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CENTRO ALTI STUDI PER LA DIFESA CENTRO MILITARE DI STUDI STRATEGICI Pietro Batacchi L’arma subacquea quale strumento di deterrenza e di difesa degli interessi nazionali – Analisi, nello scenario dell’industria navale europea e mondiale, della valenza strategica di una cantieristica italiana in grado di costruire sottomarini (Codice AM-SMM-03)

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CENTRO ALTI STUDI PER LA DIFESA

CENTRO MILITARE DI STUDI STRATEGICI

Pietro Batacchi

L’arma subacquea quale strumento di

deterrenza e di difesa degli interessi

nazionali – Analisi, nello scenario

dell’industria navale europea e mondiale,

della valenza strategica di una cantieristica

italiana in grado di costruire sottomarini

(Codice AM-SMM-03)

Il Centro Militare di Studi Strategici (Ce.Mi.S.S.), costituito nel 1987 e situato presso Palazzo Salviati a Roma, è diretto da un Generale di Divisione (Direttore), o Ufficiale di grado equivalente, ed è strutturato su tre Dipartimenti (Relazioni Internazionali - Sociologia Militare - Scienze, Tecnologia, Economia e Politica industriale) ed un Ufficio Relazioni Esterne e le attività sono regolate dal Decreto del Ministro della Difesa del 21 dicembre 2012. Il Ce.Mi.S.S. svolge attività di studio e ricerca a carattere strategico-politico-militare, per le esigenze del Ministero della Difesa, contribuendo allo sviluppo della cultura e della conoscenza, a favore della collettività nazionale. Le attività condotte dal Ce.Mi.S.S. sono dirette allo studio di fenomeni di natura politica, economica, sociale, culturale, militare e dell'effetto dell’introduzione di nuove tecnologie, ovvero dei fenomeni che determinano apprezzabili cambiamenti dello scenario di sicurezza. Il livello di analisi è prioritariamente quello strategico. Per lo svolgimento delle attività di studio e ricerca, il Ce.Mi.S.S. impegna: a) di personale militare e civile del Ministero della Difesa, in possesso di idonea esperienza

e qualifica professionale, all’uopo assegnato al Centro, anche mediante distacchi temporanei, sulla base di quanto disposto annualmente dal Capo di Stato Maggiore dalla Difesa, d’intesa con il Segretario Generale della difesa/Direttore Nazionale degli Armamenti per l’impiego del personale civile;

b) collaboratori non appartenenti all’amministrazione pubblica, (selezionati in conformità alle vigenti disposizioni fra gli esperti di comprovata specializzazione).

Per lo sviluppo della cultura e della conoscenza di temi di interesse della Difesa, il Ce.Mi.S.S. instaura collaborazioni con le Università, gli istituti o Centri di Ricerca, italiani o esteri e rende pubblici gli studi di maggiore interesse. Il Ministro della Difesa, sentiti il Capo di Stato Maggiore dalla Difesa, d’intesa con il Segretario Generale della difesa/Direttore Nazionale degli Armamenti, per gli argomenti di rispettivo interesse, emana le direttive in merito alle attività di ricerca strategica, stabilendo le lenee guida per l’attività di analisi e di collaborazione con le istituzioni omologhe e definendo i temi di studio da assegnare al Ce.Mi.S.S.. I ricercatori sono lasciati completamente liberi di esprimere il proprio pensiero sugli argomenti trattati, il contenuto degli studi pubblicati riflette esclusivamente il pensiero dei singoli autori, e non quello del Ministero della Difesa né delle eventuali Istituzioni militari e/o civili alle quali i Ricercatori stessi appartengono.

(Codice AM-SMM-03)

CENTRO ALTI STUDI PER LA DIFESA

CENTRO MILITARE DI STUDI STRATEGICI

Pietro Batacchi

L’arma subacquea quale strumento di

deterrenza e di difesa degli interessi nazionali –

Analisi, nello scenario dell’industria navale

europea e mondiale, della valenza strategica di

una cantieristica italiana in grado di costruire

sottomarini

L’arma subacquea quale strumento di deterrenza e di difesa

degli interessi nazionali – Analisi, nello scenario

dell’industria navale europea e mondiale, della valenza

strategica di una cantieristica italiana in grado di costruire

sottomarini

NOTA DI SALVAGUARDIA

Quanto contenuto in questo volume riflette esclusivamente il pensiero dell’autore, e non quello del Ministero della Difesa né delle eventuali Istituzioni militari e/o civili alle quali l’autore stesso appartiene.

NOTE Le analisi sono sviluppate utilizzando informazioni disponibili su fonti aperte. Questo volume è stato curato dal Centro Militare di Studi Strategici Direttore CA. Maurizio Ertreo Vice Direttore - Capo Dipartimento Scienze, Tecnica, Economia e Politica Industriale C.V. Franco Felicioni Progetto grafico Massimo Bilotta - Roberto Bagnato Autore Pietro Batacchi Stampato dalla tipografia del Centro Alti Studi per la Difesa

Centro Militare di Studi Strategici Dipartimento Relazioni Internazionali

Palazzo Salviati Piazza della Rovere, 83 - 00165 – Roma

tel. 06 4691 3205 - fax 06 6879779 e-mail [email protected]

chiuso a novembre 2017 – stampato a marzo 2018

ISBN 978-88-99468-68-2

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Indice

Sommario 6

Abstract 8

1. L'evoluzione dello scenario e la proliferazione di sottomarini 10

1.1 La geometria variabile come dimensione fondante dell’attuale scenario

internazionale 10

1.2 Conflitti ibridi 12

1.3 Il Mediterraneo Allargato dopo la Primavera Araba 15

1.4 La proliferazione di sottomarini con un particolare riferimento al Mediterraneo

Allargato 23

2. La cantieristica internazionale e la produzione di sottomarini 28

2.1 I produttori europei ed occidentali 28

2.2 2.2 La cantieristica russa e la produzione di sottomarini 34

2.3 Gli altri 37

3. L'Italia e i sottomarini: industria e programmi 40

3.1 Le capacità della cantieristica italiana 40

3.2 La produzione di sottomarini: dai Toti alla classe Sauro 43

3.3 Il programma U212A e il ruolo della cantieristica italiana 46

4. Il dopo U212A ed un settore strategico per il Paese 52

4.1 Future esigenze operative 52

4.2 Studi e sviluppi tecnologici 55

4.3 L’eredità del programma U-212A 60

4.4 Tra sviluppi nazionali e cooperazione internazionale: suggerimenti per il dopo-

U212A 62

4.5 Il dopo-U212A e il mercato: quale spazio per l’industria italiana? 71

Considerazioni conclusive 74

Suggerimenti bibliografici 77

NOTA SUL Ce.Mi.S.S. e NOTA SUGLI AUTORI 81

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Sommario

Negli ultimi anni il sottomarino è tornato di grandissima attualità. Dopo la fine della Guerra

Fredda, con il ridimensionamento della minaccia russo-sovietica, e l'incontrastata

superiorità americana sul resto del mondo, il sottomarino sembrava essere stato relegato a

ruoli minori, o quanto meno secondari – e di conseguenza tutto ciò che era la lotta antisom

– in quanto considerato un retaggio dei tempi dello scontro con l'URSS e di scenari

altamente convenzionali. Certo, in epoca di conflitti asimmetrici, si parlava pur sempre di

mini-som, ma si trattava di qualcosa, appunto, di secondario, legato a contesti in cui la

minaccia principale in mare era rappresentata più che altro dalle mine e dai barchini veloci.

Per il resto l'attenzione delle Forze Armate e delle agenzie di procurement era concentrata

tutta sull'acquisizione di sistemi terrestri altamente protetti – ricordiamo la sfrenata corsa ai

MRAP (Mine Resistant Ambush Protected) nel primo decennio degli anni duemila – sul

potere aereo – l'arma assoluta capace da sola di risolvere ogni conflitto secondo i più radicali

teorizzatori del suo impiego – e, per ciò che concerne la dimensione marittima,

sull'acquisizione di unità piccole multiruolo con le quali "ripulire" le aree costiere e "brown"

(una per tutti, la Littoral Combat Ship, trasformatasi ben presto in una sorta di calvario per

l'US Navy). Tuttavia, come abbiamo visto nel Cap.1 di questo lavoro, gli scenari, proprio

sullo scorcio del primo decennio degli anni duemila, sono nuovamente tornati a cambiare.

La Russia si è riaffacciata in grande stile sulla scena internazionale, la Cina è diventata un

attore sempre più importante anche in termini politico-militari e non solo economici, mentre

si sono affermate nuove potenze regionali ed i fenomeni terroristici hanno assunto una

sempre maggiore intensità. Nel Mediterraneo Allargato, inoltre, si è assistito a quello

straordinario fenomeno di cambiamento noto come Primavera Araba che ha scardinato un

equilibrio da tempo consolidato e, soprattutto per un Paese come l’Italia, tutto sommato

rassicurante. Sul piano della conflittualità, dunque, da scenari puramente asimmetrici si è

passati repentinamente a nuove forme di conflittualità ibrida con forti elementi di

convenzionalità. In questo contesto il sottomarino è tornato alla ribalta, grazie alle sue

naturali caratteristiche di flessibilità operativa e furtività, e si è innescato un vero e proprio

fenomeno di proliferazione che, come abbiamo documentato, ha uno dei suoi epicentri

proprio in quel Mediterraneo Allargato che rappresenta lo snodo strategico degli interessi

nazionali italiani. In quest'ottica, nel Cap.2 abbiamo analizzato nel dettaglio l'attuale

situazione della cantieristica europea e mondiale con un occhio di riguardo alla produzione

dei sottomarini convenzionali. Ne è emerso un quadro in cui i soggetti di riferimento sono

essenzialmente tre: tedesco, francese e russo. Sono questi che ad oggi detengono il know

7

how tecnologico nel settore e dominano il mercato dell'export, anche se di recente altri attori

quali la Cina (la cui produzione è mossa però per la gran parte dalle esigenze del mercato

interno) e la Corea del Sud stanno iniziando ad affacciarvisi. Il mercato, tuttavia, resta molto

rigido, di natura sostanzialmente oligopolistica, ed allo stato attuale difficilmente penetrabile

da parte di nuovi attori.

Gli altri due capitoli del presente lavoro, invece, sono dedicati interamente all'Italia. Nel

Cap.3, si affrontano in dettaglio la struttura e le caratteristiche della cantieristica italiana, e

le sue capacità nel campo della produzione di sottomarini. Si parte, pertanto, dallo studio

dei progetti nazionali Toti e Sauro per finire al progetto in cooperazione internazionale U-

212A. Quest'ultimo viene analizzato maggiormente nel dettaglio evidenziandone le

peculiarità che lo rendono il sottomarino convenzionale oggi più avanzato al mondo.

La ricerca si chiude con il Cap.4 che abbiamo deciso di suddividere sostanzialmente in due

parti. La prima parte riguarda le potenziali esigenze che per una Marina come quella italiana

derivano dall’operare nei nuovi scenari, nonchè i più avanzati sviluppi e le tendenze

tecnologiche che dovrebbero essere seguiti per implementare in maniera corretta

un'eventuale strategia per l'acquisizione di nuovi sottomarini.

E proprio a questo secondo aspetto, la strategia, è dedicata la seconda ed ultima parte del

Cap.4. In particolare, qui abbiamo preso in considerazione l'eredità in termini operativi e

industriali del programma U-212A mettendo a confronto benefici e costi di due diverse

opzioni. La prima, relativa allo sviluppo di un programma per l'acquisizione di un nuovo

sottomarino interamente nazionale. La seconda, riguardante, invece, l'ipotesi della

prosecuzione della cooperazione internazionale mantenendo come base il disegno U-212.

La nostra conclusione è che l’ipotesi da seguire dovrebbe essere la seconda, in quanto più

realistica e affidabile, oltre che meno rischiosa, tenendo, però, conto dell’apporto che a

questa potrebbe offrire l’industria nazionale sulla base delle proprie tecnologie

maggiormente promettenti e competitive. In tal senso ciò che proponiamo è una strategia di

“italianizzazione” di un progetto internazionale, sorretta da investimenti mirati, orientati non

tanto alle esigenze dell’industria nazionale quanto piuttosto a quei settori dove potrebbe

esserci un ritorno da far valere arche sul mercato dell’export e nell’ambito di quella

cooperazione internazionale di cui sopra.

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Abstract

Over the last years the submarine has once again become topical. After the end of the Cold

War, with the downsizing of the Russian-Soviet threat, and the unchallenged American

superiority over the rest of the world, the submarine seemed to have been relegated to minor

or secondary roles - and with it everything was anti-submarine operations – as a legacy of

the US-USSR confrontation age when the key scenarios were conventionals. Even if in the

asymmetric conflicts the mini-submarine threat was present and addressed it was however

something of secondary importance linked to contexts where the main threat at sea was

represented mostly by mines and fast inshore patrol vessels. The attention of the Armed

Forces and procurement agencies was mainly focused on the acquisition of highly protected

ground systems – remember, for instance, the fast race to the Mine Resistant Ambush

Protected (MRAP) vehicles in the first decade of the 2000s - on the Air Power - the absolute

weapon capable of solving each conflict according to its most radical supporters - and, as

far as the maritime dimension is concerned, on the acquisition of small multirole vessels

able to "clean up" coastal and brown areas "(the Littoral Combat Ship program, soon

transformed into a sort of calvary for the US Navy).

However, as we have seen in the Chapter 1 of this work, the scenarios, starting from the

final part of the first decade of the 2000s, have again come to a turning point. Russia has

recovered part of its previous status and has returned on the international scene with

renewed strong military posture, China has become an increasingly important actor both in

economic and political-military terms, new regional powers have emerged and terrorism has

increased its relevance and intensity of its actions. In addition, in the so called Wider

Mediterranean, we has witnessed that extraordinary transformation known as the Arab

Spring which has disrupted a long-established balance which a country like Italy showed to

appreciate very much. So there was a very fast transition from purely asymmetric scenarios

to new forms of hybrid conflict with strong conventional elements.

In this context, the submarine has come back to the fore, thanks to its natural characteristics

of flexibility and stealthness, spreading a real proliferation process which, as we have

documented, has one of its focus on that enlarged Mediterranean which represents the

strategic juncture of the Italian national interests.

From this perspective, in Chpater 2, we have examined in detail the current situation of the

European and world shipbuilding industry with a particular view to the production of

conventional submarines. In this field the key players are essentially three: Germany, France

and Russia. They hold the technological know-how and dominate the export market,

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although other actors such as China (whose production is largely driven by the needs of the

internal market) and South Korea have recently gained new room. The market, however,

remains very rigid, substantially oligopolistic in nature, and at present difficult to penetrate

by new players.

The other two chapters of this work are entirely about Italy. In Chapter 3, we discuss in detail

the structure and characteristics of Italian shipbuilding industry, and its capabilities in the

field of submarine production. So we consider Toti and Sauro national projects and U-212A

international cooperation project. The latter is analysed more in detail by highlighting the

peculiarities that today make it the most advanced conventional submarine in the world.

The research ends with Chapter 4 that we have decided to subdivide essentially into two

parts. The first part deals with the potential operational needs arising from new scenarios

and to be addressed by the Italian Navy, as well as the most advanced developments and

technological trends that should be followed to properly implement a tentative strategy for

procuring new submarines.

The second and last part of the Chapter 4 precisely concern that topic: the strategy.

In particular, we have taken into account the operational and industrial legacy of the U-212A

program by comparing benefits and costs of two different options. The first one regards the

development of a program to procure a fully national submarine. The second one, on the

contrary, suggests the continuation of the international cooperation while maintaining the U-

212 design. Our conclusion is that the option to be pursued should be the second one, as

more realistic and reliable, as well as less risky, but taking into account the contribution that

national industry could offer on the basis of its more promising and competitive technologies.

Accordingly what we propose is a strategy of "Italianization" of an international project,

supported by targeted investments, focused not so much on the needs of the national

industry but rather on those sectors where there could be a return to be also made available

on the export market and within that aforementioned international cooperation.

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1. L'evoluzione dello scenario e la proliferazione di sottomarini

1.1 La geometria variabile come dimensione fondante dell’attuale scenario internazionale

Lo scenario internazionale sta subendo un processo di profonda trasformazione.

Il crollo dell’URSS e la fine della Guerra Fredda, con tutti mutamenti (di cui parleremo in

questo capitolo nel dettaglio) succedutisi dopo di allora, hanno lasciato il posto ad un assetto

tuttora di difficile definizione. Nel primo quindicennio dopo “l’89” si poteva tranquillamente

parlare di sistema unipolare-egemonico con unica super-potenza, o iper-potenza, in grado

di incidere in profondità sull’assetto generale e su tutti gli scacchieri. Tuttavia, a partire dalla

seconda metà del primo decennio del nuovo millennio, questa egemonia piena e indiscussa

si è via, via appannata. Certo, un attore molto più forte e potente degli altri indubbiamente

c’è ancora, gli Stati Uniti, ma la sua egemonia non sembra però essere più solida e

incontestata come in precedenza. Il continuo impegno bellico nei teatri simbolizzato dagli

oltre 150 miliardi di dollari l’anno spesi ininterrottamente per 10 anni per finanziare le

operazioni all’estero, soprattutto in Iraq e Afghanistan, unitamente alla crisi economica, che

ha costretto Washington a pesanti tagli al bilancio federale, hanno usurato l’America, e con

essa alcuni degli alleati più fidati, a cominciare dal Regno Unito. In particolare, gli Stati Uniti

sono stati costretti a ricorrere al Budget Control Act del 2011, promulgato per riportare sotto

controllo l’enorme deficit federale, cresciuto ulteriormente sotto la spinta dell’esigenza di

finanziare la guerra globale al terrorismo, ed alla cosiddetta sequestration che ha imposto a

tutte le agenzie federali, Pentagono compreso, tagli lineari di spesa. Di fatto, la politica di

difesa e sicurezza americana si è dovuta confrontare con questo vincolo per almeno 5 anni,

con pesanti ripercussioni sia sulla prontezza che sull’ammodernamento dello strumento

militare, mentre un’inversione di tendenza si è registrata solo con l’ultimo bilancio della

Difesa di Obama e, ancor di più, con il primo bilancio di Trump. Il Regno Unito, dal canto

suo, ha dovuto tagliare in maniera significativa gli organici del British Army ed alcuni

importanti programmi di procurment, rivedendone radicalmente altri ancora, e per un

decennio ha perso lo strumento della portaerei. Un fatto senza precedenti, manifestatosi in

tutta evidenza durante la Guerra di Libia del 2011, che ha reso la Royal Navy, la vecchia

regina dei mari, priva della capacità di proiezione per eccellenza.

Oggi siamo, pertanto, di fronte ad un sistema internazionale dove il potere si va

ridistribuendo tra diversi attori: potenze ri/emergenti, soggetti non statuali transnazionali

come organizzazioni terroristiche e criminali e così via.

In pratica il sistema si sta lentamente riequilibrando e il quadro egemonico incrinando.

11

Da un lato, come si diceva, è vistoso l’emergere, o il riemergere, di nuove e vecchie potenze

– Cina e Russia – sempre più disponibili a far sentire il loro peso politico nella concertazione

con gli USA sul piano sia dei dossier regionali sia della governance del sistema nel suo

complesso. La Cina, grazie ad una travolgente crescita economica che ha permesso negli

ultimi anni di superare la soglia dei 100 miliardi di dollari in termini di spese militari (il

secondo budget della Difesa dopo quello del Pentagono), ha avviato nell’ultimo quindicennio

un massiccio programma di ammodernamento delle Forze Armate che, pur non avendo

trascurato in linea di principio nessun settore, ha riguardato soprattutto il comparto

strategico-missilistico, aeronautico e navale. In 15 anni, Pechino ha compiuto progressi

notevoli, mentre il comparto industriale è andato accentuando la sua indipendenza rispetto

alla tradizionale assistenza russa (anche se ad oggi permangono alcuni settori dove questa

continua ad essere indispensabile: motoristica aeronautica, elettronica, ecc.). La Russia,

invece, recuperato negli ultimi anni sotto la leadership di Vladimir Putin parte dello status

perduto, ha mostrato una significativa propensione all’uso della forza per la tutela di interessi

strategici, collocati sia nel cosiddetto “estero vicino”, Crimea e Donbass, sia ben oltre, come

nel caso dell’intervento in Siria1, ed è tornata al centro della scena, soprattutto nel

Mediterraneo cosiddetto Allargato2.

Accanto a Cina e Russia, poi, vi sono alcune medie potenze delle quali si possono

individuare almeno tre categorie: le potenze alleate degli USA, mediante rapporti bilaterali

o alleanze politico-militari a carattere regionale quali la NATO3, le potenze legate agli Stati

Uniti da rapporti di partnership (come, per esempio, l’India, che intrattiene una partnership

analoga pure con la Russia in nome della diversificazione e dell’autonomia nazionale), e,

infine, le potenze ostili agli Stati Uniti che, percependo un indebolimento del controllo da

parte di Washington soprattutto su alcune periferie del sistema, tentano di mutare gli assetti

regionali – imposti precedentemente sulla base della garanzia politico-militare americana -

a proprio vantaggio. E’ il caso, quest’ultimo, dell’Iran, che ha approfittato del disimpegno

americano dal Medio Oriente, più o meno reale, per estendere la propria sfera d’influenza

senza soluzione di continuità dall’Iraq, al Libano passando per la Siria: un continuum

strategico che il nemico regionale, l’Arabia Saudita, ha provato invano a rompere e che in

parte spiega anche la nascita e l’affermazione dell’ISIS.

1 Tale propensione, guidata da una chiara visione di politica estera e da solidi fondamentali strategici, ha

a sua volta innescato una serie di razioni a catena nel campo occidentale culminate con l’adozione del Readiness Action Plan della NATO e dell’European Reassurance Initiative da parte degli Americani.

2 Il concetto geopolitico di Mediterraneo Allargato comprende, oltre che il Mediterraneo in senso stretto, il Mar Nero, il Mar Rosso e l’Oceano Indiano Occidentale, il Golfo Persico, e, se vogliamo, anche il Golfo di Guinea.

3 Ci riferiamo in particolare a Regno Unito e Francia o, fuori dal circuito NATO, da Australia e Giappone.

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Oppure potremmo citare la Corea del Nord che, grazie al proprio arsenale balistico e non

convenzionale-nucleare, è in grado di tenere in scacco la comunità internazionale e di

minacciare i vicini per ricavarne benefici economici e politici, ma anche di status4.

Dall’altro lato, invece, ci sono i grandi gruppi terroristici o criminali quali ISIS, Al Qaeda

o derivati. Si tratta di soggetti che, in virtù di cospicue risorse, sono comunque molto

importanti ed in grado di incidere sul quadro internazionale, sfruttando anche il processo di

sgretolamento di alcune realtà statuali in in tutto il Medio Oriente ed oltre. Basti pensare, per

non dilungarsi troppo, al ruolo giocato dallo Stato Islamico negli ultimi anni - alla minaccia

che esso ha rappresentato ed alle ingenti risorse che ha costretto a mobilitare per

combatterlo – od all’influenza che la stessa Al Qaeda si è progressivamente guadagnata

all’interno del conflitto civile siriano ed in altre aree quali il Sahel e lo Yemen.

Nel sistema a geometria variabile che abbiamo appena esaminato, la modalità più

consueta di scarico della conflittualità è quella asimmetrica. Le ragioni sono del resto

evidenti e rimandano alle differenze di potere e agli squilibri in gioco tra i diversi attori.

Tuttavia, negli ultimi anni si stanno affermando sempre di più nuovi anche scenari di tipo

ibrido. E’ il caso del Donbass, in parte della Siria, e così via. Ma tali scenari potrebbero

manifestarsi un domani in maniera ancor più significativa in Iran, piuttosto che nella Penisola

coreana o nel Mediterraneo.

1.2 Conflitti ibridi

Ai fini della presente ricerca è utile soffermarsi un attimo sul significato e sulle

caratteristiche dei conflitti ibridi. In linea di principio un conflitto di tipo ibrido è un conflitto in

cui elementi tipicamente convenzionali si mescolano con elementi non convenzionali ed

asimmetrici nell'ambito delle stesso teatro, ma soprattutto, dello stesso tempo operativo.

In questi contesti la minaccia assume un'ampia variabilità in termini di sofisticazione: da

minacce più soft quali attentati suicidi, attacchi mordi e fuggi o attacchi

informatici/cibernetici, a minacce convenzionali classiche quali impiego di mezzi pesanti ed

artiglieria, uso di sistemi antiaerei a guida radar, batterie di missili antinave, ecc. Nel caso

dell’impiego dei summenzionati sistemi convenzionali, non si tratta di un impiego per così

dire estemporaneo o occasionale, ma di un impiego massiccio, sistematico e continuativo

da parte di personale con preparazione militare, o quasi-militare.

4 Uno degli obbiettivi del programma nucleare di Pyongyang è, per l’appunto, anche quello di ricercare un

riconoscimento di status da parte della comunità internazionale.

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In definitiva, un conflitto ibrido si ha quando un gruppo irregolare ha risorse e potere

talmente ampi da potersi permettere d’impiegare anche sistemi convenzionali su larga

scala. E’ il caso del conflitto combattuto contro l’ISIS nel cosiddetto Siraq, per esempio,

considerando che tale organizzazione, sfruttando le circostanze, in parte accennate in

precedenza, e approfittando del collasso di parte dello Stato iracheno e siriano, aveva preso

il controllo di ampi territori, di ingenti quantitativi di armi, di risorse energetiche e quant’altro.

Molto più comunemente, invece, è uno Stato che decide per ragioni di opportunità politica

di non operare in maniera palese, ma di agire indirettamente attraverso un proxi locale ed

un combinato molto ampio di strumenti per ottenere i suoi obbiettivi politici, territoriali,

economici, ecc. Tra questi strumenti troviamo attività d’intelligence, uso di forze speciali,

contractors o “volontari”, information warfare (guerra elettronica e cibernetica),

manipolazione e disinformazione. Questa seconda tipologia di conflitto ibrido dipenderà,

pertanto, dal livello di coinvolgimento, in termini di risorse materiali e simboliche, da parte

dello Stato “patrono” in questione, dall’ampiezza dei suoi obbiettivi a carattere politico-

economico e/ territoriale, e dal grado di autonomia del suo o dei suoi clienti locali.

