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L’energia del buon senso IL COMMENTO L’EDITORIALE L’unica strada possibile: il Green Deal Il pianeta è finalmente libero dalla schiavitù dei carburanti fossili. Rinnovabili per tutti Da oggi il mondo funziona con il sole Liberi dal petrolio. Estratto in Venezuela l’ultimo barile di Jeremy Rifkin jr Il pianeta salvato Come abbiamo rallentato il riscaldamento globale, ripensato la nostra economia e messo in salvo ciò che abbiamo di più prezioso. Da un autore di culto, un'analisi senza precedenti delle scelte politiche che hanno salvato la Terra. Il pianeta salvato Jeremy Rifkin jr I L PETROLIO è finito ma l’econo- mia mondiale non ne sentirà la man- canza. Mentre una decina d’anni fa si scopriva che l’oro nero stava finendo, contrariamente alle previsioni, di fronte all’allarme sui cambiamenti climatici lan- ciato alla fine del secolo scorso da ecolo- gisti, personalità e scienziati, nel mondo industriale e politico alla fine è prevalso il buon senso. E così l’economia fondata sull’idrogeno, sull’energia solare, sul vento, sulla forza delle maree, su case e uffici meno spreconi è da qualche lustro una realtà sempre più consolidata. Una rivoluzione industriale, la terza come preconizzava l’economista ameri- cano Jeremy Rifkin, per molti impensabi- le solo all’inizio del nuovo millennio e avviata grazie a un’informazione sempre più capillare, a un confronto sempre più serrato tra organizzazioni Onu, Verdi, associazioni e Ong, realtà produttive ed esperti. Un passaggio imposto anche dalla crescita irrefrenabile delle economie emergenti, come quella indiana e cinese che in 20 anni, fino al 2030, hanno “bru- ciato” più combustibili fossili del previ- sto, e che, come spiegavano i rapporti dell’Onu, se avessero continuato a punta- re su carbone e petrolio avrebbero dato un colpo irreparabile agli equilibri clima- tici del pianeta. All’inizio del secolo il sistema produttivo cinese era alimentato per il 70% dai combustibili fossili. Oggi la situazione è fortunatamente ribaltata. Ha vinto il buon senso ma anche consi- derazioni economiche. E oggi possiamo rallegrarcene. La road map mondiale messa a punto dall’Onu nel 2010 all’indo- mani dei rapporti sempre più allarmanti sui rischi dei mutamenti climatici, ha per- messo di varare programmi per l’efficien- za energetica che hanno abbattuto fino al 40% i consumi di combustibili per i riscaldamenti e per alimentare le indu- strie nell’arco di breve tempo, cosa impensabile solo qualche anno prima. In tutte le principali città mondiali sono stati varati piani governativi che hanno rivoltato come guanti edifici pubblici e privati, installando doppi vetri per trattenere il calore e pannelli solari per produrre energia e acqua calda. L’industria automobilistica nel- l’arco di pochi anni ha letteralmente inondato i mercati con modelli a zero emissioni, mentre nuove progettazioni urbanistiche dei trasporti, testate con successo dai cinesi, hanno permesso alle città di ridurre il traffico privato a favore di un più pulito, confortevole e capillare sistema di trasporto pubblico. Oggi il mondo, a parte qualche tensione che ancora preoccupa tutti noi, marcia a gonfie vele verso un futuro più roseo e sostenibile. E tutto ciò grazie a una rivo- luzione che è stata anche più democrati- ca: a differenza del petrolio, infatti, il sole bacia proprio tutti. un momento molto atteso e preceduto da un lungo declino dei livelli di produzio- Dopo una lunga fase di transizione, il petrolio scompare dalla nostra economia: ne. Le energie alternative fanno ormai la parte del leone. SERVIZI A PAG.2 S EMBRAVA impossibile solo pochi decenni fa. Chi diceva che il petrolio sarebbe bastato per più di un secolo, chi per più di due. Chi era più prudente comunque non riusciva a scendere di molto sotto la soglia dei cento anni. Di petrolio, secondo “gli esperti”, ce ne sarebbe stato per un bel po’. E infatti ce ne sarebbe ancora ma il mondo ha deciso di imboccare un’al- tra strada. Una strada più sostenibile per il pia- neta perché in breve tempo, conti- nuando a bruciare ai ritmi sempre più frenetici imposti dalle economie emergenti dell’Asia, dell’Africa e del Sud America, il pianeta non sarebbe più stato bello e ospitale come fortu- natamente ancora è oggi. Innalzamento dei mari e desertifica- zione prodotte dai cambiamenti cli- matici avrebbero provocato milioni di profughi ambientali, mentre gli eventi estremi come tempeste e allu- vioni avrebbero causato morte e distruzione quasi ovunque. Gli esperti delle corporations dell’in- dustria energetica fondata sui com- bustibili fossili, citavano dati positivi sui giacimenti esistenti, sulle poten- zialità estrattive future, sull’innova- zione tecnologica che avrebbe per- messo di spremere meglio e in modo più conveniente il Medio Oriente o aree pregiate e vergini dal punto di vista naturalistico, come la Basilicata oppure l’Alaska. Ma dimenticavano di riferire il prez- zo della continua e ostinata corsa all’oro nero. Un prezzo che sarebbe stato molto salato come già dimostra- vano i cambiamenti climatici, sem- pre più devastanti e repentini, o l’au- mento dell’instabilità politica e delle guerre per controllare più saldamente i giacimenti, conflitti spesso scatenati con sotterfugi mediatici per convin- cere le opinioni pubbliche a “esporta- re la democrazia”. Grazie all’Onu e ai movimenti ecolo- gisti, come i Verdi in Italia, negli anni è però aumentata l’informazione sui rischi ma anche sulle grandi opportu- nità offerte dall’economia fondata sulle nuove tecnologie pulite nei campi dell’energia, dei trasporti, del- l’edilizia. E l’impresa ha colto quasi subito le opportunità, dimostrando una lungi- mirante intelligenza nel leggere cor- rettamente i dati e le analisi che mostravano chiaramente che l’unica strada percorribile era quella che por- tava a uno sviluppo molto più soste- nibile. Per il futuro di tutti noi e di chi verrà dopo. Nell’anniversario del Protocollo di Kyoto, l’Italia ricorda un Patto storico per l’ambiente Dal deserto così rinascono i boschi 30 anni fa l’accordo per la Desertificazione che salvò il Paese Un grave problema, dalle conseguenze incerte. Ma anche un’emergenza colpevol- mente trascurata. Così si poteva parlare di desertificazione fino a qualche anno fa, prima che un consorzio di governi e di scienziati, Organizzazione mondiale per l’irrigazione e l’agricoltura (WCIA), facesse partire la scossa della lotta alla desertifica- zione, una grande avventura globale che tuttora fa la differenza tra il benessere e la miseria di quasi due miliardi di persone. Questo giornale racconta due versioni del futuro, entram- be possibili: una negativa, in cui il Protocollo di Kyoto per la riduzione dei gas serra è stato ignorato, causando tragici cambiamenti climatici, ed una positiva - su questa facciata - in cui il Protocollo è stato applicato, salvando l’Italia e il Pianeta. Quale dei due si avvererà dipende anche dalle nostre scelte. Questa iniziativa vuole ricordare a tutti che oggi è il secondo anniversario della ratifica del Protocollo di Kyoto. Noi Verdi ci battiamo e continueremo a farlo per- ché il Protocollo venga applicato e il nostro futuro prenda la strada giusta. STAI LEGGENDO IL FUTURO. MA QUALE? la nuova Edizione straordinaria ANNO 52 – Numero 41 venerdì 16 febbraio 2057 Sped. in Abb. Post. - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46) art. 1 comma 1 DCB - Roma Direttore responsabile: Enrico Fontana Editore: undicidue srl, via R. Fiore, 8 - Roma Stampa: Rotopress, via E. Ortolani , 33 - Roma Reg. Trib. di Roma n. 34 del 7/2/2005 Redazione: via A. Salandra, 6 - 00187 Roma tel. 0642030616 fax 0642004600 - [email protected] Stampato su carta ecologica 9 285885 857453 292 2 Supplemento al numero odierno di Notizie verdi

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L’energia delbuon senso

IL COMMENTOL’EDITORIALE

L’unica stradapossibile:

il Green Deal

Il pianeta è finalmente libero dalla schiavitù dei carburanti fossili. Rinnovabili per tutti

Da oggi il mondo funziona con il soleLiberi dal petrolio. Estratto in Venezuela l’ultimo barile

di Jeremy Rifkin jr

Il pianetasalvatoCome abbiamo rallentato il riscaldamento globale, ripensato la nostra economia e messoin salvo ciò che abbiamo di più prezioso.Da un autore di culto, un'analisi senza precedenti delle scelte politiche che hanno salvato la Terra.

