessa, erano avvenutedurante quel periodo illuministico, manifestato-si principalmente nel XVIII secolo, nel quale intutta l’Europa centro occidentale si stava viven-

Ciò che emerge in generale dalla lettura del-le fonti classiche è un’attenzione molto scrupolosanel descrivere le possibili cause del fenomeno, idanni da questi arrecati a cose e persone ma nes-suna specifica annotazione viene rilevata circaquestioni di “prevenzione” da attivare per la sicu-rezza delle costruzioni contro questi eventi. Irimedi antisismici vengono cercati attraverso indi-rizzi più improntanti ad evitare che il fenomeno siverifichi anche se non mancano studi interessan-ti, soprattutto dal punto di vista urbanistico sullenuove strutture delle città e loro collocazione piùidonea, però il tutto sempre connesso ad aspettipseudo religiosi ed interpretativi6.

L’unica fonte tecnica pervenutaci dall’anti-chità è il De Architectura di Marco VitruvioPollione che però non analizza le problematicheconnesse alle costruzioni per effetto di particola-ri fenomeni calamitosi. Diversamente soffermala sua attenzione sul corretto modo di costruirele case e sulla qualità dei materiali da impiegare.

«Gli apprezzamenti di tutti gli edifici sonoconsiderati sotto tre aspetti, cioè per la sagaciacostruttiva, per la magnificenza e per la disloca-zione7». Così Vitruvio nel suo trattato con il ter-mine “sagacia costruttiva” descrive il valore e la

Stampa d’epoca che illustra il terremoto di Lisbona del 1 novembre 1755.

Accampamenti di emergenza dopo il terremoto di Lisbona del 1755 (da A. Parducci, L’evoluzione delle concezioniantisismiche).

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do un’intensa atmosfera di rinnovamento cultu-rale, alla quale partecipava attivamente gran par-te dell’ambiente intellettuale soprattutto napole-tano. Al riguardo scrive Alberto Parducci12 che«era l’epoca nella quale si iniziava a riconosce-re la necessità che i problemi della conoscenza edelle attività umane dovessero essere affrontatiaffidandosi principalmente ai lumi della logicae della ragione, abbandonando molti di quei pre-supposti secondo i quali perfino i fenomeni fisi-ci dovevano essere spiegati mediante interpreta-zioni teologiche, cercandone riscontri nel pareredi autorevoli filosofi del passato, il cui pensieromeglio si adattava a quegli stessi presupposti.L’invenzione di Gutenberg si era ormai diffusa edaveva fatto nascere molte stamperie in varie par-ti di Europa, come quelle molto attive a Firenzeed a Venezia. Si stampavano libri e si riprodu-cevano disegni e ciò rendeva possibile una cir-colazione delle informazioni fino ad allora sco-nosciuta, favorendo lo sviluppo di una culturabasata sul confronto diretto delle idee. Nell’am -bito di questa rinnovata vitalità intellettuale, lostimolo prodotto dalla progressiva affermazionedelle concezioni scientifiche, non più relegatonell’ambito elitario di pochi appassionati scien-ziati, stimolava nuovi interessi speculativi diffon-dendosi in tutti i campi della conoscenza. Moltidi questi interessi si andavano orientando, inmaniera sempre più consistente, anche verso l’os-servazione scientifica delle manifestazioni natu-rali e verso una loro razionale interpretazione.Le attività svolte lungo questi nuovi percorsiintellettuali avevano iniziato a dare i primi frut-ti e cominciavano ad essere disponibili molteinformazioni che potevano essere trasferite van-taggiosamente anche nel campo della tecnica edelle sue applicazioni. Dopo il disastroso terre-moto che aveva sconvolto Lisbona nel 1755pro-vocando in Europa un’impressione forse ancoramaggiore di quella dei due eventi italiani, gli stu-di delle manifestazioni sismiche e dei loro effet-ti sulle costruzioni avevano iniziato a riscuotereuna crescente attenzione e ad essere affrontatianch’essi mediante il nuovo spirito scientifico.Ciò consentiva di proporre nuove soluzioni tec-niche da applicare per la costruzione degli edifi-ci. È proprio in questa atmosfera che hannocominciato a manifestarsi le prime idee concre-te mirate ad individuare sistemi e procedimenticostruttivi capaci di resistere in qualche modoagli attacchi dei terremoti molto severi. In questostesso clima gli stimoli prodotti dagli eventi piùgravi prima ricordati avevano fatto circolare nel-l’ambito napoletano le prime pubblicazioni com-prendenti una manualistica dedicata alla sicu-rezza delle costruzioni, nella quale erano tratta-ti con rinnovata attenzione i problemi riguardantiil progetto e la realizzazione di sistemi struttura-li dotati di un certa capacità antisismica. Oltread indicare suggerimenti e prescrizioni di naturaurbanistica con i quali si prescrivevano le distan-ze minime tra i fabbricati ed alcune caratteristi-che tipologiche, si prescrivevano anche limita-zioni delle altezze e si suggerivano alcuni prov-vedimenti tecnici proponendo le prime soluzio-ni di carattere strutturale».

In realtà la crisi sismica conosciuta come‘Terremoto della Calabria del 1783’ durò quasi 3anni e il territorio subì drammatici cambiamentimorfologici e idro-geologici. A questo si affiancòperò un’intesa attività di studio e di analisi diquanto era accaduto. Il governo Borbonico affidòa Ferdinando Galiani, allora segretario del

Supremo Magistrato del Commercio, l’incaricodi stilare una relazione sulle iniziative principalida intraprendere per il futuro della Calabria, pro-ponendo allo stesso tempo un piano di emergen-za che fosse collegato a quello della ricostruzio-ne. Nel 1786 fu approvato un documento ufficia-le sui criteri da seguire nel piano di ricostruzionee nel quale si prestava particolare attenzione aimetodi e alle tecniche costruttive da adottarsi nelrispetto della sicurezza dell’edificato. Si trattavadelle Istruzioni per gli Ingegneri commissionatinella Calabria Ulteriore13 . Analoghi stgudi era-no stati elaborati da Giovanni Vivenzionell’Istoria e teoria de’ tremuoti in generale ed inparticolare di quelli della Calabria, e di Messinadel MDCCLXXXIII14, trattazione corredata datavole illustrative e spiegazioni. Le case-tipo diGiovanni Vivenzio, da attribuire certamente all’ar-chitetto Vincenzo Ferraresi, prevedevano un’in-telaiatura in legno con funzioni antisismiche, indi-cando con precisione le modalità tecniche per leconnessioni tra le singole parti strutturali.

Interessanti sono al riguardo le considerazionia cui giunge la studiosa Clementina Barucci cheafferma che è possibile che i regi architetti attivi inCalabria fossero molto aggiornati rispetto a quan-

to accadeva in materia di ricostruzioni antisimichein campo internazionale: da un lato la normativaportoghese sulle strutture antisismiche (in partico-lare la casa a gajola introdotta in Portogallo dopoil disastroso terremoto del 1755) e dall’altro le pub-blicazioni di Francesco Milizia che nel 1781, neisuoi Principj di architettura civile, aveva descrit-to le case per i terremoti come case di legno in cui«ciascun pezzo sia così ben connesso e incassatocon gli altri, che formino insieme una sola massa[…] e che la casa debba avere una forma all’in-circa cubica», secondo una chiara concezione oli-stica della struttura antisismica che sarà ripropostanel modello elaborato da Vincenzo Ferraresi dopoil sisma del 1783.

Il problema delle costruzioni trovò riscontrinormativi locali che purtroppo nel tempo non ave-vano costituito un patrimonio di conoscenza col-lettiva tenuto presente in eventi calamitosi suc-cessivi, tanto che nell’analisi dei danni prodottidai terremoti che si sono manifestati in seguito,con particolare riferimento al sisma del 1883(Casamicciola, Isola di Ischia) e agli eventi cala-mitosi del 1905 e 1908 (Reggio Calabria eMessina) lo studio della documentazione storicaci ha dimostrato la quasi totale mancanza di tra-

Stampa d’epoca che illustra il terremoto della Calabria Ulteriore del 1783.

Stampa d’epoca che illustra i danni ai monumenti prodotti dal terremoto di Lisbona nel 1755.

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smissione delle esperienze pregresse.Intanto primi interventi legislativi del nuovo

Stato Italiano, riferiti al problema sismico, eranoapparsi solo dopo il terremoto del 1883. Un cor-po di norme tecniche ben più efficace era statoemanato con il Regio Decreto del 18 Aprile 1909.Tali norme si riferivano in modo specifico allemodalità costruttive secondo le quali doveva esse-re impostato il progetto degli edifici antisismici inItalia.

A partire da questi importanti momenti stori-ci la storia dell’architettura antisismica inizia unpercorso molto articolato e complesso e allo stes-so tempo parallelo alle vicende legislative nazio-nali che sono intervenute ed intervengono nellosviluppo delle concezioni progettuali antisimicheper le quali si rimanda alla lettura di testi specia-listici e specifici e tra i principali ricordiamo ilvolume di Alberto Parducci, L’evoluzione delleconcezioni antisismiche fra inerzie e incompren-sioni. Dalle case baraccate del periodo borboni-co alle nuove tecniche dell’Isolamento Sismico,Quaderni di Ingegneria dell’Università degli StudieCampus di Novedrate.

NOTE

1) A. CAVASINO, Note sul catalogo dei terremoti distrut-tivi dal 1501 al 1929 nel Bacino del Mediterraneo, inAA.VV. Memorie scientifiche e tecniche, AccademiaNazionale dei Lincei, Roma 1931, p. 33; P.BEVILACQUA, Tra natura e storia. Ambiente, economie,risorse in Italia, Roma 1996; E. GUIDOBONI (a cura di).I terremoti prima del Mille in Italia e nell’area medi-terranea, Bologna 1989.

2) A. PARDUCCI, L’evoluzione delle concezioni antisi-smiche fra inerzie e incomprensioni. Dalle case barac-cate del periodo borbonico alle nuove tecniche dell’I-solamento Sismico, Quaderni di Ingegneria dell’Uni-versità degli Studi eCampus, Città di Castello 2009.3) Per Talete di Mileto la causa dei terremoti è l’ac-qua; per Anassagora la causa è il fuoco; per Anassimeneè la terra stessa; per Archelao è nell’aria; per Aristotelee Strabone la causa del terremoto è nella lotta fra cor-renti d’aria, teorie sostenute da molti studiosi che segui-rono fino anche a Seneca.4) In particolare gli studi presso gli scavi di Pompeicondotti da Amedeo Maiuri in poi hanno evidenziatosu alcune strutture murarie la presenza di risarciture amodo di “scuci e cuci”, interventi che alcuni studiosihanno attribuito proprio ad interventi di ricostruzione edi riparazione eseguiti a seguito del sisma del 62 d.C.5) E. GUIDOBONI (a cura di). I terremoti prima del Millein Italia e nell’area mediterranea, Bologna 1989; L.QUILICI, S. QUILICI GIGLI. Urbanizzazione delle cam-pagne nell’Italia antica, Roma 20016) G.TRAINA, Terremoti e contesti urbani nel mondoantico: un problema aperto, in E. GUIDOBONI (a curadi). I terremoti…, op. cit; A. Palumbo, Orientamentidi risposta ai terremoti nel mondo antico, in E.GUIDOBONI (a cura di). I terremoti…, op. cit; E.GUIDOBONI, Pozzi e gallerie come rimedi antisismici: lafortuna di un pregiudizio sulle città antiche, in E.GUIDOBONI (a cura di). I terremoti…, op. cit.7) VITRUVIO, De architectura, Libro VI, nell’edizionecurata da Pierre Gros, Torino 1997.8) E. GUIDOBONI, Pirro Ligorio - Libro di diversi ter-remoti. Libro 28, Roma 2005.9) S. BREVENTANO, Trattato del terremoto, a cura diPaola Albini, riproduzione del testo originale, IUSS,Pavia 2007.

10) S. BREVENTANO, Trattato…, op. cit., Libro I Checosa sia Terremoto, p.511) S. BREVENTANO, Trattato…, op. cit., Libro I Checosa sia Terremoto, p.2412) R. DE SANCTIS: “La nuova scienza a Napoli fra‘700 e ‘800”, Edizioni Laterza, Bari, 1986.13) A. PARDUCCI, L’evoluzione delle concezioni antisi-smiche …, op. cit, pp. 53-5814) Istruzioni per gli Ingegneri commissionati nellaCalabria Ulteriore (1786), Biblioteca Nazionale diNapoli, sezione manoscritti e rari, Biblit. Provinc. MS66. Cfr. O. NIGLIO, La casa baraccata nella storia del-l’architettura antisismica. L’esperienza calabrese dopoil terremoto del 1783, in A. PARDUCCI, L’evoluzionedelle concezioni antisismiche …, op. cit., pp.168-171.15) Pubblicato a Napoli nel 1783, il testo ebbe unaseconda edizione nel 1788. L’edizione qui consultata èquella del 1783, le spiegazioni delle tavole si trovanoalle pp.53-56 (riportate anche in I. PRINCIPE, Città nuo-ve…, cit., pp.276-278. G. E. RUBINO, Istoria de’ tre-muoti. Avvenuti nella Provincia della Calabra Ulterioree nella Città di Messina nell’anno 1783 e di quantonella Calabria fu fatto per lo suo risorgimento fino al1787, Atlante di Giovanni Vivenzio, Catanzaro 1992.16) C. BARUCCI, P. GATTUSO, Edilizia privata inCalabria nel XVIII secolo. Tipologie, committenze,costruzioni, Reggio Calabria 1999, pp.29-30.

* Olimpia Niglio, è docente di Restauro Architettonicopresso l’Università di Pisa. Dal 2006 è Profesor Visitingpresso l’Universidad de Ibagué (Colombia) dove insegnaRestauro dei Monumenti. Dal 2004 è direttore scientificodella Rivista EdA, Esempi di Architettura.

Pianta, sezione e prospetto di uno schema ligneo di casa baraccata. Disegni di Vincenzo Ferraresi e pubblicati daGiovanni Vivenzio (1783).

S. Dragotti, Progetto di casa baraccata in zona sismica, 1908 (da C. Barucci, La casa antisismica).

L. Lanza, brevetto di casa antisismica, 1909 (da C.Barucci, La casa antisismica).

C. A. Calcarezza, Brevetto per casa antisismica contelaio ligneo, 1909 (da C. Barucci, La casa antisismica).

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Sopra: Veduta della Moschea da sud-ovest.Sotto: Veduta della Moschea da Piazza del Platano.

PROGETTO DI RESTAURO MOSCHEA GAZI HASSAN PASCIA KOS, GRECIA

Giorgio Sideris*

ABSTRACT – After the analysis of some references, thearticle describes the largest mosque in Kos, the islandof Hippocrates, its functional and architectural ele-ments, the state of degradation and the pathologies,mainly found in the interiors and in the decorations.The paper is concluded by a brief description of therestoration project undertaken on the building.

La Moschea Gazi Hassan Pascia, meglionota come “La Moschea della Loggia”, è

stata costruita nel 1786, costituisce la più grandee importante delle Moschee superstiti di Kos ed èuna delle piu significative testimonianze di que-sto tipo di edifici musulmani religiosi, esistentioggi in Grecia. Lo storico Vasilis Chatzivasiliou,nel suo libro “ Storia dell Isola di Kos”così scri-ve: «Alla fontana delle abluzioni, che ha per vascaun anticο sarcofago, è inciso un epigramma ara-bo che dice che la fontana e la moschea sono ope-ra di Gazi Hassan Pascia, costruite nel 1200 annodell egira, cioe nel 1786 d.C. Menzionando inol-tre lo storiografo di Kos Iacovo Zaraftis, (1853-1933), riferisce che la moschea è stata costruita sulposto ove prima sorgeva una Chiesa greca dedi-cata a S. Giorgio»1. Lo studioso Italiano HermesCalducci, nel suo libro “Architettura Turca inRodi”, riferisce che “in Rodi naturalmente ancheper le moschee, come per gli altri edifici, assi-stiamo ad un largo adattamento al nuovo cultodelle preesistenti Chiese, sia greche che latine”2.È probabile, dunque, che la Moschea di GaziHassan Pascia sia stata costruita sul posto di unapreesistente Chiesa greca, ipotesi che potrà esse-re documentata e fondata in seguito ad uno scavosulle fondazioni della Moschea, scavo che verràeffettuato prima dell’inizio dei lavori di restau-ro, come richiesto dalla Commissione Ministerialeche ha approvato il progetto.

Il Chatzivasiliou riferisce ancora che “dagliatti della Prefettura dell’Archipelago ci infor-miamo che al 1886 Kos aveva 17 Moschee, 2Techedes, 8 Chiese (parocchiali) e una Sinagogadegli Ebrei. Cinque di quelle moschee sono anco-ra esistenti e costituiscono delle testimonianzeuniche dell’Arte musulmana nell’Isola”3. Si trat-ta della Moschea Gazi Hassan Pascia, dellaMoschea Defterdar, della Moschea Moruk, dellaMoschea Atik, della Moschea di Platani e delMinareto dell’Eski Giami. Riguardo alla nostraMoschea e al suo fondatore Gazi Hassan Pascia,l’Ambasciatore Turco Zeki Celikkol, in un suobreve rapporto sui monumenti musulmani super-stiti di Kos, così riferisce: «Gazi Hassan Pascia,che ci ha lasciato in eredità molti monumenti ènato il 1127 dell’egira (nel 1705 d.C.) a Caucaso

e da giovane si è occupato di commercio ed inmodo particolare di navigazione. L’anno 1152(nel 1739 d.C.) si è trovato a combattere in quer-ra. Ha combattuto nel Peloponneso-Grecia, inEgitto, in Siria, in Russia, e sempre con successo.Il 14/7/1204 dell’Egira (il 30 marzo del 1790 d.C.) è deceduto nella zona di Sumnu in Bulgaria,ove si trova il suo sepolcro».

Descrizione del Monumento – La Moschea si svi-luppa su due piani, con tetto a quattro falde emanto di copertura in tegole di coppi; essa appa-re imponente all’aspetto, cubiforme, rivestito inmarmo ai lati nord-ovest, con due file di finestresovrapposte su differenti quote del primo piano.Le finestre della fila in basso sono rettangolaricon arco superiore cieco, con inferriate di barreprotettive, tenute agli incroci con dadi di formaprismatica; quelle della seconda fila in alto, adarco pieno, sono chiuse esternamente da dia-frammi fissi, perforati da fori formati su struttu-ra di telai di legno rivestiti in gesso. Ad ovest,alla quota del piano terra, sul corpo della Moscheasi configura una loggia con cinque colonne dimarmo, poste sul suo asse centrale longitudinale,che sorregono il piano sovrastante, e con dueopposte e simmetriche coppie di aperture ad arco,che si aprono rispettivamente sulla Piazza delPlatano di Ippocrate a nord e all’antica agorà asud. All’ angolo nord-ovest della Moschea èaccorpato un esile ed elegante minareto ad unabalconata, che si erige all’altezza di 23.00 metri epiù in là, accanto al platano, è collocata la fonta-na delle abluzioni, coperta con una cupola semi-sferica che insiste su sette archi sorretti da colon-ne con capitelli corinzi.

Al primo piano si trovano la Sala di Preghiera,a pianta quadrata, e uno spazio rettangolare che laprecede, “il porticato”, posto in esatta corrispon-denza della loggia sottostante. Al piano terra del-la moschea, sui lati nord e sud e nella loggia, siaffacciano celle allungate nel corpo del fabbrica-to, di larghezza di tre metri, costruite per ospita-re i fedeli provenienti da altre località. Al latonord-ovest della loggia, una scala circolare, addos-sata alla base del minareto, conduce al “portica-to” del primo piano e un’altra, quella principalecostruita interamente in marmo, dalla Piazza delPlatano conduce direttamente alla Sala diPreghiera.

La Sala di Preghiera- La Sala di Preghiera ha lecaratteristiche tipiche che si incontrano in generenelle moschee. Nel lato orientale della Sala, in

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una zona sopraelevata di cm 20 rispetto alla quo-ta del pavimento, sono collocati il “mihrab” (unanicchia nella muratura) per la preghiera e il “min-ber” (un’alta tribuna) per le prediche pronuncia-te dall’Imam. Al lato opposto, una pedana ancheessa sopraelevata di cm 20, è delimitata dalla Salada un basso recinto balaustrato in legno; sopra lapedana è costruito il soppalco destinato alle don-ne. Sulla parete ovest vengono formate sul corpodella muratura delle nicchie cosituenti gli armadia muro per il deposito del materiale che serve alfunzionamento della Moschea.

Internamente gli infissi delle finestre sono inlegno a due ante, ad eccezione delle finestre adarco nella seconda fila, verso la zona del “mih-rab”, e delle finestre nella parete a est, che sonofissi, costituiti da telai di legno rivestiti di gesso,suddivisi in piccole aperture di diverse forme geo-metriche, entro le quali sono collocati vetri poli-cromi. Nella Sala, le superfici di muratura, tra lefinestre dell’ordine superiore, sono decorate concolonne dipinte e sotto ogni finestra la muraturaè decorata con una composizione consistente in unrombo curvilineo, entro il quale viene iscritta unacorona floreale con una stella al centro.

Prima della sostituzione del tetto (in pericolodi crollo) della Moschea, sostituzione avvenutanel 1995, due colonne in legno a sezione circola-re, rivestite in gesso con capitelli corinzi nellazona del “mihrab” e altre due colonne a sezionequadrata, nella parte a ovest, sorreggevano unsistema di travi poggiate su mensole in legno,rivestite anche esse in gesso e decorate, che dava-no luogo alla formazione tanto di una navata cen-trale quadrata, sovrastata da un soffitto pianodecorato con un sole radiante al centro, intelaia-to da quattro concave pareti laterali, quanto diquattro navate disposte perimetralmente alla Salacon soffitti piani. I soffitti, durante l’interventodella sostituzione del tetto, crollarono ad ecce-zione di quello centrale con il sole, che fu smon-tato e conservato insieme ad alcuni frammentisuperstiti delle mensole.

Il Porticato – Il “porticato”, che precede la Saladi Preghiera, inizialmente era uno spazio aperto sutre lati, che in un secondo tempo è stato chiuso.Sulle pareti nord e sud sono state aperte due filedi finestre allineate a quelle della Sala diPreghiera, mentre sulla parete a ovest le finestread arco pieno, con stile complettemente diversodalle altre, si protendono in alto quasi a doppiaaltezza. All’interno le pareti sono intonacate, adeccezione di quella a est, originariamente pareteesterna, che è rivestita di marmi; su quest’ultimaparete si aprono simmetricamente ai lati due ordi-ni di finestre con inferriate, mentre al centro del-la stessa domina il marmoreo monumentaleingresso alla Sala di Preghiera. Tra le finestre del-la prima fila in basso, sui due rispettivi lati, duenicchie formate sulla muratura, anch’esse rive-stite in marmo, richiamano al “mihrab” della Saladi Preghiera.

Riferendosi alla tipologia e tenendo presentequanto asserito dal Calducci relativamente al fat-to che per “la costruzione delle moschee non esi-stono canoni fissi ad eccezione dell’orientamen-to a est prefissato per il “mihrab”, la Moscheadi Hassan Pascia può rientrare nell’ambito delletipologie schematicamente individuate dallo stu-dioso italiano e riferirsi a quelle di 1° tipo, chepresentano la sala rettangolare con copertura nona cupola. Per inciso, risordiamo le tipologie del-

La Sala di Preghiera prima dell’intervento per la sostituzione del tetto (Archivio Vakouf Kos).

Il soffitto centrale della Sala di Preghiera (Archivio Vakouf Kos).

La Moschea vista dall’antica agorà.

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le moschee di Rodi, individuate dal Balducci: ITIPO: Sala rettangolare con copertura non a cupo-la (Aga Giami); II TIPO: Sala con copertura avolta. Questo secondo tipo si presenta con tre sot-totipi: a) Sala quadrata con grande cupola, chepuò essere cieca (Hamza Bey, Murad Reis,Ibrahim Pascia) o dotata di aperture (RegepPascia) oppure la cupola può avere pennacchi(Hamza Bey, Ibrahim Pascia) o può presentaretrombe a 45ο (Murad Reis, Regep Pascia); b) Salequadrate affiancate (Suleimanie Giami ); c) Salarettangolare con giuoco di volte (Sultan Mustafa)4.

Patologie – Il monumento presenta in modo pale-se i segni del degrado dovuto all’invecchiamentodei materiali strutturali, all’azione nociva di agen-ti naturali esterni, essendo in prossimità del mare,all’abbandono e alla mancanza totale di ogni azio-ne atta alla sua conservazione. Le corrosioni ester-ne della Moschea si manifestano in modo inten-so sulle superfici delle murature sud ed est in pie-tra porosa, sugli stipiti e sugli archi delle apertu-re, come anche nella parete intonacata esterna aovest; meno palesi risultano sulla muratura nord,verso la Piazza del Platano di Ippocrate e in quel-la della loggia al piano terra, che sono rivestitedi marmi. Per ciò che attiene alle murature ester-ne, prive di rivestimenti marmorei, le alterazioniconsistono in corrosioni degli elementi di pietra edegli intonaci: a)cavità alveolari sulle superficidella muratura in pietra porosa; b) erosione edesfoliazione delle superfici intonacate, con svi-luppo di muffa e di microorganismi vegetali, confessurazioni e distachi degli intonaci, dovuti all’a-zione dell’aerosol marino e con imputridimentodei sottofondi; c) corrosioni, fessurazioni, rottu-re e distacco di materiale dagli stipiti e dai concidi pietra, che formano gli archi delle finestre,come anche rotture e crollo del materiale in ges-so, che riveste i diaframmi perforati, posti sulleaperture delle finestre.

Per ciò che riguarda le murature con rivesti-menti in marmo, le colonne della loggia e gli ele-menti marmorei della scala centrale su Piazza delPlatano, oltre alla sporcizia e alle macchie di ossi-do, che si presentano sulla loro superficie, si rile-vano fessurazioni e rotture di materiale dovutiprincipalmente a rigonfiamenti per ossidazionedelle graffe in ferro, usate per la giunzione deglielementi marmorei, alle spinte orizzontali eser-citate dalle catene delle capriate del tetto disse-stato, prima della sua sostituzione, che agivanocon carichi concentrati sui punti di appoggio del-le loro testate alle murature. All’interno dellaMoschea, le corrosioni dovute all’umidità per-manente e all’acqua piovana, che si infiltrava daltetto prima della sua sostituzione, sono estese ediffuse nell’ambiente, avendo intaccato le mura-ture, gli intonaci con le decorazioni murali, lepavimentazioni in legno, gli infissi, gli elementiin gesso con i vetri colorati delle finestre, in granparte crollati, i rivestimenti lignei scolpiti dellecolonne quadrate, che sorreggono il soppalco, lastruttura portante del soppalco stesso, le cornicisagomate che corrono lungo i recinti balaustratiprotettivi e, come precedentemente detto, la strut-tura lignea portante che reggeva i soffiti e i soffi-ti stessi con le decorazioni.

La proposta d’intervento – Gli interventi di restau-ro e di risanamento proposti, nel rispetto dei valo-ri religiosi, storici ed estetici che il monumentoesprime, mirano a riportarlo alla sua situazione

La Sala di Preghiera, lato est; al centro il “mihrab” e a destra il “minber”.

La Sala di Preghiera, lato ovest, con il soppalco riservato alle donne.

Diaframmi fissi in gesso con vetri multicolori. Particolare di una finestra.

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conformemente alle indicazioni che accompa-gnano l’atto di approvazione del progetto da par-te del Consiglio Centrale di Restauro delMinistero della Cultura Ellenico, la Moschea infuturo avrà probabilmente una destinazione d’u-so museale, mentre i locali del piano terra avran-no funzioni conformi alla natura e al carattere delmonumento.

NOTE

1) V. CHATZIVASILIOU, Storia dell’Isola di Kos, p. 418.2) H. BALDUCCI, Architettura Turca in Rodi, pp. 70-72.3) V. CHATZIVASILIOU, op. cit., p. 418.4) H. BALDUCCI, op. cit., Σελ 138-139.

* Giorgio Sideris, architetto, dirige l’Ufficio Tecnicodell’Isola di Kos ed è autore del progetto per il restaurodella Moschea Gazi Hassan Pascia di Kos.

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originaria, ripristinando integralmente i suoi ele-menti formali e creando condizioni di stabilità eambientali tali da poter assicurare il suo funzio-namento futuro. Considerando la complessità ela natura composita dei problemi che sussistono,gli interventi consistono in opere di consolida-mento statico e di manutenzione conservativa.Per gli interventi ci si avvarrà dell’uso di materialie di tecniche tradizionali, come anche dell’uso dimateriali e di tecniche moderne, ove si riterràopportuno e necessario, reintegrando le formepreesistenti con il recupero degli elementi archi-tettonici, stilistici e decorativi. Gli interventi diconsolidamento statico riguardano le fondazioni,le murature, i solai in legno e gli elementi ligneiche portano i soffitti nella Sala di Preghiera. Sonoprevisti altresì interventi di restauro per tutti gliapparati decorativi, plastici e pittorici.

Per concludere questa breve esposizione,

Sezione trasversale e pianta piano terra di progetto.

Prospetto Nord e prospetto Est di progetto.

La scala centrale su Piazza del Platano.

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Progettare la ricerca, ovvero, in rapportoalle possibilità e ai modi di attuazione o di

esecuzione, ideare, studiare, prefigurare un’attivitàsistematica avente per fine un ritrovamento, unanuova acquisizione scientifica nel campo di pro-prio interesse. Progettare la ricerca: in quanto laricerca è minuziosa, investe un arco rilevante ditempo e impegna risorse umane e finanziarie,risulta indispensabile che essa venga prima for-mulata, poi approvata e finanziata, infine esple-tata. Va formulata e presentata a un Ente pubbli-co o ad un’azienda privata, che la approva attri-buendo delle risorse finanziarie, assegnate preli-minarmente, distribuite a stati di avanzamento oliquidate a presentazione delle risultanze. Tra ivari modi con cui è possibile formulare una ricer-ca, proponiamo quello che è stato imposto direcente dal nostro Ministero della RicercaScientifica e Tecnologica per i Progetti di Ricercad’Interesse Nazionale (PRIN 2008/2010).

Queste brevi note sono quindi indirizzati aiDottorandi di Ricerca, perché ne possano fareoccasione per riflettere, e richiedono, come pre-messa, l’esplicazione di due termini, il primoricorrente e il secondo inusuale, che più volteincontreremo e che condizionano il progetto, l’i-ter e gli esiti della ricerca: metodologia e assio-logia. La metodologia è lo studio dei principi dimetodo che legittimano una disciplina, una cono-scenza o una ricerca e che devono essere impie-gati con rigore e coerenza. Ogni disciplina impie-ga una propria metodologia d’indagine, comeanche per ogni ricerca si adotta la metodologiapiù adeguata; il che vuol dire che il metodo impie-gato non è assoluto, ma è relativo alla ricerca chesi vuole intraprendere. Il secondo termine, neces-sario alla ricerca, è l’assiologia, una teoria filo-sofica basta su “valori” o canoni interpretatividella realtà1. Successivamente si comprenderàl’importanza di questi due termini.

Cominciamo subito col dire che un progetto diricerca ha un titolo2, appartiene a un’area scienti-fico-disciplinare [2] coinvolge vari SettoriScientifico-Disciplinari (SSD) e diversi Settori diRicerca ERC dell’European Research Council [3],è compiutamente rappresentato da alcune parole-chiave [4]. Innanzitutto il titolo, come per un libro,costituisce un’indicazione essenziale che serve sìa definire o a individuare la ricerca, un libro, un’o-pera d’arte, ma anche a creare la fortuna del libroo dell’opera d’arte3. Inoltre le aree e i settori scien-tifico-disciplinari, nazionali e internazionali (SSDe ERC), mirano non solo a inquadrare la ricercascientifica nell’ambito delle competenze, ma anchea segnalare i campi scientifici da cui attingere i

Referee che valutano la proposta di ricerca e che nereferenziano la scientificità. Infine, le parole-chia-ve supportano il titolo, specificandone al massi-mo tre termini tra i più significativi, che sono uti-li al fine di una ricerca bibliografica. È poi richie-sto il soggetto proponente [5] che è il coordinato-re scientifico e di cui vanno specificate: le gene-ralità con i dati anagrafici, il titolo accademico eil Settore Scientifico-Disciplinare di afferenza; ilcurriculum scientifico, che specifica l’attività diricerca svolta, l’attività didattica, l’attività di spe-rimentazione e/o di progettazione [6]; 3) l’elencodelle pubblicazioni, volumi, curatele, articoli suriviste specializzate, relazioni a convegni nazionalie internazionali, mostre, ecc. [7].

E ancora, tra i dati preliminari è la specificadelle Unità Operative (U/O), che devono svilup-pare la ricerca [8]. I progetti d’interesse naziona-le sono condotti da diverse U/O, almeno tre,appartenenti a Dipartimenti o Atenei diversi: cia-scuna unità avrà un responsabile, di cui va indi-cata la qualifica, l’Ente di appartenenza e la dispo-nibilità temporale, che viene espressa in mesi;solitamente il responsabile della prima U/O ècoordinatore di tutto il progetto di ricerca. Infine,per facilitare la lettura del progetto da parte deiReferee e allo scopo di esplicitare meglio il tito-lo e le parole-chiave, il progetto formula unabstract, un riassunto breve e sintetico degli argo-menti scientifici, ritenuti fondamentali, e che ver-ranno trattati [9]. A mio avviso questo sommariodovrà indicare: 1) alcune considerazioni iniziali,2) un breve stato dell’arte, 3) l’innovatività dellaproposta ed i criteri, 4) i principali obiettivi che sivogliono raggiungere, 5) gli esiti della ricerca.

Successivamente è richiesta la specifica degliobiettivi che il progetto di ricerca si propone diraggiungere [10]: quali e quanti obiettivi?Certamente questi dipenderanno dal tipo di ricer-ca, ma alcuni sono sempre raggiungibili, quali:1) definire e sperimentare un approccio congiun-to tra discipline diverse, 2) incrementare le basidella conoscenza, 3) acquisire una adeguata cono-scenza per supportare processi decisionali critici.Per una ricerca che mira a trovare nuovi prodot-ti per l’architettura, altri obiettivi sono: 4) indivi-duare e selezionare i campioni più significativi, 5)definire protocolli su indagini, prove e caratte-rizzazione dei materiali, 6) progettare e speri-mentare materiali nuovi, 7) acquisire o riacquisi-re una filiera produttiva, ecc. ecc.

La proposta di ricerca inizia a precisare lo sta-to dell’arte, ovvero segnala e seleziona tutte leinformazioni sulle questioni da ricercare [11]. Leconsultazioni riguardano tre settori: 1) gli apparati

PROGETTARE LA RICERCA*

Alberto Sposito

ABSTRACT – Addressed to PhD students, so that theymay have occasion to reflect on it, this article sum-marizes the seminar mentioned in the footnotes.“Designing the research” means fore-shadowing a sys-tematic activity with the purpose of obtaining a new sci-entific knowledge in a specific field of interest. Becausethe research is meticulous, requires a significant peri-od of time and involves human and financial resources,it is essential that it is firstly formulated and present-ed to a public or private body, then approved and fund-ed, finally completed. Among the various ways throughwhich it is possible to formulate a research, the Authorproposes the one imposed by Ministero della RicercaScientifica e Tecnologica (Ministry of Scientific andTechnological research) for PRIN 2008 projects.

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bibliografici, consultando i cataloghi per autore oper soggetto, nazionali e internazionali, relativa-mente ai settori specifici, che sono indicate tra leparole-chiavi, e i settori affini; 2) i convegni nazio-nali e internazionali di recente data e di cui nonsono stati ancora pubblicati gli atti; 3) la selezio-ne sitografica. Da tali consultazioni scaturisconodelle considerazioni sulla necessità o sugli obiet-tivi o sull’originalità della ricerca che è stata pro-posta. È da osservare che uno stato dell’arte com-porta non soltanto il fotografare oggi, ma anche ilconoscere ieri. Il fatto è che qualunque conoscenzasi voglia acquisire su fatti, artifici o artefatti, ditradizione o innovativi, essa è storica, contribuiscead indagare sullo stato dell’arte, verte su oggettidelimitati o delimitabili per tempo, luogo o natu-ra, mai sulla totalità. I capisaldi di questa ricercasono stati elaborati e definiti dal Rinascimento adoggi e, sulla scorta della proposta del filosofoNicola Abbagnano, sono stati da me ricapitolati.Qui si richiamano due sole condizioni: 1) che laconoscenza storica sia individuante (in primo luo-go ogni evento storico è individuato da due para-metri fondamentali, quello cronologico e quellotopografico; in secondo luogo il materiale docu-mentario ha carattere individuante; in terzo luogoi criteri di scelta storiografica hanno carattere indi-viduante perché mirano a evidenziare un fatto tragli altri); 2) che la conoscenza storica sia selettiva,cioè dall’infinita varietà delle relazioni che glieventi rivelano, si deve scegliere ciò che è impor-tante o fondamentale per la sua storia.

A questo punto è possibile articolare il pro-getto di ricerca e prefissare i tempi di realizzazio-ne. Ricordiamo, ma lo avremmo dovuto dire pri-ma, che la ricerca è un insieme di momenti diffe-renziati, che caratterizzano uno svolgimento con-tinuo; essa è costituita da varie parti, svolte da unoo più operatori, disposte e ordinate in successione,con reciproca contiguità5. La durata, necessaria altotale espletamento della ricerca si esprime inmesi, tempo che rappresenta una continuità limi-tata (uno, due, massimo tre anni), ma suddivisibi-le in mesi per lo svolgersi di determinati adempi-menti, analisi, prove, ecc. Lo schema grafico chesi allega vuole mostrare da una parte le diversefasi operative e i tempi necessari a espletare levarie attività, dall’altra i risultati attesi; da segna-lare che tale schema si riferisce ad un progetto diricerca dal titolo “Nanotecnologie per i mattoniin terra cruda: tradizione, innovazione e sosteni-bilità”, le cui tre parole-chiave erano architetturain terracruda, nanotecnologie, sostenibilità.

Fase 1: stato dell’arte (3M) – Dopo la ricercabibliografica e la disamina degli studi in corso, sianalizzano vari contesti geografici e storici peridentificare il nostro ambito operativo. Si ricercapoi il quadro normativo di riferimento, si specifi-cano gli strumenti e i vari supporti, se del caso sieffettua un’indagine di mercato, come anche siindividuano le istituzioni pubbliche o le aziendeprivate che potranno supportare la nostra ricerca.

Fase 2: individuazione e scelte (6M) – Si defi-nisce e si delimita il campo dell’intervento, siscelgono i materiali e i campioni significativi, sistabiliscono i criteri per individuare, catalogare,selezionare e caratterizzare; inoltre s’individuanole strumentazioni necessarie e si consultano lenormative e le istituzioni coinvolte.

Fase 3: Elaborazioni e prima stesura (6M) –È la fase centrale, dipendente dallo specifico tito-lo della ricerca, in cui si configurano tutte le tema-tiche previste e gli obbiettivi assunti.

