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222 dialoghi Locarno – Anno 44 – Giugno 2012 di riflessione cristiana BIMESTRALE Diaconia: l’esemplare servizio per tutti I diaconi, e specialmente le diacones- se, erano incaricati nella comunità cri- stiana primitiva di assistere poveri e malati. Il tema della diaconia è stret- tamente collegato a quello, sviluppa- to nel precedente numero di «Dialo- ghi» (n. 221, aprile 2012), della Cena del Signore. Secondo alcuni studiosi del Vangelo, le parole di Cristo: «Prendete e mangia- te, questo è il mio corpo», «Prendete e bevete, questo è il mio sangue» sareb- bero meglio tradotte, secondo la cul- tura ebraica dell’epoca, come: «que- sto sono io», «questa è la mia vita», espresse col gesto della divisione del pane e della distribuzione di pane e vi- no tra i presenti. E «Fate questo in mia memoria» è il comando di ripetere il gesto di Gesù della distribuzione, per cui la più verace «memoria» è attuare ciò che fece Gesù nella sua vita. Sem- pre secondo il Vangelo, ai discepoli in- contrati ad Emmaus, Gesù si rivelò nello spezzare il pane. Ancora più si- gnificativo è il gesto ricordato da Gio- vanni, il quale ignora (o presuppone) il gesto della distribuzione e propone la lavanda dei piedi come esempio del servizio da rendere ai fratelli. La pro- posta del Signore è ancora ripetuta, nel segno del servizio, quando dice: «Da questo vi riconosceranno, se vi amate gli uni gli altri». Perciò, «fare memoria di Gesù» vuol dire (specialmente e concretamente) ri- petere nella vita il suo modo di com- portarsi, specialmente verso i poveri, i rifiutati, i piccoli. In un’altra famosa pagina del Vangelo – la parabola del Giudizio – Gesù esemplifica i compor- tamenti sui quali tutti saremo giudica- ti: «Mi avete dato da mangiare, dato da bene, rivestito, visitato», eccetera. Oggi la Chiesa sollecita una «nuova evangelizzazione» per i nostri Paesi già cristianizzati, e l’annuncio della Buona Novella deve consistere nel ser- vizio ai meno fortunati, come già fu per i primi secoli (prima di Costantino!) e (Continua a pagina 2) Foto «Giornale del Popolo» Per superare l’impasse ecumenica Ci ricordiamo con nostalgia di quella sera (dei lontani anni Sessanta) in cui l’arciprete di Lugano don Corrado Cortella esclamò, nella chiesa evan- gelica di Viale Cattaneo: «I muri che ci separano non si levano fino al Cie- lo». Molti cattolici mettevano piede per la prima volta in una chiesa pro- testante. A noi ragazzi della Parrocchia, non molti anni prima, dicevano: «Loro hanno la Bibbia, noi il Vangelo», e: «I protestanti non adorano la Madonna». Poi vennero i corsi di Sacra Scrittura di don Pio Jörg e leg- gemmo il Commento al «Magnificat» di Martin Lutero. Sono passati cin- quant’anni ma l’impressione è che i muri siano sempre là. Certo, non ci odiamo più, ci capiamo meglio, abbiamo riletto la nostra storia comune in modo nuovo. C’è un grande rispetto tra noi. E non lamentiamoci troppo: in altri Paesi del mondo si uccide ancora in nome della religione. Ma è pur vero che quella primavera è finita, è venuto l’autunno e poi l’inverno, e pare che non finiscano mai. Cresce l’impressione che gli incontri della Set- timana di preghiera siano, tutto sommato, un innocuo balletto. «Quando il Signore vorrà», si dice. Philippe de Vargas, un protestante romando cui og- gi «Dialoghi» dà la parola, la pensa in un altro modo. E soprattutto riflet- te a come dare un’accelerata al movimento, per superare l’irrigidirsi delle gerarchie e l’indifferenza della base, ma soprattutto rispettare l’invito del Signore: essere uniti perché il mondo creda. E.M. «Uscire dall’inerzia e dalle false sicurezze», di Philippe de Vargas, pp. 11 - 14

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Dialoghi n.ro 222

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222 dialoghiLocarno – Anno 44 – Giugno 2012 di riflessione cristiana BIMESTRALE

Diaconia:l’esemplare servizio

per tuttiI diaconi, e specialmente le diacones-se, erano incaricati nella comunità cri-stiana primitiva di assistere poveri emalati. Il tema della diaconia è stret-tamente collegato a quello, sviluppa-to nel precedente numero di «Dialo-ghi» (n. 221, aprile 2012), della Cenadel Signore.Secondo alcuni studiosi del Vangelo, leparole di Cristo: «Prendete e mangia-te, questo è il mio corpo», «Prendete ebevete, questo è il mio sangue» sareb-bero meglio tradotte, secondo la cul-tura ebraica dell’epoca, come: «que-sto sono io», «questa è la mia vita»,espresse col gesto della divisione delpane e della distribuzione di pane e vi-no tra i presenti. E «Fate questo in miamemoria» è il comando di ripetere ilgesto di Gesù della distribuzione, percui la più verace «memoria» è attuareciò che fece Gesù nella sua vita. Sem-pre secondo il Vangelo, ai discepoli in-contrati ad Emmaus, Gesù si rivelònello spezzare il pane. Ancora più si-gnificativo è il gesto ricordato da Gio-vanni, il quale ignora (o presuppone)il gesto della distribuzione e proponela lavanda dei piedi come esempio delservizio da rendere ai fratelli. La pro-posta del Signore è ancora ripetuta, nelsegno del servizio, quando dice: «Daquesto vi riconosceranno, se vi amategli uni gli altri».Perciò, «fare memoria di Gesù» vuoldire (specialmente e concretamente) ri-petere nella vita il suo modo di com-portarsi, specialmente verso i poveri, irifiutati, i piccoli. In un’altra famosapagina del Vangelo – la parabola delGiudizio – Gesù esemplifica i compor-tamenti sui quali tutti saremo giudica-ti: «Mi avete dato damangiare, dato dabene, rivestito, visitato», eccetera.Oggi la Chiesa sollecita una «nuovaevangelizzazione» per i nostri Paesigià cristianizzati, e l’annuncio dellaBuonaNovella deve consistere nel ser-vizio ai meno fortunati, come già fu peri primi secoli (prima di Costantino!) e

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Foto «Giornale del Popolo»

Per superare l’impasse ecumenicaCi ricordiamo con nostalgia di quella sera (dei lontani anni Sessanta) incui l’arciprete di Lugano don Corrado Cortella esclamò, nella chiesa evan-gelica di Viale Cattaneo: «I muri che ci separano non si levano fino al Cie-lo». Molti cattolici mettevano piede per la prima volta in una chiesa pro-testante. A noi ragazzi della Parrocchia, non molti anni prima, dicevano:«Loro hanno la Bibbia, noi il Vangelo», e: «I protestanti non adorano laMadonna». Poi vennero i corsi di Sacra Scrittura di don Pio Jörg e leg-gemmo il Commento al «Magnificat» di Martin Lutero. Sono passati cin-quant’anni ma l’impressione è che i muri siano sempre là. Certo, non ciodiamo più, ci capiamo meglio, abbiamo riletto la nostra storia comune inmodo nuovo. C’è un grande rispetto tra noi. E non lamentiamoci troppo:in altri Paesi del mondo si uccide ancora in nome della religione. Ma è purvero che quella primavera è finita, è venuto l’autunno e poi l’inverno, epare che non finiscano mai. Cresce l’impressione che gli incontri della Set-timana di preghiera siano, tutto sommato, un innocuo balletto. «Quando ilSignore vorrà», si dice. Philippe de Vargas, un protestante romando cui og-gi «Dialoghi» dà la parola, la pensa in un altro modo. E soprattutto riflet-te a come dare un’accelerata al movimento, per superare l’irrigidirsi dellegerarchie e l’indifferenza della base, ma soprattutto rispettare l’invito delSignore: essere uniti perché il mondo creda. E.M.

«Uscire dall’inerzia e dalle false sicurezze», di Philippe de Vargas, pp. 11 - 14

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oggi avviene nei paesi che ancora nonl’hanno ricevuta, praticata da coloroche un tempo erano chiamati «missio-nari» (come in Ciad, da parte della no-stra diocesi). Liturgia e diaconia de-vono sostituire, nelle nostre comunitàecclesiali, gli stanchi riti del dire/assi-stere messa, ed esprimere l’accoglien-za e il servizio per tutti i fratelli, a co-minciare dai più bisognosi di confor-to e di aiuto.Il cambiamento proposto è certamen-te impegnativo e può mettere in crisi(persino allontanare) tanti «fedeli»tradizionali: non sarà facilmente rea-lizzato, dopo secoli di cristianesimo(meglio: di cristianità) caratterizzatada indottrinamento e sacramentaliz-zazione. Ma iniziare, anche con sem-plici gesti e parole rinnovati, è possi-bile ed è anzi assolutamente necessa-rio, mentre tutti constatiamo l’abban-dono delle chiese e specialmentel’assenza dei giovani, la diminuzionedi battesimi e matrimoni, persino lachiusura e la vendita di edifici sacriper mancanza di frequentatori e dimezzi finanziari per conservarli. Sta-tistiche e notizie al proposito si spre-cano, mentre gran parte dei responsa-bili (ma è espressione ancora adegua-ta?) sembrano distratti o forse sonoimpotenti; salvo poi dare la colpa alrelativismo… o al maggiordomo!Don Sandro Vitalini (vedi a pagina 8)fa alcune proposte concrete e pratica-bili, come lo dimostrano iniziative delpassato o già in atto. Vi è poi l’impe-gno più vasto del volontariato, nellesue molteplici forme, esplicitamentecaratterizzato dall’etichetta cristianao semplicemente prestato in nome del-la comune fraternità umana. A più am-pio raggio, dal locale al globale, vi èil servizio nella politica, che l’attualePapa (riprendendo l’insegnamento deipredecessori da almeno un secolo) hadefinito «la forma sociale della cari-tà». Di fronte alle necessità del benecomune, che oggi non può che avereuna dimensione mondiale (dalle tra-gedie della fame al mantenimento del-la pace, alle minacce ecologiche), unseguace di Cristo, chiamato a fare me-moria del Suo esempio, può sentirsiimpotente e magari lasciarsi prenderedallo scoramento. Per questo i picco-li gesti nelle singole comunità eccle-siali , di coloro cioè che si riuniscononel suo nome, hanno un’ importanzafondamentale.Ma, poi, ad ogni cristiano, come adogni uomo, lamoderna societàmette inmano due armi che nessuno in co-scienza deve omettere di utilizzare: lascheda e il portamonete. Lazzati inse-

gnava a costruire la città dell’uomo,per e con tutti gli uomini: ciò si fa par-tecipando alla politica, con lo stru-mento minimo del voto. Dieci anni fa(il 3 marzo 2002) la maggioranza deivotanti svizzeri decise che era giunto ilmomento (dopo un primo rifiuto, nel1986) di aderire all’Organizzazionedelle Nazioni Unite, per partecipare apromuovere i diritti umani in tutti i po-poli. Fu una scelta positiva per pochemigliaia di schede, ma di recente, in Ti-cino, abbiamo verificato che anche unsolo voto può determinare una scelta.L’altra arma, a disposizione di ognipersona, è il portamonete: la scelta diogni compratore, il modo in cui ognu-

no usa il proprio denaro (per il cibo,per l’istruzione, per lo svago, per ipoveri) contribuisce a maggiore o mi-nore giustizia; le scelte del singolo,sommate a quelle di decine, centinaia,migliaia di cristiani o non cristiani, mi-gliorano o peggiorano la vita del-l’umanità.Nel mondo, ovunque, centinaia e mi-gliaia di donne e uomini, preti e poli-tici, animatori ed educatori, volonta-ri, madri e padri fanno «memoria delSignore» operando in tanti modi per lapace e la giustizia. Il martire Bonhöf-fer insegna a tutti: «Prega, e poi faquello che è giusto per gli uomini».

Alberto Lepori

2 dossier No. 222

I conti di «Dialoghi»

BILANCIO 2011ATTIVIConto corrente postale fr. 8.864.79Contributo cantonale da incassare fr. 1.500.00Transitori attivi fr. - 120.00Totale ATTIVI fr. 10.244.79PASSIVICreditori fr. - 8.673.20Transitori passivi fr. - 1.180.00Riserva per stampa testi fr. - 1.093.50Capitale proprio fr. 263.54Totale PASSIVI fr. - 10.683.16Utile (+) Perdita (-) da Bilancio fr. - 438.37

CONTO ECONOMICO 2011COSTIStampa periodico fr. 19.224.50Spedizione rivista fr. 3.220.60Spese postali e porti fr. 649.67Stampati e materiali pubblicitariSpese varie fr. 443.90Totale COSTI fr. 23.528.67RICAVIAbbonamenti ordinari fr. - 17.065.00Abbonamenti sostenitori fr. - 1.000.00Vendita copie singole fr. - 20.00Sussidio cantonale fr. - 5.000.00DonazioniSussidi vari fr. - 5.30Totale RICAVI fr. - 23.090.30Disavanzo d’esercizio fr. 438.37

«Dialoghi» ringrazia in particolare gli abbonati sostenitoriche hanno permesso di limitare il disavanzo d’esercizio.

Pietro Lepori, amministratoreFaido-Tengia, giugno 2012

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Il titolo del presente contributo è mol-to generico e, preso alla lettera, puòsicuramente spaventare per la vastitàdell’orizzonte che apre1. Proveremo aindividuare un percorso, sufficiente-mente ampio, ma anche specifico al-la situazione di chi è impegnato nelservizio del povero. Ci concentreremosu un unico aspetto del rapporto traricchezza e povertà nella Bibbia: quel-lo della dinamica del loro incontro, delloro entrare in contatto l’una con l’al-tra. In altre parole: che cosa succedenel cuore di chi è nell’abbondanza,quando ai suoi occhi appare lo spetta-colo dell’indigenza? Ma anche: checosa succede nel cuore del povero chevede il ricco chinarsi su di lui, pren-dersi cura della sua situazione?Possiamo individuare tre elementipropri del dramma della storia dellasalvezza, ma anche, in fondo, di ogniincontro autentico tra ricco e povero.

Ho osservato la miseriadel mio popolo (Es 3,7)Rileviamo, anzitutto, che il rapportotra povertà e ricchezza si trova al cuo-re dell’esperienza fondatrice della ri-velazione di Dio nella storia. Dio sirivela come Colui che conosce la mi-seria del suo popolo. Anzi, si può di-re che Israele diventa popolo dell’al-leanza proprio a partire dall’essere vi-sto nella sua povertà dal Dio vivente.La scena che dobbiamo evocare è ov-viamente quella decisiva del «rovetoardente» (Es 3). La santità di Dio simanifesta proprio come capacità di la-sciarsi toccare dalla condizione del-l’ultimo, del marginale, dell’escluso:«Ho osservato la miseria (‘ani) delmio popolo in Egitto, ho udito il suogrido a causa dei suoi sovrintendenti,conosco le sue sofferenze» (v. 7). E dinuovo: «Ecco, il grido degli Israelitiè arrivato fino a me e io stesso ho vi-sto come gli Egiziani li opprimono»(v. 9). La storia del popolo dell’alle-anza comincia qui: dall’esperienza diuna miseria, di una povertà umilian-te, visitata dallo sguardo di Colui chenon rimane insensibile, vede, conosce,ascolta il grido e prende l’iniziativa diintervenire. Questa è una prima fon-damentale definizione della povertà edel povero nella Bibbia: la povertà èquella realtà che Dio conosce diretta-

mente, personalmente, e che non puòlasciare Dio indifferente, non suscita-re l’ascolto del Signore.

Ora, questa esperienza dell’essere co-nosciuti da Dio nella povertà e nel-l’umiliazione è una chiave di voltadella preoccupazione della Scritturaper la situazione del povero. Gli ese-geti fanno notare che «l’aiuto dei po-veri e dei miseri faceva parte dei com-piti sociali più importanti indistinta-mente, in Egitto, Mesopotamia eCanaan»2. In Israele, però, non si trat-ta di una semplice norma per garan-tire una certa equità sociale ed evita-re disordini. La cura del povero emer-ge direttamente dalla memoria di ciòche il Signore ha fatto per il suo po-polo.Emblematica, al riguardo, è l’intro-duzione alle «dieci parole»: «Io sonoil Signore, tuo Dio, che ti ho fatto usci-re dalla terra di Egitto, dalla condi-zione servile» (Es 20,2). Che cosavuol dire questa prima frase? Signifi-ca che l’esigenza della norma nascedal vissuto di schiavi liberati dalla lo-ro oppressione. Ciò appare con evi-denza al cuore del cosiddetto codicedell’alleanza: «Non molesterai il fo-restiero né lo opprimerai, perché voisiete stati forestieri in terra d’Egitto.Non maltratterai la vedova o l’orfano.Se tu lo maltratti, quando invocheràda me l’aiuto, io darò ascolto al suogrido» (Es 22,20-23). E appena dopoè ribadita la sensibilità di Dio nei con-fronti del misero, fondamento del-l’iniziativa di salvezza comunicata aMosè: «Se prendi in pegno il mantel-lo al tuo prossimo, glielo renderai pri-ma del tramonto del sole, perché è lasua sola coperta, è il mantello per lasua pelle; come potrebbe coprirsi dor-mendo? Altrimenti, quando griderà

verso di me, io l’ascolterò, perché iosono pietoso» (Es 22,25).Il nocciolo del rapporto tra colui chedispone di mezzi e colui che vive nel-l’indigenza è così costituito dalla me-moria di ciò che il Signore ha fatto;memoria da custodire, memoria ge-neratrice nell’uomo della capacità divedere a sua volta, di conoscere «dadentro» la situazione dell’altro, di ve-dere «sé come un altro», dice Paul Ri-coeur, filosofo e grande lettore dellaScrittura dei nostri tempi3.

* * *Un esempio caratteristico di questadinamica lo possiamo individuare nelmodo di procedere di Natan con Da-vide, divenuto adultero e omicida do-po essersi invaghito di Betsabea. Ilprofeta racconta una parabola attra-verso la quale Davide è chiamato arendersi conto che lui, ricco, non hasaputo vedere la situazione del pove-ro nella stessa misura con cui Dio haavuto occhi per lui (cf. 1 Sam 12,1-4). È evidente, in questo testo, l’ab-bondanza dei particolari che esaltanoil carattere patetico del caso che Da-vide è il primo a cogliere: «Per la vi-ta del Signore, chi ha fatto questo èdegno di morte» (v. 5). Ma il profetaè pronto a far entrare nel cuore del rela parola decisiva: «Tu sei quell’uo-mo». Cos’è successo infatti perchéDavide giungesse a comportarsi inquesto modo abominevole? Non èmancata tanto in lui l’adesione diprincipio al comandamento del Si-gnore quanto piuttosto la capacitàdi fare sintesi tra quello che il Signo-re aveva fatto per lui e quello che, apartire da questa consapevolezza,avrebbe dovuto fare nei confronti del-l’altro: «Perché dunque hai disprez-zato la parola del Signore, facendociò che è male ai suoi occhi?» (1 Sam12, 7-9).Nel dramma del re si concentra cosìquello di tutto il popolo dell’alleanza:popolo salvato, riscattato, beneficatoin ogni modo dal Signore misericor-dioso, ma che, raggiunta l’abbondan-za, la prosperità, la ricchezza, è inca-pace di custodire la memoria delle sueorigini. Qui occorrerebbe aprire unaampia finestra per evocare la variega-ta testimonianza dei profeti, di cui so-

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L’incontro tra il ricco e il povero nella BibbiaNon pensarlo solo come un’operazione caritatevole

di don Valerio Lazzeri*

* Don Valerio Lazzeri, canonico della Catte-drale di Lugano, ha tenuto un’ampia relazio-ne su questo tema durante l’incontro annualedi formazione del movimento vincenziano(Conferenze di San Vincenzo, Volontarie vin-cenziane, Gruppo della Medaglia miracolosa)svoltosi nel settembre 2011 a Pallanza. «Dia-loghi» lo ringrazia di averne messo a disposi-zione un ampio sunto per questo dossier sul-la diaconia.Il testo integrale della relazione può esserechiesto all’Autore ([email protected]).