Il pianeta salvatoJeremy Rifkin jr

I L PETROLIO è finito ma l’econo-mia mondiale non ne sentirà la man-canza. Mentre una decina d’anni fa si

scopriva che l’oro nero stava finendo,contrariamente alle previsioni, di fronteall’allarme sui cambiamenti climatici lan-ciato alla fine del secolo scorso da ecolo-gisti, personalità e scienziati, nel mondoindustriale e politico alla fine è prevalso ilbuon senso. E così l’economia fondatasull’idrogeno, sull’energia solare, sulvento, sulla forza delle maree, su case euffici meno spreconi è da qualche lustrouna realtà sempre più consolidata. Una rivoluzione industriale, la terzacome preconizzava l’economista ameri-cano Jeremy Rifkin, per molti impensabi-le solo all’inizio del nuovo millennio eavviata grazie a un’informazione semprepiù capillare, a un confronto sempre piùserrato tra organizzazioni Onu, Verdi,associazioni e Ong, realtà produttive edesperti. Un passaggio imposto anchedalla crescita irrefrenabile delle economieemergenti, come quella indiana e cineseche in 20 anni, fino al 2030, hanno “bru-ciato” più combustibili fossili del previ-sto, e che, come spiegavano i rapportidell’Onu, se avessero continuato a punta-re su carbone e petrolio avrebbero datoun colpo irreparabile agli equilibri clima-tici del pianeta. All’inizio del secolo ilsistema produttivo cinese era alimentatoper il 70% dai combustibili fossili. Oggila situazione è fortunatamente ribaltata.Ha vinto il buon senso ma anche consi-derazioni economiche. E oggi possiamorallegrarcene. La road map mondialemessa a punto dall’Onu nel 2010 all’indo-mani dei rapporti sempre più allarmantisui rischi dei mutamenti climatici, ha per-messo di varare programmi per l’efficien-za energetica che hanno abbattuto fino al40% i consumi di combustibili per iriscaldamenti e per alimentare le indu-strie nell’arco di breve tempo, cosaimpensabile solo qualche anno prima.In tutte le principali città mondialisono stati varati piani governativi chehanno rivoltato come guanti edificipubblici e privati, installando doppivetri per trattenere il calore e pannellisolari per produrre energia e acquacalda. L’industria automobilistica nel-l’arco di pochi anni ha letteralmenteinondato i mercati con modelli a zeroemissioni, mentre nuove progettazioniurbanistiche dei trasporti, testate consuccesso dai cinesi, hanno permessoalle città di ridurre il traffico privato afavore di un più pulito, confortevole ecapillare sistema di trasporto pubblico. Oggi il mondo, a parte qualche tensioneche ancora preoccupa tutti noi, marcia agonfie vele verso un futuro più roseo esostenibile. E tutto ciò grazie a una rivo-luzione che è stata anche più democrati-ca: a differenza del petrolio, infatti, il solebacia proprio tutti.

un momento molto atteso e preceduto daun lungo declino dei livelli di produzio-

Dopo una lunga fase di transizione, ilpetrolio scompare dalla nostra economia:

ne. Le energie alternative fanno ormai laparte del leone.

SERVIZI A PAG.2

S EMBRAVA impossibile solopochi decenni fa. Chi dicevache il petrolio sarebbe bastato

per più di un secolo, chi per più didue. Chi era più prudente comunquenon riusciva a scendere di moltosotto la soglia dei cento anni.Di petrolio, secondo “gli esperti”, cene sarebbe stato per un bel po’. Einfatti ce ne sarebbe ancora ma ilmondo ha deciso di imboccare un’al-tra strada. Una strada più sostenibile per il pia-neta perché in breve tempo, conti-nuando a bruciare ai ritmi semprepiù frenetici imposti dalle economieemergenti dell’Asia, dell’Africa e delSud America, il pianeta non sarebbepiù stato bello e ospitale come fortu-natamente ancora è oggi.Innalzamento dei mari e desertifica-zione prodotte dai cambiamenti cli-matici avrebbero provocato milionidi profughi ambientali, mentre glieventi estremi come tempeste e allu-vioni avrebbero causato morte edistruzione quasi ovunque.Gli esperti delle corporations dell’in-dustria energetica fondata sui com-bustibili fossili, citavano dati positivisui giacimenti esistenti, sulle poten-zialità estrattive future, sull’innova-zione tecnologica che avrebbe per-messo di spremere meglio e in modopiù conveniente il Medio Oriente oaree pregiate e vergini dal punto divista naturalistico, come la Basilicataoppure l’Alaska. Ma dimenticavano di riferire il prez-zo della continua e ostinata corsaall’oro nero. Un prezzo che sarebbestato molto salato come già dimostra-vano i cambiamenti climatici, sem-pre più devastanti e repentini, o l’au-mento dell’instabilità politica e delleguerre per controllare più saldamentei giacimenti, conflitti spesso scatenaticon sotterfugi mediatici per convin-cere le opinioni pubbliche a “esporta-re la democrazia”. Grazie all’Onu e ai movimenti ecolo-gisti, come i Verdi in Italia, negli anniè però aumentata l’informazione suirischi ma anche sulle grandi opportu-nità offerte dall’economia fondatasulle nuove tecnologie pulite neicampi dell’energia, dei trasporti, del-l’edilizia.E l’impresa ha colto quasi subito leopportunità, dimostrando una lungi-mirante intelligenza nel leggere cor-rettamente i dati e le analisi chemostravano chiaramente che l’unicastrada percorribile era quella che por-tava a uno sviluppo molto più soste-nibile. Per il futuro di tutti noi e dichi verrà dopo.

Nell’anniversario del Protocollo di Kyoto,l’Italia ricorda un Patto storico per l’ambiente

Dal deserto cosìrinascono i boschi

30 anni fa l’accordo per laDesertificazione che salvò il Paese

Un grave problema, dalle conseguenzeincerte. Ma anche un’emergenza colpevol-mente trascurata. Così si poteva parlare didesertificazione fino a qualche anno fa,prima che un consorzio di governi e discienziati, Organizzazione mondiale perl’irrigazione e l’agricoltura (WCIA), facessepartire la scossa della lotta alla desertifica-zione, una grande avventura globale chetuttora fa la differenza tra il benessere e lamiseria di quasi due miliardi di persone.

Questo giornale racconta due versioni del futuro, entram-be possibili: una negativa, in cui il Protocollo di Kyotoper la riduzione dei gas serra è stato ignorato, causandotragici cambiamenti climatici, ed una positiva - su questafacciata - in cui il Protocollo è stato applicato, salvandol’Italia e il Pianeta. Quale dei due si avvererà dipendeanche dalle nostre scelte.

Questa iniziativa vuole ricordare a tutti che oggi è ilsecondo anniversario della ratifica del Protocollo diKyoto. Noi Verdi ci battiamo e continueremo a farlo per-ché il Protocollo venga applicato e il nostro futuro prendala strada giusta.

STAI LEGGENDOIL FUTURO.MA QUALE?

la nuova

Edizionestraordinaria

ANNO 52 – Numero 41 venerdì 16 febbraio 2057

Sped. in Abb. Post. - D.L. 353/2003 (conv. in L.27/02/2004 n. 46) art. 1 comma 1 DCB - RomaDirettore responsabile: Enrico Fontana

Editore: undicidue srl, via R. Fiore, 8 - RomaStampa: Rotopress, via E. Ortolani , 33 - RomaReg. Trib. di Roma n. 34 del 7/2/2005 Redazione:

via A. Salandra, 6 - 00187 Roma tel. 0642030616fax 0642004600 - [email protected] su carta ecologica9 285885 857453 292 2

Supplemento al numero odierno di Notizie verdi

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HANNO scelto un bel verde smeraldoper colorare l’ultimo barile di petrolio.Gli organizzatori della cerimonia di chiu-sura dei pozzi in Venezuela hanno deco-rato a festa la sala principale dell’Istitutoper l’energia e l’ambiente di SanFernando. “Non è il funerale del petrolio- ha detto il sindaco venezuelano JorgeBonsigno – ma è l’inizio di una nuovastagione economica per l’umanità”.

