Del Baldo Mara, a.a. 2010 2011 1 Economia e Governo Delle Piccole Imprese corso semestrale 10...
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Del Baldo Mara, a.a. 2010 2011 1
Economia e GovernoDelle Piccole Imprese
corso semestrale10 crediti
DocenteProf. Mara Del Baldo
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Le basi delle conoscenze (volume I)
PARTE PRIMA
LA PICCOLA IMPRESA NELL’ECONOMIA ITALIANA
Un primo problema: come definire la piccola impresa Le piccole imprese nel sistema industriale italiano
PARTE SECONDA
IMPRENDITORIALITA’, PICCOLI IMPRENDITORI, PICCOLE IMPRESE
L’imprenditorialità L’imprenditorialità e managerialità L’imprenditorialità manageriale Tipologie di piccoli imprenditori e di piccole imprese Il gruppo imprenditoriale L’imprenditorialità femminile
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La Gestione Strategica (volume II) PARTE PRIMA L’IMPRENDITORIALITA’ COME STRATEGIA La creazione dell’impresa Forme alternative di entrata nell’attivita’ d’impresa
PARTE SECONDA LA FORMAZIONE DELLE STRATEGIE NELLA PICCOLA
IMPRESA Le principali “filosofie” di formazione delle strategie Il processo strategico nella piccola impresa Un modello di governo strategico della piccola impresa
PARTE TERZALE OPZIONI STRATEGICHE DELLA PICCOLA IMPRESA Le strategie generiche o di base Le strategie competitive Le strategie di sviluppo quantitativo Le strategie di sviluppo qualitativo Le strategie basate sulla tecnologia Le strategie di internazionalizzazione Le strategie di” turnaround”
PARTE QUARTALA RESPONSABILITA’ SOCIALE D’IMPRESA Obiettivi, contenuti Modalità e ambiti di applicazione Strumenti di rendicontazione e comunicazione Responsabilità sociale e PMI
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Libri di testoMarchini, I.; 2000, Il governo della piccola impresa. Vol. I – Le basi delle conoscenze, 2nd edition (Aspi/Ins-Edit, Genova).
Marchini, I.: 2005, Il governo della piccola impresa. vol. II – La gestione strategica, 2nd edition (Aspi/Ins-Edit, Genova).
Slide su responsabilità sociale d’impresa(caricate su sito)Materiale (glossario, libro verde UE, reperibile su cartaceo in segreteria DESP o scaricabile da sito)L
Letture di approfondimentoConsigliate dal docente durante il corso; copia cartacea(articoli, capitoli di libro, resa disponibile per consultazione e fotocopie presso segreteria DESP)
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LA PICCOLA IMPRESA NELL’ECONOMIA ITALIANA
Perché lo studio della piccola impresa?
La numerosità del comparto
Il contributo all’occupazione
L’inesauribile mobilità
L’impatto nell’ambito sociale e la valenza sociale del tessuto produttivo delle piccole imprese
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IL PROBLEMA DI DEFINIRE LA PICCOLA IMPRESA
1. Difficoltà definitoria:- molti tentativi per definirla;- meglio non definirla, ma descriverne le specificità
2. Utilità di una definizione:- per identificare il segmento di imprese cui fare
riferimento
a. la ricerca empirica
b. provvedimenti legislativi (fiscali, civilistici, di incentivazione, …)
3. Relazione tra tipo di definizione e obiettivi:
Dennis identifica 3 tipi di definizioni:- definizioni basate su indicatori quantitativi o operativi- definizioni qualitative o concettuali- definizioni multidimensionali e ibride
Sul problema definitorio esistono numerosi riferimenti anche nella dottrina economico aziendale (Zappa, 1957; Cattaneo, 1963; Onida, 1968; Amodeo, 1956; Corticelli, 1979 ). Si vedano: Ciambotti M., “La misurazione della dimensione e il problema definitorio della piccola impresa”, Rivista dei dottori commercialisti, n. 1, gen/feb 1984, pp. 92-132; Branciari S., “Considerazioni sulla dimensione d’impresa”, Studi Urbinati, anno LIX, 1986, pp. 73-107.
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Relazione tra tipo di definizione e obiettivi:
Dennis identifica 3 tipi di definizioni:
- definizioni basate su indicatori quantitativi o operativi (n. addetti, fatturato, investimenti fissi, …);
loro limitazioni: evolvere fenomeni ambientali (tecnologia, metro monetario, …)
- definizioni qualitative o concettuali
(studi di economia aziendale che vertono sulle modalità di governo delle imprese)
- definizioni multidimensionali e ibride che costituiscono una combinazione delle precedenti
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Tab. 1 Tipi ed esempi di definizioni di piccola impresa
Criteri definitori
Qualitative o concettuali
Quantitative o operative
Ibride
Unidimensionale
1. Ogni impresa in cui il proprietario conosce i dipendenti.
2. Ogni impresa in cui può individuarsi solo un centro di profitto.
1. Un’impresa industriale che abbia da 10 a 100 addetti.
2. Un’impresa che abbia un fatturato non superiore ai 20 miliardi.
Nessuna per definizione
Multidimensionale
1. Ogni impresa posseduta e gestita in modo indipendente e che non sia dominante nel proprio settore.
1. Un’impresa industriale da 10 a 100 addetti e un fatturato non superiore a 20 miliardi.
1. Un’impresa industriale indipendente con meno di 1200 addetti.
2. Un’impresa che non ha filiali all’estero ed ha attività patrimoniali sino a 100 miliardi.
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Definizioni ibride di importanza storica
U.S. Small Business Act (1953): “E’ piccola impresa quella la cui
proprietà e gestione sono esercitate in modo indipendente e
che non è dominante nel suo settore. Nel settore
manifatturiero il massimo numero di addetti può variare fra 250
e 1500, a seconda dell’attività industriale prevalente”.
Rapporto Bolton (1971): “E’ piccola impresa quella che ha una
quota di mercato relativamente piccola; che è diretta dai suoi
proprietari su base personale; che è indipendente per non
essere parte di una grande azienda e i proprietari non
subiscono controlli esterni nelle loro principali decisioni. La
maggioranza delle imprese industriali con meno di 200 addetti
vi rientra”.
Commissione Cee (1991): “E’ piccola impresa quella che ha
meno di 50 addetti; presenta un fatturato non superiore a 5
milioni di Ecu; appartiene per non oltre un terzo a una grande
impresa al fine di garantire un adeguato grado di
indipendenza”.
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Che cos’è una piccola impresa? ogni impresa in cui il proprietario conosce i dipendenti (Drucker) ogni impresa a proprietà indipendente e non dominante nel suo
settore (SB Act) ogni impresa che costituisce razionalmente un centro di profitto
(McGuire) ogni impresa che ha una dimensione che consente una gestione
personale di uno o pochi soggetti (Hollander)
la struttura e/o lo stile di direzione
la proprietàla non dominanza nel settore o quota di
mercato
la compattezza della funzione imprenditoriale
Definizioni concettuali, astratte non sempre capaci di discriminare realmente il fenomeno
Che cosa meglio caratterizza una piccola impresa? un’impresa con 5 o meno dipendenti (Yugoslavia) un’impresa industriale da 10 a 200 dipendenti (Francia) un’impresa di commercio al dettaglio con 10 o meno negozi
Definizioni operative che aiutano a discriminare una piccola impresa
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Come viene definita una piccola impresa?Un’impresa con un fatturato lordo non superiore a 70.000
volte il salario minimo orario (Central Bank of Brasil)Un’impresa senza filiali all’estero che non occupi più di 2000
square feet con i suoi impianti.Impresa con meno di 50 addetti, con fatturato inferiore a 5
milioni di Ecu, appartenente per non oltre un terzo a una grande impresa.
Molte definizioni di p.i. in un approccio eclettico possono essere accolte e/o respinte: ognuna contiene elementi di vitalità ma anche di unilateralità e di contingenza
non esiste una definizione di Piccola Impresa comunemente accolta
Dal punto di vista dell’analisi microeconomica, ciò che rileva è l’assetto proprietario.
Piccola impresa è quella impresa con una proprietà indipendente
La definizione è significativa perché la proprietà indipendente considera l’incidenza dei fattori soggettivi e
personali.