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no ben note la lucidità e la forza di de-nuncia di tutte le ingiustizie che pro-liferano in Israele proprio nei tempidi maggiore abbondanza. Amos, Mi-chea, Osea, Isaia, Geremia, Ezechie-le e Zaccaria sono sicuramente le vo-ci più rappresentative in questo sen-so. Quello che da essi emerge è unacostante nell’argomentazione: la radi-ce dei soprusi è l’oblio della relazio-ne che il Signore ha stabilito con il suopopolo, il venir meno di quella cono-scenza vera del Signore, di quella ca-pacità di «vedere» che, da un lato, na-sce solo nel povero che si scopre sal-vato, ma, dall’altro, inesorabilmentesi estingue o si ottunde nel cuore in-torpidito dai beni del ricco.Insomma, la ricchezza, nella Bibbia,non è un male in sé. Al contrario,essa anzi è, negli strati più profondidell’esperienza di Israele, il segno del-la benedizione divina, di un Dio chevuole la vita dell’uomo e delle suecreature e la vuole con abbondanza epienezza, come dispiegamento anchemateriale e corporeo della sua vita ine-sauribile. La critica biblica non colpi-sce i beni che, dando alla vita del-l’uomo uno spazio di sicurezza, gli of-frono anche di poter diventare unospazio di generosità, d’irradiazione,di celebrazione. La Scrittura diventasferzante invece laddove la ricchezzaè manipolata dal cuore impaurito del-l’uomo e diventa arroganza, indiffe-renza, insensibilità alla Parola.

* * *La parabola più famosa, al riguardo,è certamente quella del ricco, vestitosplendidamente, che banchetta ognigiorno lautamente, e del povero Laz-zaro, che giace alla sua porta a chie-dere l’elemosina. Essa è, in primo luo-go, la messa in guardia nei confrontidell’effetto paralizzante e anestetiz-zante di un certo stile di vita sulla no-stra capacità di lasciarci toccare, feri-re, dalla Parola. «Hanno Mosè e i Pro-feti, ascoltino loro – dice Abramo alricco negli inferi, che vorrebbe man-dare Lazzaro ad avvertire i suoi fra-telli – non saranno persuasi neanchese uno risorgesse dai morti» (Lc16,31). Ed è questo il punto: la ric-chezza tende inevitabilmente a can-cellare la memoria dell’esperienza dipovertà e l’assenza di questa memo-ria; non solo rende incapaci di viverela compassione, ma addirittura rendeimpermeabili alla Parola che salva,mentre la potenza del Dio vivente simanifesta veramente soltanto nellasua disponibilità a esporsi senza ri-

serve al confronto con la condizioneinfima dell’umano.Ora, questo lasciarsi toccare, abitare,spodestare dal contatto con il poveroe con la povertà è proprio di Dio. L’uo-mo si protegge finché può dall’incon-tro decisivo. È quello che è narrato delpopolo dell’alleanza in tutto l’AnticoTestamento: neanche le ricorrentiesperienze di precarietà e di miseriasembrano portare rimedio a questa si-tuazione. Solo l’esilio, il passaggio at-traverso l’estrema umiliazione, sem-bra, almeno per un attimo, creare lecondizioni perché si costituisca unpiccolo resto di poveri, di umili, digente capace di ricevere lo sguardo delSignore senza accaparrarlo. Dopol’esilio, perfino il Messia, il re attesoper gli ultimi tempi, è immaginato co-me uno che, con lo stile del piccolo re-sto degli anawiim, dei poveri del Si-gnore, porterà la salvezza perché pri-ma di tutto «salvato» (Zc 9,9).

Ho avuto paura,perché sono nudo, e mi sononascosto (Gen 3,10)Proprio sulla bocca di Gesù, pienocompimento di questa speranza pro-fetica, troviamo una parabola che cipuò introdurre al secondo snodo del-la complessità dell’incontro tra riccoe povero nella Bibbia. In essa, vieneevocata una circostanza particolar-mente penosa, che ci fa capire in ter-mini molto concreti la radice delle du-rezze e dei soprusi fra gli uomini. È lascena dell’uomo che è stato tolto perpura benevolenza da una situazione didebito spropositato, assolutamenteimpossibile da restituire, e che subito,«uscito fuori», obbliga un suo debito-re, un servo come lui, a restituirgli tut-to il dovuto (cf. Mt 18,23-35).Il problema evocato qui non è quellodi un’incapacità di trarre la conse-guenza logica da una premessa evi-dente. Gesù sembra volerci piuttostoriportare a quel luogo dove facciamoterribilmente fatica a stare, quando citroviamo di fronte a colui che ci chie-de di avere misericordia: il luogo del-la consapevolezza del nostro essere,alla radice del nostro esistere, di rice-venti. Il servo condonato che preten-de di essere risarcito non fa nulla, diper sé, di illegale, di ingiusto. Appli-ca solo in maniera rigorosa le regoledell’onestà e della giustizia, ma non èin grado di vedere la necessità del-l’altro a partire da sé. In realtà, non halasciato entrare dentro di sé in pro-

fondità lo sguardo di chi lo ha visto.È stato liberato da una situazione dimorte, ma si è sottratto allo sguardodel donatore: questo è il suo dramma!Ecco il secondo punto che deve esse-re rilevato nella nostra ricerca: se il Si-gnore ha sempre gli occhi sulla con-dizione di estrema indigenza in cui sitrova l’uomo nella storia, non semprel’uomo è disposto a lasciarsi visitaredall’offerta di salvezza.

* * *È ciò che accade nel racconto delleorigini, quando Adamo reagisce allaricerca di Dio, sottraendosi al suosguardo. La motivazione data al mo-mento del ritrovamento non lasciadubbi: «Ho avuto paura, perché sononudo, e mi sono nascosto» (Gen 3,10).Al di fuori dello sguardo di Dio, dallasciarsi vedere da lui, l’uomo si per-cepisce nella sua inermità, si sente in-degno e fugge, da lui e da se stesso.Così a Dio è difficile salvare l’uomo,non perché per lui sia difficile dare,ma perché l’uomo non riesce a rice-vere e preferisce prendere per sé.Siamo qui al cuore di tutte le difficol-tà che s’intrecciano nell’incontro traricco e povero. La fonte del malinte-so è la nostra paura di essere scopertinella nostra radicale vulnerabilità.Questa si rivela sia nella nostra faticadi riconoscerci bisognosi sia nella no-stra insofferenza quando l’altro chie-de più di quanto siamo pronti o di-sposti a dare. Il problema è ciò cheaccade o non accade ogni volta nel-l’intimo del nostro cuore. Se esso è illuogo dove abbiamo imparato a fareentrare lo sguardo misericordioso diDio, oppure è quello del nostro di-sperato non avere abbastanza, del no-stro senso di scarsità, del nostro nonavere mai da dentro la percezione diuna protezione sufficiente per la no-stra esistenza e la nostra dignità.

* * *Nel quarto vangelo e in tutta la tradi-zione che fa capo al discepolo che siautopresenta come colui che ha fattol’esperienza dell’amore di Gesù, que-sto dilemma è ricorrente: nel suo Fi-glio, Gesù, Dio si manifesta come gra-tuità assoluta, vita inesauribile dona-ta senza condizioni. Questa rivelazio-ne deve entrare nel cuore umanoperché si liberi dalla paura di non ave-re abbastanza e si scopra nella comu-nione con Dio, con gli uomini e conl’intera creazione. Ciò però non puòavvenire senza che siano suscitati

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fraintendimenti e contraddizioni. Sipensi allo strascico della moltiplica-zione dei pani nel vangelo di Giovan-ni: la gente che va in cerca di Gesù chesi è sottratto alla folla che voleva far-lo re. Gesù non si fa alcuna illusionesulla motivazione della folla: «In ve-rità, in verità io vi dico: voi mi cerca-te non perché avete visto dei segni, maperché avete mangiato di quei pani evi siete saziati» (Gv 6,26). È l’amaraverità del nostro cuore ferito che cispinge a comportarci così, il nostrocuore che non conosce l’intimità conColui che è la sua Sorgente e da den-tro lo rassicura. Cerchiamo fuori la no-stra sicurezza e, quando l’abbiamo tro-vata una volta, non ci basta e ci sem-bra di doverne avere ancora di più, perrassicurarci. Non è però su questo pia-no che il nostro cuore trova la sua sta-bilità e insieme la fonte del suo inar-restabile dinamismo. Gesù infatti ag-giunge: «Datevi da fare non per il ci-bo che non dura, ma per il cibo cherimane per la vita eterna e che il Fi-glio dell’uomo vi darà» (Gv 6,27).L’avidità dell’uomo rischia di stravol-gere lo stesso annuncio evangelico!

* * *La risposta all’uomo che fugge dallosguardo di Dio, che rivela la nostra po-vertà solo per trasformarla nel luogobeatificante della salvezza, è così sol-tanto nella filialità di Gesù, in quellaqualità di vita umana in cui siamo dalui introdotti. La morte è vinta solonella vita che accetta di perdere tuttoproprio perché fa l’esperienza di rice-vere tutto in ogni istante. SecondoPaolo, noi, sì, desideriamo rivestircidella nostra abitazione celeste, ma vo-gliamo essere trovati «vestiti, non nu-di». L’unica soluzione allora è quellache veniamo «rivestiti, affinché ciòche è mortale venga assorbito dalla vi-ta. E chi ci ha fatti proprio per questoè Dio, che ci ha dato la caparra delloSpirito» (2 Cor 5,4-5). «Conoscete in-fatti la grazia del Signore nostro Ge-sù Cristo: da ricco che era si è fattopovero per voi, perché voi diventastericchi per mezzo della sua povertà»(2 Cor 8,9).La Scrittura ci suggerisce così che chisi muove verso il povero per aiutarlonon può ignorare il dramma del cuo-re umano; questo non è soltanto il cuo-re dell’altro, con le sue angustie, i suoilimiti, la sua predisposizione a pren-dere, più che a ricevere, ma è anche ilnostro cuore, che può donare nella ma-niera giusta solo quando veramente èentrato «nella sua stanza», lontano da

sguardi di compensazione che vengo-no dall’esterno, e si lascia guardare dalPadre, che vede nel segreto e alimen-ta in lui la vita del Figlio (cf. Mt 6,1-18).

Abbiamo conosciuto e credutol’amore che Dio ha in noi(1 Gv 4,16)Arriviamo così al terzo momento del-la nostra riflessione: esso consiste nel-l’osservare che il punto cruciale del-l’incontro tra ricco e povero, nellaScrittura, è quello di un incrocio disguardi nella verità e nell’amore, nel-l’autenticità di un dono che avvienenon a partire da un poter donare ver-so un puro oggetto dell’iniziativa be-neficante, ma da uno spossessamentobeato capace di dischiudere nel cuorepovero un dinamismo nuovo.È significativa al riguardo la sorpren-dente reazione di Pietro e Giovanni,quando lo storpio che siede alla «Por-ta bella» del tempio di Gerusalemmesi rivolge loro per chiedere l’elemosi-na. In essa c’è tutta l’audacia di chi haattraversato la notte del venerdì santoe ha fatto l’esperienza della grazia del-la risurrezione di Gesù dai morti: «Al-lora, fissando lo sguardo su di lui Pie-tro insieme a Giovanni disse: ‘Guar-da verso di noi’. Ed egli si volse aguardarli, sperando di ricevere da lo-ro qualche cosa. Pietro gli disse: ‘Nonpossiedo né argento né oro, ma quel-lo che ho te lo do: nel nome di GesùCristo il Nazareno, alzati e cammina»(At 3, 4-6). Questa capacità, non solodi sollevare lo sguardo sulla miseriadell’altro, non solo di vedere il pove-ro sulla strada e di esserne preso alleviscere, come il Samaritano della pa-rabola raccontata da Gesù (cf. Lc10,33), ma addirittura di chiedere al-l’indigente di incrociare lo sguardocon il proprio ha qualcosa di sconvol-gente, lascia davvero trapelare il mon-do nuovo inaugurato dalla risurrezio-ne di Gesù dai morti. Per cercare losguardo del povero e per credere dipoterlo ospitare senza esserne travol-ti, bisogna che il cuore di pietra si siafrantumato e sia stato sostituito dalcuore di carne; è necessaria l’attua-zione della nuova alleanza intravistadai profeti: la rivelazione di Dio iscrit-ta nel cuore (cf. Ger 33; Ez 36). È in-dispensabile essere stati trafitti da Co-lui che è stato trafitto (cf. Gv 19,37).Pietro e Giovanni fanno infatti qual-cosa per il paralitico che si rimette in

piedi e cammina; qualcosa che lui nonchiedeva e neppure era in grado di im-maginare come possibile, ma questobeneficio infinitamente più grande an-che dell’offerta più generosa in dena-ro, accade solo per un fatto, che segnala fine del suo isolamento all’internodella sua condizione di mendicanteparalitico. La forza con cui Pietro osasollecitare il volto di chi lo interpellasolo per denaro non è sua. È il fruttodella Pasqua del Signore che ne ha fat-to un peccatore perdonato, un uomoricuperato dalla rivelazione dell’aga-pe che occorre anzitutto ricevere. Aldi fuori di questa rivelazione, il pove-ro può essere, certo, aiutato, benefi-cato, sostenuto, ma non potrà usciredal suo identificarsi con il suo biso-gno immediato.

* * *L’avvenimento che tutto cambia è nel-l’ordine della trafittura. Gli sguardiumani possono essere benevoli e av-volgenti, ma la loro qualità principa-le è quella di tagliare, di incidere, dilasciare una traccia sulla superficie li-scia del nostro cuore. Se poi lo sguar-do è quello dell’innocente calpestato,esso può diventare una lama mortale.Non è un caso che il discepolo amatoai piedi della croce (cf. Gv 19,35) ri-ceva la rivelazione nel momento in cuiil fianco di Gesù viene trafitto dallapunta di una lancia e subito faccia ilcollegamento con un versetto partico-larmente denso del profeta Zaccaria,di cui si riconosce proprio in quel mo-mento il compimento: «Volgeranno losguardo a colui che hanno trafitto» (Zc12,10 citato in Gv 19,37).C’è stato un momento in cui gli Israe-liti hanno distolto lo sguardo dal tra-fitto, il re Giosia travolto dalle freccedell’esercito egiziano sulla piana diMeghiddo (cf. 2 Re 23,28-30; 2 Cr35,26-27). Come sopportare di vede-re l’incomprensibile, l’assurdo, dellasconfitta di un re che aveva fatto tut-to per ristabilire l’osservanza dellaLegge? Guardarlo, significava essereposti di fronte all’enigma insolubiledell’esistenza, dove tutto sembra es-sere destinato alla distruzione e allamorte; significava ricevere la confer-ma che tutto è menzogna, che non va-le la pena di sperare. Davanti alla cro-ce di Gesù, invece, lo sguardo può es-sere sollevato verso l’orrore e scopri-re l’amore, verso il Maledetto chepende dal legno e scoprire che attra-verso lui, il Figlio, la benedizione diAbramo è passata a tutte le genti. Edessere guariti – dice Gesù a Nicode-

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mo – come lo furono gli Israeliti neldeserto grazie al serpente innalzato(cf. Gv 3,14 dove si cita Nm 21,4-9),la loro vergogna trasformata dal Si-gnore in strumento di salvezza. Quelpiccolo fiotto di sangue misto ad ac-qua apre gli occhi del discepolo ama-to: Gesù non muore schiacciato daglieventi, dona la vita; più forte dellamorte, rimane l’Amore che eterna-mente si dona.

* * *La rivelazione di Dio è nel Povero, cheespone filialmente e fraternamente lasua povertà; è nel morire di Gesù, li-beramente e per amore. «Vedendolomorire così – dice Marco – il centu-rione disse: ‘Veramente è il Figlio diDio‘». È lì che il Dio, infinitamentericco, si rivela come intimamente po-vero, perché comunione di Persone,scambio incessante, dove ciascuno sipossiede donandosi. È lì che l’uomo,che si protegge dallo sguardo del Po-tente e non osa farsi vedere nella suapovertà e inermità, viene trafitto dal-la rivelazione e trasformato nell’inti-mo. Luca, l’evangelista dei poveri, iltestimone più toccante dell’attenzio-ne di Gesù per i piccoli, gli emargi-nati, gli ultimi, lo esplicita con gran-de forza (Lc 23,47-49). Questa dina-mica continua nella predicazione ec-clesiale, che in fondo non è altro cheun rappresentare al vivo, agli occhi de-

gli ascoltatori, Gesù crocifisso (cf. Ga3,1). Lo vediamo fin dal primo di-scorso apostolico, quello di Pietro su-bito dopo la Pentecoste. La conver-sione nasce dalla rivelazione della po-vertà beatificante del Ricco-Povero,che, mettendo a nudo la povertà na-scosta del cuore umano, la cauterizzadolorosamente e insieme la infiammadi carità, la mobilità nella vita nuova:«All’udire queste cose si sentirono tra-figgere il cuore e dissero a Pietro e aglialtri apostoli: ‘Che dobbiamo fare, fra-telli?’» (At 2,37).

ConclusioneIn conclusione, cosa ci dice la Scrit-tura dell’incontro tra povertà e ric-chezza? Come può illuminare la pras-si quotidiana dei cristiani che cercanodi dare espressione concreta nel quo-tidiano all’attenzione della chiesa ver-so i poveri, i diseredati, gli ultimi del-la società?La Bibbia, illustrando l’incontro trapovertà e ricchezza, ci fa capire cheesso non è solo un’operazione carita-tevole da condurre a buon fine, ma èl’ambito specifico in cui accade la ri-velazione divina. Essa provoca sem-pre la nostra capacità di lasciarci ve-dere e di vedere, di lasciarci trafigge-re e di ricevere, il perdono da partedel povero che aiutiamo; il perdono

per la nostra incapacità di donare sen-za far pesare, senza esercitare alcunpotere su coloro la cui libertà di ac-cettare il nostro dono è estremamen-te limitata. Quando vediamo un po-vero diventare avido perché lo aiutia-mo, non dobbiamo spaventarci e met-terci sulla difensiva. La sua reazione– per noi irritante – all’aiuto che ri-ceve è il suo modo di offrirci la pos-sibilità di fare quello che facciamonon perché ne abbiamo i mezzi, maliberamente e per amore; è il suo mo-do di regalarci la possibilità, estre-mamente esigente, di disarmarci in-teriormente. È il suo modo di riman-darci a Colui che per farci ricchi, si èfatto povero, fino a dirci dall’alto del-la croce: «Ho sete» (Gv 19,28) e a ri-conoscere in un semplicissimo gestodi risposta, la spugna imbevuta di ace-to, che «È compiuto» (Gv 19,30).An-che noi non sapevamo come entrarein una relazione vera con lui, finchéEgli non ci ha dato nel suo Figlio, nel-la forma del povero, la possibilità dirispondergli in verità.

NOTE1. Riflessioni e suggestioni preziose in questosenso si possono trovare in D. Barthélemy, Ilpovero scelto come Signore, Magnano 2011.2. U. Berges; R. Hoppe, Il povero e il ricconella Bibbia, Bologna 2011, p. 26.3. Cf. P. Ricoeur, Sé come un altro, Milano1993.

