Dall’Agricoltura –all’Intercultura PACHINO – NUCET parlano...

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Scriviamo queste pagine per quelli che non hanno vissuto

riverla, pensando che i nostri amici e

ti e

la nostra esperienza.,per quelli che, come noi, studiano la storia dai libri sui banchi di scuola. Confessiamo: non è stato facile! Però abbiamo lavorato, con passione, spinti dal desiderio di aiutare i nostri compagni a scoprire dai nostri occhi e dai nostri cuori la verità della storia e far luce nelle leggende. Ci ha fatto piacere scsentiranno, così come abbiamo sentito noi, che Romania Italia hanno una storia di lavoro, di creazione, di lotta ed eroismo, che dobbiamo conoscere e amare, così come amiamo noi stessi. Perchè l'amore per il Paese deve essere lo stesso con i sentimenti con i quali siamo nacon i quali dobbiamo crescere: profonda, seria, degna, nobile.

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La Lupa Romana

La leggenda di Roma

i racconta che molto tempo fà, quando i lupi erano

che

li i

i il tempo di sposarsi. Trovarono due

pero

omandò

o li,

ro

zio, sentì della loro erli e

oi

po finche la cesta si fermò ….

Sfratelli con gli agnelli e giocavano insieme, viveva un imperatore e una imperatrice. Ed erano molto anziani,appena potevano camminare per come erano gobbi . Avevano due bambini. Erano molto orgogliosi di loro eamavano tantissimo perchè erano coraggiosi, forti e buoncon tutta la gente. E arrivò per i ragazzspose belle e fecero due matrimoni grandiosi, la loro notizia arrivò molto lontano. Dopo un po’ di tempo l'imperatore e l’imperatrice morirono, lasciando l'imai loro figli. Prima di morire consigliarono loro di essere buoni e perdonare la gente, di non discutere fra di loro econdurre l'impero a turno: un anno un fratello, l'hanno prossimo l'altro e così via. Il primo anno fu il turno del fratello maggiore. Ccon gentilezza e giustizia un anno però, quando arrivò il turno del fratello minore, non glielo permise e mandò in prigione lui e sua moglie. Loro avevano una bimba. Rimasta senza genitori la bimba crebbe a casa di un buttero e quando divenne grande si sposò con il figlidelbuttero. Dopo un anno vennero alla luce due gemelbellissimi e carini come due perle. La loro mamma li amava come i suoi occhi, li coccolava e giocava con locon tanto amore e gentilezza. Però quando l'imperatore, loro nascita, mandò un servo di notte per rapirli e uccidmandare in prigione la loro mamma. Però il servo non ebbe il coraggio di ammazzarli e li mise in una cesta e pli posò lungo le rive del fiume. L'acqua li trascinò per molto tem

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Il posto era deserto, lontano da dove viveva la gente,animali sel

solo vaggi vivevano lì. Svegliatesi ed affamati, i

o

i a

assò il

Un giorno alcuni pastori vennero a prenderli e li

omarli, perchè i bambini i

o a e la o

la

e a vestirsi come loro. E i nipoti del le.

bambini incominciarono a gridare. Si avvicinò loro una lupa e, come li vide, si ricordò dei suoi cuccioli che eranstati uccisi dai cacciatori i giorni scorsi. Al posto di mangiarli lei smise intornoloro come una madre e diede loro da mangiare. E cosi ptempo.... I bambini divenncon i lupi.

ero abbastanza grandi per correre in giro

portarono in un ovile. Però non fu facile derano forti, veloci nemovimenti e se venivano avvicinati cominciavangridare e mordere così comlupa aveva insegnato. A lornon piaceva il latte o la carne cotta. Volevano solo carne cruda, senza sale e il latte fresco. Dormivano fuori, sulterra fredda, non volevano dormire in casa, nel letto. Dopomolto tempo i pastori riuscirono ad abituare i bambini Impararono a parlare l’imperatore crebbero belli e forti come le fate delle favoFurono chiamati Romulus e Remus.

alla vita degli uomini.

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La notizia della loro bravura, forza e bellezza andò molto lontano. E camminando loro nell’ impero scoprirono di

, o

ore

ione,

a

overnò con pace e

l nza emblematica della

essere i nipoti dell’ imperatore e che il loro nonno e la loro mamma erano in prigione. In quel momento, presi

dalla furiachiamarontutti i pastori, presero l'imperate lo mandarono in prige rimisero il loro nonno sul trono dove era il suo posto.Per

ringraziarli il nuovo imperatore regalò ai suoi nipoti metà dell’ impero. Sul posto dove la lupa li aveva incontrati costruirono un palazzo grandissimo e bellissimo. E poiché non sapevano che nome dargli, decisero di mettersi allprova: chi avrebbe avvistato più aquile insieme,avrebbe dato il proprio nome al palazzo. Remus vide sei aquile e Romulus dodici. E il palazzo si chiamò Roma, il nome di chi lo ggiustizia per molto tempo. La statua "La Lupa di Roma", simbolo della latinità depopolo romeno, è una presecapitale e di altre città del Paese

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Dal 1997 a Bucarest, la troviamo ad aspettarci passando da Piazza Romana, all’ inizio del Bl.d Lascar Catargiu. Realizzata in bronzo, alta di 0.80m e messa su un basamento di pietra alto di 2.50 m, "La Lupa Romana" mantiene viva la legenda di coloro che hanno fondato Roma, Romulus e Remus, che sono stati salvati dalla morte, quando erano piccolini dalla lupa, che diede loro da mangiare il suo latte. Quest’anno, "La Lupa Romana" compia 100 anni.

La statua è stata portata a Bucarest, come dono dello stato italiano, durante l'esposizione giubiliana "Carol 1-40 anni di signoria e Romania - 25 anni di regno", e sul suo basamento di pietra si può leggere "Regalo di

Roma - 1906". In un primo tempo la statua fu nel Parco Carol I, dove fu esposta , poi un anno più tardi fu nel Museo Militare, che era situato nello stesso parco. Non rimase per molto tempo nemmeno li, nel 1908 fu portata nella ex Piazza di Roma, che si trova all’ entrata della via Lipscani, vicino al posto dove

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oggi c’e il Magazzino Bucarest. Nel 1932, "La Lupa Romana" fu portata sul colle della Mitropolia. Dal 1946, quando i comunisti la spostarono di nuovo e fino al 1997, la statua è stata nella Piazza delle Confederazioni degli Stati Balcanici, posto conosciuto oggi come Parco Constantin Brancusi della Piaza Dorobanti. Questi movimenti della "Lupa Romana" ci fanno vedere che nell’arco di un secolo, in Bucarest non si è trovato un posto speciale per questo simbolo della latinità del popolo romeno e che il "regalo di Roma" è stato più un "inquilino" nella capitale della Romania che “un padrone di casa”. Il posto dove si trova oggi la rende accessibile per quelli che la vogliono vedere, è all’incrocio di Piazza Romana ed è stato rischioso per noi raggiungerla quando abbiamo voluto scattare delle foto, però è bene per la statua, perché è protetta. "La Lupa Romana" ha subito tre accidenti, il suo basamento di pietra è danneggiato. Però tranne questo, quest’anno "La Lupa Romana" compie 100 anni.

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Sicilia : Magna Grecia

di

Attirati dalle bellezze naturali dell'isola, i greci si stabiliscono nel 735 a.C. circa lungo la costa orientale fondando, diversamente dai fenici, colonie di popolamento (colonie agrarie) e semplici empori. Allora la Sicilia era coperta da fertili terre vulcaniche, aree boscose e zone molto più ricche di risorse naturali: questo spinse i mercanti calcidici, venuti dall'Eubea, a fissare la loro dimora a Nasso, alle falde dell'Etna, e a fondare Leontini (attuale Lentini), come città prevalentemente agricola eCatania come città dedita ai commerci.Numerose altre colonie nascono poco dopo: Zancle (attuale Messina), Milazzo e Imera. Siracusa diviene la principale colonia greca nel 734 a.C. ad opera dei Corinzi venuti dopo i Calcidesi. Una serie città elleniche si estende così lungo la costa insieme a Megara Iblea che, fondata dai megaresi, colonizza Selinunte, che successivamente fonda Eraclea Minoa. Circa un secolo dopo gli abitanti di Rodi e Creta avanzano

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lungo la costa meridionale della Siciliada cui ha origine Agrigento nel 582. Tra i governi tirannici che si instaurano all'interno del paese hanno lunga durata quelli di Panenzio a Leontini, dFalaride adSiracusa. Quando, intorno al 480 a.C., si delinea la minaccia cartaginese, le città greche (o siciliote) si coalizzano guidate dai rispettivi capi e riescono a resistere all'atdei nemici. Lo scontro decisivo coinvolge Siracusa e Agrigento presso Imera, sulla costa settentrionale, e si risolve con la vittoria sul generale cartaginese Amilcare Magone. Questa vittoria completa quella di TemistocleSerse e contribuisce in gran parte a salvare la civiltà ellenica dalla minaccia barbara. Alla battaglia di Imera segue il periodo più florido dal punto di vista culturale ed artistico: Agrigento conosce il suo apogeo già al tempo dtiranno Falaride (571-554), uomo tanto potente quanto crudele, che faceva arrostire i suoi nemici in un toro di

bronzo ma che hareso Agrigetemibile per i cartaginee pronelle scienze e nella poesia; persino

Pitagora era ospitato presso di lui. Anche Siracusa risplende dopo la vittoria di Imera sotto Gerone, successore di Gelone, al quale si deve la costruzione dell'istmo che ancora oggi unisce la terraferma all'isola diOrtigia, separando i due porti. Questo è il m

per fondarvi Gela

i Agrigento, di Ippocrate a Gela e di Gelone a

tacco

su

el

nto

si spera

omento più

proficuo anche per la corte che ospita artisti di ogni

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genere: da Eschilo, a Simonide, a Pindaro ecc.La forza marina e mercantile di Siracusa aumenta: si esportano cereali, bestiame, tessuti e manufatti in genere fino alla Sardegna e alla Corsica. Si assiste ad un aumento demografico pari a quello di Atene e lo stesso sviluppo nei commerci adombra l'espansione delle altre colonie. Siracusa diventa la capitale della Sicilia greca alla morte di Dionigi il Vecchio. Sotto il figlio di quest'ultimo, Dionigi il Giovane, si conclude la pace con Cartagine e successivamente il potere della città raggiunge l'Italia meridionale; le città di Agrigento e Gela rifioriscono nelle arti e nella vita pubblica.L’apogeo di Suraka (Siracusa) termina alla morte del tiranno Timoleonte, quando succede Agatocle. Anni dopo sarà la volta di Pirro, re dell'Epiro, chiamato dai siracusani assediati da Cartagine; seguiranno dure battaglie che non portaranno a cambiamenti decisivi e si dovrà aspettare la tirannide di Gerone II, il quale, alleatosi con Roma dopo le lotte contro i Mamertini (285 a.C.), mercenari campani, aprirà il momento delle guerre puniche.

LE TESTIMONIANZE GRECHE

L'interessante storia archeologica della Sicilia greca è testimoniata da singoli centri straordinariamente ricchi di monumenti, sculture, ceramiche e serie numismatiche risalenti all'arcaismo dorico. Tra l'VIII e il V sec. a.C. fioriscono infatti grandi centri quali Tindari, Milazzo, Palermo, Solunto, Siracusa, Agrigento, Megara, Enna ecc. che conservano, ancora oggi, l'antica pianta regolare - con strade che si incrociano ad angolo retto, tagliate al centro da un'arteria maggiore - con resti delle mura di cinta: sono esemplari Selinunte, Agrigento e Tindari. l processo di ellenizzazione accelera le ambizioni delle opolazioni che, vivendo un rapporto più armonioso con il territorio, eternano la loro cultura

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attraverso i segni dell'arte noi noti.Alcune delle colonie greche conservano i fratelli dei templi dorici di Atene, Olimpia e di Paestum, pari a questi per eleganza ed armonia. Splendida l'architettura dorica del Tempio della Concordia del V sec. a.C. ad Agrigento, e il Castello di Eurialodi Siracusa, famoso per essere il sistema di fortificazioni più vasto in Sicilia, comprendente mura, trincee e gallerie sotterranee. In ogni città era presente una piazza centrale, l'agorà, tipicamente greca, con teatri, visibili ancora oggi, come quello immerso tra i solitari monti di Se gesta o quello di Tindari, che domina sull'infinità del mare. Caratteristica di tutti i templi sicelioti

è la decorazione della loro parte alta, insieme alle cornici, al frontone, agli acroteri (ornamenti della parte superiore dell'edificio).Molto diffusa, tra l'altro, la grande plastica in terracotta o in pietra, come quella di Gela.Nelle metope scolpite spesso nella stessa pietra del tempio sono trattati temi religiosi e i miti più

conosciuti in Sicilia e nella Magna Grecia; interessante, ad esempio, il gruppo di Selinunte dove si presume essere nata una vera e propria scuola di scultura.

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Progetto linguistico Comeni

LA TRINACRIA

Tre: numero perfetto e fTre come le punte che delimitano la Sicilia, terra fertile, ricca, al centro del Mediterraneo.Il nome “Sicilia” è legato al popolo indoeuropeo dei siculi che si stanziarono in Sicilia nel II millennio a.c.. Furono i Greci i primi a chiamare l’isola

inito.

Sikelia, dal nome dei suoi abitanti, o Trinakria, per la

sua forma triangolare. La stessa forma triangolare ispirò il nome con cui i romani chiamarono l’isola: Triquetra.Anche il simbolo che rappresenta la Sicilia, la testa di Gorgone circondata da tre gambe piegate all’altezza del ginocchio, che si rincorrono, simbolo del sole nelle sue tre forme (dio della primavera, dell'estate e dell'inverno); o della luna o più semplicemente del movimento. Il nuovo nome dell'isola, Sicilia (e l'ipotesi più probabile vuole che significhi fertile), non ha però oscurato quest'immagine così evocativa, che ancora oggi sembrerebbe rifarsi alla sua forma. O comunque è questo il significato col quale il simbolo è stato assunto. Si tratterebbe in realtà di un antico simbolo

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solare di matrice orientale. Non a caso la Sicilia è denominata da sempre isola del sole. Storicamente, il toponimo Trinacria venne riesumato nel 1302, col trattato di Caltabellotta che assegno il titolo di “Re di Trinacria” agli Aragonesi.