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RACCOMANDAZIONE DELLA COMMISSIONE 2003/361/CE
C(2003) 1422 defdel 6 maggio 2003
Relativa alla definizione delle microimprese, piccole e medie imprese
La categoria delle microimprese, delle piccole e delle medie imprese è costituita da imprese che occupano meno di 250 persone, il cui fatturato annuo non supera i 50 milioni di euro oppure il cui totale di bilancio annuo non supera i 43 milioni di euro
Si definisce PICCOLA IMPRESA un’impresa che occupa meno di 50 persone e realizza un fatturato annuo o un totale di bilancio annuo non superiore a 10 milioni di euro.
Si definisce MICROIMPRESA un’impresa che occupa meno di 10 persone e realizza un fatturato annuo o un totale di bilancio annuo non superiore a 2 milioni di euro
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I censimenti ISTAT riferiti alle imprese industriali
ANNO DI RILEVAZIONE
Fino a 99 addetti Da 1 a 49 addetti Da 1 a 249 addetti
% imprese
%
occupati
% imprese
% occupati
% imprese
% occupati
1971 98.8 48.5
1981 98.9 55.4
1991 99.0 63.3
1996 98.7 62.3 99.8 79.0
Nel sistema industriale italiano la definizione di tipo quantitativo più diffusamente utilizzata considerava P.I. quelle che si attestano alla soglia dei 100 (ante UE) addetti.
L’UE definisce P.I. quelle che occupano sino a 49 addetti, mentre sono imprese MEDIE quelle nell’intervallo 50-249 addetti.
Spesso nelle statistiche non vengono considerate P.I. le microimprese, ossia le imprese che abbiano meno di 10 addetti e a volte anche meno di 20 addetti.
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Imprese attive nell’industria e nei servizi: 4,3 milioniAddetti occupati: 16,8 milioni4 milioni di imprese hanno meno di 10 addetti = 95% del totaleAddetti occupati: 47%3,5 milioni di imprese con 10-49 addettiAddetti occupati: 21%
Medie imprese (50-249 addetti) = 12% 2 milioni di addetti
Imprese con oltre 249 addetti = 0,08% (n. 3.435 imprese)Addetti = 20% ( 3,3 milioni di persone)
LA P.I. NELL’ECONOMIA ITALIANALA CRESCITA DEL COMPARTO
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PMI GRANDE TOTALE
Numero di imprese
(000)
20.415 40 20.455
OCCUPAZIONE
(000)
80.790 40.960 121.750
Persone occupate per impresa
(000)
4 1.020 6
Fatturato per impresa
(milioni di Euro)
0,6 255 1,1
Quota di Esportazione sul fatturato (%)
13 21 17
Valore Aggiunto per persona occupata (000)
65 115 80
Piccole e Medie Imprese in Europa (anno 2000)
Fonte: Commissione Europea, 2002.
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Tipologia Numero Imprese
Micro (1-9) 5.500.555
Piccole (10-49) 261.000
Medie (50-249) 29.000
Totale PMI
(1-249)
5.790.000
(controllano l’82,2%
dell’occupazione)
Grandi (oltre 250) 5.800
(controllano il 17,8%
dell’occupazione)
Piccole e Medie Imprese in Italia (anno 2002)
Fonte: Unioncamere, 2002.
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ISCRIZIONI CESSAZIONI TOT IMPRESE REGISTRTAA
TE
TASSO DI NATALITA’
TASSO DI MORTALIT
A’
1998 408.475 368.023 5.516.583 7,40% 6,67%
1999 390.074 313.345 5.595.363 6,97% 5,60%
2000 403.408 316.632 5.698.562 7,07% 5,55%
2001 421.451 331.713 5.792.598 7,27% 5,72%
2002 417.204 347.074 5.830.854 7,15% 5,95%
Fonte: Unioncamere, 1998 - 2002.
Nuove Imprese in Italia
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IL MODELLO DI SVILUPPO DELL’INDUSTRIA ITALIANA
a. Crescita costante del comparto della P.I.
b. Ridotta dimensione media del comparto
Negli anni ’60 il nostro sistema industriale era tale per cui le grandi imprese non giocavano un ruolo assimilabile a quello osservato in altri Paesi.
Nel decennio ’70-’80 l’avvio del decentramento produttivo e della deverticalizzazione (downsizing) è stato particolarmente accentuato in Italia: tra il 70 ed il 1995 l’occupazione nelle imprese con oltre 500 addetti si dimezza e quella nelle imprese sino a 99 aumenta.
Quali ipotesi interpretative alla crescita del comparto?
1. è un fenomeno transitorio del processo di sviluppo economico;
2. è un vero e proprio cambiamento strutturale dello sviluppo industriale
In base alla seconda ipotesi si sono sviluppati due modelli interpretativi:
a. modello dualista: dove si afferma che la PI è dipendente dalla G.I. con manodopera meno qualificata, sindacalmente meno protetta e meno remunerata
b. modello della specializzazione flessibile: dove la PI acquisisce il proprio ruolo autonomo attraverso la specializzazione completa di determinate fasi di produzione con l’impiego di manodopera qualificata
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IL MODELLO DELLA SPECIALIZZAZIONE FLESSIBILE
La specializzazione flessibile - come modello di successo delle PI:applicabile alle AREE PERIFERICHE (“Terza ITalia”, Fuà)- come nuovo principio organizzativo dei processi produttivi e del
lavoro
1. condizioni di elasticità della struttura tecnico/produttiva come capacità di risposta alla variabilità quantitativa della domanda senza aumento dei costi unitari;
2. condizioni di flessibilità come capacità di adeguamento alla variabilità qualitativa della domanda (differenziazione ed innovazione dei prodotti)
3. dipendono e determinano
Impiego di impianti despecializzati e di lavoratori con professionalità polivanti;
committenza a lavoratori autonomi;
produzione più artigianale, personalizzata, di elevata qualità;
orari flessibili;
ricomposizione delle mansioni;
reti di rapporti di collaborazione: il ruolo delle imprese “guida”.
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Gli aspetti e le caratteristiche del modello della specializzazione flessibile hanno determinato vantaggi differenziali a favore delle PMI
Ruolo non marginale nei sistemi economici
Tuttavia è stato oggetto di analisi critiche sottoil profilo economico e sociale (Ash Amin):-Non può essere decretata la fine del fordismo;-La differenziazione del prodotto non contraddice lelogiche delle produzioni di massa (modelli interconnessi basati su moduli comuni);-Condizioni di lavoro non sempre migliorative-Minore assorbimento di forza lavoro rispetto alla produzione di massa;-Strategie di globalizzazione e di integrazione internazionale vs. confini localistici-….
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Questioni critiche del modello di specializzazione flessibile
- è vero che i sistemi articolati di produzione seguano la fine del fordismo e delle produzioni di massa?
- è vero che la loro flessibilità li sottrae totalmente a fenomeni recessivi?
- è vero che migliorano le condizioni del fattore lavoro? E l’occupazione?
- sono davvero i sistemi locali un punto di arrivo e di superamento della grande impresa verticalizzata in grado di resistere alle strategie di globalizzazione?
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I SISTEMI LOCALI DI PICCOLE IMPRESEInsiemi di imprese o di unità produttive localizzate in aree geografiche
definite al cui interno si manifestano i fenomeni di divisione del lavoro e di forme intense di collaborazione.
Definizione (Becattini)
Il distretto industriale è un aggregato di imprese di minori dimensioni che insiste in un ‘area geografica e all’interno del quale si attuano la divisione del lavoro e si collabora per ottenere l’output finale
Esso è caratterizzato
- da economie di specializzazione che sostituiscono le economie di scala;
- da economie di localizzazione (disponibilità dei fattori di produzione, infrastrutture, …)
- da economie di agglomerazione (la ricomposizione del ciclo produttivo attraverso la collaborazione tra le imprese specializzate);
- dalla variabile sociologica di appartenenza al dato settore industriale come fattore di cultura industriale che accresce i rendimenti;
- dalla presenza di altri tipi di industria al servizio di quella dominante (beni strumentali, servizi, …).