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La poesia romanda Una linea sottile - Omicidi quasi perfetti

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I mei ultimi quindici mesi di presi-denza della Caritas Svizzera (alla con-clusione di quindici anni di attività),sono stati caratterizzati da un’elevatatensione con gli ambienti vaticani, inrelazione a vicende di Caritas Inter-nationalis e alla Conferenza qua-driennale che si è tenuta a Roma nelmaggio 2011.L’emergenza è iniziata con la letteradatata 15 febbraio del segretario diStato card. Bertone, con la quale ve-niva rifiutato il nihil obstat per la ri-candidatura della segretaria generaleLesley-Anne Knight. Essa godeva del-l’appoggio dell’ ufficio presidenzialee dell’apprezzamento di molte Caritasnazionali. Non potendo accedere allemotivazioni di tale grave decisione,ma avendo appurato che non si tratta-va di questioni morali, Caritas Sviz-zera ha scritto una lettera di protesta,che concludeva: «Non possiamo im-pedirci di interpretare questa proce-dura del Segretariato di Stato, per dipiù coperta dal Consiglio pontificio“Cor Unum” (il dicastero della Curiaromana che si occupa di promozioneumana e cristiana), come un tentativodi mettere sotto tutela Caritas Inter-nationalis». Il card. Bertone ha ancheimposto di celebrare lui stesso la S.Messa d’apertura. L’omelia è stata re-cepita dai più come un chiaro mes-saggio teso a rendere nebuloso il con-fine fra evangelizzazione e aiuto alprossimo, con frasi del tipo «(... ) Nonbasta distribuire soldi», che all’orec-chio di chi opera costantemente nel-l’aiuto del prossimo suonano offensi-ve. Stesso tema e stesso tono nel di-scorso d’apertura del card. Sarah,presidente di «Cor Unum», nella co-municazione teologica del giorno do-po di p. Cantalamessa, seguito dalcard. Turkson, presidente del Consi-glio pontificio «Justitia & Pax».Se si aggiunge il tentativo di impedi-re la discussione sul caso della segre-taria generale e, una volta ammessa,il divieto di comunicare le ragioni delrifiuto del nihil obstat, si può com-prendere che la pressione nell’assem-blea è salita a livelli così alti da im-porci di reagire, anzitutto con un in-tervento in questa farsa di discussio-ne strappata coi denti e poi, con undocumento, battezzato «Manifesto delSamaritano», in risposta al nebuloso

confine fra evangelizzazione e aiutoal prossimo.Dopo le necessarie premesse il mani-festo conclude: «Diciamo forte e chia-ro che il nostro aiuto è realizzato colmassimo sforzo di professionalità, conumanità e compassione, senza altro fi-ne dichiarato o nascosto, nel pieno ri-

spetto dell’identità e della dignità del-le persone destinatarie dell’aiuto, sul-l’esempio del buon Samaritano delVangelo». Il documento ha trovato va-sti consensi in una riunione di CaritasEuropa e presso molti altri rappresen-tanti.Le vicende non sono comunque fini-te. È del mese di maggio un decretodi «Cor Unum» e della Segreteria diStato col quale vengono approvati(dopo averli emendati) i nuovi statutidi Caritas Internationalis. Questa vie-ne a trovarsi ora sotto il controllo rav-vicinato degli organi vaticani, che siestende in una certa misura anche allivello regionale (per noi di CaritasEuropa). Del resto «L’Osservatore ro-mano» invitava a prenderne l’esem-pio per «aggiornare» le strutture e glistatuti delle organizzazioni nazionalie diocesane.Alla recente Conferenza di Caritas Eu-ropa a Varsavia, il presidente di «CorUnum» è andato a spiegare tale ac-cresciuto ruolo e a ripetere il discorsodi apertura dello scorso anno a Roma,senza raccogliere grande successo.Il lettore potrebbe chiedersi, come maiil Vaticano può permettersi di fare tut-to questo. La risposta più sinteticaconsiste nella debolezza della condu-zione dell’organizzazione. Otto annifa un segretario generale irresponsa-bile, senza chiedere nulla al Comita-to direttivo, ha promosso la procedu-ra di sottomissione di Caritas Interna-tionalis al diritto canonico, perdendoquindi l’autonomia garantita dal dirit-to civile. Incredibile la motivazione diquesto passo: per allineare la scala de-gli stipendi a quella vaticana, più van-taggiosa per il personale impiegato!Ma ancora più incredibile è il fatto cheil Comitato direttivo non ha trovato laforza e i numeri per reagire.Anche nella vicenda recente del nihilobstat negato è emersa la debolezza,perfino la latitanza, della dirigenza,che ha lasciato incancrenire situazio-ne che andavano affrontate di petto.Un altro problema è rappresentato dal-la massiccia presenza di clero in que-ste istituzioni (pur precisando che esi-stono laici incompetenti o più clericalidei preti) in cui la responsabilità deilaici dovrebbe essere amplissima, co-me lo è in molte Caritas nazionali eu-ropee. Nei rapporti all’interno dellagerarchia ecclesiastica (che qualcunoancora confonde con la Chiesa) si tro-va troppo facilmente chi accetta dimettere l’obbedienza davanti alla ve-

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Il Manifestodel Samaritano

Oltre i problemi che hanno se-gnato la preparazione di questaassemblea negli ultimi mesi, inquesti primi giorni abbiamoascoltato varie letture teologichea proposito della natura e della fi-nalità dell’azione di Caritas.Nella definizione di tale natura efinalità, e in rapporto con l’evan-gelizzazione e il problema delproselitismo, i partecipanti al-l’assemblea generale hanno avu-to l’impressione che si tenda a unnuovo orientamento di Caritas,sul quale non abbiamo conferme.A tutte le persone e comunità de-stinatarie dell’aiuto delle nostreCaritas, a tutte le persone e orga-nizzazioni che collaborano a que-sto aiuto, ai nostri donatori e do-natrici, a tutte le istituzioni e au-torità che ci sostengono e ci apro-no le porte, noi diciamo forte echiaro che il nostro aiuto è con-trassegnato dal massimo sforzo diprofessionalità, ma anche di uma-nità e di compassione, senz’altrafinalità dichiarata o nascosta, nelpieno rispetto dell’identità e del-la finalità delle persone cui van-no gli aiuti, sull’esempio del buonsamaritano del Vangelo.

Fulvio Caccia,presidente di Caritas Svizzera

Hugo Fasel,direttore de Caritas Svizzera

Questo testo è stato presentato alla Con-ferenza regionale europea. Otto delega-ti sono intervenuti per lodarne il tenoreed è stato annesso al verbale. Al termi-ne della 7. riunione statutaria dei 26 mag-gio, è stato consegnato al presidente diCaritas Internationalis, all’attenzione delComitato esecutivo, con copia alla se-greteria generale.

Disagio a «Caritas Internationalis»Il Vaticano mette le mani su tutto?

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rità, quella semplice, con la «v» mi-nuscola, legata ai fatti.Così va avanti l’opera di messa sottotutela di Caritas Internationalis, lamessa sotto tutela di Justitia & Pax, ecosì pure altre operazioni di caratterepiù ideologico che teologico, collega-te alla nomina di professori per le cat-tedre universitarie. La pressione si fa-rà sentire anche sulle conferenze epi-scopali, perché facciano uso della lo-ro autorità sulle organizzazioninazionali, come ha lasciato intendere«L’Osservatore romano”. Non è cer-tamente un caso che il Vaticano hapressantemente invitato tutti i vesco-vi che si occupano di Caritas nei loroPaesi a partecipare alla Conferenzadello scorso anno a Roma, che si an-nunciava delicata.

La Svizzera si trova in una situazioneinvidiabile, di fatto invidiata da mol-ti paesi. Caritas Svizzera è stata fon-data 111 anni fa da un cappuccino, tral’altro contro il parere dei vescovi diallora. Era, è e sarà (almeno per mol-to tempo ancora) un’associazione aisensi del Codice civile. L’intelligenzadi quel grande vescovo che è statomons. Ivo Fürer, con la collaborazio-ne dell’allora direttore di Caritas sviz-zera Jürg Krummenacher, ha permes-so un ventennio fa di regolare i rap-porti con la Conferenza episcopale permezzo di un contratto, vantaggioso perle due parti, in quanto conferisce a Ca-ritas amplissima indipendenza e sca-rica i vescovi di molte responsabilità.I rapporti con la Conferenza episco-pale sono eccellenti, in particolare con

il responsabile del Settore Diaconia.mons. Markus Büchel, vescovo di SanGallo.Un’informazione che può tranquilliz-zare in parte i lettori: riguarda il tipodi attività di Caritas Internationalis ele sue competenze finanziarie. L’enteinternazionale è una piattaforma d’in-formazione sulle situazioni nei Paesibisognosi di aiuto e di coordinamen-to; soprattutto in caso di catastrofiquesta sua funzione è molto utile, per-ché operativa in tempi brevi. Si fi-nanzia con quattro milioni di euro al-l’anno, pari a un ventesimo del bud-get di Caritas Svizzera. Il finanzia-mento dei progetti non passa infattiattraverso Caritas Internationalis.

Fulvio Caccia

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INVITO AL SERVIZIOI cristiani dei primi quattro secoli hanno evangelizza-to il mondo con l’irradiazione del loro amore. Il pri-mato della Chiesa di Roma si è manifestato come unservizio d’amore per tutti, anche per i non battezzati.La Chiesa di Roma inviava aiuti in tutto il mondo, cer-cava di affrancare gli schiavi, di prevedere strutture diaccoglienza per i malati e gli anziani. Dobbiamo per-tanto combattere l’individualismo e l’egoismo. Oggisi può morire in una città ed essere scoperti solo quan-do il corpo va in decomposizione!Suggerisco iniziative che qualche parrocchia ha giàpreso. Quando qualcuno viene ad abitare nel nostroComune alcuni parrocchiani si recano da lui e gli por-tano l’ultimo bollettino della parrocchia, indicandoglinon solo gli orari delle celebrazioni ma anche le con-crete possibilità che ha di inserirsi per aiutare la co-munità. Si fa un’esperienza positiva con i gruppi di ge-nitori che si riuniscono per discutere dei problemi edu-cativi. L’oratorio è grato a chi a turni lo tiene apertoper animare le attività di ragazzi e giovani. Un setto-re tanto trascurato quanto capitale è quello delle Con-ferenze di san Vincenzo. Se un piccolo gruppo di par-rocchiani volonterosi e discreti visita le famiglie po-vere, segnalate dal parroco, ci si rende conto che lamiseria è più grande di quanto si immagina. Felici leparrocchie che hanno istituito un servizio di ostiari edi lettori. I primi accolgono i fedeli e li sistemano inmodo che possano sedere. Spesso capita che una fol-la si accalchi sulla parete di fondo della chiesa quan-do davanti i posti vuoti sono ancora parecchi. Gli ac-coliti portano l’Eucarestia ad anziani e malati, maga-ri ogni domenica, e aiutano il celebrante là dove i co-municandi sono numerosi.Potrebbero anche presiedere un momento di adora-zione, aprendo il tabernacolo e incensando il Santissi-

mo Sacramento. In alcune parrocchie ci si è organiz-zati per assicurare ai malati cronici e agli anziani vi-site regolari. Si sappia che la parrocchia non abbiso-gna solo di amministratori nel Consiglio parrocchia-le, ma anche di ispiratori nel Consiglio pastorale. Cisono persone che hanno il carisma organizzativo: perfeste della comunità, per il gioco, le passeggiate, il tea-tro, il divertimento. Così le corali sono importanti peranimare il canto dell’assemblea e per proporre (al-l’offertorio, alla comunione) momenti meditativi. Sa-rebbe necessario che la preparazione dei cresimandinon fosse teorica, ma pratica: ci organizziamo per aiu-tare un’opera missionaria, diamo da mangiare agli an-ziani in un ricovero, facciamo per loro uno spettacoloricreativo. In qualche parrocchia si organizza un do-po-scuola e si cerca di avere un occhio e un cuore aper-ti alle esigenze delle nostre missioni diocesane. Più checoltivare orticelli privati, sarebbe bene investire tuttele forze per dare slancio ai progetti diocesani che lacommissione missionaria con il Vescovo coordina esviluppa.Oggi parecchie di queste attività possono essere rea-lizzate a livello di zona pastorale. Anche parrocchie didimensioni ridotte sono coinvolte nelle varie opere diservizio che ci aiutano a visibilizzare la nostra fede.La cosiddetta nuova evangelizzazione non può che rea-lizzarsi sul modello di quella antica: con una diaconiaefficiente, poliedrica, che ci strappi all’egoismo, alcampanilismo, allo sciovinismo, e ci aiuti a vivere nel-la dedizione al prossimo vicino e lontano, nel qualevediamo e adoriamo il Cristo. Andiamo contro cor-rente, ma gli uomini di buona volontà, colpiti da que-ste «belle opere» (Mt.5,16) si convertiranno.

Don Sandro Vitalini(da «Spighe», aprile 2012)

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Proteste nelle strade di Atene, manife-stazioni di massa a Madrid, saccheggiin alcuni quartieri di Londra, scompi-gli e nervosismo a Roma: le conse-guenze sociali della crisi dell’indebi-tamento sono ormai ben visibili. È unpo’troppo semplicistico spiegarle uni-camente con le difficoltà contabili de-gli Stati. Perché, al di là dei fatti at-tuali, queste rumorose manifestazionisono soprattutto il segnale che l’ideo-logia neoliberale raggiunge i suoi li-miti.Tutto l’edificio della concorrenza eco-nomica tra i diversi punti di attrazio-ne delle nazioni democratiche nel pro-cesso di globalizzazione minaccia dicrollare. Sui mercati finanziari, la spe-culazione forza i Paesi a operare taglimassicci nei loro sistemi di sicurezzasociale. Neppure l’Unione europea rie-sce più a proteggere i suoi membri daisuoi interventi. Tutto ciò si è spinto tal-mente lontano che non solo i governisono sconfessati ma anche lo stessoStato liberale non è più credibile. Ilmondo politico perde il primato difronte al mondo economico.In Svizzera non siamo ancora alle ma-nifestazioni di piazza, però anche danoi il malcontento sta emergendo e lacollera aumenta. Ricordiamo ancoratutti bene la crisi finanziaria e il sal-vataggio di una grande banca svizze-ra pagato a carissimo costo. Sul mer-cato del lavoro stiamo vivendo le con-seguenze dell’ascesa del franco, so-stenuto dalle speculazioni dei mercativalutari. I costi reali delle sbandate deimercati finanziari sono a poco a pocodivenuti statali.David Cameron, primo ministro in-glese, evoca una broken society, unafrattura della società, pronunciandosisul movimento di rivolta della gio-ventù avvenuto in Inghilterra. L’im-magine la dice lunga e spinge ad as-sociazioni. All’EMPA (l’Ufficio fede-rale per lo studio dei materiali, asso-ciato al Politecnico federale di Zurigo)si eseguono prove sui materiali e sipossono gettare i pezzi che non resi-stono a forti pressioni, ma di una so-cietà frantumata non ci si può sempli-cemente sbarazzare. E ridurre la frat-tura è un’impresa delicata. Pare che gliambienti economici e politici abbiamovoluto verificare dove situare i limitidegli oneri sociali, quanta disugua-glianza si può ancora ingoiare, quali

costrizioni politiche una società è ca-pace di tollerare. Qua e là questi limi-ti sono stati oltrepassati. La società sista dividendo in parti inconciliabili.Quali sono gli elementi fondamentalidi una coesione sociale?Il mercato del lavoroLa globalizzazione economica esigedai lavoratori che siano sempre piùflessibili. Quando tutto va bene ci siaspetta dagli impiegati che faccianoore supplementari, orari a turno, chelavorino il fine settimana; quando vameno bene gli si impone la disoccu-pazione tecnica e si riducono i salari.Tutto ciò brandendo la spada di Da-mocle della delocalizzazione delle at-tività economiche. Finora queste au-mentate esigenze trovavano la lorocontroparte nel buon funzionamentodella sicurezza sociale. Chi finiva indisoccupazione sapeva almeno chenon significava finire nella povertà enell’esclusione, che sarebbe stato pos-sibile fare valere il proprio diritto alminimo vitale e all’integrazione in unoStato di diritto. Ma quest’idea di fle-xicurity è ormai sempre più messa indiscussione. Il diritto al minimo vita-le è negato e si risparmia sulle misuredi integrazione. L’equilibrio tra le esi-genze di flessibilità del mercato del la-voro e le assicurazioni dello Stato so-ciale dall’altra non è più garantito.Le disuguaglianzeFino agli anni Ottanta si parlava del fa-moso «ascensore sociale» che tutti po-tevano prendere per elevarsi nella sca-la sociale, da qualsiasi punto di par-tenza. Allora non erano le disugua-glianze tra i diversi strati sociali checolpivano ma il fatto che chiunque nel-la società poteva legittimamente spe-rare di poter migliorare le sue condi-zioni di vita in seno alla società. Nelfrattempo le cose sono decisamentecambiate. Oggi i ceti sociali sfavoritinon hanno più alcuna possibilità di pro-gredire nella società, i ceti medi si sgre-tolano ed i ceti elevati, senza preoccu-parsi delle conseguenze dei loro atti inmateria di coesione sociale, si conce-dono redditi e privilegi. I dibattiti suiversamenti di bonus ai manager han-no chiaramente provato che nella po-polazione sempre più persone si mo-strano riluttanti. Però non si nota al-cun indizio di cambiamento di rotta.

Le pari opportunitàIn molti Paesi, la provenienza socialeresta un fattore determinante quandosi tratta della qualità della formazio-ne, dell’importo dei salari e del posi-zionamento sulla scala sociale. Sonosempre i membri delle stesse classi cheoccupano i posti-chiave dell’economiae della politica. Tuttavia, si continua aripetere il discorso liberale delle pariopportunità per tutti. E questo mentrei bambini e i giovani non riescono piùa risalire la gerarchia sociale: non perassenza di qualità proprie ma perché iloro genitori appartengono a catego-rie sociali svantaggiate. La loro esi-stenza è ormai marcata dalla paura difinire un giorno tra gli esclusi della so-cietà e di finire nei ranghi di quelli chenon servono a nulla, quelli che non sipossono impiegare perché non si sonoformati e sui quali non si può contarenella spinta del consumo perché nonhanno soldi. Quelli ai quali non si dàvoce, visto che non hanno il diritto divoto.«Il XXI secolo sarà autoritario»In molti Paesi occidentali si sono stret-te le viti. Troppo. La Svizzera lenta-mente si avvicina anch’essa al limite.Sostenere che ciò sia dovuto all’im-migrazione è un tentativo pietoso dispiegare la realtà. Cosa ci possiamoaspettare ormai? Il contratto socialesarà rinnovato? Si può temere di no.Siamo molto più vicini alla realizza-zione delle buie previsioni del socio-logo tedesco Ralf Dahrendorf, scom-parso nel 2009. Parlando del Millen-nio affermava che il XXI secolosarebbe stato probabilmente autorita-rio. Se non si mantiene il preziosoequilibrio tra l’incoraggiamento dellaconcorrenza economica e la sicurezzasociale, lo Stato liberale andrà fuoristrada.Occorre che i turbamenti sociali nonscivolino nell’aperta anomia. Semprepiù voci invocano uno Stato forte, ca-pace di mantenere la pace e l’ordine.Lo Stato autoritario dovrà far rispetta-re quel che richiedono i mercati fi-nanziari: ancora più concorrenza sulpiano globale, ancora meno Stato so-ciale? Più sicurezza sociale o più si-curezza interna? Più giustizia o più po-lizia? Le domande sono semplici. E lerisposte pure: Singapore è la nuovaicona dei dirigenti economici dellaSvizzera.

Carlo KnöpfelCaritas Svizzera

Traduzione di Sonia Stephan(www.alliancesud.ch)

La broken society è alle porteIl valore del contratto sociale

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10 notizie belle e buone No. 222

Notizie belle e buoneVittoria laica. Il Governo solettese (rappresentato dal pre-sidente Peter Gomm e dal consigliere di Stato WalterStraumann) ha vinto, due a uno, il confronto agli Jasscon il vescovo di Basilea Felix Gmür, assistito dal suoausiliare, Martin Gächter, svoltosi il 24 aprile scorso nel-la cantina del Municipio della città di Soletta. La tradi-zione del singolare «Jass del vescovo» ebbe inizio nel1960, tra i due «commilitoni»: mons.Anton Hänggi e Wil-li Ritschard, futuro consigliere federale. Ma era stato so-speso nel 2006 perché il vescovo Kurt Koch, futuro car-dinale, era un pessimo giocatore… Spiace che il vesco-vo Gmür sia stato sconfitto, ma preferiamo che vinca al-tre sfide.Beati i poveri. Una ventina di associazioni umanitarie epolitiche hanno raccolto 3500 firme chiedendo al GranConsiglio ginevrino di abolire la legge, emanata nel no-vembre 2007, che vieta di chiedere l’elemosina in luoghipubblici. Per i firmatari, la legge è razzista, costosa e inu-tile. La petizione è stata presentata a palazzo governati-vo, con la partecipazione di un gruppo di musica tziganarumena.Ecumenismo vescovile. I dodici vescovi della Confe-renza episcopale svizzera hanno incontrato i sette vesco-vi ortodossi dellaAEOS (Assemblea dei vescovi ortodossidi Svizzera, fondata due anni fa) da cui dipendono gli ol-tre 150 mila ortodossi che vivono nella Confederazione.Era la prima volta che avveniva, e molti dei presenti nonsi erano mai incontrati. Vero che l’ecumenismo procedelentamente….Libertà va cercando. Sul bollettino pasquale di una par-rocchia del Luganese, un parroco (non austriaco) scrivedell’amore di Dio che «è infinito anche nei confronti del-le coppie che hanno visto fallire il loro primo matrimo-nio e si sono risposate». E prosegue: «La Chiesa d’Orien-te (che non penso sia più peccatrice di noi) riconosce lapossibilità delle seconde nozze, celebrate in un contestopenitenziale». Nando Fabro, fondatore del gruppo de «IlGallo» di Genova, insegnava che nella Chiesa cattolicac’è la libertà… che ci si prende. A quando le secondenozze con un prete cattolico quale testimonio?Teologi a Lucerna. Alla Facoltà di teologia di Lucerna,nel 2011, erano iscritti 201 studenti, dei quali 90 fre-quentavano i corsi di teologia cattolica (per metà donne),76 l’Istituto di pedagogia religiosa (due terzi donne) e 36altri corsi (musica sacra, catechesi, ecc.). Gli studenti diteologia rappresentano oltre il 7% degli universitari di Lu-cerna.Laicità attiva. Una cattolica praticante, Béatrice Métraux,dirige nel governo vodese il Dipartimento dell’Interno,cui spettano anche le relazioni con le confessioni reli-giose. La Costituzione del 2003 accorda alle due Chiese,cattolica e protestante, lo statuto di istituzioni di dirittopubblico e assegna loro 50 milioni di franchi all’anno qua-le partecipazione a compiti sociali (nelle «missioni co-muni», in istituti cantonali, sono impiegate 55 persone).La ministra verde (sposata ad un protestante, non è una«papista fanatica») ritiene necessario un riconoscimento