CARTAGINESI, GRECI E ROMANI IN SICILIA

La storia della cultura occidentale vive un momento di svolta nel III sec. a.C., quando la civiltà greca entra per la prima volta in contatto con Roma. Il dialogo tra queste due culture non ha generato, in campo artistico e letterario, ciò che oggi indicheremmo come nuovo, tanto i cittadini di Roma erano concentrati nel governo dello stato e nelle lotte contro chi li minacciava. Quando i romani arrivano in Grecia, sono già i rappresentanti di uno stato forte ed unitario capace di assorbire al suo interno nuovi popoli, imporre loro la propria legge, lasciando comunque libertà di espressione negli usi e nelle tradizioni. In questo modo l'abilità nel conquistare il vinto si potenzia naturalmente, incidendo anche sulla forza di espansione.Roma incominciò a intervenire in Sicilia in occasione degli scontri tra i Mamertini di Messina e i Siracusani, durante la prima guerra punica Ripercorrendo le tappe delle principali vicende storiche che hanno inciso sulle trasformazioni della civiltà mediterranea, in questo momento storico, non possiamo non tenere conto del periodo in cui opera Pirro, re dell'Epiro, nella Grecia nord-occidentale. Passato alla storia come uno dei più grandi condottieri

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greci, Pirro si rivela in tutta la sua abilità di capo contro Roma, nel 280 a.C., Nel 278 a.C. Pirro giunge in Sicilia, e precisamente a Taormina, dove caccia i cartaginesi. Soltanto nel 276 a.C. i romani lo sconfiggono definitivamente a Benevento, ponendo fine al suo desiderio di espansione. Ma già nel 285 a.C. Gerone II, attaccato e sconfitto dalla flotta cartaginese, si è alleato con i romani fornendo loro l'occasione tanto attesa di penetrare nell'isola. Inizia, in questo modo, il grande scontro tra le due potenze per la supremazia sul Mediterraneo.Le battaglie sconvolgono l'intera isola e si combattono per mare e per terra. La prima guerra punica - perché i cartaginesi erano anche chiamati Puni - scoppia così per interessi in campo marittimo, e il senato comincia a preoccuparsi dei risvolti futuri del controllo incondizionato sui mari. A tal proposito risulta chiarificatore il detto dei cartaginesi che "i romani in quel mare (il Tirreno) non potevano neppure lavarsi le mani senza il loro permesso". Su richiesta degli abitanti di Messina, in attrito con Siracusa, Cartagine invia in città un piccolo presidio militare nel 265

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a.C., ma ciò suscita il malcontento dei cittadini, iquali, a loro volta, richiedono una guarnigione romana che occuperà Messina l'anno successivo. In questo modo si arriva alla prima guerra punica (264-241 a.C.), che mette l'una contro l'altra le due grandi potenze del Mediterraneo: Roma ha la meglio nello scontro a terra e costringe gli avversari a ritirarsi nel Lilibeo e a Trapani, vero e proprio porto franco data la totale inesperienza marittima dei romani, la cui lingua era carente persino di vocaboli nautici. Nel 262 a.C. sono conquistate anche Segesta e Agrigento. Soltanto a Milazzo (Mylae), nel 260 a. C., il console Caio Duilio riesce ad ottenere un successo imprevisto grazie anche al fatto che i cartaginesi avevano sottovalutato del tutto l'ingegnosità del nemico: un esempio delle straordinarie capacità belliche dei romani dato dall'uso dei cosiddetti corvi, i ponti mobili muniti di raffi a becco di corvo, con i quali si agganciavano le navi nemiche, per permettere all'equipaggio di attaccare l'avversario come sulla terraferma. Soltanto sotto il console Caio Lutazio Catulo (241 a.C.) Roma riesce a sconfiggere definitivamente i cartaginesi di Annone, alle isole Egadi arriva così al 218 a.C, anno della seconda guerra punica. Le basi di appoggio romane sono Messina e Lilibeo, ma tutta la Sicilia viene coinvolta, e gli abitanti si dividono tra gli avversari. Parecchi si ribellano alla potenza romana, ma senza successo; questo forte sentimento anti-romano si diffonde anche a Siracusa, che viene attaccata dal console

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Claudio Marcello. Alla difesa di Siracusa contribuisce l'ingegno di Archimede, che induce una forte frustrazione nei romani, incapaci di prevederne le mosse in guerra. Tuttavia Claudio Marcello si esprime in tutta la sua brutalità, distruggendo Megara e domando la rivolta di Enna. Siracusa invece viene conquistata nel 212, quando muore lo stesso Archimede. A tal proposito è noto il malcontento generale dei siciliani nei confronti di questo console, per la grande quantità di tesori d'arte che quest'ultimo fece portare a Roma, oltre al solito bottino. Meravigliose pitture e inestimabili sculture sono state letteralmente strappate dai muri dei templi, per essere imbarcate.Nel 201 a.C. termina la seconda guerra punica, con la sconfitta di Annibale a Zama (nord Africa). La nuova realtà trasforma radicalmente la vita sociale e politica del paese: si forma il latifondo come fenomeno economico e strutturale, mentre piccoli appezzamenti riempono gli spazi esistenti tra i "latifundia" e i pascoli. Scavi archeologici e riferimenti letterari dimostrano anche che i romani apportavano migliorie apprezzabili alle vie di comunicazione interne e alle strade più importanti, in Sicilia e nei territori di conquista.

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Roma signora del mediterraneo La Sicilia

“prima provincia romana” La presenza romana si consolida nell'isola al termine della terza guerra punica (146 a. C.) e dopo la distruzione di Cartagine. La Sicilia Divenne così la prima provincia territoriale di Roma una delle più prospere e tranquille, sebbene la sua storia sia stata turbata da due gravi episodi di rivolta servili. La prima rivolta degli schiavi si fa risalire al 139 a. C. e interessa la città di Enna. La classe degli schiavi è piuttosto eterogenea: prigionieri di guerra, uomini e donne liberi di alto rango che parlano il greco, agricoltori e pastori, lavorano i latifundia e vivono in miseria.La rivolta di Enna è capeggiata da un certo Ennio, proclamato re dopo che il ricco padrone Damofilo viene ucciso. Analoga è la ribellione che si scatena nella zona dell'agrigentino e che si estende a Taormina e Morgantina; Sotto il console Rupilio P. la parte orientale dell'isola era soffocata, ma l' eco delle lotte raggiunge la parte occidentale, dove altri due leaders emergono dalla massa degli schiavi - Salvio nella regione di Alicie ed Eraclea, Atenione tra Segesta e Lilibeo - per essere repressi dall'abile comandante Aquilino. Le due rivolte causano danni notevoli, ma la Sicilia ricostituisce presto le sue ricchezze . Il governo isolano fu riorganizzato sotto la guida di un pretore coadiuvato da duequestori, uno a Siracusa e l'altro a Lilibeo e da un consiglio provinciale che però non aveva poteri effettivi.

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Durante il governo repubblicano romano, tutte le città godevano di una certa autonomia ed emettevano monete di piccolo taglio, ma si diversificavano tra loro per il tipo di organizzazione amministrativa. Ad esempio Messina Tauromenio e Netum (=Noto) erano civitates foederatae, in quanto già alleate di Roma, se gesta e Palermo erano liberae ac immunes; altre erano civitates decumanae, cioè pagavano la decima secondo il sistema già in uso ai tempi di Gerone II fornendo così a Roma un tributo annuo di circa 2 milioni di moggi di grano (un quinto del fabbisogno dell'Urbe). Altre città ancora erano le civitates censoriae, comunità la cui terra era stata confiscata e resa ager publicus e per la quale dovevano pagare un affitto, oltre alla decima.La Sicilia fa da sfondo anche nella guerra civile tra Bruto e Cassio, e i triunviri Antonio, Ottaviano e Lepido, quando a Sesto, figlio di Pompeo, viene riconosciuto, dai triunviri, il potere sull'isola, sulla Sardegna e sulla Corsica (39a. C.). Ma l'accordo non dura a lungo e si giunge alla battaglia di Anzio (31 a. C.) con Ottaviano capo incontrastato dell'impero. Consolidatosi il regime augusteo, la Sicilia tornò a prosperare come prima, mentre cultura greca e latina continuavano a coabitare. Augusto sostituì la vecchia decima con una nuova imposta fissa e cambiò l'organizzazione amministrativa delle comunità locali, ancora legata ai vecchi schemi organizzativi greci, concedendo la cittadinanza romana a Messina e alcune altre città, fondando colonie di veterani in varie località della Sicilia (Siracusa, Tauromenio, Palermo, Catania,Tindari e Termini) con Ottaviano capo incontrastato dell'impero. Per tutta l'età imperiale, in Sicilia nessuno aveva avuto la volontà di farsi avanti e iniziare la carriera amministrativa, ma ciò nonostante le classi medie e alte si distinguevano nella ricchezza e nello sfruttamento delle terre. Questa prosperità era la base per attività quali il commercio, le industrie navali e l'esportazione. Per quanto riguarda il commercio in Sicilia, sono stati rinvenuti oggetti di terracotta che attestano gli

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spostamenti e i contatti con Africa, Spagna e Gallia. Un esempio è dato dalla necropoli di Sabucina.

IL COMPORTAMENTO DI ROMA NEI CONFRONTI DELLE CIVITATES DI

SICILIA L'organizzazione provinciale –

"Siciliae civitates sic in amicitiam fidemque accepimus ut eodem iure essent quo fuissent, eadem condicione populo Romano parerent qua suis antea paruissent. Perpaucae Siciliae civitates sunt bello a maioribus nostris subactae; quarum ager cum esset publicus populi romani factus, tamen illis est redditus; is ager a censoribus locari solet. Foederatae civitates sunt duae, quarum decumae venire non soleant, Mamertina et Tauromenitana, quinque praeterea sine foedere immunes ac liberae, Centuripina, Halaesina, Segestana, Halycensis, Panhormitana; praeterea omnis ager Siciliae civitatum decumanus est, itemque ante imperium populi Romani ipsorum siculorum voluntate et institutis fuit." (A. KLOTZ, F. SCHOELL, O. PLASBERG, M. Tullius Cicero. Orationes in Verrem, III 6, 12-13 Leipzig 1923-1949²) "Noi accogliemmo le città della Sicilia in amicizia e fides in modo che esse restassero con gli stessi diritti di prima e obbedissero al popolo romano nella stessa condizione, in cui prima avevano obbedito ai propri governanti. Pochissime città della Sicilia sono state sottomesse con la guerra dai nostri antenati; il loro territorio, benché divenuto proprietà del popolo romano, fu tuttavia restituito loro; di consueto la riscossione dell’imposta su

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Progetto linguistico

questo terreno è data in appalto dai censori. Ci sono due città federate, non sottoposte di norma al sistema di aggiudicazione delle decime, Messina e Taormina, e inoltre cinque città non federate immuni e libere, Centuripe, Alesa, Segesta, Alicie, Palermo; tutto il resto del territorio delle città siciliane è sottoposto al versamento della decima, e così era anche prima del dominio del popolo romano, per volontà dei Siciliani stessi e secondo le norme da loro stabilite." (Trad. di G. BELLARDI, Le orazioni di M. Tullio Cicerone, III, 6, 12-13, Torino, I, 1978)

IL COMPORTAMENTO DI ROMA NEI CONFRONTI DELLE CIVITATES DI

SICILIA Le civitates immunae ac liberae

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I meriti ed i privilegi che Roma concesse alle città della Sicilia non furono che la conseguenza immediata della loro deditio in fidem p.R. Attraverso tale atto, che aveva le caratteristiche di un “contratto verbale”, con scambio contestuale di

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domande e risposte, generalmente si poneva fine alla guerra. I suoi effetti giuridici consistono nel trasferire al potere romano tutti gli elementi giuridici della sovranità e della collettività politica. La deditio è stata definita da S. Calderone “un atto stipulato liberamente… tra due comunità pubbliche in quanto tali, concluso con la partecipazione formale della volontà dell’una e dell’altra delle parti contraenti, sostenuto dall’assunzione di obbligazioni reciproche”. Essendo, comunque, la volontaria sottomissione di una città al potere romano differente dalla resa in guerra, ben diversamente poteva concepirsi il rapporto che si istituiva tra la comunità dediticia e Roma. I Romani si erano resi conto che sicuramente più proficuo sarebbe stato per loro considerare le città dell’isola non come nemici da annientare, ma come elementi potenziali del loro stato. La città che se dedit in fidem p.R. doveva essere fisicamente risparmiata e giuridicamente lasciata in stato di libertà. La sua posizione giuridica e il suo assetto tributario erano fissate in ragione del suo comportamento verso Roma nelle guerre precedenti. da Francesco Cristiano

Economia

In seguito alle guerre puniche si erano avuti grandi accaparramenti di terre e ciò portò alla formazione di grandi latifondi lavorati da manodopera servile, le cui cattive condizioni di lavoro portarono alle rivolte. In questi latifondi fu incoraggiata soprattutto la coltura del frumento e ciò fece dell'isola uno dei granai di Roma e una delle province romane più ricche. Ciò dette impulso anche ad altre attività nell'isola, principalmente l'industria navale che sfruttava le dense foreste isolane e il commercio, soprattutto con la Spagna e l’ Africa. Con l'avvento del regime imperiale il latifondismo rimase la principale forma di conduzione fondiaria, ma nonostante il declino della coltura cerearicola cotinuarono a fiorire villaggi e piccoli possedimenti e non si ebbe alcuna diminuzione della

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popolazione. La situazione economica dell'isola cominciò a decadere durante il governo degli Antonini e fu compromessa con le invasioni barbariche e il successivo dominio bizantino.

Ltto nel V secolo nella grande Villa del Casale, nei pressi di Piazza Armerina.

Bibliografia :Cicerone, Il processo di Verre, BUR, Milano 2003 -

Le vestigia romane Le vestigia romane risultano meno numerose e spettacolari di quelle ritrovate durante la dominazione greca, dato lo scarso interesse che Roma mostra per la Sicilia rispetto agli altri territori da lei conquistati. Infatti, una volta passato il pericolo di una potenziale invasione cartaginese, l'isola perde il suo carattere strategico e viene unicamente apprezzata per le sue risorse agricole. Questo "magazzino romano del grano" è quindi per molti secoli una delle tante province occupate da Roma, senza alcuna particolare attrattiva per i suoi amministratori. Malgrado ciò, i ricchi proprietari terrieri edificano splendide ville in riva al mare, come testimoniano le rovine della villa patrizia di Patti nei pressi di Tindari. Solo alla fine del III sec. d.C., sotto Diocleziano, questa provincia romana viene eletta al rango di regio suburbicaria, divenendo una delle regioni più ambite dall'aristocrazia romana, che vi acquista grandi proprietà fondiarie. Durante i sette secoli d'occupazione, Roma non offre alla Sicilia prestigiosi monumenti, ma costruisce vari edifici pubblici tipicamente romani (anfiteatri, terme, odeon ... ) ed un'efficace rete stradale utilizzata per scopi prima militari e poi semplicemente economici. Alcune zone pubbliche urbane (come ad esempio i fori) non sono ancora oggi completamente conosciute.