Fase 4: Sviluppo ed esperimenti, compara-

zioni e correlazioni, valutazioni e verifica deirisultati (4M) – Per sviluppo s’intende l’accre-scimento successivo che subisce la ricerca, peresperimenti ci si riferisce a prove pratiche diret-te a dimostrare o verificare le ipotesi iniziali, perrisultati s’intendono gli esiti conclusivi delle fasioperative. Orbene, quattro attività vanno svoltein questa fase: 1) la comparazione, ovvero il con-fronto delle risultanze fondato sui rapporti di qua-lità/quantità; 2) la correlazione, cioè la connes-sione o le corrispondenze reciproche tra diffe-renti risultati; 3) la valutazione, come esame deirisultati per determinare il “valore” da assegnareper un giudizio o per una classifica; 4) la verifica,come controllo per accertare i risultati nel lorovalore, per comprovare la qualità e la regolaritàdelle procedure e delle operazioni.

Fase 5: Disseminazione e valorizzazione degliesiti (5M) – La disseminazione è una divulgazio-ne, ma intesa come diffusine per lo più frequentee senza un ordine apparente. Una tale diffusioneinveste sia il piano informativo che quello forma-tivo, segue diverse e opportune modalità, solleci-ta incontri a vari livelli, edita volumi e articoliscientifici, comunica in convegni nazionali e inter-nazionali, straripa in corsi di Master, magistrali edi specializzazione. Da disseminare sono le meto-dologie scientifiche avanzate, le sintesi di materialie prodotti innovativi, le nuove conoscenze di tec-niche e di procedimenti o le nuove acquisizionistoriche. E per valorizzare gli esiti della ricerca, siassume questo obiettivo: con considerazioni ogget-tive far sì che venga riconosciuto il valore dellaricerca, sia promuovendo il giusto apprezzamen-to, sia rendendo fruttiferi gli esiti stessi.

È da precisare che, in relazione agli obiettivi daraggiungere, ciascuna Unità Operativa assume unruolo particolare, complementare a quello svoltodalle altre Unità. Pertanto devono essere definite lemodalità di integrazione e di collaborazione, spe-cificando sia il ruolo che svolge ciascuna U/O, siaquelle modalità, ai fini degli obiettivi assunti [13].A questo punto, vediamo quali sono i risultati atte-si dalla ricerca [14]. Gli esiti, che contrassegnanol’iter e convalidano l’efficacia, sono collocabili supiani diversi e dipendono dal tipo di ricerca; comeesempio, di seguito ci riferiamo ad una ricerca cheproponeva un nuovo tipo di materiale.

1) Sul piano metodologico: un insieme inte-grato di strumenti, adeguati a organizzare e gesti-re le principali azioni costruttive; un complesso diprincipi sul metodo e sul procedimento, per garan-tire sul piano teorico e su quello pratico la fun-zionalità e la costanza del lavoro e del prodotto;particolari principi di valutazione per contenere irischi tecnici6 e di precauzione7.

2) Sul piano conoscitivo: incremento e svilup-po della conoscenza, base e supporto per gli ope-ratori del settore; nuove conoscenze teoriche e/omanualistiche, inventari, proposte di norme, ecc.

3) Sul piano operativo: i risultati attesi sonolegati alle tematiche particolari, selezionale amonte, come sottodomini di implementazione .

4) Sul piano produttivo: il risultato atteso èindirizzato ad acquisire o a riacquisire una filieraproduttiva, un ciclo di produzione innovativo, ecc.

5) Sul piano formativo: è opportuno che ladisseminazione degli esiti sia finalizzata tanto allainformazione, quanto alla formazione.

Ma quali sono i criteri e gli elementi per veri-ficare i risultati della ricerca [15]? La verifica èl’operazione di controllo per cui si procede adaccertare i risultati ottenuti nel loro valore e nel-le loro modalità; essa mira a provare sia la rego-

larità dei procedimenti, sia la qualità delle elabo-razioni, dei prodotti o dei materiali. I risultati nonsono che gli esiti o le soluzioni, che indicano ilprocedimento seguito e convalidano l’efficaciadella ricerca; essi non sono assoluti, ma relativi,cioè non sono dati una volta per tutte, bensì comeesiti di una ricerca momentanea e di un determi-nato operatore. Tali criteri o elementi sono essen-ziali per elaborare un giudizio e sono fondamen-tali per attribuire i risultati a categorie oggettive:prove fisiche, prove di durata, costi di produzio-ne o di costruzione, valutazioni, pareri motivati,buon senso, prudenza, ecc. In altri termini e percome detto in premessa, da una parte l’adozionedi principi di metodo impiegati con rigore e coe-renza, dall’altra la formulazione di un giudizioassiologico, fondato su valori o canoni interpre-tativi della realtà, consentono di comparare, cor-relare e valutare risultati, prove ed esiti, oltre chead assicurarne la validità scientifica.

NOTE

1) Il termine deriva dal greco áxios significante chevale, del valore di, degno, che merita; lo impieganoOmero, come nell’Iliade allorquando dice che “noi tut-ti non valiamo quanto il solo Ettore”, Senofonte, Sofocle,Demostene, Luciano, Euripide, Eschilo, Lisia, Plutarco,Eliodoro, Polibio, Platone o Tucidide, insomma illustrinomi della storiografia, della letteratura, della tragedia,della filosofia e della retorica, allorquando voglionoindicare fatti di riconosciuto interesse, o vogliono segna-lare meriti che personaggi hanno acquisito.2) Nel testo i numeri tra parentesi quadra si riferisconoai punti di cui alla richiesta di cofinanziamento per iprogrammi di ricerca scientifica di rilevante interessenazionale (D.M. n. 1407 del 4 dicembre 2008).3) Pensiamo ad alcuni titoli fortunati, come LaGioconda di Leonardo da Vinci o a molti libri di GilloDorfles (Le Oscillazioni del Gusto e l’Arte moderna,Nuovi Riti e nuovi Miti, L’Estetica del Mito, Il Kitsch:Antologia del cattivo Gusto, Mode e Modi, L’Intervalloperduto, La Moda della Moda, Elogio dellaDisarmonia, Il Feticcio quotidiano, Fatti e Fattoidi). 4) A. SPOSITO, Tecnologia Antica, Storie di procedi-menti, Tecniche e Artefatti, Dario Flaccovio Editore,Palermo 2007, pp. 29-30. Ad esempio: la ricerca intito-lata “Il sistema difensivo arabo-normanno” risulta inde-terminata e non caratterizzata: ampio il periodo (dal sec.IX al sec. XII), non è specificato il luogo (Italia meri-dionale, Sicilia, il litorale dell’Isola, ecc.), non è carat-terizzata la ricerca (storica, storico-architettonica, morfo-tipologica, tecno-costruttiva, militare-difensiva, ecc.).5) Inoltre è da ricordare che la ricerca è pluridiscipli-nare, richiede un approccio congiunto tra disciplinediverse, procede per gradi, è continua nel tempo ed ècapace di sostenere o sopportare le azioni più critiche;ma pur con questo la ricerca è relativa e non assoluta,in quanto dipende dal momento in cui la ricerca è sta-ta svolta e dall’operatore che l’ha eseguita. Sulla que-stione cfr.: A. SPOSITO e AA. V V., Sylloge archeolo-gica, Cultura e processi della Conservazione, D.P.C.E.,Palermo 1999, pp. 7-13, 211-214; A. SPOSITO, LaConservazione affidabile per il Patrimonio architetto-nico/Reliable Conservation of architectural Heritage,Atti della tavola rotonda internazionale di Palermo, 27-28 sett. 2008, a cura di M. L. GERMANÀ, DarioFlaccovio, Palermo 2003, pp.17-23.6) I rischi tecnici sono costituiti dalla eventualità che nelprogetto vi possano essere danni, sbagli o perdite.7) Il principio di precauzione consiste nell’atteggia-mento diretto a evitare possibili rischi.

* L’articolo sintetizza il Seminario “Metodologia eAssiologia in un Progetto di Ricerca”, tenutosi al DPCEdi Palermo per i borsisti del Dottorato in Recupero eFruizione dei Contesti Antichi; il Seminario è stato con-dotto dall’autore in data 24 Giugno 2009.

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ABSTRACT – Honoré Daumier was one of the mastersof political, social and moral caricature. He master-fully used the technique of lithography, which becamea mass diffusion instrument of satirical realism. ThoughDaumier’s reputation is more based on this activity, hewas also an interesting painter and sculptor and thecritics has recently re-evaluated him.

L’artista Honoré Daumier1, vissuto nellaFrancia del XIX secolo, si distinse per la

sua poliedricità e complessità che gli permisero dioccuparsi tanto di litografia e di pittura che discultura. La sua attività litografica e pittorica èstata copiosa, ma nell’ambito della scultura rea-lizzò solamente i busti in terracotta di Célébritésdu juste milieu, la piccola statua di Ratapoil e idue gessi originali dei Fugitifs. Tardivo è stato ilriconoscimento dell’artista nell’ambito della pit-tura e della scultura, dal momento che il suo nomeè stato, fondamentalmente, legato alla sua pro-duzione di litografie. Tuttavia, gli studi recenti lohanno riabilitato anche come pittore e scultore diun certo interesse, ponendo l’attenzione sulla pro-duzione globale e diversificata del maestro. Inquesta sede, tuttavia, non potremo approfondiremolte questioni che ruotano intorno alla figura diHonoré Daumier, ma ci limiteremo a ricordaregli aspetti più salienti dell’artista.

La formazione del Daumier fu molteplice e,fondamentalmente, non accademica; egli, infatti,studiò l’arte greca del IV e III secolo a. C., la pit-tura veneta, spagnola, olandese e fiamminga.Intrattenne relazioni nel 1855 con Millet,Rousseau, Daubigny e Corot e subì l’influenzadi Michelangelo, Rembrandt, Goya, Delacroix,Géricault e Fragonard. Ebbe, altresì, rapporti cul-turali con Balzac, Baudelaire, Michelet eChampfleury. Daumier influenzò molti artisti trai quali vi furono, per esempio, Delacroix, Courbet,Manet, Degas, Toulouse-Lautrec, Cézanne,Picasso, Rouault, Ensor, Nolde e Bacon.

Nell’ambito delle litografie2 occorre precisarela tecnica di lavorazione. Per produrre la formastampante si usa una pietra litografica dal colorgiallo, i cui bordi sono limati. Successivamente, sipassa alla fase della granitura, mettendo la pietrasu un piano e coprendo la superficie con acqua esabbia silicia. Si inizia a compiere un movimentorotatorio tra le due parti, terminando tutta la sab-bia. Raggiunta la granitura, si lava la pietra conacqua abbondante e la si mette ad asciugare. Perrealizzare il disegno si usa un pastello litograficoo una matita su una pietra calcarea; le parti d’om-bra e di luce sono ottenute passando in manieradifforme la matita. In seguito, si passa del talco

HONORÉ DAUMIER LITOGRAFO, PITTORE E SCULTORE

Marcella La Monica*

sulla pietra, si stende su tale superficie della gom-ma arabica a cui si aggiunge, con un pennello lar-go, dell’acido nitrico; appena la gomma arabicaè asciutta si spogliano le zone disegnate con lamatita e con il pastello. Inoltre, si asciuga con del-la carta cellulosa, stendendo uno strato esiguo dilitofina. Quando la litofina è asciutta, si passaancora una volta del talco. La pietra, diventata unamatrice, può essere impiegata per la stampa che èrealizzata con un torchio litografico a stella.

Delle litografie di Daumier – che fu un tecni-co eccellente – abbiamo selezionate alcune diquelle particolarmente significative. In Le passé- le présent - l’avenir, pubblicata nella rivista LaCaricature fondata da C. Philipon nel 1831,Daumier disegnò il volto trifacciale di LuigiFilippo dalla forma di pera. Tale volto è eguale sianel passato e nel presente che nel futuro; tale lito-grafia si inserì in un filone satirico nel quale siridicolizzava il Re, paragonandolo ad una pera.Altrettanto interessante e nota è Le ventre legi-slatif, nella quale si raffigurò il Parlamento comeun ventre in cui i politici si ingrassavano, dormi-vano, parlavano e soprattutto erano voraci neiconfronti degli operai. Daumier realizzò un’om-bra lieve nell’intera sala, illuminando i volti permerito di macchie che esaltavano i tratti ed i sor-risi. Inoltre, colorò di nero, sfumando le pose, igilet e i vestiti. La minacciosità di tale litografiafu colta in pieno dalla borghesia tanto che la rivi-sta, in cui fu pubblicata l’immagine, venne seque-strata per ben 27 volte.

Celebre è Rue Transnonian, pubblicata nel1834 in Association mensuelle di La Caricature.Essa ricorda l’assassinio di dodici popolani inRue Transnonian, numero 12. Il massacro fu ori-ginato dall’uccisione, per colpa di un franco tira-tore, di un ufficiale delle truppe giunte per seda-re una ribellione di operai sorta in seguito ad unasommossa scoppiata all’inizio dell’anno fra colo-ro che lavoravano la seta di Lione. Daumier rap-presentò la scena con estremo realismo: disegnòuna strage nella quale nessuno aveva trovatoscampo. Vi è, quindi, una camera rivoltata, unuomo a terra sotto il quale vi è un bambino san-guinolento. A destra, si vede solo la testa di unvecchio mentre a sinistra si assiste ad una donnagettata a terra. Daumier, oltre a ricorrere al reali-smo, squarciò diagonalmente la luce, giocandocon i contrasti tra il nero ed il bianco. A tal pro-posito, vogliamo ricordare le parole sempre illu-minanti di L. Venturi, il quale scrisse che “il can-dore dei panni sembra un accento d’orrore”3.

Di diverso tenore fu Adoremus!, edita nellaH. Daumier, Ratapoil, bronzo, cm 43, circa 1850,Parigi, Musée d’Orsay.

H. Daumier, Esquisse de la République, olio su tela,cm 73x60, 1848, Parigi, Musée d’Orsay.

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serie Actualités. La scena principale si svolge difronte all’Urna elettorale verso la quale tutti gliaspiranti deputati hanno un’adorazione cultuale.In La mitrailleuse électorale Daumier rappresentòun uomo con in mano una mitragliatrice elettoraledalla quale uscivano tutti i risultati dell’elezioneappena avvenuta. Il risultato era quello di stenderea terra molti aspiranti deputati. A proposito dellelitografie, è opportuno ricordare le parole di C.Baudelaire, il quale ha evidenziato l’attenzioneda parte del maestro vero gli aspetti morali dellecaricature, comparandolo a Molière. Infatti,Daumier, secondo Baudelaire, si rifiutava “di trat-tare certi spunti satirici belli e violenti […] perchéquesto superava i limiti del comico e poteva feri-re la coscienza del genere umano”4. Inoltre,Baudelaire ha sostenuto che le litografie espri-mevano “idee di colore”5. Altrettanto importantefu Les Arènes legislatives in cui si rappresenta-rono vari morti sopra i quali vi erano le scritte diprogetti di legge, emendamenti, riforme e pro-messe libertarie non mantenute.

Il tratto che accomuna tutte le litografie da noiselezionate e, in generale, quelle prodotte dal mae-stro manifestano la sua scelta di fare satira.Inizialmente egli si orientò per la satira politicamentre, poi, decise di mettere in ridicolo i costu-mi dei borghesi e dei parlamentari. Usò il suo dise-gno pungente per togliere il velo dell’ipocrisiaborghese francese, mettendo a nudo le tare, i vizi,le deformità di questa classe sociale disinteressa-ta ai problemi del proletariato. Un esempio è ladistinzione classistica tra coloro i quali si lavanonella Senna (gli operai) e coloro i quali prendonolezioni a secco di nuoto (i borghesi). O, ancora,come non ricordare le differenze di classe tra gliavvocati, i dottori, gli affittuari e i locatari, i fre-quentatori di un vagone di terza classe, i vaga-bondi? Per gli ultimi c’è solo la possibilità di assi-stere alla passerella a cui partecipano i borghesiimbelliti nei loro abiti e nelle loro ricchezze.

Daumier raffigurò il profondo divario esi-stente tra la classe borghese ricca e ben nutritra equella operaia che lottava, puntualmente, per lasopravvivenza. Nel far questo, offrì uno spacca-to dell’epoca con le sue contraddizioni irrisolteproprie della Francia comunarda. Egli, inoltre,nutrì una profonda ostilità nei confronti della bor-ghesia anche perché fu spinto sempre da un sen-timento antiborghese in una fase in cui “il repub-blicanesimo non era stato ancora fatto propriodalla borghesia e dal capitalismo”6.

Nell’ambito delle tele abbiamo scelto L’esquis -se de la République e La Blanchisseuse. La primavenne concepita per il concorso pubblico dell’Écoledes Beaux-Arts che aveva come tema il seguente:“Repubblica che nutre e istruisce i propri figli”.L’iconografia della tela è semplice, ovvero vi èuna donna che ha alle sue mammelle due bambiniche ricevono il suo latte mentre ai suoi piedi vi è unbambino che legge. Interessante è la realizzazionedi tale soggetto figurativo: infatti, lo schema com-positivo è piramidale e la donna emana un senso dicompostezza e di imponenza notevoli. Tale operasi inserisce nella corrente del Realismo anche se peril carattere di atemporalità dell’opera è come se ilmaestro riuscisse a superare il Realismo stesso.Altresì interessante è l’opera, intitolata La Blan -chisseuse, nella quale venne raffigurata una lavan-daia che, da un lato, teneva la mano alla bambina,e,dall’altro lato, teneva i vestiti mentre saliva lescale. Forte è il contrasto tra la massa luminosissi-ma di case site nello sfondo e la protagonista resaancora più scura dalla luce posteriore. Inoltre,emerge l’elemento della tenerezza che nel maestroera poco diffuso e che è rintracciabile dalla manoe dal corpo inclinato della lavandaia verso la figlia.Anche la bambina si presenta come una massa scu-ra. La scala è stata realizzata con un contorno mol-to spesso tale da marcare la differenza tra la mas-sa bianca e quella scura. Importanti risultano sem-pre le parole di L. Venturi, il quale definì l’operanella seguente maniera: “Monumentale, nella suamiseria, l’immagine di questa donna assume unadignità eroica”7.

Per quanto riguarda le opere scultoree realiz-zate dal maestro, vogliamo analizzare Ratapoil.Essa è una statuetta bronzea di cm 43, a tuttoton-do: rappresenta la spia bonapartista. Pur essendouna piccola statua, costituì un vero e proprio attac-co al potere dell’epoca. Dal punto di vista stili-

stico-formale, osserviamo che la postura è lieve-mente classicistica anche se è amplificata dalmovimento delle forme. Inoltre, si assiste ad ungioco interessante svolto tra il pieno ed il vuoto;infatti le pieghe del cappello, pantalone e cap-potto originano un vuoto che aumenta il sensodell’inquietudine, della tensione espressiva e delrapporto con il pieno della materia.

In tal modo il maestro esce dagli schemi tra-dizionali vincolati all’armonia ed alla coesione,determinando un’opera originale. In quest’operaDaumier si muove tra il realismo e l’espressio-nismo risentendo anche dell’influsso delle operedi Degas.

In conclusione, possiamo affermare che lafigura di Honoré Daumier fu ed è ancora oggiestremamente importante nonostante il riconosci-mento tardivo nell’ambito della pittura e scultura.Sicuramente, sarebbe auspicabile uno studio mol-to più analitico sulla sua versatilità artistica.

NOTE

1) Per uno studio più ampio sulla figura di H. Daumiersi rimanda a M. LA MONICA, Riflessioni sull’arte diDaumier, in L’Icone, n. 134, Dicembre, Palermo 2007.2) La bibliografia fondamentale relative alle litografieè: N. A. HAZARD – L. DELTEIL, Catalogue raisonné del’Oeuvre lithografié de Honoré Daumier., Orrouy, 1904;L. DELTEIL, Honoré Daumier- Le peintre –graveur illu-stré, Paris 1925-30.3) L. VENTURI, Peintres modernes: Goya, Constable,David, Ingres, Delacroix, Corot, Daumier, Courbet,Albin Michel, Paris, 1941, p. 181.4) C. BAUDELAIRE, Scritti sull’arte, Einaudi, Torino,1992, p. 167. 5) Ibidem.6) D. D. EGBERT, Arte e sinistra in Europa, Feltrinelli,Milano, 1975, p. 193.7) L. VENTURI, op. cit, p. 196; H. LOYRETTE, Situationde Daumier, in Aa. Vv., Daumier, 1808-1879: Muséedes beaux-arts du Canada., 2000, p. 38.

* Marcella La Monica (Palermo, 1974) è ricercatore con-fermato e docente di Storia dell’Arte moderna e di Storiadell’Arte moderna e contemporanea presso la Facoltà diArchitettura nelle sedi di Palermo e di Agrigento. Ha pub-blicato La città degli spilli, Palermo, 2001; Semiotica e Ico-nologia, Palermo, 2004; Alcune immagini della follia du-rante la Renaissance, Palermo, 2005; La Fontana Pretoriadi Palermo. Analisi stilistica e nuovo commento, Palermo,2006; Il monumento a Filippo V. Stile e iconografia, Paler-mo, 2007; Riflessioni sull’arte di Daumier, Palermo, 2007.

H. Daumier, Le passé - Le présent - L’avenir, litogra-fia, cm 21,4x19,6, 1834.

H. Daumier, Adoremus!, litografia, cm 24x20,3, 1869. H. Daumier, Les Arènes legislatives, litografia, cm23,6x21, 1870.

H. Daumier, Les Arènes legislatives, litografia, cm23,6x21, 1870.

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L’unica colonna conservata del Tempio C (sec. V a.C.).

L’ACROPOLI DI GELARICONFIGURAZIONE E FRUIZIONE

Rocco Caruso*

ABSTRACT – It’s not easy to understand the original formof poorly preserved or fragmentary archaeologicalsites, so they do not usually have a real interest fromtourism point of view. Often they do not have a realpath for their exploitation and sometime they lay in astate of semi-abandonment. The Acropolis of Gela isemblematic of this situation. It is widely studied andappreciated by the scientific world, but little enhanced.The most advanced information technologies, like thevirtual- and the augmented-reality, could greatly impro-ve the knowledge of the Acropolis, through scientifi-cally based virtual reconstructions, visible on work-stations installed within a planned visitor’s path. Thiscould stimulate the interest of visitors, generating newpossibilities for tourist exploitation of the site.

Gela, colonia rodio cretese fondata nel688-689 a. C., dal punto di vista storico

e archeologica è uno dei più importanti siti dellaSicilia, ponendosi alla pari di Agrigento, Siracusae Selinunte. Rispetto a questi però il sito di Gelaè senz’altro poco noto, poco apprezzato e menovisitato. La mancanza di notorietà dipende damolteplici fattori culturali e sociali, che penaliz-zano di fatto la valorizzazione del sito archeolo-gico. Sembrerebbe che la storia della città anticainteressi soprattutto a studiosi e ricercatori delsettore, ancor più che agli stessi abitanti di Gela;quasi si dimenticasse che la storia e l’archeologiarappresentino l’identità culturale di un’interapopolazione e del territorio in cui essa vive.

Un altro fattore negativo è insito nella con-servazione dell’Acropoli stessa, frammentaria e didifficile lettura, in cui si accavallano, a volte inpochi centimetri, strati archeologici che varianodal sec. VII al sec. IV a. C. Le strutture architet-toniche inoltre sono poco riconoscibili e non per-mettono di immaginare l’opera nella sua interez-za, rimanendo blocchi architettonici isolati edecontestualizzati. La colonna dell’Athènaion(Tempio C) riferibile all’opistodomo risalente alsec. V a. C. è la sola eccezione1 ma se si considerala grandiosità e la monumentalità delle propor-zioni che doveva avere il Tempio, ci si rende con-to che è ben poca cosa, soprattutto se paragonataai resti dei templi di Agrigento, Siracusa eSelinunte. Infine è da sottolineare che, ad oggi,non è stato approntato un progetto unitario chefavorisca la fruizione del sito, e addirittural’Acropoli sembra abbandonata e in preda all’in-curia, con le erbacce che crescono sulle strutturerimaste, danneggiandole; paradossalmente non sipermette neanche l’accesso ai visitatori.

Il punto di partenza per una reale valorizza-zione dell’Acropoli di Gela, finalizzata alla frui-

zione ed all’incremento turistico, non può cheessere la ferma volontà di conservare e di recu-perare, soprattutto da parte di chi ha le compe-tenze e le responsabilità in merito, partendo dalpresupposto che senza conservazione non puòesserci fruizione, in quanto non ci sarebbe nean-che il bene culturale da fruire.

Successivamente si potrà pensare ad un pro-getto complessivo di fruizione che esalti le pecu-liarità dell’area archeologica, rendendola com-prensibile ed interessante a tutti, siano essi studiosie storici, piuttosto che bambini ed operai. In talsenso è fondamentale il ricorso alla tecnologiadella Virtual e della Augmented Reality, discipli-ne che hanno come obiettivo quello di approfon-dire l’apprendimento dei siti archeologici sia attra-verso la formazione di banche dati multimedialivisionabili e consultabili da tutti, sia attraversoricostruzioni virtuali 3D interattive2. Con questiobiettivi è stata elaborata la ricostruzione virtua-le dell’Acropoli di Gela realizzata, dal punto divista scientifico, mediando le informazioni deri-vanti dalla ricerca archeologica con le nuovemisurazioni, attraverso il confronto tipologicocon altri edifici dello stesso periodo e meglio con-servati, e ancora mediante lo studio delle propor-zioni in quanto è noto che il processo che porta-va alla realizzazione di un monumento seguivaschemi semplici, applicando una logica apparen-temente elementare3. Il rapporto tra le diverse par-ti era ottenuto ripetendo, dividendo e moltipli-cando misure note di elementi architettonici. Inquesta sede si presentano a titolo di esempio lariconfigurazione del Tempio B, del Tempio C, edei sacelli VI, VII e VIII.

Il Tempio B è stato messo in luce da PaoloOrsi, all’inizio del secolo scorso, ed è stato ampia-mente studiato da Luigi Bernabò Brea nel 19624.Del Tempio si conserva oggi un solo filare dellefondazioni, il più profondo, direttamente impo-stato sulla roccia della collina, che è un’arenariaassai friabile e poco compatta. La fondazionemisura m 35,22 di lunghezza massima, mentre lalarghezza è m 17,75. La decorazione architetto-nica era costituita da lastre fittili, sostituite piùvolte nell’arco del sec. VI a.C., i cui elementi del-la sima e del geison erano decorati su tre registriparalleli con la doppia treccia, le rosette e le fogliedipinte in rosso, bruno e bianco; a queste siaggiungono diverse figure acroteriali fittili, cheoccupavano la sommità e gli angoli del tetto. Duemaschere gorgoniche si trovavano al centro delcavo frontonale, a scopo apotropaico. Le propor-zioni sono riconducibili ad un tempio periptero

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Il Tempio C, dedicato alla dea Athena, è statocostruito a partire dal 480 a.C. per volontà di Ge-lone e della sua stirpe, per celebrare la vittoriadelle città greche su Cartagine nella battaglia diHimera. L’Athenaion classico occupa, con orien-tamento Est-Ovest, l’estremità orientale dell’A-cropoli, un punto in cui la vista domina il pae-saggio circostante. Gli scavi sono stati intrapresida Paolo Orsi all’inizio del secolo scorso, prose-guiti nel 1952, con l’individuazione del tagliodelle fondazioni e parti dello stereobate, che mi-sura m 21,70 x 51, e continuano ancor oggi con ilritrovamento di una tegola e un frammento dicornice in marmo cicladico. La forma del Tem-pio può essere quasi completamente ricostruitagrazie agli elementi architettonici conservati insitu e attraverso il confronto tipologico e dimen-sionale con altri templi dello stesso periodo, inparticolare con l’Athenaion di Siracusa6 e con ilTempio della Vittoria ad Imera7. Il crepidoma eracostituito da quattro gradini, sul quale vi era unaperistasi con 6 x 14 colonne, sistemate ad una di-stanza pressoché uguale su tutti i lati. L’interasseideale è pari a m 3,62, circa 12 piedi dorici, erappresenta la misura che regola le proporzionidi tutto il Tempio. Il diametro inferiore delle co-lonne è pari a metà dell’interasse; l’altezza dellecolonne è 2 ¼ di m 3,62 od ancora 4,5 volte ildiametro inferiore.

Le dimensioni delle colonne della peristasisono di m 1,81 x 8,145 (piedi 6 x 27); le colonnedel pronao e dell’opistodomo hanno dimensionileggermente inferiori, m 1,72 x 7,74, perché la cel-la è impostata su un’ulteriore gradino come adImera. L’interasse è dunque l’unità proporzionaledi un rapporto canonico, sia nel nostro Tempio,sia nell’architettura dorica in generale, cioè 1:2 ¼= 4:9. Tutte le dimensioni sono generate moltipli-cando o dividendo tra loro questi numeri, i loromultipli o i sottomultipli. Alla luce di queste con-siderazioni è probabile che i muri del naos eranoallineati alle seconde colonne della fronte e allametà del secondo interasse del laterale, come a

Siracusa. La larghezza della cella doveva, quasisicuramente, essere pari a m 12 circa (12=3x4,piedi 40) e la lunghezza tre volte più grande, ossiam 36 (36=4x9), piedi 120. Il fregio è ricostruitocome fregio di triglifi e metope caratteristico del-l’ordine dorico; i triglifi sono disposti, secondo loschema caratteristico, in corrispondenza del centrodelle colonne e degli intercolunni, mentre per risol-vere il conflitto dell’angolo dorico, viene contrat-to l’interasse angolare e in misura minore quellosuccessivo, per rendere il restringimento meno evi-dente. Anche se non sono emersi frammenti dimetope e triglifi attribuibili al nostro Tempio, èprobabile che la loro forma corrispondesse al gustodell’epoca, che si ricava attraverso il confrontotipologico con i templi dello stesso periodo.

Le dimensioni invece sono desunte dallo stu-dio dimensionale che scaturisce dalle proporzio-ni; è provato infatti che l’architetto progettista,specialmente nel periodo classico, seguiva unalogica basata sulla convinzione che l’applicazio-ne di semplici rapporti numerici nel dimensiona-mento degli elementi architettonici potesse assi-curare armonia e stabilità all’intera costruzione.L’altezza del fregio, misurata dalla trabeazione altriglifo, doveva essere determinata, come 1/3 del-l’altezza delle colonne, cioè m 2,71 o piedi 9; l’al-tezza misurata dalla base della colonna sino al fre-gio è pari a tre volte l’interasse ideale, m 10,86 cir-ca o piedi 36; mentre l’altezza totale del Tempio,misurata sempre dalla base della colonna sino alKàlypter hègemon (coppo maestro), risulta esse-re di m 14,48, circa piedi 48, cioè quattro voltel’interasse ideale. Dei rivestimenti architettonicisono venuti alla luce diversi frammenti pertinen-ti alla cornice della fronte ed a una tegola in mar-mo cicladico. Tale cornice era dipinta con unmeandro delimitato da una striscia di colore azzur-ro, e all’interno del cavetto da elementi fitomorficon volute dai colori rosso, giallo e bianco.

L’ipotesi di configurazione sui nàiskoi (sacel-li o piccoli edifici), che completavano il complessosacro dedicato alla dea Athena, dato il cattivo sta-

con 6 x 10 colonne ed atrio di 2 x 6 colonne. Ladifferenza di proporzioni, rispetto agli altri tem-pli arcaici, è riconducibile alla difficoltà di repe-rire facilmente pietra e materiale da costruzione,per cui le dimensioni sono state ridotte. La peri-stasi risulta composta dalla ripetizione di quadratidi circa 19 piedi dorici (un piede, equivale a cir-ca cm30), e complessivamente di 46 x 100 piedi.

Date le dimensioni ridotte del Tempio èimprobabile l’esistenza dell’adyton, per cui lacella con pronàos sarebbe larga 28 e lunga 68piedi. il modulo di base nella progettazione delnostro Tempio è il diametro della colonna; talediametro si può rilevare dal frammento di roc-chio pervenutoci e si aggira intorno ai cm 122all’imoscapo. L’interasse calcolato è, nei lati cor-ti, di cm 291,2 circa per quello centrale, di cm270 circa per quello angolare. Nei lati lunghi gliinterassi variano ulteriormente: cm 282,7 e cm256,2 circa per le angolari. Si ottiene una distri-buzione delle colonne molto varia, tipica delperiodo arcaico (come a Siracusa e a Selinunte).Le linee che idealmente attraversano le colonne,cioè gli interassi generano una tessitura, una gri-glia che costituisce lo schema di base nella com-posizione architettonica del Tempio. L’altezzadella colonna si ottiene riportandone il diametroin alzato, ed è pari a cm 560 (4,5 diametri), com-presi abaco ed echino; tale misura determina lacomposizione degli elementi in alzato.Dall’osservazione del rocchio si deduce nonchéche le colonne sono rastremate verso l’alto e pre-sentano venti scanalature. Per la configurazionedel tetto, risultano utilissime le terrecotte archi-tettoniche che decoravano il timpano. Dal fram-mento di un angolo di esse si evince un’inclina-zione di 18° degli spioventi. Dalle caratteristichedei resti di numerosissime tegole e di coppi, inol-tre, è possibile affermare con una certa sicurezza,che il tetto era coperto con tegole piane e concoppi semicircolari, raccordati alla sommità daKàlypteres hègemones5 (coppi maestri) ricca-mente dipinti.

Planimetria generale dell’acropoli con le ipotesi di riconfigurazione.

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Prospetto est del Tempio B (sec. VI a. C.).

Dettaglio del fregio del Tempio B (sec. VI a. C.). Pianta e prospetto del Tempio B (sec. VI a. C.).

Prospetto est del Tempio C (sec. V. a. C.).

Grondaia a protome leonina del Tempio C (sec. V a. C.). Pianta e prospetto del Tempio C (sec. V a. C.).

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doppio spiovente è dimostrata dalla serie di ante-fisse gorgoniche policrome raccolte lungo i latisud e nord. Le dimensioni dell’insieme scaturi-scono da un modulo elementare di forma rettan-golare di m 2,9 x 3,88. L’edificio VII, a pianta ret-tangolare che misura piedi 34 x 50, presenta unelevato in mattoni crudi. I resti di un muro tra-sversale all’interno farebbe pensare alla biparti-zione di un sacello, con cella e profondo àdyton.È pensabile comunque l’ipotesi di un sacello conun recinto sul davanti, avvalorata dall’intuizione

dello scavatore, che attribuisce i resti dell’edificioalle fondazioni di un Tèmenos o di una Lesche 9.L’edificio VIII risulta interessato da diversi rifa-cimenti successivi. La pianta originaria è a mèga-ron stretto ed allungato di piedi 19 x 50 con àdy-ton, e presenta una fila centrale di pilastri, di cuirimangono tre basi allineate di forma quadrango-lare. La tecnica costruttiva era in conci di arena-ria isodomici; le dimensioni derivano da un modu-lo quadrato con il lato di m 2,710.

Attraverso le ricostruzioni è possibile tra-smettere, per quanto possibile, un’immagine uni-taria dell’Acropoli di Gela, restituendone partedella bellezza e della monumentalità. Da qui lanecessità e l’urgenza di un progetto per la frui-zione che, partendo dall’archeologia e dall’archi-tettura, sfrutti la tecnologia informatica avanzatadella Virtual e Augmented reality, adattandola allospecifico caso, per favorire l’interesse nei riguar-di del sito archeologico e per attirare nuovi flussituristici.

NOTE

1) L’Orsi, partendo da un diametro all’imoscapo logo-ro di m 1,55, calcola un rapporto dimensionale pari a m1,70 X 7,75; secondo il Koldewey ed il Puchstein inve-ce l’altezza calcolata è pari a 7,67. P. ORSI, Gela. Scavidel 1900-1905, in “Monumenti Antichi dell’Accademiadei Lincei”, 1906.2) Cfr. J. A. BARCELO, M. FORTE, D. A. SANDERS,Virtual Reality in Archeology, ArcheoPress, Oxford,2000.3) Per lo studio dello sviluppo modulare dei Templi,confronta A. SPOSITO et Al., L’elogio della tecnologia,Palermo 1992, pp. 212-2154) Dell’argomento si è già discusso in R. CARUSO,L’athenaion arcaico sull’acropoli di Gela: ricercaarcheologica ed ipotesi di riconfigurazione, in“Agathon” n. 1 2004 pp.30-31. Cfr. R. CARUSO, V.CASSARINO, Il Tempio B dell’acropoli di Gela, morfo-logia, ipotesi di configurazione, tecnologia ed appa-rati decorativi, Tesi di Laurea discussa alla Facoltà diArchitettura dell’Università degli Studi di Palermo,relatore Prof. Arch. Alberto Sposito, correlatore dott.saRosalba Panvini. Cfr. Anche A. SPOSITO, R. CARUSO,Virtual and augmented reality for archaeology: theacropolis of Gela, in G. DE PAOLI ET AL., DigitalThinking in Architecture, Civil Engineering,Archaeology, Urban Planing and Design: Finding theways, Europia productions, Paris 2007. ISBN978-2-909285-4135) Cfr. R. PANVINI, Gelas. Storia e archeologia del-l’antica Gela, s. ed., Milano 1996.6) Cfr. H. BERVE, G. GRUBEN, I Templi Greci, Sansoni,Firenze 1962.7) Cfr. P. MARCONI, Himera:lo scavo del tempio dellaVittoria e del Temenos, Società Magna Grecia, Roma1931.8) Cfr. D. ADAMESTEANU, P. ORLANDINI, L’acropoli diGela, in “Notizie degli Scavi di Antichità”, LXXXVII(1962), pp. 340-408.9) Cfr. G. FIORENTINI, Sacelli sull’acropoli di Gela e aMonte Adranone nella Valle del Belice, in Il tempiogreco in Sicilia. Atti della I riunione scientifica dellascuola di perfezionamento in Archeologia Classica,“Cronache di Archeologia”, XVI, 1977, Catania 1985,pp. 105-114.10) Cfr. G. FIORENTINI, Gela, la città antica e il suoterritorio. Il Museo, Palermo 1985.

* Rocco Caruso, architetto, è Dottore di Ricerca inRecupero e Fruizione dei Contesti Antichi e amministratoreunico della società HT Heritage Technology srl., che ope-ra nel settore della valorizzazione dei beni culturali.

to di conservazione e per la difficoltà di reperireconfronti tipologici adeguati, è puramente indi-cativa e sottolinea la volumetria, oltre alla spa-zialità complessiva dell’Acropoli. L’edificio VI èa pianta rettangolare, che misura piedi 25 x 53con àdyton profondo circa piedi 10; si conserva ingran parte a livello di calpestio, e la muratura pre-senta una tecnica con pietrelle calcaree di tagliopressoché quadrangolare nella cortina esterna,mentre la cortina interna è in pietrame grossolano.L’ingresso è da collocare ad est e la copertura a

L’edificio VII con ipotesi di configurazione (ril. da Fiorentini G., 1985).

L’edificio VIII con ipotesi di configurazione (ril. da Fiorentini G., 1985).

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ABSTRACT – The permanent exhibition in theArchaeological Museum, which focuses on the historyof the Delphic temenos and the events related to thefamous oracle and omphalós, is analyzed through thecomplex and delicate relationship which the contem-porary museum building has established with its con-text, as the archaeological site of Delphi can be read asan open-air museum, which was able to accumulateand settle inside its perimeter, in a variety of declina-tions, the architecture and the art of ancient Hellas.