Vocazione monoculturale: è intorno alla data industria che si plasma l’elemento sociologico e si osserva l’insediamento di imprese appartenenti a settori diversi, ma al servizio dell’industria dominante
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Altre denominazioni o forme di aggregati territoriali di piccole imprese:
A. Sistemi Articolati di Produzione (Nuti)B. Sistemi Produttivi Locali (Garofoli) in cui si distinguono:
1. aree di specializzazione produttiva:a. sistema locale di tipo orizzontale in quanto tutte le imprese sono concorrenti;b. manca la componente sociale, le interrelazioni tra imprese;c. sono presenti le condizioni economiche favorevoli a insediamenti industriali, basso costo del lavoro e sua flessibilità d’uso.
2. Sistemi Produttivi Locali:a. sistema locale di tipo orizzontale in quanto tutte le imprese sono concorrenti;b. esistono delle interrelazioni produttive-sociali-territoriali tra le imprese;c. settore monoculturale.
3. Aree Sistema:a. forma più evoluta di un’area periferica;b. esistono forme di coordinamento, di cooperazione e di organizzazione;c. settore multiculturale (a differenza del distretto) con interrelazioni a livello intersettoriale.
- In 1. e 2. vi è una struttura del sistema locale di tipo orizzontale: tutte le imprese sono concorrenti sul medesimo mercato, effettuando lo stesso prodotto, ma in 1 non c’è la componente socio-culturale né ci sono fenomeni di interrelazioni produttive.- In 3. le relazioni orizzontali tra settori diversi dell’area-sistema la configurerebbero come un sistema di sistemi.
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Il sistema locale di piccole imprese (Favaretto, 1995)
IL sistema locale è inteso in modo moltopiù estensivo e comprende anche i processi di sviluppo industriale che si manifestano in ambiti territoriali che superano quelli dei distretti di tipo marshalliano
In ambito regionale si osserva che i distretti non sono agglomerazioni isolate sul territorio, ma si inserisconoin un contesto di insediamenti produttivi diffusi il qualerappresenta un “tessuto connettivo per il sistema produttivo”.
Il sistema locale si configura come distretto regionalea carattere plurisettoriale che comprende: i DISTRETTI il loro HINTERLAND rappresentato dagli INSEDIAMENTIDIFFUSI.
Ampliando l’oggetto di riferimento dell’indagine sui processi di sviluppo locale è possibile osservare come lo sviluppo è promosso da una varietà di interazioni tra i due sub-sistemi e da diversi percorsi
IMPRESE DISTRETTUALI(economie di localizzazione e di agglomerazione)IMPRESE “ISOLATE”
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Punti di debolezza delle aree-sistema (Garofoli):-scarso orientamento al mercato-bassa terziarizzazione (servizi alle imprese)-basso potere contrattuale verso le banche-basso potere contrattuale verso PA, nazionale e territoriale (interventi di politiche industriali)
Dopo la grande espansione degli anni ’70 i distretti entrano in crisi perché:-si esaurisce la crescita della domanda estera-si esauriscono i vantaggi del deprezzamento della liraA fine anni ’80/annni ’90:-calano i livelli occupazionali-si abbassa il tasso di natalità di nuove imprese
Il ruolo di incubator del distretto non garantisce la crescita delle imprese in esso localizzate
Le sfide ambientali che richiedono radicali cambiamenti:-Innovazione nelle tecnologie telematiche-Globalizzazione dei mercati (standardizzazione dei prodotti, reintegrazione del processo produttivo-Concorrenza sui prezzi nei mercati internazionali-Mercantilizzazione del distretto
Sfide e opportunità per i distretti industriali
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Occorre spostare l’attenzione dalle economieesterne a quelle interne all’impresa, conseguibiliattraverso nuovi modelli organizzativi e nuovicomportamenti strategici
Trasformare l’impresa distrettuale da fattore trainato a fattore trainante dei processi evolutividel distretto
- Internazionalizzazione- Nuove competenze e funzioni che rafforzino le capacità di innovazione e competizione- Ruolo delle imprese leader: ruolo di integrazionedi un tessuto frammentato, facendo leva su fattoridi natura organizzativo
Si assiste ad una trasformazione del distretto ditipo marshalliano (Corò, Grandinetti) : i distretti entrano in relazione con soggetti, risorse, competenze, esternea- proiezione verso l’esterno circoscritta ad imprese leaderb- proiezione diffusa di una più ampia base di PMI che moltiplicano i punti di contatto con l’esterno per presidiare i mercati esteri
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a - le imprese leader:-Sviluppano una soggettività strategicaforte-Procedono alla formazione di gruppi -Introducono innovazioni tecnologiche, organizzative, gestionali-Presidiano i mercati di sbocco e delle materie prime, praticano l’outsourcing,..-Riqualificano le reti di subfornitura (customer satisfaction)
Viene meno il modello organizzativo del distretto?
Le imprese leader sono interessate ad investire nella conservazione e riproduzione delle economie distrettuali (competenze professionali, valori socio culturali, ..)?
La delocalizzazione a livello internazionale affievolisce le interdipendenze e le possibilità di apprendimento nel/del distretto?
La formazione di gruppi sostituisce relazioni interne di natura
gerarchica a relazioni basate sulla collaborazione tra le imprese del distetto?
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SPECIALIZZAZIONE TERRITORIALE E SETTORIALE IN ITALIA
La specializzazione territoriale:esistono aree territoriali a forte prevalenza di tessuto e di attività produttive di grandi imprese e altre di piccole imprese.
La specializzazione settoriale:esistono settori a prevalenza di grandi imprese e settori a prevalenza di piccole imprese perché esistono condizioni produttive diverse da quelle che rientrano nel modello interpretativo della specializzazione flessibile.
La tripartizione del sistema industriale italiano:- Economia Centrale Regioni del Nord-Ovest con la G.I.- Economia PerifericaRegioni Centro-Nord-Est con p.m.i.- Economia Marginale Regioni meridionali
La “geografia settoriale” dei distretti italianiMeccanica Emilia RomagnaTessile Lombardia, Toscana (Prato)Abbigliamento Lombardia, Veneto e MarcheCalzatura Veneto (Montebelluna), MarcheCeramica Emilia Romagna (Sassuolo, Carpi)Oreficeria Piemonte (Valenza), Veneto (Vicenza),
Toscana (Arezzo)Concia Campania (Solfora), Toscana
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IMPRENDITORIALITA’Definizione: “l’insieme delle qualità e delle
caratteristiche dell’imprenditore”
Il concetto di imprenditorialità è un concetto derivato da quello dell’imprenditore, infatti:
focalizza l’imprenditore alla base di un fenomeno che ha dato e dà impulso allo sviluppo dei sistemi economici.
Difficoltà di definire l’imprenditore sulla base di identificati attributi: - proprietà dell’impresa- assunzione del rischio- creatività- etc.essi possono riconoscersi anche in soggetti che non sono
imprenditori.Alcune concezioni classiche dell’imprenditore:- Cantillon chi organizza la produzione che ne è
l’iniziatore, il creatore, il responsabile di attività produttive organizzate;
- Smith colui che avvia iniziative produttive (undertaker) con atteggiamento
progettuale (projector) e assumendosi i rischi connessi (adventurer).
IMPRENDITORIALITA’, PICCOLI IMPRENDITORI,PICCOLE IMPRESE
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Le funzioni proprie dell’imprenditore che emergono come elemento caratterizzante della funzione imprenditoriale sono per:
- Schumpeter: la capacità ad innovare
- Knight: l’assunzione del rischio (innovare = fare scelte in condizione di incertezza)
- Cole e Redlich: il potere a decidere, ossia, la funzione di formulazione delle decisioni (compiti di governo)
Due filoni di studio sull’imprenditorialità:
- indirizzo storico: orientato a identificare le ragioni che portano determinati soggetti a farsi imprenditori. (Perché un soggetto si fa imprenditore?)
- indirizzo analitico: pone l’accento su come questi soggetti si comportano; tendendo a far coincidere i concetti di imprenditorialità e managerialità (Come si comportano gli imprenditori?
Quali i loro compiti?)