Negli ultimi tempi il caso di scuola è rappresentato dal conflitto in Ucraina che, dietro

la facciata dei ribelli del Donbass, il proxi, nasconde in realtà l'azione russa volta a

conseguire alcuni obbiettivi precisi a carattere squisitamente politico e territoriale: la

creazione di un “cuscinetto” verso l’Occidente ed il contenimento delle aspirazioni ucraine

ad un ingresso nella NATO5. Il conflitto può essere suddiviso in 2 fasi: una prima fase, sino

grosso modo all’estate 2014, con un basso coinvolgimento da parte della Russia, ed una

seconda fase successiva (innescata dall’avanzata governativa e dal timore di “perdere”

Donetsk), con un coinvolgimento più ampio e sistematico da parte di Mosca (che ha salvato

e puntellato i due satelliti di Donetsk e Lugansk). Del resto la stessa Russia ormai da qualche

anno sta teorizzando apertamente, grazie alla riflessione dell'attuale Capo di Stato Maggiore

delle Forze Armate, Generale Valery Gerasimov, l'uso della conflittualità ibrida e non lineare.

Nell'ambito di questa nuova teorizzazione si afferma che il ruolo degli strumenti non-militari

nel conseguimento di obiettivi politici è cresciuto superando in molti casi il potere ed il peso

delle armi. Con il termine strumenti non militari si intende come già osservato l'impiego di

gruppi armati che agiscono come proxi, l’uso di gruppi politici/quinte colonne per alimentare

il caos in altri stati, l’impiego massiccio di forze speciali e unità dell'intelligence per

l'attuazione di azioni covert e di sabotaggio, l'uso di “volontari” e poi, ancora, il sistematico

5 Uno spartito simile si era visto nel 2008 anche in Georgia, ma allora ci fu anche l'intervento diretto di

Mosca.

14

utilizzo di strumenti di cyber warfare per limitare e colpire il potere economico ed il sistema

mediatico e di comunicazione dell'avversario.

Questo nuovo pensiero strategico lo si è visto applicato in maniera esemplare in

Crimea, prima, e poi, come in parte già discusso, nel Donbass. Nel primo caso una serie di

rapide operazioni in tutti gli ambiti summenzionati ha permesso di isolare e bloccare le

truppe ucraine nelle loro basi militari e sottoporle a pressione mediante guerra informativa,

psicologica ed elettronica in modo da piegarne la volontà convincendole ad evitare l’uso

delle armi. L'attacco informativo-mediatico, che faceva leva anche sul fatto che il 60% della

popolazione della Crimea è di etnia russa, è stato accompagnato da un efficace impiego di

azioni coperte e camuffamento ad opera di forze speciali e personale del leggendario GRU

(l’intelligence militare), elementi comparsi improvvisamente sulla scena sotto le vesti dei

cosiddetti “omini versi”. Il tutto ha alla fine portato all'annessione della Crimea senza

neanche lo sparo di un colpo.

Questo schema è stato poi trasferito nel Donbass su scala ancor maggiore. In questo

caso è stata attuata prima una campagna per stabilire un contesto politico favorevole

facendo leva sulle minoranze russofone della regione e creando fronti politici ad hoc.

Un’azione capillare e sistematica di “fertilizzazione”, portata avanti da agenti di influenza o

direttamente da membri dell’intelligence, e che mirava anche ad instillare nella popolazione

locale la paura dei “fascisti di Kiev” con la loro aspirazione a fare tabula rasa dell’identità e

delle peculiarità di queste zone. Il passo successivo è stata la nascita dei primi gruppi armati

ed il conseguente afflusso di rifornimenti in termini di supporto logistico e addestrativo,

trasferimento di armi moderne, ecc. Ben presto, i “semplici” rifornimenti sono stati

accompagnati dal supporto di personale combattente sotto forma di volontari e truppe

regolari senza insegne distintive, appartenenti agli Spetsnaz delle VDV (le forze

aerotrapostate russe) e del GRU. Queste unità hanno agito sia come consiglieri per

inquadrare le unità del proxi sia come veri e propri moltiplicatori fornendo capacità “pregiate”

sul campo – intelligence, comunicazione, guerra elettronica, ecc. - o conducendo azioni

dirette – sabotaggi, eliminazioni, ecc.

15

1.3 Il Mediterraneo Allargato dopo la Primavera Araba

A partire dal 2011 la cosiddetta Primavera Araba ha profondamente mutato gli equilibri

in Medio Oriente ed in Nordafrica ed un assetto consolidatosi nel tempo e su cui la gran

parte degli attori principali, a cominciare dall’Italia, erano ormai abituati a commisurare le

proprie aspettative. Si trattava di un assetto basato su stati e leadership sostanzialmente

laiche – ancorché monolitiche e monopoliste in termini di gestione del potere – capaci di

garantire la stabilità usando non solo la repressione, come comunemente si ritiene, ma

anche la negoziazione con interessi locali di vario tipo e natura che caratterizzano società

complesse e particolari come queste.

La Primavera Araba, incentivata, ma non guidata, dall’Amministrazione Obama6, ha

fatto saltare completamente questo schema, ma l’esito non è stato quello voluto

dall’Occidente, ovvero l’affermazione delle forze democratiche e progressiste. Anzi, alla fine

dei conti, il vero vincitore della Primavera Araba è stata quella Fratellanza Musulmana che,

dopo anni di sostanziale repressione e ghettizzazione, si è ritrovata in varie forme al potere

in Tunisia, Egitto (fino all’ascesa del Generale Al Sissi) e Libia, forte anche del sostegno

ricevuto da Turchia e Qatar, diventando anche uno degli attori più importanti del conflitto

siriano. In pratica, ad affermarsi dopo il 2011 in tutto il Mediterraneo Allargato è stato un

movimento a carattere conservatore con diversi tratti in comune, nonché alle volte con i

medesimi soggetti intellettuali7 di riferimento, con le organizzazioni fondamentaliste e

jihadiste. Più in generale, la transizione dalle vecchie élite mediorientali e nordafricane a

quelle nuove si è rivelata molto problematica. In parte, a causa del mancato guida/supporto

da parte di Americani ed Europei, che ben presto si sono defilati anche a causa della crisi

economica che ne ha ridotto i margini di azione ed intervento, ed in parte a causa della

frammentazione etno-tribale e religiosa di questi contesti, con la faglia sunniti-sciiti al centro

di ogni dinamica, ma anche con le rivalità tutte interne al mondo sunnita tra la linea

legittimista incarnata dalla casa dei Saud e quella elettoralista-popolare della stessa

Fratellanza Musulmana. Senza poter entrare nel dettaglio dei singoli percorsi di transizione

è possibile discernere 3 esiti principali della Primavera Araba.

6 Uno dei primi tratti di politica estera dell’Amministrazione Obama è stata la campagna di comunicazione

strategica intrapresa dal Presidente, nel contesto interno e soprattutto all’estero, per riabilitare l’immagine degli Stati Uniti in particolare agli occhi del mondo musulmano. Il discorso all'Università Al Azar del Cairo del giugno 2009 è stato il maggiore esempio di questa campagna comunicativa rivolta non solo ai governi ma anche alle opinioni pubbliche dei paesi mediorientali e segnata dal messaggio che Stati Uniti ed Islam non sono in competizione, ma che anzi condividono principi comuni. In molti ritengono questo discorso come una delle scintille capace di innescare l’incendio della Primavera Araba.

7 Si pensi all’influenza che su Bin Laden e Al Qaeda ha avuto il pensiero di Said Qutb, uno degli ideologi della Fratellanza Musulmana.

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Il primo è quello quella della lenta transizione democratica, traiettoria su cui si sono

incamminati Paesi quali il Marocco e la Tunisia. Il secondo esito è stato quello egiziano con

l'ascesa e la caduta dei "Fratelli" e la successiva restaurazione di un sistema autoritario con

un forte ruolo giocato dall’Esercito. Infine, il terzo esito è stato quello della guerra civile e del

fallimento dello Stato come in Siria, Iraq, Yemen e Libia. In aggiunta a questa tripartizione,

che rappresenta necessariamente una semplificazione, gli esiti di cui sopra sono stati

accompagnati dall'affermazione di mafie e realtà criminali, come quelle libiche, che

controllano e regolano a piacimento i flussi dell’immigrazione clandestina e illegale; di realtà

terroristiche quali ISIS, Al Qaeda e diramazioni varie; e così via

A voler essere più precisi questi fenomeni si presentano quasi fossero diverse facce

di una stessa medaglia. Per cui abbiamo realtà terroristiche, ma criminali allo stesso tempo,

che sono capaci di contendere al governo centrale il monopolio legittimo della forza e di

controllare flussi e contrabbandi di vario genere. Il caso più eclatante è quello della Libia

dove oggi siamo di fronte ad una situazione nella quale esistono tre governi e decine di

milizie che più o meno scopertamente condizionano i summenzionati governi. Ma queste

stesse milizie sono a loro volta espressione di tribù o interessi a carattere squisitamente

locale. Per esempio, a Tripoli il Consiglio Presidenziale di Serraj, riconosciuto dalla comunità

internazionale come unico governo libico, è in realtà ostaggio di una “cupola” cittadina retta

dal “quadrumvirato” formato da Haithem Al Tajouri, Abdul Rauf Kara, Abdul Ghani Al-Kikli,

detto Ghneiwa, e Hashm Bishr del “mandamento” di Abu Salim. Di fatto, questi soggetti,

oltre a diversi traffici, hanno in mano pure la stessa sopravvivenza del Consiglio

Presidenziale e ne condizionano le scelte offrendogli “protezione”. Nella stessa Libia, ci

sono poi il santuario di Derna, ancora controllato da elementi qaedisti alleati con islamisti

locali, milizie a carattere cittadino, come quelle di Misurata o Zintan, o Bani Walid, ed il

Fezzan attraversato da traffici di ogni genere. Lo stesso Egitto deve continuamente fare i

conti con la cronica instabilità del Sinai - dove la locale diramazione dello Stato Islamico è

ben radicata – per non parlare, poi, della situazione di insicurezza in cui versano ancora

alcune aree della Tunisia, soprattutto nella parte sudoccidentale, e delle incertezze legate

al dopo-Bouteflika in Algeria.

Il Mediterraneo, pertanto, in questi 6 anni è diventato un luogo straordinariamente

insicuro e dinamico dove, già a partire dal 2007-2008, si era andato delineando pure un altro

fatto strategico di rilievo, ovvero il disimpegno americano dovuto allo spostamento del

baricentro dell’attenzione politico-militare di Washington verso l’Asia. Si è trattato di un fatto

di straordinaria importanza che in parte ha inciso anche su quei fenomeni di cui stiamo

parlando, e che si è manifestato in tutta evidenza con la Guerra di Libia del 2011 nella quale

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gli Stati Uniti hanno giocato un ruolo, ancorché fondamentale, solo nelle fasi iniziali per poi

lasciare il campo e la “palla” agli Europei (con il risultato di un intervento militare durato oltre

6 mesi). In quell’occasione destò molta impressione vedere che nelle operazioni non era

coinvolta nessuna delle portaerei dell’US Navy, da sempre il simbolo della capacità di

proiezione americana e protagoniste in tutti i conflitti del primo decennio degli anni duemila.

dall’Afghanistan, all’Iraq. Questa politica, delineatasi, appunto, già durante la fase finale

dell’Amministrazione Bush, è poi proseguita sotto l’Amministrazione Obama. Quest'ultima

ha per prima cosa posto fine alla guerra in Iraq, che così tante risorse economiche ed umane

aveva “macinato” dal 2003 al 2009 fallendo sostanzialmente il suo obbiettivo di “restyling

del Medio Oriente” - anzi, scatenando ulteriore instabilità – ed ha lanciato la nuova strategia

“Sustaining Global Leadership: Priorities for 21sth Century Defense”, ufficializzata nel

gennaio 2012, che ha sancito definitivamente lo spostamento del baricentro strategico

americano dal quadrante europeo al teatro Asia-Pacifico con il cosiddetto pivot.

Nel documento è stato formalizzato il rafforzamento delle partnership con i principali alleati

locali e della presenza militare americana nella regione, ed è stata abbandonata la dottrina

delle “two major theater war”8. Tale dottrina ha lasciato il posto ad una più prudente

impostazione secondo la quale gli USA avrebbero dovuto essere in grado di affrontare

simultaneamente una guerra di teatro maggiore ed una crisi limitata nello spazio e nel tempo

in un altro settore. In pochi anni, pertanto, gli Stati Uniti hanno rivisto alcune loro ambizioni

concentrandosi maggiormente sul teatro Asia-Pacifico dove sono stati spostati diversi

assetti militari, soprattutto aerei e navali, togliendoli al teatro europeo e mediterraneo. Nel

fare questo, Washington ha veicolato pertanto il messaggio di un minore interesse verso ciò

che accadeva nel Mediterraneo o, quanto meno, nei salienti ad ovest di Suez.

Questo riorientamento ha creato una nuova situazione strategica – a cavallo tra un

vuoto effettivo e la sua “semplice” percezione - che altri hanno cercato in qualche modo di

manipolare a proprio vantaggio. In parte lo hanno fatto i Paesi europei, che come abbiamo

visto si erano già assunti in proprio buona parte dell’onere della Guerra di Libia del 2011,

ma proprio sulla Libia le loro politiche sono fallite con la mancata stabilizzazione del Paese.

Il successivo tentativo di arginare le conseguenze di quella sciagurata guerra, a cominciare

dalla dirompente ondata migratoria, ha mostrato tutta la debolezza dei Paesi europei presi

singolarmente.

8 Dottrina che prevedeva la necessità per gli USA di sostenere contemporaneamente due guerre di teatro

maggiori.

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Qualcosa è cambiato solo nell’ultimo anno con il rafforzamento del profilo

dell’Operazione Sophia e con il lancio del cosiddetto Valletta Action Plan che prevede un

approccio più integrato per combattere il fenomeno dell'immigrazione tramite il

coinvolgimento della stessa Libia e dei Paesi vicini, la creazione di strutture di accoglienza

e trattamento dei migranti direttamente in territorio libico, l'incremento di 200 milioni di euro

dell’EU Trust Fund for Africa per coprire i bisogni più urgenti del 2017, ecc. L’Italia, che si è

ritrovata in prima fila nel fronteggiare una crisi senza precedenti, ha dovuto fare di necessità

virtù agendo sia sul piano bilaterale – favorendo prima la nascita del Governo Serraj in Libia

e poi formalizzando con questo una serie di accordi per il controllo dei flussi migratori – sia

su quello internazionale premendo sulle istituzioni europee e NATO per ottenerne un più

ampio coinvolgimento nei dossier libico e mediterraneo in generale.

Detto questo, non dobbiamo dimenticare il ruolo sempre più importante che nel

Mediterraneo, soprattutto nella sua accezione di Mediterraneo Allargato, stanno esercitando

Russia e Cina.

Mosca in tal senso non si è fatta sfuggire l’occasione per manipolare a proprio

vantaggio le dinamiche in corso per re/inserirsi in un contesto che rappresenta quel “mare

caldo” la cui accessibilità è stata tradizionalmente una delle stelle polari della politica estera

e di sicurezza russa.

In particolare, la Russia ha sfruttato dapprima l’annessione della Crimea per ri/attivare

in grande stile la Flotta del Mar Nero e poi la guerra civile in Siria per intervenire a sostegno

di Assad e completare così il disegno di ri/costituzione della propria presenza militare-navale

in tutto il Mediterraneo ed oltre. Nel primo caso, il processo di rinnovamento e rafforzamento

della Flotta del Mar Nero è stato poi accompagnato dal massiccio schieramento nella

Penisola di Crimea di batterie di missili antinave e sistemi di difesa antiaerea a lungo raggio

S-300 ed S-400 in modo tale da creare su tutta l’area del Mar Nero e su parte dell’Europa

Orientale una vera e propria bolla A2/AD (analoga a quella di Kaliningrad ed a quella

costituita successivamente in Siria). Riguardo alla “nuova” Flotta del Mar Nero”, la “Dottrina

Navale della Federazione Russa 2015-2020”, prevede l’immissione in servizio di 30 nuove

navi – tra cui 5-6 fregate (2-3 classe Gorshkov, tra 2024 e 2025, e tre classe Grigorovich,

due delle quali già presenti a Sebastopoli), 6 sottomarini classe Project 636.3 classe

Varshavyanka (tutti consegnati e operativi come vedremo più avanti) ed una coppia di navi

anfibie classe Ivan Gren, oltre a corvette e naviglio ausiliario e di supporto - e il

miglioramento/creazione di infrastrutture navali su tutta la Penisola di Crimea entro il 2020,

con un costo totale previsto di 2,43 miliardi di dollari. Ad oggi, una parte di questo piano è

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già stata implementata e la componente navale russa presente nel Mar Nero è costituita da

oltre 40 navi e 7 sottomarini (i sei Varshavyanka più un Projekt 877 Kilo).

Per quanto riguarda la Siria, invece, ben presto l’intervento russo è andato al di là dello

scopo di sostenere Assad ed ha creato i presupposti per la creazione di una presenza

permanente nel Paese. In realtà già dal 2013, prima quindi dell’annessione della Crimea e

dell’avvio delle operazioni militari russe in Siria, le unità della Marina Russa appartenenti

alla Flotta del Mar Nero (ma non solo) avevano notevolmente incrementato la propria

presenza nel Mediterraneo. Nel marzo 2013 fu poi istituito il Gruppo Permanente per il

Mediterraneo come costola della Flotta del Mar Nero, ovvero fu ricreata di fatto la Task

Force del Mediterraneo, erede della Quinta Squadra, mentre l’anno dopo, a febbraio, poco

prima, dunque, dello scoppio del conflitto in Donbass, Mosca annunciò l’intenzione di

rafforzare la ricostituenda task force con almeno un sottomarino classe Varshavyanka e un

paio di corvette lanciamissili classe Buyan-M, armati entrambi, sia il Varshavyanka che le

Buyan-M, con missili da crociera land-attack a lungo raggio Kalibr. Questi ultimi

rappresentano un contraltare russo dell’americano Tomahawk ed hanno fatto il loro esordio,

suscitando vasta eco e clamore in Occidente, proprio durante le operazioni in Siria,

marcando la prima volta che un Paese fuori dall’Occidente ha impegnato in un conflitto

ordigni di tipo strategico come questi9. Sulla stessa lunghezza d’onda, nel 2015 la Russia

ha stipulato un accordo con i governi cipriota, egiziano e libico (quello di Tobruk) per l’utilizzo

delle loro acque territoriali e delle loro basi navali.

Il conflitto siriano e il conseguente allargamento/miglioramento delle infrastrutture

militari di Tartus e Jableh (che si aggiungono a quanto già presente nel Caucaso e nel Mar

Nero) hanno fatto il resto permettendo a Mosca di ricreare le condizioni per una presenza

duratura ed un accesso regolare e permanente delle proprie forze militari al Mediterraneo

ed al Medio Oriente – esattamente come avveniva durante la Guerra Fredda con l’Eskadra

9 Il Kalibr è disponibile in 2 varianti: la 3M-14T per il lancio da sottomarini e la variante 3M-14K per il lancio

da unità di superficie. La prima è più corta – 6,2 m – per essere lanciata dai tubi lanciasiluri standard da 533 mm dei battelli. La seconda variante è, invece, più lunga e misura 8,9 m ed è lanciata dai moduli universali a celle verticali UKSK. Per il resto le caratteristiche del missile sono pressoché le stesse. Il Kalibr è un missile da crociera land attack subsonico bistadio – a differenza della variante antinave che è tristadio e supersonica nella fase terminale per superare le difese delle imbarcazioni nemiche – e sfrutta per la fase di lancio e spinta un booster a propellente solido che ha capacità TVC nella variante navale ed è invece "convenzionale" per la variante lanciabile da sottomarini. La crociera e l'attacco, invece, sono sostenute da un turbogetto compatto. La guida del missile associa un sistema satellitare/inerziale per la fase di crociera, assistito da un altimetro barometrico, ad un homing radar attivo. Su quest'ultimo non ci sono grandi certezze. L'unica cosa nota è che il seeker radar è l'ARG-14E, realizzato dall'azienda Radar MMS, che si attiva ad una ventina di chilometri dal bersaglio per condurre con precisione l'ordigno su di esso. L'antenna ha una capacità di inclinazione di +- 45° in azimuth e di -10°/+20° in elevazione. Presumibilmente si tratta di un seeker in banda Ka o ad onda millimetrica capace, dunque, di "vedere" un bersaglio terrestre escludendo il clutter del terreno circostante. La testata ha un peso di 450 kg

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Mediterranea che operava dalla base di Tartus e da quella di Alessandria. Il 20 gennaio

2017, infine, Mosca ha firmato un accordo a lungo termine con il regime di Assad per

un’ulteriore espansione delle basi di Jableh e Tartus.

L’allargamento delle infrastrutture presenti nelle due basi garantirà un incremento

permanente della presenza russa nella regione ed un corrispondente aumento delle

capacità A2/AD nell’area del Mediterraneo Orientale. Nello specifico, l’accordo prevede un

“leasing” di 49 anni - con potenziale rinnovo automatico alla scadenza per ulteriori 25 anni

– delle due basi ed un loro rafforzamento. In particolare, Tartus verrà modificata per essere

in grado di accogliere 10/12 navi, rispetto alle attuali 5/6, incluse unità a propulsione

nucleare e di grandi dimensioni (portaerei), e dotata di strutture manutentive per permettere

interventi/riparazioni su tali navi, oltre che di un’adeguata struttura di comando e controllo,

fondamentale per il coordinamento e la gestione delle operazioni.

Venendo alla Cina, questa è sì geograficamente lontana dal Mediterraneo Allargato,

ma è sempre più interdipendente con la regione nel suo complesso e, di conseguenza,

sempre più interessata alle sue vicende. I numeri, più di ogni altra cosa, dimostrano questo

stretto legame. Il 60% delle esportazioni cinesi verso il continente europeo passa attraverso

il Canale di Suez e dall'inizio del nuovo millennio alla fine del 2015, circa il 56% delle

importazioni annuali di petrolio in Cina ha avuto origine da Medio Oriente e Nord Africa.

Dal dicembre del 2016, l’Arabia Saudita risulta il principale esportatore di petrolio verso

la Cina, scavalcando la Russia, mentre l’Iraq – nonostante le sue vicissitudini interne – è

diventato il terzo con esportazioni che nel 2016 sono cresciute del 15%. Ma altri potenziali

fornitori per la Cina potrebbero presto emergere nella regione, a cominciare dall'Etiopia,

dove le risorse gasifere dell'Ogaden e dell'area di Arbaminch potrebbero far diventare Addis

Abeba il quarto esportatore di gas al mondo, dietro Russia, Iran e Qatar, e dove la Cina ha

da tempo effettuato massicci investimenti mirati allo sviluppo infrastrutturale locale.

In quest'ottica, la direttrice navale che dal Corno d'Africa raggiunge il Mediterraneo,

attraverso Suez, è sempre più strategica per gli interessi cinesi. Pertanto, negli ultimi anni

Pechino ha investito in maniera massiccia per costituire una serie di appoggi lungo quella

che ormai viene chiamata la “via della seta marittima” – parte della più ampia BRI (Belt and

Road Initiative), ovvero dell'ambiziosa politica di proiezione di potenza economica e

industriale verso ovest lanciata dal Governo cinese a partire dal 2013. In Africa Orientale,

l'hub di questa strategia è il Kenya dove il porto di Mombasa ha beneficiato di notevoli

investimenti cinesi nell'ultimo decennio. A fine maggio, inoltre, è stata inaugurata, alla

presenza del Presidente kenyota Uhuru Kenyatta, la nuova linea ferroviaria Nairobi-

Mombasa.

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La linea, costata 3,16 miliardi di dollari, è stata finanziata al 90% dalla banca cinese Exim e

la sua gestione è stata affidata per i prossimi 10 anni alla China Road and Bridge

Corporation. La Nairobi-Mombasa è solo un primo tassello di un più ampio disegno

infrastrutturale che mira a creare un corridoio ferroviario tra Kenya, Uganda, Ruanda e Sud

Sudan favorendo lo sviluppo locale e lo sfruttamento delle risorse energetiche dell'area: da

quelle del Sud Sudan a quella dell'Uganda dove nella parte occidentale del Lago Alberto si

stima la presenza di riserve pari ad 1,7 miliardi di barili di petrolio.

Anche nel Mediterraneo strettamente inteso la Cina sta pian piano acquisendo preziosi

appoggi commerciali. Negli ultimi anni, la COSCO – la più grande società di stato cinese

specializzata in shipping, cantieristica e logistica – ha acquisito il 20% di una joint venture

che controlla il Suez Canal Container Terminal di Port Said - un centro di trasbordo merci

posto all'entrata nord del canale di Suez e dedicato al Mediterraneo orientale – ed il 65%

del Kumport Terminal, il terzo più grande della Turchia, nel porto di Ambarli. Per non parlare,

poi, del porto del Pireo dove la COSCO ha investito oltre 5 miliardi di euro per acquisire il

67 % delle azioni dell’autorità portuale e coprire le spese di ampliamento dei terminal. In

pratica, il Pireo è oggi un porto cinese a tutti gli effetti.

Questa crescete penetrazione economica si è accompagnata anche ad un progressivo

incremento – seppur di basso profilo e sempre entro certi limiti – dell'impegno militare. Certo,

nulla di paragonabile alla presenza militare americana o russa nella regione, ma anche per

Pechino inizia a farsi sentire sempre di più l'esigenza di coniugare proiezione economico-

finanziaria e proiezione militare e di sicurezza.