Il classicista statunitense Paul MacKendrick, autore di un affascinante saggio

sulla storia dell’archeologia greca, traccia unabreve descrizione delle emergenze archeologichepresenti nel sito di Delphi, mettendo in strettarelazione il loro reperimento con la narrazionefatta da Pausania nella Periegesi della Grecia1:«Before the work began, or the village wasmoved, ancient landmarks – the dip in the groundthat marked the stadium, the Castalian spring, theretaining wall of the Gymnasium, the lower sanc-tuary, long used as a stone quarry-could be rec-ognized, with the aid of the ancient Baedeker,Pausanias, whose meticulous guidebook [...] witha contagious affections for religion, history, andart, is often the Greek archaeologist’s bestfriend2».

Delphi, secondo il racconto mitologico, erareputata sede dell’ỏμφαλός γης3, l’ombelico del-la terra, e quindi, in base alla concezione geo-centrica dell’epoca, il centro del mondo intero,dato che proprio qui, ai piedi del Parnaso, si sareb-bero incontrate le due aquile sacre, liberate con-temporaneamente da Zeus dall’estremo Orientee dall’estremo Occidente, per stabilire la posi-zione esatta del centro del pianeta, indicando in talmodo l’importanza del luogo e presagendo così lafama che avrebbe raggiunto in età classica4.

Il sito, malgrado fosse considerato il centrocosmico del più antico éthos religioso greco5, erastato totalmente dimenticato per ben otto secoli,dagli inizi del sec. VII d.C. sino alla prima metàdel sec. XV: tra l’altro, in epoca medievale unpiccolo villaggio, chiamato Kastrì, si era di fattoinsediato proprio sull’area del santuario delfico,con la sostituzione quasi completa delle sue archi-tetture ed utilizzando le antiche rovine come unavera e propria cava a cielo aperto, da cui trarre imateriali per le nuove costruzioni.

Non è certamente questa la sede più consonaper trattare della rilevanza storica ed archeologi-ca del sito di Delphi, per la quale si rimanda aitesti specifici e agli studi di settore6. Il santuarioè ricco di emergenze e monumenti, che oltre a

renderlo un luogo di straordinaria ed ineguaglia-bile bellezza paesaggistica e architettonica, lohanno connotato nel corso di oltre venticinquesecoli di storia come luogo eletto dello spirito edomphalós del mondo allora conosciuto. Benchéridotto allo stato di rovine7, funzionalmente, strut-turalmente e visivamente ben lontane dalla loroconnotazione originaria, il sito, infatti, probabil-mente è ancora capace di suscitare nell’animo delturista attento e dello studioso moderno coinvol-gimenti emotivi e spunti di profonda ed intimariflessione, specie se ha la chance di poterlo visi-tare quando non è invaso, e letteralmente assali-to, da orde assatanate di turisti “mordi e fuggi”provenienti da ogni angolo del pianeta8. È facileimmaginare che le emozioni del visitatore di ogginon siano troppo dissimili da quelle che prova-vano i pellegrini di età arcaica e classica che per-correvano la Via Sacra, come se i suoi significa-ti più reconditi, e quindi anche i messaggi chetrasmette, fossero congelati nel tempo e nello spa-zio, al di là dell’effettivo stato o condizione del-lo stesso contesto archeologico. In merito al sito,sempre Paul Mac Kendrick non esita a definirlocome one of archaeology’s most complicated sites.An incomplete description lists 235 buildings andmonuments, and the museum inventory (incom-plete), catalogues over 7,000 objects, some ofthem, like the bronze Charioteer, world famous.Inscriptions were so numerous that the excavationdirector sometimes found himself obliged to tran-scribe 100 a day9.

Ed ancora a proposito delle potenzialità inter-pretative, indissolubilmente legate alla straordi-naria eterogeneità -per estrazione culturale esoprattutto religiosa- dei suoi fruitori, che si sonoavvicendati nell’arco di alcune decine di secoli, ilpoeta greco Giorgos Seferis, Nobel per laLetteratura nel 1963, così si esprime: «Delphi hasbecome endless hotel a local told time. Like inthe years of Plutarch, I thought to myself. Thenagain the sanctuary had become a tourist placewith organized tour guides that showed the sightsto the crowds. The difference is that [...] peoplestill had common traditions [...] Today the com-mon faith is lost and people that come have eachtheir different personal myths10».

Atmosfera, quella odierna, completamentediversa anche da quella che si respirava poco piùdi una cinquantina di anni fa quando nel 1954l’architetto danese Erik Hansen, che dirigevaassieme a Gregers Algreen-Ussing un gruppo digiovani colleghi, impegnati nell’esecuzione deirilievi del santuario11, ricorda le condizioni di vita

DELPHI: DALL’OMPHALÓS COSMICOAL MUSEO ARCHEOLOGICO

Maria Désirée Vacirca*

L’omphalós delfico all’interno del Tempio di Apollo aDelphi, rappresentato nelle decorazioni vascolari didue crateri greci.

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quotidiana dell’epoca nell’area circostante ed iradicali cambiamenti, registrati durante gli annisuccessivi, nel campo della fruizione del sito edello sviluppo turistico-architettonico della citta-dina: «at that time there was no fencing around theSanctuary and the people did not pay any entrancefees. The ruins were part of every life. Quite oftena peasant, riding his donkey, was crossing theSacred Road. That was the briefest way to returnhome. On other occasion the young people of thevillage would go to the theater to sin [...]Sometimes, when I passed by during grape-har-vest, they would give me grapes [...] Peoplemoved with sickles on the slopes under the muse-um [...] In 1954 there were few tourists in Delphi,but the first indications of a new era startedbecoming apparent [...] In the coming years a tav-ern was turned into a hotel [...] and in a shortwhile this example was followed by others. Moreor less everywhere in Delphi people knockeddown houses, erected scaffolding and poured inconcrete12».

È palese che la perimetrazione del sito e lasua conseguente regolamentazione in campo legi-slativo abbia comportato in qualche modo l’ab-bandono definitivo di quella fase di fruizione delcontesto archeologico che il visitatore nel recen-te passato poteva avvertire ad un livello quasispontaneo, fase che l’architetto greco ArgyroLuokaki ha giustamente definito come era ofinnocence13. Sito eccezionale, tanto, e forse anchetroppo, celebrato e decantato da scrittori e viag-

giatori delle varie epoche, a tal punto da far direa Brandi che tante volte si è sentito descriverequesto sito illustre, e proprio per la sua eccezio-nale impressività, che vien voglia di presentarlotutto in altro modo14»

A noi qui interessa, più di ogni altra cosa, pre-sentarlo sotto l’aspetto museale15, nel tentativo diverificare se, e in che modo, si sia stabilito il deli-cato rapporto tra il sito archeologico e l’odiernoedificio, che ospita le collezioni museali, non tra-lasciando di considerare che, in realtà, proprioper le prerogative a cui si è già accennato, si è inpresenza di un tutt’uno che forma un vero e pro-prio open-air museum, capace di inglobare, inuna grande varietà di declinazioni, l’architetturae l’arte dell’antica Ellade.

Al fine di riscontrare la validità di tale rap-porto, analizziamo le complesse ed alquanto arti-colate vicende architettonico-museografiche lega-te alla genesi e all’evoluzione dell’organismoarchitettonico che ospita le collezioni museali delsantuario delfico. Il primo edificio museale, suprogetto dell’architetto francese AlbertTournaire16, realizzato, in parte con fondi statali ein parte con donazioni private17, per ospitare granparte dei materiali scavati nell’arco di appena undecennio, è stato inaugurato il 20 aprile del 1903ed ha di fatto sancito la fine del Grande Scavo18.Il suo inserimento nel paesaggio archeologico,per quanto l’edificio fosse di dimensioni alquan-to modeste, come emerge dalle rarissime foto-grafie d’epoca, ha segnato, com’è ovvio, una fase

di non ritorno, e ciò a vari livelli di impatto: frui-tivo, economico, turistico, ambientale ed estetico-percettivo: «these terraces, where the ancientwalls met in harmony the surrounding landscapeand the rocks of Parnassus, have become a muse-um, with the timetable and entrance fee. Thismeasure has economic impacts, but also bearswitness to a new mentality: the ruins are no morea natural product of the Greek soil, but a guardedadministrative space, that is also equipped withpublic conveniences19».

Dopo poco più di una trentina d’anni l’edifi-cio originale, formato da due ali, e non più suffi-ciente a garantire la conservazione dei copiosimateriali provenienti dagli scavi effettuati dal-l’École Française d’Athènes, è stato oggetto diun primo ampliamento, che ha di fatto inglobatol’antecedente struttura, con un progetto museo-logico curato, analogamente al precedente, da unteam composto da archeologi greci e francesi. Unsecondo ampliamento è stato affidato nel 1958 alcelebre architetto greco Pátroklos Karantinós, cheha impresso una connotazione modernista all’e-dificio, curando in particolar modo anche l’a-spetto illuminotecnico dell’esposizione, aspettoche può essere considerato una delle sue cifre sti-listiche più pregnanti nel campo della progetta-zione museale20. A distanza di circa trent’anni unulteriore e più organico ampliamento, curato dal-lo studio Alexandros N. Tombazis & AssociatesArchitects Ltd.21, progettato in fasi dal 1985 al2001 e realizzato anch’esso in fasi (la prima dal

Il sito archeologico di Delphi: foto aerea e planimetriacon l’indicazione del Museo Archeologico in grigio.

Copia dell’omphalós en plein air.

Prospetto trasversale e longitudinale del nuovo edificio museale.

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1996 al 2000 e la seconda dal 2003 al 2004), èbasato sulla giustapposizione di un nuovo corpoin aderenza a quello già esistente, che ospita alpiano terra la zona dedicata all’amministrazioneed al primo livello la hall di ingresso; nella partemeridionale è stato aggiunto un altro corpo perospitare l’Auriga bronzeo, il “pezzo forte” dellecollezioni; mentre sul versante settentrionale unanuova ala è destinata a depositi, laboratori e ser-vizi per il pubblico, quali gift-shop, book-shop,caffetteria, zone di ristoro indoor e outdoor. Lostesso progetto ha inoltre curato la sistemazionepaesaggistica dell’area circostante il museo, unasorta di antiquarium a cielo aperto, con repertilapidei e musivi, che ha la funzione di collegareil versante orientale del museo alle rovine deltémenos. Le intenzioni dei museologi traspaionodalle dichiarazioni rilasciate alla stampa ateniese,in occasione dell’inaugurazione dello spaziomuseale, dall’archeologo greco Fotis Dassios:«we provide the visitors a better image of the his-tory of delphic temple [...] we are trying to add alighter note not to have only sculptures on dis-play, but also bronze, clay and other items22».

Particolare attenzione è stata dedicata alla dif-ficile problematica inerente i collegamenti fun-zionali tra sito archeologico ed edificio museale:e pertanto, al fine di ottimizzare detti collega-menti, è stata realizzata un complesso sistema dirampe, che consente il facile accesso di un gran-de numero di visitatori ed inoltre garantisce l’in-gresso anche ai visitatori portatori di handicap.

Analogo grado di attenzione è stato posto ad unaserie di tematiche relative all’impatto ambienta-le, all’efficienza e al risparmio energetico, al ther-mal and visual comfort degli spazi espositivi, allestrategie relative all’illuminazione naturale dellahall di ingresso, affidata soprattutto ad una teoriadi finestre verticali che creano dei coni ottici.Quest’ultimi, affacciandosi sulla ridente vallataantistante, inquadrano le rovine archeologiche delGinnasio e del Santuario di Athena Pronaia. Edinfine in occasione e con i fondi destinati aiGiochi Olimpici del 2004, tenutisi nella capitale,è stato progettato dallo stesso studio Tombazis,relativamente alla parte architettonica, il com-pleto riallestimento degli spazi espositivi, che sisviluppano su una superficie di circa mq 1.15023.Si tratta, a ben guardare, di un organismo archi-tettonico di tipo “introflesso”, con due sole ecce-zioni: la zona della hall di ingresso, la quale, attra-verso l’inserimento del nuovo prospetto, traguar-da, come già accennato, la vallata sottostante equindi dialoga, anche se da una certa distanza,con le emergenze archeologiche presenti in quel-la zona del sito, quali, il Ginnasio ed il Santuariodi Athena Pronaia, nonché l’ambito delle terraz-ze esterne e delle zone di ristoro, le quali anch’es-se si affacciano sulle suddette rovine. In merito alrapporto sito-museo, va puntualizzato che l’at-tuale edificio sorge in uno dei terrazzamenti infe-riori del santuario e che l’altezza complessiva ècompresa tra le quote di due terrazzamenti suc-cessivi: per conseguenza, esso resta defilato e sot-

tomesso ed il suo skyline non risulta particolar-mente incombente o sgradevole, né nelle perce-zioni visive dal basso verso l’alto, né in quelle disenso contrario, come emerge anche dalle imma-gini fotografiche che inquadrano il complessomuseale dai vari viewpoints del santuario.

Ritornando adesso alla percezione ed allacomprensione del sito archeologico, dal nostropunto di vista va puntualizzato che il sistema diaccrescimento del santuario24, consolidatosi neltempo e relativo all’impianto architettonico-scul-toreo-decorativo, basato sull’accumulazione e sul-la stratificazione di una gran quantità di monu-menti ed oggetti di natura votiva all’interno delperimetro, ed in particolar modo lungo il traccia-to tortuoso della Via Sacra, è una delle peculiaritàpiù caratterizzanti che, nel corso della storia, hasuscitato maggiore interesse, concetto così espres-so da Moses I. Finley: «la Via Sacra che serpeg-giava su per il colle fino al tempio di Apollo eraaffiancata da oggetti e costruzioni dedicatorie,che si accumulavano un secolo dopo l’altro, men-tre alcuni di quelli vecchi andavano in rovina edaltri erano demoliti25». In merito a tale processo diaccumulazione Gottfried Gruben dipinge un’im-magine alquanto suggestiva: «qui anatemi e teso-ri si pigiano quasi come bestie assetate intornoall’abbeveratoio26».

Processo di accumulo sintetizzato anche daOlivier Picard nella prefazione di un testo basilareper la conoscenza e la comprensione delle colle-zioni custodite all’interno del museo delfico: «la

L’omphalós nelle sale museali: una copia di età ellenistica.

Schemi progettuali per la Sala dell’Auriga relativi agli aspetti illuminotenici, cinetici ed espositivi.

Planimetria generale dei due livelli con indicazionedelle funzioni e delle caratteristiche bioclimatiche.

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piété des pèlerins de Delphes, la reconnaissancede ceux qu’Apollon exauça avaient rempli lesanctuaire d’offrandes de toutes sortes, depuis lesplus simples figurines de terre cuite jusqu’auxsomptueuses statues d’or et d’ivoire, déposéesdans le temple ou dans les chapelles votives quesont le Trésors, à moins que ne fût dressée enplein air une statue de dieu ou d’une être mythiquecomme le sphinx dédié par les Naxiens, ou unestatue de prince, d’empereur, voire d’une simplemortel27».

In effetti, al di là delle motivazioni ed impli-cazioni di natura religiosa, politica, urbanistica,geografica o mitico-storica, per le quali riman-diamo alla vasta letteratura specialistica, quelloche in questa sede più ci interessa è sottolineareche nell’architettura templare è proprio attraver-so l’incessante depositarsi di memorie storiche eartistiche, che maturano tutti i concetti (conser-vazione, tutela, fruizione visiva corretta, conte-stualizzazione, senso del meraviglioso e della sor-presa, esemplarità, documentazione e datazione,attribuzione, didattica politica e religiosa, autoe-saltazione, ecc.), che fanno parte del complessoplafond psicologico della genesi museale28».

Per esempio, a Delphi, a puro titolo esempli-ficativo, citiamo solo il caso delle centinaia diiscrizioni incise sui blocchi lapidei del muro poli-gonale, che può essere considerato una sorta diopen-air archive, in grado di documentare inmodo incontrovertibile gli eventi più significati-vi che hanno accompagnato le varie fasi storichedel sito. La lettura e la decifrazione di tali iscri-zioni ha impegnato, come se fosse una specie dirompicapo, numerosi studiosi europei, sin dal-l’epoca della sua riscoperta29.

Malgrado la rilevanza di tale meccanismo diaccumulo e sedimentazione, l’allestimento museo-grafico è, in merito, poco esplicito: ne fa solo undebole cenno alla fine del percorso espositivo,consistente nella maquette del sito e in una copiadell’ipotesi ricostruttiva del santuario di Apollo,circostanza questa che evidentemente pregiudi-ca in modo sostanziale quella sorta di letturaincrociata, basata su continui rimandi visivi epertinenti richiami concettuali tra il contesto

archeologico ed il suo relativo museo, soprattut-to se quest’ultimo è ubicato a margine del primo.Manca, dunque, quel tipo di decodifica chedovrebbe accompagnare il moderno visitatore ecosì fornirgli gli strumenti per farlo traghettare,concettualmente prima ancora che visivamente,verso la dimensione spaziale e temporale del con-testo storico-archeologico di appartenenza delsito.

Come comprendere, ad esempio, un fattosostanziale per l’essenza del santuario delfico, ecioè che le numerosissime offerte, siano essecapolavori realizzati da famosi artisti od opere dimodesti artigiani, dovevano innanzitutto testi-moniare agli antichi greci, che si recavano aDelphi per assistere ai celebri giochi pitici30 o perconsultare l’oracolo, che la loro bellezza ed opu-lenza era stata concepita per essere degna deibenefici ricevuti ed inoltre che le offerte inten-devano rendere omaggio e gloria sia alla divinitàa cui erano dedicate sia al suo donatore31? E chemalgrado tantissime offerte siano state distrutte,saccheggiate o siano sparite, nel corso dei secoli,quel che è stato portato alla luce attraverso gliscavi basta a far definire il suo museo archeolo-gico come un conservatoire exceptionnel de l’artgrec32? A tal riguardo Paul Mac Kendrick sostieneche the treasures of the Delphi Museum do notrepresent a hundredth part of the sanctuary’sancient wealth: barbarians and emperors, vil-lagers and connoisseurs have seen to that33. Econ preciso riferimento all’epoca del nostroPeriegeta con una punta rammarico lo stessoarcheologo precisa che we do not possess a singleobjet d’art of the many praised by Pausanias,with the exception of a bronze snake base of agolden tripod in Istanbul, asserendo, quasi conuna sorta di velata nostalgia, che what we have isbut the small change from a great fortune, thepale reflection of a radiance that once illuminedthe whole ancient world34.

L’exhibition relativa all’esposizione perma-nente del Museo focalizza l’attenzione sulla sto-ria del témenos delfico e sulle vicende legate all’o-racolo, in un arco temporale che va dall’età prei-storica al tardo antico. Gli exhibits museali sono

allestiti secondo un criterio museologico di tipocronologico-tematico, riferito ai micro-contestiarcheologici, presenti nell’ambito dello stessosito: come, ad esempio, dal Tesoro degli Ateniesial Tesoro dei Sifni, dal Tempio di Apollo alSantuario di Athena Pronaia, dai doni votivi del-la Via Sacra all’Auriga bronzeo, e pertanto tuttimateriali provenienti dalle campagne di scavocondotte in loco nell’arco di oltre un secolo edattualmente ancora in atto35. L’allestimentomuseografico è strutturato seguendo l’idea di unpercorso continuo, che comprende tutte le quat-tordici sale espositive, a partire dalla hall diingresso, attraverso una sequenza di tipo circo-lare, e il cui culmine finale è costituito dalla Saladell’Auriga, vera e propria star dell’esposizione.Tale percorso museografico è organizzato tenen-do conto di alcuni elementi e fattori di un certopeso in campo museografico, quali assi visivi,aree di movimento e di sosta, nonché relazionicontestuali e visuali nell’ambito dei reperti espo-sti, laddove ogni sala museale è organizzata attor-no ad un specifico focus; ma purtroppo mancanorimandi concettuali e visivi tra gli stessi reperti ele rovine archeologiche dello stesso sito. In occa-sione dell’ultima re-exhibition del Museo del2004, inaugurata una settimana prima dell’iniziodei Giochi Olimpici di Atene, sono stato rialle-stiti i displays delle tre statue crisoelefantine suprogetto delle archeologhe Rozina Kolonia36 edElena C. Partida37. Tra tutti gli exhibits musealidel Museo vale la pena di soffermarsi con mag-giore attenzione su questi più recentemente alle-stiti, dal momento che proprio in essi i loro auto-ri hanno saputo interpretare gli standards museo-grafici moderni, attraverso l’uso corretto del con-cetto di contestualizzazione. Tutti i reperti appar-tenenti alla tre statue sono state trovati nel 1939dall’archeologo francese Pierre Amandry in unadelle tante “fosse sacre”, ubicate lungo la ViaSacra, ad appena cm 20 di profondità sotto la suapavimentazione. Secondo una pratica in uso nel-l’antichità quando gli oggetti votivi si accumula-vano oltremisura, e quindi non potevano più esse-re esposti per mancanza di spazio all’interno degliedifici templari, oppure se nel corso del tempo si

Il complesso museale inquadrato da due diversi view-points del sito archeologico.

Il teatro con le rovine del Ginnasio sullo sfondo.

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erano degradati, dato che in entrambi i casi, invirtù della loro sacralità ne era assolutamente vie-tate la loro vendita o riutilizzazione, si procedevaal loro rinterro nei pressi dei templi in fosse sacreall’uopo scavate38. Dopo alcuni anni di lavori direstauro, indispensabili in relazione al loro statodi degrado, dovuto ad un incendio che aveva dan-neggiato o distrutto molti degli ex-voto, nel 1978questi artefacts in oro, avorio, argento e ramesono stati finalmente presentati al pubblico perla prima volta. Secondo gli studiosi molto pro-babilmente le tre statue appartenevano ad un uni-co gruppo scultoreo, che rappresentava la tre divi-nità di Apollo, Artemide e Leto, e presumibil-mente è anche questo uno dei motivi per cui sonostati allestiti tutte e tre nel medesimo showcase. Èevidente che si tratta di un tipo di contestualizza-zione che intende fare un’ipotesi di tipo riconfi-gurativo, presentando i reperti delle statue, omeglio di ciò che resta di esse, come le teste edalcune delle parti del corpo lasciate scoperte, qua-li braccia, mani e piedi, tutte scolpite in avorio, ecercando di mettere tali reperti in relazione visi-va e posizionale con alcuni frammenti di abbi-gliamento, di acconciature e di gioielli sbalzatisu lamine d’oro ed d’argento.

Come già accennato, con l’ampliamento del1985-2000 è stata realizzata, nell’estremità meri-dionale dell’edificio museale, l’aggregazione diuna nuova sala, la XIII, specificatamente dedica-ta all’esposizione dell’Auriga. Dai disegni di pro-getto dello studio Tombazis39 emerge chiaramen-te quali siano stati i principi che ne hanno guida-to la progettazione: in primis il posizionamentodell’Auriga bronzeo in rapporto allo spazio qua-drato della sala, scandito da un lucernaio, anch’es-so quadrato, ubicato perfettamente in asse con ilreperto, ma ruotato nei confronti dell’altro qua-drato che delimita, tramite un dissuasore metalli-co, l’area di rispetto della scultura, che a sua vol-ta risulta ruotata in rapporto allo spazio della sala.L’Auriga si relaziona alla sala precedente trami-te una ben precisa direzione, studiata in modo daincanalare la visione percettiva dei visitatori, chedevono superare una piccola rampa di scale,orientata secondo una determinata line of vision,

in modo da raggiungere la quota della sala, leg-germente rialzata rispetto al resto dell’edificio.L’illuminazione della sala, principalmente affi-data alla luce naturale che proviene dal lucernaio,è integrata da piccoli spot luminosi che disegna-no un quadrato concentrico, ma più grande dellostesso lucernaio, e dalla luce artificiale che illu-mina il display ricostruttivo del Charioteer, la cuiriconfigurazione è basata sugli elementi bronzeisuperstiti del carro40.

Da queste brevi note traspare, in modo abba-stanza evidente, quella che può senz’altro essereconsiderata l’essenza caratterizzante del témenosdelfico, e che lo ha reso il più splendido degli iti-nerari museali dell’antichità41, attraverso un pro-cesso di stratificazione, che, per circa nove seco-li, ha concentrato all’interno del recinto sacro lememorie più pregnanti e significative relative almito e alla storia dell’Ellade42. Itinerario che, senon altro dal punto di vista letterario, è giuntointatto sino a noi grazie alle descrizioni conse-gnateci da Pausania nella già citata Periegesi eda Plutarco nel De Pythiae oraculis43. Come emer-ge chiaramente da quest’ultima opera, il santua-rio era frequentato non solo da pellegrini e devo-ti, che vi si recavano per chiedere i vaticini del-l’oracolo, ma pure da numerosi turisti, attratti daicapolavori disseminati al suo interno. Circostanza,questa, attestata anche dalla presenza di guideturistiche, che a più riprese interrompono le dis-sertazioni contenute nel dialogo filosofico, perproporre una sorta di tour di Delphi ed illustrarele emergenze architettoniche con notizie sullememorie storiche e mitologiche, testimoniandocosì una frequentazione massiccia del sito da par-te di visitatori greci e barbari, perlomeno sinoall’epoca del sacerdozio plutarcheo44. Se ci rife-riamo a quanto sostiene, a ragione, il noto greci-sta Dario Del Corno, che protagonista del dialo-go è soprattutto Delfi: le sue storie, i suoi monu-menti45. Storie e monumenti che dovrebbero ancheessere i veri protagonisti del racconto museale,narrato ed esibito nell’ambito delle sale espositi-ve, ma di cui è possibile rintracciare solo a tratti,e parzialmente, il fil rouge, laddove i più recentiallestimenti hanno saputo contestualizzare i reper-

ti; mentre, per quanto concerne le più datate espo-sizioni, esse risultano talvolta poco esplicite nel-la trasmissione dei messaggi e ciò probabilmen-te anche a causa della consistente quantità dimateriali messi a disposizione del visitatore.

NOTE

1) L’opera, conosciuta come Περιήγησις της Έλλάδος,è stata designata dalla filologia latina con la denomi-nazione di Graeciae descriptio, ma i numerosissimistudi non sono riusciti ad accertare se questo sia ineffetti il titolo originario. Pur non essendo l’unica gui-da sulla Grecia antica, l’opera è divenuta fondamen-tale, sia perché tutte le altre del genere odeporico sonoandate disperse, ma soprattutto, per il fatto che essa,essendo giunta a noi presumibilmente nella suaintegrità, ha accompagnato i viaggiatori sette-ottocen-teschi che compivano il formativo Grand Tour per rin-tracciare le rovine delle città dell’antica Ellade.2) P. MAC KENDRICK, The Greek stones speak. TheStory of the Archaeology in Greek Lands, Norton &Company, New York 1981, pp.183-184.3) Ci riferiamo alla suggestiva immagine descritta daPlatone: «per le più belle e le prime tra le leggi rimet-tiamoci all’Apollo di Delphi [...] perché questo dio è ilpatrio interprete di tali questioni per tutti gli uomini e leinterpreta stando sopra l’omphalós, nel centro della ter-ra», PLATONE, Stato, 427 b-c.4) A proposito del significato del santuario rimandiamoa quanto asserisce Edward Wright: «nel grande san-tuario centrale, racchiuso da un colonnato accanto ad unfuoco tenuto sempre acceso, era custodito un grandeblocco di marmo di forma conica. Esso era legatoall’antico culto del serpente, ma si riteneva indicasse ilcentro del mondo, per questo veniva chiamatoomphalós», cit. in R. e E. ETIENNE, La Grecia antica,archeologia di una scoperta, Electa-Gallimard, Trieste1994, pp. 148. 5) C. BRANDI, Viaggio nella Grecia antica, EditoriRiuniti, Roma 2001, p. 76.6) Tra le centinaia di saggi monografici sul sito diDelphi, va senz’altro menzionata la fondamentale col-lezione di studi pubblicata per celebrare il centesimoanniversario degli scavi effettuati dai francesi, cfr.,ÉCOLE FRANÇAISE D’ATHÈNES (curs.), La redécouvertede Delphes, De Boccard, Paris 1992; ed inoltre P.AMANDRY, F. CHAMOUX, Guides de Delphes. Le Musée,

Tre sale espositive con l’Auriga, Antinoo e la Sfinge dei Nassi.

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Coll. Sites et Monuments VI, École Françaised’Athènes, Paris 1991; J. F. BOMMELAER, Guides deDelphes. Le Site, Coll. Sites et Monuments VII, ÉcoleFrançaise d’Athènes, Paris 1991; G. ROUX, Delphes,son oracle et ses dieux, Les Belles Lettres, Paris 1976.7) Anche se alcune emergenze archeologiche sono sta-te oggetto di recenti restauri, come, per esempio, ilTesoro degli Ateniesi. 8) Secondo recenti stime ogni anno circa mezzo milio-ne di visitatori, provenienti da ogni parte del mondo,visita il museo con più di 2.500 biglietti staccati nellegiornate di maggiore flusso, situandosi al quarto postotra tutti i musei greci. 9) P. MAC KENDRICK, The Greek stones speak. TheStory of the Archaeology in Greek Lands, cit., p.183.10) G. SEFERIS, Probations, Vol. 2, Ikaros, Athens 1981,p.145. 11) G. ALGREEN-USSING, A. BRAMSNAES, Sanctuaired’Apollon, De Boccard, Paris 1975.12) Cfr. EPHORATE OF ANTIQUITIES OF DELPHI AND

ÉCOLE FRANÇAISE D’ATHÈNES, Delphi: in Search of theLost Sanctuary, Giannikos and Kaldis, Athens 1992,p. 253, cit. in A. LOUKAKI, Living ruins, value conflicts,Ashgate, Gover House 2008, p.122.13) A. LOUKAKI, Living ruins, value conflicts, cit.,p.122.14) C. BRANDI, Viaggio nella Grecia antica, cit., p.71. 15) Già parzialmente trattato in M. D. VACIRCA, «I gre-ci non sono come gli altri: ipotesi di lettura museogra-fica», in A. SPOSITO (cur.), Agathón 2008/2, DPCE,Palermo 2008, pp. 61-64.16) Cfr. A. LAPRADE, Notice sur la vie et les travaux deAlbert Tournaire (1862-1958), Firmin-Didot, Paris1958, Albert Tournaire (Nizza 1862- Parigi 1958) vin-citore del Grand Prix de Rome nel 1888, presente aDelphi durante la stagione del cosiddetto Grande Scavo(1892-1901), ha eseguito sui luoghi numerosi rilievi ericostruzioni grafiche del Santuario di Apollo di gran-de qualità esecutiva.17) Grazie alla donazione del banchiere e filantropogreco Andréas Syngrós, cfr. D. MULLIEZ, Delphi. Theexcavation of the great oracular centre, p. 153, in P.VALAVANOS (ed.), Great moments in Greek Archaeology,Kapon Editions, Athens 2007. 18) Il primo riferimento relativo alla necessità di rea-lizzare in loco un museo archeologico è documentatonel giornale del Grande Scavo del 28 maggio 1894,cfr. D. MULLIEZ, Delphi. The excavation of the greatoracular centre, p. 153, in P. VALAVANOS (ed.), Great

moments in Greek Archaeology, cit. 19) Cfr. EPHORATE OF ANTIQUITIES OF DELPHI AND

ÉCOLE FRANÇAISE D’ATHÈNES, Delphi: in Search of theLost Sanctuary, cit., p. 253, in A. LOUKAKI, Living ruins,value conflicts, cit., pp.122-123.20) Pátroklos Karantinós (Costantinopoli 1903 - Atene1976) è particolarmente conosciuto per la concezionemodernista impressa in diversi musei da lui progettatiin territorio ellenico, tra quali ricordiamo: il MuseoArcheologico di Olimpia, il Museo Archeologico diSalonicco, gli ampliamenti del Museo NazionaleArcheologico di Atene e del Museo dell’Acropoli diAtene ed infine il Museo Archeologico di Herakleion aCreta. 21) Cfr. A. N. TOMBAZIS (ed.), Museums.Archaeological Museum of Delphi, EuropeanCommission Directorate- General Energy andTransport, Athens 2004; lo stesso studio ha curato ilprogetto (1997-99) e la realizzazione (2002-04) del-l’ampliamento e del riallestimento del MuseoArcheologico di Herakleion, ed ha partecipato ad alcu-ni concorsi internazionali, banditi dal Ministero Ellenicodella Cultura, per la progettazione di vari musei, tra iquali citiamo, il Museo dell’Acropoli di Atene (2001),il Museo Archeologico di Chania (2004) ed il MuseoArcheologico di Vergina (2006), in merito ai quali, pernotizie più dettagliate, rimandiamo a A. N. TOMBAZIS,E. N. KONTOMICHALI, Recent works of A. N. Tombazisand Associates Architects, Pergamon, Amsterdam 2000. 22) Rilasciate al quotidiano di Atene Kathimerini del 10agosto 2004. 23) Lo sviluppo complessivo, sui due livelli, della strut-tura museale è pari a circa mq 2.500.24) Per un inquadramento storico del santuario delficoin rapporto agli altri santuari panellenici, cfr. N.MARINATOS, R. HÄGG (ed.), Greek Sanctuaries. Newapproaches, Routledge, London and New York 1993, inpart. pp.27-32.25) M. I. FINLEY, Gli antichi greci, Einaudi, Torino1972, pp.147-148.26) H. BERVE, G. GRUBEN, I templi greci, Sansoni,Firenze, 1962, p.136.27) Cfr. P. AMANDRY, F. CHAMOUX, Guide de Delphes.Le Musée, cit., p.1. 28) M. C. RUGGIERI TRICOLI, M. D. VACIRCA, L’idea dimuseo. Archetipi della comunicazione museale nel mon-do antico, Lybra, Milano 1998, p. 57.29) cfr. D. MULLIEZ, Delphi. The excavation of the greatoracular centre, p. 137, in P. VALAVANOS (ed.), Great

moments in Greek Archaeology, cit.30) Competizioni sportive, ma anche concorsi musica-li e poetici, a carattere sacro, erano i secondi più impor-tanti, dopo i Giochi Olimpici, tra i quattro giochi panel-lenici, essi si disputavano ogni quattro anni nel san-tuario di Delphi ed erano dedicati al dio Apollo, cfr. A.MARANTI, Delphi. Myth & History. The ArchaeologicalSite. The Museum, Toubis Editions, Athens 2000, pp.34-35.31) P. AMANDRY, F. CHAMOUX, Guide de Delphes. LeMusée, cit. p.1.32) Ibidem.33) P. MAC KENDRICK, The Greek stones speak. TheStory of the Archaeology in Greek Lands, cit., p. 191.34) Ibidem.35) Per una completa ricognizione sui materiali espo-sti e sul percorso espositivo si rimanda a D.KOUTSOUMBA (ed.), Delphi. Archaeological Guide.History. Archaeological Site. Museum. Oracle,Explorer, Athens 2004, pp.158-183, ed inoltre allasezione dedicata al Museo Archeologico all’interno delsito ufficiale del Ministero Ellenico della Cultura.36) L’archeologa Rozina Kolonia era l’allora direttricedel Museo e del Xth Ephorate of Prehistoric andClassic Antiquities, mentre attualmente è diretto dal-l’archeologa Despina Skorda; la sua sede amministra-tiva è ubicata nella cittadina di Delfi e comprende laprefettura della Focide. La competenza di quest’ulti-mo Organismo, posto sotto la Direzione Generale del-le Antichità, riguarda le questioni concernenti la sco-perta, la salvaguardia e la protezione del patrimonioellenico, la sua esposizione nei musei, la conservazio-ne, il restauro, lo studio e la pubblicazione di ciò checoncerne le emergenze archeologiche.37) L’archeologa Elena C. Partida l’allora e l’attualecuratore del Museo e del sito di Delfi, che gentilmen-te ci ha fornito alcune preziose informazioni sugli alle-stimenti museali, è l’autrice di un interessantissimosaggio sui “Tesori” del santuario cfr. E.C. PARTIDA, TheTreasuries at Delphi: an architectural study, Jonsered,P. Âströms Förlag 2000. 38) Cfr. D. KOUTSOUMBA (ed.), Delphi. ArchaeologicalGuide. History. Archaeological Site. Museum. Oracle,cit., pp.170-171.39) A. N. TOMBAZIS (ed.), Museums. ArchaeologicalMuseum of Delphi, European Commission Directorate-General Energy and Transport, cit., pp. 7-10. 40) L’allestimento museografico di questo display èstato curato da Elena C. Partida, mentre il disegno pre-sente all’interno dell’espositore, che contestualizza ireperti autentici del carro, è stato realizzato dall’archi-tetto Sandro Tufano41) D. e L. DEL CORNO, Nella terra del mito. Viaggiarein Grecia con dèi, eroi e poeti, Mondadori, 2001Milano, p.99.42) Dalla metà del sec. VII a.C., data della costruzionedel primo tempio dedicato ad Apollo, sino al sec. IId.C.43) PLUTARCO, Dialoghi delfici, Adelphi, Milano, 1986,pp.161-201.44) Per approfondire le complesse relazioni tra pelle-grinaggio e turismo nel mondo greco, si rimanda a I.RUTHERFORD, Tourism and the Sacred. Pausanias andthe Traditions of Greek Pilgrinage, in S. E. ALCOCK, J.F. CHERRY, Y. ELSNER (ed.), Pausanias. Travel andMemory in Roman Greece, University Press, Oxford2001, pp. 40-52. 45) D. DEL CORNO, “Introduzione”, in PLUTARCO,Dialoghi delfici, cit., p.54.

* Maria Désirée Vacirca, architetto, già docente acontratto di Museologia e Museografia presso il Corso diLaurea in Beni Culturali Archeologici della Facoltà diLettere e Filosofia dell’Università di Palermo, ha al suoattivo una ben nota produzione scientifica sulla museo-grafia archeologica ed è attualmente Dottoranda in Re-cupero e Fruizione dei Contesti Antichi.

Contestualizzazione ed ipotesi riconfigurativa delle statue crisolelefantine di Apollo, Artemide e Leto.

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UNA COPERTURA PER LE MURA DI CAPO SOPRANO A GELA

Vincenzo Minniti*

ABSTRACT – This archaeological site is a Greek fortifi-cation wall, built in adobe. After the excavation of thesand layer that covered it, Franco Minissi restored theruins in 1958 in the framework of an exhibit proposal.Minissi’s project is based on modern materials, in con-trast with the ancient structures. Today there is no morerather of that architecture, and this study wants, afterscientific analysis of the elements (wind, rain, sun, SO,NMHC, CO) that damage the material, continues thecritic method of the project of Minissi. Beyond theArchitecture of the ‘50s, there is a research on the defi-nition of the object to restore: the archaeological ruinsor/and the landscape.