Va in pensione il combustibile cheha segnato almeno un secolo di progres-si industriali e di inquinamento.Parteciperanno alla cerimonia i rappre-sentanti delle comunità locali, il mini-stro per l’energia Evaristo L. Borges, leassociazioni ambientaliste e i rappresen-tanti della Cloroton, l’ultima delleimprese ad avere sfruttato i giacimentipetroliferi della regione. “La festa rappre-senta un momento di riconciliazione trale imprese e il territorio, ma anche ilcompimento di un passaggio necessarioper l’economia di oggi”, commentaValerio Raffaelli, amministratore delega-to della Cloroton Italia.

Il quale si rallegra anche per l’accordoraggiunto nei mesi scorsi con i governidel Patto panafricano e le associazioniambientaliste. Parte dell’indennizzo chela sua azienda incasserà per il mancatosfruttamento dei pozzi di petrolio, prove-niente dalle ecotasse locali, verrà investi-to nella stessa regione per finanziare unpolo di ricerca internazionale per l’appli-cazione delle nuove fonti di energia, nel-l’ambito della ormai quarantennale colla-borazione tra Italia e India.

L’azienda italiana è solo una delletante ad aver sospeso l’attività estrattivain diverse regioni del mondo, investendosu altre fonti di energia. “Vent’anni fanon avremmo immaginato di smettere letrivellazioni prima dell’esaurimento deigiacimenti”, continua Raffaelli, “Ma icosti delle fonti rinnovabili sono diventa-ti troppo competitivi e gli investimentinelle fonti alternative così vantaggiosi dasuggerire a tutti gli operatori del settore dilasciare il petrolio lì dove sta. Anche aDubai il 98 per cento dell’energia oggi

viene da fonti rinnovabili”.Correva l’anno 2007 e la fine del

petrolio sembrava una prospettiva sem-plicemente impossibile. Quell’anno fuaddirittura il presidente degli Stati unitiad annunciare una progressiva “uscita”dal petrolio, ma l’annuncio fu così vago eirrealistico da tranquillizzare i principaliesportatori di idrocarburi, concentratinelle regioni del Medio Oriente.

L’annuncio di un ricorso massiccioall’etanolo e di combustibile liquido rica-vato dal carbone era basato in effetti sudati approssimativi e privi di credibilità.Solo lo sviluppo di fonti meno costose emeno inquinanti avrebbe dato qualchegrattacapo ai petrolieri. E il prezzo delbarile continuò indisturbato la sua scala-ta verso gli attuali 210 dollari.

Il punto di maggiore crisi fu il “picco”del 2015, l’anno in cui la produzionecominciò ufficialmente a decrescere.

Si annunciarono conseguenze “deva-stanti”, ma ci volle poco per renderle quasiimpercettibili, come spesso accade con leemergenze internazionali. Entro il 2030,infatti, la quota di trasporti precedente-mente affidata al petrolio era scesa dal 90al 35 per cento, le plastiche sintetichefurono semplicemente rimpiazzate dafibre di origine vegetale altrettanto resi-stenti brevettate fin dagli anni Novanta delsecolo precedente. Come era stato annun-ciato nel 2003 dall’Aspo (Association forthe Study of Peak Oil and Gas) la soluzio-ne era un accordo internazionale per tassa-re le emissioni e programmare un frenoalla crescita economica, in attesa delladisponibilità di nuove forme di energia.

Un salto nel buio? A conti fatti, sidirebbe di no. All’epoca le alternativeenergetiche al petrolio erano note, leconoscenze tecnologiche del 2003 nonerano molto indietro rispetto ad oggi.I costi crescenti delle fonti tradizionalihanno consentito di puntare su tecnolo-gie che all’epoca erano solo in fase speri-mentale, dallo sfruttamento delle mareealla fusione fredda. A conti fatti, non fu ilpetrolio a scarseggiare, ma il coraggio diguardare oltre.

Da oggi cessano le estrazioni del vecchio combustibile: ma la sostituzione è già cominciata

I cinquant’anni che cambiarono l’energia

2005 Il Protocollo di Kyoto entra in vigore. I governisi impegnano a limitare l’emissione di gas-serra.

2010 Firma del Trattato di Palermo: le Nazioni unitemettono a punto la road map globale sulle strategieper combattere i cambiamenti climatici.

2012 Le Nazioni Unite approvano il testo definitivo sulTrattato per la Tobin Tax, la Tassa sulle TransazioniValutarie. L’Italia sarà la prima a ratificare l’accordo.

2013 Una riforma delle Nazioni unite razionalizza ilsistema degli aiuti umanitari, vincolati alla possibilitàdi verificarne l’impiego.

2020 Cancellazione del 50 per cento del debito trapaesi poveri e paesi ricchi, in cambio di accordi dicooperazione per lo sviluppo e l’applicazione di tec-nologie salva-clima.

2022 Le auto a idrogeno vengono commercializzate

su vasta scala. È a idrogeno un automezzo su due.

2025 Kyoto 2: revisione degli obiettivi di Kyoto, sol-lecitata da Cina e Stati uniti. Tagli più radicali allaproduzione di gas-serra, accordo per lo sviluppo digeotecnologie.

2036 Patto di Bombay. Farmaci contro l’Aids ampia-mente disponibili anche nei paesi del Sud delmondo; grandi investimenti nella ricerca sanitaria.

2043 L’Unione degli stati africani proclama comeobiettivo primario la “via africana alla democrazia”,attraverso il recupero di forme autentiche di parteci-pazione diretta dei cittadini al potere.

2049 L’Organizzazione mondiale per le risorse ali-mentari autorizza la ripresa della pesca in mare persuperare la moratoria globale che era resa necessa-ria dall’esaurimento delle scorte di pesce dichiaratonel 2010 a causa dei mutamenti climatici.

cronologia

Il petrolio va ufficiamente in pensione, per l’ambiente e l’energia comincia una nuova era

Già dal 2015 era chiaro che il prezzo da pagare sarebbe stato troppo alto

L’economia del petrolio era diventata insostenibile

REPUBBLICA 2 VENERDÌ 16 FEBBRAIO 2057

I costi ambientali del petrolio nonsono affatto una novità. Costi nascostima pesanti, difficili da smascherare maanche da nascondere. Le masse di mate-riali di scarto prodotti durante l’estrazio-ne, per esempio, hanno sempre rappre-sentato un problema per quei paesi dota-ti di regole di tutela ambientale. Non èun caso, perciò, che l’estrazione delpetrolio risultasse di gran lunga più con-veniente in paesi del Sud del mondo.Non era la manodopera a costare dimeno, ma lo smaltimento dei fanghi con-taminati, che in alcuni paesi è stato effet-tuato fino a pochi anni fa senza moltiscrupoli per l’ambiente e per la salutedelle popolazioni.

I risparmi accumulati grazie alla man-cata tutela dell’ambiente hanno spessogiustificato i costi per l’importazione delpetrolio da regioni remote. Zone deserte,o abitate da popolazioni semplicementeassoggettate alle compagnie petrolifereper mezzo di regimi politici repressivi e altempo stesso ossequiosi nei confrontidelle multinazionali del petrolio.

Non solo l’estrazione, ma anche leoperazioni successive di raffinamento e leprime trasformazioni del greggio portanoall’emissione di inquinanti nell’aria, nelsuolo e nell’acqua. Se in passato si fosse

tenuto conto di questi costi in terminireali, il prezzo di ciascun barile avrebberaggiunto le quote attuali (oltre 200 dol-lari) già intorno all’anno 2005. Il mondodella finanza ha sempre conosciuto benequesti costi. I primi a "pensare verde",infatti, furono i vari analisti finanziariche suggerirono di alleggerire il settoreenergetico da costi e incertezze semprepiù pesanti e minacciosi. Intorno al 2010raccomandarono agli investitori di met-tersi al riparo dai costi crescenti del risa-namento ambientale delle zone contami-nate dall’estrazione e dalla raffinazionedel petrolio.