statale anche per favorire l’integrazione dei musulmani,il maggiore gruppo tra le minoranze religiose del canto-ne. La comunità ebraica è già riconosciuta di interessepubblico.Milioni per la cattedrale. I deputati vodesi hanno vota-to all’unanimità un credito di tre milioni di franchi per la-vori necessari alla cattedrale di Losanna, in particolareper le riparazioni al tetto e la stabilità delle facciate. Uncredito più importante dovrà essere deciso tra qualche me-se: la cattedrale, assegnata ai protestanti al momento del-la Riforma, è di proprietà pubblica.Donne sul podio. Molti si sono felicitati per il successodella birmana Aung San Suu Kyi, premio Nobel per lapace, e del suo partito nelle elezioni al parlamento, dopoanni di dittatura militare che l’avevano costretta a domi-cilio coatto e persino alla prigione. Con lei vanno festeg-giate anche le quattro donne che rappresentano, dal 1.aprile, la maggioranza del governo vodese: due sociali-ste, una verde e una radicale. Il nuovo vescovo di Fri-burgo, mons. Morerod, ha nominato una donna trenten-ne, Laure-Christine Grandjean, responsabile della comu-nicazione diocesana: la Grandjean (o Jeanne?) ha inizia-to dal 1. maggio a diffondere al femminile le notiziediocesane romande.Aiuti umanitari. Il Governo ticinese, con la consulenzadella FOSIT (Federazione delle ONG ticinesi) ha desti-nato nel 2011 l’importo totale di fr. 170 mila a sostegnodi undici progetti, proposti da enti di aiuto umanitario eallo sviluppo esistenti in Ticino. Gli interventi sussidiaticon fondi pubblici riguardano prevalentemente Paesi delSud del mondo (Africa e America latina). Il Consiglio fe-derale propone di destinare 11,35 miliardi a progetti e aiu-ti alla cooperazione internazionale negli anni 2013-2016:6,92 miliardi per la cooperazione tecnica e finanziaria,2,03 miliardi per l’aiuto umanitario urgente e la ricostru-zione, 70 milioni alla Croce Rossa Internazionale, la Sviz-zera essendo il terzo maggior contribuente dell’organiz-zazione umanitaria. Il Parlamento ha respinto la proposta(invero pelosa…) di concedere aiuti solo agli Stati che so-no disposti a riprendersi i loro concittadini espatriati incerca di una migliore vita e sgraditi alla (umanitaria) Sviz-zera!Bianchi e neri. La Corte suprema brasiliana ha giudica-to costituzionale la norma che impone una quota minimadi studenti neri (30%) nelle università, mentre le Chiesemetodiste statunitensi, ancora divise tra chiese per bian-chi e chiese per neri in forza della segregazione impostatra il 1939 e il 1968, hanno recentemente compiuto unpasso verso il ritorno all’unità, riconoscendosi scambie-volmente i sacramenti, il clero e i ministeri. Intanto, ne-gli Stati Uniti, nascono meno bambini bianchi di quelli«colorati» e il presidente (secondo Berlusconi) è abbron-zato!A favore dei lavoratori. In occasione della Giornata in-ternazionale del lavoro, mons. Ricardo Ezzati, arcive-scovo di Santiago e presidente della Conferenza episco-pale cilena, ha sostenuto le rivendicazioni del Sindacatounitario che chiede l’aumento del salario minimo da 182mila a 250 mila pesos (da circa 285 euro a 390), l’im-porto attuale non permettendo a una famiglia di vivere.

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Non si può negare che il movimentodi riavvicinamento dei cristiani vivaoggi una crisi o – come scrive donSandro Vitalini nel numero di feb-braio 2012 di «Dialoghi» – «un in-verno ecumenico». Questo arretra-mento si deve in gran parte all’irrigi-dimento delle posizioni romane. Tut-tavia, la maggior parte delle altreChiese vi hanno una parte di respon-sabilità, anche solo per la loro passi-vità. Al contempo, però, la crisi spet-tacolare che sta attraversando la Chie-sa cattolica e la crisi più ovattata, manon meno reale, che vivono le altreChiese incitano numerosi cristiani, lai-ci e ministri, ad avanzare insieme nel-la riflessione, nella preghiera e nellacondivisione dell’Eucaristia, pratica-ta qua e là malgrado le riserve dellagerarchia. L’ecumenismo istituziona-le sta perdendo colpi? Senza dubbio,ma l’ecumenismo vissuto dalla «ba-se» continuerà certamente a svilup-parsi. È un’onda di fondo che nonmancherà di ripercuotersi sul dialogotra i responsabili. Ma che rimarrà ste-rile se non si costruisce su fondamen-ta solide e nella verità: e sfortunata-mente non è sempre il caso, oggi.

Una prima tappa difficile:il pentimentoUn autentico cammino ecumenico de-ve basarsi sul riconoscimento, da cia-scuna parte, dei propri errori e delleproprie colpe. Questo perché le divi-sioni dei cristiani non sono una fata-lità, una disgrazia che li ha colpiti e dicui Dio potrebbe guarirli1 come da unamalattia: sono la conseguenza del-l’orgoglio delle Chiese, e in definiti-va di tutti i cristiani, orgoglio che ge-nera intolleranza e volontà di potere.Dobbiamo dunque prima tornare innoi stessi e chiedere perdono per le in-fedeltà2 a Dio e ai nostri fratelli di al-tre confessioni, con la ferma risolu-zione di porvi fine e di diventare piuumili e fraterni.Questa prima tappa è stata spesso elu-sa, e questo potrebbe in parte spiega-re gli ostacoli che impediscono al-l’ecumenismo di fare progressi. Infat-ti, come potrebbero le Chiese trovareun vero terreno d’intesa senza aver ri-conosciuto pubblicamente che granparte dei loro dissensi sono responsa-

bilità loro? Il progresso dell’ecume-nismo, d’ora in poi, costerà questoprezzo. Ma temo che i dirigenti delleChiese non siano pronti a pagarlo, co-me, più in generale, dubito della lorovolontà di impegnarsi risolutamentesulla strada dell’unità.

Perchè tante reticenze?Fra le molte ragioni di questi rifiuti oreticenze, ne vedo una spesso passatasotto silenzio: la divisione delle Chie-se ha prodotto un importante numerodi autorità ecclesiastiche «indipen-denti», all’interno delle quali i capi re-ligiosi esercitano un potere e voglio-no conservarlo. Oggi le Chiese sonopressoché l’ultimo bastione del pote-re assoluto. È incontestabile per laChiesa cattolica, ultima monarchia as-soluta al mondo, governata da un uo-mo ritenuto infallibile in determinatecircostanze ed è appena meno evi-dente per le Chiese ortodosse, dove ilpotere è esercitato collegialmente daisinodi episcopali e, a un livello piùmodesto, dagli altri membri del clero.Nella Chiesa cattolica come in quellaortodossa, una stretta disciplina ge-rarchica è supposta atta a mantenere isemplici fedeli nella verità e nell’ob-bedienza. Ma neppure le altre Chiese,comprese quelle nate dalla Riformadel XVI secolo, sono al riparo dalletentazioni del potere. Per secoli,«Monsieur le Ministre» è stato nellasua città o nel suo villaggio un nota-bile accanto ai magistrati civili, unpersonaggio rispettato e temuto. Ave-va talora l’esorbitante potere di sco-municare gli uomini – più spesso ledonne, in verità – dichiarati in stato dipeccato. Ma, mentre il rispetto un tem-po dovuto per definizione ai notabiliè quasi del tutto scomparso, il pasto-re rimane ancora per molti il capo spi-rituale, il custode del gregge, dotto diun potere che non si discute. Nelle no-

stre società civili largamente demo-cratizzate, una parte delle Chiese ri-formate hanno conservato una strut-tura quasi medievale, che pone al li-vello più basso della gerarchia il po-polo dei credenti, massa anonima edignorante (o supposta esserlo), dallaquale non ci si attende alcuno spiritocritico, alcuna iniziativa. Perfino cer-te Chiese presbitero-sinodali che siconsiderano democratiche tendono at-tualmente a sminuire il potere deci-sionale dei parrocchiani a profitto del-la gerarchia.Su un altro piano, il discorso ex ca-thedra è praticamente scomparso dal-le scuole e dalle sale di riunione: nes-sun esposto, nessun corso può fare ameno di un tempo di dialogo con ilpubblico, comprensivo di domande,obiezioni, di sviluppi chiarificatori.Sono rimaste le Chiese a imporre iloro riti e le loro prediche a fedelisilenziosi e passivi, a parte qualcherisposta e qualche canto. Cessandodi considerare i semplici credenti co-me bambini, le Chiese favorirebberouna ripartizione più uguale del pote-re. Tale indispensabile aggiornamen-to avrebbe effetti benefici sul riavvi-cinamento interconfessionale: se ileaders accettassero di condividere ilpotere con i fedeli, potrebbero consi-derare più facilmente di cederne unaparte anche a profitto dell’ecumeni-smo. È il timore di chi ha tale potere,che il riavvicinamento o l’unificazio-ne delle Chiese possa comportare perloro una perdita di autorità o di pre-stigio, che contribuisce al manteni-mento dello status quo.

Il necessario ritorno alle fontiSu un fondamento di pentimento so-lidale, di umiltà e di apertura, l’ecu-menismo potrà svilupparsi tornandoalle fonti della fede, nella comunioneintorno alla persona e al ministero diGesù Cristo.Tuttavia, questo ritorno alle sorgentifa problema: per diverse Chiese, tracui la Chiesa cattolica e le Chiese or-todosse, le fonti non sono unicamen-te la Bibbia ma anche i decreti dei con-cilii detti ecumenici3, i primi essendoquelli di Nicea (325) e di Costantino-poli (381)4. Fu l’imperatore (Costan-

Uscire dall’inerzia e dalle false sicurezzeper una nuova primavera dell’ecumenismo

di Philippe de Vargas*

* L’autore è un direttore di liceo in pensione.Laico appassionato di teologia, è membro diuno dei consigli regionali della Chiesa evan-gelica del Canton Vaud. Nell’articolo si es-prime a titolo personale. «Dialoghi» lo rin-grazia per l’ottimo contributo, insieme conMartine e Piergiorgio Piffaretti che hanno cu-rato la traduzione.

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tino, poi Teodosio) che li convocò, lisorvegliò e ne dettò la finalità: rista-bilire l’unità della Chiesa compro-messa dall’ arianesimo5 e da altre cor-renti teologiche successivamente qua-lificate come eresie. Senza interferirenecessariamente e direttamente sul lo-ro contenuto teologico, fu ancora l’im-peratore a esigere formulazioni nette,che delineano un’ ortodossia intransi-gente, mirando a ottenere, con la se-duzione o la minaccia, l’unanimità deivescovi, senza sempre pervenirci. Altermine di furiose controversie e disottili intrighi, questi concili procla-marono la famosa «confessione di fe-de» che si ripete in quasi tutte le ce-lebrazioni ecumeniche.

Il tranello del simbolo di NiceaPurtroppo, questa confessione si pre-sta particolarmente male all’espres-sione delle persone del XXI secolo,per le quali è incomprensibile o inac-cettabile. Mi diceva recentemente unacattolica praticante : «È un dialetto diCanaan, a noi non dice niente !» Dob-biamo per questo rinunciare a un te-sto del IV secolo ? No, resta un docu-mento di referenza per i teologi. Maconviene leggerlo per quello che è:una costruzione intellettuale datata,elaborata dopo accanite dispute rela-tive alla natura del Cristo e alla Trini-tà, risultato di un processo intellettua-le imposto dall’ imperatore a vescovi,molti dei quali si erano all’inizio op-posti a certe formule pesantementedogmatiche, di parte, comunque ispi-rate dalla filosofia neoplatonica.La maggior parte dei padri conciliari,trascinata dalla polemica anti-ariana,ha moltiplicato formule stereotipateche pretendono di chiarire uno dei piùprofondi misteri della fede, ossia la na-tura esatta della relazione fra le tre per-sone della Trinità: il Padre, il Figlio elo Spirito Santo. Ecco: [Gesù Cristo]generato ma non creato6, della stessasostanza7 del Padre…», «[lo SpiritoSanto] che procede dal Padre», oppu-re, secondo un’aggiunta tardiva dellaChiesa cattolica: «dal Padre e dal Fi-glio». In appoggio a queste formule,si possono citare alcuni passaggi del-la Bibbia8 – ma ne esistono altri chesembrano contraddirli9 ! Invece di ri-conoscere che le Scritture non per-mettono di risolvere il mistero, i con-cili di Nicea e di Costantinopoli han-no optato senza sfumature a favoredella tesi egualitarista. E così si è an-dati fino a eludere l’espressione dellapiena umanità del Cristo, omettendo

di dire che «è morto»: un silenzio elo-quente ! Il Simbolo degli apostoli, an-teriore al concilio di Nicea, è… in-vecchiato meglio : perchè non lo si usapiù sovente negli uffici ecumenici?Neppure questo bel testo è, d’altra par-te, al di sopra di ogni critica, la più im-portante essendo l’omissione delledue più importanti affermazioni delNuovo Testamento: «Dio è amore» e«Gesù Cristo è il nostro salvatore».Personalmente, non sono lontano dalpensare che il tentativo di Nicea di di-re l’indicibile rappresenti qualcosa disacrilego nei confronti del «Tutt’ Al-tro» divino (del resto, lo pensavanoparecchi teologi del IV secolo10). Co-munque sia, la confessione di Nicea-Costantinapoli è macchiata da troppiintrighi e da troppi giochi di potere peressere riconosciuta dai cristiani con-sapevoli come l’espressione intangi-bile della fede cristiana. Gli autori diquesta confessione sono stati troppospesso guidati dalla «carne»11, per dir-la con l’apostolo Paolo.Bisogna augurarsi che i cristiani simostrino più attenti alle circostanzedella redazione di questo testo, circo-stanze che inducono a relativizzarlo ea desacralizzarlo. I credenti del nostrotempo hanno il diritto di ascoltare e diparlare un linguaggio che compren-dono e ha senso per loro12. Far lororecitare al modo di un incantesimo for-mule fisse e oscure è una mancanzadi rispetto e un impedimento ad ade-rire da adulti a un cammino ecumeni-co che li impegna.

Il posto centrale della BibbiaVisto quanto precede, non vedo a qua-le altra sorgente attingere il contenu-to di un vero ecumenismo se non allaBibbia e più particolarmente ai Van-geli: testi non gravati di formule dot-trinarie ma che presentano, spesso inmodo narrativo, la vita e il messaggiodi Gesù Cristo, che ci fa conoscere diDio tutto quel che è necessario per lafede – niente di più. La confessione difede che riunirà tutti i cristiani nellaverità dovrà limitarsi a esprimere que-sto minimo necessario e sufficiente, inun linguaggio accessibile ai credentidi oggi.Bisogna però dapprima che i cristianisi intendano sulla natura dei testi bi-blici: sono l’intangibile Parola di Dio ?Oppure parole di uomini ispirati maimperfetti, influenzati dal loro tempoe dalla loro cultura, dunque soggetti a

interpretazione ? Su questo terreno, ildivario tra letteralisti e storico-criticinon segue più le frontiere tra le con-fessioni ma dipende dal livello di cul-tura biblica dei credenti e dal grado diautonomia del loro pensiero. Il papaPio XII ha fatto un grande passo in di-rezione dei biblisti protestanti dichia-rando che i libri della Bibbia non de-vono essere considerati come manua-li di storia e di teologia, cioè infalli-bili, ma possono essere letti comeopere appartenenti a generi letteraridiversi e diventare oggetto di ricercascientifica13. Non per questo la di-scussione è chiusa. La posta in giocoè capitale, perchè il fissismo biblicopuò solo generare e rafforzare il fissi-smo teologico e istituzionale.

Per un ecumenismorisolutamente cristocentricoLe liturgie e altri testi ecumenici evo-cano a volte l’ «animosità» o «l’odio»fra cristiani di differenti confessioni:è possibile che si sia ancora a questo

La favola del grande stagno(un apologo)

In un paese lontano, parecchi vil-laggi si trovavano separati da ungrande stagno infestato da cocco-drilli. Da molto tempo il re di quelpaese aveva chiaramente espresso ildesiderio di vedere lo stagno pro-sciugato e colmato, per il maggiorbene degli abitanti della regione: maniente si faceva – o poco.Eppure tutto era pronto per intra-prendere i lavori. Grandi mucchi dipietre, resti di antiche costruzioni datempo cadute in rovina ingombra-vano i villaggi: un eccellente mate-riale di riporto. A disposizione c’erauna manodopera competente ed en-tusiasta. Di fronte all’immobilismodelle autorità, la gente impazienteaveva preso l’iniziativa di aprirequalche sentiero rischioso attraver-so i pantani, ma non basta – e delresto era vietato.I capi dei villaggi, alcuni dei qualicommerciavano pelli di coccodrilloe altri coltivavano piante acquatichenello stagno, tennero una grande as-semblea. Dopomolti abbracci e pro-teste di buona volontà, si miserod’accordo nell’affermare che il pro-sciugamento dello stagno dovessefarlo il re, «quando e come l’avessevoluto». Dopo di che se ne tornaro-no tranquilli, ciascuno al proprio vil-laggio.

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punto ? Non dovrebbe trattarsi che didiscordanze, come possono sorgere trafigli di uno stesso padre, tra fratelli esorelle che si amano. In questa pro-spettiva, la sola uscita dall’inerzia èin Gesu Cristo – non nel Cristo dei teo-rici e dei filosofi, ma in quello che èvissuto tra gli uomini, ha annunciatoloro la buona novella della salvezza el’ha attestata con la sua morte et la suarisurrezione, che li ama, li chiama adamarlo e ad amarsi l’un l’altro. A par-tire dal primato riconosciuto alla per-sona del Cristo, le Chiese potrebberofacilmente (facilmente da un punto divista teologico, ma difficilmente dalpunto di vista delle istituzioni e delleloro lotte di potere) fare progressi im-mensi.Esse potrebbero fin da ora:• rinunciare alla pretesa di possedere

e di definire la verità, per riconoscereche essa è in Cristo e di conseguen-za, nessuna Chiesa è in diritto di ar-rogarsi il monopolio della vera fe-de;

• ammettere che la Bibbia non enun-cia alcun dogma e che la loro for-mulazione, opera di uomini, devepoter essere rivista in ogni tempo;

• gerarchizzare i contenuti della lorofede14; considerare che le Chiese so-no d’accordo sull’ essenziale e chele loro divergenze sono di seconda-ria importanza;

• riconoscere che tutte le Chiese chedichiarano Gesù Cristo Signore eSalvatore sono Chiese sorelle che vi-vono ugualmente della sua grazia;

• riconoscersi mutualmente comeChiese di Cristo e abolire ogni con-danna;

• dichiarare che l’autenticità di unaChiesa, come la fede di ogni cre-dente, non dipende dalle istituzionio dalla storia ma dalla fedeltà all’Evangelo – fedeltà sempre imper-fetta della quale solo Dio è giudice;

• riconoscere la validità dei sacramentidelle Chiese sorelle e praticare inogni tempo l’ospitalità eucaristica,questa essendo possibile dal mo-mento in cui le Chiese convengonodi non essere «proprietarie » dellacomunione al corpo e al sangue delCristo ma solo portatrici di questodono di Dio;

• ricercare ardentemente tutte le oc-casioni per collaborare, nell’obbe-dienza alla volontà di Dio, nel-l’amore vicendevole e nel servizio,rendendo in tal modo davanti agliuomini una testimonianza forte.

Inoltre, tutte le Chiese dovrebbero ri-

nunciare esplicitamente alla dottrinadel «ritorno». Dovrebbero staccarsi inogni caso, allo stato attuale, dal-l’obiettivo presuntuoso che consistenel voler realizzare l’unità visibile deicristiani nel seno di una sola istitu-zione ecclesiastica unificata. Dio su-pera talmente il nostro intendimento,la sua Parola è talmente ricca che sipuò dubitare della capacità di un’or-ganizzazione umana di abbracciarnetutti gli aspetti, tradurne concreta-mente tutte le implicazioni. A questopunto, impariamo semplicemente a vi-vere l’unità visibile dei cristiani nelladiversità delle nostre istituzioni e del-le nostre tradizioni, nella fraternità enell’apertura a quello che ogni con-fessione può offrire alle altre! Tra-sporremo così sul piano ecumenicoquell’esperienza di unità plurale chegià si vive nel seno delle nostre Chie-se rispettive15, e avremo fatto un gran-de passo avanti.Nessun ecumenismo al ribasso («tu midai, io ti do»), nessuna concessionepro bono pacis senza una reale ade-sione! In particolare, i riformati de-vono preoccuparsi di preservare l’es-senziale del loro contributo all’ecu-menismo, che è senza dubbio la pre-sa sul serio della parola – anzitutto laParola di Dio – ma anche quella degliuomini. Recentemente, in risposta al-la mia contestazione del Credo nice-no-costantinopolitano, dei protestantimi hanno detto: «Ma nessuno assegnapiù importanza a queste formule ob-solete! Possiamo dunque pronunciar-le senza conseguenze». Al contrario,io penso che in queste condizioni siameglio non pronunciarle più, per ri-spetto tanto di Dio quanto di noi stes-si, nonché dei fratelli e sorelle dellealtre confessioni.