Il promontorio di Capo Soprano è oggiun’area archeologica situata all’interno

della città di Gela, perimetrata per tutela dallespeculazioni urbanistiche, e si presenta attrezza-ta con comodi percorsi pedonali per una piace-vole visita tra alberi sempreverdi e scorci sulmare del Canale di Sicilia. Come era Capo So-prano, prima della campagna di scavo, che tra il1948 e il ‘50 liberò i resti di un muro di fortifica-zione della città greca dalla sabbia che li ricopri-va completamente, lo si può facilmente immagi-nare anche con l’aiuto di qualche foto d’epoca:un luogo separato dalla città, caratterizzato daun paesaggio sabbioso e scarso di vegetazione,simile a tanti altri del versante SO della Sicilia,dove enormi dune di sabbia modificano conti-nuamente la costa per effetto dei venti prove-nienti dall’Africa; un luogo molto diverso dal-l’attuale, appartenente alla natura che, nel corsodei secoli, lo aveva riconquistato, coprendo disabbia qualsiasi traccia della funzione che gliavevano destinato i Greci, annullando anche l’e-mergenza di Capo Soprano dalla linea di costa,caratteristica geo-morfologica che lo aveva fattopreferire da Timoleonte per una fortificazione.

Oltre che in archeologia queste mura sononote in campo architettonico per essere state og-getto di uno dei primi lavori dell’architetto Fran-co Minissi quando subito dopo la guerra, da po-co laureato, faceva pratica all’Istituto Centraledel Restauro diretto da Cesare Brandi. Ancoraoggi quell’esperienza di scavo e restauro costi-tuisce un raro esempio di collaborazione scienti-fica, andata a buon fine, tra la Soprintendenza diAgrigento e l’Istituto Centrale del Restauro diRoma; tra le giustificazioni, forse, l’ecceziona-lità per quell’epoca del reperto ritrovato: unamuratura in mattoni di terra cruda che si sgreto-lava appena veniva portata alla luce.

Minissi e l’archeologo Pietro Griffo ricorse-ro alla consulenza scientifica dell’ICR, i risultati

delle analisi di laboratorio e delle prove in situ,eseguite dai chimici dell’Istituto, suggerirono lanecessità di intervenire per il contenimento dellamassa dei mattoni crudi e per la protezione siadall’erosione dei forti venti, che dall’elevato ir-raggiamento solare, fattori riconosciuti comequelli che mettevano maggiormente a rischio laconservazione del prezioso materiale.

Il progetto di Franco Minissi però andò oltreuna soluzione tecnica a un problema di conserva-zione; la sua intuizione riuscì a dare al muroun’immagine sorprendente in quanto distantedall’archeologia di quei tempi: piuttosto che di-fendere l’intoccabilità del rudere e del paesaggio,egli preferì stabilire una forte relazione composi-tiva tra le opere di protezione e il muro di fortifi-cazione. Il risultato fu un’architettura con finalitàespositive che ricorre a materiali moderni, legge-ri e trasparenti, che riuscivano a dichiarare gli an-tichi attraverso un elegante contrasto: posizionesperimentata a quei tempi da una ristretta avan-guardia italiana in campo fieristico e museografi-co, ma del tutto inedita in campo archeologico.Malgrado il felice risultato dal punto di vistaespositivo, l’architettura a Capo Soprano ha su-bito, negli anni, diverse trasformazioni fino al re-cente intervento che ha rimosso completamentele opere realizzate dal Minissi.

Si riconosce oggi, con questo studio, un’at-tualità al metodo seguito a Capo Soprano, da in-terpretarsi come facevano gli architetti del dopo-guerra che,senza nessuna formazione tecnicaspecialistica, ottenevano validi risultati nel re-stauro come nella museografia, grazie alla lorosensibilità tanto verso l’architettura contempora-nea, quanto verso l’autenticità del reperto stori-co. L’occasione per questa mia personale rifles-sione si è presentata quando la Soprintendenza aiMonumenti di Caltanissetta, con la consulenzascientifica di Eugenio Galdieri, ha aperto un can-tiere dapprima di monitoraggio delle condizionitermo-igrometriche della terra cruda al di sottodelle lastre di vetro e, successivamente, con ca-pacità e rigore scientifico, di smontaggio dellestesse e di restauro dei mattoni in terra cruda. Ilavori hanno rimediato al degrado fisico-chimicorilevato, ma hanno lasciato irrisolto, per via diuna copertura solo provvisoria, il quesito dellaprotezione del resto archeologico e, secondo me,anche della definizione architettonica di tutto ilsito. Lo studio, che qui si presenta, è stato svoltonella Scuola di Specializzazione in Restauro deiMonumenti all’Università degli Studi di Roma‘La Sapienza’, diretta da Giovanni Carbonara,

Il promontorio di Capo Soprano prima dei lavori discavo del 1948.

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che si è avvalso oltre che della partecipazione deidocenti interni alla Scuola, anche di correlatoriappartenenti ad Istituti esterni (Livio De Santoli,per le questioni di fisica tecnica ambientale, Eu-genio Galdieri per la storia dell’architettura interra cruda e Ugo Cantone per la progettazionearchitettonica ed ambientale). Fin dall’inizio ci siè posti il tema, intendendo il muro per un versocome resto archeologico, la cui conservazione èlegata al confronto con le condizioni ambientali,per l’altro verso come oggetto appartenente adun paesaggio, dalla relazione con il quale è lega-ta la lettura della sua identità architettonica. I duepercorsi si incontrano nel momento in cui si ren-dono indispensabili delle opere di protezione:strutture necessariamente funzionali che parteci-pano all’immagine del muro e del suo contesto.Il lavoro è stato svolto iniziando da una fase ana-litica di elaborazione dei dati sulle condizioniambientali, a cui il muro è sottoposto (inquina-mento atmosferico e fattori meteorologici), peridentificare da quali fenomeni andrebbe real-mente protetto; le collaborazioni scientifiche ci-tate hanno consentito di riconoscere, ancora unavolta, gli elementi che sono più dannosi per laconservazione dei materiali, cioè l’irraggiamentosolare, la pioggia e l’azione dei venti, per la lorofacilità nell’alterare il delicato equilibrio termoi-grometrico della terra cruda.

L’elaborazione del progetto delle opere diprotezione si è avvalso dell’Istituto di FisicaTecnica dell’Università degli Studi di Roma “LaSapienza”, con il quale, con il supporto di unprogramma di simulazione degli effetti del ven-to, è stata svolta dapprima una verifica degli at-tuali sistemi di protezione (una fitta alberatura dialto fusto) e, in seguito, uno studio sulla sezionepiù efficace per una nuova barriera, mentre conun tradizionale metodo di calcolo geometrico èstata elaborata la forma e la posizione nello spa-zio di una copertura, capace di tenere sempre inombra, nei mesi più caldi, la parte in terra crudadel muro. Contemporaneamente con i professoriGaldieri e Cantone è stata svolta una ricerca perdefinire l’oggetto del restauro, ovvero per rico-noscere e delimitare il progetto, in altre parole:cosa è che ha bisogno di essere restaurato.

Seguendo un percorso di analisi ambientaledi tipo paesaggistico è stata esaminata la condi-zione attuale del sito archeologico di Capo So-prano, ne sono state analizzate le relazioni con lacittà di Gela e con le altre trasformazioni morfo-logiche del territorio, al fine di stabilire la scalad’intervento; inoltre, con un percorso di analisistorica, si è risaliti a quello che poteva essere ilrapporto originario del muro con il paesaggio,facendo riferimento alle attuali conoscenze sul-l’urbanistica dell’antica Gela e confrontando glistudi su Capo Soprano con quelli su altri inse-diamenti fortificati in siti geo-morfologicamentesimili, edificati dalla stessa egemonia politico-militare.

Il risultato è stata un’immagine ideale, sug-gerita da una ricostruzione di Eugenio Galdieri,di un alto muraglione eretto su un punto inacces-sibile della scogliera di Capo Soprano, a difesadella città dai nemici provenienti dal mare: im-magine legata a un’epoca e a condizioni lontanemillenni dal mondo contemporaneo, nel qualeprima di tutto è cambiato il paesaggio, compo-nente fondamentale per l’identità del muro difortificazione. Ed è per questo motivo, che si ètenuta lontana qualsiasi tentazione di riproporreun’immagine retrospettiva o ripristinatoria, che

Stato attuale del muro protetto da una copertura provvisoria.

A sinistra: Stato attuale del muro protetto da una copertura provvisoria.A destra: Lavori di restauro dei resti archeologici (1948-1955).

Rapporto paesaggistico originario con le caratteristiche geomorfologiche del territorio (da E. Galdieri).

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Protezione dalle radiazioni solari. Studio geometrico per definire la forma della copertura. 1. Costruzione del cono d’ombra che deve produrre una protezione dal sole per unpunto P della facciata esposta a 225° (SW). La sezione dà la forma della copertura su un piano orizzontale; 2. Costruzione del solido totale ottenuto per traslazione dei coni d’om-bra di tutti i punti delle facciate del muro. Vista da SW (225°); 3-4. Individuazione delle ore del giorno nelle quali il valore della radiazione solare è troppo alto per la conser-vazione del materiale.

Protezione dai venti: direzione del vento: ricerca della soluzione formale per la protezione dal vento; medie mensili in percentuale.

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potesse risalire dal rudere ad un muro di fortifi-cazione, funzione peraltro sepolta sotto la sabbiaper millenni e assolutamente non riproponibilein termini storico-filologici. A questo punto am-mettere che si tratta di un pezzo di archeologia,indipendentemente dal suo originario significatoarchitettonico, è stato facile. In altri termini, ècome se la storia di questo manufatto avesseavuto inizio nel 1948 con il ritrovamento, lo sca-vo, le impegnative opere di sbancamento dellasabbia, l’intervento di Minissi e così via fino al-lo stato attuale, caratterizzandosi in immaginilegate alle opere di protezione: da quelle provvi-sorie fatte di stuoie e sbatacchiamenti a quelleeleganti in vetro e altri materiali moderni. Il per-corso di ricerca storico-analitica ha avuto quindila sua ragione progettuale nell’analisi dei docu-

menti tecnici, ma sopratutto fotografici, del can-tiere di scavo e di restauro, trovando riferimentiper un progetto che, garantite le esigenze mu-seografiche, voleva tener conto di questa storia,di quest’identità, di queste immagini.

La soluzione di evocare una trincea di scavo,per riproporre nel paesaggio la duna di sabbiache copriva totalmente il muro, contenuta da la-stre di vetro, è un riferimento del tutto empiricoed emozionale verso quei materiali, la sabbia co-prente ed il vetro trasparente, e quelle forme, laduna casuale e le lastre regolari, che maggior-mente hanno saputo convogliare su di sé le ra-gioni della buona ‘conservazione’ e quelle di unefficace stimolo poetico alla ‘progettazione’, ne-cessaria a ricondurre ad unità le diverse istanzeche hanno guidato l’intervento.

NOTA

* L’articolo prende spunto dalla Tesi di Diploma del-l’Autore per la Scuola di Specializzazione in Studio eRestauro dei Monumenti all’Università degli Studi diRoma “La Sapienza” nel 2001, relatore Giovanni Car-bonara. Il lavoro è stato svolto con il coordinamentodi tutti i docenti interni alla Scuola e con il contributodei correlatori esterni, Livio De Santoli, Ugo Cantoneed Eugenio Galdieri.

BIBLIOGRAFIA

C. BRANDI, Archeologia Siciliana, in “Bollettino del-l’Istituto Centrale del Restauro” n° 27-28 (1956), Ro-ma 1956, pp.98-99L. KARLSSON, Fortification towers and masonry tech-niques in the egemony of Siracuse, 405-211 B.C.,Stockholm 1992P. GRIFFO, Fortificazioni di età greca, in “Fasti ar-cheologici” (1948), vol. III, pp. 146-147S. LIBERTI, Consolidamento dei materiali da costru-zione di monumenti antichi, in “Bollettino dell’Istitu-to Centrale del Restauro” n° 21-22 (1955), Roma1955, pp. 56-60

* Vincenzo Minniti, architetto, ha conseguito il Diplomapresso la Scuola di Specializzazione in Studio eRestauro dei Monumenti dell’Università degli Studi diRoma La Sapienza; è Dottorando di Ricerca inRecupero e Fruizione dei Contesti Antichiall’Università degli Studi di Palermo.

Ridefinizione dei resti archeologici in relazione al paesaggio ed alle opere di protezione: sezione costruttiva.

Sezione di rilievo

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UN PROGETTO PER LA VALLE DEI TEMPLIAD AGRIGENTO

Alberto Distefano*

ABSTRACT – Project’s main idea, which is here described,is based on the observation that Temple of Hephaestus’area is crossed by the Agrigento – Porto Empedoclerailroad, which is used only on the occasion of tempo-rary events in the Valley. Currently, visitors must crossthe tracks and overcome an embankment. The projectincludes an underground rail station, completed by apedestrian underpass, which leads into the Valley. Theinterior routes become consequently more functional,also through the provision of a pedestrian bridge overthe Kolymbetra Garden, surrounded by two terracesin the area of Chtonian Deities Sanctuary and of theTemple of Hephaestus.

Il presente studio ha lo scopo di fornire uncontributo di idee al complesso tema della

valorizzazione e fruizione nel Parco Archeologicoe Paesaggistico della Valle dei Templi diAgrigento, riconosciuta dall’UNESCO qualePatrimonio dell’Umanità1. L’ipotesi del progettonasce dalla constatazione che la zona sud-ovestdella Collina dei Templi, area del Tempio diEfesto, è attraversata da una ferrovia elettrificatadella linea Agrigento – Porto Empedocle, in rile-vato sul piano di campagna. L’infrastruttura vie-ne utilizzata molto saltuariamente e solo con tre-ni straordinari in occasione di visite organizzateper comitive di studenti o per la manifestazionefolkloristica della Sagra del Mandorlo in fiore.

L’accesso dei visitatori, scesi dal treno su unapedana in legno, risulta difficoltoso, poiché sonocostretti ad attraversare i binari della stessa lineae ad affrontare una ripida discesa. I visitatori, poi,attraverso gli stretti e tortuosi sentieri e i ponticelliin legno dell’orto-giardino della Kolymbetra arri-vano all’area sacra delle Divinità Ctonie, dovesorgono i resti del Tempio dei Dioscuri.L’importanza strategica della ferrovia, peraltro,è fermamente riconosciuta dalle autorità preposteal Parco Archeologico e Paesaggistico della Valledei Templi, dall’Amministrazione Provinciale edalle Amministrazioni delle Città di Agrigento edi Porto Empedocle. La necessità, quindi, di darerisposta alle attuali tematiche riguardanti la valo-rizzazione e la fruizione del Parco, affrontandolo specifico aspetto del rapporto di integrazionecon la Città e il territorio circostante, tenendoconto che lo sviluppo di qualsiasi fenomenosocio-culturale non può dissociarsi da un correlatosviluppo comunicativo.

La ricerca si sviluppa sostanzialmente in trefasi: rilievo e rappresentazione del settore sud-occidentale della Collina dei Templi, analisi delsito e ipotesi progettuale. Per il rilievo e la rap-presentazione del paesaggio sono stati prefissati

i tre seguenti obiettivi: creare uno strumento pla-no-altimetrico di studio utile all’analisi ed a unapiù approfondita conoscenza del sito; rappresen-tare in maniera esplicita e semplificata i luoghi, alcui interno molteplici aspetti culturali si sovrap-pongono e si correlano; migliorare i mezzi e iprocessi di comunicazione all’interno ed all’e-sterno del Parco. Gli elaborati plano-altimetrici,effettuati con diverse tecniche di rilievo, riguar-dano l’area del Tempio di Efesto, l’area sacra delSantuario delle Divinità Ctonie nella triplice ripar-tizione cultuale e l’orto-giardino dellaKolymbetra, recentemente recuperato e ripristi-nato dal FAI. Per le rovine del Tempio di Efesto ilpunto d’inizio del rilievo si è basato su un disegno(planimetria e sezione), riportato nel testo di PirroMarconi2 ed eseguito dall’architetto LuigiLeporini.

Il lavoro originario è stato ridisegnato a mez-zo CAD, in scala, e verificato, in sito, con lo sta-to attuale del Tempio, mediante misurazioni pie-tra a pietra. Per l’area sacra del Santuario delleDivinità Ctonie e per la Kolymbetra sono statitrasposti in una planimetria più ampia e genera-le, da scala 1:2000 a scala 1:500, i rilievi aerofo-togrammetrici di definite zone, con utilizzo dimateriali gentilmente forniti dall’Ente Parco e dalFAI. In particolare è stato ridisegnato a mezzoCAD e inserito in planimetria, a scala 1:500, ilrilievo del Santuario dei Donari,nell’area delleDivinità Ctonie, riportato nel recente testo diErnesto De Miro e Valentina Calì3 e gentilmenteconcesso dallo stesso Prof. De Miro. Il tracciatodei percorsi pedonali all’interno della Kolymbetraè stato rilevato, in sito, mediante il sistema ditriangolazioni e l’utilizzo integrato di misuratoria laser e rulline. Per la rappresentazione del pae-saggio, sulla base di una fotografia aerea dellazona, effettuata dalla SAS di Palermo, è stata pre-disegnata con CAD la vegetazione esistente e suc-cessivamente verificata nei siti, nei particolari econ la identificazione delle biodiversità, esplici-tate poi in apposito abaco.

L’analisi dello stato attuale dei luoghi partedalla considerazione che il patrimonio ambienta-le, archeologico-monumentale e storico-artisticodel Parco è di straordinaria qualità e consisten-za. L’aspetto paesaggistico del Parco è di grandepregio e lo stato di conservazione della gran par-te delle testimonianze monumentali è in buonecondizioni, grazie anche a recenti restauri. Il con-trasto fra il paesaggio ben curato dell’orto-giar-dino della Kolymbetra e l’area degradata e abban-donata del Tempio di Efesto, è stridente, anche

Il settore occidentale della Collina dei Templi:il Tempiodi Efesto e la ferrovia, la campagna con mandorli e uli-vi, il Giardino della Kolymbetra e il Santuario delleDivinità Ctonie (nel centro e a destra).

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Vista del Tempio dei Dioscuri dalla Kolymbetra. La fermata del treno al Tempio di Efesto.

se, successivamente al presente lavoro, sono sta-ti effettuati alcuni interventi di restauro sulTempio. Sempre con riferimento al settore occi-dentale della Collina dei Templi, si riportano lesituazioni riscontrate e ritenute di particolare rile-vanza. L’accesso, tramite ferrovia nell’area delTempio di Efesto, è alquanto difficoltoso, non incondizione di sicurezza e occasionalmente prati-cabile. L’assenza di una struttura alla fermata fer-roviaria non può consentire la regolarità di unservizio di metropolitana di superficie interes-sante l’area, chiaramente inidonea a ricevere iflussi turistici, con conseguenti influenze sullecondizioni di marginalità e abbandono della stes-sa e sullo stato di conservazione del Tempio.

Si constata, anche, la mancanza di efficientiapparati a carattere comunicativo per i visitatori.Parte dei percorsi interni pedonali, specialmenteall’interno della Kolymbetra, si trova in uno sta-to accidentato e talvolta anche inagibile, con pre-senza di barriere architettoniche per le personecon ridotte capacità motorie. Lo stesso tracciatoviario dell’area sacra delle Divinità Ctonie nonsegue i criteri della riconoscibiltà e del significa-to della organizzazione urbanistica per le areesacre. Attualmente, l’unico sistema di accesso alParco è costituito dall’asse viario della S.S. 118,che lo attraversa in direzione nord-sud e dalla S.P.Panoramica dei Templi, che costeggia il Tempio diHera e si ricollega alla S.S. 640 Porto Empedocle-Caltanissetta e alla S.S. 115 Siracusa-Trapani; taliarterie viarie sono interessate da un intenso traf-fico, specialmente nella stagione estiva. Lo stes-so Piano del Parco4 prevede, tra le possibili solu-zioni al problema di una agevole accessibilità allearee archeologiche, la riutilizzazione della fer-rovia Agrigento-Porto Empedocle, con relativafermata nell’area del Tempio di Efesto.

L’ipotesi di progetto intende risolvere per-tanto le problematiche sinora espresse. In base airilievi effettuati è stata individuata la più oppor-tuna collocazione di una struttura di stazione fer-roviaria, che consenta un agevole e regolare col-legamento con Agrigento e Porto Empedocle. Lasua modellazione plano-altimetrica della strut-tura, con copertura al livello del piano rotaie, ètale da avere la base all’interno della scarpata del-la linea ferrata, dalla parte del Tempio di Efesto.Dall’altro lato della ferrovia, Kolymbetra e area

sacra delle Divinità Ctonie, la struttura è com-pletamente occultata dalla corrispettiva scarpata,peraltro ricoperta da un fitto allineamento di albe-ri di eucalipto. Sono previsti percorsi e rampe peril collegamento tra la zona di arrivo del treno e isottostanti ambienti della stazione e la stessa areadel Tempio di Efesto.

Un sottopassaggio pedonale dà agevole ediretto accesso alla Kolymbetra, bypassando laripida discesa. Esso suddivide la struttura dellafermata in due zone con diverse destinazioni: daun lato gli ambienti per l’accoglienza (biglietteria,bookshop, caffetteria, ecc.), dall’altro lato gli spa-zi per la comunicazione didattico-visuale. Lacomunicazione offerta, fin dal punto di accesso alParco, deve trasmettere al visitatore il senso diappartenenza al patrimonio comune archeologicoe paesaggistico, curando le informazioni riguar-danti i cenni storici e l’odeporica dei viaggiatoriillustri5, le illustrazioni del Parco, le rappresen-tazioni planimetriche con viabilità interna e per-

corsi tematici, i parcheggi, le vie e i mezzi di tra-sporto per collegamenti esterni, l’offerta turistico-culturale del territorio. Il processo di comunica-zione sul patrimonio paesaggistico e artistico davisitare risulta più facilitato nella zona di arrivo inquanto da qui è possibile una prima e panorami-ca visione dei Templi, con diretta percezione del-l’antica urbanizzazione greca, in completa inte-grazione con altri usuali punti di osservazione.

La fermata ferroviaria permette di potereprontamente fruire di quelle aree del Parco, qua-li l’orto-giardino della Kolymbetra e la zona delTempio di Efesto, difficilmente raggiungibili conl’attuale sistema viario. Una parte degli interventisul Tempio, auspicati nel lavoro, sono stati recen-temente eseguiti a cura del Parco, con restauroconservativo dei resti delle colonne e del crepi-doma; l’altra parte è ancora da effettuarsi, con ilriposizionamento dei blocchi del sacello arcaicoe la perimetrazione delle fondamenta. Il lavoroprevede, inoltre, nella stessa zona, la realizzazio-

Sezioni del progetto.

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L’attuale pedana della ferrovia. Il superamento dei binari per accedere al Parco.

ne di aree di sosta e di percorsi, in composizionegeometrica rispetto ai basamenti del Tempio,inglobando una vecchia casa agricola, da recu-perare con la relativa area annessa come ambien-te di ristoro, nonché lo spazio di una antica stal-la come ulteriore centro di informazione didatti-ca. I previsti percorsi vanno a collegarsi, con unopreesistente, consentendo l’accesso al settore piùoccidentale delle fortificazioni dell’anticaAkragas, costeggianti il fiume Hypsas e ad oggisconosciute alla gran parte dei visitatori. Nell’altroversante, quello della Kolymbetra e area sacradelle Divinità Ctonie, a partire dal sottopassaggioil percorso si sviluppa agevolmente seguendo lestesse linee di quota del terreno di campagna,consentendo, così, sia l’immediata fruizione del-l’orto-giardino della Kolymbetra, sia, medianteun ponte pedonale, un diretto collegamento conl’area sacra delle Divinità Ctonie.

Il ponte è del tipo Spanband6, a banda tesa,con larghezza di m 3,50, struttura principale costi-

tuita da nastri di acciaio inossidabile, resistenti atrazione, fissati agli estremi della campata di m75, e con controventatura sostenente le loro estre-mità annegate in due spalle di cemento armato,collocate a loro volta nella roccia calcarenitica;lastre tipo Andeer Gneis poste sui nastri per ilpassaggio pedonale e sostegni del corrimano bul-lonati ai nastri. Il ponte assolve anche la funzio-ne di privilegiato posto di osservazione panora-mica dell’intera valletta della Kolymbetra, conl’orto-giardino, la vegetazione mediterranea e flu-viale, gli ipogei e i costoni calcarenitici delimitantii due terrazzamenti su cui, dall’una e dall’altraparte, sorgono i Templi. Il percorso, in battuto ditufo arenario della larghezza di m 2,5 procede,poi, lungo tracciati paralleli alla platéia e aglistenópoi del sistema urbanistico greco, facendo-ne percepire l’originaria struttura, e permetten-do, anche attraverso la Porta Quinta, la fruizionedel settore meridionale delle fortificazioni e dellimitrofo Quartiere artigianale.

Il tracciato interno, oltre a risolvere i proble-mi legati alla visitabilità dei luoghi da parte del-le persone con ridotte capacità motorie, consentea tutti i visitatori di potere percepire il significa-to culturale dell’urbanistica nell’antica Akragas.L’utilizzo integrato dei mezzi esterni di trasporto,su ferrovia e su strada, dei mezzi interni, busnavetta all’interno delle vie rotabili del Parco,consentirebbe l’agevole visita dei vari siti archeo-logici e paesaggistici del Parco, del Quartiereellenistico-romano e del Museo, con circuiti razio-nali che evitino, considerata la vastità dell’area, ildoppio senso di percorrenza per i visitatori.Importante ruolo rivestirebbe la dislocazione deiparcheggi, quale snodo di comunicazione inter-viaria.

Dall’esistenza di un rapido collegamento fer-roviario tra Parco, le città di Agrigento e PortoEmpedocle, deriverebbero un decongestiona-mento del traffico autoveicolare e nel contempoun concreto rapporto di integrazione tra Parco,città e territorio. Peraltro il collegamento ferro-viario Parco-Porto Empedocle, con pochi minutidi percorrenza, dovrebbe rientrare, a buon moti-vo, all’interno delle Linee Programmatichedell’Osservatorio del Mediterraneo per l’integra-zione fra i Parchi Archeologici di Agrigento eCartagine (Progetto ORME), con auspicato acces-so dei visitatori, provenienti via mare. Gli inter-venti dell’ipotesi di progetto, viabilità e nuovosistema di accesso al Parco, assumono non solouna notevole influenza sul miglioramento dellafruizione dei beni archeologici ambientali e pae-saggistici, ma consentono, anche, una piena siner-gia culturale e socio-economica tra Parco, terri-torio e mare.

La logica di valorizzazione seguita richiama ilpensiero di Kevin Lynch, secondo il quale «sonoda preferire al rigido rispetto di un passato intoc-cabile una intelligente gestione del mutamento el’utilizzazione attiva dei resti per scopi presenti efuturi»7, nonché l’idea di Salvatore Settis sull’u-nicità concettuale e pratica del valore del patri-monio culturale, archeologico, ambientale, pae-saggistico e del territorio8. Peraltro gli stessi obiet-tivi della Legge n 20/2000 della Regione Siciliana,istitutiva del Parco Archeologico e Paesaggisticodella Valle dei Templi e lo stesso Piano del Parcosi proiettano verso uno scenario moderno di inter-Progetto per la stazione ferroviaria.

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Planimetria di progetto: 1) Il Tempio di Efesto, 2) Il Giardino della Kolymbetra, 3) Il Complesso del Santuario delle Divinità Ctonie, 4) La stazione ferroviaria, 5) Il percorso checonduce al ponte pedonale.

venti integrati di recupero, tutela e valorizzazionedell’intero patrimonio della Valle.

A tali obbiettivi dovranno mirare, con politi-che e strategie concordi, l’Assessorato RegionaleBB. Cc. AA. e P.I., l’Ente Parco Valle dei Templi,la Soprintendenza, la Provincia di Agrigento, leCittà di Agrigento e di Porto Empedocle, il FAI ele altre realtà territoriali, nell’unitaria consape-volezza che i fenomeni di sviluppo di un territo-rio, nascono non tanto dalle proprie risorse, quan-to piuttosto dalla capacità che un sistema socialeo una comunità ha nel sapersi organizzare.

NOTE

1) L’articolo è un estratto della tesi di laurea magistra-le dal titolo: Progetto di valorizzazione e fruizione peril settore occidentale nella Collina dei Templi diAgrigento, diretta dal Prof. Giuseppe Guerrera e discus-sa alla Facoltà di Architettura dell’Università degli Studidi Palermo, nell’Anno Acc. 2006-07.2) P. MARCONI, «Il Santuario delle Divinità Ctonie e ilTempio di Vulcano» in Agrigento arcaica, (parte II),Società Magna Grecia, Roma 1933, pp. 113-122.3) E. DE MIRO, V. CALÌ, Agrigento. I santuari urbani.Il settore occidentale della Collina dei Templi, ilTerrazzo dei Donari, Accademia Editoriale, Roma 2007.

4) G. FERRARA, G. CAMPIONI, Paesaggi di Idee. Unosguardo al futuro della valle dei templi di Agrigento,Alinea, Firenze 2005.5) M. COMETA, Il romanzo dell’architettura. La Siciliae il Grand tour nell’età di Goethe, Laterza, Bari 1999. 6) L. FERNÁNDEZ TROYANO, Terra sull’acqua. Atlantestorico universale dei ponti, Flaccovio, Palermo 2006,pp. 241-42.7) K. LYNCH, Il tempo dello spazio, Il Saggiatore,Milano 1977.8) S. SETTIS, Chi salverà il paesaggio? La lunga guer-ra fra stato e regioni, in “La Repubblica”, sez. Cultura,27 novembre 2007, p. 46.

BIBLIOGRAFIA

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* Alberto Distefano, architetto, è Dottorando di Ricercain Recupero e Fruizione dei Contesti Antichi, pressol’Università degli Studi di Palermo.

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RESTAURO DI UNA CHIESA BIZANTINA A EN-NITL IN GIORDANIA

Mariangela Niglio*

ABSTRACT – This article describes the restoration projectof two small churches. After identifying the chronolo-gical sequence of masonry structures, the examinationfocused on the mosaic found in the main church, dedi-cated to San Sergio. The project is divided into threephases: the first step involves the conservation of floormosaic; in the second phase the roof of the Church, atent used by Bedouins of the desert, is examined; thethird phase is dedicated to the restoration works.

Il villaggio di En-Nitl si trova in Giordania, suuna collina a nord del Wadi Moujib, ad un’al-

titudine di 745 m, e a nord est della strada checollega Madaba ad Amman. Oggi questo territo-rio è abitato dalle famiglie dei Banu Sakhr, maebbe un notevole sviluppo durante il periodo ro-mano e, in particolare, in quello bizantino-arabo,quando la steppa era abitata da tribù seminomadial servizio dell’impero. Nel 502 d. C., infatti, ilgruppo del Banu Ghassan aveva firmato un trat-tato con il quale le tribù beduine cristianizzateavevano il compito della difesa del territorio com-preso tra l’Eufrate, Palmira e Aila sul Mar Rosso.La relazione di queste tribù con l’impero iniziò conJabala Ben Harith, conosciuto con il nome diArethas e continuò e si sviluppò con il figlioArethas Philarcos, nomi che riportano alle Chie-se venute alla luce a Nitl1. Il villaggio di trovalungo la strada per l’importante sito archeologicodi Umm er-Rasas e, poiché le strade attuali ri-marcano le antiche vie di comunicazione, anche inorigine il complesso ecclesiastico si trovava in uncontesto che comprendeva le località della stessaUmm er-Rasas, Zafaran, Rmeil e Umm el-Walid.Già dal 1895 vennero date descrizioni delle rovineda Herbert Percy, il quale individuò delle strutturein gran parte di epoca bizantina.

Successivamente il sito fu visitato da NelsonGlueck nel 1935, mentre Fawzi Zayadine, nel1973 fotografò, nei pressi di una moschea, l’ab-side di una cappella2, esaminata, successivamen-te, da padre Eugenio Alliata e da padre MichelePiccirillo, archeologi del Franciscan Archaeolo-gical Institute3. Essi iniziarono a studiare tuttal’area circostante e capirono di trovarsi di frontea un complesso sacro, con almeno una Chiesache comunicava con una cappella attraverso unaporta e dotata di due ambienti sacri conservati fi-no al tetto4. La prima campagna di scavo venne ef-fettuata nel 1984, durante la quale venne portatoalla luce un mosaico nell’abside, mentre si in-dagò in modo più intensivo dal 1996 al 2000, indiverse campagne di scavo5, attraverso le qualifurono portate alla luce due Chiese affiancate,con gli ambienti sacri ad esse pertinenti, e una

cappella, collegate da un lungo vestibolo sul qua-le si aprono gli ingressi, una piccola moschea euna torre di epoca Omayyade, costruita sopral’abside di una delle due chiese e sopra parte delcrollo della sua copertura.

Le Chiese scoperte conservavano buona partedelle murature con i pilastri sui quali, in origine,poggiava la copertura, trovata all’interno dellanavata, crollata a causa dell’abbandono e che eracomposta da archi e lastroni di pietra, al di sopradei quali si impostava la copertura. In particola-re nella Chiesa principale, dedicata a San Sergio,fu trovato un mosaico pavimentale6 che recavain un tondo un’iscrizione che indicava in “Arethasfiglio di Al-Arethas” la persona che desiderò lacostruzione del complesso ecclesiastico e che vie-ne messo in relazione con la famiglia del BanuGhassan. Lo schema decorativo del tappeto mu-sivo sembra sia stato voluto dagli Ammoni, nomeche è possibile leggere nell’iscrizione insieme aquello di Arethas e di San Sergio. L’iscrizione èinserita all’interno di una figura tonda, che fa par-te dello schema geometrico secondo il quale èdivisa la navata: due grandi rettangoli, chiusi dauna cornice composta da foglie di acanto dispo-ste in modo da formare cerchi, all’interno deiquali sono raffigurate figure umane e zoomorfe.Nel primo rettangolo, più vicino all’ingresso, vie-ne rappresentato un motivo geometrico compostoda rombi, con alberi e animali, e al centro un ova-le diviso in triangoli bianchi e neri. Il secondorettangolo, più vicino all’altare, contiene una de-corazione a tralci di vite che nascono da giareposte agli angoli del pannello e formano cerchiche suddividono lo spazio in modo regolare edevidenziano la lastra di chiusura di una tombaipogea. Anche in questo rettangolo viene rappre-sentato un ovale diviso all’interno da motivi geo-metrici, ma posto in modo decentrato rispetto al-la composizione. Nel mosaico absidale, invece, èrappresentata una scena composta da due agnel-li, l’uno di fronte all’altro, con al centro un albe-ro stilizzato e incorniciata da un motivo a doppiatreccia. Tutte le figure presenti nel mosaico sonointeressate da interventi di periodo iconoclasto,realizzati staccando le tessere che corrisponde-vano ai volti o all’intera figura e riposizionando-le nello stesso spazio in modo disordinato. inter-vento molto frequente nei mosaici, come negliaffreschi, e praticato in un periodo in cui era vie-tato rappresentare immagini di esseri viventi.

L’intento del Progetto di Restauro7 è stato quel-lo di prevedere una copertura per proteggere pro-prio questo mosaico che, al momento del sopral-

Dall’alto: pianta del complesso ecclesiastico e vestibolocomune.

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luogo, non era visibile poiché, per problemi con-servativi, era stato coperto da uno strato moltospesso di sabbia8. Il progetto si è sviluppato intre fasi: la prima era diretta alla conservazionedel mosaico pavimentale; la seconda ha preso inesame la copertura della Chiesa, da realizzare inmodo reversibile e compatibile con le evidenze ar-cheologiche e l’ambiente circostante; la terza fa-se è dedicata al cantiere di restauro. La primaparte del progetto ha preso in esame la conser-vazione del tappeto musivo ma, poiché il mosai-co non era visibile, non si conoscevano le esattecondizioni del mosaico, anche se dalle foto mes-se a disposizione dal Franciscan ArchaeologicalInstitute, non erano evidenti particolari proble-mi, come avvallamenti o rigonfiamenti dello stra-to di tessere, per i quali sono necessari interven-ti mirati. Al momento della scoperta, inoltre, gliarcheologi sono stati affiancati da un restaurato-re che ha creato mantelline per impedire l’ulte-riore distacco delle tessere nei bordi delle lacune.Per questi motivi sono state date solo poche in-dicazioni su come intervenire sul tappeto musivoe, in particolar modo, sulle lacune presenti, del-le quali si conoscevano la forma e la posizione,in modo che, una volta riscoperto, si potesse agi-re in modo tempestivo ed efficace. Si è scelta latecnica dell’astrazione cromatica9, realizzata tra-mite l’inserimento di tessere in pasta vitrea, di-verse da quelle che compongono il mosaico, madegli stessi colori utilizzati in proporzioni varia-bili a seconda della posizione della lacuna neltappeto musivo, in modo da avere un risultato si-mile agli interventi degli iconoclasti e che nonrechi disturbo alla visione generale ma ricono-scibile. Ogni astrazione, quindi, è diversa dal-l’altra e il risultato dipende dall’abilità del re-stauratore nel percepire le differenze di colore.

Il progetto si è concentrato sulla seconda faseche ha preso in esame la copertura della Chiesadi San Sergio, cercando una soluzione adatta al-la situazione e al monumento stesso. Durante laprogettazione sono stati affrontati alcuni proble-mi, dovuti sia all’aspetto che la copertura dove-va avere, sia alle diverse altezze delle murature ri-maste. Non si era a conoscenza della forma ester-na che avevano le due Chiese e i pezzi della co-pertura ritrovati durante lo scavo non hanno da-to certezze: era infatti a falde, coperta da una vol-ta oppure piana? Esistono numerosi esempi, an-che non molto lontani territorialmente, ma quasitutti oggetto di intervento di restauro. Per la co-pertura di un sito archeologico il problema da af-frontare è che essa deve essere semplice e nonmolto pesante, a causa della fragilità che le strut-ture archeologiche hanno per loro natura. Non èconsigliabile realizzare una struttura articolata ecomplessa, perché il fine del restauro di un sito ar-cheologico è quello di proteggere rispettando il si-to stesso e la sua istanza estetica. L’architetto de-ve, in un certo senso, “umiliarsi” di fronte allavestigia archeologica, il suo intervento deve es-sere quasi invisibile e la sua abilità sta nell’ave-re il massimo risultato con il minimo intervento.La copertura, inoltre, deve essere reversibile enon invasiva, soprattutto per non pregiudicare uneventuale smantellamento. La soluzione deve es-sere trovata nel monumento stesso: è lui che sug-gerisce il metodo da adottare, in modo da noncreare interpretazioni errate, ma fornire miglioriinformazioni per la sua lettura. Il monumento nonè composto solo da sé stesso, ma anche dall’am-biente circostante e il materiale di cui si compo-ne la copertura, che è sempre un corpo estraneoDall’alto: panoramica del sito, pianta della copertura di progetto, interno della Chiesa di San Sergio.

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nel paesaggio, deve rispettare le caratteristichedi integrabilità. I materiali, quindi, saranno com-patibili con il monumento, ma utilizzati in modoche l’intervento sia riconoscibile. Si è scelto, perquesto motivo, di utilizzare il legno, per realizzarela struttura, e la pietra, una calcarenite presente inzona, con la quale sono realizzate le murature delsito e con la quale si crea una muratura che ser-ve da raccordo, tra le murature esistenti e la strut-tura lignea. Come manto di copertura si è sceltodi utilizzare un tessuto, lo stesso di cui sono com-poste le tende utilizzate dai beduini del deserto.