Se, da un lato, trivellare e raffinare inzone giuridicamente "franche" risultavaconveniente alle aziende petrolifere, farsicarico dei danni causati dalle petrolierediventò sempre meno conveniente. Losversamento della Exxon Valdez costòalla Exxon più di 4,2 miliardi di dollaritra riparazione dei danni e altre speselegali. I danni all’ambiente cominciavanoad assumere il loro peso e a impedire losviluppo di intere regioni interessate dalletrivellazioni. Una pioggia di denunce daparte di comitati, regioni e governi fececolare a picco le quotazioni. Il prezzo diciascun barile saliva, ma la domandascendeva. A far lievitare il prezzo erano i

costi per la produzione, non più ladomanda del mercato.

Tra il 1991 e il 1995 il 30 per centodegli investimenti delle raffinerie america-ne era impiegato per mitigare l’impattoambientale delle loro operazioni.All’inizio del secolo la tutela della salutedei cittadini imponeva l’adozione dinorme sempre più vincolanti per leimprese, che videro lievitare i costi dellatutela ambientale delle produzioni anchein Cina, India e Brasile, che entro il 2012adottarono congiuntamente il più severocodice di condotta per le imprese operan-ti sul loro territorio. Alcune fabbriche ten-tarono il trasferimento delle produzioniin Europa o in alcune zone delSudamerica prive di regolamenti ambien-tali.

La fine del petrolio ha rappresentatouna crescita della competitività, a partireda processi produttivi più efficienti el’impiego di materiali a basso impattoambientale. La catastrofe annunciata nonc’è stata. Al contrario, il taglio delle emis-sioni di gas-serra ha determinato in defi-nitiva una decisa accelerazione della cre-scita economica. Che, dopo la flessioneregistrata tra il 2010 e il 2015, è stata spin-ta da una ripresa perfettamente in lineacon le previsioni degli analisti.

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Salvo sorprese dell’ultimo momento,anche quest’anno la kermesse cano-ra più attesa si svolgerà all’aperto e

in pieno pomeriggio. Per il decimo annoconsecutivo gli organizzatori approfitta-no del clima tiepido di febbraio per offri-re al pubblico di Sanremo lo spettacolodi una riviera baciata dal sole, del marepiù azzurro di tutto l’anno e delle tradi-zionali e ricche composizioni floreali cheda sempre sono l’orgoglio della regione.

Dal 28 febbraio al 4 marzo, cinquepomeriggi di luce e di spettacolo, inclusala poesia. A partire da quest’anno, infatti,prendono parte alla competizione anchei testi in versi, recitati dai loro autori.

La scelta fa parte di una strategia chevuole allargare la platea degli spettatori aisempre più numerosi appassionati di poe-sia di tutta Italia.

Come ormai è tendenza da diversianni, la rassegna esprime un faticosolavoro di ricerca del talento artistico ita-liano tra le più giovani generazioni.

«Ormai è chiaro che a Sanremo si celebrail futuro», spiega il giovane presentatore edel Festival Angelo Scacchi, 30 anni.

«La qualità artistica è l’unico banco diprova nel confronto col pubblico».

L’anticipo della rassegna artistica alpomeriggio fa parte di una strategia chepunta a mantenere la centralità delFestival nonostante i forti cambiamentisociali e tecnologici avvenuti da un seco-lo a questa parte. Con la progressiva ridu-zione dell’orario di lavoro la televisioneha smesso di essere la fonte di attrazionedel pubblico serale. Che, complici le tem-perature più miti, preferiscono trascorre-re le serate all’aperto oppure negli osser-vatori astronomici, che sono diventatil’attrazione serale di maggiore successodegli ultimi dieci anni.

«Anticipando la presentazione dellecanzoni al pomeriggio, speriamo di offri-re al nostro pubblico qualcosa di grade-vole da ascoltare in cuffia mentre studia-no la volta celeste», conclude Scacchi.

(segue dalla prima pagina)

La firma della Convenzione sullalotta contro la desertificazione risale al1995, ma si è dovuto attendere il 2027 peruna reale iniziativa internazionale cheportasse a un’azione reale sui modelli disviluppo. Si celebra in questi giorni ilventicinquesimo anniversario del rilanciodella Convenzione. Che, ovviamente,rappresenta un momento di bilanci.

Un bilancio del tutto positivo, se èvero che la popolazione agricola ha ripre-so ad aumentare, i piccoli villaggidell’Appennino sono abitati da ogni cate-goria professionale e la gradevolezza dellearee interne continua a richiamare interefamiglie, felici di abbandonare le città. Lostesso accade a livello internaziona-le, dal Perù alla Cina, dalla Nigeriaalla Nuova Zelanda. Un cambia-mento frutto di una iniziativa globa-le, di reale cooperazione contro lascarsità di risorse idriche e di rinasci-ta dell’agricoltura a ogni latitudine.

Fino al 2027 l’ostacolo di unareale iniziativa di cooperazioneerano state le tensioni internaziona-li cominciate all’inizio del secolo.Ed è stata decisiva la capacità della comu-nità scientifica di attingere ai saperi tradi-zionali per riconquistare ciascun metroquadro di terreno alla desertificazione. Ipopoli che hanno convissuto per secolicon i problemi della mancanza d’acquahanno mostrato la strada per un recuperosostenibile di tutte le risorse idriche,soprattutto dove erano scarse.

Il modello delle oasi, che prosperanoin autonomia anche nel cuore del deser-to, ha mostrato la via della razionalità edei piccoli sistemi a tutte le regioni delmondo che negli anni hanno conosciutoil volto della desertificazione.

Tecniche di irrigazione efficiente erazionale, ripartizione delle quote secon-do le reali esigenze dell’agricoltura, crea-zione di pozzi a partire da impianti dipiccola scala, gestione oculata dei bacinifluviali sono le semplici tecniche, appli-

cate ovunque con l’assistenza delle strut-ture di consulenza tecnica messe a dispo-sizione dalla WCIA, nata in seguito allaConvenzione.

All’epoca in cui fu firmata laConvenzione del 1995 una fetta crescen-te delle terre emerse rischiava di perderela capacità di trattenere l’acqua, avvian-dosi a un destino di abbandono da partedelle comunità umane. Per citare il casoitaliano, il Salento, parte della Sicilia edella Basilicata avevano praticamenteesaurito le risorse idriche sulle quali face-vano affidamento da secoli.

Quasi su tutto il territorio nazionalele falde acquifere sotterranee erano conta-minate da sostanze inquinanti e sature disale, al punto da favorire la desertificazio-

ne se impiegate per l’irrigazione in super-ficie. Anche da noi la soluzione è legataal recupero delle tecniche agricole di cia-scun territorio, ripensando alle coltiva-zioni di oltre un secolo fa. Che servono aripristinare un circolo virtuoso di rinasci-ta di un equilibrio ecologico autentico.

Il processo sembra ormai avviato e dài suoi frutti, nei terrazzamenti dellaLiguria come nei piccoli poderi delSannio. In questo come in altri casi èdecisivo il coinvolgimento delle impreseagricole, che sono chiamate ad affiancarealle coltivazioni tradizionali anche le spe-cie arboree e delle canalizzazioni chefavoriscono una circolazione equilibratadelle acque di profondità.

A livello planetario, l’emergenzadella desertificazione divenne pressantesolo quando spinse al collasso le maggio-ri aree urbane. Le città dell’Africa e

dell’Asia si riempivano di contadini,incalzati dalla siccità che colpiva i loroterreni.

Si riversavano a milioni nei centriurbani, fino a causare, nel 2007, il ribalta-mento della situazione: a partire da quel-l’anno, oltre il 50 per cento della popola-zione mondiale viveva nei centri urbani.

Anche in presenza di stanziamenticonsistenti per combattere la desertifica-zione, le scelte compiute dai governiandavano in direzione opposta rispettoalla sua soluzione. Fedeli ai manuali dellapeggiore politica economica, i governicostruivano dighe gigantesche, sprecandoacqua potabile per alimentare i cantieri.