L’unità dei cristiani,un processo che spetta a loroAbbiamo l’abitudine, nelle celebra-zioni ecumeniche, di pregare perl’unità della Chiesa considerata comeun dono che Dio accorderà «quandolo vorrà e come lo vorrà»16. Queste pieespressioni rischiano di diventare un«cuscino di pigrizia», nella misura incui suggeriscono che il tempo dell’unità non è ancora arrivato e che lasua futura realizzazione, dipendendoda Dio solo, dobbiamo attenderla pas-sivamente dal Suo intervento sovra-no. Questo atteggiamento comporta ilrischio di illusione, perché ci fa cre-dere che l’unità della Chiesa potreb-be esserci data d’un colpo, miracolo-

samente: ma è un rischio di infantili-smo, un mettersi nell’atteggiamentodel piccino che aspetta un regalo dasuo padre, in stato di totale dipen-denza.Le Chiese sanno che Gesù Cristo hapregato per l’unità visibile dei cristia-ni, «affinchè il mondo creda». Orbe-ne, esse possiedono già i mezzi e le ri-sorse necessarie per avanzare in que-sto campo, dove nessuno ostacoloestrinseco le separa. Non devono do-mandare un intervento particolare diDio che faccia crollare i muri di se-parazione che loro stesse hanno edifi-cato durante i secoli: spetta solo a lo-ro impegnarsi risolutamente in un pro-cesso del quale si assumono la pienaresponsabilità.Davvero nessuno può predire l’esitodi un cammino che porterà un giornoalla riunione di tutti i cristiani in unasola istituzione ecclesiale, organizza-ta gerarchicamente, cioè dal vertice –un’ autorità mondiale suprema, finoalla base, ossia fino al popolo fedele?Solo Dio lo sa? Da parte mia, dubitoche sia questa la sua volontà.Ame pa-re che le prossime tappe di questo pro-cesso, per definizione evolutivo e pro-gressivo, sembrano essere insiemeevidenti e alla nostra portata.In questa prospettiva, la preghiera ecu-menica delle Chiese dovrebbe con-centrarsi sulle quattro intenzioni se-guenti :• ringraziare Dio di averci fatto cono-

scere il suo Evangelo, con i suoi do-ni, le sue promesse e le sue ingiun-zioni, tra cui la chiamata all’ unità;

• domandargli perdono per la durezzadel cuore e per l’orgoglio che ci di-stolgono dalla sua volontà che i cri-stiani siano uniti;

• dirgli il nostro ardente desiderio diobbedirgli realizzando tutti insiemela preghiera del Cristo «Che sianouna cosa sola»;

• domandargli di darci, a qualunqueChiesa apparteniamo, il coraggio ela ferma determinazione di distrug-gere i muri di separazione che noistessi abbiamo costruito.

In tal caso la confessione di fede com-mune a tutte le Chiese potrebbe ri-prendere l’acronimo che i primi cri-stiani scolpivano nelle catacombe, sot-ta la forma di un pesce (in grecoΙХΘΥΣ, per Ιεςούς Χριςτος ΘεουΥιος Σοτερ) : Gesù Cristo figlio diDio salvatore L’essenziale essendodetto, non basterebbe che agire.

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Ospitalità eucaristica ecumenicaATorino, il gruppo «Strumenti di pace» da una decina d’an-ni ha iniziato un’esperienza di ascolto condiviso della Pa-rola di Dio, organizzando un ciclo annuale di incontri che,partendo da un tema specifico, mette in ascolto della Paro-la, con l’aiuto di voci provenienti dalle diverse confessionie dalla condivisione in piccoli gruppi di credenti, anch’es-si di diverse estrazioni confessionali. All’interno di questocammino, durante la Settimana di preghiera per l’unità deicristiani 2011, che invitava a riflettere sulla comunità cri-stiana descritta nel capitolo 2 degliAtti degli apostoli («Era-no assidui nell’ascoltare l’insegnamento degli apostoli e nel-l’unione fraterna, nella frazione del pane e nelle preghie-re»), il gruppo si è interrogato sul perché, dopo aver con-diviso l’impegno per la pace, aver imparato ad ascoltare laParola insieme, condividendone la ricchezza nei diversi mo-di di farla risuonare, non fosse possibile spezzare insiemeil Pane come faceva la comunità descritta negli Atti degliapostoli. Il gruppo ha così avviato un percorso di riflessio-ne nel quale, pur riconoscendo le difficoltà teologiche, ec-clesiologiche e pastorali che ancora ostacolano il camminoecumenico, riportare l’attenzione sull’invito che viene ri-

volto a partecipare alla Cena e a spezzare il pane insieme:invito rivolto a tutti, che non proviene dalle nostre Chiesema da Cristo stesso. È emersa quindi la proposta di tentareun cammino di «ospitalità eucaristica». Un gruppo di cre-denti di confessioni diverse, senza rinnegare le interpreta-zioni del gesto proprie delle Chiese d’origine, si raccogliein diverse comunità per condividere l’Eucaristia o la SantaCena, celebrandola secondo il rito e le regole proprie ed abi-tuali della comunità ospitante. Per meglio definire le mo-dalità di questa «ospitalità eucaristica» e renderla più com-prensibile, il gruppo ha stabilito cinque criteri: che i parte-cipanti siano battezzati e frequentino di norma la Santa Ce-na o l’Eucaristia presso le proprie comunità di origine; checredano alle parole che Gesù ha pronunciato durante l’Ul-tima cena, così come sono riportate nei tre Vangeli sinotti-ci e nella prima Lettera di Paolo ai Corinzi, e di conseguenzaalla presenza del Signore durante la celebrazione del rito;che le diverse interpretazioni delle parole e della modalitànon siano vincolanti per poter partecipare, ognuno mante-nendo la propria interpretazione e rispettando quella deglialtri; che la appartenenza alle diverse confessioni sia cono-sciuta, con la presentazione delle proprie motivazioni. Danovembre 2011 il gruppo è già stato ospite di tre comunitàcattoliche e di due evangeliche e tutti gli incontri sono sta-ti caratterizzati da un profondo spirito di accoglienza e daun desiderio di conoscenza reciproca e di superamento deipregiudizi. (da un articolo in «Adista», 7 aprile).

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NOTE1. «Dio di misericordia, che il tuo Spirito divita animi ogni cuore, affinchè crollino le bar-riere di separazione, scompaiano i sospetti,cessino gli odi e il tuo popolo, guarito dallesue divisioni, possa vivere nella giustizia e nel-la pace» (Estratto della liturgia elaborata perla Settimana ecumenica del 2011 da parte delPontificio Consiglio per l’unità dei cristiani edella Commissione Fede et costituzione delConsiglio ecumenico delle Chiese).2. Questa dimensione essenziale è assente dal-la liturgia citata alla Nota precedente: non èsignificativo?3. «Ecumenici», cioè «universali» : il qualifi-cativo è inappropriato. A Nicea, per esempio,un solo vescovo, forse tre, rappresentavano lametà occidentale dell’Impero romano, di fron-te a più di 250 vescovi delle province orien-tali e africane (Cfr. R. MacMullen :Voter pourdéfinir Dieu, Ed. Les Belles Lettres, Paris2008).4. Durante i 56 anni che separano questi dueconcili ecumenici, parecchi altri concilii li pre-sero in contropiede : ma non furono ricono-sciuti come ecumenici dalla posterità.5. Ario aveva formulato attorno al 320 delletesi dette «subordinazioniste», affermando ladivinità di Cristo ma in quanto creatura su-bordinata a Dio Padre, unico increato. Fu so-stenuto da numerosi vescovi e credenti, non-ché, per ragioni politiche più che teologiche aquel che pare, dagli imperatori tra il 327 e il379 e talvolta più tardi. Le idee di Ario pos-sono sembrare oggi abbastanza inoffensive.Furono in quel tempo esasperate e messe incaricatura per i bisogni della controversia, chefu estremamente violenta.6. Questa formula si riferisce all’ idea che sifaceva allora della riproduzione. Si credevache il concepimento consistesse nella ricezio-

ne, nel terriccio fertile della donna, del semedell’uomo, che era dunque il solo a «genera-re» il bambino e a trasmettergli le sue carat-teristiche. Si era ben lontani dalle conoscen-ze attuali.7. Consustanziale, cioè «della stessa sostan-za», è termine che rimanda al vocabolario del-le filosofie aristoteliche e neo-platoniche. Ni-cea-Costantinopoli prese dunque posizione inmodo unilaterale tra le diverse correnti teolo-giche del tempo, tra cui quelle che dichiara-vano il Padre e il Figlio «di sostanza simile»(apprezziamo la sfumatura!) o uniti da una«somiglianza non sostanziale» o « di una so-stanza diversa», mentre altri rifiutavano tuttequeste formulazioni e chiedevano che la Chie-sa si limitasse a quelle contenute nel NuovoTestamento.8. Il più importante è senza dubbio il prologodel Vangelo di Giovanni : «All’ inizio era laParola. La Parola era con Dio, e la Parola eraDio »9. «Perchè mi chiami buono ? Uno solo è buo-no.» (Mt19, 17), «Nessuno conosce il giornoné l’ora… se non il Padre» (Mt24, 36), «Pa-dre… non la mia volontà, ma la tua sia fatta»(Lc22, 42), «Dio l’ha sovranamente eleva-to… » (Fil2, 9): passaggi che sembrano in-compatibili con l’idea di una perfetta uguali-glianza tra Padre e Figlio.10. «I dottori ortodossi (nel senso di non-aria-ni, ndr.) si sentiranno tenuti più di una volta aprotestare contro l’abuso delle discussioni ri-guardanti un mistero così sacro come la strut-tura intima dell’ essere stesso di Dio: discus-sioni dove, troppo visibilmente, l’uomo di cul-tura greca trasponeva sul piano cristiano il suoamore per l’argomentazione sottile e appas-sionata che la lunga rivalità delle scuole filo-sofiche aveva permesso di soddisfare nel pe-riodo pagano» (H.-L. Marrou, L’Eglise del’Antiquité tardive, Ed. du Seuil, Paris 1963).

11. Quello che Paolo dice degli uomini sotto-messi al potere della carne potrebbe applicar-si a molti padri conciliari : «Essi diventano ne-mici gli uni agli altri, bisticciano e sono gelo-si, sono dominati dalla collera e dalle rivali-tà, si dividono in partiti e gruppi opposti»(Gal5, 20). Ciascuno di questi termini è soli-damente documentato nell’ opera citata di R.MacMullen.12. «Le grandi confessioni di fede cristologi-che e le definizioni del passato conservano tut-ta la lora importanza per la Chiesa attuale. Manon si possono interpretare fuori dal loro con-testo storico accontentandosi di ripeterle inmodo stereotipato. Per rispondere a uomini diepoche e culture diverse, bisogna incessante-mente ridire il messaggio cristano in modonuovo» (tesi di Hans Küng e Karl Rahner,enunciata nel 1970, citata in H. Küng, Mé-moires II, Ed. du Cerf, Paris 2010).13. Enciclica Divino afflante Spiritu (1943),sviluppata nella Costituzione conciliare DeiVerbum, 12 (1965). Tra i generi letterari iden-tificabili nella Bibbia si possono citare il rac-conto epico, il racconto filosofico-teologico,le collezioni di norme di saggezza o di cantid’amore, ecc.14. Per esempio, credere o non credere nellaConcezione immacolata di Maria ha di certomeno importanza del credere o non crederenella risurrezione di Gesù Cristo.15. E sorprendente che ogni Chiesa ammettasenza troppe difficoltà teologie e pratiche as-sai diverse al suo interno pur mostrandosi tal-volta intransigente di fronte alle divergenzeteologiche e pratiche tra le confessioni,16. Questa formula dell’ abate Paul Couturier(1881-1953) è stata più volte ripresa, in par-ticolare nella Dichiarazione comune del papaBenedetto XVI e del patriarca Bartolomeo Idel 29 novembre 2001.

OSSERVATORIO ECUMENICO

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No. 222 osservatorio ecumenico 15

Maggiore controllo sulle armi!Le Chiese aderenti al Consiglio ecumenico delle Chiese(CEC), in un recente appello per la pace e la tutela dei di-ritti umani, chiedono una legislazione vincolante sul com-mercio delle armi. La richiesta accompagna una campa-gna di sensibilizzazione avviata da tempo in vista dellaConferenza delle Nazioni Unite del prossimo luglio, in oc-casione della quale rappresentanti diplomatici di duecen-to Paesi cercheranno di negoziare un trattato sul commer-cio delle armi convenzionali. Già nel 2006 il CEC avevaaccolto favorevolmente il progetto di risoluzione delle Na-zioni Unite relativo al controllo delle armi. L’allora segre-tario generale, Samuel Kobia, aveva sottolineato la neces-sità di creare un controllo giuridicamente stringente, a li-vello internazionale, perché «ogni settimana, dappertuttonel mondo, la proliferazione delle armi porta con sé mor-ti violente, sofferenze profonde e il distoglimento inaccet-tabile di risorse che invece potrebbero dare slancio per in-coraggiare la pace». Oltre un centinaio di esponenti di va-rie Chiese e religioni, nonché rappresentanti di organizza-zioni di base, hanno finora aderito a un appello promossonel settembre 2011 dall’Interfaith Working Group of theControl Arms Coalition, in vista dell‘appuntamento di lu-glio.

La Bibbia del reI cristiani inglesi hanno celebrato il 400. anniversario del-la «Bibbia di re Giacomo»: la prima edizione della «ver-sione autorizzata» che porta il nome del re. Quando, allamorte di Elisabetta I, il cattolico Giacomo Stuart, che neereditava il trono, constatò di ritrovarsi un Paese divenu-to al 96% protestante, decise di creare una versione «au-torizzata» di quella Bibbia che doveva essere esposta e let-ta in ogni chiesa, e quindi accessibile e comprensibile atutti. Allo scopo ingaggiò 47 studiosi, divisi in 6 comitati,che si misero al lavoro, a Cambridge, Oxford e Westmin-ster. Le direttive erano che non ci fosse una nuova tradu-zione, ma che ci si mantenesse il più possibile vicini allaversione conosciuta come la «Bibbia dei vescovi» del 1568.Si tenne conto anche della «Bibbia di Ginevra» del 1560,a sua volta basata sulla traduzione di William Tyndale, ri-formatore inglese bruciato come eretico ad Anversa. I re-visori si riunirono in interminabili sessioni: uno leggevamentre gli altri confrontavano la versione inglese sia congli «originali» in ebraico, aramaico, siriaco, greco, sia conle traduzioni in lingue dotte, come il latino, o le lingue cor-renti dell’epoca: francese, spagnolo, italiano. Il risultatofu «Il libro dei libri», che ha superato qualunque altro invendita e diffusione e ha esercitato un’influenza senza pa-ri sulla lingua inglese e sulla cultura, religione e politicadel mondo anglosassone. La King James Authorised Ver-sion fu autorizzata nel 1780 anche dal Congresso ameri-cano. Era l’unico libro che si trovava in ogni umile cotta-ge britannico, in ogni capanna dei pionieri americani. For-mò l’oratoria del presidente Abramo Lincoln, che si defi-niva «uomo di un solo libro», e su questa Bibbia BarackObama ha giurato come presidente degli Stati Uniti. L’ecodi questa Bibbia risuonava nei discorsi di Churchill: un in-glese semplice e maestoso che ispirò generazioni di schia-vi e plasmò il vocabolario e i ritmi degli spiritual e dei di-scorsi cadenzati di Martin Luther King. LaKing James Bi-ble viaggiò con i missionari per tutto l’Impero e il suo rit-mo si ripercuote nelle musiche e nelle danze popolari, comequelle della Giamaica.

«Book of Common Prayer»Tutto ciò che serve alla liturgia della Chiesa anglicana èraccolto in un solo libro, il Book of Common Prayer, re-datto da Thomas Cranmer, arcivescovo di Canterbury nel1549. È un libro di spiritualità e di preghiera per l’uso co-munitario e individuale, comprendente le tabelle dei gior-ni liturgici, le letture bibliche per ogni giorno, le preghie-re del mattino e della sera per ogni giorno dell’anno, i sal-mi del giorno, ordinati per poterli leggere tutti nell’arco diun mese; le preghiere, la litania o supplica generale, le pre-ghiere per le occasioni particolari, le preghiere per i ritidella confessione e l’assoluzione, per i sacramenti del bat-tesimo e della comunione, della confermazione e del ma-trimonio; la preghiera per la visita e la comunione ai ma-lati, l’ordine per la sepoltura, il ringraziamento della don-na dopo il parto, forme di preghiera da usare sul mare, perl’incoronazione dei re e per l’ordinazione dei ministri.Comprende pure un Catechismo da imparare prima dellaconfermazione, e, infine, i trentanove articoli di fede, re-datti nel 1563. Contemporaneamente alla prima edizionedel Book of Common Prayer, Robert Crowley pubblicò laversificazione dei salmi, in inglese, per un’esecuzione incanto (da «Eco», Voci ecumeniche dei cristiani evangeli-ci, cattolici, ortodossi del Piemonte e della Valle d’Aosta,Torino, febbraio-marzo 2012).

Chiese evangelichea confronto

Ottanta delegati sinodali provenienti da 17 paesi europeidi 51 Chiese evangeliche si sono incontrati dal 20 al 22gennaio all’Accademia evangelica di Bad Boli (Germa-nia) per ragionare insieme sul tema «Liberi per il futuro»,che sarà il Leitmotiv della prossima Assemblea generaledella Comunione di Chiese protestanti in Europa (CCPE).È la prima volta che membri di sinodi protestanti europei(presidenti, segretari esecutivi, legali, diaconali) hanno ra-gionato insieme su come meglio rinsaldare i legami tra ivari sinodi europei. In particolare hanno sottolineato l’im-portanza del significato che hanno i «parlamenti dellaChiesa» per il futuro delle stesse Chiese. Il vicepresiden-te del Parlamento europeo Rainer Wieland, intervenuto sultema della crisi, ricordando lo spirito di pace che sta allabase della costruzione europea, ha salutato favorevolmentel’impegno dei sinodi evangelici europei a favore dell’Eu-ropa.Al termine dei lavori è stata approvata a larga maggioran-za una dichiarazione comune che mette a fuoco le seguentipriorità: rafforzare il confronto tra i sinodi protestanti eu-ropei; valorizzare il metodo democratico nella vita delleChiese evangeliche di cui il sinodo è espressione irrinun-ciabile; partecipare responsabilmente alla costruzione del-l’Europa in crisi valorizzando quanto espresso nellaChar-ta Oecumenica e sottolineando la vicinanza alle persone;partecipare al processo che porterà al 2017, quando si ce-lebrerà il 500. anniversario della Riforma protestante. I par-tecipanti hanno anche inviato una lettera di solidarietà al-le Chiese evangeliche in Medio Oriente che a metà feb-braio hanno tenuto la loro assemblea a Beirut. Il pastoreriformato svizzero Thomas Wipf ha dato appuntamentoall’Assemblea generale della CCPE che si terrà dal 20 al26 settembre a Firenze e che avrà come motto il versettobiblico di Galati 5, 13-15, in cui l’apostolo Paolo parladell’essere chiamata: libertà.