In questa fase sono state soprattutto le Nazioni Unite a servire come essenziale

vettore multilaterale di tale politica di proiezione e, se un tempo era molto restia a impegnarsi

sul piano internazionale, se non in alcuni frangenti di assoluta emergenza e comunque in

posizione defilata, la Cina pare adesso disponibile a farsi carico di sempre maggiori

responsabilità nella stabilizzazione di determinati contesti. In quest’ottica va letta la

partecipazione alle missioni internazionali anti-pirateria sotto mandato ONU, cui la Marina

Cinese contribuisce senza soluzione di continuità dal 2008, ma, soprattutto, gli impegni in

Sud Sudan ed in Mali. L’anno di svolta è stato il 2012 quando un primo contingente delle

Forze Armate cinesi è stato dispiegato nel Sudan del Sud. Sebbene incaricato soltanto di

proteggere i medici e i genieri militari cinesi già presenti sul terreno, questo primo

schieramento ha aperto la strada a un diverso coinvolgimento cinese nelle missioni di

peacekeeping, ben al di là del mero supporto medico e logistico. L’impegno in Sud Sudan

è stato poi seguito dal dispiegamento di peacekeepers in Mali nell'ambito della missione

dell’ONU MINUSMA (Multidimensional Integrated Stabilisation Mission in Mali), dove quello

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cinese è regolarmente uno dei contingenti più importanti. L’impegno di Pechino in questi

due Paesi non è casuale poiché in entrambi la Cina ha forti interessi economici e

commerciali. Nel Sud Sudan si tratta di risorse petrolifere, localizzate per la gran parte al

confine con il Sudan, mentre la stabilità del Mali è strategica soprattutto per le sue

ripercussioni sulla confinante Algeria dove risiedono quasi 100.000 operai di nazionalità

cinese e dove Pechino ha una stretta cooperazione politico-militare che ha portato di recente

anche alla fornitura di 3 fregate leggere/corvettone C-28A (tutte oggi in servizio).

Il definitivo suggello di questa rimodulazione della politica di proiezione cinese

all’estero si è avuto nel 2015, quando il Presidente Xi Jinping ha dichiarato che la Cina

sarebbe stata pronta a mettere a disposizione una forza di reazione rapida di circa 8.000

soldati, da attivare su richiesta delle Nazioni Unite, e, soprattutto, quando è giunta la

conferma della creazione di una base militare cinese a Gibuti, la prima del genere all’estero.

Si tratta di un base logistica10, inaugurata ad agosto 2017 e che ospita già circa 1.000 soldati

cinesi, che dovrebbe anzitutto fungere da punto d’appoggio per eventuali operazioni di

evacuazione dei tanti cittadini della Repubblica Popolare nell’area e per il supporto delle

navi cinesi impegnate nelle operazioni anti-pirateria nell'Oceano Indiano. Questi numeri

sono destinati a crescere, mentre la base può ospitare navi anfibie come le nuove LPD da

25.000 t Type 071 o addirittura portaerei, e pure aerei da trasporto strategico il-76 e Y-20,

nonchè velivoli da pattugliamento marittimo Y-8X. Questi ultimi hanno un’autonomia di oltre

2.500 km che permetterebbe loro di coprire una vasta area della regione.

10 Costata oltre 600 milioni di dollari e dotata di fortificazioni e protezioni molto robuste.

23

1.4 La proliferazione di sottomarini con un particolare riferimento al Mediterraneo Allargato

La minaccia rappresentata dai sottomarini è oggi è più attuale che mai e sono sempre

di più i Paesi che si stanno dotando di componenti subacquee. E questo perché il

sottomarino si presta ad essere impiegato al meglio in quei contesti litoranei e nell’ambito di

quelle strategie A2/AD che un numero sempre maggiore di Paesi sta adottando. Le sue

naturali caratteristiche di flessibilità e furtività, infatti, gli garantiscono la possibilità di

effettuare attività d’intelligence e di infiltrazione/esfiltrazione di operatori delle forze speciali,

di operare con successo per l'interdizione e il disturbo delle linee di comunicazione, e di

attaccare, in tali contesti, anche task force navali altamente protette e munite. Questa utilità

era del resto stata dimostrata già durante la Guerra delle Falkland nel 1982, quando un solo

sottomarino convenzionale argentino, il San Luis, ha impegnato decine di navi ed aeromobili

della Royal Navy in un’inutile caccia antisom obbligando alla fine la Marina britannica a

rinunciare ad ipotesi di sbarco su larga scala. Durante la stessa guerra, inoltre,

l'affondamento da parte del sottomarino nucleare britannico Conqueror dell'incrociatore

argentino General Belgrano ha costretto il resto della flotta argentina a rimanere in porto per

tutta la durata dei conflitto. Con la sola sua presenza, un sottomarino può cambiare il corso

degli eventi operativi anche in uno scenario convenzionale, se impiegato nella dovuta

maniera, rappresentando un utile strumento deterrente in grado di limitare ad un avversario

le opzioni operative.

Per tutte queste ragioni, riprendendo il discorso che si faceva in apertura di questo

paragrafo, oggi si sta assistendo ad una corsa al sottomarino che sta interessando tutti i

teatri: dall’Asia – dove l'acquisizione di sottomarini è parte integrante della “gara navale” tra

i principali attori della regione – allo stesso Mediterraneo Allargato. In questo secondo

contesto, il fenomeno sta assumendo dimensioni rilevanti – che certo non possono lasciare

indifferenti l’Italia – che potrebbero significare la presenza, al 2020, di ben 60 sottomarini: e

ciò senza contare la presenza nel teatro marittimo considerato di battelli appartenenti a

Nazioni geograficamente estranee a esso. Ci riferiamo alla Cina e, soprattutto, alla Russia.

Quest’ultima, come abbiamo visto, ha ricostituito negli ultimi anni su larga scala la Flotta del

Mar Nero e con essa la Squadra del Mediterraneo, estesamente impiegata nelle operazioni

in Siria. Una delle componenti principali della Flotta del Mar Nero è quella subacquea basata

su sei sottomarini Project 636.3 classe Varshavyanka. Si tratta dell’ultima evoluzione del

Project 877/636 Kilo caratterizzata da notevoli migliorie in svariati settori.

24

I Varshavyanka hanno un dislocamento maggiore rispetto ai predecessori ed una maggiore

autonomia, sono ancora più silenziosi e sono dotati della nuova suite sonar MGK-400. Più

di ogni altra cosa, come abbiamo già visto, i Varshavyanka sono dotati dei missili da crociera

land attack Kalibr (che vengono lanciati dai sei tubi lanciasiluri). Ma ai Varshavyanka

bisogna aggiungere anche la presenza, al momento solo occasionale e legata alle

circostanze, di uno o più battelli a propulsione nucleare; non è chiaro se appartenenti alla

classe AKULA o OSCAR II. In pratica, i Russi impiegano nel Mediterraneo uno strumento

occulto potenzialmente in grado di: raccogliere informazioni, monitorare traffici e attività

navali dei Paesi NATO, condurre eventuali azioni di infiltrazione e proiettare potenza a terra.

Il tutto in maniera non occasionale (eccetto, al momento, per la componente nucleare),

bensì sistematica e su larga scala. Peraltro, vale la pena sottolineare il fatto che il build up

russo nel Mar Nero avrà delle inevitabili conseguenze anche sui Paesi e le Marine

rivierasche. E’ il caso, per esempio, della Marina Rumena che ha da tempo pianificato

l'acquisizione di 6 nuove corvette con capacità antisom e che potrebbe prendere in

considerazione anche l’acquisto di un nuovo sottomarino per rimpiazzare il classe Kilo

Delfinul, inattivo ormai dagli anni novanta nel porto di Costanza. Lo stesso discorso vale per

la Marina turca, di cui parleremo a breve più nel dettaglio, che potrebbe rafforzare la propria

presenza nel Mar Nero, in particolare la base di Bartin da dove operano anche i sottomarini

Type 209.

In generale, come si diceva, sono molti ormai gli attori che nel Mediterraneo Allargato

stanno rafforzando le loro componenti subacquee dotandosi di battelli sempre più

performanti e di una serie di tecnologie sensibili, dai siluri ai missili da crociera a

cambiamento d’ambiente, che vale la pena prendere in considerazione. La grande

problematica è che anche se tali Paesi hanno tradizionalmente buoni rapporti con l’Italia e

l’Europa, non è detto che li debbano mantenere pure nel prossimo futuro e questo proprio

in virtù dei fenomeni di destabilizzazione/cambiamento innescati dalla “Primavera Araba”.

Tanto che quelle che oggi sono considerate Marine “amiche”, o quanto meno partner,

potrebbero diventare improvvisamente Marine “nemiche”. A maggior ragione se si pensa

che alcune di queste Marine si stanno dotando di sottomarini di produzione russa, quali i

Kilo, che non sono conosciuti in Occidente/Europa, o sono relativamente poco conosciuti,

con evidenti implicazioni sul piano della sicurezza. Un conto, infatti, è se la proliferazione

riguarda progetti di concezione europea – come i Type 209/214 tedeschi o gli

Scorpene/Agosta francesi – che, essendo noti in quanto a caratteristiche, presenterebbero

delle innegabili vulnerabilità per i loro utilizzatori in casi di eventuale crisi/guerra, un conto,

25

appunto, è se i progetti in questione sono relativamente poco conosciuti, dunque, in teoria,

meno vulnerabili in casi di contingenza.

Giusto per fare una breve panoramica, tralasciando per ragioni di spazio le flotte

subacquee dei Paesi europei, una nazione del Mediterraneo molto attiva in campo

subacqueo è l’Algeria che opera con quattro sottomarini classe Kilo – due Project 877 e due

Project 636 – e ne sta acquisendo altri due (Project 636). I battelli possono impiegare anche

missili antinave a cambiamento d’ambiente 3M-14 Klub-S, testati in più occasioni nel corso

degli anni. I progressi algerini hanno costretto anche il concorrente regionale Marocco a

cercare di dotarsi di una componente subacquea, ma al momento non si registrano

progressi in questo senso.

Spostandoci verso est, la Turchia, la cui affidabilità in ambito NATO è ultimamente

sempre più in discussione, ha attualmente in servizio 14 sottomarini classe Type 209,

acquistati in tre serie – sei Type 209/1200 (Atilay) e 4+4 Type 209/1400 (Preveze e Gur) –

a partire dalla prima metà degli anni settanta dalla Germania. A questi, a breve inizieranno

ad affiancarsi i sei nuovi Type 214, prodotti localmente nei cantieri Golkuk, che saranno

dotati di sistema AIP Siemens a celle combustibili.

Un altro attore operante nel Mediterraneo dotato di una notevole componente

subacquea, di caratura strategica, è Israele. La Marina israeliana opera attualmente con tre

sottomarini classe Dolphin a propulsione convenzionale e due più evoluti Dolphin Seconda

Serie dotati di sistema di propulsione AIP11. La vera caratteristica distintiva dei Dolphin, per

battelli di questa categoria, è costituita dai ben dieci tubi lanciasiluri inseriti nella sezione di

prua. Sei di questi sono da 533 mm e sono utilizzati sia per il lancio dei siluri pesanti in

dotazione sia per i missili antinave a cambiamento d’ambiente Harpoon. Gli altri quattro

sono, invece, tubi da 650 mm e vengono impiegati sia per il lancio di Swimmer Delivery

Vehicles (SDV) – per l’inserimento di team di operatori delle forze speciali - sia per il lancio

di missili da crociera land-attack a cambiamento d’ambiente caricati con testate nucleari. Si

tratterebbe in dettaglio di un variante appositamente modificata per essere lanciata da un

sottomarino – SLCM (Submarine Launched Cruise Missile) - del missile stand-off aria-

superficie Popeye Turbo. Quest’ultimo avrebbe una gittata di 1.500 km ed una testata

nucleare da 200 kg ed assicurerebbe, così, una capacità di “second strike” ad Israele

rendendone il dispositivo nucleare realmente credibile.

11 Entrambe le classi, di cui si sa relativamente poco, sono di produzione tedesca e si basano su un progetto

derivato dal Type 209. Notevole è tuttavia il contributo dell’industria israeliana per la fornitura e l’installazione di sistemi elettronici e sensoristici rigorosamente nazionali.

26

Il panorama esclusivamente mediterraneo si chiude con la Marina Egiziana, che ha

già ricevuto due dei quattro Type 209 migliorati ordinati alcuni anni fa dalla Germania. I

quattro battelli dovrebbero essere operativi nel 2020 affiancando e progressivamente

sostituendo i quattro Romeo ammodernati tuttora in servizio.

Nel Golfo Persico gli sviluppi più preoccupanti in campo subacqueo sono quelli portati

avanti dall’Iran12. La Marina iraniana può contare su tre Kilo 877 acquistati negli anni

novanta dalla Russia. Questi battelli sono stati ammodernati a partire dalla metà degli anni

duemila e dovrebbero oggi impiegare anche i siluri super-cavitanti VA-111 Shkval o una loro

variante di concezione locale denominata Hoot. Tuttavia, la vera forza dell’Iran in campo

subacqueo è rappresentata dai sottomarini di tipo midget o costieri. E’, infatti, proprio in

questo settore che l’Iran ha fatto i progressi maggiori, grazie all’assistenza della Corea del

Nord, ma anche all’expertise accumulata dall’industria locale. La Marina e la Componente

navale dei Pasdaran hanno a disposizione tre classi di midget: la Yugo/Yono, importata

dalla Corea del Nord, la Ghadir e la Nahang, queste ultime due di produzione locale.

Si tratta di battelli via, via più prestanti e performanti in termini di capacità di trasporto di

incursori, autonomia e sensoristica. A queste tre classi si è affiancata anche la classe Fateh,

che, nei fatti, costituisce un’evoluzione più pesante e prestante della classe Ghadir. I Fateh

sono accreditati di un dislocamento in immersione di 600 t ed una profondità operativa

massima di 250 m. L’incremento delle dimensioni ha permesso di dotare i battelli di quattro

tubi lanciasiluri da 533 mm e degli spazi necessari per ospitare fino a otto ordigni di ricarica.

Non è, tuttavia, noto il numero dei battelli di tale classe in servizio

Un altro sviluppo molto interessante nel settore dei sottomarini è la classe

Qaem/Besat, anche questa prodotta localmente. Al momento pare che della classe Qaem

sia in servizio un battello e che un altro sia in costruzione. Su questo punto, però, a livello

OSINT non c’è uniformità di valutazione. Delle sue caratteristiche si sa molto poco. Alcune

fonti lo considerano un battello “semi-pesante”, accreditandolo di un dislocamento

nell’ordine delle 1.200 tonnellate, ma altre lo ritengono un’ulteriore evoluzione dei Ghadir.

12 Gli embarghi e l’isolamento internazionale hanno limitato drasticamente l’accesso al mercato dell’export

ed ai principali fornitori di hardware militare costringendo l’Iran a fare affidamento soprattutto sulle capacità dell’industria nazionale e sul contrabbando. Gli unici paesi esteri che mantengono canali di fornitura militare istituzionalizzati con l’Iran sono Cina e Corea del Nord, mentre il supporto russo è sempre legato alle congiunture politiche ed al reale stato dei rapporti tra Mosca e Washington, anche se, dopo l’accordo sul nucleare del 2015, Mosca ha ripreso le forniture militari su larga scala tanto che non si può escludere che queste riguardino ad un certo punto anche nuovi sottomarini. Detto ciò, Teheran ha dovuto affidarsi soprattutto sulla propria industria nazionale che si è specializzata nella realizzazione di parti e componenti da utilizzare per l’ammodernamento dei sistemi e dei mezzi ereditati dai tempi dello Scià e di origine principalmente occidentale. Oggi l’industria iraniana produce un po’ di tutto: navi, sottomarini, missili o siluri. E, nonostante la qualità non sia propriamente eccelsa, l’Iran ha iniziato a creare una base industriale ed un expertise che non possono comunque essere sottovalutati.

27

Personalmente, lo riteniamo un tentativo di sviluppare una soluzione intermedia tra i midget

e i Kilo, dunque una classe con caratteristiche diverse da quelle della famiglia Ghadir, e il

dislocamento nell’ordine delle 1.000 tonnellate potrebbe essere un numero credibile.

I progressi iraniani hanno acceso anche nell’Arabia Saudita e nell’alleato emiratino un

forte interesse per l’acquisizione di capacità sommergibilistiche. Tuttavia, tali sforzi non si

sono finora concretizzati e difficilmente lo saranno pure nei prossimi anni considerando i

limiti di capitale umano e industriali13 dei due Paesi in questione. Detto ciò, la competizione

sempre più accesa tra Arabia Saudita e Iran potrebbe nel prossimo futuro portare ad un

conflitto regionale su più larga scala dopo quelli combattuti finora per procura, prima in Siria,

con la sostanziale sconfitta dei proxi di Riad, e poi in Yemen, dove da mesi ormai si assiste

ad un’inconcludente fase di stallo. Uno scenario del genere, nel cui ambito non è escludibile

a priori pure una partecipazione di Israele, che ha legami non ufficiali sempre più forti tanto

con gli EAU quanto con l’Arabia Saudita, potrebbe avere una dimensione navale molto

pronunciata14 in considerazione della strategicità del Golfo Persico e dello Stretto di Hormuz.

In tale ottica, la strategia navale iraniana prevede esplicitamente l’ostruzione dello Stretto di

Hormuz mediante sia l’uso di imbarcazioni veloci armate di missili da crociera sia l’uso dei

sottomarini, ideali per operare nelle acque basse che caratterizzano questo specifico

scenario.

13 E di cultura industriale. 14 Si ricordi a tal proposito la Guerra Iran-Iraq e la guerra cosiddetta guerra delle petroliere.

28

2. La cantieristica internazionale e la produzione di sottomarini

2.1 I produttori europei ed occidentali

Europa e Stati Uniti hanno un’industria cantieristica militare molto forte e sviluppata,

ma mentre la prima è presente sia sul piano nazionale che su quello dell’export, la seconda

lavora ormai da anni quasi esclusivamente per il mercato nazionale. Il settore europeo è

basato su singoli poli nazionali – italiano, britannico, francese, spagnolo, tedesco, svedese

e olandese, quelli principali – che, assieme alla cantieristica russa (ed in anni più recenti

cinese), si contendono sostanzialmente il mercato internazionale, sia quello delle unità di

superficie – dalle motomissilitiche fino alle navi anfibie – sia quello dei sottomarini. Per

quanto riguarda le capacità cantieristiche riguardanti lo sviluppo e la realizzazione di

sottomarini, gli attori principali in Europa sono Germania, tuttora leader di mercato, e

Francia, ma anche altri Paesi quali Svezia e Olanda, soprattutto la prima, hanno capacità

molto importanti e strutturate nel settore. Un discorso a parte meritano poi il Regno Unito,

che non produce più sottomarini convenzionali, e l’Italia, a cui è dedicato il core del presente

studio.

Nel quadro complessivo dell’industria cantieristica navale europea, la Francia è

certamente il Paese in cui lo Stato mantiene il controllo più ampio e diretto sul settore, sia a

livello di proprietà che di direzione generale. La ex Directions des Constructions Navales

(DCNS), adesso Naval Group, è controllata dallo Stato francese con il 63% - mentre Thales

detiene il 35% - ed è il principale soggetto cantieristico francese. Naval Group dispone di 4

principali siti cantieristici in Francia: Brest (unità di grandi dimensioni, allestimenti e

approntamento operativo), Cherbourg (sottomarini), Lorient (naviglio di superficie) e Tolone

(manutenzione e riparazioni). L’azienda francese, assieme alla TKMS tedesca ed alla

cantieristica russa, di cui parleremo a breve, monopolizza il mercato dei sottomarini

convenzionali, ma lavora anche per la Marina francese alla quale fornisce i sottomarini a

propulsione nucleare. Al momento Naval Group sta lavorando alla realizzazione di sei

sottomarini a propulsione nucleare d’attacco classe Suffren per la Marina francese (progetto

Barracuda) - con il primo battello in costruzione per consegna nel 2019 e gli altri a seguire

entro il 2027, che rimpiazzeranno gli attuali e meno prestanti/capaci Rubis - e sta fornendo

assistenza ai cantieri indiani per la costruzione su base locale di sei sottomarini tipo

Scorpène (Project 75, classe Kalvari)15.

15 Scorpene esportati anche in Cile e Malesia.

29

A questi programmi bisogna aggiungere l’importante contratto con la Marina Brasiliana,

gestito tramite la Itaguai Construçoes Navais (controllata al 41% da Naval Gorup e al 59%

dalla brasiliana Odebrecht). Questo comprende la realizzazione di un nuovo cantiere navale

responsabile per la costruzione di 4 sottomarini convenzionali (classe Riachuelo), basasi su

un’evoluzione del design degli Scorpene, nonché il trasferimento di tecnologie per la

costruzione di un SSN (SN-10 Alvaro Alberto, progetto però ritardato a seguito della crisi

economica e dei relativi tagli) e della futura nuova base navale per questi battelli. Infine, va

citato il più recente programma per la fornitura alla Royal Australian Navy di ben 12 grandi

sottomarini da 4.500 t, che saranno costruiti in Australia, derivati dalla classe

Shortfin/Barracuda, ma con sistema di propulsione convenzionale (presumibilmente

caratterizzato da un nuovo AIP sviluppato sempre dalla società francese). Nella gara

australiana, Naval Group ha battuto la concorrenza dei principali costruttori europei e del

Giappone. Al di fuori di Naval Group, gli altri 2 cantieri francesi attivi anche nel militare, CMN

e Chantiers de l’Atlantique (quest’ultimo, dopo il fallimento della controllante coreana STX

era stato acquisito da Fincantieri, ma lo Stato francese ha bloccato l’operazione ed ha

rinazionalizzato il cantiere), non hanno competenze nel settore subacqueo/sottomarino.

Il nucleo principale delle attività cantieristiche tedesche nel settore navale è

rappresentato attualmente dalla ThyssenKrupp Marine Systems (TKMS), creata nel 2005 in

seguito all’acquisto da parte del conglomerato ThyssenKrupp, che già deteneva il controllo

del cantiere Blohm+Voss, della Howaldtswerke-Deutsche Werft. In seguito ad una

riorganizzazione interna nel 2009, la TKMS è posseduta al 100% dalla ThyssenKrupp e

viene gestita non più come società a sè stante ma come Business Unit, all’interno della

Business Area Industrial Solutions, che a sua volta controlla tre Operating Units responsabili

rispettivamente per il naviglio di superficie (ex-B+V, con cantieri a Kiel, Amburgo e Emden),

i sottomarini (ex-HDW, con cantiere a Kiel), e i servizi di assistenza clienti, con un totale di

circa 3.700 dipendenti. La TKMS16 mantiene inoltre il 24,9% del pacchetto azionario della

Hellenic Shipyards greca, mentre il cantiere Nordseewerke di Emden ha cessato le proprie

attività nel 2010 e la Kochums è tornata sotto controllo svedese.

Il settore dei sottomarini è stato tradizionalmente trainante per la cantieristica tedesca

che ha sempre mantenuto una leadership mondiale a livello di mercato e di progetto. Il Type

209 per decenni ha rappresentato “il” sottomarino da esportazione a livello mondiale (63

battelli ordinati da 13 Paesi) e la sua ennesima evoluzione è come abbiamo visto in

16 Al di fuori del perimetro TKMS, in Germania la presenza cantieristica-militare più significativa è costituita

dalla Lürssen-Werft GmbH di Vegesak, con oltre 1.600 dipendenti suddivisi tra sei cantieri e attività che coprono sia il settore civile dei grandi yacht, sia quello di motovedette e unità da pattugliamento.

30

produzione/consegna – in numero quattro esemplari – per la Marina egiziana e pure per

l’Indonesia – tre battelli – attraverso la sudcoreana Daewoo. Il successore Type 214 ha già

ottenuto importanti successi sul mercato con quattro sottomarini per la Grecia (tutti in

servizio), due per il Portogallo (ufficialmente definiti Type 209PN, ma di fatto Type 214, in

servizio), nove per la Corea del Sud (come discuteremo più avanti) e, come già ricordato,

sei per la Turchia. E’ importante notare come di questo totale di 21 Type 214, solo tre siano

stati costruiti in Germania, mentre tutti gli altri sono stati realizzati o sono in realizzazione

nei Paesi in questione su licenza. Al di fuori di questa serie principale, vi sono poi i progetti

“speciali” come i Type 212 (sei per la Marina tedesca e quattro per quella italiana con l’ultimo

battello, il Romeo Romei, consegnato a maggio 2017), i Type 218 SG per Singapore (due

unità da consegnare nel 2020) ed i segretissimi Dolphin per Israele.

Proseguiamo questa panoramica con la Gran Bretagna. La gran parte della

cantieristica militare britannica è concentrata nella BAE Systems Maritime, una società

sussidiaria della BAE Systems plc. La BAE Systems Maritime è organizzata in 3 divisioni

(Naval Ships, Submarines and Maritime Services), e ha circa 7.000 dipendenti suddivisi tra

tre cantieri: Scotstoun e Govan, ambedue sul fiume Clyde a Glasgow (navi di superficie), e

Barrow-in-Furness (Inghilterra, sottomarini). Al momento una delle caratteristiche della

cantieristica britannica è la dipendenza dal mercato interno, e dalla Royal Navy, e la

completata assenza dell’export visto che l’ultimo contratto importante è stato quello per le

tre corvette della classe Khareef per la Marina dell'Oman (contratto peraltro “ereditato” dalla

Vosper Thornycroft), completate nel 2013-1417. In campo sottomarino, BAE Systems sta

lavorando attualmente alla realizzazione dei nuovi SSN classe Astute – tre battelli in

servizio, uno varato nella primavera del 2017 ed altri tre in costruzione con consegne a

partire dal 2020 – ed alla progettazione, nell’ambito di un programma congiunto con la

cantieristica americana regolato nel quadro degli accordi di Nassau del 1962, degli SSBN

che rimpiazzeranno i Vanguard attualmente in servizio.

Una menzione particolare merita anche la multinazionale Babcock che controlla i

cantieri di Rosyth (Scozia) e Devenport (Inghilterra) e gestisce la base navale di Clyde

(Scozia), sede della flotta sottomarina strategica della Royal Navy. Rosyth, oltre che nella

costruzione delle nuove portaerei classe Queen Elizabeth, è pura coinvolta nel refitting e

nel decomissionamento dei sottomani della Ropyal Navy18.