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La costruzione romana

L'evoluzione delle tecniche di costruzione spiega in parte la scarsa quantità di resti ritrovati. A differenza dei Greci, i Romani conoscono e usano il cemento con grande maestria, innalzando muri, volte e colonne con piccoli mattoni, nel cui interno viene colato il cemento. Le rifiniture sono costituite da rivestimenti marmorei (o realizzati con pietre di nobile aspetto), mentre per gli interni gli artisti adoperano addirittura lo stucco, che dà l'illusione di splendidi muri in pietra. Con il passare degli anni, o più verosimilmente a causa dell'avidità delle generazioni successive, i monumenti romani e i loro preziosi ornamenti si trasformano purtroppo in fragili rovine.

I monumenti romani Durante questo periodo i teatri greci, come quelli di Taormina e di Catania, subiscono notevoli trasformazioni:

l'orchestra circolare (riservata ai cori greci) viene ridotta ad un semicerchio, mentre viene aggiunto un muro di scena per accogliere i macchinari necessari agli effetti scenici. In questi teatri si può assistere sia a spettacoli di circo che a combattimenti di belve, grazie alla presenza di un muro situato ai piedi della cavea (in parte ancora visibile a Taormina), eretto per proteggere gli spettatori.

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Tra i monumenti di creazione romana, degni di particolare nota sono l'Anfiteatro di Siracusa, in cui si svolgono i

combattimenti fra gladiatori o belve, quello di Catania, gli odeon di Taormina e di Catania ed infine le Naumachie di Taormina (estremamente deteriorate), un immenso ginnasio

costruito in mattoni e adorno di nicchie, lungo 122 m. A parte le creazioni inerenti allo spettacolo, l'architettura civile romana non lascia alla Sicilia resti di grande valore: la bella basilica con portici di Tindari costituisce tuttavia la prova dell'introduzione da parte dei Romani dell'arte della volta (sconosciuta dai

Greci), anche in cittadine lontane dai grandi centri.

Architettura domestica –

L'abitazione romana siciliana è molto legata alla

tradizione ellenistica. La casa urbana con peristilio

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fa la sua apparizione verso la fine dei sec. III-II a.C. (Morgantina), ma solo a Marsala ed Agrigento sono edificati modelli di case con atrio e cortile a peristilio (nati in Campania). Le creazioni più ricche

si ritrovano invece nel campo delle ville di campagna, come testimonia la magnifica Villa del Casale nei pressi di Piazza Armerina: le terme private confermano l'estrema raffinatezza del luogo, noto soprattutto per la sontuosa decorazione musiva. I mosaici, che rivestono la quasi totalità dei pavimenti, risalgono presumibilmente al III o al IV sec. e si estendono su 3500 mq. Essi costituiscono per la loro ricchezza, il loro realismo e la loro diversità, la più grande opera d'arte romana giunta ai giorni nostri.

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Le radici della Romania e i Daci

La Dacia è un'area dell'Europa Centrale che è delimitata a nord dai Carpazi, a sud dal Danubio e ad est dal Mar Nero, corrispondente all'attuale Romania e Moldova. Con il

suo clima temperato ed il variegato ambiente naturale, il territorio della Dacia è stato abitato fin dal Paleolitico Inferiore (1.000.000 a.C. - 120.000 a.C.).

Le popolazioni locali vennero soppiantate da tribù di origine Indo-Europea tra la fine del Neolitico ed il tardo Paleolitico. All'inizio dell'Età del Bronzo (3300 a.C.) la popolazione Indo-Europea dei Traci si stabilì nella regione Carpato-Balcanica. Nella prima metà del primo millennio a.C., le tribù trace dei Daci e dei Geti si stabilirono rispettivamente in Transilvania in Valacchia-Moldavia.I Greci incontrarono inizialmente i Geti nelle colonie sorte sulla costa del Mar Nero nel VII secolo a.C., come Istros (Ìstria), Callatis (Mangalia) e Tomis (Constanţa), usando poi il loro nome per l'intera popolazione a nord del Danubio. Un primo contatto dei Daci con i Romani si ebbe nel 48 a.C., quando Burebista prese parte nella disputa tra Cesare e Pompeo, offrendo il suo supporto militare a Pompeo, che però fu

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sconfitto da Cesare.Dopo la morte di Burebista, assassinato dai suoi stessi nobili, il regno dei Daci fu diviso in più parti sotto regni distinti, dato che le colonie greche sul Mar Nero e le tribù celtiche non accettavano più l'autorità di uno stato dei Daci.

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Marco Ulpio TRAIANO

"Optimus princeps, Traiano fu un sovrano assoluto capace di usare il potere senza abusarne. Non a caso viene ricordato come uno dei più grandi imperatori. Durante il suo periodo, l'impero raggiunse la sua massima estensione" Generalità Soldato ed Amministratore, uomo forte e giusto: queste le caratteristiche salienti del grande Imperatore Traiano. Con lui inizia il periodo di maggiore splendore dell’Impero. Sotto la sua guida Roma raggiunse la sua massima espansione. Governò Roma per 20 anni, ma per oltre 10 fu impegnato all’estero per combattere guerre difensive e di espansione. Già dopo due anni dalla sua elezione, per la prima volta nella storia romana, il Senato gli attribuì l’appellativo di “Optimus”, il migliore, ma lui ne proibì l’inclusione fra i titoli ufficiali per circa 15 anni. Era nato il 18 settembre ’53 d.C. ad Italica, una cittadina spagnola, vicina all’odierna Siviglia, fondata da Scipione l’Africano. Il padre era stato Senatore, Console e poi proconsole d’Asia. La madre era spagnola. Nel ’97 , l’Imperatore Nerva l’associò al potere, nominandolo suo erede, non era suo parente, Nerva lo designò soltanto perché lo considerava “il migliore”. Nerva moriva tre mesi dopo senza neanche aver rivisto il figlio adottivo. Fu il primo Imperatore nato fuori d’Italia. Il dominio romano rivelava, così, il suo carattere supernazionale. Aveva un senso di dirittura morale che ne faceva un ottimo amministratore della cosa pubblica. E riconobbe sempre la supremazia della legge, anche di fronte alla

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volontà dell’Imperatore. Il potere non gli diede mai alla testa. Interpretò il ruolo di Imperatore conferendogli innanzitutto il carattere di un servizio. Abolì subito i rituali onorifici connessi con la regalità: il palanchino ondeggiante con i battistrada, l’abbraccio al piede dell’Imperatore, il bacio della mano e tutti quei degradanti simboli caratteristici di una monarchia orientale. Con la sua apertura di cuore e con la naturalezza delle maniere si guadagnò l’affetto delle due classi più influenti nello Stato: i soldati ed il Senato. Era un formidabile lavoratore. Le sue idee politiche erano quelle di un conservatore illuminato che credeva più alla buona amministrazione che alle grandi riforme. Una politica estera e militare offensiva Se, a giudizio degli storici, il principale merito di Traiano verso Roma deriva dalla sua attività amministrativa, la sua fama plurisecolare è dovuta soprattutto alle sue imprese militari. Escludeva la violenza, ma sapeva ricorrere alla forza. Abile stratega, saggio amministratore, uomo giusto, soldato con mentalità da soldato, riteneva che la miglior difesa fosse l’attacco. In politica estera, infatti, abbandonando la linea difensiva seguita dai suoi predecessori, organizzò nuove guerre di conquista; di nuovi territori aveva bisogno per sostenere la sua politica interna d’assistenza ai bisognosi e per risolvere la crisi economica che procedeva irreversibilmente, con un livello di tassazione molto elevato. Le nuove terre, inoltre, avrebbero assicurato nuove masse di schiavi e la possibilità di insediare coloni italici nelle regioni conquistate. Per fare questo aveva bisogno di un Esercito affidabile. E fu questa la sua prima cura. Creò nuove Legioni, ma, soprattutto, impose un nuovo senso della disciplina con un serrato programma d’addestramento e con un nuovo rapporto fra Soldati, Comandanti ed Imperatore. Credeva fortemente nel valore dell’esempio. Condivideva le fatiche

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e le ansie dei suoi Soldati, con cui familiarizzava chiamandoli per nome e che redarguiva se necessario. Il suo ascendente sui Soldati gli procurò una dedizione, una fedeltà ed un rispetto ogni giorno più alti. Un dato è sicuro: la reciproca lealtà fra l’Esercito e Traiano fu assoluta e forse nessun altro Imperatore seppe, come lui, ottenere dai propri Soldati risultati altrettanto fruttuosi. Le principali guerre di Traiano furono due: quella dacica e quella armeno-partica. Da ricordare, inoltre, anche la conquista dell’Arabia nord occidentale.

La conquista della Dacia (101 – 105) Nei mesi trascorsi sul fronte germanico dopo la sua elezione, Traiano ebbe il tempo di pensare ad una politica

estera il cui scopo fondamentale era quello di riprendere in mano il problema della Dacia (attuale Romania). Il possesso di questa regione consentiva, infatti, il raggiungimento di una stabile linea difensiva per sbarrare il passo alle infiltrazioni di barbari verso occidente. Essa avrebbe consentito, inoltre, un tranquillo sviluppo delle adiacenti regioni romane della Mesia (odierna Bulgaria) e della Tracia (Grecia orientale). La Dacia era stata un

problema per i Romani anche negli anni precedenti. Era un vicino sempre pericoloso, un faro per l’unione di tutti i popoli del medio e basso Danubio. Nell’85-86, Domiziano aveva pensato di risolvere la difficile situazione con il pagamento di somme di danaro, date in sussidio per ottenere la collaborazione delle tribù più civili o la neutralità di quelle più turbolente lungo i propri confini. La

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scelta appariva incomprensibile e vergognosa per i contemporanei. La politica di Domiziano rappresentava l’espediente provvisorio più saggio, ma non poteva essere considerata una soluzione definitiva. Essa poteva aver successo solo nei casi in cui i beneficiari erano troppo deboli o disuniti per costituire un pericolo per le vicine province romane. I daci, invece, erano un popolo unito, conscio della propria nazionalità e ben organizzato, agli ordini di un principe geniale, Decebalo, che nutriva un odio indomabile verso l’Impero e che tentava di coinvolgere sia le tribù vicine sia i lontani Parti (Estremo Oriente) in una guerra congiunta contro i romani. La conquista della Dacia, oltre che dalla sicurezza dei confini, era dettata anche da altri motivi eminentemente pratici: le miniere d’oro e la possibilità di procurarsi una grande massa di schiavi. Con l’oro, Traiano, poteva costruire opere pubbliche in mezzo impero. La conquista della Dacia si realizzò con due guerre: • � la prima, dal 101 al 102; • � la seconda, dal 104 al 105. La prima guerra dacia fu iniziata, nel marzo del 101, dallo stesso Traiano il quale temeva un’invasione della Mesia, regione romana confinante con la Dacia, da parte di Decebalo approfittando del fatto che il Danubio era gelato. Decebalo era ormai giunto al culmine del suo prestigio e Traiano valutò che il procrastinare l’impresa avrebbe reso più difficoltoso il successo. In realtà, già dal 98-99, Traiano aveva realizzato una serie di predisposizioni tattiche fra cui la costruzione di una nuova strada che sarà utilizzata per l’avanzata. Traiano fece gettare sul Danubio due grandiosi ponti sui quali transitarono due colonne per un totale d’ottantamila legionari romani. Decebalo si ritirò nel tentativo di trascinare i romani in zone impervie, allungare le loro linee di comunicazione ed isolarli nelle montagne della Transilvania. Ma, durante l’avanzata, Traiano costruiva campi base e fortezze

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(Lederata, Tibiscum) per consolidare le conquiste e rendere possibile l’afflusso di rinforzi e di rifornimenti.. Decebalo impiegò tutte le sue forze per soccorrere le fortezze e, quando l’ultima di queste fu espugnata, la strada per la capitale era ormai da considerarsi aperta e la guerra ormai vinta. Decebalo per risparmiare gli orrori di un inutile assedio capitolò, presentandosi nel campo di Traiano. La pace fu realizzata nel 102 ed accordata da Traiano in termini abbastanza miti. A Decebalo rimanevano, infatti, i monti della Tracia con le loro miniere d’oro. Varie sono le motivazioni che possono aver suggerito questa clemenza da parte di Traiano: - - l’eccessiva fiducia nella portata del successo

realizzato; - - la difficoltà di mantenere in Dacia, per tutto un

inverno, un Esercito per la conquista dell’intera regione; - - il riconoscimento del valore personale dello

stesso Decebalo, che poteva diventare un fedele alleato di Roma.

Tuttavia, entrambi i condottieri conservavano la riserva mentale di prepararsi meglio ad un’eventuale nuova guerra. Traiano, infatti, non spostò dall’area nessuna delle Legioni che avevano preso parte alla campagna. Dopo qualche anno, nell’autunno del 105, Decebalo passò all’azione invadendo la Mesia e sorprendendo inizialmente Traiano. Aveva così inizio la seconda guerra dacia.

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Traiano si rendeva ben conto che il problema dacio si sarebbe risolto solo con la morte del re Decebalo.

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Questi, infatti, aveva tentato di ritirarsi verso il nord per riordinare le proprie forze e per chiamare alla rivolta nuove tribù. Ma la caccia romana fu spietata. Decebalo si diede alla fuga, ma incalzato e raggiunto dalla cavalleria romana, per non cadere prigioniero dei soldati di Traiano, si tolse la vita. I romani gli mozzarono la testa e la mandarono a Roma come trofeo. La capitale Sarmizegetusa da allora in poi fu chiamata Ulpia Traiana. La Dacia fu ordinata in Provincia. Una popolazione poliglotta sostituì quella indigena. Fra essi, numerosi coloni romani che iniziavano, in tal modo, una radicale latinizzazione della zona i cui effetti si risentono ancora oggi.