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Tradotto dal… vaticanese, l’ultimo co-municato ufficiale in merito alle «di-scussioni» tra la Santa Sede e la Fra-ternità sacerdotale San Pio X, il 16maggio, lasciava intendere che, conuna relativa speranza di successo, siva avanti con mons. Bernard Fellay, ilcapo della FSSPX, mentre sono prati-camente fallite con gli altri tre vesco-vi lefebvriani. Sembra profilarsi untraumatico scisma nello scisma tra i«tradizionalisti-doc». Vedremo comeandrà a finire, tutto può ancora acca-dere; ma, lasciando da parte la crona-ca, ci sembra interessante approfondi-re lo sfondo nel quale collocare quel-lo che, comunque, appare come unevento maggiore del pontificato di Be-nedetto XVI. La materia, ovviamente,è complessa: a chi volesse approfon-dire, consigliamo un corposo ed av-vincente libro* di Giovanni Miccoli –professore emerito di storia della Chie-sa all’università di Trieste – che sfo-cia in una conclusione tranchant: l’at-tesa pax è possibile, sì, ma al prezzodi distruggere il senso del Vaticano II.Mons. Marcel Lefebvre in Concilio sioppose vigorosamente – insieme a cir-ca due-trecento padri della «minoran-za» – alle principali «novità» che siandavano proponendo: collegialitàepiscopale, affermazione del principiodella libertà religiosa, revisione radi-cale della teologia del disprezzo ver-so il popolo ebraico… Ma, mentre glialtri «conservatori» si consolarono,nel Concilio, per gli annacquamentiapportati a molti testi e, nel post-Con-cilio, dando di essi un’interpretazionerestrittiva, Lefebvre acuì il suo con-trasto. Il suo ragionamento di fondoera (ed è, nei suoi seguaci): su punti-chiave, il Vaticano II tradisce la «Chie-sa di sempre» e la «Tradizione peren-ne»; dunque, proprio per amore dellaChiesa, è necessario opporsi ad esso.E, per farlo, la via regale è costruireuna specie di Chiesa parallela, nellasperanza che essa aiuti l’«altra» allaresipiscenza e a tornare sui suoi pas-si, cioè allo status quo ante l’Assem-blea voluta da papa Giovanni.E così Lefebvre – dal suo centro diEcône, in Vallese – iniziò a formareseminaristi per servire la «Chiesa di

sempre». Paolo VI si oppose a che egliordinasse sacerdoti quei giovani, mail vescovo ribelle prosegui imperter-rito: perciò papa Montini nel luglio1976 lo sospese a divinis. Passaronogli anni, cambiò il pontificato; Lefeb-vre, per assicurare la successione epi-scopale alla sua opera, decise di con-sacrare quattro vescovi, GiovanniPaolo II proibì la consacrazione, Le-febvre procedette, e allora nel luglio1988 incappò nella scomunica con tut-ti gli altri neo-vescovi. Ma la Frater-nità ignorò la censura, e proseguì perla sua strada.Il nuovo papa, Benedetto XVI, col mo-tu proprio Summorum pontificum nelluglio 2007 ridarà piena cittadinanzaal Messale romano di Pio V (emanatonel 1570 per attuare il Concilio Tri-dentino) che era rimasto in vigore fi-no al 1962, e che Paolo VI aveva difatto abrogato nel 1970 con la riformaliturgica post-Vaticano II. Non era inquestione, ovviamente, il latino, per-ché anche il nuovo Messale ha l’edi-zione tipica in latino, ma la teologiasoggiacente.Risuscitando il Messale post-tridenti-no Ratzinger rimetteva in vigore an-che tutto l’armamentario antisemitache lo animava. Ma, quel Messale, erala bandiera dei «tradizionalisti». Ri-proponendone la legittimità – essorappresentava pur sempre il magiste-ro degli ultimi quattro secoli! – di fat-to il Papa provocava un «vulnus» ri-spetto al Concilio stesso. I successivie frettolosi tentativi per mettere unatoppa a tale rischiosissima decisioneevidenziavano un’altra falla: la possi-bilità, per un prete «tradizionalista»,di rifiutarsi di concelebrare con il ve-scovo della diocesi la messa del Gio-vedì santo, se detta con il rito di Pao-lo VI. Questa insostenibile scelta va-ticana, criticatissima dai «conciliari»,non fermava il pontefice che, nel gen-naio 2009, cancellava la scomunicaai vescovi lefebvriani pur «non penti-ti» (e, uno di essi, Richard William-son, addirittura negazionista dellaShoah), per facilitare la riconciliazio-ne con la FSSPX.Ora, i nodi sono giunti al pettine. I«tradizionalisti» sostengono che, am-

mettendo, con la dichiarazioneDigni-tatis humanae, il principio della liber-tà religiosa, il Concilio ha scardinatola Tradizione, in particolare GregorioXVI e Pio IX (con il Sillabo) che ave-vano definito «pazzia» quel principio,e indirettamente messo in questionel’impalcatura teologica dell’Inquisi-zione imposta per secoli. Invece Rat-zinger, nel famoso discorso alla Curiaromana del 22 dicembre 2005, ha ta-ciuto sulla sacra violenza istituziona-le, e affermato che vi è «continuità»nella Tradizione, tra Pio IX e il Vati-cano II: solo che nell’Ottocento laChiesa rispondeva a certi problemi,mentre oggi risponde a certi altri.E qui siamo al cuore della querelle.Infatti, nessun sofisma teologico puòsostenere che vi è continuità nel ma-gistero tra il suo affermare il diritto-dovere, in linea di principio, di bru-ciare un «eretico», e il suo affermareche la Chiesa deve rispettare il suopieno diritto di coscienza a credere lafede che crede, lasciando a Dio il giu-dizio ultimo. Benedetto XVI non«può» però accettare quella che è purun’evidenza storica, perché, se lo fa-cesse, cadrebbe anche il Magistero co-me lui lo intende. Come uscire dal-l’impasse? Solo – questa, la nostraopinione – ammettendo in modo espli-cito: il Magistero, papale e concilia-re, lungo la storia ha sbagliato su pun-ti decisivi (che di più decisivo che af-fermare, o negare, il diritto di vita e dimorte su una persona?); ma, per gra-zia di Dio, al Vaticano II esso si è rav-veduto. Una tale ammissione, «im-possibile» per i lefebvriani-doc, lo èancor più per papa Benedetto, a cau-sa delle sottese conseguenze, che di-struggerebbero il suo impianto teolo-gico. E così, ci sembra, la vera que-stione non è il «mondo antico» di Le-febvre (problema marginale), ma ilratzingerismo, costretto a dibattersi trainsuperabili contraddizioni che gra-vano sull’intera Chiesa cattolica ro-mana. Luigi Sandri30 maggio 2012* G. Miccoli, La Chiesa dell’anticoncilio. Itradizionalisti alla riconquista di Roma, La-terza, Roma-Bari 2011, pp. 420, € 24.

La strana pace tra Roma e Ecône

16 opinioni No. 222

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Verso il giubileodel Concilio Vaticano II

(2012-2015)L’11 ottobre 1962, Papa GiovanniXXIII apriva a Roma il Concilio Va-ticano II, concluso tre anni più tardi,l‘8 dicembre 1965. A cinquant’annidall’evento siamo invitati a riprende-re contatto con i grandi orientamentitracciati dal Concilio, consapevolidelle novità che ha portato ma anchedella percezione insufficiente che ditale avvenimento hanno avuto le no-stre comunità. L’invito è a una ripre-sa di interesse e di approfondimento.Giovedì 11 ottobre 2012, nella chie-sa della Trinità di Berna, i Vescovisvizzeri celebreranno, insieme con ledelegazioni di tutte le Diocesi, un’Eu-carestia solenne durante la quale sa-rà letto unAppello alle comunità. Nelpomeriggio si terrà una prima rifles-sione su che cosa è stato il Concilioe su come lo si può rimettere oggi inrapporto con la situazione della Chie-sa e del mondo.Un sito Internet sarà attivato a parti-re dalla metà di giugno 2012. Sarà re-peribile in tedesco, in francese e initaliano (vaticano2.ch).La proposta dei Vescovi svizzeri è peruna rilettura tematica dei grandi do-cumenti del Concilio, sotto il motto«Scoprire la fede».Per il 1. anno (2012-2013) il mottosarà:«La fede che celebriamo», coninvito a riflettere sulla costituzione li-turgica «Sacrosantum Concilium».Per il 2. anno (2013-2014) il mottosarà«La fede che ci unisce» e la ri-flessione si svolgerà attorno ai temidella Chiesa, della Bibbia e dell’E-cumenismo.Il 3. anno (2015) recherà il motto:«La fede che ci impegna» e si con-centrerà sulla costituzione pastoralesulla Chiesa nel mondo moderno, sul-la libertà religiosa e sui rapporti tra lereligioni.Il motto «Scoprire la fede« prendespunto anche dall’Anno della fedeproclamato da Papa Benedetto XVI,che pure inizia l’11 ottobre 2012, acinquant’anni dall’inaugurazione delConcilio, e vedrà di nuovo riunito aRoma il Sinodo dei vescovi attorno altema:«La nuova evangelizzazione».Il Gruppo preparatorio del Giubileo

del Concilio 2012-2015.

No. 222 biblioteca 17

Alla Chiesamanca l’aria

Un prete comasco (Saverio Xeres,professore di storia della Chiesa inLombardia) e un intellettuale par-mense (Giorgio Campanini, studiosodel movimento cattolico) hanno scrit-to assieme un agile libro, riflettendosulla Chiesa italiana, e gli hanno datoper titolo «Manca il respiro»!Già nella prefazione a quattro mani,pur professando «un sincero affettoper questa Chiesa», non mancano dielencare esplicite «amnesie… chesembrano riguardare, infatti, buonaparte delle grandi aperture operate dal-la Chiesa cattolica nel Concilio Vati-cano II».L’elencazione è senza sconti; da «l’af-fievolirsi del grande slancio ecume-nico, al crescente sottile dubbio in-sorto (o volutamente insinuato) sul-l’opportunità di continuare a dialoga-re con gli uomini del nostro tempo; alclamoroso ripiegamento sul fronte delrinnovamento liturgico; al frettolosorientro dai nuovi sentieri aperti nellariflessione teologica grazie alla ritro-vata centralità della Bibbia, per rifu-giarsi nell’apparente chiarezza diqualche sintesi catechistica di cortorespiro».In una prima parte don Xeres do-cumenta «La Chiesa italiana nel pas-saggio culturale degli ultimi decen-ni», ripercorrendo avvenimenti, con-vegni, piani di pastorale prodotti pra-ticamente dalla Conferenza episco-pale italiana; un capitolo porta iltitolo: «Una pastorale di carte e di pa-role».Il giudizio conclusivo è impietoso:«Una Chiesa tendenzialmente ripie-gata su se stessa, come quella che, dadiversi punti di vista, abbiamo potutoindividuare nel postconcilio italiano,assorbita prevalentemente da questio-ni intraecclesiali, preoccupata princi-palmente della propria autoconserva-zione, si preclude, comprensibilmen-te, le possibilità di apertura e di dia-logo con il mondo» (p. 76).Giorgio Campanini dedica le sue pa-gine «Alla riscoperta della categoriaconciliare di Popolo di Dio», ripropo-nendo con forza l’insegnamento delConcilio e denunciando la mancatarealizzazione e la progressiva dimen-ticanza. Ma il gentile professore chefa spesso uso di «condizionali esorta-tivi» (dovrebbe, potrebbe, rappresen-

terebbe, sarebbe, sembrerebbe…), di-venta poi esplicito con due propostequasi «rivoluzionarie»: quello di unConsiglio dei laici per la Chiesa ita-liana, e il richiamo alla «povertà del-la Chiesa e povertà nella Chiesa». Perla prima proposta, Campanini non hapaura di fare appello anche a un ar-gomento fondamentale: «L’assenza diuna qualche forma di rappresentanzalaicale a livello nazionale ha determi-nato obiettivamente nella Chiesa ita-liana un vuoto – teologico prima an-cora che sociologico – (il corsivo è neltesto, p. 118) che appare opportunocolmare»; ne elenca infatti diffusa-mente gli argomenti a favore, propriocome aiuto ai vescovi per la loro mis-sione, e anche le difficoltà che posso-no nascere.Per la seconda proposta, che vuole ri-portare la Chiesa alle origini, nonmanca di affrontare, dopo quello del-l’uso dei beni in dotazione alla Chie-sa, citando l’amato Rosmini e San-t’Ambrogio («la Chiesa possiede oronon per servirsene, ma per donarlo»),anche la necessaria testimonianza disobrietà che tutti i cristiani devonopraticare. Qui vale l’insegnamento di-retto del moralista Enrico Chiavacci:«Se hai, hai per dare».Al termine della lettura non si può chesottoscrivere la conclusione: fra i pro-blemi che, a cinquant’anni dal Vati-cano II, rimangono a nostro avvisoaperti, ve ne sono due in particolare:la «corresponsabilità» dei laici e lapovertà della Chiesa e nella Chiesa(…).L’uno e l’altro tema – come del restosollecita la più avvertita coscienza ec-clesiale – dovrebbero dunque essereposti all’ordine del giorno nella nuo-va stagione che si apre alla Chiesa, aXXI secolo ormai avviato, nel mo-mento in cui essa si accinge a cele-brare il Vaticano II nell’unico mododegno di una comunità cristiana, con-sapevole della necessità di una co-stante autoriforma: verificando, cioè,quanto del messaggio del Concilio èpassato e quanto invece rimane da at-tuare ad opera di una Chiesa semprepiù consapevole del suo dovere di of-frirsi al mondo – ma soprattutto allosguardo del suo Signore – «senza mac-chia e senza ruga» (Ef 5,27).S. Xeres e G. Campanini, Manca il respi-ro. Un prete e un laico riflettono sulla Chie-sa italiana, Ancora, editrice, Milano 2011,€ 13.

BIBLIOTECA

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Generosità svizzera. Il Sacrificioquaresimale (istituzione caritativa del-la Chiesa svizzera) comunica che nel2011 si è registrato un aumento delleofferte da parte dei privati (circa 16,3milioni di franchi), ma i mezzi dispo-nibili (comprendenti lasciti e finan-ziamenti pubblici) sono diminuiti dicirca 600 mila franchi rispetto al2010, raggiungendo in totale l’impor-to di 21 milioni, dei quali 20,2 milio-ni stati investiti in progetti. Tra essi,il sostegno nel Senegal a gruppi diagricoltori, organizzando la coltiva-zione e il commercio: sono state coin-volte 80 mila persone, così liberatedalla fame e dall’indebitamento cro-nico.Da ricordare anche la raccolta di unapetizione diretta al Consiglio federa-le (30 mila firme) per chiedere il ri-spetto dei diritti umani da parte delleimprese di estrazione delle materieprime nei Paesi del Sud.Una scuola per Dogbà. Don Jean-Luc Farine, rientrato in Ticino dopoil servizio pastorale prestato a Mbi-kou, nella diocesi di Dobà-Ciad (e re-centemente incaricato della parroc-chia di Losone), tramite la Conferen-za missionaria della Svizzera italianapropone di sostenere la costruzione disei aule per il ciclo completo di scuo-la elementare (fin qui svolta in ca-panne dal tetto di paglia) che servi-ranno col prossimo anno scolastico a275 allievi. È noto che l’azione piùefficace a sostegno dei popoli nonconsiste «nel regalare il pesce, manell’insegnare a pescare»; ma unascuola in muratura è una «rete» ne-cessaria che durerà nel tempo, e giu-stamente servirà anche a ricordare peranni l’impegno dei diocesani ticinesiche vi hanno lavorato.Così come a Barranquilla, la chiesae le scuole costruite mantengono lamemoria dei preti e dei laici che vihanno operato e della generosità deiticinesi. Per questo «Dialoghi» si fatramite del progetto «Costruiamo in-sieme» con l’allegato inserto.I novant’anni del card. Cottier. Loscorso 25 aprile il cardinale GeorgesCottier ha festeggiato i novant’anni.È nato a Carouge (Ginevra), divennefrate domenicano, ha insegnato a Gi-nevra e Friburgo, fu chiamato a Ro-ma nel 1990 da Giovanni Paolo II per

diventare teologo della Casa pontifi-cia. Creato nel 2003 cardinale, viveora tra Roma e la Svizzera romanda,collaborando alla rivista «Nova et ve-tera», fondata dal defunto cardinaleJournet. In una recente intervista, ri-lasciata a «Echo-Illustré» (aprile2012), indicando i frutti del Concilioha osservato: «La Chiesa cattolica èenormemente cambiata: i vescovi la-vorano assieme, l’internazionalizza-zione della curia romana è un fatto, icattolici leggono molto di più la Pa-rola di Dio che negli anni della miainfanzia. Un seme è stato gettato, chematura anche se non sono le decisio-ni choc che alcuni attendono (…).Ecône e gli integralisti sono un feno-meno marginale per la Chiesa univer-sale». Interrogato se a Roma avverto-no le contestazioni espresse in Au-stria, Irlanda e anche in Svizzera, harisposto: «Sì, e sono sempre le stesserivendicazioni: ordinazione delle don-ne, matrimonio dei preti, ecc. Io noncredo che siano riforme delle quali laChiesa ha bisogno. Giovanni Paolo IIchiamava i cristiani alla santità: que-sta è la sfida lanciata a ognuno di noi,me compreso». Sempre le stesse ri-vendicazioni che non preoccupano uncardinale novantenne: ma non sareb-be ora, finalmente, di prenderle sul se-rio e magari di accoglierle, visto chea ri-riproporle sono i giovani? Consi-derato l’ottimismo del Cardinale perla Chiesa cattolica, perché non pro-vare?Seminari vuoti. I seminaristi delladiocesi di Sion (sei, di cui quattroal termine della formazione) e quellidella diocesi di Losanna-Ginevra-Friburgo (cinque, di cui uno al termi-ne degli studi) saranno raggruppati inun unico edificio, chiamato «Casa deiseminaristi» a Givisiez (Friburgo), se-de attuale del seminario vallesano. Ilraggruppamento è causato dal nume-ro ridotto di allievi, ma formalmentei seminari resteranno due, ognuno conun superiore, nominato dal rispettivovescovo. Anche il seminario di SanktBeat a Lucerna è troppo grande per ibisogni della diocesi di Basilea: le 80camere sono attualmente occupate datre candidati preti, 19 studenti in teo-logia e 15 studenti di altre discipline.Il seminario di Lucerna è stato co-struito nel 1972, allora era completa-mente occupato. La diocesi sta esa-

minando la possibilità di un miglioreutilizzo dell’edificio, la cui gestionecosta annualmente circa due milionidi franchi, con un deficit pure annuo,a carico della diocesi, di seicentomi-la franchi.«Imbecille e gratuito». La guida al-pina che aveva danneggiato negliscorsi anni tre croci sulle Prealpi fri-burghesi (tagliandone una e rovinan-do le altre due) è stata condannata a90 indennità giornaliere, pena sospe-sa per tre anni, per violazione della li-bertà di coscienza e di culto. Ha so-stenuto che voleva promuovere il di-battito sulla presenza di simboli cri-stiani sulle vette delle montagne, chesono di tutti, ma secondo il giudice siè trattato di gesti «imbecilli e gratui-ti». Intanto le Edizioni de la Sarine,hanno pubblicato un volume di 192pagine, dal titoloPrésence sur lamon-tagne, con le foto delle 64 croci (piùuna Madonna) che si trovano sullemontagne friburghesi. Si tratta di unproblema minore in una società sem-pre più plurale, da trattare tuttavia conrispetto e senza ostentazione.Jean-Jacques Rousseau. Nato tre-cento anni fa, a Ginevra (1712-1778),il filosofo è celebrato per essere unprecursore della modernità. Chi vuo-le dimostrarne l’attualità cita frasi,estrapolate dalle sue opere (il Con-tratto sociale o l’Emile) che sembra-no riferirsi a atteggiamenti e tenden-ze di oggi. Ma, forse, per capire cheRousseau non è un pensatore polve-roso che appartiene al passato, è piùutile cercare di cogliere alcune intui-zioni di fondo che lo hanno caratte-rizzato e lo hanno spinto a essere spes-so un personaggio controcorrente.Sono interessanti allora le sue consi-derazioni sulla cultura nascente del-l’opinione pubblica e della comuni-cazione mediatica, fiduciosa nell’ideadi progresso, di cui parla nella Lette-ra a D’Alembert, analizzando il pub-blico di un teatro. O ancora si può ri-cordare che Claude Levi-Strauss havisto in lui il fondatore del metodo an-tropologico. Ma è il modo in cui Rous-seau si rivolge ai suoi lettori a far ca-pire perché oggi non lasci indifferen-ti: «lo non voglio polemizzare convoi, e neppure convincervi – dice nelVicario Savoiardo – mi basta poterviesporre semplicemente ciò che pensonel mio cuore. Mentre vi parlo, guar-date dentro voi stessi. Non vi chiedoaltro». Per Rousseau, la libertà dicoscienza viene prima di ogni altracosa.