17 BAE Systems è in gara in Australia e Canada con le fregate di nuova generazione polivalenti Type 26. 18 Come abbiamo visto, tutti i siti cantieristici con esperienze e capacità nel settore navale (l’unica eccezione

è Barrow-in-Furness) sono situati in Scozia, anche se la proprietà risiede altrove, per cui un'eventuale uscita della Scozia dal Regno Unito come conseguenza della Brexit, potrebbe avere gravi ripercussioni sulla cantieristica britannica al punto che Londra si troverebbe di fatto priva di un’industria cantieristica

31

Altri due player europei importanti nella cantieristica, con competenze subacquee,

sono Svezia e Spagna. Il caso svedese è indicativo su come i Paesi considerino strategico

il settore della cantieristica. In Svezia è attivo il cantiere Kochums di Malmö, specializzato

in motovedette, corvette e, soprattutto, sottomarini. Fino al 1999, il cantiere era controllato

dallo Stato svedese dopodiché il controllo passò alla tedesca HDW. A questo punto, però,

per Kochums iniziarono immediatamente i problemi e le difficoltà con forti disaccordi tra la

proprietà tedesca e la FMV (l’Agenzia che si occupa del materiale militare per le FA svedesi)

a proposito sia della gestione del programma A-26 (i nuovi sottomarini per la Marina

Svedese) sia, più in generale, a proposito di tutta la politica industriale (la TKMS voleva far

uscire la Kockums dal settore dei sottomarini di medie dimensioni per farla concentrare

esclusivamente sul business dei battelli costieri) e commerciale. La situazione si aggravò a

partire dal 2011 e solo nel 2014 la crisi fu superata con la rinazionalizzazione del cantiere e

la sua acquisizione da parte del colosso svedese aerospaziale Saab. La nuova Saab

Kockums AB ha così immediatamente ricevuto un nuovo contratto per due battelli A-26, da

consegnarsi entro il 2022, più un terzo in opzione. In Spagna, il principale player

cantieristico-militare è Navantia, realtà completamente controllata dalla holding di stato

spagnola SEPI (Sociedad Estatal de Participaciones Industriale,) e attiva in tre aree

cantieristiche principali (El Ferrol, Cadice e Cartagena). Navantia dispone di un buon

portafoglio di ordini sia nazionali che all’esportazione, che ne fanno senza dubbio la struttura

di maggior successo nel quadro dell’industria della Difesa spagnola. Tra i successi

dell’azienda sul mercato internazionale, ricordiamo quelli in Australia – per

cacciatorpediniere e unità anfibie – Norvegia – fregate - e Turchia – con il deisgn della nuova

unità anfibia Anadolu. L’unico neo è rappresentato dal settore dei sottomarini, dove la fine

della partnership con Naval Group (che evidentemente andava stretta credendo di poter

proseguire in autonomia sia per quanto riguarda le necessità nazionali che per

l’esportazione) si è rivelata una scelta fallimentare. Il programma per i quattro battelli della

serie S-80 (classe Isaac Peral, ordinati nel lontano 2004), infatti, è stato costretto a tutta una

serie di riprogettazioni e modifiche, con relativi ritardi, a seguito della scoperta di gravi difetti

di progetto che hanno potuto essere superati solo con l’assistenza dell’americana General

Dynamics Electric Boat. Al momento è prevista la consegna di un solo battello, mentre le

attività sugli altri tre sono state sospese.

navale nazionale, e dovrebbe o ricostituirla, o acconciarsi a far costruire le unità della Royal Navy “all’estero”.

32

Infine, una menzione meritano anche Olanda e Grecia. In Olanda, il soggetto di

riferimento è Damen Schelde Naval Shipbuilding, risultato di un lungo e complesso processo

di acquisizioni e fusioni che ha portato alla concentrazione di tutte le attività di costruzioni

navali in Olanda all’interno del gruppo Damen.

Il cantiere mantiene un ricco portafoglio di unità navali sia per le esigenze della Marina

Olandese sia per il mercato dell’export. Per quanto riguarda proprio l’export, i successi di

Damen sono dovuti ad un’accorta politica di costruzioni su licenza e di trasferimento di

tecnologie facilitata dalle dimensioni e dalle diramazioni internazionali del gruppo Damen,

che in aggiunta a 15 cantieri in Olanda ne controlla 17 all’estero. Con la consegna dell’unità

da appoggio Karel Doorman, impiegata sia dalla Marina Olandese sia da quella Tedesca,

la Damen Schelde non è, tuttavia, più impegnata in alcun programma di nuove costruzioni

per la Marina Olandese, e non lo sarà sinché non prenderanno forma i programmi per la

sostituzione delle due fregate Karel Doorman (verso il 2023) e dei sottomarini della classe

Walrus (verso il 2025). A proposto di sottomarini, anche l’Olanda potrebbe rientrare in un

grande programma congiunto europeo per l'acquisizione di nuovi battelli, basati su

un’evoluzione del design Type 212, assieme a Italia, Germania e Norvegia. Un’eventualità

di cui parleremo abbondantemente nel prossimo capitolo.

In Grecia, invece, la grave crisi economica che ha colpito il Paese ha portato al collasso

anche il cantiere Hellenic Shipyards S.A. di Skaramangas. Quest’ultimo è sempre stato il

polo principale per la costruzione di naviglio militare di tutti i tipi per la Marina greca, tra cui

ad esempio, negli anni ’90, le fregate classe Hydra basate sul design tedesco Meko 200. Il

cantiere, come già accennato, venne acquistato nel 2002 da un gruppo di investitori

tedeschi, guidati dall’allora HDW, nel quadro dell’accordo complessivo per la costruzione su

licenza dei sottomarini Type 214 (classe Papanikolis) – accordo che, secondo voci

dell’epoca, comprendeva un impegno da parte della HDW a mantenere i livelli occupazionali

preesistenti, almeno sino al completamento del programma Papanikolis. Nel 2010/2011, nel

pienod ella grave crisi che ha colpito la Grecia, Abu Dhabi Mar ha acquisito il controllo

(75,1% del pacchetto azionario) di Hellenic Shipyards, mentre il 24,9% è rimasto nelle mani

di TKMS.

Hellenic Shipyards attualmente ha circa 1.300 dipendenti (erano oltre 7.500 negli anni

’70), e con la recente consegna dei due ultimi sottomarini della classe Papanikolis non

dispone più di alcun carico di lavoro per quanto riguarda le nuove costruzioni nel settore

navale, né al momento sembrano emergere progetti concreti in chiave futura.

Spostandoci dall’Europa agli USA, l’analisi cambia decisamente i propri contenuti.

33

Sì perché la cantieristica americana ha due caratteristiche fondamentali alle quali in parte

abbiamo già accennato.

La prima è che questa “lavora” quasi esclusivamente per il mercato interno e l’US Navy19 e,

pertanto, ha una dimensione, in termini fisici e non solo, attagliata alla produzione di unità

molto grandi. La seconda caratteristica è che la cantieristica americana non produce più da

decenni sottomarini a propulsione convenzionale essendosi specializzata sui più grandi

battelli a propulsione nucleare.

I due principali player nazionali sono Huntington Ingalls Industries (HII) e General

Dynamics Marine Systems. HHI, spinoff del colosso Northrop Grumman (di cui era

divisione/business unit fino al 2011 prima, appunto, della separazione), comprende due poli

cantieristici. Il primo è quello di Newport News, in Virginia, specializzato nel design e nella

costruzione di portaerei a propulsione nucleare (classe Gerald Ford), e nella realizzazione

di sottomarini e parti di sottomarino. Il secondo polo è quello di Pascagoula, nel Mississippi,

specializzato nella produzione di unità anfibie (classe America) e di superficie (DDG Arleigh

Burke), e di unità per la Guardia Costiera.

General Dynamics Marine Systems, parte del colosso General Dynamics, è

organizzato su due strutture20: Electric Boat e Bath Iron Works. Electric Boat ha cantieri a

Groton, nel Connecticut, e Quonset Point, Rhode Island, con un centro di eccellenza di

progettazione a New London, sempre nel Connecticut. Electric Boat è il principale polo

americano per la progettazione e la realizzazione dei sottomarini. A Bath Iron Works, invece,

nel Maine, sono concentrate la progettazione e la produzione di cacciatorpediniere – Arleigh

Burke – una parte delle quali prodotte come abbiamo appena visto anche a Pascagoula –

e Zumwalt (DDG-1000).

Per quanto riguarda le competenze nel campo dei sottomarini, oltre a quello che

abbiamo già accennato c’è solo da aggiungere che le competenze di progetto sono

concentrate soprattutto su Electric Boat mentre quelle costruttive sono suddivise tra la

stessa Electric Boat e Newport News. A partire dal programma per la realizzazione dei nuovi

SSN classe Virginia, infatti, per mantenere una base industriale solida ed omogenea, è stato

deciso di suddividere il programma tra i due player di Electric Boat e Newport News. In

particolare, è stato adottato il seguente schema. Electric Boat è la società incaricata del

19 Fa eccezione la recente commessa per quattro fregate leggere multimissione per l'Arabia Saudita.

Commessa che, tuttavia, al momento della stesura di queste note non era ancora stata formalizzata. Tali navi saranno, oltretutto, prodotte nei cantieri Marinette Marine di Fincantieri nel Wisonconsin.

20 A queste bisogna aggiungere NASSCO (National Steel and Shipbuilding Company), con cantieri a San Diego, Norfolk e Mayport, specializzata nella produzione di navi ausiliare e di supporto per l'US Navy, oltre che nella realizzazione di navi commerciali.

34

progetto e contraente principale, ed è responsabile per la realizzazione dei locali del sistema

propulsivo, della camera di manovra e della sezione centrale del battello. A ciò bisogna

aggiungere l’assemblaggio dei battelli caratterizzati da distintivo ottico pari (partendo dal

774 dell’unità capoclasse). Newport News, invece, ha la responsabilità per la realizzazione

della falsa torre, delle sezioni prodiera e poppiera, dei locali dell’equipaggio, del locale del

reattore nucleare, del locale dei tubi lanciasiluri e dei macchinari ausiliari. A Newport News

compete poi la costruzione dei battelli con distintivo ottico dispari. Questa suddivisione ha

fatto sì che l'intero programma Virginia alla fine sia risultato uno dei più virtuosi fra quelli

intrapresi dall’US Navy e dalle altre Forze Armate statunitensi.

Per questa ragione, l’US Navy ha deciso di adottare il medesimo schema anche per i

nuovi SSBN classe Columbia. Electric Boat è, difatti, il prime contractor e la main design

authority, mentre Newport News è responsabile per la realizzazione di sezione poppiera e

prodiera, sovrastuttura, moduli per i sistemi d’arma e sala macchine ausiliaria (la

realizzazione delle restanti componenti è di competenza Electric Boat).

2.2 La cantieristica russa e la produzione di sottomarini

La cantieristica militare russa è oggi l’unico vero concorrente dei produttori europei nel

campo dei sottomarini. Il comparto ha attraversato nell’ultimo trentennio almeno tre fasi

distinte. La prima, coincisa con il crollo dell’URSS, contraddistinta dalla grave crisi e dal

declino. Solo per fare un esempio, negli anni ‘90 la Marina riceveva annualmente il 12-15%

di quanto richiedesse per tenere in efficienza la flotta e rimpiazzare le unità obsolete, mentre

nei primi anni duemila si stima che delle circa 300 unità in organico solo il 15% fosse in

grado di prendere il mare per mancanza di manutenzioni. Quasi inesistenti i nuovi ingressi

in servizio, con molte navi in costruzione abbandonate sugli scali dalla fine degli anni ‘80.

Dalla metà degli anni duemila, però, la situazione è cambiata notevolmente e si è assistito

alla ripresa, coincisa con l’ascesa al potere di Vladimir Putin e con l’incremento dei prezzi

degli idrocarburi (seconda fase). In questi anni sono ripartite le produzioni, sono stati lanciati

nuovi grandi programmi di ammodernamento e revisione, e si è riavviato un processo di

trasformazione per la razionalizzazione di tutto il comparto. Questo percorso è stato però

interrotto negli ultimi 2-3 anni (terza fase) a causa delle vicende seguite all’annessione della

Crimea ed al conflitto nel Donbass, con la coda delle sanzioni occidentali, e del crollo del

prezzo degli idrocarburi. La cantieristica ne ha risentito particolarmente anche perché in

breve tempo sono venuti a mancare capitali occidentali, affluiti negli anni precedenti, e,

35

soprattutto, l’apporto dell’industria ucraina dal quale la cantieristica russa è stata

tradizionalmente dipendente in alcuni settori, a cominciare dalla propulsione. Per intendersi,

il Ministero delle Finanze russo ha stimato che creare dei sostituti ai prodotti del settore

difesa precedentemente importati dall’Ucraina sarebbe costato alla Russia in spese di

ricerca e sviluppo circa 1,5 miliardi di dollari, mentre per emanciparsi completamente dalla

dipendenza ucraina occorrerebbe almeno un decennio.

Il settore, pertanto, oggi si trova nel mezzo ad un guado, con una razionalizzazione

incompiuta ed un rallentamento dovuto alla perdita di preziosi segmenti industriali.

Attualmente questo comprende tra i 70 e gli 80 cantieri navali. I principali sono raggruppati

su cinque poli cantieristici - Kaliningrad, San Pietroburgo, Murmansk/Arcangelo, Vladivostok

e Sebastopoli - raggruppati nella mega holding United Shipbuilding Corporation (USC).

Il polo di San Pietroburgo è il più importante del Paese: da solo produce il 30%

dell’intera produzione nazionale ed esaurisce il 70% delle esportazioni. Esso comprende 23

cantieri navali e circa 20 aziende che si occupano di ricerca, sperimentazione, design e

sviluppo. I cantieri più importanti sono Severnaya Verf, Baltic Zavod, Admiralty Verf, Almaz

e Sredne-Nevsky.

I cantieri Admiralty sono oggi il principale centro di produzione russo per i sommergibili

a propulsione convenzionale. Comprendono nove scali, di cui due scoperti e sette coperti.

I principali ordini di Admiralty nel settore militare sono rappresentati dai sottomarini Project

677 classe Lada, per la Marina Russa, e dai Project 636.3 classe Varshavyanka. Per quanto

riguarda i Varshavyanka, oltre ai sei battelli in servizio con la Flotta del Mar Nero, è in

costruzione una seconda serie che sarà consegnata a coppie nel 2019, 2020 e 2021 alla

Flotta del Pacifico (Tikhookeanskiy flot).

Il polo di Kaliningrad si basa soprattutto su tre cantieri: Yantar, JSC 33 e Svetlovsky

ERA. La punta di diamante è Yantar, la cui specialità sono le fregate, unità molto importanti

nello schieramento russo del futuro e per l’export.

Di particolare interesse anche il polo di Murmansk/Arcangelo, in particolare per ciò che

concerne il supporto delle unità. Il soggetto più importante in questo settore è il complesso

Zvezdochka, comprendente diversi cantieri e aziende, che è responsabile per

l’aggiornamento degli SSN classe Akula21. Zvezdochka, con i cantieri controllati Nerpa e

Skrva, si occupa anche del supporto, della manutenzione e del rifornimento dei sottomarini

a propulsione nucleare della Flotta del Nord, nonché del loro smantellamento.

21 L'aggiornamento comprende l’adozione del missile Kalibr e di nuovi siluri, nuova elettronica, radar

aggiornati e nuovo CMS.

36

Da menzionare, anche l’azienda cantieristica NIPTB Onega che si occupa del riallestimento

– oltre che dello smantellamento – sia di unità di superficie che di sottomarini e funge inoltre

da design bureau per Zvezdochka.

Il polo di Murmansk/Aracangelo annovera anche l’unico costruttore russo di

sottomarini nucleari, ovvero il cantiere di Sevmash, che possiede i più grandi scali coperti

del Paese (circa 100.000 mq) e può impostare unità con dislocamento massimo di 100.000

t. Non a caso nel cantiere è stata condotta la trasformazione della portaerei indiana Admiral

Gorshkov, mentre è attualmente in corso l'ammodernamento dell'incrociatore da battaglia

Admiral Nakhimov, classe Kirov (Project 1144). Per ciò che concerne i sottomarini, il

cantiere ha la responsabilità per i programmi dei nuovi SSBN Project 955 Borei e dei nuovi

SSN Project 885 Yasen. I Borei andranno a sostituire, nelle intenzioni, una decina di unità

classi Delta III e Delta IV, gli unici SSBN rimasti dopo la radiazione dei Project 941 Typhoon

(ad eccezione del Dmitriy Donskoy, ancora in servizio per scopi sperimentali). Il capoclasse

Yury Dolgorukiy è già in servizio con la Flotta del Nord; l’Alexander Nevsky e il Vladimir

Monomakh sono invece schierati con la Flotta del Pacifico. Il Knyaz Vladimir dovrebbe

raggiungere la Flotta del Pacifico nel 2018. Il battello rappresenta il primo della serie

migliorata Project 955A Borei II. In totale, la classe Borei comprende otto battelli.

Per quanto riguarda il Project 885 Yasen, progetto che avrebbe dovuto portare al

rimpiazzo di circa 18 battelli classi Akula (I, II, e III) e Oscar II, i ritardi lo stanno

condizionando fortemente. Il capoclasse Severodvinsk, varato nel 2013, è stato afflitto da

numerosi “problemi di dentizione” ed è stato dichiarato operativo solo nell’autunno 2016 con

la Flotta del Nord. Il programma, che inizialmente prevedeva 12 battelli, si fermerà

verosimilmente a sette. Il secondo Yasen, il Kazan, dovrebbe essere consegnato nel 2018

con una configurazione più evoluta, che maturerà ulteriormente con gli esemplari restanti.

Chiudiamo questo paragrafo con il polo di Vladivostok/Orientale, senz'altro il meno

interessante ai fini di questa ricerca considerando che si tratta pure di un conglomerato che

paga si soprattutto la collocazione ed il minore livello di sviluppo rispetto alle altre parti della

Russia. Nel settore militare i cantieri sono pochi, meno moderni di quelli situati nella Russia

occidentale, e dispersi su un territorio vasto. A Vladivostok, i cantieri per costruzioni militari

degni di nota sono Vostochnaya, Dalzavod e Fes Zvezda, mentre gli altri cantieri notevoli

della Russia orientale, Amur e Khabarovsk, si trovano molto più a nord, nell’Oblast di

Khabarovsk.

Amur è il principale costruttore di unità militari della Russia orientale. Di solito si occupa

di costruire le unità progettate ad ovest, ma che devono servire con la Flotta del Pacifico.

37

La sua specializzazione sono le corvette (anche se il cantiere può impostare ed allestire

unità con dislocamento massimo di 25.000 t) e l'aggiornamento dei sottomarini

convenzionali. In particolare, Amur si sta attualmente occupando dell’update dei Project 877

Kilo, visti i ritardi del programma Lada e in attesa dei Varshavyanka. La scarsità di risorse

rende anche questo ammodernamento particolarmente lento ed è ragionevole ritenere che

possa protrarsi per diversi anni22.

2.3 Gli altri

In chiusura di questo capitolo ci sembrava giusto dedicare un po' di spazio anche a

Cina, Corea del Sud e Giappone: tre Paesi con imponenti comparti cantieristici ed importanti

competenze nel campo dei sottomarini che stanno iniziando a farsi sentire anche sul

mercato internazionale.

La cantieristica cinese, come del resto ogni altro settore dell’economia del Paese, ha

conosciuto nell’ultimo trentennio una crescita ininterrotta fino alle ragguardevoli dimensioni

di oggi. La crescita ha interessato sia il settore civile sia quello militare. In campo civile, la

cantieristica cinese negli anni ottanta produceva semplicemente navi a bassa complessità,

piccole petroliere e cargo da trasporto generale. Via, via però il settore nell’arco di un

ventennio è arrivato a produrre Very Large Crude Carriers (VLCCs), grandi navi

portacontainer, porta-LNG (Liquefied Natural Gas) e così via. Analoga crescita ha

interessato il settore militare che è passato nello stesso arco di tempo dalla produzione di

unità di piccolo-medio tonnellaggio, alla produzione di unità di superficie e subacquee

sempre più grandi e preformanti, fino alle portaerei ed ai "super-incrociatori" attualmente in

fase di realizzazione. Parallelamente, il settore si è via, via emancipato dalla tradizionale

dipendenza dalla Russia raggiungendo un buon livello di autonomia (le criticità maggiori

riguardano ancora la propulsione e la sensoristica).

Ad oggi, il comparto è strutturato sui due grandi colossi di stato China State

Shipbuilding Corporation (CSSC) e China Shipbuilding Industry Corporation (CSIC).

Entrambi le aziende rispondono direttamente al Consiglio di Stato e sono responsabili per

lo sviluppo e la produzione di navi militari e civili/commerciali. La CSSC è, tuttavia,

responsabile per le attività concentrate nella parte meridionale e orientale del Paese, mentre

la CSIC per le attività nella parte settentrionale.

22 Fuori da questi poli, bisogna ricordare Zelenodolsky Plant Gorky, cantiere collocato nel Tatarstan, in pieno

Bassopiano Sarmatico, i cui principali programmi militari riguardano la costruzione delle fregate Project 1166.1 Gepard e delle corvette/FAC Project 21631 Buyan-M.

38

I due colossi controllano decine di cantieri, centri di ricerca e progettazione, e società attive

nella realizzazione di sistemi ausiliari e di propulsione, e di altra componentistica varia.

A titolo di cronaca, fuori da queste realtà bisogna ricordare anche la miriadi di cantieri,

il più delle volte attivi nel settore delle riparazioni e del supporto, amministrati dai governi

locali e provinciali, nonché i cantieri, in alcuni casi anche molto grandi, gestiti dalle stesse

compagnie di navigazione. Infine, bisogna annoverare anche i cantieri militari direttamente

controllati dal PLA (People’s Liberation Army) che, a differenza degli altri cantieri statali

cinesi, che ricadono sotto la responsabilità del Consiglio di Stato, rispondono al Dipartimento

Generale degli Armamenti della Commissione Militare Cnetrale (CMC).

Per quanto riguarda le competenze nel campo dei sottomarini, queste sono

concentrate oggi su due realtà principali, Bohai e Wuchang (CSIC), ed una complementare,

Jiangnan (CSSC).

Bohai ad oggi è l’unico costruttore di sottomarini nucleari cinesi. La sua esperienza in

questo settore è iniziata negli anni ottanta con la realizzazione del primo SSBN cinese,

ovvero il Type 092 classe Xia, il cui scafo era derivato dagli SSN Type 091 classe Han

(prodotti a Wuchang). Le attività sono poi proseguite con la produzione dei nuovi SSN Type

093 classe Shang, di cui sono in servizio sei esemplari, e degli SSBN Tipe 094 classe Jin,

di cui sono in servizio quattro esemplari. Il cantiere di Bohai da qualche tempo è interessato

da un grande programma di miglioramento ed ampliamento infrastrutturale, il cui focus è

stata la realizzazione di una nuova grande area produttiva al chiuso, di oltre 430.000 piedi

quadrati (VEDI). Questi lavori si sono resi necessari per consentire la realizzazione delle

due nuove classi di SSN e SSBN - Tipe 095 e Type 096 rispettivamente, che, a partire dal

prossimo decennio, affiancheranno e sostituiranno progressivamente i Type 093 e Type 094

– ed incrementare i ratei di produzione. Al momento, a quanto ci risulta, dovrebbero essere

già iniziate le attività di costruzione sia dell’SSN Type 095, che sarà contraddistinto da un

modulo per il lancio verticale di missili da crociera antinave e land attack, propulsione

pumpjet e maggiore silenziosità, sia dell’SSBN Type 96, che sarà equipaggiato con 24 pozzi

per il lancio degli SLBM Jl-3 (il doppio dei pozzi del Jin).

Wuchang, invece, è specializzato nella produzione di sottomarini a propulsione

convenzionale. Per la verità il cantiere ha anche prodotto negli anni settanta i primi SSN

cinesi, ovvero i Type 091 Han, ma, terminata questa classe, la produzione di sottomarini

nucleari è stata concentrata su Bohai. In campo convenzionale, Wuchang ha progettato e

realizzato i sottomarini classe Ming e Song, ed i più moderni Type 041 classe Yuan,

accreditati da alcune fonti anche di sistema di propulsione indipendente dall’aria.

39

Il cantiere ha una capacità di produzione di una media di due sottomarini l’anno, ma in alcuni

anni sono stati prodotti anche tre battelli. Gli Yuan, di cui al momento sono in servizio con

la Marina cinese una quindicina di esemplari, sembrano un progetto molto riuscito e

performante che ha ottenuto, per ora, anche due importanti successi all’export. Dallo Yuan,

infatti, sono state derivate due configurazioni, denominate Type S26T e Type S20, ordinate,

rispettivamente, da Thailandia e Pakistan. Nel primo caso i battelli acquisiti sono stati tre,

tutti da produrre a Wuchang, mentre nel secondo caso si parla di otto battelli: quattro da

produrre a Wuchang ed altri quattro su licenza a Karachi.

Jiangnan, invece, ha il proprio core business nella produzione dei cacciatorpediniere

Type 52C Luyang II e dei più moderni e prestanti Type 52D Kunming. Tuttavia, il cantiere

ha prodotto e produce alcuni battelli convenzionali della classi Ming, Song e Yuan: un modo

per mantenere una base industriali e carichi di lavori equilibrati con Wuchang.

Chiudiamo questo capitolo con un accenno anche a Giappone e Corea del Sud,

entrambe dotati di una robusta industria cantieristica. In Giappone – che di recente ha rivisto

la sua rigida legislazione relativa all’export bellico giungendo a proporre i suoi sottomarini

per l’export, anche se finora senza successo come nel caso dell’Australia – la cantieristica

militare è di competenza principalmente di quattro attori: le divisione navali di Mitsubishi e

Kawasaki Heavy Industries, la Japan Marine United Corporation e la IHI Corporation.

Le capacità di sviluppo e produzione di sottomarini – espresse dalle due classi di sottomarini

Oyashio e Soryu – sono concentrate nelle divisioni cantieristiche dei due colossi Mitsubishi

Heavy Industries e Kawasaki Heavy Industries.

La Corea del sud vanta oggi la principale cantieristica al mondo. Le capacità militari

sono rappresentate principalmente da tre realtà: Hanjin Heavy Industry, Daewoo

Shipbuilding & Marine Engineering (DSME) e dalla Divisione navale di Hyundai Heavy

Industries. Le competenze per la produzione di sottomarini fanno capo a DSME e Hyunday

Heavy Industries che negli anni hanno prodotto su licenza prima i Type 209, classe Chang

Bogo – nove battelli di tre diversi lotti via,via migliorati – e poi i Type 214, classe Son Won-

Il – due lotti da 3 + 6 di cui gli ultimi due/tre ancora da consegnare. Dei primi, DSME ha

acquisito anche la licenza per l'export e ne sta fornendo tre in una variante evoluta alla

Marina Indonesiana.