Le opere pubbliche Pur essendo celebrato per la sua modestia e pur essendo d’indole pragmatica, Traiano si rendeva ben conto che i monumenti celebrativi e, soprattutto, le opere pubbliche erano necessari per accrescere il cpopolare.

onsenso

Per quanto riguarda i suoi principali monumenti, Traiano si avvalse del grande architetto Apollodoro di Damasco. A questi si deve il Foro traiano, il più grande ed il più splendido dei fori imperiali. Grande quanto tutti gli altri Fori imperiali messi insieme. Si tratta di uno dei monumenti più fastosi di tutti i tempi, racchiuso in un complesso di straordinaria imponenza cui si accedeva attraverso un marmoreo arco trionfale. Per ricordare la conquista della Dacia, nell’ambito del complesso architettonico del Foro traiano fu inserita anche la Colonna traiana, alta circa 30 metri, larga 4 metri e

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sormontata da una statua dell’Imperatore. Essa era originariamente colorata e nasconde all’interno una scala a chiocciola di 185 gradini. Attorno alla Colonna si avvolge, per 23 giri, un fregio di marmo a spirale, alto un metro e lungo 200 metri, su cui, con circa 2500 figure sono raccontate le vicende della conquista della Dacia (può essere considerata l’antenata dei moderni sceneggiati televisivi). E’ un’incisione troppo gremita per essere bella, ma dal punto di vista documentario è molto interessante. Per espressa volontà dell’Imperatore, ai lati della colonna traiana, furono costruite due biblioteche, una per i testi latini ed una per i volumi in lingua greca. Le opere sociali, finanziarie e politiche Per mantenere la prosperità in Italia e permetterle di conservare il suo primato all’interno dell’Impero, erano necessari provvedimenti ben più drastici del puro e semplice miglioramento delle vie di comunicazione. Pertanto la caratteristica principale delle iniziative promosse da Traiano nel campo sociale fu l’interessamento per le nuove generazioni. Sui Plutei che ora sono conservati nella Curia (sede del Senato, ubicata all’interno dell’area del Foro romano), si vede Traiano che brucia i registri delle tasse e che instaura “l’istitutio alimentaria”. Quest’istituto era stato introdotto dal predecessore Nerva, ma sotto Traiano trovò la sua piena realizzazione. Grazie ai soldi della conquista della Dacia, Traiano ripopolò di contadini liberi l’Italia, fornendo loro terra, sementi, attrezzi e casa, chiedendo in cambio un moderato interesse annuo. In tal modo risollevò le condizioni dell’agricoltura. Con gli interessi istituì collegi per ragazze e ragazzi poveri e per gli orfani dei suoi legionari cui erano elargiti sussidi mensili (16 sesterzi per i ragazzi e 12 per le ragazze). In tal modo, garantendo loro cibo ed istruzione, assicurò all’Impero una classe di tecnici e militari che costituirà l’ossatura dei futuri regni d’Adriano ed Antonino.

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Traiano aveva ereditato da Nerva, se non un deficit, almeno la prospettiva di difficoltà finanziarie. La situazione fu fronteggiata sia con economie sia con la conquista delle miniere d’oro ed argento della Dacia. e. La morte (117) Nel luglio del 117, durante il viaggio di ritorno verso Roma, al termine della guerra contro i Parti, dovette fermarsi in Cilicia per una trombosi cerebrale. Qui morì l’11 agosto, a 64 anni, dopo aver regnato per circa un ventennio. Per i romani era fondamentale che i defunti venissero sepolti all’esterno del Pomerio, il limite sacro della città. Il corpo di Traiano, invece, fu ospitato in un’urna d’oro entro la base della sua colonna, nel cuore della città. Con lui fu poi sepolta Plotinia, sua unica moglie cui fu fedele per tutta la vita (cosa assolutamente insolita per quei tempi, in cui, per le classi superiori, un matrimonio era valutato, soprattutto, in termini di opportunità politica o di convenienza economica). Molte volte nella sua persona sono state celebrate le ragioni della civiltà e dell’incivilimento (oggi si direbbe cultura in senso lato). I romani affermavano che i buoni Imperatori “abitavano” le virtù. E Traiano era un buon Imperatore! In lui sembrò attuarsi una conciliazione fra principato e “libertas”. Dante lo ricorda nel Canto X del Purgatorio, ne celebra le doti di giustizia con versi tra i più belli. Secondo la tradizione dantesca Gregorio Magno, colpito dalla generosità dell’Imperatore, avrebbe ottenuto da Dio la sua resurrezione per il tempo necessario ad impartirgli il battesimo, consentendogli così di entrare in Paradiso, nel cielo di Giove e precisamente fra i sei spiriti giusti che formano l’occhio della mistica aquila. Dante riteneva, così, che l’ingresso in Paradiso fosse dovuto al senso di giustizia che, almeno in quel caso, poteva prevalere sulla Fede.

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Dopo di lui, ogni nuovo Imperatore venne salutato dal Senato con le parole “Sii più benefico di Augusto e più giusto di Traiano”. Sotto la sua guida ispirata, Roma riacquistò fiducia non solo nella sua sicurezza interna, ma anche nel suo destino imperiale. Tuttavia, la politica di conquista seguita da Traiano, alla fine, si sarebbe rivelata come una “damnosa hereditas” per l’Impero che egli cercava di rafforzare. In ogni caso, una personalità del genere era necessaria all’Impero romano proprio quando visse Traiano; un Soldato ed un Amministratore, un uomo forte e giusto.

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Marcus Ulpius Nerva Traianus (18.09.53 - 9.08.117) Imperatore Romano (98 - 117) è stato il secondo dei cinque imperatori buoni del l’Impero Romano e uno dei più importanti. Sotto il suo regno, l'impero arrivò alla massima estensione. Dopo quasi tre anni di preparativi ai confini della Dacia, cominciate subito

dopo che salì al trono, l'imperatore Traiano concentra, all’ inizio dell’ anno 101 in Mesia Superiore, 13-14 legioni e altre numerose unità ausiliare ( per un totale di quasi 150 000 soldati), per combattere contro il rgno di Decebalo. Il 25 marzo 101 l'imperatore lascia Roma, attraversa il Danubio sui ponti a Laederata (Ramna) e Dierna (Orsova) entrando attraverso il Banat in Dacia. A Tapae, nell’ estate del 101, Decebal cerca di fermare l'avanzata dei romani. La cruenta e lunga battaglia finisce con la vittoria romana. Alla fine dell’ anno 101 imponenti forze daciche, accanto ai sarmati e bastarni, attraversano il Danubio ed entrano in Mesia, obbligando l'imperatore Traiano a spostarsi nel nuovo posto di guerra aperto da Decebal. L'ingegnoso piano strategico, non aiuta Traiano per approfittare della vittoria di Tapae, dopo la sconfita di Decebal tra l’inverno e la primavera di 102 (a Nicopolis as Istrum e in Dobrugea aad Adamclisi),crolla l'iniziativa militare passando per sempre nella parte avversa. Nell’ autunno del 102, la resistenza di Decebal obbliga Traian a fare la pace con il re dacio, pace vista da entrambe le parti come un armistizio. Su ordine di Traiano, Apolodor di Damasc, il piu famoso ingegnere del tempo, costruisce fra Drobeta e Pontes, nel anni 103 - 105, un ponte fisso sopra il Danubio, sul quale le legioni romane passano nell’ estate dell anno 105,

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cominciando la seconda guerra dacica. Abbandonato dagli alleati, attaccato da Banat, La Valle di Olt e Moldavia, costretto sempre alla difesa, Decebal si ritira nella cittadella delle Montagne Orastie. Dopo la conquista delle forti cittadelle che custodivano l'accesso nella capitale (Blidaru, Costesti, Piatra Rosie, Banita, Capalna, Tilisca), le legioni romane cominciano l'assedio di Sarmiszegetusa. Anche la resistenza dacica è eroica, la cittadella viene conquistata e distrutta. Una parte dei difensori, fra di loro anche Decebal, riescono a lasciare la cittadella cercando di continuare la resistenza contro i romani dentro il paese. Inseguito dalla cavalleria romana, per non cadere vivo nelle mani dei romani, Decebal si uccide. La maggior parte dell'impero dacio è trasformato, nell’ estate 106, in provincia romana. In memoria delle lotte daciche, nel Foro di Traiano viene costruita la Colonna di Traiano (103). La meravigliosa costruzione, che sta in piedi, ci fa vedere scene delle due guerre. Inaugurata a Roma 12 maggio 113, fu collocata fra la Biblioteca Greca e la Biblioteca Latina. Fu progettata dall’ architetto Apolodor di Damasc. Alta, senza statua, 39.83m. Sopra un basamento a forma di parallelepipedo con il lato di 5.48 m e l'altezza di 5.37m e di una corona di lauri, si alza la colonna (alta di 26.62m) formato da 18 tamburi di marmo di Carrara, un capitello dorico e una base cilindrica che ha il ruolo di supporto della statua imperiale. La banda scultorea misura 200m e rappresenta 125 episodi delle guerre daciche (anni 101-102 e 105-106) nelle quali vi sono, approssimativamente, 2500 immagini. L'edificio è provvisto di una porta che arriva in un vestibolo, da dove comincia una scala interiore in forma di

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spirale, che va fino in cima alla colonna dove, nell’ antichità, era la statua dell'imperatore. Sopra la porta dell’entrata si vede l'iscrizione sostenuta da due vittorie: Senatus populusque Romanus / Imp(eratori) Caesari Divi Nervae f(ilio) Nervae / Traiano Aug(usto) Germ(anico) Dacico pontifi(ici) / maximo trib(unicia) pot(estate) XVII, imp(eratori) VI, co(n)s(uli) VI, p(atri) p(atriae) / ad declarandum quantae altitudinis – mons et locus tantis operibus sit egestus. Nell’ anno 1939 lo stato romeno ha ordinato a dei maestri vaticani una copia della Colonna di Traiano . I lavori per riprodurre la colonna furono effettuati durante la guerra.

La copia della Colonna è stata completata dallo stato romeno ed è costata 4 milioni di lei dell’epoca. Dopo una serie di trattative diplomatiche, la copia della Colonna di Traiano è arrivata a Bucarest nel giugno 1967.

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DECEBALO E TRAIANO

secondo Dione Cassio Il ritratto di Decebalo, sovrano dei Daci, nella Storia di Dione Cassio, è tutto puntato sulla sua abilità militare: "Costui era doppiamente scaltro, tnella tattica quanto nelle azioni belliche; abile sia nel lanciare l'attacco, sia nella scelta del momento migliore per ritirarsi; esperto d'imboscate e maestro di scontri campali; non solo sapeva bene come sfruttare la vittoria, ma era abile a limitare i danni in caso di sconfitta." Si tratta di un comandante astuto e pericoloso, che ha ottenuto grandi

successisulle armate romane al tempo di Domiziano (costringendo il Senato al versamento di un tributo annuo) e che ha saputo porre riparo ostinatamente alle sconfitte infertegli da Traiano. Sulla Colonna è mostrato più volte in questo ruolo di sagace capo militare: quando sa porre rimedio all'esito sfavorevole della prima grande battaglia campale, costringendo guarnigioni stanziate in

Mesia; o quando, per evitare una sconfitta definitiva, preferisce sottomettersi all'imperatore e accettarepace negoziata. Ancora Dione Cassio riferisce che la tesdi Decebalo, che davanti al nemico incombente si er

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Traiano a portare soccorso alle

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la morte tagliandosi la gola con un pugnale ricurvo,esibita come macabro trofeo ai soldati e poi inviata a Roma per essere portata nel trionfo di Traiano.

fu

Nato a Italica, in Spagna,

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ore intellettuale aveva raggiunto il

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tto o i,

Marco Ulpio Traiano,

nel 53 d.C., proveniva da una famiglia di rango senatorio e fu il primo principe provinciale: Neinfatti lo aveva adottato e designato suo erede. (anchnei confronti dei cristiani), il rispetto della tradizione e delSenato gli attirarono il favore di tutti. "Traiano si distingueva scrive nella suaStoria Dione Cassio- per il suo valore e per la semplicidei costumi. Aveva robusto, trovandosi nel quarantaduesimo anno diquando salì al pcosì, in qualsiasi frangenteera in grado di sopportare la fatica (...) il suo viggrado massimo, distante sia dalle imprudenze della giovane età sia dalla pigrizia della vecchiaia". Sempliceaffabile con i cittadini "non c'era qualità che egli non possedesse al grado più alto", capace come capo militare "anche se amava la guerra, tuttavia si riteneva soddisfaquando aveva raggiunto il successo, debellato il nemicpiù ostile ed esaltato i propri concittadini. Nè capitò madurante il suo regno, quello che tanto spesso accade intali circostanze, e cioè un atteggiamento di presuntuosa

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insofferenza da parte dei soldati: con mano tanto ferma loguidava". Nelle numerose scene della Colonna in cui Traiano parla ai soldati si manifesta il rapporto di familiarità e stima reciproca che costantemente lega ilprincipe all’esercito durante tutto lo svolgimento dellguerra dacica.

a

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v MUSICOLOGIA

“Decebalo” torna in vita Di Lorenzo Tozzi

23 Lug 2005, 14:21

Hierapolis, La porta di

Domiziano

MERCOLEDÌ 3 AGOSTO

TAGLIACOZZO - TEATRO TALIA ORE 21.15 Decebalo (Napoli, 1743)

Musica di Leonardo Leo (1694-1744) Festa teatrale in onore di Maria Elisabetta di Borbone

(prima esecuzione assoluta)

Esecutori: Romabarocca Ensemble

Direttore e concertatore: Lorenzo Tozzi Personaggi ed interpreti: Adrian George Popescu

(Decebalo). Angelo Manzotti (Flavio), Sorin Dumitrascu (Domiziano), Laura Tatulescu (Domizia), Julia Surdu

(Giulia)

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In collaborazione con il Collegio Stravagante e il

Dipartimento di ricerca scientifica e delle attività artistiche della Università superiore della musica G. Enescu di

Bucarest

L’opera sarà registrata integralmente dalla Ditta Bongiovanni di Bologna

Decebalo, una festa (o azione, o serenata) teatrale dunque a lieto fine come di prammatica per le occasioni liete della corte) mette in scena tutti personaggi storici, di cui è ampia traccia negli storici antichi, tra i quali Cassio Dione . Decebalo" nasce dalla volontà di alcuni musicologi e musicisti che in stretta sinergia tra Italia e Romania e le rispettive istituzioni musicali hanno inteso realizzare l’esecuzione di un'opera italiana del Settecento dedicata alla antica storia romena. Si tratta di una prima esecuzione moderna (che verrà

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anche incisa discograficamente) realizzata in anteprima a giugno a Bucarest ("Teatro Ateneo")………Il progetto riveste un ruolo particolarmente importante di sinergia culturale nel momento dell’ormai prossimo ingresso della Romania (2007) nella Unione Europea, giacché si tratta proprio di un’opera italiana di stile (della gloriosa scuola "napoletana" del Settecento di cui Leonardo Leo fu uno degli esponenti di maggiore spicco ed originalità) e l’antica storia dacica, che è alle origini della moderna nazione rumena. Saranno coinvolti nel progetto il prestigioso Conservatorio S. Cecilia di Roma, il "Centro di Ricerca dell' Istituto di scienze musicali e attività artistiche" di Bucarest, il Romabarocca Ensemble, il Collegio Stravagante. L’opera nasce da una vera e propria sinergia coproduttiva tra Bucarest e il Romabarocca Ensemble: si affiancheranno cantanti italiani e romeni già selezionati in apposite audizioni. Sono probabili riprese autunnali in Grecia ed in Austria. L’iniziativa travalica il puro significato culturale, già di per sè rilevante, e assume anche un carattere idealmente politico di cooperazione nel primo e più accessibile campo dell’arte e della cultura in attesa di ulteriori cooperazioni economiche o politiche” Commento tratto dal libretto del comune di Tagliacozzo

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Opera Nationala Bucuresti

Sfârsit de stagiune la ONB

Opera Nationala din Bucuresti prezinta vineri, 23 iunie si duminica, 25 iunie, 2006, ora 18:30, ultima productie a stagiunii: Decebalo de Leonardo Leo, compozitor napoletan al secolului al XVII lea. Pentru prima data pe scena Operei Nationale este prezentata o opera baroca. Evenimentul muzical, care prefigureaza formula de lucru si perfectionare artistica din cadrul Studioului Experimental de Opera si Balet cât si de diversificare a ariei repertoriale, marcheaza, totodata, si debutul în spectacolul de opera al regizorului Razvan Dinca. Scenografia o semneaza Viorica Petrovici iar coregrafia îi apartine Lilianei Iorgulescu. Alaturi de orchestra Collegio Stravagante, sub bagheta dirijorului Tiberiu Soare, vor urca pe scena: contratenorul Adrian George Popescu, soprana Iulia Surdu, mezzo-soprana Claudia Codreanu, basul Sorin Dumitrascu si soprana Agatha Deheleanu.