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CRONACA SVIZZERAa cura di Alberto Lepori

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Riconoscimento tra Chiese. In unincontro svoltosi a Hannover lo scor-so prile, il presidente della Federazio-ne delle Chiese evangeliche svizzere(Fces) Gottfried Locher e il presiden-te del Consiglio della Chiesa evange-lica in Germania (Ekd) NikolausSchneider, hanno stipulato un accor-do di collaborazione tra le due istitu-zioni, in particolare in campo teolo-gico ed etico. In futuro sarà possibileai pastori svizzeri presentare la pro-pria candidatura per incarichi nellecomunità dell’Ekd, mentre pastorievangelici tedeschi possono candi-darsi per posti di lavoro in Svizzera.«L’accordo di collaborazione – chedovrà essere ratificato dai Consiglidella Fces e dell’Ekd – è una pietramiliare nella relazione tra le nostreChiese», ha detto Locher. Le Chieseevangeliche in Germania e in Svizze-ra organizzeranno inoltre, nei prossi-mi anni, diverse celebrazioni per il500. anniversario della Riforma. Lescadenze principali sono le comme-morazioni di Martin Lutero nel 2017a Wittenberg e di Ulrico Zwingli nel2019 a Zurigo.Mancano i soldi aGinevra.La Chie-sa protestante di Ginevra (Epg) deverisparmiare 1,5 milioni di franchi en-tro il 2014. Sei posti di lavoro po-trebbero essere cancellati. I delegati alConcistoro (il parlamento ecclesiasti-co) decideranno in giugno quali mi-sure concrete adottare. Il progetto diristrutturazione è stato elaborato da unapposito «Gruppo di lavoro 2014»,che ha consegnato un rapporto al-l’inizio dell’anno. L’Epg può contaresolo sulle contribuzioni volontarie, idoni e i lasciti per pareggiare il bilan-cio e sostenere il proprio lavoro. Ilbudget dell’Epg ammonta a 14,3 mi-lioni di franchi (in calo di 200.000franchi).I tagli sul personale dovrebbero esse-re effettuati senza ricorrere alla misu-ra del licenziamento, mentre sarannoridotti i contributi alla Federazionedelle Chiese protestanti svizzere e al-la Conferenza delle Chiese riformateromande. Il gruppo di lavoro ritieneche un aumento delle entrate potreb-be essere raggiunto tramite «l’inco-raggiamento ai doni legati agli atti ec-clesiastici» battesimi, matrimoni, fu-nerali.Nel catalogo delle proposte si trovainoltre un aumento del prezzo del-l’abbonamento al mensile «La vie pro-testante»: ma la misura pare sconsi-gliata dalla diminuzione del numerodegli abbonati (9500 nel 2010).

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Riceviamo e volentieri pubblichiamo:

La Chiesa cattolica celebrerà nel pros-simo ottobre i cinquant’anni dall’ini-zio del Concilio e ha indetto, a parti-re da questa ricorrenza, un Anno del-la fede. Viene così stabilito un nessomolto stretto tra il ricordo del Vatica-no II e la fede trasmessa dal Vangeloe annunziata dal Concilio. A ciò sonointeressati non solo i fedeli cattolici,ma anche gli uomini e le donne dibuona volontà associati, come dice ilConcilio, «nel modo che Dio cono-sce» al mistero pasquale, che inten-dono, nel nostro Paese come in tanteparti del mondo, ricordare e interro-gare quell’evento e quell’annuncio.Per questa ragione i gruppi ecclesia-li, le riviste, le associazioni e le sin-gole persone appartenenti al «popolodi Dio», firmatari di questo appello,convocano un’assemblea per sabato15 settembre 2012 (10-18) a Roma(EUR) nell’auditorium dell’Istituto«Massimo».Nella consapevolezza dei promotori èben presente il fatto che ricordare glieventi non consiste nel portare indie-tro gli orologi, ma nel rielaborarne lamemoria per capirne più a fondo il si-gnificato e farne scaturire eredità nuo-ve ed antiche e impegni per il futuro.Ciò è particolarmente vero per quan-to riguarda gli eventi di salvezza (co-me certamente il Concilio è stato)molti dei quali non furono capiti da-gli uomini della vecchia legge e daglistessi discepoli di Gesù, se non più tar-di, quando alla luce di nuovi eventi lamemoria trasformatrice ne permiseuna nuova comprensione. Così noipensiamo che in questo modo, nonmeramente celebrativo, debba esserefatta memoria del Concilio nell’annocinquantesimo dal suo inizio, e che aldi là delle diverse ermeneutiche chesi sono confrontate nella lettura diquell’evento, quella oggi più ricca diverità e di frutti sia un’ermeneuticadella memoria rigeneratrice. Essa èvolta a cogliere l’«aggiornamento»che il Concilio ha portato e ancora og-gi porta nella Chiesa, in maggiore ominore corrispondenza con il proget-to per il quale era stato convocato.L’assemblea di settembre vorrebbe es-sere una tappa di questa ricerca. Se siterrà a settembre, invece che in otto-bre, è perché intende rievocare, sia co-me inizio che come principio ispirato-

re del Vaticano II, anche il messaggioradiofonico di Giovanni XXIII dell’11settembre 1962 che conteneva quellafolgorante evocazione della Chiesa co-me «la Chiesa di tutti e particolarmentela Chiesa dei poveri». Da questo deri-va infatti il tema del convegno.Dopo un pensiero sulla «Mater Ec-clesia» che gioì in quel giorno inau-gurale dell’11 ottobre 1962 (interven-to di Rosanna Virgili) l’incontro si ar-ticolerà in tre momenti:• il primo dedicato a ricordare ciò che

erano la Chiesa e il mondo fino alConcilio (intervento di GiovanniTurbanti),

• il secondo per discernere tra le di-verse ermeneutiche del Vaticano II(intervento di Carlo Molari),

• il terzo sulle prospettive future, nel-la previsione e nella speranza di un«aggiornamento» che continui, sianelle forme dell’annuncio, sia nelleforme della preghiera, sia nella ri-forma delle strutture ecclesiali (in-tervento di Cettina Militello), conparole conclusive di Raniero La Val-le («Il Concilio nelle vostre mani»).

Sono previsti diversi interventi e con-tributi di testimoni del Concilio cosìcome di comunità, di gruppi e di per-sone presenti al convegno, che po-tranno testimoniare la loro volontà diessere protagonisti della vita dellaChiesa.In questo spirito i promotori invitanoalla preparazione e alla celebrazionedel convegno romano di settembre,che parteciperà in tal modo a un pro-gramma di iniziative analoghe che sistanno già realizzando, in diverse for-me, in Europa e nel mondo e che siconcluderanno nel dicembre 2015 conun’assemblea mondiale a Roma a cin-quant’anni dalla conclusione del Con-cilio.Questo invito, datato 10maggio 2012,è firmato da Vittorio Bellavite, EmmaCavallaro, Giovanni Cereti, FrancoFerrari, Raniero La Valle, AlessandroMaggi, Enrico Peyretti, Fabrizio Trui-ni ed è controfirmato da associazionie riviste, tra cui «Dialoghi».

Il programma dettagliato e le infor-mazioni logistiche seguiranno a bre-ve insieme alle indicazioni per aderi-re online.

«Chiesa di tutti, Chiesa dei poveri»Il 15 settembre a Roma, a 50 anni dal Concilio

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Abbasso l’acqua minerale in botti-glia. In particolare se il contenitore èin PET! Questo materiale plastico è underivato del petrolio: ne occorrono duedecilitri per fare una bottiglia. In Sviz-zera ogni anno si sprecano 200 milatonnellate di carburante! Per JacquesNeirynck, consigliere nazionale PPD,la situazione è scandalosa perché sispreca con leggerezza una materia pri-ma in via d’estinzione. Egli si chiededove sia finita la nostra responsabilitàmorale nei confronti dell’ambiente eafferma che dovremmo rifiutarci diprodurre una simile assurdità, anche sene abbiamo i mezzi. L’acqua in botti-glia è un assurdo anche per altre ra-gioni. Nel nostro Paese, come in mol-ti altri paesi industrializzati, la qualitàdell’acqua di rubinetto è migliore ri-spetto a quella in bottiglia, che percorrea volte migliaia di chilometri prima diarrivarci in casa, per non parlare deigiorni e delle settimane che trascorro-no (magari sotto il sole) tra l’imbotti-gliamento e il consumo. Le caratteri-stiche organolettiche originarie del-l’acqua imbottigliata sono anche in-taccate da impurità del materialeplastico e perfino da agenti pericolosiper la salute, come l’antimonio che en-tra in gioco nella produzione del PETe che può trasferirsi nell’acqua. Infine,il fattore costo dovrebbe indurre a ri-vedere un consumo totalmente ingiu-stificato: l’acqua del rubinetto costa inmedia 0,0016 franchi al litro, circa cin-quecento volte meno di quella in bot-tiglia. Per saperne di più sull’argo-mento è consigliabile la lettura di J.Neirynck Les scandales de l’eau enbouteille, edizioni Favre, e la visionedel film Bottled life, quando (e se) ar-riverà nelle sale cinematografiche del-la Svizzera italiana.Un bene triplice. Il Consiglio pontifi-cio «Justitia et Pax» ha diffuso un ap-pello, in occasione del VI Forum perl’acqua del marzo scorso, ad agire consobrietà responsabilità e solidarietà.L’acqua, si può leggere nel documen-to presentato all’opinione pubblica, èun bene triplice: sociale, in quanto le-gato all’alimentazione e alla salute del-l’umanità; economico, in quanto ne-cessario alla produzione di altri beni edi energia; ambientale, in quanto lega-to alla salvaguardia dell’ambiente edella biodiversità. Il diritto all’accessoall’acqua per tutti deriva dalla pari di-

gnità umana. Purtroppo, non è ancorasufficientemente affermato, promossoe riconosciuto sul piano giuridico.Acqua e sciopero della fame. Mons.Cappio, vescovo di Barra in Brasile,nel 2005 e nel 2007 aveva praticato va-ri scioperi della fame per opporsi alprogetto dello spostamento di un trat-to del terzo fiume del paese, il SaoFrancisco. I lavori sono fermi dal 2010,ossia dalle ultime elezioni presiden-ziali. Il vescovo e i suoi sostenitori ave-vano infatti denunciato il carattere«elettorale» del progetto: un’opera-zione destinata a generare fondi per fi-nanziare la campagna, un tipico casodi corruzione. Oggi mons. Cappio nonsa se gioire o indignarsi. Gioia peressere riuscito a evitare una catastrofenaturale, indignazione perché lo Statoha comunque speso fiumi (eh sì!) didenaro che avrebbe potuto essere in-vestito per progetti ragionevoli e ne-cessari alla popolazione locale. Ma an-che perché centinaia di chilometri qua-drati di foreste erano già state disbo-scate sul tracciato del nuovo corso delfiume.Per chi non lo sapesse. Ogni anno inSvizzera si generano 144 mila tonnel-late di rifiuti elettronici: computer, te-lefonini, televisori, forni a microonde,lettori digitali e via di seguito: quindi-ci chili per abitante. Lo smaltimento èregolato dal 1998 dall’Ordinanza fe-derale sulla restituzione, la ripresa el’eliminazione degli apparecchi elet-trici ed elettronici. Benché sia un re-golamento ammirato e invidiato per lasua efficienza dagli Stati nostri vicini,la disciplina non è ancora riuscita e evi-tare che produttori e importatori se-guitino a eluderla per aumentare i pro-pri margini di guadagno. Un progettodi revisione ora in consultazione tentadi ovviare a queste lacune, soprattuttoall’esportazione selvaggia di materia-le rottamabile. La raccolta e l’elimi-nazione dei rifiuti elettronici sono fi-nanziate dal settore privato attraversodue associazioni senza scopo di lucrofondate e pilotate da un consorzio diproduttori e importatori: SENS e SWI-CO. L’affiliazione è su base volonta-ria e prevede l’obbligo di applicare al-le merci messe in vendita una tassa an-ticipata sul riciclaggio. A monte, l’ob-bligo per i commercianti di ritirare tuttigli apparecchi. Con la nuova legge si

vuole rendere obbligatoria per produt-tori e importatori l’affiliazione allaSENS o alla SWICO. Ma, oltre la que-stione del quasi-monopolio che si ver-rebbe in tal modo a creare, è lasciatascoperta la questione del contenimen-to dell’esportazione illegale dei rifiu-ti, spesso altamente tossici. La SWI-CO stima che il 15% dei rifiuti elet-tronici spariscono dalla filiera ufficia-le. L’Ufficio federale dell’ambientesmentisce, ma ammette che le fugheci sono, anche se minime. Dal 2010 so-no comunque stati sventati 33 tentati-vi di passaggio illegale delle frontiere.Taranto la rossa.Taranto è la città eu-ropea più inquinata da emissioni in-dustriali. Ogni anno ogni abitante ina-la 2,7 tonnellate di monossido di car-bonio e 57,7 tonnellate di diossido dicarbonio. Gli ultimi dati forniti dal-l’Inventario nazionale delle emissionie delle loro sorgenti parlano chiaro: lasituazione di Taranto è paragonabile aquella della cinese Linfen e della ru-mena Copsa Mica: le agglomerazioniche detengono il primato mondiale del-l’inquinamento industriale. Ma a Ta-ranto si sta ancora peggio, a causa del-la diossina. Quella diffusa nell’am-biente cittadino è pari al 92% di quel-la emessa in tutta Italia e all’8,8% diquella europea. Con il tempo, la dios-sina accumulata ha raggiunto i 9 chi-li: tre volte di più di quella che vennedispersa su Seveso nel 1976. Si sa chela diossina è una sostanza altamentecancerogena, che va messa in relazio-ne con l’aumento del 30% dei casi dicancro negli ultimi dieci anni. Casounico al mondo, a Taranto il cancro aipolmoni è stato diagnosticato a unbambino di undici anni che non avevamai fumato una sigaretta. Ufficial-mente, nessuno ha stabilito un nesso dicausalità o affermato responsabilità,ma per gli abitanti non ci sono dubbi:responsabile è l’impresa siderurgica Il-va, gigante della siderurgia e maggiordatore di lavoro della città. In una re-gione in cui i posti di lavoro alternati-vi non abbondano, un’impresa di que-sta taglia è praticamente inattaccabile.Il quartiere di Tamburi, situato vicinoall’areale dell’Ilva, è ricoperto da unafine coltre di polvere rossa provenien-te dalle riserve di ferro immagazzina-te a cielo aperto. La pratica è illegalesecondo le leggi europee. La societàcivile tenta dal 2011 di ottenere per re-ferendum la chiusura della fabbrica,ma il processo democratico è statobloccato dall’intervento della lobby in-dustriale, dei sindacati e degli elettidella Regione Puglia.

NOTIZIARIO (IN)SOSTENIBILEa cura di Daria Lepori

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Extra omnes. «Dialoghi» esprime so-lidarietà e simpatia a papa BenedettoXVI, malservito da un banchiere e tra-dito da un maggiordomo. Ma ci sonoaltri ministri (servitori?) che non de-vono restare nella Santa Sede, spe-cialmente in cucina a manipolare il ci-bo (Opus Dei?) che viene proposto alPopolo di Dio.«Irrevocabile»? Papa Ratzinger, nel-l’omelia del Giovedì Santo, rimpro-verando i sacerdoti austriaci promo-tori dell’appello alla disobbedienza,ha detto che essi ignorano decisioni«definitive» del Magistero, ad esem-pio nella questione circa l’ordinazio-ne delle donne, in merito alla quale ilbeato Papa Giovanni Paolo II ha di-chiarato in maniera irrevocabile che laChiesa, al riguardo, non ha avuto al-cuna autorizzazione da parte del Si-gnore. Ma alcuni (molti?) la pensanoaltrimenti, sia nel merito dell’oggettosia sulla «irrevocabilità» attribuita alPapa Beato. Così il vescovo di An-versa (Belgio) mons. Johan Bonny hadichiarato in una intervista al giorna-le fiammingo «De Standaard» (7 apri-le): «Ordinare o no uomini sposati èuna questione di diritto canonico (no-ta: egli sarebbe d’accordo); l’ordina-zione delle donne invece ha implica-zioni teologiche, riguarda l’interpre-tazione della Bibbia e della tradizio-ne. Ma nel nostro Paese l’ordinazionedelle donne sarebbe accettata». Lapensano così anche molti cattolicisvizzeri, per non dire centinaia diChiese (pardon: comunità…) cristia-ne in tutto il mondo. «Irrevocabile» èallora solo il rifiuto di discuterne a Ro-ma, sempre meno rispettato in perife-riaDisobbedienti. L’iniziativa dei pretiaustriaci promotori nel giugno 2011(«Dialoghi» n. 218) di un «Appello al-la disobbedienza» ha ricevuto, il 22aprile, il Premio Herbert Haag 2012per la libertà nella Chiesa. A ritirare ilpremio, consistente in diecimila euroe promosso dalla omonima Fondazio-ne (creata nel 1985 dal professor Her-bert Haag, docente di teologia al-l’Università di Tübingen, attualmentepresieduta dal teologo Hans Küng), èstato il promotore dell’Iniziativa, p.Helmut Schiller. Il premio è stato con-ferito per aver raccolto l’«emergenzapastorale» derivante dalla sempre più

grave carenza di preti nella Chiesa cat-tolica e «averla affrontata con affer-mazioni chiare e azioni coraggiose edecise». L‘iniziativa dei parroci au-striaci ha ricevuto anche la solidarietàdel movimento internazionale «Noisiamo Chiesa», per la ragione che «ildialogo nella Chiesa è il solo modo disuperare la profonda crisi mondiale at-tuale nella Chiesa cattolica». L’Annodella fede lanciato per il 2012 deve di-ventare anche un «anno di dialogo»;invece di esigere un’obbedienza cieca,tutte le questioni contenute nell’ap-pello nella Pfarrer-Initiative dovreb-bero essere esaminate attentamente,una ad una. Uno dei leader dei parro-ci «disobbedienti», Peter Paul Kaspar,cappellano dell’Accademia degliArti-sti di Linz, ha scritto una lettera aper-ta all’arcivescovo di Vienna card.Christoph Schönborn, per compli-mentarlo del fatto di aver confermatoFlorian Stangt, il giovane omosessua-le convivente, eletto consigliere par-rocchiale a Stutzenhofen. Sarà anchequello del cardinale un caso di «disob-bedienza»? O non forse di obbedienzaalla propria coscienza, in evidentecontrasto con le prescrizioni di Roma?Irlanda cattolica, ma non troppo.L’87% dei cattolici irlandesi è favo-revole all’abolizione del celibato ob-bligatorio dei preti e il 77% approval’ammissione delle donne al sacerdo-zio. Sono dati che emergono da un’in-dagine condotta su di un campione dimille cattolici presentata lo scorso 12aprile dall’«Association of CatholicPriests», un’organizzazione cui aderi-scono circa 800 sacerdoti cattolici ir-landesi. Stando all’indagine, l’opinio-ne della base si discosta anche su al-tri punti dalle indicazioni della gerar-chia: così i tre quarti degli intervistaticonsiderano «non rilevante» per lapropria vita l’insegnamento dellaChiesa in materia sessuale, il 61% necritica l’atteggiamento nei confrontidell’ omosessualità. Malgrado tuttoquesto, i cattolici irlandesi non ab-bandonano la loro Chiesa: lo studio ri-leva che il 35% dei fedeli partecipaogni settimana alla messa e il 51% hadichiarato di frequentare la chiesa al-meno una volta al mese.Giustizia per i pastori. La Corte eu-ropea dei diritti dell’uomo ha emessoil proprio verdetto contro il Governo

spagnolo nella questione delle pen-sioni non pagate ai pastori protestan-ti. In una sentenza del 3 aprile 2012ha affermato che il diritto negato ai pa-stori rappresenta una violazione dellaConvenzione europea dei diritti del-l’uomo, perché il trattamento prefe-renziale riservato ai preti cattolici con-travviene all’articolo 14 (divieto di di-scriminazione). La sentenza accogliel’azione legale di Francisco Manza-nas, pastore in pensione della Chiesaevangelica di Spagna (IEE), che ave-va visto respinta la sua richiesta a di-verse istanze dalla giustizia spagnola.All’epoca della dittatura franchista, aipastori della IEE non era permesso dipagare un’assicurazione sociale, inquanto avevano una sorta di divietodi esercitare la professione; per que-sto non ricevono dunque alcuna pen-sione statale. Le discussioni con il Go-verno hanno portato al riconoscimen-to della «colpa storica» dello Stato, manon alla compensazione a livello eco-nomico. Ora il governo spagnolo do-vrà provvedere a togliere la discrimi-nazione.Perché non si dimette? L’Associa-zione «Noi siamo Chiesa» ha rivoltolo scorso 12 maggio ai vescovi italia-ni una lettera aperta per sollecitare, co-me richiesto da oltre un anno da par-te della Congregazione per la dottrinadella fede, che siano emanate «le li-nee guida per il trattamento dei casidi abuso sessuale nei confronti dei mi-nori da parte dei chierici». Tale diret-tiva appare particolarmente necessa-ria (e anche imbarazzante) dopo cheil vescovo mons. Dante Lanfranconidi Cremona, e già di Savona, è statoduramente censurato da un tribunaleper non essere intervenuto nei con-fronti di un prete pedofilo; anche per-ché (è scritto nell’ordinanza con laquale si propone l’archiviazione del-la procedura penale per avvenuta pre-scrizione) «la sola preoccupazione deivertici della Curia [fu] quella di sal-vaguardare l’immagine della diocesipiuttosto che la salute fisica e psichi-ca dei minori che erano affidati ai sa-cerdoti», «e come principalmente (pernon dire unicamente) per tale ragionel’allora vescovo di Savona non avevaesercitato il suo potere-dovere di con-trollo sui sacerdoti e di protezione deifedeli», mentre «nessuna espressionedi rammarico risulta dai documentiagli atti a favore degli innocenti fan-ciulli affidati alle cure del sacerdote erimasti vittime delle sue attenzioni».Mons. Lanfranconi è il primo vesco-vo italiano ad essere perseguito per il

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CRONACA INTERNAZIONALEa cura di Alberto Lepori

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suo comportamento omissivo. In altriPaesi (Irlanda, Belgio, ecc.) i vescovicensurati si sono dimessi.Israele laico. Dalla sua fondazione,Israele coltiva una relazione com-plessa con la propria identità religio-sa. I primi movimenti sionisti, risalentialla fine del XIX secolo, erano laici ela Bibbia non venne chiamata in aiu-to per legittimare la creazione di unoStato secondo il progetto sionista: al-cuni gruppi erano persino antireligio-si. Gli ebrei ortodossi sono tuttorascettici circa lo Stato d’Israele e alcu-ni rabbini condannano l’immigrazio-ne in Palestina, perché solo il Messiapuò «restaurare Israele». La tragediadella Shoah ha rafforzato tuttavia ladimensione nazionale. Nel 1948 BenGurion ha proclamato l’indipendenzainvocando «Eretz Israel», la terrad’Israele, «il luogo in cui nacque il po-polo ebraico». Israele divenne uno«Stato per gli ebrei» che garantisce il«diritto al ritorno» per ogni ebreo. Tut-tavia rifiuta di diventare uno Stato teo-cratico, anche se l’ebraismo è religio-ne ufficiale, i rabbini ortodossi hannoil monopolio del matrimonio per gliebrei e la compagnia di bandiera ElAl non effettua voli il giorno di shab-bat. Secondo il giornale «La Croix»,il 7% degli israeliani si dichiara ultra-ortodosso, il 15% ortodosso, il 32%tradizionalista e il 46% laico.La seconda metà del Vaticano.«L’Osservatore Romano», giornaleufficiale della Santa Sede, che ha persottotitolo Unicuique suum (a ciascu-no il suo), avrà un inserto di quattropagine, intitolato «Donne, Chiesa,mondo», con notizie, cultura, inchie-ste sull’altra metà del cielo e collabo-razioni femminili e internazionali.Vuol essere una apertura del Vaticanoalle donne e un tentativo di rilanciareil giornale in calo di diffusione, men-tre aumentano i disavanzi. Malgradole molte dichiarazioni (a cominciaredall’intera enciclica di Giovanni Pao-lo II dedicata alle donne: Mulieris di-gnitatem del 1988) e le promesse delcardinale Bagnasco (Intervista a «Re-pubblica», 19 luglio 2000), secondocui nelle future nomine si terrà conto«delle responsabilità, dei carismi, del-le potenzialità delle donne», finoradue sole (la suora Enrica Rosanna, sot-tosegretario della Congregazione peri religiosi, e Flamina Giovanelli, sot-tosegretario del Pontificio Consiglio«Giustizia e Pace») rivestono carichedi relativa importanza in Vaticano. Maci sono le quattro memores Domini,

addette all’appartamento del Papa, do-ve (secondo «Il Foglio»), «si occupa-no delle cosiddette faccende domesti-che: cucinano, lavano, stirano per ilSanto Padre e spesso partecipano aisuoi pranzi e alle sue cene, un’intimi-tà che non è senza valore». Allegria!(da «Adista», 21 aprile).