40

3. L'Italia e i sottomarini: industria e programmi

3.1 Le capacità della cantieristica italiana

La maggior parte delle capacità industriali italiane nel settore della cantieristica sia

mercantile che militare sono concentrate nel gruppo Fincantieri, attualmente controllata al

71,6% da Fintecna SpA (controllata a sua volta al 100% dalla Cassa Depositi e Prestiti della

quale l'80,1% appartiene al Ministero dell'Economia e delle Finanze), mentre il resto del

capitale è flottante in Borsa dopo un’operazione di collocazione conclusa negli ultimi anni.

A seguito dell'acquisizione dei cantieri norvegesi Vard, Fincantieri è diventata una delle

maggiori società del settore al mondo (per dimensioni il 4° cantiere al mondo dietro i primi

tre sudcoreani, con quasi 22.000 dipendenti attivi in 21 cantieri in quattro continenti).

In termini organizzativi, le attività militari dipendono dalla Direzione Navi Militari di Genova,

con i due cantieri specializzati di Muggiano (La Spezia, dove avviene la produzione di ) e

Riva Trigoso (Sestri Levante) che, ad oggi, costituiscono il cantiere integrato Muggiano-Riva

Trigoso; la suddivisione del lavoro non è comunque rigida, e Fincantieri ha affidato e affida

costruzioni militari anche ai cantieri prevalentemente civili di Monfalcone, Castellammare di

Stabia, Ancona e Palermo, in base a criteri che possono variare dalle rispettive capacità in

termini dimensionali, ai vari carichi di lavoro ed alla necessità di assicurare i livelli di impiego.

Fincantieri opera attraverso tre principali divisioni:

• Shipbuilding, ovvero la Divisione responsabile per la progettazione e la costruzione delle

varie tipologie di navi prodotte dalla società, sia che esse riguardino il settore militare, sia

quello civile, cui si aggiungono servizi di riparazione e trasformazione navale.

• Offshore, ovvero la Divisione che si occupa della progettazione e della costruzione di

tutta la gamma di mezzi navali dedicati alle operazioni svolte in supporto all’esplorazione

e alla produzione di petrolio e gas naturale (oil & gas) in mare aperto, e dei mezzi di

supporto alle stesse. Questa particolare attività viene principalmente svolta attraverso la

controllata norvegese Vard (che garantisce occupazione a 8.000 dipendenti in quattro

Paesi, nello specifico Norvegia, Romania, Vietnam e Brasile), specializzata nella

progettazione e costruzione di unità navali di alta gamma per il supporto offshore;

• Sistemi, Componenti e Servizi, ovvero la Divisione che raggruppa tutto il business

inerente la realizzazione di strutture e componentistica ad altissima tecnologia, quali

sistemi di stabilizzazione, propulsione, posizionamento e generazione, turbine a vapore,

nonché la fornitura di servizi di supporto logistico e servizi di post vendita.

41

Il gruppo si avvale, inoltre, di una rete produttiva distribuita su 20 stabilimenti:

le navi da crociera e i traghetti vengono prodotti principalmente nei poli di Monfalcone

(Gorizia), Marghera (Venezia), Genova-Sestri Ponente, Ancona e Castellammare di

Stabia (Napoli);

le riparazioni e trasformazioni navali si avvalgono dei bacini di Palermo, di Trieste e di

Genova;

le navi militari possono contare come già ricordato sui siti di produzione del Cantiere

Integrato di Riva Trigoso (Genova) - Muggiano (La Spezia) e dei cantieri appartenenti

alla società statunitense Fincantieri Marine Group: Marinette Marine (Marinette, WI,

USA), specializzata nella realizzazione delle Littoral Combat Ship per l’US Navy (cantieri

nel cui adeguamento Fincantieri ha investito quasi 100 milioni di dollari), Bay Shipbuilding

(Sturgeon Bay, WI,USA), specializzata nella realizzazione di draghe, traghetti, chiatte,

chiatte a rimorchio, rompighiaccio e nelle attività di riparazione, e ACE Marine (Green

Bay,WI, USA), specializzata nella produzione di unità in alluminio.

le attività del Gruppo nel segmento sistemi e componenti navali sono svolte

principalmente presso strutture dedicate nel cantiere integrato di Riva Trigoso –Muggiano

per le componenti meccaniche e le turbine, presso gli impianti di Isotta Fraschini Motori

S.p.A, per i motori diesel, e presso Seastema S.p.A., per gli impianti di automazione;

i servizi post vendita hanno sede a Genova;

la produzione di mega-yacht legata al mondo del lusso ha il suo polo principale presso

Muggiano (La Spezia).

Il gruppo Fincantieri attualmente ha una capacità di design e realizzazione di un

portafoglio prodotti ad ampio spettro nel campo delle unità di superficie: dagli OPV, alle

fregate, su fino ad unità d'assalto anfibio e portaerei. Nel campo dei sottomarini, al momento

le capacità riguardano la realizzazione di sottomarini su progetto tedesco, ma l'ambizione

sarebbe quella di tornare quanto prima alla progettazione dei battelli.

I principali programmi in cui l'azienda è coinvolta sono i seguenti. Programmi nazionali:

- Completamento programma fregate antisom e GP (General Purpose) tipo FREMM:

sei unità in servizio e altre quattro in diversi stadi produttivi. La settima unità, la Federico

Martinengo, dovrebbe essere consegnata entro al fine del 2018.

- Programma straordinario di aggiornamento della flotta – "Legge Navale" – nel cui

ambito sono in fase di realizzazione sette Pattugliatori Polivalenti di Altura (PPA) da oltre

6.000 t (su un totale di 10 unità già autorizzate), le cui attività di costruzione sono già partite;

42

un’unità da assalto anfibio tipo LHD da 33.000 t (in costruzione); un’unità LSS da supporto

logistico (in costruzione).

Programmi export:

- Programma Littoral Combat Ship per l'US Navy. In questo caso il prime contractor è

Lockheed Martin, ma Fincantieri fornisce la piattaforma e realizza le navi a Marinette

Marine: quattro unità sono in servizio, una vicina alla consegna, tre in allestimento,

quattro in costruzione e una in ordine. A queste unità bisogna aggiungere le quattro navi

per l'Arabia Saudita basate sempre sul design LCS, il cui contratto però deve essere

ancora firmato.

- Programma per la “costituzione" della flotta della Marina del Qatar23. Si tratta della più

grande commessa all'export mai ricevuta dalla cantieristica militare italiana. Il contratto,

diventato ufficialmente esecutivo a luglio 2017, prevede: la realizzazione di quattro grandi

corvette/fregate leggere (classe Doha) multiruolo da 3.000 t ed oltre 105 m di lunghezza,

e dotate pure di capacità anti-balistiche con i missili Aster 30 Block 1; la realizzazione di

un'unità anfibia tipo LPD simile alla Kaleet Beni Abbes algerina da 9.000 t di dislocamento

e 143 m di lunghezza. Oltre che capacità anfibie, l'unità sarà dotata sempre di missile

Aster 30 Block 1 e di radar early warning a lungo raggio; la realizzazione di 2 corvette

leggere lanciamissili. E’ importante sottolineare che la Marina del Qatar ha intenzione di

“linkare” le fregate leggere e la LPD con i centri a terra per creare una rete anti-balistica

integrata.

Anche al di là del valore complessivo, superiore ai ai 5 miliardi di euro, il contratto del

Qatar è particolarmente importante per tre aspetti:

- Gli ordini coprono unità che non sono in servizio con la MM e che anzi, con l’eccezione

della LPD, esistono solo sulla carta e, di conseguenza, entrano a pieno titolo nel

portafoglio Fincantieri. In più su LPD di questa taglia, e con tali capacità, Fincantieri ha di

fatto un monopolio di mercato su scala mondiale.

- Il contratto è stato ottenuto battendo l’agguerrita e determinata concorrenza francese che

fino all’ultimo ha provato a farlo saltare in tutti i modi.

- In diretto contrasto con le tendenze prevalenti, il contratto non prevede alcuna forma di

costruzione su licenza, e tutte le attività cantieristiche verranno svolte in Italia da

maestranze italiane.

23 Nel programma hanno un ruolo importante anche Leonardo, per la fornitura dei sistemi di combattimento,

e MBDA, per gli equipaggiamenti missilistici.

43

Il contratto è garantito a livello governativo da un MOU tra i due Paesi che regola il

complesso della cooperazione e tutti gli aspetti relativi alla formazione ed all’addestramento

del personale – a cura tanto di Fincantieri quanto della Marina Militare – che dovranno, di

fatto, essere creati ex novo.

Prima di chiudere questo paragrafo, altre tre realtà della cantieristica italiana meritano

senz’altro menzione. La prima è l’Intermarine di Sarzana. L’azienda, controllata dal Gruppo

IMMSI, ha avuto per molti anni una presenza dominante sul mercato mondiale delle unità

per la lotta alle mine, con oltre 40 unità realizzate per otto diverse Marine. Attualmente

l’azienda sta lavorando alla fornitura di quattro nuovi cacciamine multiruolo – di cui uno già

consegnato – alla Marina Algerina ed è stata messa sotto contratto, nell’ambito del Piano

straordinario di ammodernamento della flotta, per la costruzione di due unità da appoggio e

infiltrazione super-veloci (UNPAV) per il GOI. Allo stesso tempo, l’azienda sta lavorando allo

sviluppo del nuovo cacciamine per la Marina Militare, noto al momento come COV

(Cacciamine Oceanico Veloce).

Un’altra realtà molto importante è il Cantiere Navale Vittoria di Adria che ha saputo

ritagliarsi una posizione di tutto rispetto nel settore dei pattugliatori, intercettori veloci,

motovedette e unità SAR con dislocamenti fino a circa 500 t. In pratica stiamo parlando di

una tipologia di unità destinate sopratutto a corpi di Polizia Marittima e e Guardia Costiera.

In questi anni ne sono state costruite un centinaio per clienti in Italia, Slovenia, Croazia,

Libia, Malta, Cipro e Tunisia, che le impiegano per compiti come il contrasto

dell’immigrazione clandestina, del contrabbando e del traffico di stupefacenti, del terrorismo

o, ancora, per la protezione ambientale e delle aree di pesca.

Infine, un accenno anche a Ferretti Security and Defence, la nuova Divisione militare

e para-militare del Gruppo Ferretti costituita di recente. La società, che nel settore civile

gode di un’invidiabile posizione come il secondo costruttore di yacht di lusso al mondo, ha

un ampio catalogo di imbarcazioni da intercettazione e pattugliamento che stanno iniziando

a riscuotere l’interesse del mercato soprattutto nel settore governativo e paramilitare.

3.2 La produzione di sottomarini: dai Toti alla classe Sauro

In Italia esiste una grande tradizione nel campo della produzione di sottomarini che

trae la sua origine già nella seconda metà dell’ottocento e che ha attraversato entrambi i

conflitti mondiali. Questa tradizione, interrottasi per gli effetti della sconfitta nella Seconda

Guerra Mondiale, è ripartita a fine anni cinquanta/primi anni sessanta con la classe Toti.

44

I Toti erano sottomarini a propulsione diesel-elettrica costruiti per la Marina Militare

italiana tra il 1965 ed il 1968 ed i primi battelli subacquei costruiti in Italia dopo la fine della

Seconda Guerra Mondiale. La classe – realizzata nei cantieri Italcantieri di Monfalcone24 -

era costituita da quattro battelli di piccole dimensioni – circa 600 t in immersione - il cui

scopo era sorvegliare il passaggio di altri sottomarini nelle acque italiane e, nel caso, di

attaccarli. I battelli si caratterizzavano per una silenziosità notevole per l'epoca, favorita dalle

modeste dimensioni dello scafo, e per essere estremamente manovrabili e veloci in

immersione.

I battelli erano a semplice scafo totalmente saldato, che comprendeva i tubi lanciasiluri

e la garitta d'emergenza, inglobata nella parte anteriore della vela, mentre lo scafo

racchiudeva a prora ed a poppa le casse di zavorra. L'elica a cinque pale era azionata

solamente dal motore elettrico, alimentato dalle batterie in immersione e dai gruppi

elettrogeni in emersione.

L'armamento era costituito da quattro tubi lanciasiluri prodieri per il lancio di siluri

multiruolo antinave-antisommergibile A184 a filoguida e a testa autocercante asserviti a una

centrale di lancio elettronica, prodotta e progettata dalla Fiat Mirafiori. Dai tubi lanciasiluri

potevano essere rilasciate anche mine navali. L'armamento e l'autonomia erano adatti solo

per missioni a medio-corto raggio tanto che ben presto la Marina Militare decise di passare

all'acquisizione di sottomarini più prestanti e capaci, e si giunse così alla classe Sauro (alla

quale vennero trasferite esperienze e peculiarità dei battelli della classe Toti).

I sottomarini della classe Nazario Sauro hanno costituito la classe più numerosa di

battelli costruiti per la Marina Militare Italiana. I battelli sono stati realizzati in otto esemplari

dalla Fincantieri in quattro sottoclassi via, via più evolute, ciascuna costituita da due unità,

a partire dalla seconda metà degli anni settanta. Si tratta di sottomarini a propulsione diesel-

elettrica da quasi 1.900 t in immersione, caratterizzati da uno scafo semplice chiuso da

calotte di estremità con casse di zavorra leggere, poste a prolungamento della prora e della

poppa, e scafo resistente costruito in acciaio HY8025 e suddiviso in due compartimenti stagni

in cui sono ricavati i vari locali di bordo. Rispetto ai Toti, anche in virtù di dimensioni più che

doppie, i Sauro sono in grado di operare in tutto il Mediterraneo e anche oltre.

Il sistema di propulsione è composto da un Motore Elettrico di Propulsione, MEP, che

azione un’elica a sette pale (a basso numero di giri per ridurre le vibrazioni) per mezzo di

24 Le cui maestranze, durante il periodo 1944-45, avevano ottenuto esperienza nella costruzione di alcuni

esemplari tedeschi tipo XXI e XXIII. 25 Con una tensione di snervamento di 80 psi che permette al sottomarino di potere operare fino ad una

profondità di 300 metri.

45

un asse che attraversa lo scafo resistente, due batterie di accumulatori al piombo, che

forniscono l'alimentazione al MEP, e tre gruppi diesel/dinamo che forniscono l'energia

necessaria per ricaricare periodicamente le batterie e che possono essere utilizzate anche

per alimentare direttamente il MEP.

Originariamente erano previste due sole unità classe Sauro, tuttavia ben presto, grazie

ai fondi della Legge Navale del 1975, venne finanziata anche una seconda serie di due

battelli identici ai primi due.

Agli inizi degli anni ottanta, poi, partì anche una Terza Serie, nata prevalentemente per

costituire un più efficacie strumento per il contrasto della minaccia subacquea del blocco

sovietico26, composta anch’essa da due battelli. La Terza Serie presentava notevoli migliorie

e modifiche tecnico-operative rispetto alle precedenti, rappresentando un notevole passo

avanti sia in termini di piattaforma che sistema di combattimento.

Lo scafo resistente venne allungato di mezzo metro, con conseguente aumento del

dislocamento, e numerose apparecchiature di bordo vennero riposizionate in maniera più

funzionale, mentre per ciò che concerne il CMS si optò per il nuovo sistema elettronico

integrato SACTIS (MM/SBN-716), interfacciato con i principali sensori di bordo ed in grado

di assolvere a compiti di navigazione, ricerca, designazione e tracciamento bersagli.

Alla Terza Serie, sul finire degli anni ottanta, è seguita la Quarta Serie, nata dopo il fallimento

del progetto S-90 (di cui parleremo nel prossimo paragrafo a proposito degli U212A), che

ha concluso il percorso di evoluzione tecnologica e miglioramento della classe Sauro. I due

Sauro Quarta Serie presentano una scafo più lungo di due metri rispetto agli scafi della serie

precedenti, sensoristica ancor più avanzata ed una maggiore cura nella riduzione della

rumorosità ottenuta con efficaci soluzioni sui singoli apparati e rivestendo lo scafo resistente

con mattonelle fonoassorbenti. I battelli della Terza e Quarta Serie tra il 1999 e il 2002 sono

stati, inoltre, sottoposti a lavori di ammodernamento che hanno comportato la sostituzione

dell'intero sistema di combattimento e la sostituzione di molti apparati ormai sorpassati. I

lavori di ammodernamento hanno riguardato, tra l’altro, l'installazione della nuova suite

integrata di combattimento STN Atlas ISUS 90-2027 e del sistema radio tedesco IRSC con

capacità satellitare. L’ISUS 90-20 è dotato di cartografia digitale ed è in grado di gestire in

maniera integrata i siluri A-184 Mod.3 e la sensoristica. Questa comprende base conforme

in media frequenza, base circolare per sonar attivo, intercettatore in alta frequenza e

sistema di rilevamento del rumore proprio

26 Minaccia che in quegli anni raggiungeva il suo apice anche in Mediterraneo. 27 Il sistema dispone di quattro console multifunzionali, un tavolo di tracciamento e un sistema di controllo

dei tubi di lancio.

46

3.3 Il programma U212A e il ruolo della cantieristica italiana

Il programma U212A rappresenta uno spartiacque nella storia dei sommergibili in Italia

nel dopoguerra e segna il passaggio dallo sviluppo di progetti nazionali alla cooperazione

internazionale con l'acquisizione di capacità più avanzate in svariati settori, a cominciare

dalla silenziosità e dalle doti di autonomia. Il programma U212A affonda le sue radici negli

anni ottanta e nasce dall’esigenza di iniziare a rimpiazzare i sottomarini classe Sauro con

sottomarini più performanti ed evoluti sotto molti punti di vista. Per la sostituzione dei Sauro,

inizialmente la Marina aveva scelto ancora la strada dell'acquisizione di un sottomarino,

denominato come già accennato S-90, di concezione e progettazione nazionale. L’S-90

avrebbe dovuto avere un dislocamento ben maggiore dei classe Sauro ed un sistema di

propulsione AIP28. Tuttavia le difficoltà tecniche incontrate ed i costi – secondo stime

dell’epoca il primo battello sarebbe costato ben 1.000 miliardi di lire (pari a 500 milioni di

euro) – consigliarono di percorrere altre strade e di guardare a forme di cooperazione

internazionale. Su queste basi fu avviata la cooperazione con la Marina tedesca ed il

programma U212A. Il programma, in realtà, era già partito su basi nazionali e quando l’Italia

decise di entrarvi il nuovo sottomarino era pressochè completamente sviluppato.

La collaborazione fu formalizzata da un accordo fra i rispettivi Ministeri della Difesa siglato

il 22 aprile 1996 (Memorandum of Understanding – MoU U-212A), poi rinnovato nel tempo,

non ultimo, come vedremo meglio dopo, nella primavera del 2017. I cardini di tale accordo

furono:

- costruzione di quattro unità in Germania, più due opzioni, e due in Italia, con altrettante

opzioni;

- integrazione dei supporti tecnico-logistici ed addestrativi da parte della Marine dei due

Paesi allo scopo di ottenere economie di esercizio ed una piena interoperabilità.

Il finanziamento per la costruzione dei primi due U-212A, e del relativo supporto tecnico

logistico, fu approvato dalla Commissione Difesa del Senato della Repubblica il 27

settembre 1995. L’8 agosto 1997 ci fu la firma del contratto principale con Fincantieri.

Il valore finale della commessa era di 1.742 miliardi di lire (899 milioni di euro) circa;

considerando che la fornitura prevedeva supporto logistico iniziale e costruzione di un centro

addestramento dotato di simulatori all’avanguardia, il costo ad unità era di 320 milioni di

euro circa, ossia oltre il 35% inferiore a quello ipotizzato per l’S-90 che tra l’altro meno

performante.

28 La Marina Militare tentò di sviluppare in collaborazione con la ditta Maritalia un sistema AIP diesel a ciclo

chiuso, ma il fallimento della ditta mise fine al progetto.

47

Contemporaneamente a Kiel, con più o meno un anno di anticipo sugli esemplari per

la Marina Militare, si costruivano i quattro battelli per la Bundesmarine; ciò consentì a

Fincantieri di sfruttare l’esperienza del cantiere HDW riducendo significativamente il rischio

d’impresa.

L’opzione per gli U-212A Seconda Serie fu esercitata il 3 agosto 1999, ma i

finanziamenti furono effettivamente resi disponibili solo con la Legge Finanziaria 200829. Nel

settembre 2002 venne esteso il MoU al supporto in vita dei battelli e data regolazione di

dettaglio a tutti gli aspetti logistici. In particolare, erano quattro i punti affrontati: 1) il

mantenimento di una configurazione comune e l’adozione della relativa documentazione di

carattere tecnico-logistico 2) l’adozione della lingua inglese come standard logistico e di un

identico piano di supporto 3) il procurement in comune dei materiali – con la costituzione di

una sorta di magazzino virtuale e l’acquisto del singolo materiale nel paese dove le

condizioni garantivano una maggiore convenienza 4) l’addestramento in comune – con

l’inserimento degli stessi moduli nei centri addestrativi delle due Marine. Infine, venne

stabilita la creazione di un board logistico.

Da un punto di vista industriale, come accennato, l'U212 era un progetto di battello già

sostanzialmente sviluppato tanto è vero che il contributo della cantieristica italiana in sede

di sviluppo è stato tutto sommato limitato. Fincantieri è il prime contractor per i battelli italiani

che vengono prodotti con assistenza e dietro trasferimento di know how produttivo presso il

cantiere spezzino di Muggiano. Inoltre, il campione cantieristico nazionale ha curato anche

alcuni aspetti dei rivestimenti dello scafo in modo che fosse garantita ai battelli la capacità

di operare anche in acque più profonde di quelle del Baltico, contrariamente a quanto

previsto nel disegno originario degli U212 tedeschi. Questo ha comportato un incremento

degli spessori, dei pesi e dei costi, ma ha consentito di realizzare un sottomarino idoneo

all'impiego in ogni tipo di fondale. Nel complesso, l’attività di realizzazione dei quattro battelli

ha permesso a Fincantieri di maturare una buona conoscenza dei battelli stessi e del relativo

processo costruttivo. Difficile, ad onor del vero, capire quanto tale capitale industriale

potrebbe essere trasferito, in un processo inverso, in capacità progettuali. Probabilmente, i

quattro nuovi battelli per la Marina Militare costituiranno un utile banco di prova in tal senso.

Altri contributi importanti sono quelli di Calzoni, responsabile per i sollevamenti idraulici

e per la parte snorkel di tutti (compresi gli organi di movimento) e dieci i battelli, WASS-

Leonardo, che ha contribuito alla produzione degli idrofoni e all’integrazione a bordo dei soli

29 Il relativo contratto fu poi firmato ad aprile 2008 ed il taglio della lamiera del 'primo dei due U212A Seconda

Serie avvenne nel cantiere del Muggiano a dicembre 2009.

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battelli italiani del siluro A184 Mod.3, e, infine, Avio, responsabile per l’autopilota di tutti i

battelli con le relative interfacce verso gli organi di movimento. A questa partecipazione che

possiamo considerare “macro” bisogna poi aggiungere la rete di subforniture con tutta una

serie di contributi provenienti da aziende minori riguardanti pompe, coibentazioni,

componenti elettrici ecc. Il programma U-212A, infatti, ha permesso di consolidare una filiera

di fornitori molto estesa e complessa, che è cresciuta lungo tutto il periodo di svolgimento

del programma U-212A, dalla prima alla seconda serie, maturando una serie di competenze

specifiche che oggi, alla luce del nuovo programma di acquisizione di sottomarini della MM,

assume un valore rilevante. Stiamo parlando di una base industriale molto solida con decine

di fornitori, coordinati dal prima contractor italiano Fincantieri, attivi in diversi sensori quali:

materiali in acciai speciali e compositi, materiali per la riduzione ed il controllo delle

segnature, impiantistica, sistemi di vario genere (navigazione, sensoristica, lancio e

recupero di AUV, ecc.), software, motoristica, ecc.

Inoltre, un altro elemento importante da sottolineare è il fatto che la ventennale

esperienza con il programma U-212A ha permesso di maturare una competenza sovrana in

termini di supporto e manutenzione che costituisce un indubbio valore aggiunto e che ha

fondamentali ricadute pure sul piano dell'operatività.

Gli U-212A sono sottomarini d'attacco progettati per affrontare tanto unità subacquee

quanto di superficie, nonché infiltrare forze speciali in territorio ostile; sono infatti in grado di

passare inosservati manovrando anche in bassi fondali alla minima velocità. La loro

silenziosità e la capacità di occultamento ne fanno piattaforme particolarmente idonee ad

attività intelligence e di sorveglianza delle aree assegnate, integrandosi efficacemente in

dispositivi di difesa nazionali e non.

Da un punto di vista tecnico (chiaramente non era questa la sede per una completa

descrizione tecnica dell’U-212A), gli U212A si basano su uno scafo resistente formato da

due cilindri di diverso diametro collegati tra loro da un tratto conico lungo 2 m; il corpo

prodiero è a scafo singolo, quello poppiero è a doppio scafo per l’esigenza di uno scafo

leggero che contenga i contenitori di ossigeno e di idrogeno necessari per il sistema AIP.

Le estremità dello scafo resistente sono chiuse da due calotte sferiche ribassate. Lo scafo

è realizzato nello speciale acciaio amagnetico tedesco Tipo 1.3964 e lo stesso materiale è

utilizzato in diversi elementi strutturali interni. Il design è tozzo, del resto stiamo parlando di

battelli con una lunghezza complessiva di quasi 56 metri ed un diametro massimo di 7 metri,

e quindi sulla carta gli U-212A dovrebbero avere doti di manovrabilità tutt'altro che eccellenti.

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Per ovviare a questa problematica sono stati adottati timoni poppieri a X di dimensioni

generose a funzionamento indipendente (il battello è governabile anche con un solo

segmento in funzione). I timoni possono essere deflessi fino ad un massimo di 35° ed hanno

una formidabile autorità di comando. In emersione, ad una velocità di 6 nodi, con 10° di

barra il raggio di virata è di circa 400 metri, che si dimezzano con barra standard. La formula

X, poi, offre un ulteriore vantaggio, affatto trascurabile: consente più facilmente al battello di

posarsi sul fondo (questo non è un requisito dell’U-212A, ma un requisito strettamente

italiano).

Il disegno del battello, poi, è ottimizzato per ridurre sia la resistenza idrodinamica, sia,

soprattutto, la generazione di rumore e/o scie. Un esempio evidente in tal senso è

rappresentato dall'ampia vela, di generose dimensioni (rese necessarie per ospitare la

camera stagna per gli operatori delle forze speciali ed attrezzature marinaresche

significative, oltre all’abituale "foresta" di alberi e antenne), perfettamente raccordata allo

scafo e dotata di linee davvero filanti.