Asteptam publicul, în masura locurilor disponibile.

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BADEA CARTAN e ………..Traiano

La nostra origine latina è stata una costante coscienza etnica romana, una forte idea della nostra cultura e della nostra storia. “Noi discendiamo da Roma” hanno scritto, in senso umanistico(nel XVII secolo) i cronisti moldavi emonteni e l’idea fu ripe avvalorata nel clima illuministico ( nel secolo XVIII) dagli intellettdella Scuola Ardelene. La preziosa

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nostra latinità è stata infusa profondamente npopolo dalla chiesa, dagli intellettuali e divenuta cre

nell’ Ardeal, alienato per circa mille anni. Un esempio dipopolo,unico nel suo genere, ma un personaggio simbolico,è stato Gheorghe Cartan, conosciuto con l’appellativo di “badea Cartan”. Fu un contadino poriginario di Cartisoara (Sibdove era nato nel 1849.Il suo secolo, il XIX fu “il secolo delle Nazionalità”, del romanticismo emessianismo nazionale. Così badea Cartan, autodidatta piùche un paesano scolarizzato,

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amò con grande passione i testi romeni e soprattutto quelli di storia . Di sua iniziativa, per intimo dovere, più volte attraversò la frontiera per prendere dal “Vecchio Territorio”, in Ardeal, centinaia di libri e portarli con sè in una sacca.Testi di cultura generale, ma soprattutto testi di storia. Figura originale, pittoresca, badea Cartan fu conosciuto, amato, apprezzato dagli uomini politici, dagli intellettuali, dai movimenti patriottici della vecchia Romani che sostenevano attivamente l’idea del romanticismo e i romeni di Ardeal. Per la sua attività badea Cartan fu perseguitato dalle autorità austro-ungheresi ma non rinnunciò per nessun motivo a credere nella validità e nel trionfo della causa romena. Nella guerra per l’indipendenza del 1877 -78 egli,cittadino austro- ungarico si arruolò n

paesano- intellettualedi Ardeal la sua fervida attività non era sufficiente, avrebbe dovuto fare ciò che aveva imparato dai libstoria raccontati daglaltri. Così in

ell’armata romena. Ma per il

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1900 con la borsa appesa al bastone e sdi sé s’incamminò:da Cartisoara fino a Roma, la culla del suo popolo romeno.Arrivato a Roma per primo andò nel posdove tutti i romeni andavano una volta giunnella capitale d’Italia: la “Colonna Traiana”. Con che orgoglio,con che venerazione pastore badea Cartan guardava i bassorilievi della colonna, i suoi avi daci e romani, Decebal come principe e “Badica traina”. Poiché era solo, non conosceva nessun

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appena fece sera, si sdraiò alla base della colonna.Il giorno dopo di mattina i passeggeri, i poliziotti, i giornalisti ebbero una rivelazione, un paesano di Corjati,un dacio, ai piedi della Colonna di Traiano! I giornalisti di Roma il giorno dopo scrissero: “ Un dacio è

e personaggio, aveva fatto

politici,culturali, giornalistici trò

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sceso dalla colonna”Proprio come un dacio della Colonna, con i capelli lunghi,con la camicia e il berretto di pelliccia, con pantaloni e scarpe da contadino.Fu pubblicata la sua fotografia, fu intervistato…… Ancora una volta, l’originalscalpore anche a Roma! Fu invitato negli ambientid’Italia,fu accolto con simpatia e amicizia;ed egli si moscon dignità e naturalezza, riscuotendo gran de simpatia tra gli italiani per l’idea“della fratellanza romena”Non passarono molti annie, nella prima guerra mondiale,chper i romeni fu la guerra dell’unione, francesi, italiani e romeni furono alleati.) Ma badea Cartan non potnascita della “ Grande Romania”, per la quale anch’egli aveva portato il suo modesto ma simbolico contributo. Sette anni prima d1918,quindi nel 1911, morì, all’edi 62 anni. La morte lo colse sulla strada, nell’antica Romania oltre i monti. La sua tSinaia,l’epitaffio,impressionantescritto da un altro grande romeno,un grande intellettapostolo del popolo,Nicolae Iorga: “Badea Cartan dorme qui e sogna l’unione del suo popolo”

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L’Italia nei ricordi dei romeni

Nel medioevo: Miron

Costin nel “De neamul moldovenilor”da quale paese provengono i loro antenati. L’Italia è situata dove tramonta il sole, non così lontano dal nostro paese. Situata in mezzo ai mari che sono le sue frontiere. Le regioni dell’Italia: la Liguria, la Toscana, il Lazio, la Campania ect. Descrizione dell’Italia: città fortificate e città evolute,molti abitanti, un territorio bello come un paradiso, giardini e campagne lussureggianti, uomini capaci, ospitali con gli stranieri, di grande umanità; questo paese è lculla degli intellettuali e della cultura. Il nome dell’Italia è antico; gli italiani hanno vincoli di sangue con i moIn epoca mo

a

ldoveni. derna , Lucian Blaga: “Cronaca e valore delle

scolastica fatta

scu; il

età della vita” “…)(opera autobiografica. ) Nel XXII capitolo racconta una escursionedall’alunno Blaga con il Liceo Saguna nel 1911, in Italia. Preparativi per l’escursione:preparativi e costi. L’escursione in Romania parte da Bucarest,visitaall’Accademia, incontro con i manoscritti di Eminetreno per Costanza, il viaggio con il battello per il Mar

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Nero;visita a Costantinopoli; viaggio sull’Egeo; visita ad Atene; arrivo in Sicilia. L’escursione in Italia:la strada per Messina,la vista di Messina due anni dopo il terremoto; il viaggio con il treno per l’Italia continentale per Napoli. La vista delle mura antiche di Pestum. A Napoli forti emozioni, i musei, il paesaggio, le escursioni nella natura. La vista del Vesuvio fumante, la visita a Pompei, città romana distrutta dall’eruzione del

Vesuvio 2000 anni prima (le rovine, il museo, il Cane di Pompei. Lo spettacolo dell’Opera con Tosca e una giornata libera a Napoli. Dieci giorni a Roma,con le sue meraviglie. La prima meta per i romeni: la Colonna di Traiano. poi il

la Cappella Sistina, i dintorni di Roma, le tedi Caracalla, via Appia .l’Opera. Una pausa di dtre giorni a Firenze e poi una giornata a Venezia. Dopo l’attraversata dell’Adriatico fino a Fil treno per Budapest e poi direttamente a Brasov da dove eravamo partiti.

foro romano, il vaticano,

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iume,

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Storia

L’8 febbraio 1431, un gruppo di nobili vennero dalla “Tara Romaneste” e avevano con loro uno scettro principesco fatto per molti abitanti di Nurnberg, a quei tempi la città delle diete imperiali, sfidando il freddo per partecipare ad un avvenimento storico importante: l’imperatore Sigismund di Luxemburgo dava la signoria della tara

romaneste a Vlad, che aveva vissuto alla sua corte per 8 anni. Proprio in quel giorno, l’imperatore Sigismund gli regalò il suo scettro ed una collana e un medaglione in oro in cui era inciso un dragone, stemma della Cavalleria dell’ Ordine dell’omonimo animale. Nell’attesa della incoronazione, Vlad e la sua famiglia andarono a Sighisoara, in Transilvania, dove fondano una zecca. Per le prime due monete battute, Vlad usò lo stemma del suo sigillo: il dragone. Questo spiega perchè i romeni, la cui lingua è di origine neo latina, lo hanno chiamato Dracula (dal latino Draco-Onis). In romeno Dracula significa diavolo. Per i posteri il sopranome prese il posto del cognome, Vlad, il suo secondo figlio, fu conosciuto cosi. Vlad Dracula, cresciuto a Sighisoara, fu preso come ostaggio dai turchi, si rifugiò da suo zio Iancu di

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Hunedoara, un nobile romeno (Vlad Dracula si sposerà con sua figlia) e divenne signore della Tara romaneste il 22 agosto 1456. Quando era il Padrone delle tara romanesca , Vlad Dracula, fu uno dei più temuti nemici dei turchi, riorganizzò lo stato, l’esercito e le leggi, condannando a morte, impalando tutti coloro considerati nemici: banditi, ladroni, mendicanti, preti rapaci, nobili traditori, sassoni usurpatori che cercavano di spodestarlo per mettere al suo posto suo cugino Dan il Giovane o suo fratello naturale Vlad il Monaco. Gli storici turchi l’hanno chiamato Vlad l’impalatore e cosi è conosciuto dalla

storiografia romena. Egli era abituato a firmare invece con il nome di suo padre, Dracula. Ciò è dimostrato dal primo distintivo documentario di Bucarest, del 20 settembre 1459 e dal ritratto di Odhsenbach Stambuch da Stuttgart.

Fu tradito da, Matei Corvin, suo futuro cognato ed ordino il suo arresto. Vlad Dracula fu più di 10 anni in prigione a Visegrad, vicino a Buda. Ritornato sul trono nel 1476 con l’aiuto di Stefan il Grande, signore della Moldavia, insieme ai dogi della Serenissima e con l’aiuto del Papa Sesto IV, Vlad ricomincio la lotta contro i turchi. Alla fine del 1476venne ucciso a Snagov da Laiota Basarab che prenderà il suo posto sul trono.

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Leggenda Vlad l’impalatore, chiamato dalle leggende Dracula, è stato signore della Regione Romanesca (la parte meridionale della Romania odierna). La sua storia ha affascinato e continua ad affascinare tutto il mondo. La sua vita piena di imprevisti, come la crudeltà delle sue azioni sono già leggenda. Raccontata prima in romeno e poi in slavo antico, poi in Tedesco, con le esagerazioni di rigore specialmente in questa ultima versione, la sua leggenda è arrivata ad essere conosciuta in tutta Europa. Molte delle leggende fatte intorno al suo nome sono state storie macabre, presentando Vlad l’impalatore come un uomo bello ma veramente crudele. Non pochi sono stati gli scrittori che hanno raccontato la sua vita e le sue azioni incredibili. Cosi è nata una vera moda Dracula, il piu grande dei vampiri. La sua storia e stata raccontata in milioni di versioni. Ha conquistato I registi (sono state realizate piu di 100 pellicole). Le storie dei libri e delle pellicole raccontano del vampiro Dracula, sempre ambientate in Transilvania. Per molti la Transilvania è un posto fantastico. La descrizione delle città Cluj e Bistriza, il Passo Bargau di Carpazi (unisce Transilvania di Moldavia), e la descrizione di altri posti rispettano la realtà. Dracula, il vampiro, questo personaggio misterioso delle storie,dei romanzi e delle pellicole non è mai esistito.

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Dopo 1897 quando è stato pubblicato il romanzo “Dracula” di Bram Stocker (1847 – 1912), un irlandese di Dublino, il nome del signore munteno divenne ancora più famoso. Bram Stocker era un regista teatrale, membro della Associazione di parapsicologia “Golden Dawn” di Londra,appassionato studioso di vampirismo irlandese ed hindù. Il personaggio principale del suo libro stampato in milioni di esemplari è un vampiro, il Conte Szealer, chiamato Dracula. L’azione del libro si svolge in Transilvania l’autore dice: “Ho letto che tutte le superstizioni del mondo sono sui Carpazi, come se li fosse il centro d qualcosa di mistico”. Sarà questa la verità su Dracula? Leggenda o storia?

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E adesso .....noi Abbiamo desiderato sapere qualcosa di più su Dracula, e per questo abbiamo ealcune visite nei luoghi di grande importanza per la sua vita, ricordati nella storia o nei lavori di finzione.(Bucarest, Targovistede Arges, Poieneri, Bran, Brasov, Sighisoara)

ffettuato

, Curtea

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Quando siamo arrivati a Targoviste, eravamo molto nsiosi: “ E se la nostra città non piacerà’?” Ma ci

ono re

aeravamo sbagliti nel pensare questo: i nostri amici srimasti affascinati ! E quando siamo arrivati alla TorChindia e abbiamo visto le immagini con Vlad Tepes,i nostri visi si sono illuminati: eravamo vicino al mitico Dracula. Nella torre abbiamo vissuto momenti che ci hanno

riempito di gioia: avevamo davanti la città ricca di storia!

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VLAD TEPES – TRA STORIA E LEGGENDA

Noi romeni abbiamo amato da sempre Vlad Tepes perchè ricordiamo con piacere le storie che dicono che, al suo tempo, un uomo che si trovava in un qualunque posto del territorio romeno, non doveva aver paura di lasciare la borsa con i soldi sulla strada , perché nessuno avrebbe avuto il coraggio di prenderla. Dio, con la sua pietà, dovrebbe creare un nuovo Vlad Tepes, perchè egli ha fatto veramente giustizia.

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ISTORIA Vlad Tepes ,meglio noto come Dracula, è il secondogenito di Vlad Dracul II Il soprannome “Tepes” “Impalatore” gli fu attribuita dopo la sua morte nel 1476 per i modo come egli giustiziava gli ottomani,conficcandoli nei pali. L’impalatura era una crudele esecuzione, la vittima veniva infilzata in un palo acuminato,grosso quanto un braccio di un uomo. Si dice che Vlad prediligesse le esecuzioni di massa, le punte dei pali formavano una specie di “foresta”. Vlad nacque a Sighisoara in Transilvania nel 1431.

Divenne più tardi il secondo Principe della Valachia. Suo padre, fu un cavaliere dell’Ordine del Drago,un ordine cavalleresco del l’Europa dell’Est che aveva lo scopo di fermare l’avanzata

Ottomano. Lo stemma dell’Ordine del drago raffigura un drago e unacroce( simbolo del cristianesimo) e Vlad Dracul portò questo simbolo dappertutto, nelle bandiere, nelle

dell’Impero

monete, nel sigillo.