I cantieri assorbivano la pocaacqua a disposizione, deviavano il

corso dei fiumi, alterando l’equi-librio delle acque nei pochi luo-ghi dove ancora resisteva.

Un progetto simile fu ipotizzatoin Sicilia, a ridosso delle zoneumide del messinese, ma fu scongiu-rato così come pochi anni prima lecomunità locali riuscirono a impedi-re la costruzione di un gigantescoponte, che avrebbe prosciugato lestesse zone lacustri senza produrre

effettivi vantaggi per le comunità. Anchequel cantiere rappresentava, in effetti,una grave minaccia per una regione biso-gnosa d’acqua.

All’inizio del nostro secolo le mega-lopoli importavano grandi quantità dicarne e vegetali freschi, coltivati in zonesemiaride. Le coltivazioni e gli alleva-menti erano smobilitati solo dopo averesucchiato l’ultima goccia d’acqua dolce,senza aver mai considerato un impiegorazionale della risorsa.

L’unica reazione al prosciugamentodelle falde era di spostare le aziende lìdove ancora c’era acqua da utilizzare.

C’è da chiedersi cosa sarebbe succes-so se all’inizio del XXI secolo non avesseprevalso il Green Deal. Probabilmentel’Italia sarebbe oggi un deserto.

Oppure, l’altro scenario possibile,sarebbe finita sotto il mare.

Dal deserto cosìrinascono i boschi

Chi l’avrebbe detto? Una folta comunità di fochemonache (Monachus monachus) ha preso casa permanen-temente in diversi punti della costa sarda. Il mammiferopiù minacciato del Mediterraneo, dichiarato estinto nelnostro paese da quasi cinquant’anni, ritorna con fiducia aisuoi scogli, e vi si stabilisce come se nulla fosse. Qualchebagnante sarà contrariato di vedersi spinto più in là da unmammifero marino, certamente è folta la schiera di coloroche invece sono soddisfatti di sapere che un’altra estinzio-ne è stata scongiurata.

Certo, è un po’ presto per esultare. Le comunità avvi-state in Sardegna (in ben cinque punti diversi della regione)probabilmente arrivano tutte da una stessa colonia prove-niente dalle coste tunisine, pertanto non rappresentano unalto tasso di biodiversità. Bisognerà attendere qualche sta-gione, e le prime nidiate, per poter dichiarare definitiva-mente avviata la fase di insediamento.

I ricercatori che hanno diffuso la notizia del ritornodella foca sono certi che il mammifero sarà avvistato semprepiù spesso anche in altre isole italiane. La caccia fu vietatanel 1938, ma il divieto fu violato fino alla dichiarazione dicompleta estinzione dal territorio nazionale. Le pochecomunità supersiti dovettero andare in esilio, a ridosso dellecoste africane, sviluppando un giustificato atteggiamento ditimore e di sfiducia nei confronti dell’uomo.

Da decenni, infatti, non è possibile osservare lo spetta-colo di foche monache stese al sole sugli scogli. Una scenadella quale, infatti, non sono giunte a noi che testimonian-ze fotografiche. Chi sarà il primo a fotografare la tintarelladelle nuove comunità di bue marino, come un tempo gliitaliani amavano chiamare scherzosamente la foca monaca?

Il ritorno del “bue marino”

Una folta comunitàavvistata sulla costa sarda.

Come la foca monaca, dopo cinquant’anni sta ricolonizzando il nostro PaeseSanremo: novitàsotto le stelle

Si svolgerà all’aperto, in pieno pomeriggio.Ancora una volta, sarà il Festival dei giovani

Nell’anniversario del Protocollo di Kyoto, l’Italia ricorda un Patto storico per l’ambiente

30 anni fa l’accordocontro la Desertificazioneche salvò il Paese

VENERDÌ 16 FEBBRAIO 2057 REPUBBLICA 3

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Tifone Elisa. Ore drammatiche per Roma, Napoli e Firenze

L’EDITORIALE

Oggiraccogliamo

i cocci

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L’Italia sott’acqua

L’aria che avresti volutosempre respirare

L’aria che avresti volutosempre respirare

ANNO 52 – Numero 41 venerdì 16 febbraio 2057

Sped. in Abb. Post. - D.L. 353/2003 (conv. in L.27/02/2004 n. 46) art. 1 comma 1 DCB - RomaDirettore responsabile: Enrico Fontana

Editore: undicidue srl, via R. Fiore, 8 - RomaStampa: Rotopress, via E. Ortolani , 33 - RomaReg. Trib. di Roma n. 34 del 7/2/2005 Redazione:

via A. Salandra, 6 - 00187 Roma tel. 0642030616fax 0642004600 - [email protected] su carta ecologica9 285885 857453 292 2

50 anni faIL COMMENTO

Allarme alluvioni fino all’Appennino toscano

Supplemento al numero odierno di Notizie verdi

L EUROPA non era abituata auragani come Katrina, cheverso la fine del scolo scorso

devastarono a ripetizione le coste dipaesi come il Mississippi o la Florida.Se n’è cominciata ad accorgere, ebruscamente, nei primi anni delnuovo millennio, quando Kyrill misea dura prova il nord Europa, causan-do morti e distruzioni per parecchimiliardi di euro.Più di mezzo secolo fa gli esperti e iVerdi dicevano che l’aumento dellatemperatura della superficie dell’Oceanoprodotta dal surriscaldamento delpianeta, aveva aumentato l’energiadei tifoni, che a più riprese devasta-rono le zone che si affacciano sulGolfo del Messico.Ci spiegavano anche che per diventa-re così devastanti dovevano percorre-re migliaia di chilometri senza trova-re ostacoli, accumulando una formi-dabile carica. Ma allo stesso tempoammonivano che tifoni potenti eviolenti, a causa dei repentini aumen-ti della temperatura, sarebbero potutinascere anche nel Mediterraneo. In pochi però ascoltarono l’allarmelanciato dai Verdi, che chiedevanorapidi interventi per la riduzionedelle emissioni di gas serra nel setto-re energetico, dei trasporti, dei riscal-damenti. E così da un po’ di anni,come preconizzavano gli ecologisti,tifoni devastanti come Elisa, che hamesso in ginocchio nei giorni scorsile coste occidentali dell’Italia e cittàd’arte come Roma e Firenze, si verifi-cano anche nel Mare Nostrum. Oggi c’è una nave petroliera perico-losamente incagliata poco a nord diNapoli a causa della tempesta. Essa èil simbolo di una società che non havoluto superare ciò che è stata lacausa del suo male e che per questova alla deriva in balia di fenomeniche ormai è quasi impossibile con-trollare e attutire. Sarebbe stato possi-bile sostituire progressivamentepetrolio e carbone con energie pulite,come il solare, l’eolico e l’idrogeno.Ma così non è stato. E purtroppo per noi chi diceva cheeventi estremi come Katrina nonsarebbero mai potuti accadere dallenostre parti si sbagliava. E ora è diffi-cile porvi rimedio, c’è solo da racco-gliere i cocci.