Sui due lati della vela si trovano anche gli scarichi del motore termico, anche questi

raccordati in modo accurato, e i due timoni di profondità che hanno un’escursione di +/- 25°.

La scelta tradizionale di collocare i timoni in questa posizione, piuttosto che in posizione più

avanzata, sullo scafo, è dettata dalla volontà di evitare la creazione di rumore nella zona

prodiera dove si trova la base conforme/circolare passiva principale del sonar.

Le vela è largamente ricoperta di materiale speciale radar assorbente (RAM)

ottimizzato per un'ampia gamma di frequenze tra i 2 ed i 18 GHz.

Anche se più piccoli dei Sauro (sette metri in meno di lunghezza), i Todaro presentano

una maggiore abitabilità rispetto a questi; gli alloggi, su due piani, sono allocati nel settore

anteriore (appena dietro il comparto di lancio) dove ciascun membro dell'equipaggio ha una

branda (cosa alquanto inconsueta sui sottomarini, specie se SSK), vi sono poi un quadrato

equipaggio piccolo ma funzionale ed una CIC (Combat Information Centre) piuttosto

spaziosa. L'equipaggio è ridotto a sole 27 unità (contro il doppio del personale impiegato

sulla classe Sauro) considerando l'alto livello di automazione e le avanzate tecnologie

impiegate sui battelli.

La caratteristica peculiare degli U-212A è senza dubbio il sistema di propulsione

indipendente dall'aria di tipo a celle a combustibile che ad oggi rappresenta il più avanzato

e performante al mondo. Tale sistema garantisce un'autonomia in immersione, a moderata

velocità, stimabile in circa due settimane, ossia tre/quattro volte superiore a quella dei

sistemi tradizionali vincolati dalla necessità di portarsi periodicamente a quota periscopica

per ricaricare (a mezzo due o più motori Diesel azionanti un corrispondente numero di

50

dinamo che producono energia elettrica) a snorkel le batterie (che, una volta a quota

profonda, dovranno alimentare sia il propulsore elettrico connesso all’elica che gli apparati

di bordo)30.

Il sistema AIP degli U-212A si basa sul processo dell'elettrolisi inversa dell’acqua a

mezzo del quale è possibile generare corrente elettrica combinando opportunamente

idrogeno ed ossigeno e convertendo l’energia chimica ottenuta in energia elettrica (evitando

ulteriori passaggi intermedi (generazione di calore o energia meccanica). Il fulcro è costituito

da otto celle a combustibile tipo PEM (Polymer Electrolyte Membrane, otto celle operative

più una di riserva) Siemens BZM34 alimentate da serbatoi dedicati per l'ossigeno

(comburente), ospitato allo stato liquido, a – 183°, in due robusti serbatoi a doppia parete

sistemati nella parte centro-poppiera dorsale del battello, all'esterno dello scafo resistente,

e da quelli per l'idrogeno (combustibile), sistemato in tre gruppi per un totale di 28 di cilindri

"ibridi", metallici, all'esterno dello scafo resistente nei quali l’idrogeno è appunto stivato in

forma di idruri metallici.

Le PEM, azionate dalla combustione di ossigeno e idrogeno, generano energia che

viene trasmessa alle batterie e quindi al motore elettrico Siemens Permasyn a magneti

permanenti da 2,8 MW di potenza che alimenta un'elica a sei pale che opera ad un regime

di 120 giri al minuto. L’impiego delle PEM è centellinato per le situazioni tattiche dove è

effettivamente necessario mantenersi più “invisibili” possibile. Per i trasferimenti e le attività

“non operative”, infatti, si ricorre alla propulsione convenzionale e ad un motore diesel MTU

16V-396 da 3,12 MW.

I benefici di un tale apparato sono facilmente identificabili:

- rumore, irradiato e auto-indotto, molto basso;

- prestazioni indipendenti dalla quota;

- assenza di scarico all’esterno (full covertness);

- autonomia significativa;

- segnatura acustica, magnetica, radar, termica, e ottica (effetto scia) estremamente ridotte.

Un’altra caratteristica all’avanguardia degli U212A è il sistema di combattimento

Kongsberg BCWSC (Basic Combat & Weapons Control System) MSI-90U che consente il

tracciamento automatico di bersagli anche multipli, la valutazione della minaccia e la

direzione del tiro, selezionando e filtrando i dati da immettere nel sistema di tiro e

programmando e seguendo anche tutti i siluri qualora lanciati contemporaneamente.

30 Questa operazione, che può durare anche qualche decina di minuti, rende il battello più esposto alla

rilevazione avversaria.

51

L’armamento è incentrato su sei tubi lanciasiluri da 533 mm per il lancio dei siluri A.184

Mod.3 (integrati mediante interfacce ad hoc dalla WASS-Leonardo), nella prima serie, e sui

Black Shark Advanced, dotati di una nuova pila “nazionale”, nella seconda serie. Il sistema

di lancio dei siluri31 è di concezione tedesca; si basa su un doppio pistone ad acqua ed è in

grado di consentire al battello di lanciare il siluro a distanza di sicurezza, alcune decine di

metri, prima dell'accensione del motore dell'arma, causando così una discreta incertezza

sulla reale posizione del battello qualora i sensori del bersaglio avvertano il moto dell'elica

del siluro. Il sistema in particolare prevede che l'energia per il lancio sia trasmessa da un

pistone idraulico che spinge l'acqua da una camera di distribuzione al tubo di lancio. L'arma

esce silenziosamente dal tubo ad una velocità variabile pre-definita. Un approccio del tutto

diverso rispetto a quello tradizionale “swim out”, più rumoroso. E con questo tipo di lancio si

può attaccare anche in acque davvero poco profonde. Il battello può trasportare un massimo

di 13 siluri, sei nei tubi e sette in apposite slitte collocate a prora.

Il CMS è interfacciato anche con la sensoristica basata sulla suite integrata Atlas

DBQS-40. Questa comprende una base conforme cilindrica, collocata a prua estrema e

denominata CHA, per la copertura delle medie frequenze (1-12 kHz), un array laterale

(FAS), che opera sulle frequenze medio/basse, tra 300 e 2.400 Hz, e il TAS, il sonar a

sensore lineare rimorchiato, che copre le frequenze più basse, secondo alcune fonti tra i 10

ed i 1.200 Hz. A questi apparati bisogna aggiungere il MAS MOA 3070, il sonar attivo in

funzione antimina/scoperta ostacoli, che opera su frequenze elevate 30-70 kHz, ed il sonar

telemetrico PRS.

31 Si tratta di un sistema estremamente silenzioso rispetto a quello ad aria compressa sviluppato da TKMS

rispetto al quale ad oggi l'industria italiana non ha nessun tipo di conoscenza.

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4. Il dopo U212A ed un settore strategico per il Paese

4.1 Future esigenze operative

Per effetto di quei cambiamenti dello scenario internazionale che abbiamo analizzato

e discusso nei capitoli precedenti, anche i requisiti e le esigenze operative stanno evolvendo

di conseguenza; oltretutto a ritmi sempre più incalzanti. Ciò vale anche per il settore

subacqueo che negli ultimi tempi sembra essere tornato ai grandi fasti dell’epoca della

Guerra Fredda. Del resto la proliferazione di sottomarini e sistemi sensoristici e d’arma

connessi è un fenomeno sotto gli occhi di tutti ed ha nel Mediterraneo – scenario di

intervento prioritario per le FA italiane secondo quanto postulato dal Libro Bianco 2015 ed

una delle 2 zone di riferimento, assieme a quella euro-atlantica, per l’interesse nazionale –

uno degli scacchieri di massima espressione. In tal senso, il Mediterraneo è diventato, e

diventerà ancora di più in futuro, un’area sempre più complessa e sofisticata dal punto di

vista della minaccia subacquea con una serie di attori che consolideranno ulteriormente la

loro presenza ed altri, invece, che vi si affacceranno. Abbiamo già parlato del “ritorno” in

grande stile della Russia nel Mediterraneo, della presenza cinese, dei progressi dell’Algeria

e così via, ma adesso vale la pena soffermarsi su quali esigenze operative per una Marina

come quella italiana tali fenomeni sono destinati a suscitare. In particolare, l’elemento di

novità rispetto al passato, pure questo già evidenziato nei precedenti capitoli, è la rinnovata

centralità da parte dell'elemento convenzionale, da qui le esigenze che andremo

brevemente a sintetizzare e che stanno dando vita a tutta una serie di sviluppi che industria

e Marina italiana stanno portando avanti.

Prima di tutto, però, occorre osservare che alla luce dei grandi progressi che la gran

parte degli attori di questo scenario di riferimento stanno compiendo in campo subacqueo,

la primaria e più importante esigenza operativa per una Marina come quella italiana è

disporre di una massa critica nel settore dei sottomarini di almeno 8 unità. Tuttavia, tale

numero può essere a ben vedere ritenuto anche, o solo, come un minimo necessario per

affrontare le sfide attuali e quelle nel futuro a più breve termine, ma in un futuro a più lungo

termine potrebbe risultare insufficiente. L’ottimale, in tal senso, sarebbe infatti pensare ad

una componente subacquea di almeno 13 unità – basti qui pensare solo ai numeri attuali di

Marine come quella Greca o quella Turca – considerando la rapida ri/convenzionalizzazione

dello scenario di cui abbiamo parlato, ma anche e la flessibilità d’impiego degli stessi

sottomarini rivelatasi utilissima anche in compiti più soft quali, per esempio, il monitoraggio

dei flussi d’immigrazione clandestini.

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Per quanto riguarda le capacità strettamente intese, a premiare in futuro sempre di più

ci sarà il binomio occultamento/rilevazione, ovvero la capacità di essere sempre meno

rilevabili alla scoperta avversaria e, allo stesso tempo, la capacità di scoprire una minaccia

sempre più sofisticata e ”invisibile/silenziosa”. In questo settore, gli studi e gli sviluppi sono

notevoli come vedremo nel prossimo paragrafo, ma molto può essere ancora fatto per

incrementare ulteriormente le naturali doti occulte di un sottomarino e, contestualmente, le

capacità per rilevarlo. Qua entrano in gioco gli studi sul design e l’idrodinamica, sui materiali

e, realmente come ultima frontiera, sulle capacità di calcolo connesse alla rilevazione non

acustica.

Poi non dobbiamo dimenticare le capacità d’intelligence e raccolta di informazioni.

Chiaramente stiamo parlando di un settore già molto sviluppato nelle ultime due decadi, ma

con l’affermarsi degli scenari ibridi ed il ritorno della convenzionalità, anche le esigenze

operative legate all’intelligence cambiano e si fanno più sofisticate. Per prima cosa, gli

apparati di osservazione devono essere sempre più precisi e discriminanti e, inoltre, devono

avere la capacità di coprire distanze sempre maggiori. In pratica, l’obbiettivo deve essere

vedere sempre meglio e sempre più in profondità, di notte e di giorno, e con qualunque

condizioni meteo. Con l’affermarsi delle cosiddette strategie A2/AD, pertanto, diventa

fondamentale avere la capacità di monitorare in maniera occulta gli sviluppi militari di un

attore nelle aree costiere e/o prossime alla costa; in particolare, per esempio, la presenza

di batterie missilistiche costiere – ormai sempre più diffuse in tutta l’area del Mediterraneo

Allargato32 – e di lanciarazzi multipli campali impiegati per il tiro antinave, la presenza di

infrastrutture portuali sufficientemente sviluppate per ospitare naviglio veloce d’attacco

molto spesso armato, sempre con missili antinave o con siluri o, ancora, la presenza di

centri di comando e osservazione avanzati per il coordinamento delle stese strategie A2/AD

di cui sopra.

In contesti come questi, altrettanta importanza assumono gli apparati RESM (Radar

Electronic Support Measures) per l’intercettazione delle emissioni elettromagnetiche

avversarie (radar di difesa costiera, radar di tiro, radar di navigazione, ecc.), già

costantemente sviluppati negli ultimi anni, ma suscettibili di ulteriori evoluzioni per adattarli

a scenari elettromagnetici che via, via si fanno sempre più complessi e “agili”.

32 Le batterie costiere missilistiche si stanno diffondendo sia presso attori statuali, sia presso attori non

statuali. In quest'ultimo caso, l’esempio per eccellenza è quello di Hezbollah in Libano.

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In articolare, le due più importanti tendenze in questo campo, come del resto nella

radaristica in generale, sono la miniaturizzazione degli equipaggiamenti, mantenendo

inalterate le potenze, ed il ricorso sempre più esteso ad antenne AESA. Ai sistemi RESM

bisogna aggiungere poi gli apparati CESM (Communications ESM) che stanno iniziando a

diffondersi anche sulle navi ed in misura minore sui sottomarini. E’ chiaro che qui molto

dipende dagli sviluppi tecnologici e dalla capacità di contenere alte potenze di emissione in

sistemi necessariamente compatti, ma possiamo dire che la CESM per sottomarini è

sicuramente una nuova frontiera, la cui esplorazione ed il cui presidio sono necessari per

dare anche ai sottomarini la capacità di intercettare ed analizzare le comunicazioni sia di

naviglio ostile sia tra postazioni e centri di comando e controllo a terra.

Quando parliamo di contrasto alle strategie A2/AD, un ruolo importante può essere

giocato anche dagli UUV (Underwater Unmanned Vehicle). In realtà di UUV si parla già da

molti anni ma una serie di criticità tecniche, a cominciare dal lancio e, in misura maggiore,

dal recupero ne hanno di fatto finora rallentato lo sviluppo e limitato l’impiego. Tuttavia, la

rapida evoluzione e sofisticazione degli scenari che abbiamo visto porteranno sicuramente

ad una nuova accelerazione nel loro sviluppo e produzione. Sì perché un UUV ha tutte le

caratteristiche per operare al meglio soprattutto negli scenari costieri come una sorta di

terminale avanzato di un sottomarino evitando che questo si esponga troppo alla rilevazione

ed alla scoperta avversaria e potendo operare al meglio in scenari caratterizzati da acque

basse. In questi contesti, un UUV può essere molto utile per la rilevazione di campi minati

o per la raccolta informativa garantendo una maggiore flessibilità tattica e minimizzando i

costi ed i rischi rispetto all’impiego negli stessi contesti di un sottomarino. I futuri sottomarini,

dunque, saranno sempre di più chiamati ad operare come piattaforme madre per il

coordinamento di gruppi di UUV, e di altri sistemi non pilotati, e la loro gestione in area

operativa a tutto vantaggio del mantenimento della propria “bassa rilevabilità” e del proprio

potenziale occulto.

Infine, in chiusura di questo paragrafo, un accenno anche sulla capacità di strike

profondo ad opera dei sottomarini. Questo è una tratto che ha caratterizzato profondamente

i recenti conflitti, tutti segnati dall’impiego dei missili TOMAHAWK lanciati da unità di

superficie o, appunto, da sottomarini. Finora si trattava di una capacità esclusiva degli

Americani, e in misura minore degli Inglesi, ma come hanno dimostrato le operazioni in Siria

anche i Russi sono entrati in questo ristretto club, mentre anche altri Paesi, dalla Cina

all’India, posseggono capacità analoghe ancorché non ancora utilizzate in contesti bellici.

55

Non vi è dubbio che la capacità di strike profondo da sottomarini sia una capacità strategica,

che sarà sempre più importante nei futuri conflitti, della quale un Paese come l’Italia, uno

dei principali provider di sicurezza del sistema internazionale33, non può non disporre.

Al momento tale capacità è di esclusiva competenza dell’Aeronautica Militare e la Marina

ne è completamente sprovvista nonostante che del missile Storm Shadow ne esista anche

una versione lanciabile da unità di superficie e subacquee nota come Scalp Naval. Ma su

questo argomento torneremo anche più avanti.

4.2 Studi e sviluppi tecnologici

Negli ultimi 15-20 anni, le industrie, occidentali e non, hanno compiuto progressi

notevoli nella realizzazione di sottomarini. Nel complesso si è trattato di uno sforzo notevole

il cui scopo era migliorare le prestazioni dei battelli sotto il profilo delle caratteristiche di

silenziosità, occultamento, autonomia e così via e che ha abbracciato svariati campi.

Dalla gestione delle segnature, ai materiali, ai sistemi di propulsione, per finire ai nuovi

sistemi di rilevamento non acustici che, ad oggi, costituiscono una delle frontiere di sviluppo

più promettenti in campo subacqueo. Questo sforzo, mai come adesso, deve essere

accompagnato dalla stretta collaborazione tra le stesse industrie, i centri di ricerca e le

università, e le Forze Armate di riferimento. Solo da una profonda sinergie tra questi attori

ed istituzioni, infatti, può scaturire quello sviluppo tecnologico necessario a rendere anche

un sottomarino sempre più performante ed all'avanguardia, esaltandone ancor di più le sue

caratteristiche intrinseche e rendendolo sempre più uno strumento strategico.

Andiamo, pertanto, a vedere cosa si sta facendo, e cosa si potrà fare, in ciascuno dei

settori sopra indicati.

Per quanto riguarda la gestione/controllo della segnatura l’obiettivo è ridurre ai livelli

più bassi possibili la rumorosità idrodinamica e le segnature acustica, magnetica e radar.

A tal proposito sono sempre più diffuse nuove forme “stealth” dello scafo e della vela per

contenere la rumorosità derivante dal flusso. L’idrodinamica, da questo punto di vista, gioca

un ruolo sempre più determinante. I battelli di nuova generazione sono dotati con sempre

maggiore frequenza di una falsatorre più piccola e, in futuro, forse potranno addirittura

esserne privi.

33 Per qualità e quantità dell’impegno militare all’estero, l’Italia è tradizionalmente seconda solo a Stati Uniti

e Gran Bretagna in ambito NATO.

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Ciò garantisce una velocità più elevata, a parità di potenza installata, un miglior controllo

vicino alla superficie (molto importante in aree litoranee) ed una minore rumorosità derivante

dal flusso idrodinamico e dalla cavitazione.

Un contributo importante alla riduzione delle segnature viene anche dal campo dei

materiali. In questo settore si fa ormai ampiamente uso di acciaio amagnetico, di materiali

radar-assorbenti e di rivestimenti anecoici per permettere, rispettivamente, la riduzione

dell'impronta magnetica e radar, e della riflettività sonar. L'importanza dei materiali

amagnetici è, tuttavia, cresciuta ulteriormente in considerazione del ruolo che rivestono le

mine navali nelle strategie A2/AD. L'utilizzo su larga scala di metalli amagnetici, pertanto,

unitamente alla compensazione dei vari apparati di bordo, sono caratteristiche che se

affiancate da un costante controllo e da una costante sensibilità per la problematica,

consentono di ridurre considerevolmente la minaccia.

Tuttavia la vera frontiera in questo settore è costituita da due aspetti: l'impiego sempre

più esteso di materiali compositi, a cominciare dalla fibra di carbonio, nella realizzazione

degli scafi e di altre strutture, e l'uso di algoritmi sempre più complessi per il controllo delle

segnature. Per quanto riguarda il primo aspetto, ad onor del vero, già da diverso tempo i

produttori di sottomarini utilizzano materiali in composito per la realizzazione di sezioni di

prua e di poppa o di altri elementi strutturali, soprattutto per ciò che concerne le

sovrastrutture e le vele34. Materiali di questo tipo sono più leggeri dell’acciaio, pur

presentando analoghe caratteristiche di resistenza, ma possiedono migliori qualità

relativamente allo smorzamento ed alla dispersione delle onde sonore, in virtù di un più

elevato fattore di perdita, ed alle proprietà isolanti ed anti-corrosione. Permettono, inoltre, di

ridurre in maniera significativa i pesi delle componenti.

Attualmente, in questo settore si stanno sviluppando promettenti studi in ricerca

applicata il cui obbiettivo è estendere l'adozione di tali materiali alla realizzazione di ulteriori

parti di sottomarino andando oltre le aree già oggi interessate. In Russia, per esempio, il

Krylov State Research Center è molto impegnato in tale settore ed in ricerche che puntano

a valutare l’impiego su vasta scala di compositi in diversi settori: dagli stabilizzatori, alla

timoneria, alle eliche, passando per gli alberi e così via. Secondo alcune fonti, la Russia

dovrebbe testare la prima elica in composito entro il 2018. Per quanto riguarda, invece, il

secondo aspetto si tratta di un filone legato ai continui e sempre più rapidi progressi nel

campo delle capacità di calcolo e computistiche sfruttando gli enormi passi in avanti compiuti

34 La cantieristica tedesca ha utilizzato materiali compositi in maniera rilevante già sui sottomarini Type 206.

Chiaramente, il riferimento in questione sull’uso dei compositi riguarda lo scafo leggero.

57

in detto settore negli ultimi 20-30 anni. In questo caso l’obbiettivo della ricerca è impiegare

algoritmi sempre più potenti per monitorare continuamente e ricalibrare la segnatura dei

sottomarini onde averne un controllo ed un monitoraggio sempre più stretto e costante.

Peraltro, la capacità di calcolo è fondamentale per un altro aspetto, ovvero per supportare

quelle tecniche – anche in questo caso stiamo parlando di un settore del tutto emergente –

che per la rilevazione dei sottomarini anziché la rumorosità emessa, mirano ad impiegare

altri fenomeni. In pratica, queste tecniche si basano su processori sempre più capaci e

preformanti per captare quelle minime perturbazioni dell’ambiente marino causate da un

sottomarino assunto essere sempre più silenzioso. Si tratta cioè di tecniche che sulla base

di una “fotografia” attesa di un certo ambiente marino, ne rilevano il discostamento

eventualmente provocato dal passaggio al loro interno di una “massa” come quella

rappresentata da un sottomarino. Anche in questo caso, sono molte le ricerche in corso,

comprensive anche di un filone che studia le possibilità di rilevare sottomarini attraverso le

minime emissioni chimiche che lo stesso può rilasciare al suo passaggio35 oppure attraverso

l’impiego di luci laser o strumenti a LED sempre più potenti e capaci di penetrare

maggiormente a fondo l’acqua (anche se ancora oggi si parla della possibilità di detettare

via laser sottomarini vicini al la superficie dell’acqua) evitandone la dispersione.

Proseguendo in questa breve panoramica, non potevamo non soffermarci anche sui

progressi compiuti nel campo della propulsione, in particolare riguardo ai sistemi di

propulsione indipendenti dall’aria ed alle batterie agli ioni di litio. Per quanto riguarda l’AIP,

si tratta di un’applicazione che ha rivoluzionato la propulsione dei sottomarini convenzionali

garantendo anche a questi la possibilità di navigare in immersione per lunghi periodi di

tempo liberandoli dalla necessità di andare a quota snorkel ogni 2-3 giorni come avviene

normalmente con i sistemi di propulsione convenzionale tradizionali. I sistemi AIP di prima

generazione – da quello a celle combustibili tedesco, allo Stirling svedese, passando per il

MESMA francese – hanno avuto una grande successo, esaltando ancor di più le naturali

doti di furtività e flessibilità di un sottomarino – ma, se vogliamo, avevano il limite di essere

adatti solo per battelli relativamente piccoli e, come nel caso soprattutto del sistema tedesco,

dovevano fare i conti con il vincolo logistico del rifornimento dell’idrogeno, con tutta la

connessa infrastruttura di supporto.

Con i sistemi AIP di seconda generazione si punta a risolvere questi problemi e ad

avere, così, sistemi in grado di adattarsi anche a battelli più prestanti e di ridurre gli oneri

35 La capacità computistica è fondamentale anche per i progressi nel campo dei sonar attivi a bassa

frequenza e per migliorarne continuamente le prestazioni in termini di precisione e misurazione della distanza del bersaglio/traccia.

58

logistici. In particolare la francese Naval Group, sull’onda dell’affermazione nella gara

australiana36, sta sviluppando un nuovo sistema denominato FC-2G. Si tratta di un sistema

a celle combustibili che si basa sulla produzione di idrogeno a bordo, a partire dal carburante

diesel standard, per mezzo della riformazione chimica. Semplificando, il processo funziona

come segue. Il carburante viene “spezzettato”/convertito in un reattore operante ad alte

temperature e pressioni ed il prodotto risultante viene poi fatto passare attraverso un Water

Gas Shift Reactor (WGSR), per eliminare il monossido di carbonio, e attraverso delle

membrane, dopodiché si ottiene idrogeno puro pronto per le celle. Parallelamente, l’azienda

francese ha brevettato un sistema che inietta nitrogeno nell’ossigeno, stoccato in un grande

serbatoio come liquido criogenico, nella stessa proporzione della normale aria ed ottenendo

così un mix molto meno reattivo dell’ossigeno puro. Tale “aria sintetica” è poi iniettata nelle

celle a combustibile dove reagisce con l'idrogeno producendo elettricità. Tale tecnica, ormai

in stato di avanzato sviluppo, potrà essere utilizzata da Naval Group anche per applicazioni

di tipo commerciale.

Restando nel campo della propulsione di tipo AIP, vale la pena menzionare anche il

filone di studi, che adesso sta iniziando a prendere campo pure per ciò che concerne la

propulsione marina in generale, relativo alle celle a combustibile a ossidi solidi (SOFC).

Queste ultime utilizzano come elettrolita un materiale allo stato solido anziché un elettrolita

liquido (evitando, dunque, possibili perdite). Il problema è che finora è stato difficile trovare

materiali appropriati, caratterizzati da stabilità termica e chimica, proprietà indispensabili per

operare alle alte temperature di lavoro caratteristiche di questa cella (1000°C). Ad oggi,

esistono una serie di sperimentazioni per applicazioni terrestri, che però hanno il difetto di

essere ancora molto grossolane e di produrre quantitativi di energie relativamente ridotti.

Nonostante questo, diverse grandi aziende, da Rolls Royce, a Siemens, ecc., stanno

percorrendo alacremente questo percorso alla ricerca di nuove e più efficienti soluzioni.

Venendo al settore delle batterie, altra componente fondamentale del sistema di

propulsione di un sottomarino, da tempo sono in corso studi per superare i limiti caratteristici

delle attuali batterie al piombo - essenzialmente: la bassa densità di potenza, la bassa

efficienza di carica/scarica, gli ingombri e il peso - e ridurre, pertanto, la necessità per un

sottomarino di elevarsi con frequenza a quota snorkel per la ricarica. Tali considerazioni

hanno indotto i ricercatori a pensare a nuovi tipi di accumulatori in grado di offrire

caratteristiche più interessanti.