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060-1

a nel palazzo di Targoviste ,la capitale della Valacchia.

VLAD II PRINCIPE DI VALACCHIA

Nell’inverno del 1436-37 ,Vlad II divenne Principe di Valacchia e prese residenz

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Vlad III seguì spadre ,vivendo 6 anni ncorte principesca

uo

ella

o to indietro con la testa del

ferocia impedì

s è l’eroe nazionale della ilvania.

. Dopo varie

vicende, nel l1463 Vlad Tepes Dracula sconfisse gli ottomani,non fece prigionieri,i sopravvissuti furono tutti impalati,salvo unche fu rimanda

e tragiche

suo generale. Con il coraggio e la sual’invasione del paese. Vlad TepeTrans

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LA MORTE DI VLAD

ia stato

il corpo di

to un

la

ta inviata al Sultano.

Della morte di Dracula non si conoscono molte cose,esistono diverse ipotesi. La più diffusa è quella che sostiene che sia stato ucciso in una battaglia contro i Turchi, nei pressi di Bucarest,nel dicembre del 1476.Altri sostengono che s ucciso, in quella battaglia, dai feudatari valachi. C ha fatto vhe fineeramente

Vlad?

venne riesumacorpo vestito fastosamente, ma decapitato e si pensò chefosse il corpo di Vlad,cui testa, si dice, sia sta

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LEGGENDA

La storia di Vlad Tepes è un mistero tra storia e leggenda ,la verità è che nessuno sa dove finisce la leggenda e comincia la storia. Divenne un personaggio non solo storico ma letterario e flolkloristico perché il voivoda fu scelto dallo scrittore Bram Stoker come protagonista principale del suo romanzo scritto nell’anno 1897 Da quel momento Dracula e la Transilvania, il luogo dove si trova il misterioso castello pieno di fantasmi e vampiri, in mezzo a foreste misteriose,è divenuto il soggetto di 750 tra , films, documentari e novelle ispirate al romanzo dello scrittore irlandese. Si dice che la trasformazione di Vlad Tepes nel Conte Dracula assetato di sangue, è la conseguenza del fatto che ,secondo le abitudini di quel tempo,il vincitore di una combattimento si poteva dissetare con il sangue degli sconfitti. Sarà questa la verità su Dracula? Leggenda o storia?

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La storia delle sue gesta è stata fonte di ispirazione per Bran Stoker, che rese Vlad famoso in tutto il mondo. Stoker lesse le storie di Vlad scritte nelXV e XVI secolo e venne colpito dalle crudeltà descritte. Decise di farne il suo personaggio e di ambientarne la storia in Transilvania, “paese oltre la foresta”.Stoker usò Vlad solo come fonte di ispirazione,nel suo racconto Dracula non è il principe Vlad, ma un conte della Transilvania,la storia si svolge nell’area della Bisriza ed il castelo i trovavicino al passo Bargau. Dato che Stoker non aveva mai visitato la Transilvania,molti posti ed avvenimenti sono puramente Immaginari.

Il Castello di Bran,conosciuto come il castello di Dracula,fu costruito nel 1378 sullo spuntone di una roccia, doveva difendere e controllare la strada commerciale che univa la provincia di Valacchia alla Transilvania. Era anche un posto di dogana,

residenza del Re.Secondo la tradizione fu a lungo la residenza di Vlad III di Valacchia, passato alla storia come Dracula. Oggi è un museo d'arte feudale .

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MAZZINI E LA ROMANIA

di Marco Baratto

Questo articolo è stato pubblicato il 22 giugno 2005 sul giornale "Il Cittadino".

Il pensiero di Mazzini non si limitava all'ambito italiano, con profetica visione si allargava all'intero continente europeo ". Nel 1848 sull'Europa soffia il vento della libertà, una dopo l'altra, rivoluzioni scoppiano a Parigi, Berlino, a Vienna, a Milano: anche i rumeni innalzano la bandiera rivoluzionaria e vogliono cambiare il paese. L'influenza del pensiero mazziniano sui rivoluzionari romeni in maggioranza moldovalacchi , è riscontrabile nel dibattito che seguì dopo il fallimento delle rivoluzioni del 1848/1849 e il credo e il frasario mazziniani, allora familiari alla classe politica e alla parte più evoluta del popolo romeno, fecero sì che la proposta di Mazzini di una democrazia "Europea" e i suoi progetti federalisti, figurassero al primo posto nei progetti delle società segrete romene nate ad imitazione della "Giovane Italia". Del resto, da tempo emissari del Mazzini erano attivi in terra romena, che era la base di tanti piani e tentativi insurrezionali nell'Europa danubianobalcanica e in Polonia e i messaggi di Mazzini a coloro che egli non cesserà mai di chiamare "i suoi amici di Bucarest", parlano di "concordanza di dottrina, identità di fini e ricerca assidua d'operosa concordia". Dopo la parentesi rivoluzionaria, l'attività svolta in esilio dai liberali radicali romeni mirava a

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promuovere la cultura politica democratica e repubblicana e, al ritorno in patria, le più belle pagine del loro giornale "Românul" vennero dedicate all'illustrazione delle tesi mazziniane. "La Giovane Romania" collaborò, fin dalla nascita, con il "Comitato di Londra" e partecipò alle iniziative dell'Alleanza Repubblicana Universale. Tra i fondatori: Nicolae Balcescu, Constantin Rossetti, i quattro fratelli Golescu, i due Bratianu, tutti fervidi d'ingegno e operosità nella loro fede europeistica. Identificando in Mazzini la guida indiscussa del movimento per la trasformazione della carta geografica e dello spirito dell'Europa, Dimitru Bratianu, quale rappresentante dei Romeni nel Comitato Democratico Europeo, andrà a Londra per conoscerlo e stargli vicino. Mazzini che riconosceva ai romeni un ruolo particolare nella futura Europa, scriveva per l'appunto: "Tutte le nazioni erano uguali, dotate di una missione e con il sacro diritto dell'iniziativa rivoluzionaria. Per quello che riguardava la razza romena, [...] era chiamata a fare il collegamento tra la razza slava e quella grecolatina ". Ricordiamo che, al pari di quello italiano, il popolo romeno era frammentato tra Stati diversi e non tutti i patrioti romeni seguivano la stessa linea. I movimenti insurrezionali del 1848, vedevano avanzare richieste diverse da regione a regione. In Valacchia, si chiedeva la fine del protettorato russo e del "Regolamento Organico", e la sua sostituzione con la Costituzione Nazionale. In Moldavia, bastavano alcune semplici riforme del "Regolamento Organico". In Trasilvania, che dopo la pace di Carlowitz era stata annessa all'Impero d'Austria, si chiedeva parità con le altre nazionalità dell'impero e soprattutto di non essere uniti con un eventuale stato magiaro. Divisioni e beghe tra i rivoluzionari romeni, tanto simili a quelle tra italiani, fecero

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fallire entrambi i movimenti insurrezionali del 1848,1849 e 1853 e furono giudicate con severità sia daMazzini sia dal romeno Costantino Rossetti. ll primo, nel 1850, nello scritto "Foi et Avenir" sosteneva "mancanza di organizzazione, di unità, lotte meschine tra i vari gruppi politici sono all'origine del fallimento della nostra impresa". Mentre, nel la contemporanea "Cronica politica" del Rossetti, emerge un'interessante parallelismo, infatti, il patriota romeno sosteneva: "Milano, Venezia, Roma e le altri parti dell'Italia, invece di sollevarsi insieme tutte d'un colpo, rovesciando tutti gli imperatori, di proclamare la Repubblica Italiana, una sola stanza e un solo governo popolare e repubblicano, si alzarono a turno... Così, anche noi romeni ci alzammo solo in parte e a turno". Nel giugno 1850 è organizzato, a Londra, il Comitato Centrale Democratico Europeo, che prova a rapportarsi con gli esuli romeni e quelli ungheresi, nel tentativo di mediare le dispute create dal problema delle nazionalità in Ungheria e, nel 1851, lancia il famoso appello "Alle popolazioni romene" firmato, oltre che da Mazzini, anche da LedruRollin e da Darasz che, tra l'altro, dice: "Il popolo romeno, avanguardia della razza grecolatina, è chiamato a rappresentare in Europa orientale il ponte con le nazionalità slave e il principio della libertà individuale e del progresso collettivo che ci definisce noi, europei, come apostoli dell'umanità". Nemici degli slavi, degli ungheresi, degli italiani, dei greci e dei rumeni sono l'Imperatore d'Austria e lo Tzar. Il futuro appartiene ai popoli liberi e le controversie verranno risolte da un congresso in cui questi saranno "equamente" rappresentati. I rapporti tesi tra le nazionalità danubiane verranno normalizzati dalla costruzione della confederazione. "La grande confederazione danubiana sarà cosa dei nostri tempi. Quest'idea vi deve guidare le azioni. Il

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ponte di Traian, con le sue basi sulle sponde del Danubio, è il simbolo dello stato attuale. I nuovi ponti saranno realizzati con le vostre mani. Ecco il vostro compito per il futuro ". L'appello, appartenente a C. A. Rossetti, è tradotto in lingua romena in cirillico e latino e viene pubblicato, grazie a I. C. Bretianu e a D. Florescu, da ben dieci giornali parigini. Sulla stampa italiana appare (il 3 luglio e l'8 d'agosto) su la "Voce del deserto" e nel supplemento di luglio agosto de "Italia e il popolo". L'interesse di Mazzini per la causa romena non viene meno neppure negli anni successivi e, sia nel 1859, ma anche nel 1866, l'apostolo dellla libertà dei popoli, tornerà ad interessarsi della Romania. La sua attenzione è stimolata dal profilarsi, proprio nel 1866, di un nuovo scontro tra Italia e Austria. Alla vigilia della terza guerra d'indipendenza per liberare le terre venete ancora soggette all'Austria, Mazzini chiede al Governo Italiano di stringere alleanza, non con la con la Prussia, ma: "Coi popoli aggiogati forzatamente al carro dell'Austria, coi popoli che devono essi pure rivendicarsi libertà e indipendenza. …….". ………..

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Protagonisti del Risorgimento europeo:

le figure di Balcescu, Andreuzzi e Mazzini

Stefan Delureanu, dell’Università di Bucarest, il 17 ottobre 2002, presso la Civica Biblioteca Guarneriana di S. Daniele del Friuli, sul tema: Nicolae Balcescu, Antonio Andreuzzi e Giuseppe Mazzini protagonisti del risorgimento europeo. Ma io parlerò adesso in italiano e vi dirò subito che i patrioti rumeni che inaugurarono con il ’48 una fase decisiva nella storia moderna della loro nazione e in modo

particolare i liberal-democratici, fautori di un sostanziale rinnovamento etico politico da essi definito una "palingenesi universale" furono animati nel loro credo e nel loro programma di edificazione dello Stato unitario da una vocazione democratica e repubblicana che li avvicinava a Mazzini. Per Nicolae Balcescu è stato lui e non Carlo Marx il più grande rivoluzionario d’Europa (ed è questo il giudizio di uno storico

che non sprecò mai i superlativi), per Dumitru Bratianu, che sarà il rappresentante rumeno presso il Comitato democratico europeo di Londra, Mazzini è stato l’uomo del secolo e infine per Giovanni Eliade Radulescu, il maggiore italianista rumeno del tempo, l'apostolo genovese è stato la personificazione dell’intero pensiero italiano.

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Il messaggio concettuale di Balcescu rivela rapporti di sostanziale analogia e di concordanza con la dottrina del genovese, l’identità della mèta prefissa, un comune indirizzo nella coordinazione della democrazia europea, un incessante appellarsi alla alleanza dei popoli con speciale riferimento ad una cooperazione rumeno – ungherese - slavo meridionale. Il secondo, Dumitru Bratianu, andrà a Londra per cercarlo e per stargli accanto come rappresentante dei suoi concittadini nell’appena creato comitato democratico europeo. Dal suo luogo d’esilio l’ultimo Giovanni Eliade Radulescu invierà ai compagni relegati in Asia minore, a Brussa, copie di "Fede e Avvenire". L’incontro con Mazzini, ritenuto di massima importanza, verrà richiesto e promosso come prioritario da tutti i gruppi dell’esilio romeno post-1848: un esilio che durò, per i più, 9 anni. Cementato da una profonda mutua conoscenza e da una stretta collaborazione con i capi del loro movimento democratico, il legame tra il genovese e i rumeni si espresse per una costante presenza nella sua opera, nei suoi indirizzi, nei suoi programmi d’azione in cui veniva riservato loro una parte preminente nell’area danubiano-balcanica. Il rapporto di reciproca fedeltà si protrasse sino alla morte dell’apostolo che parlava costantemente, nel suo epistolario, dei fratelli Bratianu, dei fratelli Golescu e di Constantin Rosetti come dei suoi amici di Bucarest "doppiamente fratelli per la stirpe e per la fede politica". Per il tramite dei democratici rivoluzionari il credo e la terminologia mazziniana divennero familiari fra i componenti la classe politica. Le idee di Mazzini presero corpo in associazioni simili alla Giovine Italia o in progetti confederativi: emissari mazziniani percorsero terre romene, disegni cospirativi e

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tentativi insurrezionali ebbero come base il territorio romeno o una partecipazione romena. Come i periodici dell’esilio, la Romania avvenire, la Gioventù romena, La Repubblica Rumena, con il ritorno in Patria nel ’57, il migliore e più diffuso giornale rumeno "Românul", appunto il “Rumeno”, di Constantin Rosetti, sarà una tribuna mazziniana dei popoli. Ma non fu solo per simili aspetti che si espresse il carattere non effimero dell’adesione romena al mazzinianesimo. La storiografia concorda nell’ammettere come periodo dell’intensificarsi della penetrazione del pensiero mazziniano tra i romeni gli anni posteriori al ’48:….. …..Manifesti, proclami, appelli dei comitati rivoluzionari…, ispirati dalla probabilità d’azione, attestano la comunanza di principi, …. ……L’intuizione rumena di una necessità primaria di stringere i rapporti con le nazionalità oppresse dell’area sud-orientale e centro-orientale è paragonabile alla perseveranza con la quale Mazzini proclama tale priorità un punto programmatico basilare di ogni politica estera italiana lungimirante. Missioni esplorative compiute da patrioti rumeni mazziniani in nome di Mazzini in Austria, in Germania, nelle isole Ionie, Malta, in Serbia, in Grecia, nella Turchia Europea, in Transilvania, in Ungheria o in Boemia

servirono a tastare il terreno, a fornire allo staff della democrazia europea elementi e dati necessari per maturare una decisione. Nei programmi architettati dall’ultimo Mazzini, i romeni costituirono l’elemento fondamentale in quella sua strategia che mirava ad una perfetta concordia operante fra di loro i Greci e gli Slavi del sud,