L avevano detto e predetto.Fin dalla fine dello scorso mil-lennio era nato, e si era ispes-

sito all’inizio del ventunesimo seco-lo, un movimento ecologista mon-diale, fatto di cittadini, associazioni,intellettuali, scienziati, personalitàdella cultura, della politica e dellospettacolo, che sosteneva quello cheanche gli scienziati, per la primavolta nel febbraio del 2007, avevanoalla fine concluso quasi all’unanimi-tà. E cioè che l’economia del carbonee del petrolio, cioè dei combustibilifossili, avrebbe portato il pianeta aun cambiamento climatico devastan-te e repentino.In campo erano scesi i Verdi di tuttoil mondo per chiedere di puntaresulle energie rinnovabili. E tante per-sonalità. Come l’economista JeremyRifkin, che durante numerosi conve-gni, simposi, incontri con le pubbli-che autorità, chiedeva a gran voce dipuntare sull’idrogeno. O come l’exvicepresidente Usa Al Gore, che nel2007 si è portato a casa pure l’oscarper la “scomoda verità”, il film docu-mentario che metteva in fila numerie analisi per dimostrare l’evidente eincombente riscaldamento del piane-ta prodotto dalle emissioni dell’indu-stria, dei trasporti e dei riscaldamen-ti. Il saggio Giovanni Sartori, polito-logo di fama mondiale, in uno sfer-zante intervento sul Corriere dellaSera affermava: “Il pianeta Terrarischia una terribile crisi ma di tuttoquesto il nostro sonnambulo globalenon sa e non vuole sapere nulla. Isonnambuli finora se la sono cavatadicendo che i cambiamenti climaticici sono sempre stati. Invece no, inve-ce è falso. Per la prima volta tutte lecolpe sono nostre. Niente più balle.I sonnambuli si devono svegliare”.Parole al vento perché hanno pur-troppo prevalso le obiezioni degliscettici e dei tanti uomini di scienza,a volte prezzolati dall’industria ener-getica fossile: clamorosi, ma serviro-no a poco, furono gli scandali deirapporti sul clima sfornati dalle agen-zie Usa ed edulcorati dall’ammini-strazione dell’allora presidenteGeorge W. Bush, personaggio legatoa filo doppio all’industria petrolifera.Un altro scandalo famoso riguardavale relazioni scientifiche “negazioni-ste”, finanziate dai colossi dell’indu-stria del greggio, in cui si affermavache la causa dei cambiamenti climati-ci era legata all’aumentata irradiazio-ne solare e alle cicliche variazioni cli-matiche attraversate dal pianeta nelcorso di milioni di anni. Gli scienziati dell’Onu, però, già nelsecondo rapporto del 2007 replicava-no che il “95% della responsabilitàera da attribuire all’uomo”. Ma non sono stati ascoltati. E cosìVenezia, gli atolli del Pacifico, lecoste del nord Europa, dellaCalifornia e via elencando sono fini-te sottacqua. E dai terreni inariditi diintere aree del nostro paese e dimezzo mondo non si cava più nean-che una rapa. E a poco, anzi a nullaserve oggi dire che l’avevano detto.

Non c’è pace per l’Italia: dopo le allu-vioni che hanno sommerso gran partedelle nostre coste, il tifone Elisa colpisce

il Paese con una violenza inaudita, provo-cando migliaia di morti e feriti. Anche sela tempesta sembra ora aver perso inten-

sità, il livello di allarme rimane alto. Emigliaia di sfollati chiedono una risposta.

SERVIZI A PAG.2

Invasione dimeduse sulla

costa bergamascaLa strana proliferazione dovuta al clima

non perdona nessuna delle nuove spiaggecreate dall’innalzamento del mare

I biologi ancora non sanno fornire una spie-gazione. «Si tratta di un fenomeno che non ave-vamo ancora mai osservato sulle coste italiane,almeno non di queste dimensioni, certo il tifoneElisa è stato una concausa» spiega Daniele Keerdell’Istituto Marino di Pisa. Intanto i NucleiOperativi Marini del GAP hanno già comincia-to l’opera di bonifica delle spiagge.

Edizionestraordinaria

I biologi non sono in grado di spiegareil fenomeno, forse facilitato dal tifone Elisa

la nuova

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«Possiamo esserne certi, il tifone haperso la sua potenza scontrandosi con lacatena appenninica», ha dichiarato ilvice-coordinatore della protezione civile,Fulvio Bardone. Nel pomeriggio di ieri iprimi raggi di sole illuminavano il gusciorotto della cupola di San Pietro, undanno solo appena paragonabile al crollodella Basilica di Assisi nel secolo scorso.Bisognerà ricostruirla, ma non sarà maipiù la stessa cosa. Così come molti altrimonumenti della capitale, alcuni impor-tanti edifici di Firenze e praticamentel’intera città di Napoli.

È partita la macchina dei soccorsidopo che il tifone Elisa ha aggredito conviolenza inaudita il versante tirrenicodella penisola. Ancora non è chiaro qualepossa essere l’entità del bilancio di mortie feriti, perché siamo di fronte a un even-to naturale senza precedenti.

Probabilmente il tifone più violentodella storia del Mediterraneo, che purenegli ultimi cinquant’anni è statomesso a dura prova per via dei cambia-menti climatici.

Un vero e proprio uragano, un even-to un tempo impossibile, ma che i muta-menti climatici hanno reso possibile.Niente di nuovo, in un certo senso.

Da decenni ormai il clima si comportain modo sempre più incontrollabile, coneventi sempre più estremi, di tipo tropica-le, come quello che ha colpito la Spagnaappena due anni fa provocando cinquemilamorti e oltre centomila sfollati.

Così ieri sì è consumato un nuovocapitolo di questa escalation climatica.

Gli abitanti di città e centri minori,che in queste ore lasciano i rifugi improv-visati, si imbattono in uno scenario daincubo. Tetti scoperchiati, interi apparta-menti completamente svuotati, attraver-sati da parte a parte da un’onda d’ariafuriosa. Detriti nelle strade, sui tetti, pare-ti sfondate da calcinacci scagliati dalvento con la forza di proiettili.

L’allarme era partito due giorni fadalle isole Eolie, tuttora completamenteisolate. Mentre radio e televisioni consi-gliavano a tutti i residenti delle areecostiere di cercare rifugio nelle aree inter-ne a causa della violenza del tifone, anco-ra non era immaginabile la portata cheavrebbe assunto nelle ore successive.Napoli, così come molte città costiere,sono state aggredite inaspettatamenteverso sera. Il Maschio Angioino ha rettoalla furia degli eventi, ma non così il restodella città.

Una nave petroliera che verso le seidel mattino di ieri si trovava a pochimetri dall’ingresso del porto è stata spin-ta verso la costa per oltre un chilometro anord, fino a incagliarsi in prossimità deiquartieri residenziali del centro storico,peraltro abbandonati da alcuni anni acausa dell’innalzamento del livello delmare. I soccorsi non hanno ancora rag-giunto la nave, che è monitorata a distan-za dall’unità di soccorso marittimo tem-poraneamente trasferita a Capodimonte.Si teme che le paratie possano rompersi einondare di petrolio le coste.

Poco dopo è toccato alla capitale.Il tifone ha danneggiato un numeroancora imprecisato di monumenti e distrutture, non solo antiche. È crollato unsettore dello stadio Olimpico e il ventoha scoperchiato diversi edifici, incluso ilPalasport e un padiglione dell’Auditorium.

Più lievi ma significativi i danni perFirenze. La tempesta ha colpito con par-ticolare violenza i nuovi quartieri perife-rici, che ospitano i profughi di Livorno,la città che fu abbandonata dieci anni fadopo che il mare aveva superato ognilivello di guardia. Gli edifici hanno retto,tranne per alcune decine di infissi sfonda-ti, per fortuna senza danni alle persone.Diversa è stata la sorte di alcuni palazzistorici, in primo luogo la cupola delBrunelleschi, che proprio in questi mesiera interessata da lavori di restauro. Nellanotte di ieri ha perso alcuni elementidecorativi ma fortunatamente non haregistrato danni strutturali.

Il premier Silvio Fantozzi, riunitosicon l’intero esecutivo nella sede diArcore in seduta straordinaria, non haancora rilasciato dichiarazioni. I Verdi nechiedono le dimissioni e rilanciano:“Sarà difficile ripristinare quello che si èperduto, a meno che l’Italia sia in grado,dopo la recente crisi internazionale, diriallacciare rapporti diplomatici con lenazioni più vicine al nostro patrimonioculturale: Brasile, Giappone e Canada.All’Italia serve una svolta ecologista” hadichiarato il presidente del partito.

Nel frattempo si attende il ritorno delSanto Padre, che ha interrotto la visitapastorale in Canada per fare immediata-mente rientro in Vaticano. La conferenzastampa è fissata per questa sera alle diciot-to. Inutile dire che c’è grande attesa.

L’Italia, attonita, mentre aspetta disapere quale sia il bilancio finale di que-sta immane tragedia, si chiede se si pote-va fare qualcosa.