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L’INDIRIZZO STORICO
Distingue i concetti di imprenditorialità e managerialità poiché considera l’imprenditore chi
- crea l’impresa (fatto innovativo);- per quali motivazioni (lucro);- se ne assume il rischio.
Poiché il concetto di imprenditorialità trova una sua qualificazione nell’attività di creazione dell’impresa, esso viene normalmente associato a quello di piccola impresa.
Nei modelli biologici, che analizzano gli stadi del ciclo vitale delle imprese, una nuova impresa viene gestita in modo indipendente dall’imprenditore
siamo in presenza del fenomeno di coincidenza tra proprietà e controllo
Le indagini di natura storica tendono ad identificare i tratti comuni nei soggetti che si fanno imprenditori.
Il fine del profitto non è fattore dominante verso l’impresa. Esso è perseguito affinché l’impresa rimanga vitale e soddisfi motivazioni psicologiche e spinte sociologiche di chi la crea.
In letteratura diversi contributi identificano le variabili soggettive che sono caratteristiche individuali e condizioni sociali, considerate singolarmente o nella loro combinazione, che spingono all’imprenditorialità.
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Sub-INDIRIZZO PSICOLOGICOMc Clelland (1961): fattore need of achievement (autorealizzarsi
facendo bene le cose) – bassa propensione al rischio e un solo carattere
Rotter (1966) Shapero (1975) Brockhaus (1987): locus of control (alla base del need of achievement sta il convincimento di controllare il proprio destino) – un solo carattere
Kets De Vries (1977): è imprenditore chi, avendo avuto una storia familiare infelice, che gli ha prodotto scarsa fiducia in se stesso, insicurezza viene spinto da adulto ad un atto di RIBELLIONE INNOVATIVA.
Modello psicodinamico: si ricercano più caratteri, si valutano le preferenze, i valori, più caratteri personali.
Sub-INDIRIZZO SOCIOLOGICOStanworth e Curran (1973): la teoria della “marginalità sociale”
(perdita del posto di lavoro, appartenenza a minoranze etniche, etc.) che nasce dall’incongruenza tra attributi personali e posizione occupata in società; tale discrasia è superata diventando imprenditori.
Altri fattori sociali- eredità;- imitazione;- esperienza;- turbolenza del mercato del lavoro;- disoccupazione;- in occupazione.
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L’INDIRIZZO ANALITICODefinisce l’imprenditore con riguardo alle funzioni che
deve assolvere per governare l’impresa ossia per decidere il sistema evolutivo delle operazioni aziendali che danno contenuto alla gestione e le forme organizzative che ne costituiscono il supporto.
Vengono superate le seguenti qualificazioni dell’imprenditorialità:- il momento creativo dell’impresa;- la proprietà dell’impresa;- l’assunzione del rischio.
E’ imprenditore chi gestisce l’impresa e allo scopo usa capacità creativo/innovative o, in chiave moderna, chi gestisce il cambiamento; non necessariamente chi assume il rischio, ma ne crea i presupposti con il suo potere a decidere.
Il potere a decidere come qualificazione dell’imprenditore in un regime di separazione tra proprietà e controllo estende l’imprenditorialità ai manager.
Brozen (1954) Redlich (1957): è imprenditore chi per effetto di scelte innovative, genera i presupposti del rischio ma non li assume, li assume la proprietà.
Cole (1959): la funzione imprenditoriale è un’attività plurifunzionale (che esplicita l’attività di governo) esercitata da più soggetti.
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Pantaleoni, Zappa: ancor prima affermavano il concetto di imprenditorialità diffusa tra tanti soggetti che cooperano per realizzare i fini aziendali – l’imprenditore come attività astratta.
Occorre limitare le suddette concezioni ai soggetti che comunque esplicano il processo manageriale e non quello logistico-esecutivo.
Dagli anni ’60 le teorie di management si sono fortemente sviluppate attraverso gli studi di strategia identificando le funzioni più tipicamente imprenditoriali, assunte dai manager.
L’imprenditorialità deve essere identificata solo in quei componenti dell’alta direzione (modello di Anthony – all’alta direzione sono riservate le decisioni strategiche), oppure ad essa partecipano anche coloro cui è delegato il potere a decidere?
Elementi di sistemazione teorica:- l’evoluzione delle strutture organizzative;- lo spostarsi dell’enfasi dalla fase di formulazione a quella di
attuazione delle strategie.
Struttura funzionale
Direttore generale (manager generalista) formula le strategie
Direttore funzionale (manager specialista) attua le strategie
Struttura divisionale
Direzione generale
Direttore di Divisione formula le strategie
Direttore funzionale attua le strategie
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L’evoluzione delle strutture organizzative e l’importanza della fase attuativa delle decisioni depongono a favore di un’imprenditorialità diffusa a tutti coloro che detengono potere di guida e di controllo (processo manageriale).
Se l’imprenditorialità coincide con l’esercizio del processo manageriale essa diventa sinonimo di managerialità e quindi i due concetti hanno un significato comune.
Limiti di manifestazione dell’imprenditorialità nella GI- le funzioni imprenditoriali nella GI sono assolte dai manager
che le esercitano in forma professionale, quest’ultima qualificazione implica il possesso di conoscenze acquisite non solo tramite l’esperienza, ma anche tramite la formazione.
- utilizzando la distinzione di Cole, basata sui comportamenti con cui si governa l’impresa, si può affermare che il piccolo imprenditore si configura più come imprenditore empirico che razionale o cognitivo, queste ultime modalità riconosciute tipiche dei manager.
Imprenditore empirico: acquisisce le conoscenze dall’esperienza e spesso usa una logica estrapolativa.
Imprenditore razionale: acquisisce le conoscenze attraverso una analisi razionale di come potranno evolvere le situazioni.
Imprenditore cognitivo: è attento ad aggiornare le conoscenze e a rialimentare le sue scelte con quanto di nuovo.
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Imprenditorialità e managerialità
Quali situazioni consentono di mantenere una distinzione tra imprenditorialità e managerialità?
- le funzioni di governo dell’impresa si assumono in virtù: a. del diritto di proprietà nella pi;b. di una delega di chi detiene la proprietà (m.g.i.)
- coincidenza tra proprietà e controllo: si assommano negli stessi soggetti le facoltà che derivano dal diritto di proprietà: partecipazione agli utili, avere potere sull’impresa, amministrarla.
- Berle e Means: dal diritto di proprietà discendono tre facoltà/funzioni: a. partecipare con un interesse economico al suo andamento;b. avere un potere su di essa;c. agire nel suo interesse (amministrare).
- il piccolo imprenditore esercita tutte queste facoltà o decide di delegare parti dell’amministrazione a managers in virtù di un regime di controllo fondato sulla proprietà quasi totale; proprietà e controllo restano di sua competenza.
- nelle PI la presenza di manager non modifica il regime di coincidenza tra proprietà e controllo: si può distinguere tra imprenditorialità e managerialità poiché quest’ultima esercita solo la facoltà dell’amministrare nei limiti delle deleghe conferite.
- La differenza tra proprietà ed amministrazione corrisponde a quella tra posizione per agire e azione effettivamente svolta
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- L’azionista di comando è l’imprenditore e, quindi, tale
figura è ancora distinguibile da quella del manager.
- La public company appare come fenomeno compiuto di separazione tra proprietà e controllo: il controllo dell’amministrazione prescinde dal diritto di proprietà e scompare la figura dell’imprenditore.
La coincidenza tra proprietà e controllo e i suoi effetti negli assetti organizzativi della PI.
Altre differenze tra imprenditorialità e managerialità:
- creare l’impresa vs darle continuità
- patrimonio vs carriera
- situazioni diverse nella PI e nella GI
* rispetto ai ruoli
* rispetto alle condizioni di esercizio del ruolo
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- Verso la separazione tra proprietà e controllo dei diritti inerenti la proprietà:
Le società anonime, le società per azioni, la dispersione della proprietà, il controllo di minoranza.
Il controllo di minoranza: gli azionisti dispersi detengono la maggioranza della proprietà nominale. Un singolo o un gruppo ristretto, pur detenendo una quota minoritaria di capitale sono in grado di dominare le assemblee ed esercitare il controllo effettivo sull’impresa (sia come membri cda che attraverso i dirigenti cui è delegata l’amministrazione)
L’azionista di comando detiene il controllo perché è in grado di nominare gli organi di governo e i managers di massimo livello.