Per realizzare la nuova muratura si rende ne-cessario, innanzitutto, consolidare, ove occorre,quelle già esistenti mediante opportuni interven-ti mirati a rendere la muratura idonea a sopportareil peso delle strutture soprastanti. La muratura darealizzare sarà eseguita seguendo criteri di di-stinguibilità e di rispetto dell’istanza estetica. Latessitura muraria, infatti, è realizzata tramite bloc-chetti di varie dimensioni, disposti come orto-stati e come diatoni in corrispondenza dei pilastri.Il risultato finale è l’intonaco, ma si è prestatomolta attenzione alla tessitura muraria, anche senon vista, per far sì che possa rappresentare un’e-spressione della composizione architettonica del-la muratura antica.

Sopra questa muratura, in corrispondenza deipilastri, sono posizionate le capriate. La scelta direalizzare queste strutture, e quindi quella di rea-lizzare una copertura che abbia la forma triango-lare, è dettata dalle esigenze del materiale, il le-gno lamellare che ha, tra le sue caratteristichel’alta resistenza e la leggerezza, qualità necessa-rie e richieste per la copertura di siti archeologi-ci. Nel posizionare le strutture è sorto un proble-ma relativo alla quarta capriata; il pilastro delmuro sud, infatti, in corrispondenza del quale do-veva poggiare questa capriata, è più alto rispettoa tutti gli altri. È impensabile realizzare la mura-tura più alta, in modo che questa differenza nonsia più visibile, poiché si impedisce la lettura delmonumento stesso, non rispettando anche l'istanzaestetica. La soluzione trovata permette di posi-zionare la capriata correttamente, in modo che imonaci di tutte le capriate siano complanari e inmodo da non inserire altri elementi sulle muratureantiche. Essa sfrutta le capriate vicine: viene po-sizionata sulle catene, a destra e a sinistra, una ca-priata rovescia, in legno e acciaio, che funge damensola per un’altra capriata più piccola, an-ch’essa in legno, che raggiunge la stessa altezzadi tutte le altre, tutte collegate attraverso una se-rie di travi che servono a dare stabilità, a creareil colmo di questo “tetto” e a fare da appoggio al-la tenda. Questa stoffa è resistente alle forti escur-sioni termiche, impermeabile e si integra perfet-tamente con l’ambiente circostante; appoggiataalle capriate, la tenda ha ai bordi un cavo d’ac-ciaio, che permette non solo una certa resistenzae una tensione, ma anche il collegamento con lecatene delle capriate. Ai bordi di queste, infatti, so-no inserite piccole strutture, che servono a tenderela stoffa e a far sì che l’acqua piovana scivoli inmodo agevole. La tensione della tenda si realiz-za anche in senso longitudinale, attraverso il po-sizionamento, sia dietro l’abside, sia sul fronteprincipale, di tiranti in acciaio a cui sono collegaticontenitori con sabbia, che costituiscono il pesoche crea la forza tirante.

L’ultima fase riguarda il cantiere di restauro, or-ganizzato in modo che le lavorazioni non rechi-no danno alle strutture archeologiche. La fase dicantierizzazione non è stata curata nei minimi La Chiesa di San Sergio e il mosaico pavimentale.

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dettagli, a causa dell’impossibilità di verificare,sul posto, l’effettiva disponibilità di mezzi e per-sone. Sono state individuate, però, le fasi princi-pali di lavorazione e, soprattutto, sono state dateindicazioni per la recinzione che diventa, an-ch’essa, elemento per la salvaguardia e la prote-zione del sito. Per evitare che il vento crei dannialle murature, infatti, bisogna realizzare una bar-riera frangivento attraverso arbusti, di diversa al-tezza, piantati lungo i bordi dell’area archeologi-ca. Essi fungono, in un primo momento, da re-cinzione, insieme ad una rete che permette loro diattecchire e, alla fine delle lavorazioni, svolgonola funzione di proteggere dal vento le strutture inpietra che, se troppo esposte alle raffiche, po-trebbero subire danni irreversibili.

NOTE

1) L’egemonia della tribù terminò con il loro indebolirsi,circostanza che rese possibile l’invasione persiana dellaPalestina nel 613 d. C.2) M. PICCIRILLO, Madaba. Le Chiese e i mosaici, Edizio-ni Paoline, Cinisello Balsamo, 1989, pp. 263-265; idem,«The Church of St. Sergius of Nitl - a centre of the Chri-stian Arabs in the steppe at the doors of Madaba», in Li-ber Annus XLVIII (1998), 539-542.3) Il Franciscan Archaeological Institute in Giordania hasede presso il Memoriale di Mosè sul Monte Nebo. Si rin-grazia l’Istituto per aver messo a disposizione il materia-le scientifico dello scavo ma soprattutto per l’ospitalità eper la cortesia dimostrata nei giorni trascorsi in Giordania.Si ricorda, con grande affetto e ammirazione Padre Mi-chele Piccirillo, venuto a mancare nell’Ottobre 2008.4) M. PICCIRILLO, op.cit.5) Le notizie sui risultati delle campagne di scavo sono sta-te fornite dagli archeologi che hanno lavorato al sito epubblicate in B. HAMARNEH - DE LUCA S. - MANACORDA

S. - MICHEL V., «Nitl. Excavation Campaign 1997», in Li-ber Annus, XLVII (1997), 478 - 481; L. DOLFI - L. DI

MARCO - P. PIZZI, «Nitl 1997. Survey of the village and ec-clesiastical complex», in Liber Annus, XLVII (1997), 481- 483; PICCIRILLO M., «The Church of Saint Sergius atNitl. A Centre of the Christian Arabs in the Steppe at theGates of Madaba», in Liber Annus, LI (2001), 267 - 284;http://www.christusrex.org/www1/ofm/fai/FAInitl.html6) Anche nella seconda Chiesa è stato rinvenuto un mosaicopavimentale ma di esso ne rimangono solo pochi fram-menti e privi di decorazioni.7) Il progetto è tratto dalla Tesi di Laurea in “Storia e Con-servazione dei Beni Architettonici e Ambientali”, discus-sa nell’A.A. 2000/2001 e avente come relatore l’Arch.Giuseppe Claudio Infranca e come correlatori la Prof.ssaArch. Simonetta Valtieri, l’Arch. Vittorio Ceradini e l’Ar-ch, Giuseppe Simonetta.8) Questa soluzione risulta molto efficace in quanto pro-tegge il mosaico dagli agenti atmosferici, non permetten-do il distacco delle tessere, e da attacchi vandalici.9) U. BALDINI, Teoria del Restauro e Unità di Metodolo-gia, Firenze, Nardini, 1982-83.

* Mariangela Niglio, Conservatore dei Beni Architettoni-ci e Ambientali e specializzata in Archeologia Tardo An-tica e Medievale, è Dottoranda di Ricerca in Recupero eFruizione dei Contesti Antichi presso l’Università degliStudi di Palermo.La pastoforia: esterno ed elementi della copertura.

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ARCHEOLOGIA URBANA EATTIVITÀ COSTRUTTIVA

Alessandro Tricoli*

ABSTRACT – Urban development is certainly a funda-mental need of our society, but it can also cause a se-rious damage to the archaeological heritage hidden inthe subsoil of our historic centres. A precise knowl-edge of the issues that link archaeology and construc-tion activity is absolutely necessary to reach an “ar-chaeologically sustainable” development of ourcities.

Lo sviluppo edilizio ed urbanistico della cittàcontemporanea è certamente una necessità

fondamentale della nostra società. Esso compor-ta, inter alia, la costruzione di edifici di notevolidimensioni, la realizzazione di grandi infrastrut-ture e l’uso estensivo di materiali particolarmen-te invasivi come il calcestruzzo armato e l’ac-ciaio, tutti fattori che possono arrecare un gravedanno al patrimonio archeologico presente nelsottosuolo dei nostri centri storici. L’archeologoBernard Thorpe parla a proposito di un «conflit-to fra coloro che chiedono la conservazione delpatrimonio e quelli che chiedono la sua distru-zione in nome del progresso e del miglioramentodella qualità di vita» e, forse in modo eccessiva-mente pessimistico, afferma che «mentre il pro-gresso e i miglioramenti nella qualità di vita pos-sono essere definiti e difesi, la definizione del“valore archeologico” può essere vaga e spessocontraddittoria»1.

Proprio per l’intrinseca complessità dei rap-porti fra sviluppo urbano e difesa del patrimonio,tutti i Paesi europei hanno cercato di costruire unadeguato sistema di protezione dei giacimentiarcheologici messi potenzialmente a rischio dal-l’attività edilizia. Alla luce di quanto detto, puòcostituire un motivo d’interesse stabilire se l’Italiasia effettivamente dotata di un opportuno siste-ma di tutela del suo ricchissimo substrato archeo-logico urbano. Se si vuole rispondere a questadomanda, non basta a nostro avviso analizzarecon attenzione il nostro sistema legislativo e glistrumenti operativi a disposizione di tecnici epubbliche amministrazioni, ma è necessario unpuntuale confronto con le politiche di quei Paesi,che sembrano aver dedicato maggiori attenzionia questa problematica. Un riferimento particolar-mente interessante è rappresentato dal RegnoUnito, sia per il ruolo trainante che gli archeolo-gi britannici hanno avuto nella disciplina dell’ar-cheologia urbana, sia per alcune esperienzeimportanti, come quella della città di York, dovearcheologi, ingegneri ed autorità politiche hannooperato di comune accordo per produrre un codi-ce di comportamento efficiente e condiviso.

Come detto, l’Inghilterra ha avuto un ruolofondamentale nella definizione del concetto di

archeologia urbana. I tremendi bombardamentidella seconda guerra mondiale avevano infattiesposto il sottosuolo di Londra ad una straordi-naria possibilità di ricognizione, permettendoall’archeologo gallese William Francis Grimes(1905-1988) di registrare tra il 1947 e il 1962 ben53 siti romani e medievali. Nei decenni successi-vi l’opera di Grimes è stata proseguita e consoli-data da altre importanti figure, tra cui quella diMartin Biddle, a cui si deve la campagna di stu-dio della città di Winchester, e quella di MartinCarver, con il suo fondamentale lavoro sulla cittàdi York.

In Inghilterra la protezione del patrimonioarcheologico urbano si basa principalmente sudue provvedimenti legislativi. Il primo è l’AncientMonuments and Archaeological Areas Act del1979, in cui viene istituita una lista di monumentiprotetti, il cui aggiornamento è affidato alSegretario di Stato. Pur nella varietà delle tipolo-gie, la maggior parte di questi monumenti è col-locato fuori terra; dunque l’inserimento in que-sta lista appare difficile per i ritrovamenti archeo-logici scoperti nel corso di opere edilizie o addi-rittura ipotizzati solo in via preventiva. L’Attoistituisce anche cinque “Aree d’InteresseArcheologico” (Areas of ArchaeologicalImportance), corrispondenti ai centri storici del-le città di Canterbury, Chester, Exeter, Hereford eYork. In queste aree gli imprenditori, che hannointenzione di realizzare opere che possano mano-mettere il sottosuolo, devono dare un avviso disei settimane alle autorità urbanistiche, che han-no la possibilità di entrare nel sito ed effettuareopere di scavo e d’indagine.

Un secondo documento è stato invece conce-pito per informare le autorità locali dei pericoli acui l’archeologia è esposta nei processi di piani-ficazione. Si tratta della Direttiva sulla Politicadella Pianificazione: Archeologia e Pianificazione(Planning Policy Guidance: Archaeology andPlanning – PPG 16), emessa dal Segretario diStato alla fine del 1990. In questo documento vie-ne stabilito che «laddove ritrovamenti archeolo-gici di interesse nazionale vengano toccati da atti-vità edilizie, dovrebbe esserci un giudizio a favo-re della conservazione in situ, sia nel caso che ilmonumento sia catalogato, sia nel caso che essonon lo sia». Nella pratica, più che bloccare siste-maticamente le opere in siti di potenziale inte-resse archeologico, il documento ha dato avvioalla contrattazione pubblico-privato per svilup-pare l’edilizia su terreno archeologico, presup-ponendo che «ci siano tecniche per sigillare l’ar-Pianta archeologica del centro di Brescia.

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cheologia al di sotto di edifici o aree paesaggi-stiche, assicurando la loro conservazione per ilfuturo anche se i resti sono inaccessibili». Le auto-rità urbanistiche possono richiedere al promoto-re di opere edilizie di organizzare un’indaginearcheologica sul campo prima di concedere unpermesso di costruzione. Queste indagini devonoessere svolte, a spese del promotore, da un archeo-logo appartenente ad un’associazione ricono-sciuta, come ad esempio l’Institute of FieldArchaeologists (IFA), l’ordine professionale degliarcheologi inglesi.

Una linea di ricerca molto approfondita inInghilterra a partire dagli anni Novanta, espres-samente complementare al quadro d’intenti defi-nito dal PPG 16, è quella relativa alla studio diprecisi standard per le soluzioni progettuali (mit-igation strategies) da adottare per ridurre l’im-patto delle costruzioni nelle aree archeologiche.Un primo esempio è lo York Archaeology andDevelopment Study (1991), commissionato dallacittà di York ad un gruppo di esperti formato dalDipartimento di Archeologia dell’Università diYork, dall’archeologo Bernard Thorpe e dallo stu-dio di ingegneria Ove Arup and Partners. Nellostudio, attraverso un’analisi dei più comuni siste-mi di fondazione, viene dimostrato come l’uti-lizzo di una maglia di m 6 x 6, con fondazioni supali di diametro compreso fra cm 60 e cm 120,comporti su un qualunque sito una perdita dimateria archeologica compresa tra il 2% ed il 5%del totale, una quota ritenuta sostanzialmenteequilibrata fra le esigenze della conservazione equelle dello sviluppo. Altri esempi interessanti didefinizione di mitigation strategies sono i docu-menti prodotti dall’English Heritage, l’istituzionedel governo che dal 1983 ha il compito di occu-parsi del patrimonio inglese. Fra i più interessan-ti studi messi a punto dall’organizzazione ci sonoMitigation of Construction impact onArchaeological Remains (2004), che affronta iltema dei mezzi atti a mitigare il rapporto fracostruzioni ed archeologia, e Piling onArchaeology (2007), una vera e propria guida perla realizzazione di pali di fondazione in areaarcheologica.

Per chiudere questo sintetico quadro dellasituazione inglese è opportuno menzionare anchel’esistenza di codici di pratica sottoscritti da alcu-ni degli attori che svolgono ruoli essenziali nelleprocedure del Regno Unito. I principali sono ilcodice del già citato Institute of FieldArchaeologists (IFA) e soprattutto, dal nostro pun-to di vista, quello del British Archaeologists’ andDevelopers’ Liaison Group (BADLG) del 1991.Quest’ultimo si presenta come un testo di riferi-mento congiunto per gli archeologi e gli impren-ditori del settore edilizio, stabilendo per tutte leparti un preciso quadro etico e operativo da rispet-tare2.

In Italia, nonostante l’origine romana o pre-romana della maggior parte delle città e le cam-pagne di scavo condotte sin dagli anni Cinquantain città di grande dimensione come Genova, ladefinizione di metodi d’indagine archeologica peri centri urbani risale solo agli anni Settanta. Comeafferma l’archeologo Piera Melli, «fino agli anniSessanta, la ricerca archeologica s’interessavasoprattutto allo studio di città abbandonate neitempi antichi, o a dei grandi siti extra-urbani orurali, mentre nei centri abitati la ricerca era con-certata su monumenti individuali o su zone bendelimitate»3. Visto il ritardo disciplinare, non deve

sorprendere che in Italia soltanto nel 2004 sianostati messi a punto strumenti specifici per la pro-tezione dell’archeologia urbana. Prima di quelladata il testo di riferimento era ancora la storicaLegge 1089 del 1939, fondata sull’idea dell’esclu -siva finalità scientifica dello scavo archeologicoe su una logica di protezione assai poco flessibi-le. In base a quella legge, non solo la proprietà deibeni messi in luce dagli scavi, ma di fatto anchela stessa ricerca archeologica erano di competen-za dello Stato. Inoltre non era possibile procede-re ad una tutela preventiva dei beni archeologici,il cui interesse poteva essere stabilito solo sullabase di rinvenimenti certi e non semplicementepresunti.

Questa logica, almeno per le opere pubbli-che, è stata ridefinita dal Decreto Legislativo42/2004, nel quale si stabilisce la possibilità, daparte della Soprintendenza competente per terri-torio, di richiedere, a spese della stazione appal-tante, l’esecuzione di saggi archeologici. Con lasuccessiva Legge 109/2005 è stata definitivamentedelineata la disciplina di verifica preventiva del-l’interesse archeologico4. La stazione appaltanteha l’obbligo di trasmettere al Soprintendente ilprogetto preliminare e gli esiti delle indagini geo-logiche ed archeologiche; le informazioni devo-no essere raccolte e convalidate da un espertoappartenente ad un Dipartimento Archeologicodelle Università oppure da un laureato dotato dispecializzazione o di dottorato di ricerca inarcheologia. Entro dieci giorni dal ricevimentodella documentazione il Soprintendente puòrichiedere ulteriori integrazioni, altrimenti entronovanta giorni deve pronunciarsi, stabilendo sel’area non ha un interesse archeologico oppurese la procedura di verifica deve essere attivata.

L’eventuale verifica si svolge attraverso duefasi. La prima prevede l’esecuzione di carotag-gi, prospezioni geofisiche e geochimiche e saggiarcheologici tali da assicurare una sufficiente cam-pionatura dell’area interessata dai lavori. Laseconda fase, integrativa alla progettazione defi-nitiva ed esecutiva, prevede l’esecuzione di son-daggi e scavi anche in estensione. Tutta la pro-cedura è condotta sotto la direzione dellaSoprintendenza archeologica territorialmentecompetente, con oneri a carico della stazioneappaltante. La procedura termina con la stesura diuna relazione archeologica definitiva, approvatadal Soprintendente, che deve riportare le indagi-ni eseguite, la qualifica dell’interesse archeolo-gico dell’area e le conseguenti prescrizioni per lastazione appaltante.

Alcune critiche sono state mosse all’impo-stazione del corpus legislativo descritto, tra cui laperdurante subordinazione del ruolo degli archeo-logi, da un lato ancora agganciati alla dipenden-za dallo Stato, che organizza gli elenchi dei sog-getti in grado di svolgere le indagini previste dal-la legge, e dall’altro subordinati alle Università,che appaiono come nuovo soggetto dotato di gran-de forza ed autonomia in materia. Da un puntodi vista operativo è stata notata la sostanzialedifformità tra la prima fase d’indagine e la suc-cessiva procedura di verifica preventiva dell’in-teresse archeologico. A proposito della prima fase,l’archeologo Luigi Malnati nota: «nessuna delleindagini previste è realmente risolutiva, e soprat-tutto consente di ritenere probante l’argumentumex silentio. In sostanza, se le ricerche d’archivio,bibliografiche, di superficie e le tecniche di fotoin-terpretazione possono certamente individuare,

con buoni margini di sicurezza, aree di interessearcheologico, non possono al contrario provareche le aree per cui mancano informazioni sianoprive di resti archeologici»5. Questo indurrebbele Soprintendenze a tenere un atteggiamento pre-ventivamente cautelare, con un sistematico rin-vio della questione alla seconda fase d’indaginesul campo.

Al di là di questi aspetti, è stata attribuita aquesta nuova legge il merito di aver colmato unvuoto legislativo in materia, che metteva tra l’al-tro l’Italia in una posizione di sostanziale disalli-neamento dalle più recenti convenzioni interna-zionali sul patrimonio archeologico. Un altrosegnale positivo, che vale la pena citare, è infineil recente protocollo d’intesa tra la DirezioneRegionale per i Beni Culturali e Paesaggistici del-la Lombardia ed il Centro Regionale deiCostruttori Edili Lombardi, sottoscritto nel 2006,forse l’unico al momento in Italia.

Nonostante siano ancora numerose le que-stioni d’approfondire, da questo rapido confron-to fra Italia ed Inghilterra emergono con una cer-ta chiarezza i seguenti aspetti:

- l’archeologia urbana italiana ha avuto unosviluppo tardivo rispetto a quella inglese;

- il nostro Paese si è dotato con ritardo quin-dicennale di strumenti legislativi volti ad inte-grare archeologia e sviluppo edilizio;

- gli archeologi inglesi hanno un ruolo pro-fessionale maggiormente definito rispetto agliarcheologi italiani;

- nel Regno Unito le conoscenze tecnico-inge-gneristiche a disposizione di operatori ed ammi-nistrazioni sono molto più approfondite;

- l’Italia non presenta una situazione partico-larmente strutturata in fatto di codici e di proto-colli d’intesa fra i diversi attori in campo.

Per concludere, in Italia il sistema di prote-zione dei resti archeologici urbani ha mostratonegli ultimi anni un deciso miglioramento, masconta ancora un evidente ritardo rispetto alle piùavanzate nazioni europee.

NOTE

1) O. ARUP AND PARTNERS, YORK UNIVERSITY e B.THORPE, York Archaeology and Development Study,York City Council and English Heritage, York 1991, p.5 (TdA).2) G. MCGILL, Building on the Past, Spon, Londra1995, p. 67.3) P. MELLI, «Italie», in COUNCIL OF EUROPE, Rapportsur la situation de l’archéologie urbaine en Europe,Edizioni del Consiglio d’Europa, Strasburgo 1999, p.135 (TdA).4) S. CARNEVALE, La verifica dell’interesse archeolo-gico (archeologia preventiva nelle opere pubbliche), in“Restauro Archeologico”, 2 (2008), pp. 35-37.5) L. MALNATI, La verifica preventiva dell’interessearcheologico, in “Aedon, Rivista di Arti e Diritto on-line”,3 (2005), http://www.aedon.mulino.it

* Alessandro Tricoli, architetto, laureato presso lo IUAVdi Venezia, è Dottorando di Ricerca in Recupero e Frui-zione dei Contesti Antichi all’Università degli Studi diPalermo.

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LUCE NEL MUSÉE NATIONAL DU MOYEN ÂGE ET DES THERMES DE CLUNY A PARIGI

Santina Di Salvo*

ABSTRACT – The Musée de Cluny represents the firstmuseum based on an idea of “museum-making withcontext consideration”. The exhibition of this hotel par-ticulier is a good example of integration between tech-nological aspects and cultural values, in which the sen-sitivity for rational illumination problems, both forindoor applications and for outdoor areas, is clearlydefined. The light here becomes an indicator of mean-ings, an opportunity of knowledge and improvement ofthe critical knowledge for places.

Nei primi anni del sec. XIII, l’Universitàdella Sorbona venne a stabilirsi in quel-

lo che sarebbe diventato il Quartiere Latino aParigi. Gli Abati di Cluny in Borgogna, comemolti altri, cercarono di avere una scuola e unpied-à-terre. Il collegio, costruito nella secondametà del sec. XIII, si trovava sull’attuale sitodella Sorbona, il pied-à-terre vicino alle terme.Alla fine del sec. XV, Jacques d’Amboise, abatedi Cluny (1485-1510) decise di ricostruire l’ab-bazia parigina in prossimità delle terme.

La costruzione, realizzata in tempi brevissi-mi, è oggi l'esempio integro più antico, a Parigi,di hotel particulier (residenza privata) dotato dicorte e giardino. Il palazzo è circondato da unmuro cieco merlato, non alto, “bucato” soltantoda un portale molto semplice (l’antica porta car-raia) e da un portoncino per i pedoni. L’edificio,a due piani con tetto d’ardesia (di cui un’alta ba-laustra nasconde l’attacco) e grandi abbaini, ècostituito da un corpo principale con due ali cheracchiudono il cortile. Ai diversi piani si accedeper mezzo di scale a chiocciola. All’interno èstata mantenuta la disposizione originaria degliambienti, almeno per quanto riguarda la volu-metria delle sale, l’orientamento dell’ingresso ela cappella.

Il Museo Nazionale Moyen Âge fu creatonel 1843 per riunire due eccezionali complessiparigini, le terme gallo-romane di Lutetia Pari-siorum (sec. I-III) e il tardo-medievale Hôtel de-gli abati de Cluny (fine sec. XV) e per ospitarein questo complesso, situato sulla Rive Gauche,poco lontano da Saint-Germain des Prés, la ric-chissima collezione di oggetti medievali raccoltida Alexandre du Sommerard (nell’Hôtel deCluny) e i pezzi rimasti della grande collezionevoluta da Alexandre Lenoir ai tempi della Rivo-luzione, smembrata ai tempi della Restaurazione(nell’edificio delle terme)1. Quest’ultima colle-zione era stata ospitata precedentemente al con-vento dei Petits-Augustins, dal 1975 Museo deiMonumenti Francesi. Lenoir, spinto da un inten-to commemorativo ed encomiastico, affidandosi

anche alle false attribuzioni, sia per mancanza dicompetenza storico-scientifica, sia per mancan-za di apertura mentale, pensava che le opere dalui raccolte, sottraendole ai tempi della Rivolu-zione, avrebbero dovuto testimoniare, secolodopo secolo, lo sviluppo della storia artisticafrancese.

Il Musée de Cluny rappresenta il primo mu-seo basato sull’idea che bisogna “musealizzarecontestualizzando”. Opere autentiche, in un con-testo autentico, vengono esposte secondo le loroautentiche funzioni, non astraendo e rinunciandoall’idea dell’accumulo enciclopedico deireperti2. Le collezioni offrono un panorama uni-co per quanto riguarda l’arte e la storia dellaFrancia nei primi anni del sec. XVI e permettonodi ripercorrere quasi quindici secoli di storia. Sipuò affermare che l’intento del museo è quello difarsi storia rivissuta e non esposta, seguendo laconcezione romantica ruskiniana di superare lamorte delle architetture, andando oltre la realtàdelle cose, oltre la tradizione stessa di museo. DuSommerard ha inventato la riproduzione di unacasa del passato, come in un programmato viag-gio a ritroso, la vita della città. Questi propositifanno parte a tutt’oggi del Musée du Moyen Âgeche ha aggiunto, agli intenti di Du Sommerard,non soltanto nuovi allestimenti ma anche più ag-giornate forme d’intrattenimento, quali gli spet-tacoli di musica e di poesia medievale.

Le restituzioni sono evocative e al contempopertinenti e adeguate a una percezione totaliz-zante. La sala più interessante, destinata a esibi-re gli arazzi del ciclo de La dame à la Licorne, ècircolare e consente una visione istantanea delciclo, poiché l’allestimento simile a quello di unpadiglione da caccia contribuisce a ricollocarelo spettatore nell’atmosfera del tempo e a indivi-duare un tipo di ambiente adeguato all’epoca.Per l’allestimento hanno concorso diversi fattoritra cui il cromatismo che, oltre a fare da sfondo,richiama perfettamente ambienti ed epoche or-mai sedimentati nell’immaginario collettivo, at-traverso stereotipi di grande pregnanza: i mate-riali e la luce che completano l’insieme confe-rendo calore e intimità.

Le Terme gallo-romane di Lutetia – Raccon-ta l’archeologo francese Didier Busson che «Lu-tetia Parisiorum, l’antica Parigi, era stata co-struita attorno all'attuale rue Saint-Jacques, veroasse della cittadina romana, a Sud della Senna,probabilmente da leader locali, dei galli roma-nizzati che godevano del sostegno di Roma, rea-Parigi. Musée de Cluny, ingresso.

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lizzata con mezzi locali, ma con uno schema tipi-camente romano, a testimonianza dell'universa-lità dell'impero»3. Lo stato di conservazione delsito ha permesso a Didier Busson e al suo teamdi rilevare con un buon margine di precisione idiversi strati e le varie epoche di costruzione delquartiere. Questa zona era stata abbandonata dalsec. III, rimanendo campagna fino al 1632 quan-do fu costruito, sui piani di Francois Mansard, ilConvento della Visitazione che lasciò il posto,nel 1910, all'attuale Istituto di Geografia4.

Le terme gallo-romane di Lutetia rappresen-tano una delle testimonianze più spettacolari diarchitettura dell’antica Gallia conservate inFrancia. Lutetia allora si divideva in due insiemiurbani, uno situato all'interno della città e l'altrosulla riva sinistra della Senna. Qui si sono svi-luppati vari complessi monumentali: il Foro Ro-mano situato sulla collina di Sainte-Geneviève,le arene situate in rue Monge, le terme a Est vi-cino il Collège de France, a Sud, presso la rueGay-Lussac e, a Nord, le terme di Cluny5. Lostato di conservazione delle terme è dovuto so-prattutto al continuo riutilizzo del complesso findal Medioevo6. Si possono, infatti, individuarefacilmente tre grandi sale: la sala fredda (frigi-darium) inglobata nel museo con la sua volta di15 m di altezza, la sala calda (caldarium), deli-mitata ad Ovest dal Boulevard Saint-Michel e

un’altra sala, a Sud, ad angolo tra BoulevardSaint-Michel e Rue Du Sommerard. Queste ulti-me due sale sono in parte rovinate dal sec.XVIII. I muri, in altezza, hanno conservato la lo-ro struttura originaria caratterizzata dall'uso dipiccole pietre squadrate separate, a intervalli re-golari, da file di mattoni. Le pareti, all’interno,erano rivestite di mosaici, marmi o pitture. Il fri-gidarium conserva alcune tracce: il frammentodi mosaico oggi esposto, “Un Amore che sovra-sta un Delfino”, potrebbe costituire le ultime ve-stigia. Questi complessi sono considerati, comemolti altri centri termali, tra i luoghi più rappre-sentativi della civiltà romana7.

“Sottolineare” il Museo – La luce naturale èun fattore importantissimo nell'ambito del Mu-seo Contemporaneo. Se da un lato la luce biancaottimizza la fruizione delle opere d'arte, dall'al-tro una serie di studi ha messo in evidenza comela luce diretta sia in realtà dannosissima, portan-do al degrado, ad alterazioni e perfino alla scom-parsa di alcuni colori. Per questo l'illuminazioneè oggi introdotta sfruttando i fenomeni di rifles-sione e di rifrazione della luce.

Dal 28 novembre 2002, nel Quartiere Latinodi Parigi, il Musée National du Moyen Âge bril-la di una nuova luce. Il Ministero della Cultura edella Comunicazione/Direction des Musées de

France, con il sostegno della Fondation Electri-cité de France, ha curato l'illuminazione dellefacciate degli edifici. Il progetto è stato affidatoad Anne Bureau8, lighting designer.

Il tipo d’illuminazione preserva l'intimità delluogo, rendendolo percettibile da un ambienteurbano complesso e frequentato. L’intervento ri-vela la minuziosità della progettista nel ricerca-re, attraverso la luce, un effetto naturale ed equi-librato, rispettoso dell’epoca a cui gli edifici ri-salgono9. In questo caso la cura storicistica si tra-duce nel disegno di apparecchi simili, nella for-ma e nel tipo di luce generata, a torce o a moder-ne candele: la luce morbida e baluginante che ri-schiara le facciate dell’edificio e il lato del giar-dino ricorda proprio la fiamma, in modo tale dagenerare ombre in continuo movimento che sialternano alla luce. Le lampade collocate rispec-chiano pienamente l’identità del luogo, non soloquella notturna, ma anche quella del giorno10.

La tecnologia luminosa adottata nei localidelle terme permette di nascondere le parti elet-triche dell’impianto (accessori e cavi di distribu-zione) e di alimentare gli apparecchi destinati al-l’illuminazione con una rete che si sviluppa nel-la parte alta. Si è applicato il concetto di un’illu-minazione diffusa per una visione generale del-l’insieme e puntuale per la comprensione speci-fica dei particolari. Sorgenti ad illuminazione di-

Musée de Cluny. Vista laterale.Musée de Cluny. Gruppo di proiettori collocati sul muro, in prossimità dell’ingresso.

Faretto a fibre ottiche a effetto fiammeggiante. Veduta dal cortile. Terme di Cluny. Frigidarium.

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Arazzi fiamminghi del sec. XV nella sala circolare de La dame à la Licorne.Volta della cappella all’interno dell’Hôtel de Cluny.

retta, opportunamente incassate in elementi a“binario” sono state utilizzate, infatti, per illumi-nare le sculture.

Il cortile – Nelle ore serali fonti di luce dietro ilmuro merlato illuminano la facciata di una tona-lità calda e di colore ambrato; la luce separa ivolumi mantenendo nette le ombre. Da un unicopunto accanto al portone d’ingresso, un gruppo diproiettori, dall’impatto visivo decisamente impor-tante, illumina il fronte principale, mentre la cimadella torre della scala è illuminata da una lucedall’effetto sfavillante. In prossimità dell'entratadel museo, una lanterna, fissata con un’applique,suggerisce una presenza notturna, in risposta allailluminazione proveniente dal cortile.

Il giardino medievale – Il giardino de “La fôret dela Licorne” è stato allestito nel 2000, ispirando-si alle collezioni medievali del museo. È compo-sto dalla Foresta dell'Unicorno, con il vialettosegnato dalle impronte degli animali presenti negliarazzi de La dame à la Licorne: conigli, volpi, illeone e... anche il liocorno; un piccolo orticellomedievale, diviso in parti e con piante adatte allacucina e all'uso medico, e un prato pieno dei fio-ri presenti nello sfondo degli arazzi sempre de Ladame à la Licorne, chiamato, non a caso,Millefleurs.

Si tratta di una ri-creazione dello spazio ester-no, ispirata alle collezioni del Museo: alberi dialto fusto evocano la foresta del Liocorno attornoa due piccole radure frequentate, all'ora di pran-zo, da studenti, mamme con bambini, anziani eturisti. Lo spazio più vicino all'ingresso è statoorganizzato come un giardino medioevale:un'aiuola rappresenta il ménagier (l'aiuola dellepiante utili, quello che noi chiameremmo orto); lasuccessiva aiuola allude al vero e proprio giardi-no delle piante semplici (con le piante medicina-li); segue il giardino celeste dove la rosa, la vio-letta, il giglio e l'iris rappresentano la Vergine;infine, il giardino d'amore, dove piante profuma-te evocano l'amore cortese e sensuale. Lo spazioconclusivo è il prato fiorito, abbellito da una fon-tana, oltre il quale si accede al Museo.

Di grande effetto, inoltre, è la visione nottur-na del giardino, con la sua particolare illumina-zione. Qui la luce sembra provenire dal cortiledove “piccoli oggetti” luminosi sottolineano i pro-fili con una luce di colore bianco caldo. Alcuniproiettori montati sul terreno e disposti tra questioggetti generano luci soffuse e digradanti nellefacciate (luce di tonalità ambrata)11. Aperture etorrette sono illuminate per mezzo di un sistemadi fibre ottiche dall’effetto fiammeggiante. Undispositivo che contiene un disco con frammentiirregolari, compresi vetri dicroici che generano

colori diversi, a rotazione, provoca effetti casua-li di colore e direzione che evocano il movimen-to simile alla luce di una fiamma. Questo effettodi luce è diretto verso le finestre e le torrette conmini proiettori collocati in contenitori sigillati,incassati nel pavimento del cortile.

Anche la volta sotto la cappella del portico èilluminata con una luce radente che ha la stessatonalità giallo-ambra che il sistema d’illumina-zione genera dal parterre. Si possono distinguerealcune sagome di piante e alberi in controlucedalla Boulevard Saint-Germain. Il sistema d’il-luminazione del Musée de Cluny è stato, in gene-rale, condizionato all’esterno dall’intensità lumi-nosa emanata dall’illuminazione pubblica del-l’intorno. Per questo motivo, è stato realizzato unlivello d’illuminazione principale debole inte-grato, poi, con il sistema di faretti a fibre ottiche.

Numerosi effetti come la fotoluminescenza,i contrasti, i bagliori in movimento, mettono inevidenza tutti i momenti della visita per comuni-care la comprensione del sito e delle opere chevi sono esposte. Inoltre dipinti, fotografie, video-proiezioni accompagnano il percorso valoriale,di senso, del visitatore alla scoperta e alla cono-scenza dei luoghi.

Si può affermare che l’illuminazione delmuseo di Cluny rappresenta un valido tentativodi integrazione tra valori culturali ed elementi tec-

Faretto a fibre ottiche situato tra le piante del giardino. Sala dei reperti gallico-romani. Porticato prospiciente il giardino medievale.

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Veduta del giardino medievale, con il sistema d’illuminazione nel parterre.

Muro merlato del fronte principale del Museo.

Veduta notturna delle Terme.

nologici, in cui si cerca di soddisfare la legittimaaspirazione alla ricontestualizzazione dei luoghi,accettando pienamente le domande poste dallacontemporaneità. Si tratta di costruire una ulte-riore opportunità di conoscenza, e, quindi, diaccrescimento della coscienza critica comune. Irisultati sono stati significativi: si è riusciti adottenere una percezione globale del luogo da ognipunto di vista, con interventi innovativi ed origi-nali, grazie agli accorgimenti illuminotecnici concui il progettista, attraverso un uso suggestivodella luce e delle sue “forme”, ricerca un effettoarmonico nel rispetto delle valenze architettoni-che, storiche, simboliche del complesso monu-mentale.

NOTE

1) Cfr. RUGGIERI TRICOLI M.C., I Fantasmi e le cose,La messa in scena della storia nella Comunicazionemuseale, Lybra Immagine, Milano 2000; pp. 94 - 95.Il Museo fu voluto da Alexandre Du Sommerard, mili-tare poi entrato alla Corte dei Conti (1779-1842), chein tempi in cui il Medioevo non andava affatto di modasi era appassionato all'epoca e ai suoi oggetti, metten-do insieme una vasta collezione. L'uomo era socievo-le, mondano e amico di letterati, e mostrava volentie-ri la collezione. Poiché aveva ormai bisogno di piùspazio), decise di acquistare l’Hôtel des abbés deCluny. Alla sua morte (si era già in piena età romanti-ca e il medioevo era diventato interessante), lo Statoacquisì l'Hotel, le collezioni, e anche le Terme crean-do qui, nel 1843, il Museo nazionale del Medioevo.2) Cfr. RUGGIERI TRICOLI M.C., Luoghi, storie, musei.Percorsi e prospettive del luogo nell’epoca della glo-balizzazione, Dario Flaccovio, Palermo 2005; p. 30.3) Cfr. BUSSON D., ALIX N., Paris, a Roman City,Monum - Editions du Patrimoine, 2003 Parigi.4) Cfr. il sito www.agenews.it.5) Cfr. RINALDI TARUFI S., Archeologia delle provinceromane, Carucci, Roma 2000.6) Cfr. ERLANDE-BRANDENBURG A., LE POGAM P. Y.,SANDRON D., Musée National du Moyen Âge Thermesde Cluny; Guida delle collezioni, RMN Parigi 1995.7) Cfr. il sito del museo www.musee-moyenage.fr/8) Anne Bureau, lighting designer, è nata a Parthenaynel 1970. La sua carriera inizia prima ancora di ottenerela laurea, con una tesi sulla notte e i differenti modi diguardare al buio. Non ha ancora vent’anni quando loscultore Yann Kersalé la vuole con sé per uno stagesull’illuminazione che le consente di seguire fra l’altroil cantiere “Nuit des Docks” a Saint-Nazaire.Altra collaborazione di prestigio è quella con GeorgeBernes, con il quale lavora nell’ambito del progetto diampliamento del Museo Van Gogh ad Amsterdam(architetto Kisho Kurokawa). La “scuola” che lascial’impronta più forte allo stile di Anne è però quella diRoger Narboni, nel cui studio – l’Agence Concepto –ha modo di crescere in competenze e responsabilità,fino a diventare capo progetto. Con Narboni, condivi-de in particolare l’amore per la luce al naturale, senzale eccessive contaminazioni del colore, e la ricerca diun’estrema coerenza fra la storia, la natura dell’ogget-to da illuminare e il tipo di illuminazione.9) Cfr. il sito www.annebureau.fr.10) Cfr. il sito www.lightacademy.org.11) Da Avant-projet des visites nocturnes des thermesde Cluny, nel sito www.maget.maget.free.fr/Site.