36 Ricordiamo che l'azienda francese si è affermata nella gara per la fornitura alla Marina australiana di 12

sottomarini convenzionali da 4.500 t.

59

Tra questi ci sono sicuramente quelli al litio, ed è esattamente in tale direzione che si è

concentrata la gran parte degli studi e delle ricerche più recenti. La tecnologia agli ioni-litio,

difatti, offre una serie notevoli di vantaggi, tra i quali l’elevata capacità di accumulo e

un'altrettanta elevata densità energetica a fronte di pesi contenuti, nonché un più veloce

tempo di ricarica. Secondo molti studi, le batterie al litio offrono un 30% in più circa di

autonomia rispetto alle tradizionali batterie al piombo. Il limite principale, finora, è stato però

quello della minore sicurezza rispetto alle batterie tradizionali data l’alta infiammabilità del

litio capace di generare incendi molto difficili da estinguere e riportare sotto controllo.

Gli sviluppi, molto promettenti anche in Italia (ma su questo ci torneremo

abbondantemente nei prossimi paragrafi), hanno pertanto mirato proprio a ridurre le criticità

in termini di sicurezza del litio concentrandosi in particolare nell’esplorazione di due aree

idonee ad essere valorizzate per ciò che concerne la propulsione in campo subacqueo.

La prima area riguarda la ricerca finalizzata alla realizzazione di sistemi di propulsione “tutto

elettrici”, dove, come nei sistemi tradizionali, le batterie al litio sono associate

semplicemente ai motori di generazione e propulsione37. La seconda area, invece, riguarda

lo studio di potenziali applicazioni per sistemi ibridi, dove le batterie agli ioni di litio sono

associate a sistemi AIP. Nel primo caso, l’obbiettivo è quello di ottenere quasi la medesima

autonomia dell’AIP, riducendo però la complessità e l’onore logistico della propulsione e

garantendo anche spunti di velocità superiori. Il Giappone, per esempio, negli anni ha

investito letteralmente miliardi di dollari nella ricerca sulle batterie al litio per la propulsione

dei sottomarini. Una ricerca che ha riguardato soprattutto lo sviluppo di matrici a celle con

contenimenti rinforzati, di sostanze chimiche meno suscettibili, di sistemi avanzati e

specialistici di soppressione degli incendi, ecc. I primi applicativi in questo campo risalgono

agli anni sessanta e settanta, ma i problemi legati alle difficoltà tecniche ed ai costi esorbitati

sono stati superati solo di recente. La produzione delle prime due batterie al litio di serie38 è

iniziata nella primavera del 2017 e già entro la fine 2018 le batterie potrebbero essere

consegnate. Inizialmente, le batterie al litio dovrebbero equipaggiare un sottomarino classe

Soryu già in servizio in associazione all’AIP Stirling, rimpiazzando le batterie al piombo, ma

l’obbiettivo, a partite dal 2020, è di andare a bordo dei Soryu di nuova costruzione

nell’ambito di una configurazione “tutto-litio”.

37 Per sfruttare appieno la tecnologia delle batterie al litio nella propulsione sottomarina, occorrono motori

diesel e di generazione più potenti, condotte e prese di scarico più ampie e importanti modiche ai circuiti elettrici.

38 In particolare batterie all'ossido di nickel, cobalto e alluminio (NCA).

60

4.3 L’eredità del programma U-212A

L’U12A ha cambiato letteralmente il volto alla componente subacquea italiana. Questa

non è certo la sede più adatta per una valutazione sulle capacità del sottomarino, ma di

sicuro stiamo parlando del battello convenzionale più evoluto al mondo, che ha garantito al

nostro Paese un incremento esponenziale delle capacità in questo specifico settore. Il

primo, e più importante, vantaggio dell’U212A, pertanto, è stato strettamente operativo,

ovvero quello di essere uno strumento ad altissimo valore nelle mani della Marina e, come

appena affermato, del Paese nel suo complesso. Di fatto, con la capacità espressa dagli

U212A l’Italia si è proiettata al vertice mondiale nel settore assieme a pochissimi altri Paesi.

L’U212A è senz'altro migliore dello Scorpene, il suo principale concorrente occidentale sul

mercato dell'export, in particolare sul versante della silenziosità e delle capacità del sistema

propulsivo, e del Kilo, il principale concorrente, invece, non europeo, ed è molto più

avanzato dell’U214 che ha un sistema propulsivo basato su due soli moduli PEM ed uno

scafo non-amagnetico. In pratica, l’U-212A garantisce delle prestazioni ad oggi inarrivabili

per ogni altro sottomarino convenzionale e di questo ne è buona testimone pure la stessa

US Navy allorquando il Todaro, partecipando ad esercitazioni congiunte, ha dimostrato

notevoli capacità di penetrazione della copertura sonar dei gruppi da battaglia della più

potente Marina del mondo39.

L'altro vantaggio che l’U212A ha garantito alla Difesa italiana in questi anni è stato

senza dubbio quello logistico e di esercizio. Il fatto di poter contare su una flotta di 10 battelli

identici (sei tedeschi più i quattro italiani) ha permesso di semplificare notevolmente il ciclo

logistico e di supporto riducendo in maniera significativa i costi di esercizio, di acquisizione

delle componenti e delle parti di rispetto, e via dicendo. Ma anche sul fronte

dell’addestramento i benefici sono stati rilevanti con la possibilità di stabilire proficue sinergie

tra le due Marine e le due industrie integrando i cicli di formazione, l’impiego dei simulatori

e dei vari tool sintetici e godendo, pertanto, della possibilità di un ulteriore contenimento

delle spese. Insomma, i vantaggi operativi conseguiti con il programma U-212A sono stati

notevoli e sono sotto gli occhi di tutti tanto è vero che sarebbe (stato) un peccato disperderli

in nome di soluzioni “tutte nazionali” che già in passato si sono dimostrate fallimentari.

39 Persino con la silenziosità del battello resa artificialmente minore mediante l’adozione di soluzioni

artigianali...

61

In tale ottica nella primavera del 2017 è stato firmato un nuovo MoU (Memorandum Of

Understanding) tra Italia e Germania per il rinnovo della cooperazione nel campo dei

sottomarini trai due Paesi. Il MoU copre oltre che gli aspetti logistici ed operativi connessi

alla gestione ed al supporto congiunto della flotta dei 10 U-212 in servizio con la Marina

italiana e quella tedesca (inserendosi, pertanto, nel solco del primo MoU firmato dai due

Paesi nel 1996, che, però, riguardava solo procurement, logistica e addestramento), anche

gli aspetti relativi alla ricerca e sviluppo. In pratica, si tratta di un accordo quadro di largo

respiro, rispetto al quale occorrono a valle accordi per regolare più nel dettaglio gli specifici

settori d’interesse, che ha profonde implicazioni future alla luce dei programmi di

acquisizione di nuovi battelli tanto della Marina tedesca quanto di quella italiana, ma anche

dei programmi di altre Marina come quella norvegese (ma su quest’ultimo aspetto torneremo

con maggiore dovizia di dettagli più avanti). Soprattutto gli aspetti relativi alla ricerca e

sviluppo potrebbero consentire, se opportunamente sviluppati, alle industrie dei due paesi

di lavorare su progetti comuni in aree strategiche ed abilitanti tali da portare allo sviluppo di

tecnologie e prodotti potenzialmente impiegabili sui nuovi sottomarini da acquisire. Questo

è un aspetto di straordinaria valenza strategica che come andremo a descrivere meglio nel

prossimo paragrafo dovrebbe caratterizzare i piani della Marina Militare relativamente alla

già formalizzata necessità di acquisire quattro nuovi sottomarini per rimpiazzare i Sauro

Terza e Quarta Serie. Del resto, in occasione della cerimonia della firma dell’accordo tra i

due Pesi, in una dichiarazione congiunta si poteva leggere: “Non solo diverse aree di ricerca

di entrambe le nazioni si completano a vicenda, ma l’esperienza e la conoscenza di diversi

profili applicativi sono inclusi nel progetto”. Ed ancora: “Lo scambio delle informazioni e delle

esperienze anche nel settore della ricerca e sviluppo possono essere utilizzati per un

reciproco vantaggio e l’eliminazione di obsolescenza. Mediante l’acquisizione congiunta e

coordinata delle componenti e dei sistemi di questi battelli, il costo d’acquisizione e

mantenimento sarà inferiore ad attività separate, come già dimostrato dalle attività finora

svolte”.

Su questa versante, inoltre, è da auspicare anche un coinvolgimento sempre più

stretto di università e centri di ricerca in modo tale che sia possibile stabilire sinergie

trasversali, sempre molto proficue quando si parla di ricerca ed innovazione tecnologica, ed

una virtuosa connessione tra questi soggetti, l’industria e chi materialmente emette i requisiti

ed utilizza i sistemi, ovvero la Forza Armata. Per cui, a valle dell’accordo firmato nella

primavera del 2017 possiamo immaginare sia una serie di accordi di dettaglio tra le industrie

dei due Paesi, in particolare in alcuni settori specifici, sia una serie di accordi tra dette

industrie e università/centri di ricerca per conseguire una sinergia finalizzata all’ottenimento

62

di tecnologie impiegabili in tempi contenuti ed all’esaltazione del contenuto italiano dei nuovi

battelli in cooperazione internazionale.

Tornando ai vantaggi della cooperazione internazionale ed al lascito del programma

U-212A, anche l’industria nazionale ha comunque tratto innegabili benefici da questo

schema. Certo, l’U-212A non è progetto italiano e come abbiamo visto quando la Marina

decise di stabilire una cooperazione con la Germania si trattava di un sottomarino la cui

progettazione, appunto, era di fatto già conclusa, ma l’esperienza di per sé è stata rilevante

considerando che né i Toti né i Sauro sono mai stati esportati.

Innanzitutto, la cantieristica nazionale si è garantita un importante volume industriale

– quantificabile in 6 milioni di ore di attività diretta per entrambe lo coppie – ed ha assorbito

un processo industriale di avanguardia, con le relativa tecniche e modalità, in un settore

altamente complesso. Soprattutto, ha maturato una buona conoscenza dell’U-212A, sia

delle tecnologie che hanno portato al battello sia di diverse aree dello stesso40. Tra queste,

possiamo ricordare la parte elettrica, l’impiantistica, la struttura e le calibrature, nonché le

fuel cells e l’integrazione del sistema di combattimento.

Una delle poche eccezioni è il sistema di lancio dei siluri, il cui funzionamento è ancora

esclusivamente nelle mani di HDW e rispetto al quale Fincantieri ad oggi non ha nessuna

conoscenza. Chiaramente si tratta di un sistema critico, dal lato della sua carica di

innovazione e dei vantaggi operativi che il suo impiego può portare, e questo è senza dubbio

un gap che non può non essere preso in considerazione nell’ambito di un’analisi come

questa il cui scopo è essere quanto più imparziale e “asettica” possibile.

4.4 Tra sviluppi nazionali e cooperazione internazionale: suggerimenti per il dopo-U212A

Considerando tutto quello detto finora, soprattutto nel precedente paragrafo, le

impellenti necessità della Marina Militare per l'acquisizione di quattro nuovi sottomarini

crediamo possano, e debbano, essere assolte al meglio proseguendo sulla strada dei

programmi di cooperazione internazionale mantenendo come base il modello/disegno U-

212. I benefici sono evidenti e qui ci limitiamo a riassumerli brevemente, iniziando dalle

prestazioni. L’U212A è il sottomarino convenzionale più avanzato al mondo e promette di

esserlo anche nel prossimo futuro grazie a margini di crescita che ci sono ed a quegli

40 Come emerso da colloqui avuti dall'Autore con rappresentanti di vertice di Fincantieri.

63

sviluppi tecnologici che potrebbero accompagnare nei prossimi 30 anni l'evoluzione della

piattaforma e del disegno. E poi, di nuovo, bisogna ricordare i benefici logistici e la possibilità

di contenere i costi relativi al ciclo di esercizio ed al mantenimento delle componenti e degli

apparati. In pratica, al solito, un numero maggiore di “pezzi” consente di spalmare

maggiormente i costi e ridurli nel tempo. E lo stesso, poi, vale per la parte addestrativa e

per l'acquisizione dei necessari tool sintetici e non per un training altamente specifico come

quello necessario a formare il personale sommergibilista.

Distanziarsi adesso da questo progetto significherebbe perdere questi vantaggi e

dover ripartire fronteggiando una serie di rischi notevoli. Prima di tutto in chiave di

ingegnerizzazione perché pur avendo l’industria nazionale acquisito una buona conoscenza

dell’U-212A41 vi sono alcune aree di esso che ad oggi restano dei “buchi neri” e questo

significa o maggiori costi o l’accettazione di minori capacità rispetto a quelle attualmente

garantite dall’U212A. In entrambi i casi si tratterebbe di alternative inaccettabili dopo

un’esperienza, come quella degli U-212A, rivelatasi di successo. Poi ci sono altri due gravi

ostacoli che in questo momento, e ragionevolmente nei prossimi 5-10 anni, influirebbero

negativamente su una nuova via italiana al sottomarino. Il primo riguarda la sensoristica, ed

in particolar modo il sonar. In questo campo l’industria nazionale ad oggi non ha prodotti in

portafoglio e non ha in programma di svilupparne in futuro42. Si tratta di una lacuna rilevante

che le poche risorse disponibili in ricerca e sviluppo43 non hanno permesso di colmare nel

corso degli anni. E questo è tanto più importante laddove si pensi che il sottomarino,

esattamente come un aereo e forse ancor più di un nave di superficie, si presenta come un

unicum inscindibile “piattaforma-sistema di combattimento-sensoristica” che richiede ad

ogni sua parte, che sia un sistema/impianto, più o meno complesso, di essere integrata ed

armonizzata con tutto il resto. In pratica la scelta della suite sonar determina anche quella

del sistema di combattimento ragion per cui l’Italia dovrebbe comunque ricorrere a fornitori

stranieri che, ad oggi, essenzialmente sono francesi e tedesco/norvegesi, pure qualora

volesse intraprendere la strada di un programma interamente nazionale per l'acquisizione

di nuovi sottomarini. Peraltro, questo problema si era già evidenziato con gli stessi Sauro

visto che per la modernizzazione dei battelli si era scelto di adottare CMS e suite sonar

tedeschi.

41 Tanto è vero che la cantieristica nazionale per un’eventuale seconda coppia “post-U-212” “tutta

nazionale” ripartirebbe comunque dal disegno U-212A e dall'esperienza maturata con questo. 42 L’unico prodotto recente in questo campo è il VDS ATAS che dovrebbe presumibilmente andare ad

equipaggiare i PPA. 43 La ridotte spesa in R&D è purtroppo una caratteristica del budget della Difesa italiano. Mediamente si

parla di una cifra compresa tra i 40 ed i 50 milioni di euro.

64

E poi c’è la questione aperta della propulsione AIP, di cui parleremo con più dovizia di

dettagli nel paragrafo successivo. Ad oggi, l’Italia ha solo progetti di ricerca in questo campo

e non ha nessun prodotto industrializzato, pronto per l’eventuale installazione su una

piattaforma e per le valutazioni operative di corredo. Ragionevolmente è lecito pensare che

soluzioni nazionali prototipali complete in questo campo possano materializzarsi non prima

di tre anni, assumendo che le ricerche si trasformino a breve in veri e propri programmi di

sviluppo, solidi da un punto di vista finanziario e con buone aspettative di successo.

In definitiva, un percorso esclusivamente nazionale potrebbe trasformarsi una

riedizione dell’esperienza dell’S-90 con rischi e costi troppo alti, o relativamente troppo alti

pensando ai benefici ottenibili con un'evoluzione dell’U-212, giustificabili solo a fronte di una

forte affermazione sul mercato dell’export che, ad oggi, con queste condizioni di mercato e

con questi concorrenti (vedi i primi capitoli di questo lavoro), appare del tutto impossibile44.

Allora, l’opzione migliore sembra essere quella di proseguire la cooperazione

internazionale implementando una prudente e realistica strategia di progressiva

“italianizzazione” del progetto U-212 (U-212E-Evoluto oppure U212NFS Near Future

Submarine), incardinata su un piano strategico agli accordi con la Germania, già rinnovati,

e, auspicabilmente, da allargare anche alla Norvegia, e declinata sul piano industriale in

investimenti mirati ad alcuni settori dove ad oggi l’industria nazionale ha acquisito un know

how che promette di essere premiante e che potrebbe essere anche speso proprio sul piano

di questa cooperazione in ambito europeo.

Del resto il MoU tra Italia e Germania va già in tale direzione, ma come si accennava

sarebbe inoltre strategicamente ottimale creare una convergenza tra la cooperazione Italia-

Germania e la cooperazione Norvegia-Germania45.

44 Peraltro, nel prossimo futuro le caratteristiche del mercato dei sottomarini che abbiamo già evidenziato,

rigidità e oligopolio, non sembrano destinate a cambiare neanche in virtù dell’ingresso di player quali la Cina o la Corea del Sud. La prima non sembra poter andare oltre una fetta del mercato asiatico – una fetta peraltro di un certo rilievo se si pensa al Pakistan ed al fatto che lo stesso Pakistan aveva finora acquistato sottomarini di produzione occidentale – mentre la seconda è legata alle licenze ed al consenso all’esportazione da parte della Germania. Per cui, anche tra 20-30 anni il mercato dei sottomarini continuerà ad essere un “terreno di caccia privilegiato” per Germania, Francia e Russia. In tale quadro l’Italia può avere un ruolo dal lato di quelle forniture, di cui parliamo nel presente capitolo, riguardanti alcuni settori più competitivi e a più alto valore aggiunto, nell’ottica della cooperazione con Germania/Norvegia. Tuttavia in una prospettiva di più lungo termine, i cui contorni ad oggi sono difficilmente prevedibili, l’alleanza cantieristica tra Fincantieri e Naval Group in corso di definizione potrebbe sconvolgere in maniera significativa ogni previsione.

45 In alcuni consessi si era parlato di allargare questa cooperazione eventualmente anche a Polonia e Olanda. Tuttavia, vale la pena ricordare che la Polonia ha firmato degli accordi di cooperazione sia con Saab sia con Naval Group, mentre, per quanto riguarda l'Olanda, Saab ha già sottoscritto un accordo con Damen per lavorare a delle soluzioni per la futura sostituzione dei sottomarini classe Walrus attualmente in servizio.

65

Quest’ultima è molto avanti e poggia sulla solida base rappresentata dall’esperienza

maturata con l’U-212 che, come più volte ricordato, ha un CMS prodotto dall’azienda

norvegese Kongsberg. A livello intergovernativo tale cooperazione è stata formalizzata nel

febbraio 2017 con la selezione da parte della Marina norvegese del cantiere tedesco TKMS,

che ha battuto i francesi di Naval Group, per la fornitura di quattro nuovi sottomarini, per il

rimpiazzo degli Ula attualmente in servizio, basati su un’evoluzione del design dell’U-212 e

noti al momento come U-212 NG (Next Generation). Dopo di allora sono partite le

negoziazioni a livello industriale per giungere alla firma del contratto di acquisizione

presumibilmente tra il 2018 ed il 2019. Se il contratto venisse firmato nel 2019, la Norvegia

potrebbe ottenere il primo battello nel 2022 con un completamento della fornitura entro il

2025.

Il mese successivo, inoltre, TKMS, Atlas e Kongsberg hanno firmato un accordo per la

creazione di una joint venture, con base in Norvegia, responsabile per la fornitura in

esclusiva dei CMS per i sottomarini di produzione TKMS, sia per le rispettive Marine sia per

l’export. In pratica, con questo accordo il binomio tra CMS norvegese e sottomarino tedesco

(con suite sonar integrata tedesca di fornitura Atlas), dimostratosi già assolutamente

affidabile e vincente sugli U-212, viene reso inscindibile ed applicabile anche alla futura

famiglia che trarrà origine come evoluzione del disegno U-212. La nuova jojnt venture,

pertanto, sarà responsabile unico per lo sviluppo, produzione e fornitura del CMS e di tutte

le sue componenti a qualunque cliente acquisterà un battello prodotto da TKMS.

Una cooperazione a tre46, sebbene i requisiti tra le tre Marine siano distanti – a quanto

ci è dato sapere tra l’U-212 NG tedesco-norvegese e l’U-212 E/NSF italiano c’è una rilevante

differenza in termini di dislocamento quantificabile in circa 500 t, sarebbe comunque

auspicabile sia per i benefici logistici e d’integrazione operativa (che non stiamo qui a

ricordare) sia sul fronte della cooperazione e delle sinergie industriali. Una base composta

da un elevato numero di piattaforme derivate tutte dal medesimo design, un design

ampiamente collaudato e provato, permetterebbe difatti lo sviluppo di ampie sinergie e la

creazione di importanti opportunità per l’industria nazionale di entrare con i prodotti

maggiormente consolidati e di successo, dove cioè il presidio tecnologico italiano è saldo e

competitivo, anche nel progetto tedesco-norvegese.

46 Del resto, già nel comunicato congiunto emesso durante la cerimonia di firma dell'accordo di

cooperazione tra Italia e Germania si poteva leggere che: "la cooperazione tedesca recentemente apertasi con la Norvegia per la costruzione non ha intenzione di competere con la già esistente cooperazione tedesco-italiano”. Anzi, “questo accordo consente una maggiore sinergia e offre vantaggi per tutti i partner”.

66

Soprattutto, considerando il fatto che la soluzione più logica per l’eventuale U-212 E/NSF

(prima e seconda coppia) sarebbe quella di continuare ad adottare il binomio CMS

norvegese-sonar tedesco con tutto ciò che questo significherebbe dal punto di vista delle

opportunità di compensazione industriale.

E qui arriviamo al secondo aspetto, ovvero alle modalità con cui questa “nuova” forma

di collaborazione può essere declinata da un punto di vista industriale. In precedenza

parlavamo di un'italianizzazione del progetto U-212, ovvero di una strategia politico-

industriale, alla quale ci risulta lo Stato Maggiore stia lavorando alacremente da tempo, tesa

ad incrementare progressivamente il contenuto nazionale nell’ambito del progetto U-212.

Ebbene, adesso andiamo a vedere nel concreto come questa strategia incrementale

potrebbe delinearsi secondo uno schema di acquisizione che prevede una prima coppia di

U-212E/NSF nell’immediato ed una seconda più avanti nel tempo (entrambe con

CMS/sonar tedesco/norvegese), ma non troppo considerando la necessità di rimpiazzare

nel prossimo decennio anche i Sauro Quarta Serie. In tale ambito, come si diceva,

l'obbiettivo sarebbe quello di ampliare in maniera progressiva il contributo dell'industria

nazionale in quei settori in cui esiste competitività ed una maturità tecnologica già acquisita

ed ulteriormente consolidabile. Ipotizziamo, pertanto, quali potrebbero essere tali contributi

iniziando dalla prima coppia di U-212E/NSF.

Tra gli apporti più immediati e “sicuri”, in ragione delle esperienze acquisite e di

portafogli prodotti consolidati, vi sarebbe senz’altro l'adozione di sollevamenti elettrici della

Calzoni, al posto di quelli elettro-dinamici della stessa Calzoni installati attualmente47, con

la prospettiva, soprattutto in ottica seconda coppia di U-212 E/NSF, di arrivare ad una vela

completamente italiana. Un’altra “sicurezza” è l’autopilota Avio, dopo che questo è già stato

impiegato con successo sia sugli U-212 italiani che su quelli tedeschi, che potrebbe

facilmente beneficiare di ulteriori evoluzioni. Inutile ricordare, poi, che soluzioni del genere

potrebbero essere adottate anche sugli U-212 NG tedesco-norvegesi.

Poi, vi potrebbe essere un coinvolgimento degli Acciai Speciali Terni, compagnia, non

dimentichiamolo, appartenete al gruppo ThyssenKrupp, che potrebbe fornire lo speciale

acciaio amagnetico per lo scafo, mentre anche la stessa Fincantieri ha in corso degli sviluppi

interni molto avanzati riguardanti lo studio su acciai ad altissima resistenza.

47 Sollevamenti che passeranno, come emerso in numerosi colloqui avuti dall'Autore, da sei a otto.

67

Da valutare anche l'apporto di qualche altra PMI nazionale nella fornitura di parti o strutture

in composito che come abbiamo visto sono utilizzate sempre più di frequente nella

costruzione dei sottomarini48.

Passando poi alla propulsione, fermo restando che al momento l'industria nazionale

non ha la capacità di realizzare un sistema AIP, un upgrade importante sulla prima coppia

di U-212E potrebbe riguardare la sostituzione delle tradizionali batterie al piombo con

batterie agli ioni di litio di produzione nazionale lasciando per il resto inalterata l’attuale

configurazione del sistema di propulsione basato sulle PEM, con il "loro" motore Permasyn,

per la propulsione tattico-operativa, ed il diesel MTU, che dovrebbe comunque essere

potenziato fino ai 4 MW, per i trasferimenti e la propulsione "non operativa". Dunque, si

tratterebbe di adottare una propulsione ibrida, ottenuta combinando il sistema AIP a nuove

batterie al litio, potenzialmente in grado di garantire un'ulteriore estensione della già

importante autonomia dei battelli. Nel campo delle batterie agli ioni di litio, l'industria

nazionale è oggi molto avanti con una serie di sviluppi che sono stati condensati nel

programma "Far Seas" portato avanti da Fincantieri assieme all'Università La Sapienza.

Al momento della stesura di questo lavoro era stata completata la terza fase del programma,

ovvero la validazione della soluzione tecnica comprendente il banco con le relative stringhe

(soluzione già brevettata). La quarta, e ultima fase, riguarda l’analisi del comportamento del

sistema su scarica lenta, tipica del sottomarino, con un completamento dello sviluppo

previsto per fine 2017. A quel punto, la soluzione sarebbe pronta per l'industrializzazione e

potrebbe per l'appunto giungere con la contrattualizzazione della prima coppia di U-

212E/NSF, consentendone la “marinizzazione”, la conduzione dei collaudi, la valutazione

della resistenza agli shock, e così via. Anche in questo caso, se l'industrializzazione di una

soluzione del genere fosse rapida, vi sarebbero concrete possibilità di veder esportata tale

tecnologia nell’ambito di quel framework di cooperazione del quale abbiamo parlato finora.