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fine guardato come espressione della funzione dell'Italia in Oriente, parte essenziale della sua missione generale. Presenti nella mente e nell’animo di Mazzini fino alla sua morte e anche dopo, le terre romene, eternamente legate a Roma "per stirpe, affinità di lingua, tradizioni, spirito", sono parole di Mazzini, dovevano, secondo lui, essere soltanto coltivate con nobile passione dall’Italia per riacquistare la meritata rilevanza in Europa. Pubblicato nel 1876 a Bucarest (su promessa fatta a Maurizio Quadrio dal traduttore), la traduzione de "I Doveri dell’Uomo" offrì al pubblico rumeno una delle sue opere caratterizzanti fra le prime tradotte in Europa. Intuizioni privilegiate, concordanza di concetti, orientamento, aspirazioni e fini determinarono la adesione convinta e duratura dei romeni al mazzinianesimo. Tale convinzione politica e morale, che reclama prese di posizione definitive, non poteva essere il risultato del contatto con l’apostolo della nuova fede, abbracciata attraverso un atto di conversione momentanea. Il mutamento era avvenuto lentamente: si era operato in un lungo esercizio interiore, la determinazione a seguirlo è stata conseguenza legittima di un intero modo di pensare dell’intera militanza e azione rivoluzionaria precedente. Il mazzinianesimo è penetrato tra i romeni attraverso l’emigrazione italiana, attraverso le navi battenti bandiera sarda, attraverso il ramo polacco della "Giovine Europa", attraverso i contatti diretti con i mazziniani a Parigi o in Svizzera, ma anche attraverso letture dirette dei testi fondamentali di Mazzini. Testimone, nel 1847, del fervore patriottico manifestatosi in Italia durante la sua prima visita nella penisola tra Genova e Palermo, il Balcescu lo coglie come segno di maturità alla vigilia del moto di rinnovamento europeo. Così come Dumitru Bratianu da Parigi lo interpreta contemporaneamente: uno stimolo notevole nell’identica battaglia per il riscatto nazionale di fronte a cui si trovavano entrambe le nazioni. ……Le idee di Balcescu, sacerdote dell’ideale vicino a Mazzini per l’esercizio della

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mente e della virtù, derivano chiaramente da Mazzini. Patria e Umanità sono termini complementari nel suo discorso, in armonia con le tendenze universalistiche della proposta mazziniana di democrazia europea. Nel frasario di questo segretario del primo governo provvisorio romeno del ’48, come in quello dei fratelli Bratianu e di Constatin Rosetti, il maggiore giornalista del tempo, nei testi programmatici del ’48 valacco, nella stampa dell’esilio, sostanza e formulazioni sono mazziniane. Mazziniano è il trattare il tema "nazione",……….. agli stessi valori ideali. …….. ….Mazzini nel Manifesto del Comitato Nazionale Italiano, datato 8 Settembre 1850, ..includeva Bucarest tra "le città di una patria, la patria dei martiri e dei credenti in un comune avvenire",….. In settembre '48 si inizia, dopo tre mesi di "repubblica" a Bucarest, l’amaro itinerario dei capi del movimento risorgimentale romeno, finito per alcuni, come per il Balcescu, senza la riparazione postuma di trovare nel patrio suolo un posto che ne custodisse le ceneri. ….. ……. Se per "conoscenza di Mazzini" intendiamo invece il condividere di un credo fondato su intuizioni e principi comuni, sul prospettare di ipotesi e di soluzioni identiche o analoghe, su un impegno totale nell’agire per il trionfo degli stessi ideali nazionali ed insieme europei, perché entrambi furono precursori di questa Europa che si sta unendo, allora possiamo sostenere che Balcescu si sia rivelato il romeno più profondamente familiarizzato con la dottrina mazziniana, da lui coerentemente professata sul

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piano dell’elaborazione teorica ed in quello dell’esperienza storica. Il tesoro di idee e di precetti definito da Mazzini è stato assimilato da lui nella sua sostanza imperativa come anche nella tendenza di rappresentare la premessa di un’azione che non finiva con l’opera di una generazione. Allorché Balcescu proclama Mazzini il più grande rivoluzionario d’Europa, egli racchiude in quelle parole la sentenza di uno storico appoggiata su un’ottima conoscenza del pensiero democratico repubblicano dell’epoca, della rivoluzione europea. Tale giudizio è certamente uno dei primi tra quelli espressi fino nel ’50 dalla storiografia del continente. ………Cosa significhi Mazzini per Balcescu, lo testimonia,……. . La concordanza dei concetti di nazionalità e di umanità ……. l’utilizzazione di…….. un comune patrimonio di vocaboli, :…….. legge, virtù, dovere, sacrificio, fede, santità, salvezza, …… l’identità della meta politica e morale, … la fratellanza nel credo di una missione di ogni nazione nella storia, ……. L’analogia dei destini storici degli italiani e dei romeni si è incorporata perfettamente nei loro programmi. …….Le frasi di Balcescu rivelano un esemplare adoperazione di concetti e di orientamenti mazziniani, anzi talvolta un’espressione nobilitata dall’apporto di entrambi, una sintesi in cui può venire determinato un trasferimento incontestabile di termini del linguaggio mazziniano. Si può decidere senz’altro da quale testo di Mazzini, da quale lettura provengano le idee di Balcescu espresse nei suoi

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vari saggi. Come Mazzini che reputava la sua una generazione di promotori e di precursori, il Balcescu vede nella sua generazione solo l’iniziatrice di un lungo processo storico. L’emancipazione dei popoli e la fratellanza umana fu brama di vita dell'uno come dell’altro. Questo ideale distinse tutto il loro pensiero, l’intera loro azione, come stanno a testimoniare i loro scritti e le loro iniziative. L’unità nazionale d’Italia e d’Europa è stata la meta dichiarata della battaglia mazziniana, così come l’unità di tutti i romeni in uno Stato e di una Federazione Danubiana fu proposta da Balcescu ai suoi contemporanei ed ai posteri come obiettivo politico, ideale supremo di un futuro intravisto, cui dedicò tutta la sua esistenza. ……. ……Balcescu non incontrò mai Mazzini, ma il nobile figlio di Genova fu certamente l’uomo che egli avrebbe desiderato conoscere di persona, più di ogni altro europeo, per collaborare con lui al compimento di una missione rigeneratrice in Europa: l’uomo il cui pensiero e i sogni generosi erano i più vicini alla generosità dei suoi indirizzi e delle sue aspirazioni. Il loro credo comune riunì il fervore della generazione di Balcescu a quella della generazione di Mazzini dando sostanza e senso alla loro offerta, segnando nel suo rettilineo professare un

imponente

contributo alla fondazi

one delle idee portanti della nuova epoca stor

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UN PROTAGONISTA ROMENO DELLA DEMOCRAZIA MAZZINIANA:

DIMITRU BRATIANU (1818-1892)

I democratici romeni che avviarono nel '48 il rinnovamento della nazione furono spinti nelle loro rivendicazioni da un atteggiamento europeistico ispirato a quello di Mazzini. Il credo e il frasario mazziniani divenneroallora familiari alla classe politica e all'opinione evoluta del mondo romeno e la proposta mazziniana per la democrazia europea prese così corpo in disegni programmatici di organizzazioni analoghe alla Giovine Italia e in progetti federalistici. Emissari dell'Apostolo percorsero le terre romene, prima base di tanti piani e tentativi insurrezionali nell'Europa danubiano-balcanica ed in Polonia.

Il contenuto del messaggio ideale di Mazzini e di coloro che egli non cesserà di chiamare i suoi amici di Bucarest riflette concordanza di dottrina, identità di fini e ricerca assidua di operosa concordia.

L'attività giornalistica svolta in esilio dai liberali radicali romeni mira a promuovere una cultura politica democratica repubblicana. Col ritorno in patria, le migliori pagine del loro giornale "Românul" sono sostanzialmente mazziniane.

Attiva nella collaborazione con la democrazia europea dalla nascita del Comitato di Londra fino alle iniziative dell'Alleanza Repubblicana Universale, la Giovine Romania ebbe tra gli antesignani, accanto a Nicolae Balcescu, Constantin Rossetti

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e i quattro Golescu, i due fratelli Bratianu, fervidi di ingegno e di operosità nel loro impegno europeistico.

Identificando in Mazzini la guida indiscussa del movimento per la trasformazione della carta e dello spirito d'Europa, Dimitru Bratianu andrà a Londra a cercarlo, per stargli vicino come rappresentante dei compatrioti nel Comitato Democratico Europeo…………………

Formatosi nella Francia della monarchia di luglio come l'intero nucleo direttivo giovine romeno della generazione del Quarantotto, il Bratianu trovò il suo migliore alimento culturale e politico nei più evoluti ambienti laici e democratici del tempo, nei quali assai diffusa era l'influenza delle idee di Mazzini.

A Parigi, tra gli ideatori e i più attivi consoci dell'Associazione degli Studenti Romeni, ramo esterno di una sorta di Giovine Romania, troviamo ………..già Dimitru Bratianu, che nel 1847,…….

……..Del ruolo svolto dal Bratianu si trova tra l'altro conferma in una lettera di Mazzini del 14 luglio 1851, nella quale il Genovese comunica a Pietro Giannone la nomina di Dimitru Bratianu a rappresentante del mondo romeno nel Comitato londinese( [1])1

…………….. ……………….Il senso del grandioso piano(DI MAZZINI) venne

inteso con acutezza d'ingegno dal fratello di Dimitru, Ion Bratianu, del quale Mazzini apprezzava in particolare le doti di uomo d'azione…………

……Alla morte dell'Apostolo, toccò a Dimitri Bratianu l'onore di tessergli l'elogio sulle colonne del giornale "Românul". La sua missione era stata, secondo Bratianu, quella di plasmare spiriti e suscitare fiducia. Promotore del movimento di liberazione dei popoli, coscienza della nazione italiana, "leggenda e mito" per le generazioni a venire, Mazzini era addirittura celebrato come il redentore del mondo.

L'articolo venne di nuovo stampato dal "Românul" nel giugno 1892, all'indomani della scomparsa di chi l'aveva redatto nel marzo del 1872 e noi lo riproponiamo ora tradotto in calce a questo nostro scritto insieme con una significativa

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lettera che il patriota romeno ebbe a indirizzare a Mazzini nel 1851.

Leader liberale carismatico, protagonista della democrazia europea, presidente della Camera e del Consiglio dei ministri, Dimitru Bratianu fu interprete fino alla morte degli ideali mazziniani nel pensiero e nell'azione del Risorgimento romeno.

L'ideale nazionale italiano e quello romeno ebbero finalmente compimento entrambi nel 1918. In un opuscoletto apparso a Milano nel 1916 dal titolo Mazzini - Bratianu. La Rumania e le nazionalità europeee che comprende il manifesto di Mazzini Alle popolazioni romene e la risposta ro-mena scritta con ogni probabilità dallo stesso Dimitru Bratianu, nella dedica al nipote di quest'ultimo Ionel Bratianu, in quel momento primo mi-nistro di Bucarest, Ernesto Nathan così affermava:

"Vi strinsi fraternamente la mano in passato qui a Roma, Madre nostra comune: da Roma, ve la stringo di nuovo con costante affetto, mentre noi, Nazioni Sorelle scendiamo di conserva in campo a difesa della Civiltà, dedicandovi questa pubblicazione, dove il grande Apostolo del Risorgimento Europeo, il rivendicatore delle Libere Nazionalità e lo Zio Vostro, uniti, mirabili di prescienza, oltre sessantacinque anni or sono, fissarono e proclamarono alla Giovine Europa, doveri comuni oggi riconosciuti dalla Italia e dalla Romania risorte".

MORTE DI GIUSEPPE MAZZINI (Articolo di Dimitri Bratianu da: "Românul")

Per parecchi anni, dal 1850 al 1856, vissi nella più grande

intimità con Mazzini. L'amai, mi amò. Ho perciò il diritto e il dovere di dedicare qualche parola di rimpianto e di ammirazione - di più non posso fare - al genio, ll'uomo di bene e al grande patriotta che consacrò tutta la sua vita all'Italia e all'intera manità.

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Mazzini logorò anzitempo (aveva soltanto sessantaquattro anni) la ferrea costituzione della quale l'aveva dotato la natura nel combattere senza posa il dispotismo in tutti gli angoli del mondo, con una passione febbrile che non venne meno un solo minuto da quando si trovava sui banchi della scuola sino al momento in cui cessò di vivere. Di lui più volte si è anche potuto dire: "Risusciterà dai morti con la morte la morte calcando e a quelli dei sepolcri la vita donando". Più volte fu condannato a morte, e dopo ogni uccisione decretata dai potenti, il soffio di vita usciva dal suo petto con maggior vigore e risuscitava anche quelli rimasti morti attorno. L'opera di quest'uomo gigante aveva qualcosa di soprannaturale, perciò la sua azione è stata immensa, incommensurabile. Per le generazioni avvenire, Mazzini sarà una leggenda, un mito.

Ho il diritto, mi sento in dovere di dire a chi non abbia avuto la fortuna di conoscere Mazzini di persona, cosa sia stato quel grande uomo che per quasi mezzo secolo personificò il movimento di emancipazione di tutti i popoli. Mezzo secolo durante il quale tutti coloro che lottavano per la libertà e la nazionalità ovunque venivano chiamati mazziniani, mezzo secolo durante il quale il mondo conobbe due sole potenze, due bandiere: Mazzini, vessillo di libertà, lo zar Nicola, simbolo di dispotismo.

Le circostanze fecero sì che io conoscessi quasi tutti gli uomini della rivoluzione e della diplomazia europea e che anche lavorassi con alcuni di loro. In tanti ammirai le doti del cuore e dell'intelligenza; ma tutti avevano anche i difetti

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opposti a tali doti. Ciascuna di quelle grandi individualità aveva sì degli aspetti luminosi, ma anche dei nei e dei lati oscuri. In Mazzini trovai l'essere più completo, più armonico; solo in lui trovai riunite tutte le qualità, anche quelle che solitamente si escludono.

Mazzini era gracile di complessione, ma robusto e forte; mai lo vidi malato. La sua figura pareva scolpita nell' acciaio; aveva tratti di regolarità classica e di grazia moresca.

I pensieri non lo abbandonavano un solo minuto e lo rendevano malinconico, ma la sua coscienza serena e la sua grande fede nell'avvenire dell'Italia avevano raccolto nel suo cuore un fondo infinito di letizia, e appena gli rivolgevi la parola, in un istante, senza il ben che minimo sforzo, il sorriso gli si levava sulle labbra, la fronte gli si rasserenava, gli occhi gli lacrimavano di speranza, e in un linguaggio pieno di vivacità parlava per delle ore intere e il volto gli si illuminava; il suo eloquio si animava man mano che avvertiva come crescesse la comunanza di idee e di sentimenti tra lui e l'interlocutore: il che succedeva quasi sempre.