Il capitalismo manageriale: l’imprenditore classico è scomparso; i managers amministrano e sono in grado di acquistare il controllo:- attraverso le deleghe degli azionisti dispersi (usano il diritto di proprietà)- attraverso “la capacità di organizzare su larga scala” e produrre utili e dividendi nelle grandi imprese.Il controllo dell’amministrazione (o dei managers): quando la proprietà è frazionata da non esistere partecipazione anche di minoranza, i managers attraverso la facoltà di designare il comiato dei delegati (cui l’azionariato disperso può cedere il diritto di voto per nominare i consiglieri) di fatto governano l’impresa. Il controllo non si fonda su un diritto giuridico, ma su una situazione di fatto e si separa del tutto dalla proprietà.
Se i managers acquisiscono il potere di controllo, ossia quello di governo dell’impresa, in essi si assommerebbe l’imprenditorialità e la managerialità: ma se c’è l’azionista di comando, chi comanda veramente la GI?
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Connotazioni organizzative tipiche della piccola impresa
EFFETTI DELLA COINCIDENZA TRA PROPRIETA’ E CONTROLLO SUGLI ASSETTI ORGANIZZATIVI DELLA PI
La dimensione dell’impresa e i fattori soggettivi della PI si connettono alla coincidenza tra la proprietà e controllo e determinano nella PI peculiari condizioni organizzative:
1. le mansioni sono costituite intorno alle persone;
2. commistione tra aspetti politici (o strategici) ed aspetti operativi della gestione;
3. limitato orizzonte temporale (o di pianificazione);
4. scarso impiego di sistemi informativi e di tecniche di gestione;
5. forte limitatezza del tempo per compiti manageriali;
6. gli errori di gestione sono più incidenti;
7. resistenza al cambiamento;
8. scarsa considerazione delle variabili ambientali.
Occorre conoscere queste caratteristiche della PI più piccola, per migliorarle.
Inoltre anche le PI evolvono quando al fondatore subentrino le successive generazioni che possono orientare il governo della PI verso un modello più manageriale.
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L’IMPRENDITORIALITA’ MANAGERIALE
Le variabili soggettive dell’imprenditore possono avere effetti negativi sui percorsi della p.i. (scarso impiego di sistemi manageriali formali)
Come far evolvere un modello prettamente imprenditoriale di governo della p.i. verso uno stile più manageriale dove si attenui l’influenza di suddette variabili.
Il problema della burocratizzazione della G.I.: non sempre il modello prettamente manageriale giova.
Nell’evoluzione verso uno stile più manageriale occorre considerare:
a. La centralità dell’imprenditore e la dimensione non rendono omologabile la p.i. alla G.I.b. L’approccio learning by doing è sufficiente per acquisire professionalità manageriali?
Occorrono:a. Interventi mirati e differenziati;b. Considerazioni e rispetto della personalità della p.i.c. Metodi di comunicazione e di soluzione di problemi concreti;d. Superare/evitare fenomeni di resistenza del piccolo imprenditore.
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Come indurre comportamenti più manageriali?- Evitare il richiamo delle teorie di management sviluppate per la
G.I.- Utilizzare uno schema generale di riferimento utile sia alla p.i.
sia alla g.i. in cui comporre le contrapposizioni tra imprenditorialità e managerialità per pervenire alle nozioni di:
Imprenditorialità manageriale per la p.i.Managerialità imprenditiva per la g.i.
Contributia. il modello di Ansoff che spiega le componenti del processo
manageriale in ottica di managerialità imprenditivab. il Modello di Stevenson chiarisce la natura dei comportamenti
imprenditivo e amministrativo e gli effetti del prevalere dell’uno sull’altro
- nella g.i. la burocrazia manageriale tende a limitarsi ai comportamenti amministrativi
- nella p.i. i comportamenti amministrativi sono poco praticati
Non esiste un unico modello, ma una gamma di comportamenti che si collocano tra due estremi:
iniziatore o continuatore o promotore conservatore
che manifestano i loro comportamenti nelle fasi basilari del governo dell’impresa come segue
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Fasi e dimensioni del processo di
gestione
Iniziatore o promotore (genera accadimenti
nuovi)
Continuatore o conservatore (conserva
l’esistente)
Orientamento strategico
Identifica le opportunità che altri non percepiscono; le risorse sono variabili dipendenti e non lo condizionano
Seleziona le opportunità offerte dall’ambiente in base alle risorse disponibili: innova poco
Coinvolgimento strategico
Limita l’analisi per agire rapidamente; si fida della sua esperienza e capacità di previsione (modello rivolutivo)
Procede in modo evolutivo: ha bisogno di tempo per innescare l’azione e per attuarla
Impiego delle risorse
Procede per stadi e ne minimizza l’intensificarsi
Utilizza accurate analisi: pianifica ed effettua la scelta investendo in unica e completa soluzione
Controllo delle risorse
Evita i vincoli della proprietà, del rapporto di lavoro stabile; cerca la flessibilità con le formule del servizio e dell’uso di risorse di terzi
Prerequisito dell’impiego delle risorse è il loro pieno controllo con vincoli di proprietà dei beni materiali e rapporti di dipendenza del fattore lavoro
Struttura organizzativa
Piatta con relazioni informali che facilitano i contatti diretti e le informazioni necessarie
Privilegia la formalizzazione organizzativa dei ruoli, le deleghe di autorità, l’attribuzione di responsabilità; organizza con logiche gerarchiche le risorse su cui ha il pieno controllo
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Nessuno di questi comportamenti di per sé solo è sufficiente per gestire con successo l’impresa: essi si esercitano su un’area comune di intervento dove i loro caratteri antitetici devono trovare composizione e complementarità per gestire efficacemente l’impresa
IMPRENDITORIALITA’
MANAGERIALEComportamento Comportamento
prettamente prettamente
INIZIATORE CONTINUATORE
imprenditivo MANAGERIALITA’ amministrativo
IMPRENDITIVA
Dinamicamente chi gestisce l’impresa dovrà percepire
le “SPINTE”:
ambientali di origine interna
comportamento più imprenditivo comportamento più amministrativo
Chi gestisce l’impresa deve realizzare il giusto mix dei due comportamenti in relazione ai problemi e alle esigenze di origine esterna o interna: imprenditorialità manageriale nella p.i. dove ferma restando la carica innovativa implicita nel primo termine e le condizioni di flessibilità privilegiate dall’iniziatore, esse siano temperate da formule di ordine e di controllo interno e da analisi più puntuali delle variabili in gioco più tipiche del comportamento del continuatore.
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TIPOLOGIE DI PICCOLI IMPRENDITORI
1. La tipologia Stratos (1990)
- ricerca campionaria svolta dal gruppo Stratos
- costruita su indicatori dei valori (ideali astratti di ciò che è considerato “buono”, “desiderabile”, “preferibile”) e degli atteggiamenti (ossia l’effetto dei convincimenti posseduti dalle persone)
- ha consentito di rapportare ai differenti tipi di imprenditori le strategie che essi adottano e in cui hanno successo e le relative performance
- in base ai diversi gradi di intensità con cui si manifestano i due principali caratteri che definiscono i comportamenti imprenditoriali
a. dinamico/creativo
b. amministrativo/attuativo
è possibile individuare le seguenti quattro tipologie di imprenditore.
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Tipo Dinamico/Creativo Amministrativo/Attuativo
Versatile Forte Forte
- molto adattabile- eccessiva polivalenza genera mediocrità nella gestione- strategia di diversificazione prodotti/mercati- rispecchia il modello della imprenditorialità manageriale
Pioniere Forte Debole
- corrisponde all’innovatore Shumpeteriano- molto propenso al rischio- strategie di diversificazione prodotti/mercati- buone performance
Organizzatore
Debole Forte
- comportamento amministrativo- buone facoltà nazionali, analitiche e organizzative
Routiniero Debole Debole
- assai prudente- scarsa propensione al rischio- poche prospettive di successo nel lungo termine- strategie di penetrazione del mercato- performance non elevate
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Successiva ricerca Gruppo Stratos sull’internazionalizzazione non era più presente l’imprenditore Routiniero. Ipotesi:
a. non presente sul mercato internazionale;
b. la possibile formazione fatta dagli imprenditori che hanno acquisito abilità amministrative;
c. specie praticamente estinta.