Non si discute.Alla riunione del Con-siglio presbiterale della diocesi di Mi-lano svoltasi il 30 gennaio, il morali-sta Fumagalli, docente al seminariodi Venegono, ha proposto di discute-re la condizione dei divorziati rispo-sati (numerosi in diocesi), ma ha riti-rato la proposta di fronte alla netta op-posizione formulata dal card. Scola.Allora mons. Giovanni Giavini, un an-ziano biblista, l’ha ripresentata, ma invotazione è stata respinta, con 13 no,7 sì e ben 27 astensioni. Opporsi al pa-rere del proprio cardinale? Mai più!(da «Adista», 7 aprile),Libertà religiosa. Le autorità religio-se delle Chiese e il Consiglio d’Euro-pa condividono le medesime preoc-cupazioni «di fronte all’attuale cre-scita di fenomeni di violazione dellalibertà religiosa nei Paesi europei chesfociano spesso in veri e propri atti diviolenza, estremismi, discriminazio-ni in particolare nei confronti dei cri-stiani». È quanto si legge nel comu-nicato finale dell’incontro, svoltosinella sede del Consiglio d’Europa aStrasburgo (5-8 marzo) con i presi-denti di nove Conferenze episcopalidel Sud-Est Europa (in particolare de-gli stati balcanici). «Questi fenomeniattentano alla stabilità delle società eu-ropee e minano il diritto di ogni citta-dino di scegliere e praticare libera-mente la propria religione. In questosenso, la Chiesa spera che il Consigliosi faccia sempre più promotore dellatutela della libertà religiosa». Nelcomunicato i vescovi affermano di«guardare con attenzione il rinnovatointeresse del Consiglio d’Europa perla dimensione religiosa dei suoi citta-dini. Sembra emergere sempre di piùil ruolo della religione, non come cau-sa di problemi, ma quale fattore dicoesione sociale». Da alcuni anni ilConsiglio d’Europa ha in atto un dia-logo con le comunità religiose del con-tinente. I vescovi «plaudono al desi-derio del Consiglio di rendere regola-re questo dialogo, pur esprimendo al-cune riserve e preoccupazioni sullaefficacia di incontri tra comunità econvinzioni religiose molto diverse tradi loro». Il comunicato finale mette inevidenza la rilevanza pubblica delle

religioni, come dimostra «l’aumentoconsiderevole dei ricorsi su temi le-gati alla dimensione religiosa», chegiungono alla Corte Europea dei di-ritti dell’uomo.UnaChiesa in crisi.L’episcopato cat-tolico tedesco è molto preoccupato delcalo di studenti nelle facoltà di teolo-gia, tradizionalmente il vivaio dei fu-turi preti. Solo 2200 studenti si sonoiscritti ai corsi nel 2012, con una di-minuzione del 50%; diminuiti del 25%anche i professori, per il calo degliiscritti e quindi dei relativi finanzia-menti. La tendenza è il frutto della se-colarizzazione, che ha causato in ven-t’anni una diminuzione dei cattolicidel 12,7%. Nel 2010, specialmente acausa dello scandalo per gli abusi ses-suali dei preti, ben 181.000 cittadinihanno abbandonato la Chiesa, supe-rando per la prima volta il numero deibattesimi (170.330). I candidati al pre-sbiterato sono diminuiti di più del60%, i battesimi del 43,1%. (ERE-news 2012-1).La scienza, bene universale. In unseminario, organizzato a Roma dal CI-PAX sul tema della destinazione uni-versale dei beni della terra (principioben saldo nell’insegnamento cristia-no), Giovanni Franzoni ha evidenzia-to come la titolarità dell’umanità neiconfronti dei global common goods(quei beni cioè che non sono oggettodi proprietà privata, né cadono sottola sovranità di alcun soggetto, dal-l’Antartide ai fondali marini, fino al-lo spazio intersatellitare e interplane-tario) siano ancora, secondo il princi-pio del diritto romano res nullius etprimi occupantis, perché l’umanitànon esiste come soggetto di diritto in-ternazionale. Nel vuoto lasciato dal di-ritto internazionale trova così spazioil fatto che ciò che non è di qualcunoè del primo che lo occupa. Mentre variaffermato che «tutto il creato è di Dioed è offerto a beneficio dell’umanità»,vanno rivendicati come eredità co-mune i risultati nel campo della co-noscenza, cioè quell’insieme di sape-ri e di applicazioni scientifiche deri-vanti da un’evoluzione del pensiero,il cui merito non può che essere di tut-ta l’umanità (da »Adista«, 17 marzo).

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No. 222 opinioni 23

Essere umani significa avere dei di-ritti. Essi includono vita e libertà, in-sieme con i diritti necessari per soste-nerli: protezione e nutrimento, salutee lavoro, educa zione e benessere. Nes-suno di questi diritti è assoluto. Nes-suno può esercitarli in modo da op-primere gli altri.I cittadini degli Stati Uniti d’Americasono partico larmente coscienti dei lo-ro diritti, scritti nella nostra Costitu-zione: diritti di parola e di pacifica as-semblea, diritto al dissenso e al giustoprocesso, diritto di credere oppure no,libertà di stampa e protezione da unapu nizione crudele e sproporzionata,diritto di voto e pre sunzione di inno-cenza.Quando una persona diventa cattoli-ca, porta con sé tutti questi diritti uma-ni nella Chiesa. La Chiesa ha l’ob bligosolenne di proteggerli e di non violar-li. Quando una persona è cattolicanegli USA, la Chiesa è obbligata a sal-vaguardare questi diritti ove si affer-ma che cosa significa essere un citta-dino, a meno che non siano incompa-tibili con il cattolicesimo. Una perso-na non può sentirsi dire che diventacattolica al prezzo di essere me noamericana. Non possiamo sostenereche i diritti fon damentali non trovanoposto nella Chiesa di Cristo.Sentiamo spesso dire: «La Chiesa nonè una demo crazia». Questo non è ve-ro: i Concili ecumenici, l’ele zione delpapa e l’elezione dei superiori religiosisi fan no votando. Il primo Concilioecumenico [di Ni cea] nel 325 stabilìche nessun sacerdote potesse esserevalidamente ordinato se la comunitànon lo avesse pre scelto. Papi e vesco-vi erano scelti, generalmente, dallagente. Fondamentalmente, la dottrinacattolica ribadi sce che lo Spirito è da-to a tutti e che il battesimo rende egua-le ogni cristiano.

Le distinzioni tra clero e laicato sonostrumentali e arbitrarie. La loro va-lenza deve essere sempre subordinataall’eguaglianza battesimale che apre atutti i cat tolici il sacerdozio, il dirittoall’eucarestia e il pieno di ritto di ap-partenenza alla comunità. Cristo nonha pre dicato nel suo Vangelo privile-gi, priorità, diritti, o mi nori e maggiorimodi per essere buoni discepoli e di-scepole. Cristo non ha proclamato cheil Regno di Dio fosse composto daquelli i cui diritti alla parola, ad un giu-sto processo e alla presunzione d’in-nocenza sareb bero ora limitati.Il Regno di Dio è la carta delle beati-tudini, la sua co stituzione è il Vange-lo, la sua missione nei grandi Co man-damenti. Alla luce di questi princìpi eprecetti, noi, memori del nostro bat-tesimo, desiderosi di essere pie namen-te cittadini degli Stati Uniti e anchecattolici, proclamiamo questa Chartacattolica dei diritti e del le responsa-bilità.

Primato della coscienza. Ogni catto-lico/a ha il diritto e la responsabilitàdi sviluppare una co scienza informa-ta, e di agire in accordo con essa.Comunità. Ogni cattolico/a ha il di-ritto e la re sponsabilità di parteciparealla comunità eucaristi ca e il diritto aduna responsabile cura pastorale.Ministero universale. Ogni cattoli-co/a ha il di ritto e la responsabilità diproclamare il Vangelo e di risponderealla chiamata della comunità per unaleadership ministeriale.Libertà di espressione. Ogni cattoli-co/a ha il diritto alla libertà di espres-sione e la libertà di dis sentire.Sacramenti. Ogni cattolico/a ha il di-ritto e la re sponsabilità di parteciparein pienezza alla vita liturgica e sacra-mentale della Chiesa.Buon nome. Ogni cattolico/a ha il di-

ritto al buon nome e al giusto proces-so.Governance. Ogni cattolico/a e ognicomunità cattolica ha il diritto ad unasignificativa partecipazione alla pre-sa di decisioni, compresa la sele zionedei leader.Partecipazione. Ogni cattolico/a ha ildiritto e la responsabilità di condivi-dere l’interpretazione del Vangelo edella tradizione della Chiesa.Assemblee. Ogni cattolico ha il dirit-to di inter venire e di parlare nelle as-semblee dove voci diffe renti possonoessere udite.Giustizia sociale. Ogni cattolico/a hail diritto e la responsabilità di pro-muovere la giustizia so ciale sia nelmondo che all’interno delle strutturedella Chiesa.

Chiese discriminate. Una nuova leg-ge in Ungheria ha ridotto da 358 a 14le Chiese riconosciute dallo Stato. Vo-luta dal partito di centro-destra Fidesz,che conta una schiacciante maggio-ranza nel Parlamento di Budapest, lalegge ha provocato divisioni anche al-l’interno delle stesse confessioni reli-giose. La legge precedente, promul-gata dopo la caduta del regime comu-nista, prevedeva che bastava averecento membri per essere «Chiesa ri-conosciuta», e alcune associazioni sisarebbero registrate come Chiese so-lo per poter usufruire delle agevola-zioni fiscali. Secondo la nuova legge,non molto chiara, si dovrebbero ave-re più di mille membri ed essere pre-senti in Ungheria da più di vent’anni;ma il riconoscimento è stato negatoagli avventisti, che sono nel paese dal1898 e contano cinquemila membri,come esclusi sono stati i metodisti egli unitariani, la cui comunità è in Un-gheria dai tempi della Riforma prote-stante. Tra le 14 comunità riconosciu-te figurano le Chiese cattolica, rifor-mata, battista, luterana, ortodossa e lacomunità israelita. Le procedure chele Chiese escluse dovranno ottempe-rare per il nuovo riconoscimento so-no causa di preoccupazione, la do-manda dovendo essere fatta al Parla-mento, cioè a un organo politico, e ot-tenere una maggioranza dei due terzidei membri; inoltre dovrà essere ac-compagnata da mille firme di aderen-ti alla Chiesa, lista che potrebbe ser-vire a creare problemi ai firmatari qua-lora la domanda venisse respinta.

Una Carta dei diritti di cattolici americaniA Pentecoste dello scorso anno (12 giugno 2011) si è svolta a Detroit l’as-semblea dell’American Catholic Council per ribadire principi fondamentalidell’ecclesiologia riproposti dal Vaticano II. In tale occasione è stata votatala Carta dei diritti e delle responsabilità che riportiamo, frutto di centinaia diassemblee svoltesi l’anno precedente. Essa riflette la sensibilità di una comu-nità profondamente ferita dalla rivelazione degli scandali della pedofilia, in-trisa di democrazia fin dalle radici, che il Vaticano cerca da anni di riportarealla disciplina «romana», con la nomina di vescovi e di cardinali uno più con-servatore dell’altro. I cattolici americani dovrebbero venir ricompattati dietroi valori «non negoziabili» in campo morale, a preferenza dell’opzione per i po-veri che, dal Concilio in poi, era stata prevalente nelle prese di posizione del-la Chiesa americana. Ma il Concilio, evidentemente, non è stato dimenticato,come dimostra l’approvazione, da parte di questa assemblea, di una Carta chericorda alcune grandi scelte del Vaticano II.

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In questo numeroDossier� DIACONIA: L’ESEMPLARE

SERVIZIO PER TUTTI (Alberto Lepori) 1� L’INCONTRO TRA IL RICCO

E IL POVERO NELLA BIBBIA(don Valerio Lazzeri) 3

� DISAGIO A «CARITASINTERNATIONALIS» (Fulvio Caccia) 7

� INVITO AL SERVIZIO(don Sandro Vitalini) 8

� LA BROKEN SOCIETY È ALLE PORTE(Carlo Knöpfel, Caritas svizzera) 9

Articoli� PER UNA NUOVA PRIMAVERA

DELL’ECUMENISMO(Philippe de Vargas) 11

� LA STRANA PACE TRA ROMAE ECÔNE (Luigi Sandri) 16

� IL 15 SETTEMBRE A ROMAA 50 ANNI DAL CONCILIO 19

� UNA CARTA DEI DIRITTIDI CATTOLICI AMERICANI 23

� A CHE SERVE UN VESCOVO? 24� I CONTI DI «DIALOGHI» 2� NOTIZIE BELLE E BUONE 10� OSSERVATORIO ECUMENICO 14� BIBLIOTECA - S. Xeres e G. Campanini,

Manca il respiro. Un prete e un laicoriflettono sulla Chiesa italiana (Ancora) 17

� CRONACA SVIZZERA 18� NOTIZIARIO (IN)SOSTENIBILE 20� CRONACA INTERNAZIONALE 21

dialoghi di riflessione cristiana

Comitato: Alberto Bondolfi, ErnestoBorghi, don Emilio Conrad, Serse Forni,Aldo Lafranchi, Alberto Lepori, DariaLepori, Enrico Morresi, MargheritaNoseda Snider, Marina Sartorio, CarloSilini.

Redattore responsabile: Enrico Morresi,via Madonna della Salute 6, CH-6900Massagno, telefono +41 91 - 966 00 73,e-mail: [email protected]

Amministratore: Pietro Lepori,6760 Faido Tengia, tel. 091 866 03 16,email: [email protected].

Stampa: Tipografia-Offset Stazione SA,Locarno.

I collaboratori occasionali o regolarinon si ritengono necessariamenteconsenzienti con la linea della rivista.

L’abbonamento ordinario annuale(cinque numeri) costa fr. 60.–,sostenitori da fr. 100.–Un numero separato costa fr. 12.–Conto corr. post. 65-7206-4, Bellinzona.

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A che serve un vescovo?Il vescovo di Lugano mons. Giacomo Grampa ha rassegnato le dimissio-ni, avendo raggiunto l’età di 75 anni, che fin qui non sono state accettatedal Papa. In previsione della consultazione che dovrà provvedere alla suasostituzione torna utile informare che, in occasione della Settimana del-l’unità tra i cristiani, a Friburgo è stato organizzato un «dibattito ecume-nico» sul tema «A che serve un vescovo?». Il prof. François-Xavier Am-herdt, prete vallesano e insegnante di teologia pastorale all’università diFriburgo, ha indicato in sette punti la missione del vescovo nella tradizio-ne cattolica:• vigilare che la Chiesa resti fedele alla missione di manifestare l’amore diCristo;• scoprire e riconoscere i carismi che si manifestano nella Chiesa, ciò cherichiede specialmente di accogliere anche «nell’umiltà e nella gioia le sor-prese dello Spirito»;• coordinare la diversità dei carismi che si manifestano al servizio dell’unitàdella Chiesa;• mantenere una Chiesa in comunione con le altre Chiese e con le altre con-fessioni cristiane, ciò che costituisce un ministero (cioè un servizio) di «fab-bricante di legami»;• dare spinte nuove nella diocesi e scegliere orientamenti pastorali («Evi-tare che ogni settore vada in una direzione diversa e impedire in tal modola dispersione»);• agire rispettando un equilibrio complesso tra l’autorità personale del ve-scovo (principio gerarchico), l’assemblea sinodale in cui ogni battezzatoporta il suoi contributo (principio sinodale) e la ricerca di comunione inseno alla Chiesa locale e con la Chiesa universale (principio comuniona-le).Per il professor Amherdt, «la Chiesa non è né una monarchia né una oli-garchia, né una democrazia, ma una forma singolare di esercizio del go-verno». La tensione tra i poli dell’esercizio dell’autorità è indispensabileper evitare «sia l’autoritarismo, sia la dittatura della maggioranza, sia ilcentralismo dell’uniformizzazione» (da APIC, 13 gennaio). Sembrano con-sigli utili per definire l’identikit del futuro vescovo di Lugano.Ricordiamo che secondo il diritto canonico (can. 378) «Per l’idoneità diun candidato all’episcopato si richiede che: 1) sia eminente per fede sal-da, buoni costumi, pietà, zelo per le anime, saggezza, prudenza e virtù uma-ne, e inoltre dotato di tutte le altre qualità che lo rendano adatto a compierel’ufficio in questione; 2) goda di buona reputazione; 3) abbia almeno tren-tacinque anni di età; sia presbitero almeno da cinque anni; 5) abbia con-seguito la laurea dottorale o almeno la licenza in Sacra Scrittura, teologiao diritto canonico, in un istituto di studi superiori approvato dalla Sede apo-stolica, oppure sia almeno veramente esperto in tali discipline. Il giudiziodefinitivo sull’idoneità del candidato spetta alla Sede Apostolica». Infinesecondo il Concordato che regola la scelta del Vescovo di Lugano, il pre-scelto deve essere originario ticinese e appartenere al clero diocesano(vedi «Dialoghi» n. 220, febbraio 2012).

«Dialoghi» è offerto in vendita nelle seguenti librerie del Cantone:– Libreria San Paolo, Corso Pestalozzi 12, 6900 Lugano.– Libreria San Vitale, Corso San Gottardo 48, 6830 Chiasso.– Libreria «Dal Libraio», Via Pontico Virunio 7, 6850 Mendrisio.– Libreria Eco Libro, Via A. Giovannini 6a, 6710 Biasca.– Librerie Alternative 1, Via Ospedale 4, 6600 Locarno.– Libreria Elia Colombi SA, Via Dogana 3, 6500 Bellinzona.– Melisa Messaggerie SA, Via Vegezzi 4, 6900 Lugano.– Libreria del Mosaico, Via Bossi 32, 6830 Chiasso.Il prezzo di vendita della copia in libreria è di fr. 12 (Euro 8).