Un evento di violenza inaudita per il Mediterraneo: una chiara conseguenza del clima impazzito

Il tifone Elisa devasta l’ItaliaPassata la tempesta, è il momento di contare morti e feriti. Gravi danni in tutto il Paese

La scolaretta insiste ostinata: “Io non ci vado làsotto”. Gli insegnanti, anche loro in tuta da immer-sione e pronti ad azionare il dispositivo per la respi-razione subacquea, provano a farle cambiare idea.Le descrivono le meraviglie sommerse della Basilicadi San Marco, i mosaici splendenti, i bassorilievi e itesori ancora custoditi all’ombra delle cupole mae-stose, le ricordano le ore di addestramento in pisci-na che ci sono volute per preparare la visita di oggi.Il resto della scolaresca attende il via libera per tuf-farsi in acqua, immergersi a non più di due metri diprofondità e riemergere all’interno del maestosomonumento. Intorno, la città morta di Venezia sem-bra più viva che mai, nel viavai di motoscafi aran-cioni zeppi di turisti subacquei.

Le ondate violente, che fino all’altro giornospazzavano Piazza San Marco a intervalli irregolaricausando il crollo di alcune strutture monumentalisono un brutto ricordo. Oggi le previsioni sono ras-sicuranti e le imbarcazioni dei turisti si avvicinanospedite al monumento senza il timore di urtarlo inpreda a ondate impreviste. Qualcuno si sporge adaccarezzare i capitelli o addirittura la superficiedorata delle lunette dai colori ancora vividi nono-stante la patina di fango misto ad alghe che si depo-sita in occasione delle alte maree più durature.

Gli insegnanti raggiungono un compromesso:

resteranno a turno con l’allieva, le mostreranno laBasilica dall’esterno, i cavalli di bronzo che sembra-no emergere direttamente dalle acque e che tantianni fa sovrastavano un alto portale, ormai sommer-so. Alle spalle, l’arco di una enorme vetrata sormon-tata da un leone d’oro alato, l’antico simbolo dellacittà. Negli ultimi quarant’anni tutti gli abitantihanno "preso il volo", si sono trasferiti per sempre,rassegnati a vedere annegare la città e le testimo-nianze delle generazioni chel’hanno costruita, abitata e chehanno tentato di salvarla dallemaree, senza riuscirvi.

A lungo si tenterà di rico-struire gli ultimi anni di splen-dore della città. Già nel 2018,l’anno in cui fu inaugurato ilMose, le barriere artificiali riu-scirono a contenere appena sei maree su un totale di234. Funzionava al suo meglio, ma non serviva aniente.

All’inizio del ventunesimo secolo un sindacodella città, il filosofo Massimo Cacciari, ammonivache l’opera sarebbe risultata “inutile e costosissima”.All’epoca la frequenza delle alte maree saliva dianno in anno, fino a raddoppiare nel giro di cin-quant’anni. Molti veneziani avrebbero preferito

difendere la città “all’antica”, scavando i fanghi deicanali, restaurando i ponti e rialzando i selciati.Riconquistare la città palmo dopo palmo, contra-stando il degrado dei canali causato da un secolo discelte urbanistiche avventate. A ciò si aggiungeval’effetto-serra, che già aveva segnato il destino del-l’antica città di Amsterdam e minacciava Lisbona eBarcellona.

Difficile dire se fosse quella la soluzione ideale.Esiste però un elemento storicocerto: nelle ultime fasi di fun-zionamento, ormai quindicianni fa, per ciascuna mareacontenuta una quarantina sfug-givano alle paratie del Mose.L’opera smise di far parlare di séappena dopo l’inaugurazione.

Ma cosa si sapeva del Moseall’epoca? E come mai i veneziani accettarono lafabbricazione di un’opera costosa ma così poco effi-cace? Fu soprattutto rassegnazione, racconta unlibro appena pubblicato dal geografo americanoJames Rubin, che ha pazientemente analizzato idocumenti recuperati negli archivi del comune diVenezia, da pochi mesi messi a disposizione deiricercatori.

Nell’anno 2006 la Commissione europea bocciò

il progetto del Mose, ma il progetto andò comun-que avanti, per amore o per forza. Le dighe mobiliposte a sbarramento delle bocche di porto non tene-vano conto dell’acqua che arrivava nelle altre dire-zioni. L’acqua dei fiumi, in effetti, continua adaffluire “alle spalle” della città. E mentre gli abitantisi apprestavano ad abbandonarla, anche la manu-tenzione del Mose risultò superflua. Costava diecimilioni di euro l’anno, ma fu effettuata per diecianni di seguito prima che se ne decretasse l’abban-dono.

Solo nel 2027 le autorità recuperarono un vec-chio progetto, sul quale i veneziani hanno insistitoinvano fin dagli anni Novanta del secolo scorso. Sitrattava di innalzare i fondali marini, quel tanto chebasta a frenare il flusso delle acque verso l’arcipela-go veneziano. Ma questa è la storia di oggi, perchéormai da 22 anni il progetto è all’esame di tre diver-se commissioni del Parlamento. Attorno ai monu-menti sepolti, intanto, prosegue il viavai di comiti-ve di turisti. Rispetto a cent’anni fa, l’afflusso di visi-tatori è in discesa, ma il settore regge lo stesso. Ilturista di oggi alimenta, oltre al settore alberghiero,anche il mercato delle attrezzature subacquee. Conun pizzico di avventura in più, il fascino dellaSerenissima è lo stesso di allora.

Venezia sei metri sotto il mareLa lunga agonia di una città d’arte vittima dei cambiamenti climatici

2005 Il protocollo di Kyoto entra in vigore. I governisi impegnano a limitare l’emissione di gas-serra.

2013 L’ennesimo fallimento degli accordi del Wto,l’organizzazione mondiale per il commercio, nesegna lo scioglimento.

2020 Non si arresta il confronto in seno all’Unioneeuropea rispetto all’ingresso della Turchia. Le pole-miche portano a una temporanea sospensione deipoteri della Commissione e al congelamento delleregole del mercato interno.

2025 Revisione degli obiettivi di Kyoto, Cina e India,responsabili del 60 per cento delle emissioni di CO2,escono dall’accordo: “Non intendiamo mettere indiscussione la nostra crescita economica”.

2029 Accuse di spionaggio industriale sono allabase dell’escalation che porta la Russia a schierare

l’esercito ai confini con il Giappone. Gli Stati Unitiescono dal G8.

2030 A causa del drastico scioglimento delle calottepolari si innalzano i mari in tutto il mondo. L’italiaperde ca. 4.500 chilometri quadrati di coste. Veneziafinisce definitivamente sotto il mare.

2036 L’ultimo ettaro di foresta equatoriale africanaviene rimosso per far spazio a coltivazioni intensive.I singoli stati rafforzano le barriere ai confini perimpedire le migrazioni.

2043 Con la rottura delle trattative tra Francia eGermania si decide di interrompere l’ultimo collega-mento telematico internazionale ancora attivo.

2049 L’Organizzazione mondiale per le risorse ali-mentari proibisce definitivamente il pesce, “le acquedei nostri mari sono troppo inquinate”.

cronologia

Cronaca di unanormale gita nella culladella civiltà marinara

La petroliera incagliata a Napoli. Si teme uno sversamento di petrolio

REPUBBLICA 2 VENERDÌ 16 FEBBRAIO 2057

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Salvo sorprese dell’ultimo momento,anche quest’anno la kermesse canora piùattesa si svolgerà all’insegna della tradi-zione. Località a parte, ovviamente. Per ildecimo anno consecutivo, infatti, la ras-segna canora sarà ospitata nella cornicemontana di Courmayeur. Le pendici delMonte Bianco faranno da sfondo a unavasta esposizione di composizioni florea-li, che fino al secolo scorso furono l’orgo-glio dell’area di Sanremo e immancabil-mente decorano il palco del Festival.Cinque serate di musica, parole e nostal-gia. Soprattutto per la località diSanremo, che ospitò il Festival dalla suaprima edizione fino al 2016, quando fuabbandonata in seguito all’innalzamento

del livello del Tirreno e agli allarmi sul-l’arrivo di un tifone, che effettivamentecolpì la città due anni dopo, nel 2018.

Lo spettacolo prosegue a 1200 metridi altitudine. La grande novità riguarda lascelta di Giuseppe Baudo, omonimo delcelebre showman siciliano, come presen-tatore delle serate.