2. La tipologia di Smith (1967)
Si basa sulle differenze socio-culturali
L’imprenditore Artigiano L’imprenditore opportunista
-svolge attività esecutive-privilegia accentramento potere-orientamento a breve periodo
-maggiore staticità-forte adattabilità-buona flessibilità
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3. La tipologia di Stanworth e Curran (1973)
Dall’identità sociale latente deriva la definizione che ogni imprenditore dà del proprio ruolo:
si prefigura la possibilità della transizione da un tipo all’altro.
L’identità dell’artigiano
La sua soddisfazione deriva-dall’autonomia nello svolgere il proprio lavoro;-dalla scelta dei collaboratori;-dalla qualità del risultato in termini di prodotti / servizi personalizzati;
La crescita dimensionale non è contemplata.
L’identità dell’imprenditore classico
La sua soddisfazione deriva dal profitto generato.
Sono di secondaria importanza le caratteristiche tipiche dell’imprenditore artigiano;
è questione opinabile se la crescita dimensionale è contemplata.
L’identità del manager
La crescita è considerata desiderabile o necessaria.
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4. La tipologia di Goffe e Scase (1980)
Variabili considerate:
a. ruolo imprenditoriale
b. rapporti con i dipendenti
Si prefigura la possibilità della transizione da un tipo all’altro.
Piccoli imprenditori autodatori di lavoro
-non utilizzano dipendenti ma solo collaboratori familiari;-traggono più soddisfazione dal proprio lavoro che non dall’obiettivo di crescere.
Piccoli imprenditori datori di lavoro
-affiancano i loro dipendenti nelle attività produttive;-assumono il compito di dirigere e di amministrare la loro impresa;-no crescita
Piccoli imprenditori amministratori
-si dedicano unicamente ai compiti amministrativi e di gestione;-richiedono sistemi formali di direzione;-spesso preferiscono non crescere per evitare che venga meno il rapporto fiduciario con i dipendenti
Piccoli imprenditori manager
-controllano piccole imprese più grandi;-il rapporto fiduciario non è più sufficiente;-deleghe a manager, tecnici e staff.
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5. La tipologia di Julien e Marchesnay (1988)
La tipologia di Julien e Marchesnay si collega direttamente a quella di Smith e consente di identificare il tipo di impresa alternativamente deriverà dal tipo di imprenditore in quanto influenzata dai suoi obiettivi e comportamenti.
Si fonda su gerarchie di obiettivi.
A. Imprenditore C.I.C.: (Continuità – Indipendenza – Crescita)
- Autofinanziamento;
- Familiare;
- Bassa competitività;
- Possibile successo durevole;
- Autocratica;
- Vulnerabile al cambiamento.
B. Imprenditore C.A.C.: (Crescita – Autonomia – Continuità)
- Anche finanziamento esterno;
- Più suscettibile di crescere attraverso le opportunità a più alto rischio;
- La crescita potrà limitare ma dovrà comunque mantenere l’autonomia;
- Cresce attraverso l’esternalizzazione di alcune funzioni.
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Piccole Imprese STABILI e Piccole Imprese EMERGENTI
- Coesistono nei sistemi economici occidentali, ma emergono da diverse concezioni di p.i. presenti nella letteratura USA e UK;
- P.i. emergenti (USA): tutte le p.i. sono destinate a crescere attraverso stadi di un ciclo di vita e a diventare “grandi” – sono dotate di attributi organizzativi del modello “manageriale”;
- P.i. stabili (UK): la maggioranza delle p.i. non crescono, poiché i p.imprenditori temono le conseguenze dell’aumento di dimensione, né perseguono la massimizzazione del profitto, privilegiano altri obiettivi;
- La coesistenza dei due tipi si spiega con i diversi obiettivi di cui sono portatori i relativi imprenditori;
- L’apparente contraddizione dipende dal fatto che la letteratura USA focalizza l’impresa sulla base degli studi di management attribuendole lo stile manageriale di gestione, mentre la letteratura UK focalizza la soggettività del p.imprenditore da cui dipende il concetto di imprenditorialità;
- I due tipi di p.i. si collocano in due diverse posizioni nel continuum dei ruoli di comando:
quasi solo ruoli molti più ruoli
imprenditoriali managerialiaumentano i ruoli manageriali per sostenere la crescita
p.i. p.i. media grandestabile emergente impresa impresa
Del Baldo Mara, a.a. 2010 2011 51
- La p.i. emergente è tale poiché la crescita non è un’opzione, ma è un vincolo: crescere o fallire;
- Le verifiche empiriche rilevano che i due tipi di p.i. dipendono dalle scelte degli imprenditori (Churchill e Lewis);
Quesito:le scelte degli imprenditori sono libere da vincoli o
sono imposte dalle caratteristiche strutturali del settore?
I settori frammentati e maturi / i settori emergenti hanno
caratteristiche che impongono rispettivamente la scelta di permanere nella data dimensione oppure
di crescere.
Però:
è facile constatare che, i fattori personali diversi stanno alla base della creazione di imprese che si
inseriscono alternativamente nei settori frammentati e maturi oppure in quelli emergenti.
Quindi partendo dall’osservazione di p.i. di tipo diverso si conferma che i fattori soggettivi degli imprenditori, anche superando la mera considerazione dei loro obiettivi, consentono di interpretare il loro diverso modo di essere e di evolvere.
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IL MODELLO DI GREINERPunti nodali del contributo di Greiner (1997)
1. La relazione unidirezionale opportunità/strategia/struttura organizzativa prevista da Chandler non sempre si verifica: la struttura può giocare un ruolo critico rispetto allo sviluppo; è meno malleabile di quanto previsto e può influenzare la strategia;
2. Il cambiamento organizzativo è imposto dall’aumento della dimensione; al mantenimento della stessa dimensione corrisponde il mantenimento delle stesse logiche manageriali;
3. In ogni stadio del ciclo ci sono due fasi: di evoluzione e di rivolgimento; nella prima lo sviluppo si manifesta in modo evolutivo e non richiede cambiamenti di stile di direzione che lo promuove; nella seconda tale stile perde il carattere di fattore di sviluppo, diventa fattore di una crisi, si genera un problema di direzione che deve essere risolto per non arrestare lo sviluppo;
4. Il modello interessa la piccola impresa che si identifica nel primo stadio, dove lo stile è imprenditoriale (area 1 = area della piccola impresa): l’aumento della dimensione impone uno stile manageriale (area 2 = area possibile della p.i.);a. Non prevede che l’imprenditore possa realizzare la “mutazione” (evoluzione nel ciclo di vita);b. Più spesso ci sarà una crisi di leadership: l’imprenditore rifiuta di mettersi da parte, non può o non vuole modificare i suoi comportamenti (ipotesi di Greiner) con il fenomeno di discontinuità impresa-imprenditore;c. Subentra un manager che formalizza l’organizzazione (il modello non contempla l’ipotesi di evoluzione dell’imprenditore).
Fig. 5 p. 113
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IL MODELLO DI CHURCHILL E LEWIS (1983)
Il modello di Churchill e Lewis è quello che offre i più significativi contributi avallati anche da indagini sul campo.
Viene analizzata la crescita e i suoi stadi non solo attraverso la dimensione, ma anche attraverso la dispersione spaziale e la complessità.
Ogni stadio viene descritto attraverso cinque variabili manageriali.