Mazzini era facilmente avvicinabile, gradevole, simpatico; la sola espressione del suo volto attirava verso di lui. Era buono, pietoso, aveva un cuore per tutte le sofferenze, per tutti i dolori, persino per le debolezze degli uomini di buona fede. Possedeva la semplicità, la purezza dei costumi, l'austerità di un anacoreta e la forza di sacrificio d'un santo. Era non solamente generoso e liberale; faceva il bene con una devozione da lasciar credere che fosse lui l'obbligato, e così era, sentendosi più che felice quando trovava occasione di fare del bene. Aveva una cultura molto vasta, universale; era erudito senza essere minimamente pedante. Aveva una fantasia viva, una grande memoria, un ammirevole buon senso, un giudizio sano; aveva spirito e presenza di spirito; molta finezza, un occhio sicuro, intuizione rapida; un talento raro nell'esprimere, particolarmente per iscritto, sentimenti e idee nelle forme più affascinanti; e la necessità di comunicare quasi sempre in segreto aveva conferito al suo stile epistolare una straordinaria concisione: scriveva per aforismi, in dieci ri-

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ghe sapeva concentrare una materia che sotto qualsiasi altra penna avrebbe riempito dieci pagine.

Mazzini era un pensatore profondo, era poeta, era artista nella pienezza della parola e nel contempo l'uomo più positivo, più pragmatico, più analitico; non gli sfuggivano nemmeno i particolari più insignificanti.

Mazzini amava il bello, amava la giustizia, amava la libertà, amava l'Italia con l'ardore del primo amore di una fanciulla; aveva convinzioni forti come le leggi immutabili, eterne della natura; aveva la fede di un profeta, di un uomo ispirato; e al tempo stesso era calcolatore, scrupoloso, minuzioso come un contabile; era preciso, energico, assoluto come un co-mandante sul campo di battaglia. Le donne andavano da lui come in un pellegrinaggio: gli portavano per religioso omaggio dei fiori, delle immagini, pregandolo di consentire che fossero esposte per dieci, quindici giorni nella sua stanza. Gli uomini d'azione, i politici, i militari venivano da ogni parte per consultarlo, chiedergli piani, istruzioni. Gli uomini di fi-nanza lo onoravano di un credito illimitato: a Londra i biglietti di Mazzini erano ricevuti da tutte le case bancarie e commerciali.

Alcuni piccoli episodi della vita di Mazzini, che ricordo in questo momento, mostreranno chi sia stato quest'uomo straordinario.

Un emigrato, che aveva fatto molto parlare di sé in Inghilterra, si era impegnato a dare il suo concorso ad un moto in Lombardia. Quell'emigrato non mantenne poi fede alla parola data e si spinse al punto di attribuire a Mazzini, nei giornali, la responsabilità dell'insuccesso della progettata missione. Indignato per l'accaduto chiesi a Mazzini: "Che farai?". La sua risposta fu: "Niente. Conosco da molto tempo quanto valga quell'uomo, e le sue miserie non possono toccarmi. Ho dei documenti con i quali potrei perderlo, ma preferisco non sconfessarlo perché gode ancora gran prestigio tra i suoi, ed in altre eventuali circostanze forse riuscirò a utilizzarlo meglio".

Mazzini era a capo di una spedizione insurrezionale e nella notte in cui stava per passare all'attacco delle postazioni

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austriache uno dei suoi viene e gli dice: "Ordina che io sia fucilato prima che possa tradire: sento che al primo sparo di fucile scapperò e demoralizzerò il nostro piccolo esercito". Mazzini prende la penna, scrive due righe, le sigilla e le consegna al suo amico, dicendogli: "Mai mi è stata data prova maggiore di devozione. Prendi questo dispaccio e parti subito: la salvezza della patria ti impone questo grande sacrificio".

In Inghilterra io non volevo incontrare Kossuth protagonista della democrazia europea, così come non avevo voluto incontrarlo nel '48 in Ungheria, essendo egli stato troppo ingiusto e violento nei confronti dei Romeni. All'inizio della guerra di Crimea, alla vigilia della mia partenza per la Turchia, Mazzini mi dice: "Kossuth desidera vederti, dovete vedervi. Gli ho dato appuntamento da me, vieni immancabilmente. Il male che Kossuth poté fare in altri tempi ai Romeni non ti dispensa dall'obbligo di fare il tuo dovere, ora; devi cercare di intenderti con lui, in modo da prendere una decisione prima di partire, perché non sappiamo che estensione possa prendere questa guerra che ha carattere europeo". Mazzini ci riunì da lui e con il suo perseverante concorso convenimmo, nel caso che gli Ungheresi e i Romeni dell'Impero austriaco avessero preso le armi, di indirizzare loro un manifesto in lingua magiara e romena, sottoscritto da Kossuth e da me, per chiamarli ad una comune azione, ogni nazione combattendo sotto la propria bandiera, e a condizione esplicita che dopo la vittoria i Transilvani avrebbero potuto decidere con un plebiscito, liberamente votato da tutti, se volessero o no unirsi all'Ungheria. Nel 1856, Lord Palmerston che non vedevo da alcuni anni da quando ero entrato nel Comitato rivoluzionario, mi rende noto che voleva parlarmi. Il Comitato m'autorizzò di incontrare il ministro. Giunto al suo cospetto, Lord Palmerston mi dice: "Che fate, signor Bratianu?" - "Cospiro mylord". - "Lo so, cospirate, perché diversamente non potete servire il vo-stro Paese. Ma ora il Congresso di Parigi vi apre la via per raggiungere lo scopo che perseguite o per renderlo almeno possibile senza cospirare più. Permettetemi di

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proporvi di accompagnare a Parigi il primo plenipotenziario di Sua Maestà. Il governo dell'imperatore è d'accordo con ciò. A Parigi, Lord Clarendon vi presenterà al conte Wallewski ed agli altri membri del Congresso".

La proposta del ministro non fece una buona impressione ai miei colleghi del Comitato che avevano in orrore la diplomazia; ma io avrei potuto rendere qualche servizio al Comitato perché, essendo il più giovane, e rappresentando un piccolo Paese, avrei potuto inserirmi più facilmente nelle trattative per cui ero incaricato; tra l'altro avrei avuto il vantaggio di non dover lottare con le rivalità nazionali e le questioni di supremazia che spesso compromettono gli interessi più vitali dei popoli. Nessuno parlava. Mazzini ruppe il silenzio e mi disse: "Non abbiamo bisogno di pensare tanto per sapere che cosa c'è da fare. Devi accogliere le proposte di Palmerston, devi andare a Parigi; prima di tutto hai dei doveri verso la tua patria. La Romania si trova in condizioni eccezionali e nelle circostanze odierne può benissimo ottenere qualcosa anche attraverso la diplomazia: hai il dovere di provare. Se riuscirai, ciò che si farà per il tuo Paese tornerà a vantaggio di tutti i paesi oppressi".

Questo grande uomo viveva da grand'uomo. La sua stanza non misurava più di tre per quattro metri quadri. In essa c'era un letto, un tavolo, tre sedie di paglia e dei fiori, che venivano rinnovati quasi ogni settimana. Al piano di sotto aveva un salottino dove attendevano i numerosi visitatori prima di salire nella camera dove dormiva, lavorava e riceveva. Mazzini possedeva qualche fortuna, e se avesse dovuto soddisfare solo le sue necessità avrebbe potuto vivere bene con un quarto di ciò che aveva. La sola spesa alquanto di lusso che si permetteva era quella per le sigarette; ma anche le sigarette che fumava erano di una qualità molto ordinaria e ne limitava molto il consumo affinché gli bastasse in ogni caso la somma settimanale stanziata per il loro acquisto. Il suo abbigliamento era semplice, ma sempre ordinato grazie agli amici che si curavano di ricordargli ogni tanto che era necessario comprarsi un abito, un cappello, un paio di scarpe. Nelle feste come nei giorni feriali, all'inizio del

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giorno e fino a tardi dopo mezzanotte, non mancava un minuto dal suo posto, non si muoveva dalla sua sedia, sempre occupato a scrivere e a ricevere e spedire i corrieri e i suoi emissari, a dare udienze agli inviati, alle deputazioni che gli venivano da tutte le parti del mondo. Soltanto verso sera andava a cenare e a sentire un po' di musica presso la famiglia amica del birraio Stansfeld, che più tardi divenne ministro.

Prima ancora che lo conoscessi, Mazzini si era promesso ad una signorina, con la riserva per altro di dare seguito concreto alla promessa soltanto dopo aver riunito l'Italia in Repubblica una e indivisa.

Poiché ho assunto il compito di esprimere il mio pensiero su Mazzini, debbo dire tutto. Ebbene, quell'uomo senza pari che sembrava sollevarsi fuori dalla atmosfera nebulosa nella quale si tormentava l'umanità per elevarsi nei cieli del sereno eterno, aveva anche lui una nube che lo opprimeva, e quella nube era la Francia. L'Italia aveva riconquistato per merito suo la coscienza della propria indiscussa grandezza passata e presente, e soffriva per via della supremazia della Francia; riteneva che la Francia non fosse più all'altezza della missione che si era data; diceva che lo scettro toccava alla patria di Dante, Machiavelli, Vico, Galileo, Michelangelo. E poiché l'Italia è la patria del primo uomo di stato e del primo grande eroe dei tempi moderni, se non avesse parlato per la bocca di Mazzini, avrebbe affermato: "D'ora innanzi è mia l'iniziativa dei movimenti dell'umanità, giacché l'iniziativa si chiama Mazzini, e Mazzini è il figlio e il padre mio, Mazzini sono io".

Sbagliano quelli che dicono: "Peccato che Mazzini non abbia aderito al sistema monarchico, che non abbia dato il suo consenso a Vittorio Emanuele. Lui sarebbe stato ministro più grande di Cavour; a ogni modo, dopo la morte di Cavour, solo lui avrebbe potuto rispondere come ministro alle esigenze dell'Italia". Se Mazzini avesse fatto così, non sarebbe stato più Mazzini. Egli non avrebbe potuto sostituire Cavour; egli non poteva transigere sui principii, non poteva mercanteggiare, non poteva diventare il confidente di Napoleone III. Mazzini, la coscienza del popolo italiano, la

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rivelazione del Dio delle nazionalità, l'espressione più viva delle libertà moderne, il rappresentante dichiarato e riconosciuto delle aspirazioni di tutti i popoli, il Messia dell'emancipazione politica del genere umano, sempre apostolo e martire, sin dall'infanzia in lotta accanita, in-cessante con il vecchio mondo, quel mondo doveva annientarlo o perire, se pur poteva perire Mazzini. Doveva distruggerlo con l'amore e la luce del suo animo, conquistarlo in nome della libertà e attraverso la giustizia, ricrearlo a sua immagine e somiglianza. Mazzini non poteva fare ciò che fece Cavour, non poteva fare ciò che fece Garibaldi.

La sua missione è stata quella di fare Cavour, Garibaldi, Manin, di fare un re patriotta ed un popolo degno di libertà. Li ha fatti, ha fatto la libertà, ha fatto l'unità d'Italia, ha creato l'Italia, e la prova che l'Italia è opera sua è il voto unanime della rappresentanza nazionale di Roma. I membri di quella assemblea vedevano in Mazzini l'avversario della loro politica; essi non erano dei mazziniani, ma solo Italiani, e quando il loro presidente pronunziò il nome di Mazzini, tutti con filiale pietà si scoprirono e piegarono le teste innanzi al genio d'Italia. Genio d'Italia è il tuo vero nome, Mazzini. Sì, sei stato, sei e sarai per sempre il Genio d'Italia risuscitata per volontà tua.

Non solo l'Italia, l'Umanità intera piange in te il suo redentore; perché tutti i popoli credettero in te, riscattarono i loro peccati, resuscitarono e resusciteranno in te. Insieme con me anche i Romeni ti piangono, mio caro amico, e ti piangono con lacrime di Italiani; perché anch'essi hanno i ri-cordi e le aspirazioni dei loro fratelli dei lidi del Tevere; perché il tuo genio aiutò anch'essi a unire i loro paesi e fece di loro un popolo libero.

Tu che sei stato solo amore, ricevi nei cieli una gioia nuova, sappi che attraverso il tuo amore anche la Romania contribuisce alla diffusione e all'affermazione del tuo genio.

LETTERA DI DIMITRU BRATIANU A GIUSEPPE MAZZINI *

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Paris - lundi le 14 juil. [1851] Cher Monsieur, je sais que le temps vous manque pour

repondre aux lettres qui vous assaillent de toutes parts; je regrette cependant de ne pas avoir de vos nouvelles. J'aime à croire que votre santé est toujours assez forte pour resister vaillamment aux rudes épreuves que vous lui faites subir, car si vos fatigues sont grandes votre foi est encore plus grande.

La police nous a beaucoup chicané pour avoir imprimé ici votre adresse en langue roumaine; mais elle a du se borner à des menaces, car nous lui avons dit tout vainement que nous l'avions prise dans les Débats.

J'ai déjà amassé dixneuf journaux de Paris qui se sont occupés de cette adresse. Je n'ai pas pu me procurer ceux de Province.

Si vous n'avez pas lu ce qu'en dit L'opinion, je vous engage de la lire; c'est très curieux.

Dernièrement je disais à Accursi que vous avez raison de ne pas vous presser avec l'adresse à la Pologne, car le Comité devait toujours laisser un certain interval entre les publications - Depuis j'ai appris qu'il vous l'a écrite. Maintenant cependant je pense que si elle est terminée il serait bon de songer à la publication. Envoyez-là moi ou du moins prevenez m'en, je vous prie, quelques jours à l'avance pour que je puisse prende mes dispositions; car très probablement je ne lui survivrai pas vingt quatre heures (à Paris).

Je vous envoie sous bande L'événement( [3])2d'hier au soir. Il

renferme un article d'un de mes amis avyant pour titre: Alliance des hongrois, des roumains et des serbes. J'ai pour vous de la part de Michelet le volume de son histoire de la révolution française qui vient de paraître et une belle rou-maine sur toile que les émigrés roumains envoient à leur cher Mazzini(

[4])3. Mes salutations fraternelles aux notres. Darasz

sans doute, va mieux depuis qu'il est à la campagne - à bientôt le bonheur de vous serrer la main.

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Tout à vous de coeur D. Bratiano Je vous rappelle l'adresse de la rue d'Enfer: à Madame

Adèle Dumesnil, 47, r. d'Enfer.

STEFAN DELUREANU