Un altro sviluppo interessante potrebbe riguardare la guerra elettronica. Al momento,

come noto, sugli U-212A italiani sono installati sistemi di origine straniera – Hensoldt sulla

prima coppia ed Indra sulla seconda coppia – ma nel frattempo in campo nazionale sono

occorsi importanti sviluppi che potrebbero avere ripercussioni rilevanti sulla prima coppia di

U-121E/NFS. Ci riferiamo, in particolare, a quanto Elettronica (una delle prime 3-4 aziende

di guerra elettronica al mondo) sta facendo per i Type 218 SG in acquisizione da parte della

Marina di Singapore.

48 Non dimentichiamo che in Italia esiste una solida filiera dedicata alla produzione di strutture e

componentistica aeronautica in materiale composito.

68

Giusto per ricordare, Singapore ha acquistato da TKMS quattro battelli Type 218 SG – due

nel 2013 ed altri due nel maggio 2017 – da consegnarsi, i primi due, nel 2021 e nel 2022, e

gli altri due a partire dal 2024. Elettronica era stata selezionata della Marina di Singapore

per sviluppare e realizzare il sistema RESM dei due battelli, sistema che, a quanto ci risulta

dopo aver sentito l'azienda, è stato già realizzato e consegnato al cliente per l'installazione

sui primi due sottomarini. Inoltre, al momento della stesura del presente lavoro, l'azienda

era in fase di definizione contrattuale per realizzare e fornire un sistema più evoluto,

comprensivo anche della parte CESM (Communications-ESM)49, per la seconda coppia di

Type 218 SG. Per cui, è lecito ritenere che l'azienda possa trasferire/travasare in tempi

pressoché immediati questa esperienza anche in un prodotto nazionale che sia in grado di

soddisfare le esigenze dello Stato Maggiore della Marina. Chiaramente, si tratterebbe di un

fattore molto importante nel percorso di italianizzazione degli U-212 considerando il valore

strategico rivestito dai sistemi e dagli apparati di guerra elettronica, il cui presidio tecnologico

è appannaggio di un ristretto numero di Paesi tra cui, appunto, l'Italia. Pertanto, pure

relativamente alla guerra elettronica l'industria nazionale potrebbe giocarsi le sue carte per

“salire” a bordo della "famiglia U-212 allargata".

Infine, degli sviluppi potrebbero esserci anche nel campo dei sistemi di risalita in

emergenza con le soluzioni proposte dalla Si-14 – basate su contenitori di idrazina,

rilascianti il gas all'interno delle casse di zavorre, e capaci di offrire velocità significative –

ma anche la stessa Fincantieri sta lavorando a delle applicazioni e generando i relativi

brevetti.

Questo processo di italianizzazione potrebbe svilupparsi ancor più compiutamente con

la seconda coppia di U-212E/NSF, rispetto alla quale i tempi consentirebbero la maturazione

di ulteriori tecnologie e la loro industrializzazione a tutto vantaggio del contenuto nazionale

dei battelli. La propulsione sarebbe probabilmente la prima a poter beneficiare di questa

evoluzione e di una tempistica "più rilassata” nel tempo, tanto è vero che oggi non è

azzardato immaginare su questa seconda coppia di battelli l'adozione di un sistema AIP

completo di concezione integralmente italiana. In tale campo la Fincantieri ha già messo a

punto e collaudato un primo dimostratore da 240 Kw che funziona a idrogeno e aria chimica

(generata a bordo mescolando azoto e ossigeno). Il sistema è basato su otto moduli PEM

da 30 Kw tipo Orion forniti dall’azienda americana Nuvera ed è figlio del programma di

ricerca Teseo che ha visto Fincantieri impegnata assieme al CNR ed all’Università di

Messina.

49 Parte CESM fornita, però, da altra azienda.

69

Il programma Teseo, che aveva scopi essenzialmente civili riguardanti l'esplorazione di

soluzioni alternative per la generazione di energia pulita, ha portato alla realizzazione di un

impianto dimostrativo composto da stacks di tipo PEM raffreddati a liquido, collegati a

DC/DC converter su una linea in cui era presente un raddrizzatore da circa 60 kW per la

simulazione di un pacco batterie. Di seguito lo schema:

• 4+4 Stack;

• Potenza 130 kW + 130 kW da progetto; potenza raggiunta 210 Kw;

• Due DC/DC converter 350-600 V;

• Automazione e Controllo.

Sulla base di questa esperienza, Fincantieri potrebbe lanciare a breve un ulteriore

programma di sviluppo per la realizzazione di un dimostratore di superficie completo,

comprensivo, dunque, delle fuell cells, della parte relativa allo stoccaggio dell’idrogeno, di

batterie al litio, ecc. E’ chiaro che uno sforzo tecnologico del genere andrebbe sostenuto

con finanziamenti adeguati in considerazione dei ritorni che potrebbero essere ottenuti

nell’ottica del futuro programma di acquisizione di sottomarini della Marina Militare. A quanto

ci risulta, con i necessari fondi50, Fincantieri potrebbe approntare un primo prototipo di

sistema AIP completo entro un massimo di tre anni: una tempistica che sarebbe allineata

con il procurement della seconda coppia di U-212E.

Un altro sviluppo che consideriamo strategico e che crediamo debba essere

perseguito nell’ottica della seconda coppia di U-212 E/NSF, ma auspicabilmente anche sulla

prima, riguarda l'acquisizione di un missile da crociera land attack a lungo raggio. Ad oggi,

tale capacità in seno alle FA italiane è monopolio dell’Aeronautica Militare51 che l’ha

impiegata con grande successo, e grandi risultati, durante la Guerra di Libia del 2011 a

bordo dei cacciabombardieri TORNADO (mediante l’impiego dei missili Storm Shadow

contro obbiettivi ad alto valore strategico localizzati in profondità sul territorio libico).

Tuttavia, in considerazione dell'evoluzione degli scenari e del fatto che sempre più stati si

vanno dotando di tale capacità di tipo strategico, mentre altri (a cominciare dalla Russia) la

stanno via, via raffinando rendendola sempre più performante e letale, riteniamo che sia

giunto il momento anche per la Marina di dotarsi di un missile da crociera land attack. Detto

ciò, riteniamo anche che nell’eventualità per la Marina Militare sia più opportuno acquisire

un sistema di tipo europeo – quale lo Scalp Naval, per esempio, variante lanciabile da unità

50 Fondi che potrebbero essere ottenuti sia ricorrendo al bilancio della Difesa nazionale sia ricorrendo

all’European Defence Research Program ed all’European Defence Program, i promettenti programmi lanciati nell'ultimo anno dall’UE per sostenere la ricerca militare e lo sviluppo di nuove capacità.

51 Monopolio gelosamente custodito...

70

di superficie e subacquee dello Storm Shaodw aviolanciabile e già impiegato anche dalla

Marina francese – piuttosto che il Tomahawk statunitense. Acquistare il Tomahawk, infatti,

significherebbe essere legati ancor di più agli Americani, ed al loro sistema satellitare GPS,

nonché al loro sistema di pianificazione della missione, per di più in un settore critico ed

altamente strategico come questo. Un’arma europea – legata alla costellazione satellitare

Galileo – offrirebbe, invece, all’Italia maggiore flessibilità ed autonomia strategica,

indispensabili per operare al meglio in contesti che si annunciano sempre più indeterminati,

per non dire schizofrenici. A tal proposito vale la pena ricordare il fatto che Francia e Gran

Bretagna si stanno già portando molto avanti in questo settore e nel marzo 2017 hanno

firmato un contratto per uno studio di concetto congiunto riguardante un nuovo missile da

crociera anti-nave e land-attack denominato, per ora, Future Cruise/Anti-Ship Weapon

(FC/ASW). Il nuovo ordigno, che verrà sviluppato e realizzato dal colosso missilistico MBDA

(partecipato al 25% pure dall’italiana Leonardo), dovrà rimpiazzare in seno alle FA

britanniche e francesi Exocet, Harpoon e, soprattutto, Storm Shadow. Lo studio, a copertura

del quale sono stati stanziati 100 milioni di euro, avrà una durata triennale e dovrà valutare

requisiti e concetti, ponendo le basi per la successiva fase di dimostrazione e sviluppo, con

un workshare ed un carico finanziario tra le 2 parti del 50%. Per quanto riguarda i requisiti,

l’FC/ASW dovrà avere maggiori capacità rispetto ai sistemi che andrà a rimpiazzare in tutti

settori - sopravvivenza, stealthness, portata e letalità – e dovrà essere lanciabile sia da aerei

che da piattaforme navali.

La seconda coppia di U-212E/NSF potrebbe pure beneficiare di interessanti sviluppi

nel settore degli UUV (Unmanned Undrwater Vehicle). Come ricordavamo in precedenza,

fino ad oggi le soluzioni in questo campo sono state penalizzate dalle oggettive difficoltà nel

recupero di tali sistemi e gli sviluppi sono stati nel complesso limitati. Tuttavia, alcune nuove

tendenze si stanno profilando all'orizzonte e riguardo, tra l’altro, anche innovative modalità

di recupero quali, per esempio, l'adozione di speciali selle in coperta dalle quali gli UUV

possono non solo essere lanciati, ma, appunto, essere anche recuperati più facilmente.

In pratica, si tratterrebbe di implementare soluzioni che in qualche misura ricordano le

modalità di lancio e recupero di SDV (Swimmer Delivery Vehiccle) e mini-som permettendo

l'impiego di più piccoli UUV. Questi ultimi, in considerazione dei progressi in campo sonar e

della rilevazione in genere, potrebbero essere usati di un sottomarino come "occhi e orecchi”

avanzati andando ad operare nelle shallow water e in ambiente ostile per la ricognizione

speciale, il monitoraggio di infrastrutture portuali, la scoperta di mine, ecc. e questo

garantendo alla piattaforma madre la possibilità di mantenersi in zone e a distanze di

sicurezza.

71

Inoltre, lo stesso sottomarino potrebbe coordinare più UUV, sfruttando i progressi tecnologici

nel settore delle comunicazioni subacquee, impiegandoli per svariate tipologie di azione,

anche d'attacco, e creando un vero e proprio network subacqueo capace di moltiplicare le

capacità normalmente esprimibili da un singolo battello. In Italia, esiste un'azienda con una

grande esperienza nel settore dei veicoli "marini” autonomi quali GayMarin, specializzata

nella produzione di AUV (Autonomous Underwater Vehicle) e ROV (Remotely Operated

Vehicle), anche spendibili, impiegabili soprattutto per compiti di contromisure mine. A nostro

avviso un UUV dovrebbe essere oggetto di un programma di sviluppo nazionale -

finanziabile in maniera adeguata ricorrendo magari anche ai fondi del MiSE o di qualche

altro Ministero in ragione del potenziale duale del progetto52 oppure ricorrrendo ai succitati

nuovi fondi europei – mirante allo sviluppo della piattaforma, della sensoristica e delle

modalità di controllo e governo e, soprattutto, delle modalità di lancio e recupero. Il tutto

accompagnato da una sistematica e rigorosa campagna di prove e sperimentazioni in

condizioni quanto più realistiche possibile.

4.5 Il dopo-U212A e il mercato: quale spazio per l’industria italiana?

Nel prossimo futuro le caratteristiche del mercato dei sottomarini che abbiamo già

evidenziato nel Cap.2, rigidità e oligopolio, non sembrano destinate a cambiare neanche in

virtù dell’ingresso di nuovi player quali la Cina o la Corea del Sud. La prima difficilmente

potrà andare oltre una fetta del mercato asiatico – una fetta peraltro di un certo rilievo se si

pensa al Pakistan ed al fatto che lo stesso Pakistan aveva finora acquistato sempre

sottomarini di produzione occidentale – mentre la seconda non solo è legata alle licenze ed

al consenso all’esportazione da parte della Germania, ma è dipendente dall’Occidente per

ciò che concerne sistemi di gestione del combattimento e sensoristica. Per cui, anche tra

20-30 anni il mercato dei sottomarini continuerà ad essere un “terreno di caccia privilegiato”

per Germania, Francia e Russia. Tuttavia, in tale quadro l’Italia può avere un ruolo dal lato

di quelle forniture, di cui abbiamo parlato nel presente capitolo, riguardanti alcuni settori più

competitivi e a più alto valore aggiunto, nell’ottica della cooperazione con

Germania/Norvegia, ma anche in una prospettiva più ampia. Procediamo per gradi.

Innanzitutto cerchiamo di tirare le fila e precisare quanto detto circa i prodotti italiani “a

52 Non dimentichiamo che ci sono alcuni programmi della Difesa, come il nuovo missile antinave MARTE

ER, finanziati addirittura in parte con fondi regionali.

72

matrice subacquea” (sia di PMI che di grande imprese) che potrebbero suscitare l’interesse

del mercato internazionale. Ricordiamo, dunque, gli acciai amagnetici, la componente

autopilota, le batterie agli ioni di litio, gli UUV, senza dimenticare guerra elettronica e siluri.

Peraltro, in alcuni di questi settori, l’industria italiana ha già colto importanti successi

all’export. E’ il caso, per esempio, dei siluri, installati pure sui sottomarini francesi classe

Scorpene, o della guerra elettronica se si pensa alle antenne RESM sviluppate e realizzate

da ELT per i Type-218 SG della Marina di Singapore. In questo quadro bisogna considerare

prima di tutto le prospettive che potrebbero aprirsi nell’ambito dell’eventuale cooperazione

triangolare Italia Norvegia-Germania avente come base il disegno U-212. Tali prospettive

potrebbero essere innescate e rese più concrete da logiche di compensazione con

l’adozione di prodotti e tecnologie italiane pure sugli U-212 NG tedesco-norvegesi secondo

uno schema che al binomio piattaforma tedesca/CMS norvegese assocerebbe sistemistica

italiana in diverse aree. Pensiamo, per esempio, ai siluri Black Shark (per i battelli

norvegesi), all’autopilota, peraltro come ricordato già attualmente in uso su tutti gli U-212,

ma anche alla guerra elettronica e pure alle batterie al litio. Sui siluri, inoltre, sarebbe

auspicabile che in una logica di compensazione e cooperazione europea possa essere

annullata la tradizionale competizione tra il siluro italiano e quello tedesco privilegiando un

modello soltanto accordandosi per suddividere il mercato in quote precise.

Detto questo, la cooperazione triangolare è da intendersi come una sorta di base di

partenza ed incubatore, al quale si devono aggiungere ulteriori opportunità riguardanti gli

altri Paesi che hanno in programma l'acquisizione di nuovi sottomarini. Ricordiamo l’Olanda,

ma anche la Polonia, e pure la Romania potrebbe presto porsi il problema del rimpiazzo

dell’unico battello classe Kilo in disuso da tempo. In questi Paesi, anche se un’eventuale

piattaforma di acquisizione fosse diversa dall’U-212 – a tal proposito rammentiamo gli

accordi della Polonia con Naval Group e dell’Olanda con Saab – l’industria italiana potrebbe

lo stesso piazzare alcuni dei prodotti e delle tecnologie succitate ed essere pertanto

competitiva. Non abbiamo parlato degli UUV, ma questo potrebbe essere il driver

considerando anche un ulteriore aspetto molto importante, ovvero le cooperazioni

strutturate previste dalla PESCO ed il progetto nel settore sorveglianza marittima/protezione

dei porti di cui l’Italia è Paese guida e che potrebbe generare interessanti spinoff pure in

ottica AUV/UUV beneficiando dei finanziamenti previsti dall’European Defence Fund53.

53 Il progetto è denominato Harbour & Maritime Surveillance and Protection (HARMSPRO), ma altre

tecnologie a matrice subacquea potrebbero beneficiare dei nuovi fondi europei per la ricerca militare e le capacità, ma questa non è chiaramente la sede per approfondire una tematica d così rilevante interesse.

73

Accanto a queste prospettive, inoltre, non sarebbe neanche da sottovalutare il mercato del

refit e degli upgrade delle flotte esistenti per la risoluzione delle obsolescenze dei battelli

attualmente in servizio e l’acquisizione di capacità maggiormente all’avanguardia. Basti qui

ricordare le grandi flotte sottomarine di Turchia o Grecia o, ancora, di Israele, tutte basate

su piattaforme tedesche/HDW, che nei loro esemplari più anziani potrebbero aver bisogno

di aggiornamenti onde mantenere numeri e masse critiche adeguate a quello scenario,

sempre più competitivo, che abbiamo abbondantemente descritto. Se prendiamo, per

esempio, la Turchia occorre sottolineare che i sei nuovi Type 214 in acquisizione dovranno

rimpiazzare ben 14 Type 209 di diverse serie attualmente in servizio in un rapporto, dunque,

inferiore all’1:2. Non a caso, a quanto ci risulta, in Turchia è già stato lanciato un programma

per l’upgrade dei quattro Preveze, al quale potrebbe e dovrebbe seguire pure

l’ammodernamento dei quattro Gur. Lo stesso discorso vale in parte pure per Israele i cui

primi tre Dolphin si apprestano a raggiungere i 20 anni di servizio operativo. In tutti questi

casi, si potrebbe immaginare una tipologia di refit “pesante” comprensivo di adozione tanto

di nuovi motori diesel quanto del rimpiazzo delle batterie tradizionali con batterie agli ioni-

litio, di sostituzione di apparati RESM (solo nel caso della Turchia, ovviamente,

considerando le capacità dell’industria israeliana in campo EW…) e di introduzione di più

evolute suite RESM/CESM, secondo quanto prevedono le più avanzate tendenze del

settore o, ancora, si potrebbe immaginare la sostituzione dell’autopilota con apparati

maggiormente evoluti ed all’avanguardia, senza dimenticare l’eventuale adozione di nuovi

siluri pesanti.

E’ chiaro, a questo punto, che in un contesto del genere industria e istituzioni – nella

fattispecie Stato Maggiore Marina e NAVARM – dovrebbero stabilire un coordinamento di

sistema/paese in maniera tale da massimizzare gli sforzi per favorire la penetrazione sul

mercato internazionale dei prodotti e delle tecnologie subacquee italiane. Si dovrebbe,

pertanto, creare una sorta di cabina di regia tra Difesa e industria per, nell’ordine:

1. identificare un pacchetto subacqueo nazionale;

2. monitorare i mercati d’interesse;

3. elaborare una strategia di supporto al suddetto pacchetto per favorirne la penetrazione;

4. implementare tale strategia.

Fuori da questa logica sistemica/strategica sforzi disorganici per rendere appetibili sul

mercato prodotti e tecnologie italiane a matrice subacquea potrebbero risultare del tutto vani

se non addirittura controproducenti.

74

Considerazioni conclusive

Il sottomarino è oggi un mezzo straordinariamente ricercato. Le sue naturali doti di

flessibilità e furtività, unitamente al progresso tecnologico, lo hanno reso uno strumento

particolarmente adatto ai nuovi senari. Scenari che se non sono più puramente asimmetrici,

non sono ancor tornati ad essere completamente convenzionali assumendo un carattere

del tutto ibrido. Nello scenario ibrido la minaccia può assumere un ampio grado di variabilità

e presentarsi sotto diverse forme con altrettanto diversa intensità. In questa

indeterminatezza, o se si preferisce, in questa volatilità, il sottomarino diventa protagonista

con le sue caratteristiche di versatilità. Un sottomarino, infatti, senza bisogno di essere

riconfigurato può svolgere nella stessa missione “compiti puramente asimmetrici”, come,

per esempio, il monitoraggio dei flussi migratori in mare, ma anche la ricognizione di

obbiettivi strategici o, ancora, può lanciare missili land attack a cambiamento di ambiente

contro bersagli ad alto valore collocati in profondità sul territorio di un potenziale avversario.

Siamo, pertanto, di fronte ad uno strumento straordinariamente polivalente che sta vivendo

una vera e propria nuova giovinezza dopo i "fasti" della Guerra Fredda e della "caccia" in

Atlantico.

I Paesi che attualmente sono dotati di significative flotte subacquee sono sempre più

numerosi, ben oltre il tradizionale cerchio ristretto rappresentato dalle grandi potenze, ed in

generale si sta assistendo ad una corsa al sottomarino che sta interessando tanto l'Asia

quanto quel Mediterraneo Allargato che così a cuore sta all'Italia. Proprio nel Mediterraneo

Allargato abbiamo visto anche di recente, in occasione del conflitto siriano, l'impiego che

una grande potenza di ritorno come la Russia ha fatto dell'arma subacquea, impiegata per

l'occasione sia come piattaforma d'intelligence occulta, in funzione essenzialmente anti-

NATO, sia come piattaforma per lo strike convenzionale in profondità contro obbiettivi legati

ad infrastrutture terroristiche ampiamente sviluppate e consolidate sul terreno.

Nel bel mezzo di questo contesto l'Italia è chiamata a fare importanti scelte sul piano

dell'acquisizione di nuovi sottomarini considerando il numero di otto battelli "un minimo

sindacale" per far fronte all'evoluzione della minaccia. Questo studio nasce, pertanto,

proprio dall'esigenza di analizzare l'evoluzione dello scenario e del mercato, con tutti i relativi

vincoli, e di valutare, sulla base di detta evoluzione, le opzioni più realistiche e costo-efficaci

per il procurement di almeno quattro nuovi sottomarini convenzionali da parte della Marina

Militare.

75

Ebbene, sulla base di quanto analizzato, abbiamo ritenuto come migliore – in termini

di rapporto costo/efficacia – la prospettiva di continuare con la cooperazione internazionale

implementando una prudente e realistica strategia di italianizzazione del disegno U-212.

Le ragioni, in parte abbastanza evidenti, in parte più complesse, potrebbero essere

riassunte come segue.

La prima, e più ovvia, è che l'esperienza U-212A si è dimostrata un successo e come

tale non ci sarebbero ragioni valide per distanziarvisi e intraprendere strade strettamente

nazionali, soprattutto alla luce delle attuali condizioni di mercato. L'U-212A è un

progetto/disegno vincente sia sul piano delle prestazioni operative sia sul piano dei benefici

logistici, di esercizio e di interoperabilità. Pertanto, continuare su questa strada sarebbe la

scelta più ovvia e sensata per non veder disperso quel patrimonio di benefici ed esperienze

accumulato nell'arco di un ventennio.

In aggiunta a ciò, bisogna considerare il fatto che ad oggi l'industria nazionale non

avrebbe la capacità di sviluppare e realizzare su base interamente nazionale un nuovo

sottomarino a costi accettabili o quanto meno paragonabili a quelli dell’opzione sostanziata

dalla prosecuzione della cooperazione internazionale. Ancora oggi, difatti, esistono alcuni

gap – il sonar, ma pure la progettazione di alcune aree più critiche (abbiamo visto a tal

proposito il sistema di lancio dei siluri) – che per essere colmati in tempi ragionevolmente

brevi necessiterebbero di investimenti massicci, ammortizzabili solo nel caso della

produzione di un cospicuo numero di unità, ovvero di un’affermazione all’export, alquanto

imprevedibile con le condizioni di mercato da noi analizzate nel dettaglio.

Ecco spiegato, dunque, perché ci sembra più prudente e realistico – ed in un'ultima

analisi costo-efficace con un occhio al contribuente – implementare, nell'ambito di una solida

architettura di cooperazione internazionale, una strategia di "italianizzazione" del progetto

U-212 volta ad incrementarne progressivamente il contenuto e l'apporto da parte

dell'industria nazionale. Tale strategia potrebbe essere declinata in una serie di investimenti

mirati ad alcuni settori dove ad oggi l’industria nazionale ha acquisito un know how che

promette di essere premiante. Stiamo parlando di settori quali le batterie al litio, la

propulsione indipendente dall’aria, i materiali compositi e/o gli acciai amagnetici, ecc. che,

se adeguatamente sostenuti, potrebbero garantire il consolidamento di una know how

tecnologico eventualmente spendibile non solo sui battelli destinati alla Marina Militare, ma

anche su quelli destinati alla Marina norvegese o tedesca, ma non solo.

Una base composta da un elevato numero di piattaforme, derivate tutte dal medesimo

design, permetterebbe difatti lo sviluppo di ampie sinergie e la creazione di importanti

opportunità per l’industria nazionale di entrare con i prodotti maggiormente consolidati e di

76

successo, dove cioè il presidio tecnologico italiano è saldo e competitivo, anche sul progetto

tedesco-norvegese. Una prospettiva concreta, certo, posto che, come si diceva, la strategia

che dovrà portare al dischiudersi di tale prospettiva sia adeguatamente sostenuta in termini

finanziari e sia implementata in tempi rapidi.

77

Suggerimenti bibliografici

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• www.naval-technology.com

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• www.mod.uk

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• www.defencetalk.com

• www.defenseindustrydaily.com

• www.defense-update.com

• www.defense.gov

• www.nato.int

• www.defensenews.com

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NOTA SUL Ce.Mi.S.S. e NOTA SUGLI AUTORI

Ce.Mi.S.S.54

Il Centro Militare di Studi Strategici (Ce.Mi.S.S.) è l'Organismo che gestisce, nell'ambito e

per conto del Ministero della Difesa, la ricerca su temi di carattere strategico.

Costituito nel 1987 con Decreto del Ministro della Difesa, il Ce.Mi.S.S. svolge la propria

opera valendosi si esperti civili e militari, italiani ed esteri, in piena libertà di espressione di

pensiero.

Quanto contenuto negli studi pubblicati riflette quindi esclusivamente l'opinione dei

Ricercatori e non quella del Ministero della Difesa.

BIOGRAFIA AUTORE

Pietro Batacchi

Pietro Batacchi è attualmente Direttore di RID – Rivista Italiana Difesa

– la principale rivista del settore Difesa in Italia, e una delle principali

in Europa, collaboratore del CEMISS (Centro Militare di Studi

Strategici) e di numerose riviste specializzate e non italiane ed estere.

Commentatore di radio e TV nazionali e docente presso istituzioni

accademiche e militari - CASD (Centro Alti Studi della Difesa), RIS

(Reparto Informazioni e Sicurezza), Università di Firenze (Corso di

Perfezionamento Intelligence e Sicurezza Nazionale) ecc. - Pietro Batacchi in precedenza

è stato Direttore e Senior Analyst del Ce.S.I. – Centro Studi Internazionali – e Caporedattore

di Panorama Difesa.

_

54 http://www.difesa.it/SMD_/CASD/IM/CeMiSS/Pagine/default.aspx

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Stampato dalla Tipografia delCentro Alti Studi per la Difesa