1. Stile di direzione
2. Struttura organizzativa
3. Sistemi manageriali formali
4. Obiettivi strategici/Strategia
5. Coinvolgimento imprenditore
Fig. 6 p. 117: Il modello di Churchill-Lewis
Problema strategico chiave/condizioni chiave
Fig. 7 p. 119: L’importanza dei fattori manageriali negli stadi
Del Baldo Mara, a.a. 2010 2011 54
I stadio
Esistenza
II stadio Sopravvivenza
III stadio Disimpiego o sviluppo
IV stadio Decollo
V stadio Maturità delle risorse
Stile di direzione
Fortemente accentrato
Delega compiti supervisione
Delega compiti funzionali
Decentramento organizzativo (delega)
Manageriale con molte deleghe (decentramento)
Struttura organizzativa
Embrionale piatta
Non ancora formalizzata
Funzionale Divisionale Organi di staff nelle divisioni
Sistemi manageriali formali
Inesistenti
Proiezioni di cassa
Controllo budgetario
Pianif.operativa e strategica
Diffusione dei sistemi
Obiettivi strategici
Riuscire ad esistere
Riuscire a sopravvivere
III D: rimane nella data posizione senza perdere quote di mercato e competitività
III S: ottenere le risorse per lo sviluppo
Sviluppo Risultati finanziari
Coinvolgimento dell’imprenditore proprietario
Totale Totale Organizzazione si rende più autonoma
Rimane l’importanza della coincidenza tra proprietà e controllo
Separazione tra proprietà e controllo
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IL CICLO DI VITA DELL’IMPRENDITORE
Alcune osservazioni:1. deve esserci coerenza delle variabili manageriali nei
vari stadi;1. i fattori chiave di successo in ogni stadio assumono diversa
importanza;2. occorre anticipare le configurazioni delle variabili
manageriali prima di transitare nel nuovo stadio.In parallelo al ciclo di vita dell’impresa vi è il ciclo di vita
dell’imprenditore.
I stadio Esistenza saper fareII stadio Sopravvivenza saper far fareIII stadio Successo saper lasciar fareIV stadio Maturità capacità a gestire
strategicamente l’impresa
Il modello di crescita delle p.i. italiane non prevede la struttura divisionale ma la gemmazione.
L’imprenditore artigiano trova difficoltà a passare da uno stadio all’altro.
L’imprenditore opportunista già adatto, grazie al suo background, per i successivi stadi.
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Tab. 3 – Crisi nel ciclo di vita della piccola impresa
Tipo
DI START-UP – dipende da errori iniziali: a) le persone chiave non hanno sufficiente esperienza per gestire l’attività dell’impresa; b) il fabbisogno finanziario è stato sottovalutato; c) mancano le informazioni per corrette decisioni.
DI CASSA – dipende da eccessiva spinta vs. profitti e crescita: a) si collega alla sottocapitalizzazione; b) si confondono i risultati economici con quelli finanziari; c) si ignora che la crescita comporta aumento del fabbisogno finanziario.
DI DELEGA – dipende dall’incapacità di delegare compiti a validi collaboratori quando l’impresa non può più essere gestita da una sola persona, ma non può permettersi un “team” di manager.
DI LEADERSHIP – l’impresa si è dotata di manager, ma l’imprenditore non consente di formalizzare i ruoli, le responsabilità, i sistemi manageriali. Anche crisi di pianificazione e controllo: l’imprenditore continua a “fare” invece che a “pianificare”.
DI CAPITALIZZAZIONE – la crescita non può più essere finanziata con il cash flow e i capitali personali, ma l’imprenditore è restio: a fare debiti, a rivolgersi al venture capital, ad ampliare la compagine sociale, perdendo il controllo.
DI COMPIACIMENTO – il successo spinge a parziale disimpegno dell’imprenditore e lo convince della validità futura dei fattori che l’hanno prodotto.
DI ESPANSIONE/DIVERSIFICAZIONE – il successo induce a sopravvalutare le capacità di gestione proprie e dei manager. Può produrre:- Errati piani di ampliamento con eccessivi investimenti- Diversificazione in attività senza avere le necessarie competenze e risorse.
DI SUCCESSIONE – l’imprenditore non ha pianificato gli eventi dopo la sua morte o il suo ritiro in termini di chi assumerà il potere.
DI COINVOLGIMENTO – l’imprenditore che si è ritirato e dedicato ad altre attività vuole tornare a gestire gli affari.
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LE PICCOLE IMPRESE A BASE FAMILIARE
Caratteristiche distintive
- La proprietà e il potere di decidere si estendono ai membri del nucleo familiare.
- È il possesso di un grado di parentela con l’imprenditore-proprietario la matrice della partecipazione di tali soggetti.
- La partecipazione può essere di natura finanziaria (se sono soci); di natura di direzione (se non hanno titolo di proprietà), di natura gestionale (se condividono con il titolare la proprietà e collaborano con lui alla gestione).
- Il potere discende normalmente dal grado di delega che l’imprenditore proprietario è disposto a concedere ai familiari; il potere di comando si fonda sul rapporto di parentela.
- Possono essere presenti anche soggetti esterni alla famiglia (manager).
Ciclo di vita dell’impresa familiare:
a. pre-familiare o imprenditoriale
b. familiare allargata (per attrarre risorse oltre a quelle della famiglia).
Del Baldo Mara, a.a. 2010 2011 58
Ricerca Censis (Carminucci) 1991 su 730 piccoli imprenditori:
- Meno strategica è l’area, maggiore è la delega.
- La delega è maggiore a funzionari che a membri di famiglia.
- La delega è maggiore in presenza di maggiore età degli imprenditori.
- Con imprenditori al di sotto di 50 anni anche se sono più accentratori concedono più spazi di delega ai funzionari che ai parenti.
- Nelle imprese familiari i figli degli imprenditori-proprietari già collaborano per il 67% con imprenditori ultrasessantenni e per il 53% con imprenditori ultracinquantenni.
Del Baldo Mara, a.a. 2010 2011 59
Problemi tipici delle imprese familiari (letteratura britannica):
Boldizzoni (1990):- Contrasto tra i principi e le logiche dell’impresa e
quelle della famiglia- Ambiguità nella gestione delle risorse umaneLansberg (1976):- Sovrapposizione istituzionale tra istituto famiglia e istituto
impresa- Conflitti interpersonali che si riflettono nel processo
decisionaleLevinson (1971):- Conflitti e rivalità tra padri e figliPeiser e Wooten (1983):- Crisi nel ciclo di vita dell’impresa familiare: la crisi di
successione. La seconda generazione è capace ma il fondatore non cede; diversi sono gli obiettivi. Effetti negativi: sul clima organizzativo, sui processi decisionali, sui rapporti con i terzi, …La crisi di successione riguarda tutte le imprese ma in quella imprenditoriale il fondatore gestisce la transizione e trasforma il regime di proprietà, in alternativa si produce crisi di leadership o cessione dell’impresa. Nell’impresa prefamiliare è difficile trovare persone “supplenti”.
Mc Givern (1978):- È difficile generalizzare. Occorre anticipare la successione. Ci sono prescrizioni: coinvolgimento, scelta del successore, accettazione, volontà e umiltà di apprendere, carisma.
Del Baldo Mara, a.a. 2010 2011 60
IL PROBLEMA DELLA SUCCESSIONE
Significato di successione:
Sostituzione di una persona fisica ad altra nella gestione
dell’impresa causa morte, età avanzata o anche insufficienti
capacità;
Fenomeno di transizione, non solo totale, ma anche parziale,
del potere (deleghe conferite a fronte del passaggio da un
forte accentramento del potere ad un decentramento).
Del Baldo Mara, a.a. 2010 2011 61
Possibili casi in cui si può manifestare il problema della successione nell’impresa di tipo imprenditoriale:
L’imprenditore proprietario realizza che la crescita impone cambiamenti qualitativi (assetti organizzativi, competenze delle risorse umane, nei sistemi manageriali, ect.) gestisce lui stesso la transizione verso un’impresa manageriale.
La crescita dell’impresa genera una crisi di leadership che sfocia nella discontinuità imprenditore/impresa con subentro di manager professionali (previsto nel modello di Greiner).
L’imprenditore-proprietario non ha figli che gli subentrino nell’impresa o che intendano farlo o che siano capaci di farlo (la successione si risolve nella cessione dell’impresa).
Nell’impresa pre-familiare dove l’imprenditore che voglia continuare l’impresa con i figli, ancora troppo giovani per entrare in azienda, deve disporre le condizioni per una successione in caso di eventi imprevedibili (malattia, morte) o prevedibili (età avanzata) scegliendo una persona esterna
che possa subentrargli pro-tempore.