* Santina Di Salvo, architetto, è Dottoranda di Ricerca inRecupero e Fruizione dei Contesti Antichi, presso ilDipartimento di Progetto e Costruzione Ediliziadell’Università degli Studi di Palermo.

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LA CARTA AUDIS E LE AREE EX INDUSTRIALI

Carmelo Cipriano*

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ABSTRACT – From 1995 AUDIS (Association of UrbanAbandoned Areas) stimulates, through seminars, con-ferences and publications, the discussion about theregeneration of those areas improperly called urbanvoids. The main purpose of its activity is to define –observing what has been at the centre of the most recentdebate – the best practice for the many different eco-nomic and social institutions involved in the processof regeneration of abandoned areas. The final resultof this long activity is AUDIS Charter on UrbanRegeneration, presented in June 2008, a document thatdefines reference principles for developing and evalu-ating processes of conversion. The article analysesCharter’s “Quality Decalogue”, with reference toregeneration processes of former industrial areas.

L’Associazione Aree Urbane Dismesserappresenta, nel panorama italiano, un

influente punto di riferimento per le questionirelative alla riqualificazione e al riuso degli spa-zi e manufatti edilizi abbandonati per obsole-scenza degli assetti funzionali della città con-temporanea. Un ruolo che all’Associazione vienericonosciuto in considerazione della considere-vole esperienza maturata sul tema, dal 1995 adoggi, rispetto ad una specifica mission: «pro-muovere l’uso economicamente più efficiente esocialmente più equo delle aree dismesse, indu-striali e non, nonché di immobili già destinati adaltri usi dismessi od in via di dismissione in Italia,nonché il loro recupero secondo criteri dellamigliore qualità urbanistica, architettonica eambientale»1. Nel corso delle ultime due genera-zioni del dibattito2, l’AUDIS ha perseguito taleobiettivo attraverso una continua e variegata atti-vità di stimolo alla riflessione su specifici temi-chiave; ha organizzato seminari e convegni, pub-blicandone i relativi atti, e ha svolto workshop asupporto di diversi attori pubblici e privati. Unapluriennale attività sviluppata con il coinvolgi-mento di figure provenienti dal mondo accade-mico, istituzionale, economico e sociale, acco-munati dall’obiettivo di contribuire, in manieraincisiva, alla messa a fuoco di quei criteri di qua-lità e di sostenibilità indispensabili per la mag-giore diffusione delle pratiche del riuso3

Nel 2008 l’Associazione ha presentato laCarta AUDIS della Rigenerazione Urbana, natadall’esigenza di offrire ai soggetti che operanonella città uno strumento, a valenza generale esovra-contestuale, di orientamento per il governodei processi di riqualificazione, in un’ottica diriequilibrio e di sviluppo urbano4: un documentoin tre sezioni, in cui sono esposti l’insieme diidee, pratiche e parametri di qualità essenziali per

la costruzione e la valutazione dei programmi ditrasformazione delle aree urbane dismesse odismettibili5. Nella prima sezione – La Carta –sono elencati e illustrati i dieci elementi di qualità,ossia l’insieme dei criteri e dei principi strategicie tattici, «ritenuti necessari perché la trasforma-zione delle aree dismesse o dismettibili producanon solo la loro riqualificazione, ma la rigenera-zione urbana nel suo insieme»6. Questi elementisono: qualità urbana, qualità urbanistica, qua-lità architettonica, qualità dello spazio pubblico,qualità sociale, qualità economica, qualitàambientale, qualità energetica, qualità culturalee qualità paesaggistica. Nella seconda – Gli Attori– sono individuati i portatori d’interesse la cuipresenza nei processi decisionali è ritenuta fon-damentale per la costruzione del consenso attor-no ad uno specifico interesse collettivo. Questisono il Pubblico (regista, attore e arbitro dei pro-cessi decisionali e progettuali), il Privato econo-mico (cioè i proprietari, le imprese, gli investito-ri e gli sviluppatori portatori di legittimi interes-si di profitto), il Privato collettivo (i cittadini, ilavoratori, i fruitori, che sono detentori di legitti-mi interessi sociali). Infine, nella quarta sezione –Gli Strumenti – sono proposti i mezzi essenzialiper la definizione, nelle fasi di programmazione,e realizzazione, nelle fasi successive all’accordo,degli obiettivi condivisi della riconversione. Sonole politiche pubbliche, la partnership pubblicoprivata, la valutazione, l‘informazione, la parte-cipazione.

Tornando al decalogo delle qualità, di segui-to si proporranno alcune riflessioni su una speci-fica tipologia di aree dismesse, quelle ex indu-striali, oggetto della Tesi che chi scrive sta svi-luppando nell’ambito del Dottorato di ricerca inRecupero e Fruizione dei Contesti Antichi.L’obiettivo è chiarire, con riferimento a ciascunambito di qualità della Carta, ciò che occorresapere e ciò che occorre saper fare7 affinché lariconversione di un’area ex industriale possa costi-tuire occasione per la rigenerazione urbana.Fondamentale in questo senso è mirare, sin dallefasi iniziali del processo di trasformazione, siaalla qualità urbana che a quella urbanistica.«Perseguire la qualità urbana significa porre inrapporto dinamico tutti gli elementi legati allariqualificazione di un’area con quelli più ampidel contesto nel quale essa insiste. La somma disingoli buoni progetti non basta, infatti, a garan-tire qualità urbana, in termini di miglioramentodella vita dei cittadini»8. Questa qualità è funzio-ne della specifica identità di un’area ex indu-Westergasfabriek Park, Amsterdam: ingresso

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riconversione di questo sito ha previsto interven-ti sul sistema naturale che hanno condotto allasistemazione a parco dell’area annessa al cam-pus; importante spazio pubblico che assolve lafunzione di mitigare il rapporto fra la strutturauniversitaria e il contiguo comparto residenzia-le.

La qualità appena descritta costituisce uno deipresupposti per la realizzazione della qualitàsociale, che si persegue sulla base di una coscien-za di interessi collettivi senza la quale è difficileperseguire gli obiettivi sociali della riqualifica-zione. Come chiarito nella Carta, qualità sociale«significa benessere per gli abitanti (residenti ecity user), sia come individui che come colletti-vità. Il contesto urbano deve facilitare la coesio-ne, favorire i rapporti interpersonali e l’intera-zione con i luoghi, offrire servizi adeguati ed evi-tare processi di esclusione o emarginazione»14.L’individuazione degli obiettivi sociali avvieneattraverso appropriate azioni di governance, fun-zionali sia alla risoluzione dei potenziali conflit-ti, sia alla verifica delle ricadute sociali degli inter-venti. A tal proposito si richiamano i già citaticasi di Amsterdam e della Ruhr, i cui progettisono stati sviluppati con il contributo, nelle fasidecisionali, dei portatori d’interessi pubblici, eco-nomici e collettivi. Ad Amsterdam, in particola-re, i principali attori sono stati individuati in tut-te quelle forze pubbliche e private in grado diapportare un fondamentale contributo al succes-so dell‘impresa, attraverso l’attiva partecipazionenella definizione di una visione unitaria e condi-visa per il riuso dell’area dismessa. Tra questiattori i più rilevanti sono stati il Consiglio comu-nale di Amsterdam, il Consiglio di quartiere, lacomunità locale, i developers e i progettisti.

Oltre alle finalità sociali, gli interventi diriqualificazione sono sempre mossi da finalitàeconomiche. La qualità economica «di un inter-vento a scala urbana risiede essenzialmente indue fattori: la capacità di produrre occasioni disviluppo auto propulsivo duraturo nel tempo ecrescita economica dell’area urbana in cui si inse-risce; il bilanciamento tra la qualità tecnica, tem-pi, efficienza attuativa e costo globale per evita-re diseconomie nelle fasi di progettazione e rea-lizzazione dell’opera, nonché nella sua gestione emanutenzione»15.

La riqualificazione di un’area ex industriale èsostanzialmente un’operazione di tipo imprendi-toriale da sviluppare coerentemente ad una spe-cifica vocazione al recupero, quale misura dellaconvenienza di un intervento di riqualificazione.

striale, determinata da una variegata quantità difattori intrinseci (tra cui localizzazione e dimen-sioni, morfologia insediativa, tipologie architet-toniche, stato di contaminazione dei suoli) e con-testuali (relazioni urbane e territoriali).Presupposti per la qualità urbana sono la promo-zione, da parte delle istituzioni, di momenti dipartecipazione collettiva alle decisioni sul futurodell’area dismessa; la realizzazione di una mag-giore coesione sociale ed economica; l’integra-zione fisica, sociale ed economica con il contestourbano. Determinante, in questo senso, è la qua-lità urbanistica inquadrando ogni progetto di rige-nerazione «in una logica definita a monte daglistrumenti di pianificazione e programmazionestrategica di ampia scala, quali i piani urbanisti-ci generali, i piani strategici, o programmi deisindaci, ecc.»9. É necessario conoscere l’effica-cia che, in questa prospettiva, possono assumerei piani urbanistici (a scala locale, comunale eregionale) sia nell’indicare le possibili destina-zioni d’uso, sia nel determinare le modalità d’in-tegrazione con i sistemi infrastrutturali circostanti(viabilità, attrezzature per la sosta automobilisti-ca, trasporti pubblici, ecc.), sia nel definire i cri-teri specifici per gli interventi di valorizzazione.

Due casi paradigmatici per la qualità urbana eurbanistica sono, rispettivamente, ilWestergasfabriek Park di Amsterdam e ilLandschaftspark Duisburg-Nord. Il primo è ilrisultato della complessa riqualificazione deglispazi e manufatti di un’importante fabbrica delgas della capitale olandese. Il progetto è stato svi-luppato nel contesto di un programma di rinnovourbano avviato, alla fine degli anni Ottanta, alloscopo di migliorare complessivamente l’imma-gine della città10. Inaugurato nel 2003, il parcoculturale è stato realizzato sulla base di unmasterplan (affidato su concorso all’architettoamericano Kathrin Gustafson) che proponeva ilradicale riassetto ambientale e naturalistico del-l’area dismessa e la valorizzazione di quanto per-maneva della memoria architettonica dell’ex fab-brica. Riassetto che ha origine, sopratutto, nellanecessità di riconfigurare il sistema delle rela-zioni contestuali e di riattribuire un rinnovato ruo-lo urbano all’area riqualificata. Il Landschaftsparkdi Duisburg, invece, nasce da un’operazione anco-ra più complessa, che ha interessato l’interodistretto industriale della Ruhr in Germania. Inquesto caso, la trasformazione dell’ex fabbricadella Thyssen è stata inquadrata nel contesto del-le riqualificazione paesaggistica di un compren-sorio di circa 320 kmq, composto da diciassette

comuni del Land Nordrhein Westfalen11. Oltre alle qualità elencate, essenziale è mira-

re alla qualità architettonica che «si gioca insostanza su tre piani: la sfida alla contempora-neità e dei nuovi stili dell’abitare, del lavorare,del vivere, della multi-etnicità; l’uso delle nuovetecnologie compatibili con l’ambiente e che assi-curino il risparmio delle risorse; l’integrazione ela continuità con l’esistente, la storia dei luoghi ei fattori identitari locali»12. L’identità di un’areaex industriale è determinata in gran parte dallecaratteristiche dei manufatti dismessi residui, iquali devono essere indagati con riferimento all’e-poca di costruzione, ai modelli architettonici, aicaratteri morfologici e tipologici, alle tecnologiecostruttive e ai materiali impiegati, alle proble-matiche strutturali e di degrado. La conoscenzadei caratteri di ogni singolo manufatto risultadeterminante per la definizione di una scala divalori e, di conseguenza, per individuare le moda-lità d’intervento idonee per la loro rivalorizza-zione. L’importanza di tale qualità è ben rappre-sentata dalla Città della Scienza di Bagnoli, rea-lizzata tra il 1993 e il 2003 nell’area di pertinen-za della Federconsorzi, sita in prossimità dell’exIlva in cui il riuso ha previsto il recupero degliedifici esistenti e la realizzazione di nuovi manu-fatti. Esemplare al riguardo è il già citato parcoculturale di Amsterdam, dove gli edifici residuidell’antica fabbrica sono stati destinati a nuoviusi culturali e ricreativi nel rispetto dei valoriarcheologico-industriali. Tra questi edifici citiamoil Transformatorhuis, destinato a cinema; ilGashouder restaurato e destinato ad attività cul-turali di vario genere (opere teatrali, concerti,eccetera); la Machinegebouw, l’OostelijkMeterhuisjes, il Ketelhuis e per concludere ilZuiveringsgebouw; tutti edifici restaurati e riusa-ti rispettivamente per feste, piccoli eventi, cinemae spazio polifunzionale.

Passiamo adesso alla qualità dello spazio pub-blico che «ha una funzione di rilievo per riavvia-re i necessari processi di identificazione e inte-grazione sociale e per la riconoscibilità del luogo;è importante per la ricucitura e la fluida circola-zione e scambio con il contesto»13. Questa qua-lità è determinante per la ri-valorizzazione dellearee ex industriali nella loro identità urbanistica earchitettonica; è altresì necessaria per trasforma-re questi luoghi, da sempre avulsi dalla città, inluoghi più attraenti e sicuri. Significativo in talsenso è il Jubilee Campus Nottingham Universityrealizzato su un’area ex industriale di circa 17,5ettari ubicata ad Ovest del centro urbano. La

2-3-4. Il Westergasfabriek Park di Amsterdam: (da sinistra verso destra) l’area industriale nel 1927, aerofoto del Parco, vista interna

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Questa convenienza è funzione di un bilancio inpositivo tra costi necessari per la trasformazionee benefici economici e finanziari, potenzialmen-te conseguibili con la riqualificazione. I costi sonoquelli necessari sia per la realizzazione delle ope-re di pre-urbanizzazione (bonifiche e demolizio-ni) e delle opere pubbliche, sia per l’eventualeacquisto dell’area. I benefici, invece, dipendonodai parametri urbanistici previsti nei piani (indi-ce di fabbricabilità, destinazioni d’uso, ecc.)16. Laqualità economica si realizza, dunque, sulla basedi idonee valutazioni volte alla identificazionedelle ricadute conseguenti a determinate scelteprogettuali. Ricadute di tipo economico appun-to, oltre che finanziarie, sociali, urbane e ambien-tali. In riferimento a queste ultime, come chiari-to nella Carta «il recupero delle aree urbanedismesse ha due importanti ricadute sulla qualitàambientale: la prima è legata ai fattori generaliche definiscono la crescita sostenibile di una città;la seconda riguarda le bonifiche ambientali chetale recupero produce quando, come accade nel-la maggior parte di casi, si tratta di siti storica-mente inquinati»17. In generale, le aree ex indu-striali sono spazi nei quali l’uso particolarmentepoco attento alla qualità ambientale ha prodottoscenari tali da renderle separate dal resto dellecittà. Gli interventi su queste aree sono condi-zionati, sopratutto, dallo stato di contaminazio-ne delle componenti del sistema naturale.Preliminarmente allo sviluppo di un progetto ditrasformazione è essenziale realizzare le indagi-ni previste dalle norme in materia di bonifica.

5-6-7. Il Jubilee Campus Nottingham University: (da sinistra verso destra) aerofoto, vista sul lago interno e sull’edificio della biblioteca.

Indagini funzionali alla valutazione del livellod’inquinamento e alla conseguente individuazio-ne delle potenzialità di riuso dell’area dismessa.A questo proposito paradigmatico, in ambitonazionale, è il Parco urbano in corso di realiz-zazione, su progetto di un gruppo di progettazio-ne guidato dal prof. Francesco Cellini, nell’areadell’ex Ilva di Bagnoli. La presenza di alte con-centrazioni di metalli pesanti ha reso necessario laredazione, coerentemente alla legislazione inmateria, di un progetto di risanamento finalizza-to alla decontaminazione dei suoli e delle acque difalda e, quindi, alla sua messa in sicurezza.

A quella ambientale si affianca la qualitàenergetica. «Il rispetto dei principi della sosteni-bilità ambientale – si afferma nella Carta – sonoun requisito essenziale pienamente affermato ascala urbana. L’obiettivo dichiarato sono le eco-città, caratterizzate dal contenimento dei consumienergetici, dall’impiego minimo di risorse natu-rali, dalla riduzione dei rifiuti e delle emissioni cli-ma-alteranti, nel rispetto di elevati standard abi-tativi»18. La qualità energetica si riferisce all’im-piego di sistemi tecnologici idonei per la produ-zione di energia da fonti alternative (pannelli foto-voltaici, impianti per lo sfruttamento dei biogas,ecc.) e la sistemazione degli spazi aperti, del ver-de e dell’acqua. Rappresentativo in questo sensoè il Quartiere Bo01 che sorge nella zona portua-le di Malmö in Svezia, in un’area ex industrialebonificata in occasione della fiera europea del-l’edilizia La città del futuro del 2001. Il quartie-re nasce dalla sperimentazione di approcci pro-

8-9. Area ex Ilva di Bagnoli: aerofoto al termine della dismissione; rendering di progetto del Parco Urbano di Bagnoli

gettuali sostenibili, in applicazione dei principidell’Agenda 21 e dei relativi Programmi Europei.Alla base del processo progettuale si colloca ilprogramma di qualità ambientale e degli edifici,elaborato in compartecipazione dagli organizza-tori di Bo01 (esperti in gestione del progetto,ambiente, paesaggio e Information Tecnology),dai tecnici del Comune e dai rappresentati delleimprese di costruzione. Il quartiere è compostoda più di mille case d’abitazione (case isolate,case a schiera e blocchi d’appartamenti), uffici,negozi, bar, ristoranti, asili, scuole e biblioteche.Dal punto di vista energetico, il quartiere Bo01 èautonomo, avvalendosi dell’uso di fonti rinnova-bili quali energia eolica e solare. Un ruolo impor-tante è attribuito anche agli spazi pubblici all’a-perto, consistenti in una serie di parchi artistici,giardini e banchine che si sviluppano lungo ilwater-front e il canale interno al quartiere. Altroesempio emblematico, espressione di un’atten-zione alle questioni ambientali ed energetiche èquello che fa riferimento al già citato JubileeCampus Nottingham University, dove particolareattenzione è stata rivolta all’impiego di materia-li ecologici e soluzioni tecnologiche sostenibili.Sono state adottate efficienti soluzioni energeticheper la ventilazione, l’illuminazione, il riscalda-mento e il raffreddamento. Gli interventi sul siste-ma naturale hanno previsto la realizzazione diuno specchio d’acqua e una estesa radura che con-tribuiscono a migliorare le condizioni microcli-matiche. La vegetazione è stata selezionata e pian-tumata con lo scopo di conservare l’ambiente

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10-11. Il quartiere sperimentale Bo01 a Malmo(Svezia): aerofoto dell’area dismessa e vista sul quartiere.

se di importanza archeologico-industriale. Cfr. F.MANCUSO, «Progettare per l’archeologia industriale:un duplice decalogo di buone pratiche», in D.MAZZOTTA (a cura di), Il Patrimonio industriale trapassato e futuro. L’esperienza didattica a VittorioVeneto, Il Poligrafo,Venezia 2006, pp. 123-129.8) Carta Audis..., op. cit., p. 4.9) Ibidem.10) Cfr. D. GAUZIN-MÜLLER, Architettura sostenibile,Edizioni Ambiente, Milano 2003, p. 76.11) Cfr. C. CIPRIANO, «La valorizzazione delle areeindustriali dismesse nella Ruhr», in A. SPOSITO,Agathòn, Offset Studio, Palermo 2008/1, pp. 67-68.12) Carta Audis..., op. cit., p. 4.13) Ivi, p.514) Ibidem.15) Ibidem.16) Cfr. D. VIANELLO, «Programmazione e gestione delrecupero delle aree dismesse», in L. FAUSTINI, et Al.,Archeologia industriale. Metodologie di recupero efruizione del bene industriale. Atti del convegno (Prato,16-17 giugno 2000), Edifir, Firenze 2001, pp. 34-35.17) Carta Audis..., op. cit., p. 6.18) Ibidem.19) Ivi, p. 720) Ibidem.21) Ibidem.22) Cfr. A. CLEMENTI, «Presentazione», in M.MASCARUCCI (a cura di), Complessità e qualità del pro-getto urbano, Meltemi, Roma 2005, p. 8.

* Carmelo Cipriano è architetto e Dottorando di Ricercain Recupero e Fruizione dei Contesti Antichi alla Univer-sità degli Studi di Palermo. All’attività di ricerca affiancal’attività professionale nei settori della riqualificazioneurbana e del recupero edilizio.

naturale autoctono e la biodiversità. Non meno importante di quelle sopra elenca-

te è la qualità culturale, essenziale per il succes-so di un processo di riconversione. Questa qualitàsi persegue progettando «trasformazioni che sia-no in continuità con le evoluzioni storico-culturalidel luogo, o in necessaria e costruttiva rottura,sulla base della consapevolezza del portato dellastoria fisica, economica e sociale dell’area in que-stione e della città»19. Le aree ex industriali sonospesso luoghi rappresentativi di una specifica epo-ca produttiva; residui di una civiltà industrialeche ha origine nella struttura economica e socia-le di una particolare comunità. La qualità culturalesi persegue sulla scorta del riconoscimento di queivalori testimoniali, espressione di una specificaidentità storica. In tal senso, una delle finalità delprogetto di riconversione deve essere quello diricomporre un sistema di continuità coerente-mente con le esigenze dello sviluppo urbano.

Ma è soprattutto sulla base della qualità pae-saggistica che si misura il successo o meno di unintervento di riqualificazione di un’area ex indu-striale. Questa «deriva dall’insieme delle qualitàraggiunte negli ambiti già citati, nei casi in cui laloro composizione crea un rinnovato senso delluogo»20. In breve, la qualità paesaggistica rap-presenta l’integrale di tutti gli elementi elencati,una «giusta sintesi tra la morfologia del territorio,il patrimonio presente, il sistema delle risorse dicui gode e il sistema sociale ed economico espres-so dalla comunità che in esso vive, creando unbene paesaggio inteso come costruzione colletti-va»21. Tutti i casi sopra riportati possono essereconsiderati nel complesso paradigmatici di unaqualità paesaggistica perseguita in ogni fase, prog-ettuale e d’intervento, quale presupposto per larigenerazione urbana e per il miglioramento del-la qualità della vita.

Alberto Clementi, docente di ProgettazioneUrbanistica presso l’Università di Pescara, haosservato che la qualità nel progetto urbano «vaconsiderata per definizione un valore relaziona-le, che prende forma nella mutevole interdipen-denza delle diverse dimensioni in gioco, tuttealtrettanto importanti nella configurazione deirisultati finali del progetto, ma al tempo stessotutte incapaci da sole di assicurare la bontà degliesiti voluti»22. Estendendo tale osservazione alprogetto di riconversione delle aree ex industria-li, le dimensioni in gioco, determinanti per la qua-lità totale di una trasformazione, sono quelle espo-ste nella Carta AUDIS. Qualità che è, sopratutto,

NOTE

1) Cfr. art. 3 dello Statuto dell’associazione, in sitoAUDIS online.2) Ad oggi si contano tre generazioni di sviluppo deldibattito: la prima, degli anni Ottanta, contraddistintadalla presa di consapevolezza della complessità e vastitàdel fenomeno di dismissione; la seconda, degli anniNovanta, in cui la presenza degli spazi obsoleti comin-cia ad essere considerata occasione per la trasforma-zione delle città; infine, la terza, ancora in corso, in cuile aree dismesse sono essenzialmente delle risorse perla riqualificazione architettonica, ambientale, econo-mica e sociale della città contemporanea. Cfr. C.GARGIULO, L.C. TRAVASCIO, «Conservare, ristrutturare,demolire: vincoli, scelte ed opportunità nella trasfor-mazione delle aree dismesse», al Convegno Inertech(Rimini, 7.11.2007), sito AUDIS online, p. 2. 3) L’associazione conta tra i suoi soci alcune ammini-strazioni comunali (Venezia, Milano, Roma) eUniversità (Torino, Napoli, Venezia), e diverse societàprivate e miste (Bagnolifutura, Sviluppo Italia, ecc.).4) La presentazione si è svolta nell’ambito dell’ExpoItalia Real Estate, il salone dedicato al mercato immo-biliare e al real estate italiano e dell’area mediterranea,tenutosi presso la Fiera di Milano.5) Carta Audis della Rigenerazione Urbana, p. 2.6) Carta Audis..., op. cit., p. 3.7) Nel 2006, Franco Mancuso - professore diProgettazione urbanistica presso l’Università Iuav diVenezia – ha impiegato queste due espressioni nel tito-lare due decaloghi di buone pratiche, elaborati con rife-rimento alla riqualificazione e recupero di aree dismes-

l’esito di un’efficace ed efficiente processo deci-sionale volto, durante l’intero ciclo del progetto(dalla fase di conoscenza, alla definizione delleidee-progetto, alla valutazione, alle modalità del-la governance, alla realizzazione dell’accordo suun progetto condiviso dai diversi portatori d’in-teressi) alla messa a sistema dei principi dellaCarta. Un iter lungo e complesso, da gestire econtrollare ricorrendo ad approcci innovativi ispi-rati al project management, da sviluppare con ilcoinvolgimento di diversi attori e l’integrazionedi varie competenze disciplinari e professionali.

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LEONARDO RICCI AL MONTE DEGLI ULIVI,ARCHITETTURA DA CONSERVARE

Pietro Artale*

ABSTRACT – The attention demonstrated by the Regionof Sicily, which has inscribed in the list of notable worksof contemporary architecture the complex called“Monte degli Ulivi” in Riesi, built by the architectLeonardo Ricci, shows an architectural object of rarebeauty. The harmony of Ricci’s project requires a crit-ical re-consideration of the concept of “restoration”to be adopted in this work, because of the social andartistic value, which it had and continues to have.

Un profondo e rinnovato interesse per l’ar-chitettura degli anni Sessanta ha portato

all’inserimento dell’architettura di LeonardoRicci nel catalogo dei beni tutelati dal DARC1

con un forte interesse della Tavola Valdese e delServizio Cristiano, rispettivamente proprietario egestore del Monte degli Ulivi, a Riesi inProvincia di Caltanissetta. Da qualche anno inSicilia il DARC si è adoperato per individuareopere realizzate negli ultimi cinquant'anni, pro-cedendo alla schedatura dell’evoluzione delcostruito nell’Isola. Individuare le architetturecontemporanee presenti in Sicilia, rappresentaun grande impegno per la tutela dei beni archi-tettonici e del contesto sociale ed economico incui si inseriscono. Tra le opere presenti nell’e-lenco del Dipartimento siciliano figura quelladell’architetto Leonardo Ricci: il Villaggio Montedegli Ulivi.

Nel 1961 la Comunità Valdese del ServizioCristiano, guidata dal pastore Tullio Vinay2 si èstabilito a Riesi, con la volontà di sostenere lacittadinanza verso un cambiamento reale e un rin-novamento dei diversi ambiti della vita sociale(assistenza, istruzione, economia). Tullio Vinay,dopo avere condotto l’esperienza del CentroEcumenico di Agape3 a Pinerolo, decide, sullabase di un’inchiesta condotta dalla ComunitàValdese nel meridione d’Italia, di edificare a Riesiuna comunità. L’attività del Servizio Cristianoera articolata con la proposizione di diverse ini-ziative rivolte ai cittadini e nella realizzazione diun insieme di edifici di servizio necessari allacittà, concentrati in una località limitrofa cheavrebbe preso il nome di “Monte degli Ulivi”.Per la progettazione del nuovo complesso archi-tettonico, Vinay si rivolgeva all’architetto e ami-co Leonardo Ricci, che già aveva saputo beneinterpretare le esigenze, la vocazione e gli obiet-tivi della Comunità Valdese, occupandosi del vil-laggio Ecumenico di Agape (1947-1951).

Leonardo Ricci, nato a Roma nel 1918, si lau-rea in Architettura a Firenze con GiovanniMichelucci, di cui oltre che allievo sarà assisten-

te e collaboratore. Dotato di una prorompente per-sonalità, egli infonde nelle sue opere una grandepassione per l’esistenza, facendo dell’uomo ilvero protagonista della sua architettura. Infatti,egli sostiene che la prima vera operazione archi-tettonica non è prendere un pezzo di carta e dise-gnare forme e schemi distributivi, ma immagina-re nello spazio il movimento di coloro che lo abi-teranno4. Ricci rifiuta le regole precostituite del-l’architettura antica, cerca di scardinare la visio-ne tradizionale dell’architettura, creando spazi ingrado di stimolare nuovi rapporti sociali all’in-terno della società. Per questo contesta l’opera diLe Corbusier, definendo l’Unité d’Habitation unasorta di albergo, un contenitore che non si pone ilproblema dell’abitare5. Ricci,invece,prediligeun’architettura tesa a valorizzare i rapporti conla comunità, cercando un interazione guardandoalle esigenze dei fruitori delle sue architetture;per tale scopo, nei suoi progetti, adotta tipologieconventuali, strutture collegate tra loro tramitepercorsi e passaggi attrezzati, al fine di favorire lerelazioni fra le parti.

L’esperienza di Leonardo Ricci, con il pro-getto per il Villaggio Monte degli Ulivi (1962-1968), oltre ad essere una delle più intriganti tap-pe del suo percorso progettuale, rappresenta altre-sì un’occasione di approfondimento e di concre-ta sperimentazione della sua ricerca per l‘inte-grazione ambientale fra residenza e lavoro; anchese l’opera non è stata completata, essa sarà con-siderata dall’Autore un importante momento diarricchimento sentimentale e conoscitivo. Si trat-ta di un progetto che Ricci sviluppa in manierainnovativa, sia dal punto di vista formale e tecni-co, sia da quello dell’organizzazione spaziale ascala urbana, riuscendo a superare difficoltà note-volissime, quali: l’estrema lontananza dell’area(abitando egli a Firenze); la povertà della popo-lazione e dei mezzi a disposizione; la fatica nelmantenere i necessari e continuativi collegamen-ti con il cantiere; la diffidenza e l’ostilità inizialeda parte dei poteri locali, l’invadente presenzadella committenza nella conduzione del lavoro,preoccupata dei costi e anche della congruenzadi certi spazi con le attività previste.

Tuttavia, tale intricato insieme di problemati-che, che per molti poteva apparire come un muroinsormontabile, per il giovane architetto dal«carattere volitivo e tormentato, generoso e inap-pagato di sé, sempre pronto a mettersi in discus-sione»6, non rappresenterà un ostacolo, ma piut-tosto un incentivo, che solamente chi è preso dauna grande sfida progettuale è in grado di coglie-

Schizzi di progetto, da L. Ricci, Nascita di un villaggioper una nuova comunità in Sicilia in «Domus», n. 409,dicembre 1963.

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Restituzione planimetrica del piano primo della Scuola Materna.Planimetria di progetto, da L. Ricci, in «Domus», n. 409,dicembre 1963.

re. L’esperienza di Ricci, inoltre, può essere con-siderata una lezione di grande valore per l’attua-lità delle tematiche di ricerca, oltre che per la coe-renza di metodo. Questi temi possono essere con-siderati costanti nell’opera dell’Autore.

Il Villaggio Monte degli Ulivi è costituito dasei dei sette edifici previsti: l’asilo, la scuola ele-mentare, la casa comunitaria, la scuola officina, leresidenze, la direzione. Non è stata relizzatal’Ecclesia. L’impianto generale nella prima ipotesidi progetto, si imposta su di un asse longitudina-le, quello della collina, e su un grande vuoto cen-trale attorno a cui si articolano gli edifici, chesono in rapporto con il sistema orografico, nelrispetto della presenza e dell’ubicazione deglialberi di ulivo esistenti. Gli edifici previsti sonocosì denominati: Chiesa, Scuola Elementare,Asilo, Officina, Uffici, Alloggi per famiglie,Camere per scapoli, Locali di riunione (plani-metria del settembre 1962).

Nel novembre del 1962, in occasione del pri-mo viaggio a Riesi, Ricci in compagnia dell’ar-chitetto Del Fungo, ha la possibilità di conoscerein modo ancora più approfondito l’area di progetto.Dopo questo sopralluogo l’Autore elabora un’ulteriore soluzione planimetrica, evoluzione del-la precedente e molto vicina alla realizzazionefinale. L’impianto si articola attorno al viale diaccesso, caratterizzato dalla presenza di due edi-fici, l’Atelier di ricamo (non più esistente) el’Edificio della Biblioteca e Sala Riunioni, cheritmano l’ingresso al Villaggio e conducono allaCollina, introdotta da un piazzale di forma ovoi-dale. Gli edifici del nucleo comunitario, dispostisulla collina in rapporto organico con il suolo,sono: l’Asilo, la Scuola Officina Meccanica, laScuola Elementare, la Casa Comunitaria, la Casaper Famiglie. Sono indicati anche un edificio pergli Uffici e una Scuola Media, di cui si hannonotizie in alcune lettere e schizzi di studio.

La parte più alta della collina, come una acro-poli, viene contraddistinta dalla collocazione diuna Ecclesia, centro simbolico e spirituale dellacomunità. Nella volontà dell’Architetto e dellacommittenza c’è, inoltre, l’intenzione di proget-tare con la partecipazione degli abitanti di Riesi unsistema di abitazioni in continuità con il Villaggio,a ovest, verso il Monte Giarratano. Il progetto,però, per numerose ragioni viene gradualmenteperso di vista e poi abbandonato. Dallo studiodegli elaborati di progetto si può rilevare comegli edifici si configurino ognuno secondo una pro-pria specificità, pur interpretando gli stessi ele-menti fondativi e principi architettonici. Lungoil viale di accesso, l’Atelier di Ricamo e l’Edificioper la Biblioteca - Sala riunioni sono ideati comeedifici gemelli, di forma semplice e con caratte-re urbano; l’articolazione del volume è scandita dapiani verticali in pietra informe a vista e piani oriz-zontali in cemento intonacato. L’Asilo presenta un

Prima versione dell’Ecclesia, disegno prospettico (da L. Ricci, Nascita di un villaggio per una nuova comunità inSicilia in «Domus», n. 409, dicembre 1963).

Configurazione planimetrica attuale.

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Vista frontale dell’Asilo.

impianto di forma trapezoidale allungata, tagliato dauno stretto corpo trasversale e avvolto da un recintocurvilineo che definisce due pati7.

L’intervento dell’Autore può essere conside-rato un interessante esempio di architettura deglianni Sessanta in cui viene elaborata ed espressauna ricerca specifica sulla forma architettonica esu di un nuovo concetto di spazio e di abitare. Lespecificità dell’opera risiedono nella singolaritàdel linguaggio figurativo, nel carattere plastico-scultoreo di ispirazione informale e di influenzaorganica, nelle qualità di derivazione espressio-nista e brutalista, nel sapiente rapporto con lanatura e il paesaggio. E ancora, nell’insieme diprincipi compositivi ed elementi di identità chestrutturano il sistema generale come organismounitario ed i diversi edifici nella propria indivi-dualità, nella particolare interpretazione di unanuova idea di comunità, nel criterio della parte-cipazione, come metodo progettuale dell’Autore.

Il progetto rappresenta una sintesi della per-sonale ricerca architettonica, condotta nel primoperiodo di attività (anni ’50-’60), in cui conflui-scono alcune delle diverse esperienze delMovimento Moderno (neoplasticismo, movi-mento organico, espressionismo, informale, bru-talismo). È, infatti, possibile riconoscere esplici-ti riferimenti ad alcune opere di Le Corbusier, tracui la Cappella di Ronchamp (1950-1955), di cuiripropone la plasticità volumetrica, l’espressivitàdella materia e l’impianto su matrice curvilinea,il Padiglione Philips all’Expo Universale diBruxelles (1958) per la complessità della sua for-ma o ancora alcuni echi dell’esperienza diChandigarh (1951-1965). Numerose sollecita-zioni provengono anche dall’esperienza di FrankLloyd Wright e di Alvar Aalto e, in generale, dal-la lezione organica, di cui accoglie la capacità diespressione e di articolazione dello spazio in for-me libere e il rapporto di integrazione fra l’ar-

chitettura e la morfologia del luogo. L’indaginesulle forme nuove e su una nuova concezione dispazio viene, inoltre, alimentata negli anni ’50 e’60 attraverso alcune esperienze internazionali:le relazioni con la cultura artistica e architettoni-ca parigina, e le diverse attività svolte negli StatiUniti (progetti, realizzazioni, concorsi, mostre,docenza universitaria e le pubblicazione del suolibro Anonimo del XX Secolo). Infine, anche l’ar-te pittorica ritorna nel progetto per Riesi attra-verso la lezione di Pablo Picasso e del cubi-smo o i riferimenti ad alcune opere di JoanMirò.

Il carattere di sperimentalismo del linguaggioarchitettonico di Ricci, sollecitato dall’esigenzadi una nuova forma di anonimato, trova nel pro-getto del Monte degli Ulivi una personale ematura interpretazione, espressa attraverso unasintesi del rapporto fra innovazione moderna etradizione antica. Altri temi indagati ed enun-

Vista della Casa per Famiglie. La copertura della Scuola Materna.Vista della Casa per Famiglie.

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Particolare del fronte principale della Scuola Professionale, oggi sede della Direzione.

ciati attraverso il progetto sono quelli del vil-laggio comunitario e della pianificazione orga-nica integrata e partecipata alla luce di unanuova concezione urbanistica, fondata su unanuova idea di città, che costituiva questionecentrale nel dibattito culturale degli anni ’50-’60.

L’armonia dell’intervento di Ricci imponeuna considerazione critica sul concetto di restau-ro da adottare in quest’opera per il valore socia-le e artistico che ha avuto e che continua ad ave-re. Infatti, ancora oggi dopo cinquant’anni lastruttura progettata da Ricci è ancora utilizzatadal Servizio Cristiano, presenta notevoli degradinonostante l’ordinaria manutenzione della pro-prietà. A partire dal riconoscimento del DARC, sivuole cercare di individuare le competenze e lemetodologie di restauro da utilizzare per il recu-pero e la valorizzazione del complesso.

Conservare l’antico o il moderno comportalo studio e la comprensione dei suoi specificivalori, l’individuazione dei meccanismi e dei cri-teri che ne hanno regolato la realizzazione, la tra-sformazione e la fruizione. Un argomento moltocomplesso che ci obbliga a fare i conti con i temifondanti della civiltà contemporanea, con i nuo-vi significati assunti dagli stessi monumenti inrelazione alle profonde trasformazioni sociali,culturali, tecnologiche ed economiche. È neces-sario allontanarsi dalle pratiche proprie degli acca-nimenti terapeutici senza predisporsi all’ascoltoconcreto e costruttivo del messaggio che il monu-mento continuamente sussurra, perché soppiantatodal rumore delle battaglie ideologiche e profes-sionali.