«Non ero certo della parentela con ilPippo “originale”», ha dichiarato il pre-sentatore settantenne, «fino a quando gliorganizzatori non mi hanno dato leprove della clonazione, convincendomiad accettare l’enorme responsabilità dicondurre il Festival».

Spazio, quindi, alla canzone, nelsolco della pura tradizione italiana.

Già noti alcuni titoli: Sarà quel che sarà,Fiumi di parole, Storie di tutti i giorni,Portami a ballare, tutte direttamente ispi-rate ad alcuni successi del passato. Ciòche conta per il pubblico è l’interpreta-zione. I componenti della giuria, infatti,dovranno valutare la capacità dei cantan-ti e dell’orchestra di risvegliare nella loromemoria il ricordo delle canzoni vincitri-ci delle tante edizioni precedenti. Il com-pito di valutare una simile capacità verràsvolto per la prima volta da uno scannerdiagnostico elettronico, in modo da giun-gere a giudizi più precisi.

Al riparo dal tifone Elisa, Sanremocomunque ci sarà.

La pace è ormai la prospettiva meno probabile per l’America delNord. Dopo l’annuncio-shock di ieri, i giorni sono contati per gli Statiuniti, che esistono come nazionefederale indipendente dal 1776. Leregioni del sud hanno deliberatola secessione da quelle settentrio-nali, esasperando una situazionegià estremamente tesa.

Negli ultimi mesi un’ondatamigratoria senza precedenti hainvestito tutte aree interne. I pro-fughi sono originari delle regioniormai sommerse dalle acque ditutte e due le coste e si spingonoverso le aree interne in cerca difortuna. Una pressione economi-ca e sociale enorme per le città,ormai al collasso. Da qui, le ten-sioni crescenti tra le regioni set-tentrionali e quelle meridionali:queste ultime accusano le primedi non aver neppure tentato diimpedire l’ingresso degli immigra-ti, creando le premesse per l’attua-le contrapposizione.

Non è chiaro se le organizza-zioni internazionali abbiano pre-disposto un piano di intervento. I navigatori satellitari mostrano stra-de affollate giorno e notte, una compatta distesa di persone a perditad’occhio, una densità di popolazione permanente senza precedentinella storia. Nei diversi centri abitati scarseggiano cibo e acqua da gior-ni e l’emergenza sanitaria è dietro l’angolo. Raggiunta per telefono, lasede del Coordinamento per i rifugiati dell’Organizzazione mondialeper i diritti umani sostiene che diverse opzioni sono allo studio, ma

prima di essere finanziate dovrebbero essere approvate dalla Strutturadi coordinamento, che si riunirà ad aprile dell’anno prossimo.

Nella capitale del Texas, intanto, si segnala-no diversi focolai di colera dovuti principal-mente al sovraffollamento delle baraccopoliprese d’assalto dai rifugiati. Risulta contamina-to anche l’acquedotto, che tuttavia serve unaquota minima della popolazione. Le rappre-sentanze diplomatiche e gli operatori econo-mici stranieri, oltre naturalmente ai pochi turi-sti sprovveduti che si trovavano in città, sonostati evacuati grazie a una staffetta di elicotteri,fortunatamente prima dell’inizio delle ostilità.

I ribelli, che si erano impadroniti degliaeroporti già da un mese, puntano a sbarrare ilfiume di nuovi arrivati. Ma, a detta di tutti glianalisti, questo è solo uno degliobiettivi. L’altro obiettivo è disottrarre al resto del paese i rica-vi dei giacimenti petroliferitexani, sempre più appetibiliman mano che si esauriscono ipozzi di petrolio di tutto il pia-neta. Anche per questo, l’an-nuncio di ieri è un cerino acce-so in una polveriera.

L’escalation prevede adessol’intervento del Messico, pronto ad approfittare delletensioni statunitensi per intervenire nel conflitto e recla-mare una parte dei giacimenti contesi. I governi dellaregione non esiteranno a soffiare sulla complessa rete diconflitti etnici aperti per aumentare la tensione e tenta-re di impadronirsi delle porzioni di territorio più pro-mettenti dal punto di vista strategico o minerario.

Laconiche le reazioni dal G8, il club dei paesi più ricchi del mondo,riunito a Brasilia (vedi box). Giappone e Indonesia hanno manifestato lapreoccupazione per i loro interessi economici nella regione, mentreCina e Messico si sono limitati ad auspicare una riforma degli organismiinternazionali ai quali potere affidare l’intervento in situazioni di crisicome questa.

Dopo il collasso dell’agricoltura americana del 2015, dovuto alcrollo della produttività delle coltivazioni geneticamente manipolate,le zone costiere si avviavano lentamente a una lenta rinascita, stronca-ta dall’innalzamento del livello dei mari, che ha sommerso i bacini pia-neggianti e ha riempito le falde d’acqua dolce. La desertificazione harisparmiato solo i territori che si sono indirizzati per primi a un’impie-go razionale del suolo e dell’acqua, ma la minaccia di divisioni e con-flitti adesso pone una questione pressante per le zone dove si concen-trano i profughi ambientali di tutta l’America: chi darà da mangiare aimilioni e milioni di abitanti delle città?

Le colossali alluvioni all’origine delle grandi migrazioni verso l’interno. Città sovraffollate e colpite da epidemie

Centinaia di migliaia di persone cercano riparo dalle catastrofi.Tra loro l’anziano Bush

APPRADA

Giubbotto salvagenteEstate Inverno

Tutto pronto a Courmayeur per la prossima edizione del Festival

Non è Sanremo senza BaudoAnche quest’anno, una kermesse tradizionale all’insegna della memoria

Il satellite Prius non trasmetterà gli incontri di calciodel prossimo fine settimana. Una notizia che riguarda nonsoltanto il pubblico sportivo, ma anche le forze dell’ordine,che si affidano allo stesso satellite per monitorare le areeurbane interessate dagli eventi calcistici. Secondo unaprima versione dei fatti l’avaria del satellite è legata alle per-turbazioni di questi giorni e nonostante i tecnici abbianoiniziato la riparazione ieri nel tardo pomeriggio, la loroprima impressione è che sarà difficile ripristinare il servizioprima di giovedì prossimo.

“Non abbiamo intenzione di interrompere il campio-nato ogni volta che c’è un’alluvione o un guasto nei siste-mi di sorveglianza”, ha tuonato Renato Cenci, presidentedella Calcindustria. Gli stadi chiusi per riparazioni dovutead allagamenti o crolli sono ormai la metà e gli spostamen-ti in aereo delle squadre sono proibitivi, data la frequenzadi perturbazioni che portano alla cancellazione dei voli.“Ormai trascorriamo più tempo a bordo dei pullman che incampo”, si è lamentato Francesco Nori, attaccantedell’Arezzo appena prima del licenziamento in tronco daparte della squadra dovuto a questa e ad altre manifestazio-ni di intemperanza. Domenica scorsa il calciatore si eralamentato a microfoni aperti, dichiarando che la sua squa-dra aveva perso per la mancata fornitura di fiale di anfeta-mina da parte della sua squadra, una circostanza pronta-mente smentita dalla società e dagli altri giocatori.

L’eliminazione della diretta e la mancanza di monito-raggio a distanza fa temere il peggio per la prossima dome-nica, quando si prevede l’afflusso di migliaia e migliaia ditifosi nelle otto città dove si prevedono incontri di calcio.Annullata anche la trasmissione via satellite degli spettaco-li circensi che precedono le partite.

Danneggiato il satellite Prius. Cenci dice andiamo avanti. E Nori si lamentaAncora tempeste, il calcio si ferma

I guasti ai sistemi di sorveglianzaimpediranno lo svolgimento dellepartite nel prossimo fine settimana

La mega baraccopoli di Bushville in Texas. Si attendono gli aiuti dal Messico

VENERDÌ 16 FEBBRAIO 2057 REPUBBLICA 3

Paesi che compongono il clubdegli otto paesi più industrializ-zati del mondo, elenco aggior-nato al 16 febbraio 2050:

Brasile Cina

GiapponeMessico

Germania India

Indonesia Argentina

CHI FA PARTEDEL G8?

Usa: esodo dei profughi del clima

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