Del Baldo Mara, a.a. 2010 2011 62
- McGivern: è difficile produrre delle generalizzazioni in grado di rappresentare le implicazioni di tale evento; esiste un complesso intreccio di forze che si esprimeranno nel momento della successione:
a. l’imprenditore;
b. la famiglia;
c. il management dell’azienda.
- La crisi di successione potrà essere superata se l’imprenditore-proprietario a tempo debito, acquisisca:
a. la consapevolezza del problema, per identificarne gli elementi e impostarne le soluzioni;
b. l’autoconvincimento che è giusto il momento di dare il passo al successore.
- Fasi delicate da gestire durante una crisi di successione:
a. la scelta del successore tra i figli;
b. il suo coinvolgimento rispetto al ruolo da assumere;
c. l’accettazione della famiglia e dell’impresa.
Birley (1986): la maggioranza delle imprese familiari (70%) non era sopravvissuta in seguito ad una successione.
Del Baldo Mara, a.a. 2010 2011 63
IL GRUPPO IMPRENDITORIALE
Le caratteristiche distintive
La natura individuale o societaria è indifferente rispetto al permanere della valenza dei fattori soggettivi dell’imprenditore nella gestione dell’impresa e non contraddice la centralità dell’imprenditore, se non come persona fisica
La centralità dell’imprenditore resta nella gestione del potere di comando
I compiti di gestione e direzione sono redistribuiti tra più soggetti: la gestione dell’impresa è di tipo collegiale
Alla gestione congiunta si accompagna l’effettiva delega del potere decisionale
Si verifica un’evoluzione dell’assetto organizzativo
È presente la ripartizione delle responsabilità funzionali e delle responsabilità di indirizzo strategico
Non si verifica comunque la separazione tra proprietà e controllo: il soggetto economico resta unitario
Del Baldo Mara, a.a. 2010 2011 64
Come si perviene al gruppo imprenditoriale
Per cooptazione dei soci
Per delega ai familiari
Per delega ai manager
Attraverso operazioni di management buy-out tramite la tecnica del leveraged buy-out (gruppo imprenditoriale costituito da soggetti professionalizzati in possesso di esperienze complementari)
Dove è dato più frequente trovare il gruppo imprenditoriale
Nelle piccole imprese stabili appartenenti a settori maturi
Nelle piccole imprese emergenti (imprenditori opportunisti): il gruppo esiste già dalla fase di start-up
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UN PROFILO DEL PICCOLO IMPRENDITORE ITALIANO
Fonte: ricerca di Carminucci (1991)Scopo della ricerca è verificare i collegamenti tra le variabili
culturali e comportamentali degli imprenditori e i processi di modernizzazione
Indagine su 730 imprenditori che gestiscono nel 94,4% imprese con meno di 100 addetti
95,7% è maschio 9,5% ha meno di 35 anni
51% è fondatore 38,3% ha ereditato l’impresa
77,6% è diplomato o laureato 21% è un ex operaio
71,3%
società di capitali
20,7%
società di persone
8,1%
ditta individuale
51,4%
ex lavoratore dipendente nello stesso
settore
39,5% appartiene
alla seconda generazione
33,1%
ha avviato un’attività imprenditoriale senza precedenti esperienze (marginalità sociale
come matrice di imprenditorialità)
La forma giuridica dell’impresa
Modalità attraverso cui sono diventati imprenditori
Sulla base dei dati è possibile individuare tre percorsi ognuno dei quali fa leva su un punto di forza: l’esperienza, la tradizione imprenditoriale, la determinazione.
Profilo socio-anagrafico
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Il principio organizzativo
L’uso della delega
L’orientamento
Vantaggi della p.i.
Svantaggi della p.i.
84,7% verticalizzate accentrate (10,3% multidivisionali)
46,4% organizzazioni padronali (13,6% multidivisionali)
43,9% delega 42,5% interviene su tutto
43,6% il mercato deve orientare il prodotto
35% il prodotto deve orientare il mercato
per il 60% forte accentramento del controllo
per il 23% la flessibilità
il 27% sul fronte tecnologico e della conoscenza
il 30,2% debolezza nei rapporti con soggetti esterni
il 27,8% maggiore esposizione alle inefficienze esterne
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Imprenditori con:- formazione scolastica di basso livello;- guidano imprese di piccolissime dimensioni;-forte identificazione tra impresa e imprenditore.
Imprenditori con:- formazione scolastica medio alta;- guidano imprese di dimensione superiore;- predilige la forma di società di capitali;- è orientato alla crescita;- imita gli assetti manageriali delle imprese medio-grandi
Innovazione tecnologica 65,9%
Rafforzamento strategie di commercializzazione 60,3%
Riorganizzazione aziendale 33%
La capitalizzazione 38,5%
La crescita dimensionale 20,8%
L’internazionalizzazione 36,4% (di opinione opposta il 33,6%)
Sulla base della ricerca è possibile identificare una polarizzazione del campione su due tipi di imprenditori assimilabili a coloro che gestiscono imprese stabili o imprese emergenti
O imprese emergenti
I processi di modernizzazione ritenuti prioritari
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L’IMPRENDITORIALITA’ FEMMINILE
Le linee di tendenza
L’imprenditore è un soggetto astratto rispetto al genere.
I primi studi risalgono agli anni ’80 e aumentano negli anni ’90.
Tali ricerche si interessano:
- donne come particolare manifestazione della categoria generale dell’imprenditorialità;
- donne che hanno la proprietà ed il controllo di imprese principalmente nell’ambito di grandi imprese o di gruppi imprenditoriali
Negli anni ’90 gli studi verificano che:
- negli USA 1/3 delle imprese è diretto e gestito da donne e oltre la metà delle nuove imprese nasce da donne;
- nei Paesi Bassi e Danimarca il 33%;
- in Germania il 30%;
- in Giappone il 23%;
- in Africa del Nord il 10%;
- in Italia – collocata tra le “culture intermedie” si attesta tra l’8% e il 17% (alta mascolinità, ritardo culturale e forte modello sociale e familiare).
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Perché le imprese delle donne?- insufficiente offerta di lavoro dipendente;- prevalenza di attività labour-intensive basate su un sapere
produttivo, legato alla cultura tradizionale del lavoro femminile nel settore dei servizi e nel commercio al dettaglio (effetto globalizzazione dell’economia)
- economia informale all’interno delle mura domestiche (tipica dei Paesi in via di sviluppo) e le imprese terziste home based business (economie occidentali).
LA QUESTIONE DELLA DIVERSITA’ DELL’IMPRENDITORIALITA’ FEMMINILE
- esistono o no differenze legate al genere e alle motivazioni?- il genere è influente o ininfluente?
IL MODELLO DELL’UGUALIANZAL’imprenditorialità non è legata al genere maschile o femminile
dell’imprenditore.Nonostante ciò le donne subiscono discriminazioni verificate in
termini:- di profili e percorsi di formazione;- di accesso al credito;- di quantità e qualità di informazioni necessarie per
raggiungere il successo.
Si solleva la questione dell’equità e delle pari opportunità e della molteplicità dei ruoli sociali.
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IL MODELLO DELLA DIFFERENZA
HP: esistono differenze legate al genere maschile e femminile.Questa è l’ipotesi più provata e verificata oggettivamente.
Le differenze sono legate:- ai diversi valori;- alle preferenze;- alle attitudini.
La diversità della natura dei contributi femminili all’imprenditorialità sta nei fattori:
- intuito;- sensibilità;- capacità relazionale;- doti di informalità;- adattabilità.
Le implicazioni:- ci sono tuttavia diverse tipologie;- occorre considerare altri fattori quali la classe economica,
l’istruzione, la razza;- promozione dello sviluppo sociale ed economico compatibile;- se si guardano i comportamenti, non ci sono differenze (nei
campioni monosettoriale)
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Gli studi ancora in corso:
- quali effetti sulle performance? Le imprese sono più piccole e crescono meno
- sono più diffuse in alcuni settori (non profit, ecc…);
- esiste il doppio ruolo (impresa / famiglia);
- self employment e spin off da grandi imprese (USA).