Nell’agire frenetico e affannoso, che si per-cepisce oggi più che mai nei cantieri di restauro,sembra del tutto mancare la sapienza di chi hachiari obiettivi, di chi intravede nel proprio agirela messa in opera di quell’esclusivo messaggioletto direttamente sul monumento. Solo così ilrestauro potrà essere il momento del riconosci-mento, un atto non meramente tecnico ma criti-

camente e culturalmente orientato, caso per caso,e contemporaneamente distaccato dall’affannosaricerca di una collocazione all’interno di dizio-nari e manuali8.

«Da un punto di vista progettuale esiste un’u-nità metodologica che riguarda il rilievo, lo studiostorico, l’analisi dei materiali e ovviamente ciòche cambia sono le tecniche costruttive, le com-petenze delle maestranze specializzate che inter-vengono e altro ancora. Ciò è quanto affermatoanche da Giovanni Carbonara, relativamente allarecente esperienza di restauro del GrattacieloPirelli a Milano, in cui i criteri propri del restau-ro dei monumenti hanno funzionato molto bene,anche se innestati su temi contemporanei e sucompetenze tecniche altamente specialistiche, incui non sempre il restauratore tradizionale ha tro-vato il suo idoneo spazio operativo. Infatti, ilricorso a tecniche costruttive innovative e la pre-senza di materiali più moderni, quali ad esempiol’alluminio, hanno richiesto maestranze in gradodi intervenire in modo appropriato e con compe-tenze specifiche»9.

Illuminante e chiarificatore è quanto affer-mato da Gillo Dorfles sul restauro del moderno:

«Non mi sembra si possa parlare di un restau-ro del moderno senza tener conto dell’Antico.Intanto, perché, se un edificio è da restaurare,questo già implica che lo stesso è d’un sia purprossimo passato; dunque non è più decisamentemoderno»10.

NOTE

1) Direzione Generale per l’Architettura e l'ArteContemporanee costituito a seguito della legge regio-nale n.15/ 2006, su richiesta degli autori o dei com-mittenti pubblici o privati, il dipartimento regionale perl'architettura e l'arte contemporanea dichiara l'impor-tante interesse artistico delle opere di architettura con-temporanea ai sensi dell'articolo 20 della legge regionale9 agosto 2002, n. 9, e dell'articolo 20 della legge 22aprile 1941, n.633 e successive modificazioni.

2) Pastore Valdese, Senatore della Repubblica dal 1976al 1983, nel 1961 accettò di svolgere il suo ministeropastorale in Sicilia dove, nella cittadina di Riesi, fondòil centro Servizio Cristiano.3) Centro Ecumenico Agap fondato da Tullio Vinay nel1947, progettato da Leonardo Ricci.4) L. Ricci, Uno spazio per nuovi segnali, in A. Nardi(a cura di), Leonardo Ricci – testi opere, sette progettirecenti di Leonardo Ricci, Italia Grafiche, 1984.5) F. ROSSI PRODI, Carattere dell'architettura toscana,Roma 2003, p. 19.6) G. BARTOLOZZI, Ricci, lo spazio inseguito, Roma2004.7) Cfr. Il Villaggio Monte degli Ulivi a Riesi (CL)Leonardo Ricci, 1962-68, relazione a cura del DARC,con la collaborazione dell’arch. Cinzia De Luca.8) Cfr. C. BRANDI, Teorie del restauro, Enaudi, Torino1977.9) Cfr. M. A. CRIPPA, Il restauro del grattacielo Pirelli,Skira, Milano 2007.10) Cfr. G. DORFLES, Il restauro del Moderno rispettoall’Antico, in “Arte/Architettura/Ambiente”, settembre2004.N.B.

I disegni e le immagini riprodotte sono dell’autore edatate 2008, salvo diversa indicazione.

BIBLIOGRAFIA

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* Pietro Artale, architetto, è esperto in recupero edilizio edè Dot torando di Ricerca in Recupero e Fruizione dei Con -testi Antichi presso l’Università degli Studi di Palermo.

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ABSTRACT – Periurban areas are the ‘scenario’ of atransfigured rural culture marked by opposing matricesand dynamics including spaces and complex socio-eco-nomic interactions. These areas require a territorialand landscape design vision able to combine productivedimension, sustainable use of resources and a localdevelopment project shared by the community throughthe adoption of development policies based on the rein-forcement of the relational value of history, nature andlocal identities. The periurban countryside becomesa place which allows to experiment with strategiesdevised to tackle the problems determined by the urbansprawl. In particular, the agricultural park reveals to bean interesting and specific support tool for those plan-ning and governance techniques aiming at recoveringthe identity, economic and social value of open spacesthrough the expression of a new contemporary land-scape culture.

Gli spazi intorno alla città sono stati peroltre mezzo secolo, nello scorso millen-

nio, il serbatoio di suolo su cui realizzare le nuoveespansioni urbane. Nelle aree periurbane campagnae natura si intrecciano con il costruito della città: unmosaico di isole verdi chiuse tra le maglie dellarete infrastrutturale, un “terzo territorio”, scenariodi una cultura rurale trasformata, frutto di un’ibri-dazione in corso tra ruralità e urbanità1.

Le aree agricole, altamente frazionate a cau-sa del passaggio di infrastrutture o condutture diservizi, subiscono la diffusione delle residenze,la penetrazione di attività estranee all’agricoltura,l’abusivismo edilizio, la distruzione o l’altera-zione delle infrastrutture agricole, l’inquinamen-to dell’aria, delle acque e dei suoli. La frangiaperiurbana che la città distende sulla corona agri-cola è divenuta il luogo dove la città decentra atti-vità ad essa indispensabili, ma ambientalmenteincompatibili con lo spazio residenziale urbano,configurando un territorio dove la sfida fra svi-luppo della città, tutela e valorizzazione del pae-saggio agronaturale si pone nei termini più acuti.

L’indebolimento del legame abitativo con iluoghi della produzione agricola, il diffuso scol-lamento tra abitazione e produzione, tra insedia-mento e conduzione agraria, ha alterato nella suaidentità primaria il paesaggio rurale, sempre piùframmentato dal punto di vista dell’equilibrioeconomico-sociale ed ambientale. La cementifi-cazione diffusa del territorio agricolo, lo sfran-giamento dell’edificato, la realizzazione spessoscarsamente razionale di numerose opere infra-strutturali e poli di servizio, ha dato luogo sia auna perdita netta del valore agronomico dei suo-li sia a una crescita della attesa edificatoria e delconseguente valore fondiario. La crescita urbanaè vincente nella competizione con le economie

agricole soprattutto quando esse sono povere enon viene riconosciuta la rilevanza naturalistica estorico-culturale degli spazi rurali che esse sonoin grado di mantenere. I territori periurbani, conil passare del tempo, perdono, quindi, le caratte-ristiche rurali per divenire sempre più urbanizza-ti e richiedono un articolato processo di gestionedel territorio.

La ricerca di modelli progettuali e gestionaliinnovativi – Per queste parti di territorio in cui ildebole controllo nella disciplina degli usi del suo-lo e delle forme urbane ha permesso uno svilup-po dovuto ad una fortissima individualità di pra-tiche abitative e di consumo, ci si chiede qualisiano le possibili azioni di gestione e attraversoquali strumenti si possano produrre assetti del ter-ritorio più rispondenti all’interesse collettivo.

Le questioni sulle quali ci si interroga posso-no essere ricondotte ad alcuni temi generali: lacapacità delle funzioni agricole e degli agricol-tori di vivere nella prossimità urbana con un pro-getto culturale ed economico innovativo; la soste-nibilità della città e l’uso delle risorse tale dagarantire la qualità di vita e la salubrità; la capa-cità della nozione paesaggio di essere categoriaeuristica, che promuova progetti di comunità eterritori a partire da una prospettiva agriurbana2.Mentre paesaggio urbano e paesaggio ruralerisultano generalmente riconoscibili con chiarez-za e assoggettabili a scelte programmatorie e pro-gettuali in larga parte inquadrate in categorie diindirizzi codificate, per i “paesaggi periurbani”si cerca ancora di definire con altrettanta chia-rezza le più idonee direzioni di intervento.

Innovativi criteri progettuali e pianificatoriper il territorio periurbano vengono basati sullaformazione ed il riconoscimento di alcuni capi-saldi dell’organizzazione dello spazio antropico,immancabilmente legati al fondamentale ricono-scimento dei caratteri della società che, abitan-dovi, agisce sul territorio e ne produce le trasfor-mazioni. Se periurbano è diventato quella dimen-sione fisica, sociale ed economica in cui convi-vono stabilmente caratteri e segni differenti, matri-ci e dinamiche contrapposte derivanti da proces-si di ruralizzazione e urbanizzazione, ne consegueuna ricerca di strategie di gestione del territoriobasate sul riconoscimento di una realtà costituitada un continuum urbano-rurale, dato dal periur-bano e dal rurale urbanizzato3.

La permanenza di caratteri agrari e seminatu-rali costituisce una proprietà distintiva e il poten-ziale punto di forza su cui basare la sfida proget-tuale dei paesaggi periurbani: interpretare tali spa-

TRA CAMPAGNA E CITTÀ: TUTELA E VALORIZZAZIONE DELPAESAGGIO PERIURBANO

Angela Katiuscia Sferrazza*

Agriculture, plate I, tavola tratta dall’ Enciclopedia diDenis Diderot (1713-84), 1762.G. Segantini, La raccolta del fieno, 1889.

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zi a partire del patrimonio di risorse identitarieche possiedono, da quelle fisico-naturalistiche,morfologiche ed ambientali, a quelle di caratterestorico-culturale così come sociale e simbolico,legate a vocazioni e tradizioni di tipo agricolo ealle strutture organizzative della civiltà contadi-na, riconoscendo e rafforzando il valore relazionalefra storia, natura e identità locali. Inoltre, la valo-rizzazione del patrimonio territoriale anche nellesue forme più minute si collega al recupero di unadimensione fruitiva sia di tipo colto che ordinariocon importanti ricadute sulle economie della ricet-tività e del turismo.

Si è, quindi, formata una consapevolezza nuo-va rispetto al carattere originale e specifico dellospazio periurbano. Anche l’Unione Europea haprogressivamente elaborato politiche indirizzateallo sviluppo e sostenibilità dell’agricoltura, finoad occuparsi di situazioni specifiche come nelcaso dell’agricoltura in aree periurbane4, al soste-gno di un’attività agricola cui deve essere rico-nosciuto un valore non solo in termini stretta-mente collegati alla economia di mercato e allaproduzione di beni, ma anche in relazione allacapacità di mantenere le condizioni di abitabilità,sicurezza e salubrità di un territorio e di un siste-ma insediativo alle diverse scale.

L’agricoltura viene considerata non solo daltradizionale punto di vista strettamente produtti-vo, attualizzato in aderenza alle esigenze di soste-nibilità delle produzioni agricole, ma le si assegnail ruolo di salvaguardare il paesaggio rurale, non-ché la fornitura di importanti servizi ambientali.

Parimenti, la tutela e la valorizzazione delpaesaggio agrario periurbano è possibile solo se

ne viene riconosciuto il valore di risorsa, se accan-to alla funzione produttiva si individuano finalitàambientali, paesaggistiche, sociali, culturali,ricreazionali che non hanno un riscontro econo-mico immediato ma sono riconoscibili comebenefici di interesse pubblico. Partecipazione,educazione e comunicazione divengono allorafondamentali in quanto la vera garanzia di un usosostenibile della risorsa paesaggio risiede nel-l’impegno consapevole delle collettività locali:l’agricoltura, infatti, determinante nella defini-zione di tale paesaggio, viene scarsamente vissu-ta dai cittadini o viene addirittura ignorata e risul-ta fondamentale, quindi, sviluppare nelle societàlocali la “cultura del suolo”5 inteso come risorsanaturale limitata, e far riconoscere sul piano socia-le, politico e amministrativo l’esistenza di que-ste aree e delle problematiche ad esse legate.

Le condizioni di base per l’avvio e conduzio-ne di questo processo muovono inevitabilmenteda un ruolo attivo di stimolo, coordinamento egaranzia svolto dall’attore pubblico ed in parti-colare fanno riferimento a tre specifici aspetti:«definire un’unica politica territoriale che nonsepari spazi urbani e spazi rurali, garantire l’usoagricolo del suolo e stabilire dei contratti fra agri-coltori ed enti locali»6.

Le caratteristiche particolari dei contesti ditipo periurbano e la complessità della interazionesocio-economica e delle dimensioni patrimonia-li implicate, richiedono, senza dubbio, la capa-cità di concepire il progetto di trasformazione delpaesaggio come un processo riferito preferibil-mente ad una visione progettuale in cui la dimen-sione produttiva è fondamentale ma non deve

essere scissa da una dimensione culturale e sim-bolica, uno scenario strategico in grado di com-binare l’uso sostenibile delle risorse ad un pro-getto di sviluppo locale integrato e multisettoria-le condiviso7.

Agricoltura urbana come strumento di rifonda-zione dei valori eco-simbolici – Oltre al ruolosociale e ricreativo e, soprattutto nelle aree piùprossime agli insediamenti urbani, all’insieme ditutte quelle funzioni di compensazione di ciò chela vita metropolitana non è in grado di offrire,alcuni studiosi riconoscono nei territori periur-bani principi premonitori di un diverso modelloinsediativo, addirittura auspicabile, se gestito: nel-la grande trasformazione del “nuovo paesaggiodel benessere diffuso” vengono rintracciate formedi paesaggio urbano di innovativa e inedita soste-nibilità, un modello insediativo fondato su un piùequilibrato rapporto fra le funzioni ecologiche equelle economico-insediative capace di innerva-re la città diffusa attraverso la costruzione di unagrande infrastruttura naturale di interesse pub-blico. Un parco diffuso, in cui l’agricoltura, con lasua multifunzionalità, assume più forme produt-tive e più ruoli, adattando la natura delle sueimprese e dei suoi attori, e trova rinnovate rela-zioni di senso con la città attraverso nuove formedi spazi di uso pubblico e di socializzazione8.

Prima tappa del processo progettuale riguar-da l’appropriazione di questi luoghi da parte dichi li abita, la loro reinvenzione, la riattribuzionedi senso, basata sul recupero di quella dimensio-ne simbolica, percettiva e relazionale in grado difondare il senso di appartenenza degli abitanti ad

Campo di grano a contatto di un insediamento residenziale all’interno del Parco Agricolo Sud Milano.V. Van Gogh, Campo di Grano con veduta di Arles, 1888.

Paesaggio contrastante del Parco Agricolo Sud Milano.V. van Gogh, Mietitura ad Arles, 1888. Agricoltura urbana contigua alle residenze.

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un territorio ed a una società locale9 e di costitui-re gli elementi fondativi e statutari di nuove rego-le insediative. Così Pierre Donadieu in Campagneurbane, una nuova proposta di paesaggio dellacittà, propone la tesi di utilizzare l’agricolturaurbana come uno «strumento di urbanizzazionecapace di organizzare durevolmente il territoriodelle città e di costruire il tessuto urbano a parti-re dagli spazi agricoli o boschivi»10. La campagnaurbana e l’agricoltura urbana rappresentano il luo-go e lo strumento per riformare le tecniche di pia-nificazione e di progettazione nei confronti delletrasformazioni in atto nei nuovi territori delladispersione.

Donadieu propone la visione utopica di unacampagna urbana organizzata dalle forme digoverno locali, utopia che non aspira ad essereuna previsione scientificamente rigorosa ma chesi pone innanzitutto come un progetto di società.

«Poiché abitare significa non solo trovare unasistemazione adeguata, ma anche vivere conti-nuamente una relazione poetica con il mondo efare in modo che essa venga condivisa […]Abitare meglio lo spazio agricolo e forestale pre-suppone un progetto al tempo stesso morale edestetico, che lo trasformi in campagna urbana,territorio ideale in cui prevalgono le buone rego-le di comportamento suggerite dagli usi conve-nuti nella società […] Costruire un territorio perle attività umane, il lavoro e lo svago, richiedeprima di tutto una ricerca del senso dei luoghi.Esso non può essere ridotto a dei significati fun-zionali, ma deve entrare in risonanza con l’im-maginario individuale e collettivo, con i progettiinteriori come con i miti e le utopie collettive che

ci motivano e ci stimolano […] Così, per rag-giungere questo obiettivo, le società locali devo-no cercare di cambiare la tendenza della produ-zione degli spazi, portare ad una coproduzionedei territori conformemente ad un progetto ela-borato sulla base di regole democratiche e dellamoralità cittadina»11.

Formatasi la coscienza del nuovo ruolo dellacampagna come campagna urbana, riserva dirisorse primarie sempre più scarse, matrice stori-ca di specifiche realtà locali, produttrice di valo-ri ambientali, paesaggistici, estetici e ricreativi,il problema generale è quello di passare da unasituazione di predazione della città sulla campa-gna a quello di simbiosi, alla ricerca di sinergie trail territorio urbanizzato e quello non urbanizzato12.

L’utopia realistica delle campagne urbaneassegna volontariamente allo spazio periurbanoun ruolo mitizzato anziché ridurlo a un semplicesupporto inerte di attrezzature e di pratiche socia-li e trova il suo riferimento centrale nella culturapaesaggista di matrice francese, secondo la qua-le il paesaggio rappresenta un’entità spaziale, cul-turale e sociale che assume il compito di garanti-re a una società il proprio benessere, tanto in ter-mini di spazi di vita che di nuovi orizzonti eco-logici e simbolici. La proposta avanzata è di ripar-tire da quegli spazi di natura nei quali l’agricolturanon solo persiste, ma si rinnova per soddisfare ibisogni dei cittadini, sia perché può nutrirli, siaperché risponde a una sempre più diffusa doman-da di naturalità, in termini di esperienza contem-plativa o di attività per il tempo libero. Donadieupropone il nuovo concetto di società paesaggi-sta che non si basa più sulla distinzione di urba-

no e rurale come di due distinte società, ma anzisulla ri-definizione di urbanità – o la ri-creazionedi “identità” rurali che si sono perdute con l’e-spansione della città – affermando esplicitamen-te che la campagna è un bisogno culturale e che ildesiderio di spazi aperti, fattore culturale che laConvenzione Europea del Paesaggio13 formulacome domanda sociale di paesaggio, è ciò cheha avuto un ruolo chiave nella definizione dellasocietà periurbana al di là di fattori materiali diattrazione (aumento dei redditi personali, dispo-nibilità personale di automobile, ecc.) o di spintadalla città compatta (prezzi elevati degli immobili,povertà ambientale delle periferie storiche orecenti). La domanda di paesaggio può essere let-ta in primo luogo come una domanda di senso,un tentativo da parte dell’uomo di affrontare feno-meni come l’omologazione culturale e dei luo-ghi, la globalizzazione delle comunicazioni e deiconsumi, l’esasperata mobilità, la perdita di sto-ria, di identità, di futuro, mettendosi alla ricercadelle proprie radici e dei propri legami identitariper «tornare a prendersi cura del territorio abita-to, gestire, recuperare e riutilizzare il patrimoniodi risorse naturali e culturali, ridar senso all’ere-dità del passato»14.

Il paesaggio, “spazio simbolico della comu-nità insediata”, è il risultato della progettualità diuna comunità e della sua cultura: la sua trasfor-mazione, in positivo o in negativo, dipende dallacultura della comunità che in esso vive, dal suoorizzonte di valori, dalla sua capacità di ricono-scersi come collettività, dalla sua progettualità,dalla capacità di guadagnare un peso politico nel-le decisioni che la riguardano.

Palermo, veduta dell’area del Parco agricolo di Ciaculli-Croceverde Giardina. P. Klee, Strada principale e strade secondarie, 1929.

V. Van Gogh, Sera d'estate ad Arles, 1888Palermo, l’area di Ciaculli-Croceverde Giardina. Frankfurt GrünGürtel, l’area a vigneto del Lohrberg.

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Il parco agricolo come strategia di tutela evaloriz zazione del territorio agricolo periurbano -Il territorio extraurbano e le sue regole costituti-ve diventano punti di partenza per la progetta-zione di sistemi integrati città/campagna e per lariqualificazione urbana attuata attraverso la ride-finizione delle relazioni di reciprocità tra territo-rio agricolo e città. Il territorio agricolo, a lungoconsiderato dalle politiche economiche dominanticome settore marginale, orientato esclusivamen-te alla produzione, può essere considerato come“risorsa strategica”, capace di produzioni, atti-vità, servizi di qualità, nell’ottica dello svilupposostenibile, con un ruolo centrale per la riqualifi-cazione delle aree di margine urbano e per la tra-sformazione ecologica degli insediamenti, perse-guendo l’obiettivo del recupero e della valoriz-zazione dell’area, da un punto di vista sia pro-priamente ambientale sia agricolo-produttivo siasociale, attivando di un meccanismo capace dimigliorare, da una parte, il reddito degli agricol-

tori locali e, dall’altra, di creare nuove opportunitàe occasioni di lavoro.

Le esperienze compiute in ambito europeosul delicato tema del destino degli spazi agricoliperiurbani contribuiscono a dimostrare come pos-sa essere efficace solo la produzione di strumen-ti di approccio integrati sia per attori competenti,che per strumenti di piano che per strumenti finan-ziari. È fondamentale infatti che la capacità pro-gettuale sia supportata dal più ampio ventagliodi strumenti finanziari di intervento che trovanonella dimensione territoriale maggiori possibilitàdi integrazione, capacità e volontà di attivare pro-cessi di concertazione decisionale.

La trasformazione dei territori periurbani e lamodifica delle attività che vi si svolgono non pos-sono essere realizzate di fatto senza politiche diaccompagnamento e strumenti di governance atti-va in grado di supportare i diversi attori coinvol-ti, innanzitutto gli agricoltori, in questo processodi cambiamento. La sussidiarietà, come ribadi-sce il CESE nel documento L’agricoltura periur-bana, è un elemento fondamentale della gestionedegli spazi agricoli periurbani, in quanto garanti-sce un’intesa tra le amministrazioni ed il settoreproduttivo agricolo, basata su un impegno di con-servazione e sviluppo del territorio destinato all’a-gricoltura periurbana. Si tratta, in altre parole, distipulare un contratto per una gestione sostenibi-le dell’attività agricola tra l’amministrazione pub-blica e gli agricoltori. Da questo punto di vista ildocumento del CESE propone un modello digoverno ed una fisionomia istituzionale che puòessere variamente interpretata, che ha riferimen-to in numerose esperienze già condotte sia in Italiache all’estero e che può trovare una efficace rap-presentazione nel concetto istituzionale ed ope-rativo del parco agricolo. Il modello del parcoagricolo si è venuto progressivamente definen-do in relazione a questa domanda di governo delterritorio pur mantenendo un profilo relativamentevago, molto spesso riconducibile alle esigenzespecifiche dei contesti in cui esso è stato speri-mentato con due approcci di base:

- una istituzione di governo del territorio, for-malizzata ed esplicitamene riconducibile a nor-mative quadro di carattere territoriale o ambien-tale (top down);

- una aggregazione volontaria ed attiva di atto-ri, istituzionali e non, che si aggregano intorno adun definito riconoscimento di valori patrimonia-li, obiettivi ed azioni per un processo di valoriz-zazione del territorio agricolo periurbano (bot-tom up)15.

Il tema centrale dell’ideazione del parco agri-colo consiste nella sua valenza strategica per lavalorizzazione degli spazi aperti che assume carat-tere rifondativo se svolta a partire da processi ditutela che prevedono l’attivazione delle culture edelle produzioni rurali locali. «Uno scenario diauto-generazione del territorio, di valorizzazio-ne endogena, ricostruttivo di senso e ruolo dellearee agricole […] Questa proposta di nuova agri-coltura supera il mero “vincolo ambientale”, inquanto mira a ricostruire strutturalmente il valo-re e il senso, la capacità di resistenza al consu-mo di territorio e la produzione attiva di paesag-gio su un processo costruttivo, non difensivo […]un approccio che incorpora l’approccio ecologi-co, ma non si riduce a esso»16.

In contesti di limite e frammentazione, lo stru-mento del parco agricolo può divenire specificosupporto per strategie di governance e planning,soprattutto se supportato a livello istituzionale e

strettamente connesso a forme di visione e a meto-di e pratiche progettuali innovativi, adeguati arafforzare il senso di identificazione e di appar-tenenza ai luoghi da parte degli abitanti. In talmodo il parco agricolo non appare funzionale soloalla creazione di nuove economie e di beneficiambientali, ma anche a sollecitare un nuovosguardo e cura verso il patrimonio territoriale epaesaggistico, una diversa percezione delle rela-zioni dei territori fra città e campagna verso unanuova realtà che le comprende entrambe17.

Periurbanità e agricoltura da valorizzare in una zonadel Parco Metropolitano delle Colline di Napoli

Frankfurt GrünGürtel.

Parco Agricolo di Ciaculli, Palermo.

NOTE

1) Il termine periurbanizzazione, usato per la prima vol-ta nel volume G. BAUER, J.M. ROUX, La rurbanisationou la ville éparpillée, Editions de Seuil, Paris 1976,descrive processi di urbanizzazione di territori contiguialla città che, in modo localizzato e limitato, si acco-stano e si sovrappongono alla matrice rurale. Ciò chegeneralmente si denomina periurbano sono quelle areeche si estendono esternamente al tessuto urbano com-patto delle città, oltre la prima corona di periferia stori-ca e la seconda corona dell’espansione residenziale, ter-ziaria e produttiva del dopoguerra, con un paesaggiodai connotati fortemente distinti sia da quelli tipici deicentri abitati che da quelli del territorio rurale.2) Cfr. M.V. MININNI (a cura di), Dallo spazio agrico-lo alla campagna urbana, in “Urbanistica”, 128 (2005),pp. 7-37; IDEM (a cura di), Le sfide del progetto urba-nistico nelle campagne urbane, in “Urbanistica” 132(2007), pp. 23-64.3) Cfr. S. PASCUCCI, Agricoltura periurbana e strategiedi sviluppo rurale: una riflessione, in “QA Rivistadell’Associazione Rossi-Doria”, Franco Angeli, 2(2008), pp.127-150.4) CESE, Parere L’agricoltura periurbana, NAT/204,Bruxelles 16 settembre 2004.5) Ivi, punto 2.2.3.16) P. DONADIEU, Campagne urbane. Una nuova pro-posta di paesaggio della città, Donzelli Editore, Roma2006 (ed. orig. 1998), pp. 128.7) Cfr. A. MAGNAGHI (a cura di), Scenari strategici.Visioni identitarie per il progetto di territorio, AlineaEditrice, Firenze 2007. 8) DONADIEU P., op. cit., pp. 129-130. Cfr. M.C. TREU,D. PALAZZO, Margini: descrizioni, strategie, progetti,Alinea Editrice, Firenze 2006.9) DONADIEU P., op. cit., pp. 156-157.10) Ivi, pp. 128.11) Ivi, pp. 162-163.12) Cfr. R. CAMAGNI, «Processi di utilizzazione e dife-sa dei suoli nelle fasce periurbane: dal conflitto allacooperazione fra città e campagna», in F. BOSCACCI,R. CAMAGNI (a cura di), Tra città e campagna: periur-banizzazione e politiche territoriali, Il Mulino, Bologna1994, pp. 16-86.13) COE, Convenzione Europea sul Paesaggio, Firenze20 ottobre 2000.14) R. GAMBINO, Conservare - Innovare. Paesaggio, am -biente, territorio, UTET Libreria, Torino 1997, p. 10.15) D. FANFANI, Il governo del territorio e del paesag-gio rurale nello spazio “terzo” periurbano. Il parcoagricolo come strumento di politiche e di progetto, in«Ri-Vista» numero monografico Progettare sui limiti,IV, 6 (2006), Firenze University Press, pp. 54-69. 16) G. FERRARESI, F. COVIELLO, Neoagricoltura e nuo-vi stili di vita: scenari di ricostruzione territoriale, in“Urbanistica” 132 (2007), p. 55.17) Cfr. A. MAGNAGHI (a cura di), op. cit.

* Angela Katiuscia Sferrazza, architetto, è Dottoranda diRicerca in Recupero e Fruizione dei Contesti Antichi, XXII ciclo, presso l’Università degli Studi di Palermo.

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LIBERTY: SUL RESTAURO DI VILLA ANTONIETTA A PALERMO

Emanuele Walter Angelico*

ABSTRACT – Among the many Stile Liberty (the Italianversion of Art Nouveau) buildings in Palermo, this arti-cle describes the relatively unknown Villa Antonietta, aconstruction of obscure attribution and upon which arecent restoration work has been undertaken. Here, forthe sake of brevity, we describe only a few issues relat-ed to the theme of color in the Stile Liberty, that in thisVilla have been undertaken according to the principlesof “philological restoration”, based upon the pre-exist-ing examples in Mondello, where the Villa is situated.

Alla fine dell’Ottocento, Palermo vivevaun momento di grande floridezza eco-

nomica. Per merito della famiglia Florio e periniziativa dello stesso Ignazio Florio Junior, nasce-va in Sicilia una nuova attenzione turistica. Nellostesso periodo, dopo la bonifica della Palude diMondello, s’iniziò la colonizzazione dei terrenilimitrofi allo scopo di trasformarli in un nuovosbocco (fuori porta) per la città di Palermo. Il pri-mo progetto urbanistico fu dell’Ingegnere LuigiScaglia e prevedeva un piano tecnico e finanzia-rio per la valorizzazione del territorio con lacostruzione di molti “villini”, di una grande sta-zione balneare e l’impianto della tranvia elettrica.

Con la legge speciale del 1910, che autoriz-zava la vendita dei terreni annessi alla tenuta RealFavorita, il Comune di Palermo, dopo numerosetrattative, diede una concessione speciale allasocietà Les Tramways, costituitasi a Bruxelles nel1909. Con tale concessione la società italo-belgaLes Tramways de Palerme s’impegnava a costrui-re una linea tranviaria elettrificata, un grandiosostabilimento balneare, trecento “villini”, un gran-de albergo, un parco, una chiesa e altre opere cheavrebbero reso Mondello una delle stazioni cli-matiche più importanti a livello internazionale.Tutto ciò accadeva mentre in Italia nasceva ilLiberty, nuovo movimento nel campo delle artidecorative e architettoniche con elementi florea-li tipici della Belle Époque: iniziava così la tra-sformazione di Mondello, da piccolo borgo dipescatori a centro balneare.

Furono costruite svariate ville, tutte con lospirito del tempo, così come lo stabilimento bal-neare progettato dall’Ingegnere Rodolfo Stalkerdell’Ufficio della società italo-belga, che ripro-pose il Liberty nella sua più elevata espressionestilistica. Da qui nasce l’ispirazione di facoltosisignori del tempo, che scelsero questa zona qua-le miglior luogo per la propria residenza estiva.

Tra tutte le città italiane interessate a tale feno-meno artistico e culturale, Palermo è senza dub-bio quella in cui sopravvivono maggiormente letestimonianze più interessanti e caratterizzanti,dove gli architetti rispondevano ai nomi di Basile,

Alagna, De Giovanni, Rivas, rappresentanti e pun-to di riferimento per tutta la corrente. Negli annidella Belle Époque, il Liberty a Palermo coincisecon un risveglio di iniziative e di dibattiti culturalicui presero parte anche imprenditori e industria-li del calibro di Rutelli, Utveggio, Florio,Whitaker, Sandron, divenendo essi stessi com-mittenti di architetti e di ingegneri, promotori ditale particolare riforma dell’abitare.

Ernesto Basile fu il principale protagonistadel Liberty palermitano e ne testimoniano la suaproduzione opere come: lo Stand Florio del 1905;il chiosco Ribaudo in Piazza Castelnuovo del1916; la Villa Igiea del 1899; il Villino Florio del1881; il Villino Ida Basile del 1903; il KursaalBiondo del 1913; il Palazzo delle AssicurazioniGenerali di Venezia del 1912; il chiosco Ribaudodel 1887 in Piazza Verdi. Villa Igiea, in partico-lare, nasce per volere della famiglia Florio e ven-ne progettata nel 1908 sovrapponendosi ad unacostruzione precedente ispirata al Quattrocentosiciliano di proprietà di un gentiluomo inglese(Downviller). La cosiddetta Sala Basile, decora-ta con splendidi affreschi del pittore E. De MariaVon Bergler, è un esempio di come anche aPalermo si rispondesse al principio – tipico delLiberty – di pensare alla progettazione anche deglielementi di arredo, oltre che delle parti architet-toniche degli edifici. Si trattava, infatti, di unaprogettazione che considerava importante esten-dere i principi compositivi del Liberty a tutti gliaspetti dell’abitare.

Palermo tuttavia non aderì completamente alLiberty ma introdusse tale linguaggio attraversoalcuni specifici segni. «[…]Segni morfologicipeculiari – afferma la Prof.ssa Sciarra Borzì, nel-la sua pubblicazione su E. Basile – risemantizza-ti con maestria, a volta da pochi architetti del-l’epoca con molta attenzione alla tradizione sici-liana con lessico soprattutto attinto alla Siciliaorientale». Gli episodi si concentrano nel temadella residenza, e così «[…]nel momento Libertypalermitano, la Villa rappresentativa di tipo resi-denziale, non più esclusivamente stagionale, veni-va uniformandosi alle analoghe realizzazionieuropee, poichè il comune denominatore di tiposociale (l’affermazione a livello internazionaledella borghesia medio-alta) le accomunava».

Il Liberty ha agito nella città senza turbare nèincidere con forza, ma per lasciare il segno hatracciato una linea leggera e sinuosa come il dise-gno di una decorazione floreale, sfuggita allamano di un disegnatore. Palermo e in particolareMondello divengono così testimoni dell’elevatonumero di emergenze architettoniche con inte-

Villa Antonietta. Particolare di una finestra ante operame portico d’ingresso dopo i lavori di restauro.

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Villa Antonietta prima del restauro e pianta del piano terra (documento d’Archivio).

resse storico e valenza artistica, appartenenti atale movimento.

La Villa oggetto di quest’articolo è sita proprionel cuore di Mondello, dove il Liberty è rappre-sentato in quasi tutte le forme espressive. In par-ticolare, essa si trova in un punto nevralgico pergiungere da Palermo all’area costiera, prospicen-te un sistema piazza/giardino costituito da PiazzaCaboto. Da qui, le più belle realizzazioni archi-tettoniche, ville, caseggiati e costruzioni, sonoprospicenti ad un percorso di rara bellezza datodal succedersi di tutte le forme e colori del Libertypalermitano.

Villa Antonietta, così pare si chiamasse in ono-re della moglie del primo proprietario che la com-prò dalla società italo-belga, fu costruita nel 1910su progetto di un non mai nominato architetto chepare fosse fortemente influenzato dal più notoarchitetto Ernesto Basile redattore di un primoprogetto assai più complesso non mai andato aconclusione, oggi depositato presso l’ArchivioNotarile di Palermo1. Il documento testimoniauna finezza di stile e di lessico Liberty di straor-dinaria valenza, e in particolare, di grande deli-catezza nell’uso dei fregi e nel bilanciamento deivolumi in rapporto ai vuoti.

Com’è noto il Liberty interessò oltre l’archi-tettura e la scultura, anche le cosiddette “arti mino-ri”, comprendenti il ferro battuto, la ceramica, ilvetro decorato, l’intaglio, il mosaico, lo stucco ela decorazione, mezzi espressivi con cui gli artistisi prefiggevano il recupero delle tradizioni arti-gianali, in parte dimenticate o superate dalle nuo-ve tecniche e dai processi di lavorazione, e in que-sta Villa le compresenze sono assai preziose: stuc-chi e fregi sovrastano ogni apertura, come deli-ziosi supporti per l’illuminazione di ferro battutoarricchiscono ogni emergenza verticale. Lo sche-ma è quello classico dell’epoca: il partito archi-tettonico è in larga massima asimmetrico, conl’eccezione data dal sistema del terrazzo e dellaloggia, su cui si aprono le aperture. In pianta, sidistinguono perfettamente tre partizioni sapiente-mente sfalsate, predisposte per la connessione diaperture e vani porta con giardini d’inverno inter-ni, chiusi da strutture vetrate e ferro battuto. Sia daidocumenti progettuali, sia dal ritrovato capitolatodelle opere, non si evince in alcun modo qualifossero gli intendimenti cromatici di prospetto;probabilmente e come dimostrato da svariati son-daggi effettuati, la Villa non è mai stata completatacon una specifica bicromia, poiché inferiormenteal compatto strato di intonaco “Livigni”2 sono sta-te rilevate talune colorazioni “giallo paglierino”,ma non tali da definire come dovesse apparire altempo il prospetto nel suo insieme.

L’avvicendarsi di altri proprietari determinò ilcambio del nome della Villa, in Villa Mela.Intorno agli anni cinquanta e poi in modo piùdeciso negli anni settanta l’immobile subì varieristrutturazioni interne (talora anche mortificanti),mentre i prospetti esterni venivano trattati defi-nitivamente in colore bianco, tanto da guadagnarsiin ultimo l’appellativo di Villa bianca.

Nel Duemila l’immobile è stato venduto agliattuali proprietari, che hanno espresso il desideriodi programmare un “recupero/restauro” dell’im-mobile, al fine di ricondurla all’epoca della suacostruzione a quella che doveva essere l’intendi-mento del tempo.

Trovandosi la Villa in un contesto ricco dipreesistenze di pari epoca, è parso opportuno con-durre un lavoro comparativo e “filologico”, siaattraverso i rapporti cromatici con le preesistenze,

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69Villa Antonietta dopo l’intervento di restauro e pianta del primo livello (documento d’Archivio).

sia con un attento studio del Liberty stesso, affi-nandone la ricerca sui fregi, sul rapporto “pie-ni/vuoti” e sul bilanciamento dei cornicioni dicoronamento con le lesene e con le paraste. È sta-to così condotto uno studio, che ha permesso dap-prima un rilievo esatto della media ponderataattraverso analisi spettrometrica delle colorituredelle ville Liberty di Mondello (come se vi fosseun piano del colore cui riferirsi); in secondo tem-po e per mezzo di uno studio virtuale, sono stateredatte diverse ipotesi, da cui è nato il progettodefinitivo, sottoposto agli organi competenti perl’approvazione.

In ultimo, lo specifico desiderio sia della com-mittenza sia del progettista-articolista, è statoquello di attribuire alla Villa un “invecchiamentoforzato” al fine di garantire una (se pur falsa) pati-natura che l’armonizzasse con il contesto, e inparticolare anticipasse gli inevitabili segni deltempo. La proposta è stata approvata dallaSovrintendenza con parere positivo. In questosenso si è proceduto come per il restauro per ilGiubileo del 2000 della Basilica di San Pietro aRoma3, che per mezzo di lievi spugnature, cro-maticamente distoniche con i sottofondi, ha per-messo di realizzare delle velature dall’apparentesensazione di invecchiamento degli intonaci,generando le necessarie vibrazioni cromatichetipiche delle patinature prodotte dagli effetti deltempo.

Dalla constatazione dei prospetti della Villae durante i sopralluoghi, è stato riscontrato chele superfici e l’intonaco delle facciate erano inbuono stato di conservazione ad esclusione diparti circoscritte che risultavano degradate a cau-sa delle infiltrazioni di acqua e, in particolari pun-ti, dal parziale discacco nelle soluzioni d’angolodi taluni pilastri, molto probabilmente per l’ossi-datura di piccole pozioni di intelaiatura metallicasottostante. La tinteggiatura esistente era compo-sta di una pittura a base di resine di natura orga-nica e in parte da legante minerale che risultavageneralmente polverosa o in fase di distacco edesfoliazione. In alcuni punti circoscritti, il basa-mento sembrava aver subito un degrado dovutoall’umidità di risalita, che per capillarità data dainfiltrazione d’acqua nella soluzione di continuitàtra marciapiede e basamento, ha prodotto discac-chi della fascia in cemento “rinzaffato a bucciad’arancio” (probabilmente non originaria); in talsenso si è optato concordemente algi indirizzi del-la Sovrintendenza al totale rifacimento in Pietradi Billiemi bocciardata 4.

Per la sistemazione delle superfici si è cosìprevisto di togliere l’intonaco in fase di distaccoe quello che risultava decoeso, sino allo stratosano della muratura. Gli spessori medi di mm 10sono stati ricostruiti con prodotti in malta grezza5.Per la rasatura finale e per l’ottenimento di unasuperficie simile a quella esistente (finto traver-tino), si è applicato una mano di grassello di cal-ce magnesiaco a lunga stagionatura, terre colo-rate e pigmenti inorganici con selezionate grani-glie di marmo e silice6.

Dopo perfetta asciugatura delle superfici, siè data una mano a saturazione di soluzione mono-componente incolore a base di alchiltrialcossisi-lan, disciolti in soluzione acquosa, al fine di con-solidare e idrofobizzare gli intonaci, il calce-struzzo armato dei pilastri, i mattoni cotti dellebordure e materiali lapidei, riducendo drastica-mente il rischio di formazioni saline e limitandole infiltrazioni attraverso le micro-cavillature del-l’intonaco.

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sede sono state riscoperte e riproposte con lamigliore durabilità per il prossimo futuro, laddo-ve nel passato di questa fabbrica non vi sono maistate.

Commentava Carlo Aymonino: «Un’archi -tettura nuova è necessaria sola là dove vi sonoaltri strumenti – quali il restauro scientifico, ilripristino filologico o il recupero edilizio – nonhanno senso operativo e tanto meno solutivo. Ilmodo che ho seguito è stato sempre quello di fardel nuovo intervento occasione di restauro e direcupero delle parti storiche preesistenti, in modoche il progetto nel suo insieme fosse effettiva-mente completamento del luogo urbano e dellesue preesistenze d’intorno».

NOTE

1) “Repertorio n. 16.686” Archivio Notarile di Palermo.2) “Livigni” tipico in Sicilia è un intonaco mineralepremiscelato in polvere, a base di calce bianca di lun-ga stagionatura, inerti puri selezionati a curva granulo-metrica costante, pigmenti inorganici, additivi natura-li idrofughi. Le sue caratteristiche sono date dall’altis-sima traspirabilità, dalla durevolezza del grafico este-tica-tempo.3) Specifica delle deliberazioni della commissione perRoma Capitale n. 2/1998 dell’11 marzo 1998 concer-nente: Modificazioni ed integrazioni del Piano degliinterventi per il Grande Giubileo del 2000, nella qua-le si specificano che gli interventi devono essere rea-lizzati con effetti e patinature atte a non apparire trop-po giovani.4) La Pietra di Billiemi è una tipica pietra grigia sici-liana con concrezioni di argilla dalle caratteristichecolorazioni giallastre, nel particolare, in questa sede èstata utilizzata con finitura “bocciardata”, ovvero ese-guita con uno speciale martello la cui testa in acciaiotemperato, presenta piccole e fitte punte piramidali.L’artigiano scalpellino, percuotendo con tale utensileelementi edilizi lapidei di un certo spessore, ottiene unasuperficie irregolare dal caratteristico aspetto grezzo.5) È stato impiegato il Sandtex, malta grezza gm addi-tivata con Sandtex cocciopesto cc (rapporto kg 30 mal-ta kg 4 cocciopesto).6) Si è ricorso al Durasil della Sandtex.

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* Emanuele Walter Angelico, è ricercatore S.S.D.ICAR/12 Tecnologia dell’Architettura, presso l’Univer-sità degli Studi di Palermo e afferisce al D.P.C.E. Dipar-timento di Progetto e Costruzione Edilizia. È docente,presso Polo Didattico di Agrigento, dei corsi di Progetta-zione Ambientale e Laboratorio di Sintesi Finale.

Dall’alto: retro-prospetto con il giardino d’inverno in ferro battuto, sistema delle finestre su via Argonauti eprospetto principale (disegno d’Archivio).

Dopo 48 ore è stata applicata una mano di pit-tura silossanica protettiva ad elevata traspirabi-lità e idrorepellenza per esterni nella tonalità scel-ta. L’applicazione di una doppia mano di questiprodotti monocomponenti costituiti da silossani-ci oligomerici, antimuffa e antimacchia ad ampiospettro con inerti micronizzati e pigmenti resi-stenti ai raggi UV, ha permesso di ottenere dellesuperfici velate, tipiche degli edifici d’epoca, resti-tuendo l’immagine simile agli edifici in cui lapatina del tempo ha già fatto la sua comparsa.

Quanto a tutti i fregi decorativi, le modana-ture, le lesene, i coronamenti sia dei vani portasia di prospetto, è bastato l’uso di un sottofondoisolante come fissativo delle superfici friabili opolverose, realizzato con resine organiche in sol-venti alifatici, al fine di consolidare l’esistente epreservarlo dalle azioni di sgretolamento. Il colo-re è rimasto quello originario, sia per memoria

della preesistenza sia a far da contrappunto allanuova colorazione bianco sporco stonalizzato.

L’effetto generato è stato quello voluto, attra-verso un’armonia cercata comparativa alle altrecompresenze Liberty a Mondello. Lo studio filo-logico condotto, secondo l’accezione comuneattuale, si è basato su un insieme di discipline cheha tenuto conto delle fonti letterarie al fine dellaricostruzione della loro forma originaria attra-verso l’analisi critica e comparativa delle fontistesse che li testimoniano, e con lo scopo di per-venire, mediante varie metodologie di indagine,ad un’interpretazione che sia la più corretta pos-sibile. In tal senso, il lavoro condotto su VillaAntonietta/Mela è divenuto il terreno di verica eanalisi dell’intero patrimonio Liberty di Mondello,constatandone le prevalenze cromatiche con i suoiossidi componenti, verificandone le modalitàapplicative e tradizionali del tempo, che in questa

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ABSTRACT – Maria Luisa Germanà, referring to the tra-ditional rural architecture, has proposed the term“unconscious sustainability”. This concept can alsobe used to interpret the buildings of the past. This arti-cle describes how people in the past have interactedwith nature, developing a considerable sensitivity andrespect towards the environment. They were able tounderstand nature in an extraordinary way, through adirect contact with local environment, and they havecreated models, today defined as sustainable, but oncejust the result of a usual, never banal, common sense.

In passato l’uomo, nel modo di costruire,aveva maturato una notevole cultura nel

rispettare la natura e l’ambiente, utilizzando solofonti energetiche rinnovabili e materiali localiadeguati al clima e alle varie latitudini. Tale “cul-tura del rispetto” è stata, in parte, dimenticatadurante lo scorso secolo. La cultura dell’indu-strializzazione, basata sul benessere individua-le, l’inosservanza dell’ecosistema ambientale e ilconsumo eccessivo di fonti d’energia non rinno-vabili hanno prodotto un patrimonio edilizio«fondato su modelli energetici dissipativi, comeconseguenza della diffusione di tecnologie arti-ficiali di climatizzazione degli ambienti»1.Costruire edilizia sostenibile significa limitare ilconsumo di risorse non rinnovabili, utilizzandomateriali non nocivi ed ecologici, riducendo alminimo l’impatto sulla salute e sull’ambiente.Questo sistema di costruire è il risultato dell’in-sieme delle conoscenze e dei processi che con-corrono ad accrescere la capacità dell’uomo diadattarsi all’ambiente e di evolvere in esso. Lacultura dell’industrializzazione ha modificatototalmente questo modo di costruire.

Nel 1987, a seguito della dicotomia fra lacrescita esponenziale della popolazione e l’as-setto costente delle risorse patrimoniali disponi-bili, grazie all’intuizione della CommissioneBruntland, nasce il concetto della sostenibilità. Ilcammino operativo, invece, dello sviluppo soste-nibile2, a livello internazionale, ha inizio uffi-cialmente con la Conferenza di Rio nel 1992; edopo il trattato internazionale del protocollo diKyoto nel 1997, nascono alcuni importanti con-tributi di tecnologie e di esperienze utili per lacostruzione sostenibile.

L’uomo ha costruito in modo che oggi chia-miamo ‘naturale’ fino a metà dell’Ottocento, pri-ma che scaturiscano i metodi di produzione indu-striale, rivoluzionando così, il nostro rapportocon il pianeta. Dall’Asia all’Africa, dall’Americaall’Europa, nel mondo sono presenti numerosiesempi di architetture dove, indipendentemente

dalle condizioni climatiche locali, il benessere eil comfort interno vengono garantiti e mantenu-ti da impianti di condizionamento e d’illumina-zione artificiale, contribuendo notevolmenteall’inquinamento atmosferico, con enormi con-sumi e dispersioni di energia. Ciò testimoniacome l’uomo abbia raggiunto una falsa indipen-denza dall’ambiente, utilizzando la tecnologiacome un’alternativa all’ambiente e alle sue tra-sformazioni.

Il concetto di sostenibilità è circolare, comelo è il ciclo continuo della natura e quello dellavita umana. L’architettura è un contenitore, ilguscio che protegge l’uomo e la sua vita. Dalmomento in cui essa viene inserita nell’ambien-te ne diventa, inscindibilmente, parte integran-te, come una pelle «capace di restituire presta-zioni organizzate intorno ad una forma, atte asoddisfare le esigenze individuate»3. Questo con-tenitore ha un duplice ruolo: quello legato alla«restituzione di un valore estetico e quello lega-to alla specificazione delle prestazioni derivantidalle esigenze espresse dall’ecosistema»4. Nelsistema attuale in cui viviamo, l’architettura ha unandamento lineare e non è un sistema circolarecome la sostenibilità. Esiste un forte contrastofra la linearità del sistema attuale e la circolaritàsostenibile della natura: «bisogna tornare indie-tro per andare avanti»5. Attualmente si stannosempre più diffondendo i temi della qualità edello sviluppo sostenibile. Oggigiorno, terminicome ‘architettura sostenibile’, ‘eco-sostenibi-lità’, ‘bioarchitettura’, ‘architettura bio-ecologi-ca’ e ‘progettazione ecologica’sono entrati a pie-no titolo nel linguaggio comune. Sono molte leistanze che spingono ed evocano l’esigenza ditornare a costruire con l’utilizzo di materiali natu-rali e con un risparmio nel consumo energetico.C’è un grande bisogno di riscoprire il dialogocontinuo e ravvicinato con i luoghi, per ristabilireuna relazione armonica con l’ambiente, la natu-ra, il mondo e l’universo.

L’architettura, all’interno delle politiche per lasostenibilità, ha sicuramente un ruolo moltoimportante, in quanto è in grado di condizionarei modelli futuri dello sviluppo6. L’architettura è ilsegno concreto che l’uomo traccia sull’ambiente,è lo strumento principe per governare il rapportofra l’uomo e la natura, all’interno di una politicaper la sostenibilità. L’architettura non ha un ruo-lo univoco, perché si confronta con l’ambientecircostante e lo trasforma; questo confronto«implica una lettura dell’edificio che ne supera iconfini dell’oggetto a sé stante e lo dissolve nel

LA SOSTENIBILITÀ INCONSAPEVOLE NELL’ARCHITETTURA D’ORIENTE

Golnaz Ighany*

Turchia, Cappadocia, regione dell’Anatolia: il pae-saggio singolare è il risultato del dispiegarsi di forzenaturali e dell’intervento responsabile dell’uomo.

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paesaggio che lo circonda»7. Oggi l’architetturadeve ricercare e ritrovare un linguaggio che pos-sa esprimere il rispetto ecologico e l’equilibriodell’uso della natura e dell’energia, senza rinun-ciare ai valori estetici ed economici8; deve cattu-rare le occasioni di rifondare il tradizionale mododi intendere il rapporto fra natura e artificio nelrispetto delle risorse e degli equilibri9; deve recu-perare una eredità solida e consapevole, ripor-tando in vita l’esperienza costruttrice di una civiltàben consolidata, che sia testimonianza dell’iden-tità dell’uomo stesso, in cui possa riconoscere eacquisire una nuova coscienza di sé.

Nella ricerca dell’equilibrio ambiente-archi-tettura, per poter rispondere all’attuale criticitàambientale e per raggiungere la “qualità energe-tica”, è indispensabile studiare e approfondire ilrapporto fra l’edificio e gli elementi che intera-giscono con esso, riconsiderando tutto il proces-so progettuale e realizzativo, ereditato dalla cul-tura dell’industrializzazione e del consumismo.

Oggi, con uno sguardo alla tradizione, l’ar-chitettura deve cercare di creare un dialogo con-tinuo con il contesto, dando maggiore interesseallo studio della materia e della sua comples-sità10; deve rivedere criticamente alcuni pensierie le .opere maturate nella storia dell’uomo, chesono il frutto di antichi principi ed esperienze;re-interpretare il passato per trovare il giustolegame e una nuova alleanza fra il contesto, illuogo, l’ambiente, il clima e i loro rapporti conl’architettura e con i suoi fruitori. Progettare oggi,massimizzando il benessere dei fruitori attualicon il rispetto della natura, significa pensare con-temporaneamente alle generazioni future, con laconsapevolezza che le risorse non sono infinite.

L’architetto egiziano Hassan Fathy, studiosodell’architettura tradizionale, sostiene che:«L’architettura rappresenta ancora una delle artipiù tradizionali. Un’opera architettonica è desti-nata a un servizio. La sua forma è predetermi-nata dalle opere precedenti ed essa sta in mezzoalla popolazione che sarà costretta a vederla tut-ti i giorni. L’architetto deve rispettare il lavoro deisuoi predecessori e la sensibilità della gente».11

L’architetto egiziano continua ancora afferman-do: «Quando un popolo genera architettura faproprie delle linee particolari che sono tipichedella sua cultura […] fino a quando non furonoabbattute le frontiere culturali, nel secolo scorso,in tutto il mondo si incontravano forme ed ele-menti architettonici locali e le costruzioni di cia-scuna regione erano il frutto meraviglioso di una

felice combinazione fra la fantasia del popolo ele esigenze del paesaggio. Un’architettura auten-tica non può esistere al di fuori di una tradizioneviva. Quando la potenza e la ricchezza dell’im-maginazione umana è sostenuta da tutto il peso diuna tradizione ancora viva, l’opera d’arte che nenascerà sarà molto più grande di quella che l’ar-chitetto potrebbe creare senza il sapere tradizio-nale o con la ferma volontà di allontanarsene»10

Nelle civiltà passate l’esistenza dipendeva daun buon legame con il luogo, in senso fisico epsichico12. Per gli uomini del passato ogni atto,rivolto a inserire un elemento umano nell’ordinenaturale, veniva considerato sacro; «un atto chetraduce in forme culturali il profondo istintivobisogno dell’uomo di difendere il proprio terri-torio vitale, sia conservandolo nel suo equilibrioambientale e nelle sue risorse, sia segnandoloinconfondibilmente delle proprie opere comeespressioni di possesso»13. I nostri avi erano capa-ci di identificare un luogo e di riconoscere leregole e gli indicatori che il luogo stesso propo-neva; in altri termini, comprendevano bene l’ar-te del luogo. Lo storico Norberg Schulz sostieneche l’architettura popolare è all’origine del geniusloci come risposta all’abitare e che l’arte del luo-go è la totalità14; il suo scopo è creare immaginidel mondo, che tramite la loro interazione mani-festino il significato delle cose che circondano echiariscano l’interazione stessa come presenta-zione locale di significati globali.

In passato, le popolazioni di varie regionirealizzavano gli edifici in rapporto al clima loca-le, sfruttando al massimo gli apporti offerti dal-la natura. Non disponendo dei sistemi tecnologiciimpiantistici odierni, per creare il benessere e ilcomfort all’interno degli ambienti, avevano matu-rato una notevole consapevolezza e sensibilitàambientale. Per progettare correttamente le loroabitazioni, studiavano approfonditamente tutti ifattori climatici relativi alle loro localizzazioni,sia nelle condizioni climatiche troppo calde, siain quelle molto fredde15. Era consuetudine cheogni popolo, in base al proprio carattere e cultu-ra, applicasse soluzioni idonee a trovare uno sti-le autoctono, che potesse rispondere alle esigen-ze degli abitanti, in pieno rispetto dell’ecosiste-ma naturale. Queste civiltà consideravano ilmanufatto edilizio non come un contenitore macome un organismo, che si autoregola rispettoall’ambiente esterno, che necessita di un sup-porto energetico in contin ua relazione con l’e-sterno, estraendo e impiegando quanto più ener-

Gli abitanti della Cappadocia hanno mostrato una profonda conoscenza del-l’ambiente circostante, così instaurando una diretta relazione con la natura.

Un labirinto di torri, crepacci, pinnacoli e castelli rupestri: è una scena fantastica quel-la che si presenta agli occhi dell’osservatore.

I “camini delle fate”, singolari formazioni laviche aforma di cono, in Cappadocia: all’interno si celanochiese rupestri e cappelle affrescate.

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gia naturale gli necessiti per la realizzazione del-le condizioni ottimali e il benessere degli abi-tanti16. Una vera e propria arte del costruire: sim-biosi fra clima locale, caratteristiche dell’am-biente fisico e dei materiali da costruzione loca-li. Gli uomini del passato, pertanto, conoscevanomolto bene i principi dell’architettura bioclima-tica e le connessioni fra il clima e la vita17.Osservavano ed esaminavano la natura e l’am-biente, mettendosi continuamente di fronte all’e-videnza che gli organismi viventi si adattano allecondizioni imposte dal clima. Con un approccioconforme alla natura costruivano le proprie abi-tazioni, tenendo conto della varietà dei limiti chesi incontravano sul pianeta. Erano consapevolidell’importanza dei fattori propri del luogo, dacui traevano le strategie progettuali per poteresaltare le potenzialità del luogo stesso.

Osservando gli aspetti bioclimatici dell’im-menso patrimonio dell’architettura popolare/tra-dizionale, a tutte le latitudini del pianeta, è faci-le riconoscere l’ingegnosità di soluzioni costrut-tive dal punto di vista funzionale, estetico e sim-bolico; altresì, l’architettura popolare offre gliesempi più significativi per l’analisi dei metodi dicontrollo ambientale rispetto all’architettura distile.

L’architettura tradizionale, pervasa dall’esi-genza di relazionarsi con il mondo vivente e conl’ambiente naturale e il clima, ha maturato unprocesso molto articolato, che coinvolge una plu-ralità di sub-sistemi, basata sugli aspetti morfo-logici, tecnologici, costruttivi, ambientale-cli-matici, organizzativo-distributivi e figurativi18.Alcuni precisi criteri di difesa hanno sicuramen-te influenzato le scelte costruttive e figurativedelle architetture del passato, ma i criteri chemaggiormente hanno regolato e influenzato lescelte progettuali sono proprio di tipo climatico.

Buona funzionalità, decoro, dignità estetica estabilità. Erano tutte qualità del costruire tradi-zionale, che accompagnavano l’adattabilità del-l’edificio alle più svariate condizioni climatiche.«In una cultura tecnica in cui le fonti energeticheerano il moto dell’acqua e dell’aria, l’irraggia-mento del sole, la trazione e il calore animale -lecosiddette energie rinnovabili- si imponeva l’im-piego attento delle componenti ambientali e deimezzi costruttivi, allo scopo di benessere e perquel tempo accettabili. Il costruito si muovevanell’alveo di una tradizione che consegnavamodelli sperimentali e soluzioni vagliate dell’e-sperienza e dalla verifica pratica. Una tradizione

garante della qualità intesa come rispondenzaprecisa dell’edificio alle articolate prestazionicui doveva soddisfare nel complesso delle rela-zioni con il contesto.»19

Nel De Architettura, si possono ritrovare rife-rimenti chiari e puntuali e tutt’ora attuali, allestrategie da adottare per progettare gli edifici inrelazione ai fattori climatici: «Lo stile degli edi-fici dovrebbe essere manifestamente diverso inEgitto e in Spagna, nel Ponte e a Roma e nei pae-si e nelle regioni di diversa natura. Perché in unaparte la terra è oppressa dal sole, in un’altra par-te la terra è troppo lontana da esso, in un’altraancora è a una distanza moderata» o ancora «ladirezione delle strade deve essere diversa da qua-le di venti, in modo che essi, investendo gli ango-li degli isolati, vengano ostacolati, respinti, dis-sipati» 20.

In un discorso riportato dallo storico grecoSenofonte (430-355 a. C.), si possono trovareinteressanti accorgimenti nella casa cui Socrate fariferimento: «Egli [Socrate] era del parere chequeste case fossero belle e utili, e a me sembròche egli ci volesse insegnare come si devecostruirle. Il suo ragionamento era seguente: sequalcuno volesse costruirsi una casa così comequesta dovrebbe essere (secondo le regole), nondovrebbe egli attrezzarla in modo che vi si pos-sa vivere comodamente e con funzionalità? Dopoaver noi approvato quanto egli andava dicendo,continuava: non è una comodità se la casa è fre-sca in estate e calda in inverno? Dopo aver appro-vato anche questo, egli continuò: non è forse veroche nelle case esposte a sud il sole penetra ininvero sotto il portico, mentre in estate passasopra di noi e sopra i tetti in modo da procurar-ci ombra se ci fa comodo che questo avvenga,non dovrebbero le stanze esposte e sud esserepiù alte affinché il sole invernale non ne sia sclu-so, mentre quelle sul lato nord più basso affinchéi venti freddi non possono nuocere? Detto in bre-ve: questa dovrebbe essere veramente la dimorapiù bella e più confortevole, in cui sentirsi a pro-prio agio in tutte le stagioni e in cui vivere alsicuro»21.

Un edificio sostenibile è il risultato di un pro-getto architettonico consapevole, dove è neces-saria una visione sistemica che riesce a com-prendere gli aspetti formali e costruttivi, distri-butivi, spaziali, di orientamento, formali, dimen-sionali e costruttivi22. «Inoltre tale visione va inte-grata con una ottica processuale, attenta sia alprocesso produttivo originario della costruzione,

Iran, Kandovan, un piccolo villaggio situato vicino alla città di Tabriz: il nome, plura-le di ‘kando’, significa nido d’api.

A Kandovan le abitazioni sono scavate nella roccia.

La leggenda racconta che i primi abitanti di Kandovansi trasferirono in questi luoghi e scavarono la rocciavulcanica per sfuggire all’invasione dei Mongoli.

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sia a tutti i fatti ed interventi da cui essa è inte-ressata durante la sua esistenza»23. In particola-re, occorre porre attenzione alle risorse fisiche,ambientali, energetiche e tecnologiche del piane-ta e all’efficienza dei processi costruttivi in modoche questi provochino minor impatto possibilesull’ambiente e sui singoli individui. In altri ter-mini, far sì che l’ambiente divenga il luogo delletrasformazioni governate, in cui la sostenibilitàimpone una progettazione che sia conforme«all’uso, alle capacità, alle risorse, alle preesi-stenze, ma anche al luogo come dominio ricono-scibile alle azioni dell’uomo, alla sua storia, allapossibilità di controllo delle trasformazioni»24.

Le tipologie, le forme e le tecniche costrutti-ve, i componenti e i materiali impiegati in archi-tettura tradizionale evidenziano soluzioni for-mali di un’architettura che si è sviluppata senzaarchitetti, frutto di un’intelligenza umana e del-la profonda conoscenza dei fattori ambientali.

Gli elementi di sostenibilità presenti nellecostruzioni del passato siano più o meno inten-zionalmente progettati, vanno considerati incon-sapevoli: il principio della sostenibilità, le locu-zioni come ‘architettura sostenibile’, ‘bioarchi-tettura’ appartengono al mondo contemporaneoe certamente non a quello passato. «Il tentativo dicontenere l’utilizzo di risorse, riscontrabile nel-l’intera tradizione costruttiva, può essere colle-gato all’idea di parsimonia intesa come virtù,piuttosto che come necessità inderogabile per lasopravvivenza del genere umano: una differenzadi ottica sostanziale, che è opportuno tenere pre-sente nei pur legittimi tentativi di attingere dalletestimonianze del passato spunti per soluzioniche oggi possiamo definire sostenibili, ma cheun tempo erano dettate da un comune, mai bana-le, buon senso»25.

Per concludere, se la tradizione non costitui-sce un ostacolo, se un’architettura autentica nonpuò esistere senza una tradizione viva, così comeribadito da Hassan Fathy, se la qualità formaledell’architettura è il risultato della cultura, dellaciviltà e della sensibilità individuale e colletti-va, infine, se oggi la sostenibilità dell’architetturaè il risultato di scelte tecniche assolutamentemisurabili che è giusto conoscere e controllare, seè vero tutto ciò, allora, possiamo dire che soloreinterpretando le nostre radici culturali e stori-che, scoprendo le regole del buon costruire eadattandole alle esigenze attuali, sono raggiun-gibili esiti ottimali, nel rispetto e nell’equilibriofra tradizione e innovazione.

NOTE

1) G. MINGUZZI, La costruzione di un’architetturaresponsabile, in G. MINGUZZI (a cura di), Architetturasostenibile, processo costruttivo e criteri biocompatibili,Skira editore, Milano 2006, p. 39.2) «Lo sviluppo sostenibile è lo sviluppo che soddisfale esigenze delle attuali generazioni senza compro-mettere la possibilità di quelle future a soddisfare ipropri bisogni. Il concetto di sostenibilità si riferisce aun uso della biosfera da parete delle attuali generazio-ni capace di mantenerne il potenziale a beneficio dellefuture generazioni, a modelli di sviluppo economicoin grado di evitare l’impoverimento delle risorse natu-rali e il degrado di quelle ambientali. La sostenibilitàha quattro dimensioni interdipendenti: ecologica, so-ciale, economica e culture. Gli aspetti economici dellasostenibilità comprendono performance finanziarie,compensazioni occupazionali, contributi della comu-nità. Gli aspetti sociali comprendono le politiche pub-bliche, soddisfacenti standard di lavoro e uguale trat-tamento per donne e minoranze. Gli aspetti ambientalicomprendono l’impatto su aria, acqua, terra, risorsenaturali e salute umana. Gli aspetti culturali compren-dono il confronto fra culture diverse e l’accesso al sa-pere.» in World Commission on Environment and De-velopment, 1987, Report “Our Common Future”, co-nosciuto come “Brundtland Report”.3) G. PARDI, Il valore dell’involucro nella funzionalitàe la forma dell’edificio, in G. PARDI (a cura di),Architettura energetica, ricerche e proposte per unavisione energetica dell’ambiente costruito, in Tac,Quaderni del Dipartimento di Tecnologie perL’Ambiente costruito dell’Università degli Studi “G.d’Annunzio” di Chieti (PE), ed. Gangemi, Roma 2008,p. 64.4) Ibidem.5) P. RAVA, …Naturalmente…Sostenibile, in G.MINGUZZI (a cura di), Architettura sostenibile, proces-so costruttivo e criteri biocompatibili, Skira editore,Milano 2006, p. 29.6) Rosario Giuffrè, in qualità del coordinatore alConvegno Internazionale “Florence InternationalConference for Teachers of Architecture”, a Firenzenel 1995, in un dibattito sulla sostenibilità in architet-tura afferma: «La sostenibilità non è una disciplina maun differente modo di definire e articolare nelle fasi ilprocesso di fattibilità architettonica. Essa non è coin-volge tematiche esclusivamente micro ambientali, maesige una complessa gestione di differenti elementi edi-lizi, ed una loro contestualizzazione, ossia un riferi-mento alle storie locali».7) C. GALLO, Architettura bioclimatica, in ECOENEA,Architettura per lo sviluppo sostenibile, ed. L’arca,

A Masouleh le abitazioni sono costruite l’una sull’altra: il tetto di una casa è la terrazzadi quella sovrastante.

In Iran, Masouleh è un villaggio situato tra il Mar Caspio e la catena montuosa degliAlborz; le abitazioni sembrano emergere naturalmente dalle montagne.

Tutti gli edifici di Masouleh sono interconessi tra loro;i cortili e le coperture delle case sono strade ed areepedonali.

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n°154, Marzo 2001, pp. 14-17. 8) «La funzione estetica è molto più che un sempliceornamento di superficie delle cose del mondo, come avolte si pensa. Agisce profondamente sulla vita dellasocietà e dell’individuo, concorre alla guida del rap-porto – sia passivo che attivo – dell’individuo e dellasocietà con la realtà che li circonda.» in J. MUKAROSKY,Artista e Designer, Munari, Laterza, Bari 1976.9) H. NORBERG SCHULZ, Genius Loci: PaesaggioAmbiente Architettura, ed Electa, Milano 1992.10) Vittorio Gregotti afferma: «il contesto rappresentasempre un materiale indiretto per l’accertamento di unaarchitettura del luogo. Ciò che è in grado di offrire l’ar-chitettura della edificazione è la descrizione chiara del-la tensione verso questi raggiungibili valori, non l’ac-cettazione della loro dissoluzione.» in V. GREGOTTI,Questioni di Architettura, ed. Einaudi (Editoriali diCasabella), Torino 1986.11) H. FATHY, op. cit., pp. 53, 54, 60, 61, 64.12) C. TROMBETTA., op. cit, p. 14.13) C. TROMBETTA., op. cit, p. 54.14) Corrado Trombetta chiarisce il significato della fra-se, l’arte del luogo è la totalità, e aggiunge: «l’arte delluogo è l’architettura; è la complessa rete delle rela-zioni che gli organismi hanno con le cronache locali,con tutto il vissuto, in permanenza e in emergenza, al dilà di quesioni di epoca, di religione o tecnologia.» in C.TROMBETTA, L’attualità del pensiero di Hassan Fathynella cultura tecnologica contemporanea, il luogo,l’ambiente e la qualità dell’architettura, ed. Rubettino,Soveria Mannelli (CZ) 2002, P. 18.15) Da un articolo di A. SILLANI e P. SALERNO, I prin-cipi ispiratori per un’architettura bioclimatica, pub-blicato su www. ambientediritto.it.16) «Le piante offrono un valido esempio di interazio-ne tra gli organismi viventi e il loro ambiente. Essedispongono di sistemi propri di razionamento termicoe idrico. Il calore prodotto con la respirazione, è il risul-tato del metabolismo che tende a provocare un aumen-to della temperatura proprio come avviene negli ani-mali. La traspirazione e l’evaporazione causano il raf-freddamento, poiché ogni grammo di acqua trasudatarichiede alla pianta una quantità di calorie che va da570 a 601, a seconda della temperatura dell’aria. Diconseguenza, le piante interagiscono con il microcli-ma dell’ambiente circostante e, in certa misura, regolanola loro temperatura in base alle varie necessità. Nellostesso modo, un edificio è condizionato dall’ambientecircostante. Il clima della località in cui sorge e la vici-nanza di altri edifici lo modellano. Pertanto, esso devela sua forma anche a questi elementi, oltre che a fatto-ri sociali, culturali ed economici.», in C. TROMBET-TA., op. cit, p. 150.17) «Con il termine bioclimatica, che deriva dal lessi-

co comune in uso nella bioclimatologia, viene indica-ta una disciplina, fondata da Kòppen agli inizi del seco-lo scorso, finalizzata principalmente alla ricerca dellecause di una determinata distribuzione della vegeta-zione nelle varie regioni del pianeta. Tale disciplinatende ad identificare il bioclima come quel complessodi fattori del clima stesso che regolano, attraverso pro-cessi di ologenesi, la distribuzione planetaria dei gran-di tipi di bioma.», tratto da un articolo di A. SILLANI eP. SALERNO, I principi ispiratori per un’architetturabioclimatica, pubblicato su www. ambientediritto.it. Eancora, «il termine bioclimatica, è nato all’incontro delregionalismo architettonico con la bioclimatologia,esprime un tipo di approccio mirato ad affrontare, conapporti interdisciplinari e con metodologie ordinata esistematica, il problema della regolazione del clima.»,tratto da D. FRANCESE, Architettura bioclimatica, rispar-mio energetico e qualità della vita nelle costruzioni,UTET, Torino 1996.18) L. MARTELLI (a cura di), La concezione bioclima-tica del costruire tradizionale, in A. GIOLI (a cura di),Lezioni di architettura bioclimatica, Alinea Editrice,Firenze 2000, p. 78.19) L. MARTELLI, op. cit.20) M. P. VITRUVIO, De Architectura, P. GROS (a curadi), traduzione e commento di A. CORSO e E. ROMANO,ed. Einaudi, Libro I., Torino 1997.21) L. B. ALBERTI, Della Architettura della Pittura edella Statua, traduzione di C. BARTOLI, Libro I, Cap. III,Istituto delle Scienze, Bologna 1782.22) M. L. GERMANÀ, 2005, La sostenibilità inconsa-pevole del costruito rurale tradizionale: l’esempio del-la masseria siciliana, in: S. MECC A, B. BIONDI (a curadi), Proceedings of 1st Forum UNESCO ArchitecturalHeritage and Sustainable Development of Small andMedium Cities in South Mediterranean Regions. Resultsand strategies of research and cooperation, Firenze,27-28 maggio 2004, ETS, Pisa 2005, pp. 459-467.23)V. MANFRON, G. MUCELLI, P. PAGANUZZI, N.SINOPOLI, V. TATANO (a cura di), Costruire il progettosostenibile, Saggio bibliografico.24) C. TROMBETTA., op. cit, p. 66.25) Cfr. M. L. GERMANÀ, op. cit. pp. 459-467.

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* Golnaz Ighany, architetto, è Dottoranda di Ricerca in“Recupero e Fruizione dei Contesti Antichi”, presso ilDipartimento di Progetto e Costruzione Ediliziadell’Università degli Studi di Palermo.

In Iran, Shushtar è una città della provincia di Khuzistan; situata nella parte sud-occidentale, è costruita su di una piccola isola del fiume Karoun.

La città di Shushtar venne edificata su un complesso sistema di canali sotterranei, uti-lizzati per l'agricoltura, ma anche per rifornire di acqua le abitazioni private.

La differenza di livello tra l’insediamento e il fiumeKaroun ha spinto gli abitanti di Shushtar a costruireacquedotti, per protezione dalle alluvioni e per irri-gare i terreni agricoli.

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Page 76: Dipartimento di Progetto e Costruzione Edilizia AGATHÓN...In copertina: G. B. Piranesi, Veduta del Tempio di Giove Tonante,1756, acquaforte. Dipartimento di Progetto e Costruzione

Febbraio 2009 Dott. Paolo CornaleDirettore del Centro Ricerche CSG Palladio di VicenzaI Costi della Diagnostica per il Restauro

Marzo 2009 Arch. Theofanis BobotisMusei Archeologici. Nuclei di produzione della civiltà

Prof. Sandro PittiniDocente, Facoltà di Architettura Aldo Rossi, CesenaArcheologia, Architettura e Paesaggio, una ricerca in corso.

Maggio 2009 Prof. Olimpia NiglioDocente, Università degli Studi di PisaStoria del sistema costruttivo antisismico e protezione del patrimonio esistente

Giugno 2009 Prof. Maria Clara Ruggieri TricoliOrdinario, Facoltà di Architettura, Università degli Studi di PalermoRapporto fra Ricerca e Conoscenza bibliografica, Strumenti, Tecniche e Rappresentazioni

Prof. Alberto SpositoOrdinario, Facoltà di Architettura, Università degli Studi di PalermoMetodologia e Assiologia in un progetto di ricerca

Settembre 2009 V° Seminario estivo della Rete OSDOTTA*Produzione dell’Architettura tra tecniche e progetto

Ottobre 2009 Prof. Gillo DorflesPolitecnico di MilanoArte, Architettura, Design

Dicembre 2009 Prof. Francesco Lo PiccoloOrdinario, Facoltà di Architettura, Università degli Studi di PalermoMetodologia e Internazionalizzazione della Ricerca

Gennaio 2010 Prof. Christian DarlesChercheur, École Nationale Supérieure d’Architecture de ToulouseCulture costruttive e mattoni in Terra Cruda nello Yemen

Prof. Attilio NesiOrdinario, Facoltà di Architettura Mediterranea di Reggio CalabriaStrategie per il controllo e la progettazione nell’architettura storicizzata

Prof. Fabrizio AgnelloRicercatore, Facoltà di Architettura, Università degli Studi di PalermoAugmented reality in Cultural Heritage visualization

Arch. Salvatore D'Amelio3D modelling for Cultural Heritage documentation

Febbraio 2010 Prof. Marcella La MonicaRicercatrice, Facoltà di Architettura, Università degli Studi di PalermoL’arte di Honoré Daumier

Prof. Pier Federico CaliariRicercatore, Politecnico di Milano, Coordinatore Premio Piranesi-YourcenarProgetti di Musealizzazione in Aree Archeologiche

Prof. Andrea CampioliOrdinario, Politecnico di MilanoTecnologie d’intervento sui Beni Culturali in condizioni di emergenza

Marzo 2010 Prof. Amedeo TullioArcheologo, Facoltà di Lettere e Filosofia, Università degli Studi di PalermoArcheologia urbana e cultura materiale di età ellenistica a Cefalù

Prof. Vito CappielloOrdinario, Facoltà di Architettura Federico II, Università degli Studi di Napoli Architettura e paesaggio

Aprile 2010 Prof. Gabriella CaterinaOrdinario, Facoltà di Architettura Federico II, Università degli Studi di NapoliI Processi di Valorizzazione e Gestione nell’architettura storicizzata

Arch. Piero MeliDirettore dell’Ente Parco Valle dei Templi di AgrigentoRestauro e Valorizzazione nella Valle dei Templi di Agrigento

Maggio 2010 Prof. Maurizio De LucaCapo Restauratore Musei Vaticani, Roma Restauro della Cappella Paolina di Michelangelo

Prof. Massimo PerriccioliAssociato, Facoltà di Architettura di Camerino, Università degli Studi di ChietiTemporaneità e micro-architetture

Prof. Giuseppe De GiovanniOrdinario, Facoltà di Architettura, Università degli Studi di PalermoTavola Rotonda con Hendrik Müller e con Walter Klasz della Technische Universitat München

Giugno 2010 Prof. Mario GrossoAssociato, Facoltà di Architettura II, Politecnico di TorinoIl Raffrescamento passivo nell’architettura tradizionale

Luglio 2010 Prof. Tiziana FirroneRicercatrice, Facoltà di Architettura, Università degli Studi di PalermoEsperienze costruttive in Africa

Novembre 2010 Prof. Raffaello FrascaAssociato, Facoltà di Architettura, Università degli Studi di PalermoI modelli informatizzati per l’analisi critica dell’architettura

DOTTORATO DI RICERCA – CALENDARIO DEI SEMINARI A.A. 2009/10 – AULA BASILE – D.P.C.E.

ISBN 978-88-89683-29-3 * Seminario svolto presso il Dipartimento DASTEC di Reggio Calabria

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