D ONNE CHIESA MOND O - Laity Family Life · 2019. 12. 12. · D ONNE CHIESA MOND O 2 3 D ONNE...

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DONNE CHIESA MONDO MENSILE DELLOSSERVATORE ROMANO NUMERO 71 SETTEMBRE 2018 CITTÀ DEL VATICANO Humanae vitae

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  • D ONNE CHIESA MOND OMENSILE DELL’OSSERVATORE ROMANO NUMERO 71 SETTEMBRE 2018 CITTÀ DEL VAT I C A N O

    Humanae vitae

  • numero 71settembre 2018

    IN T E R V I S TA A ELENA GIACCHI

    Imparare ad ascoltare il corpo femminileMARIELLA BALDUZZI A PA G I N A 3

    PERCHÉ PAOLO VI NON È S TAT O CAPITO

    Un testo ridotto al silenzioMONIQUE BAU J A R D A PA G I N A 9

    L’ENCICLICA IN AMERICA L AT I N A

    Riflettere da un altro punto di vistaMARÍA LUISA ASPE ARMELLA A PA G I N A 14

    UN CASO DI COSCIENZA ECOLO GICA

    La crisi della pillola è femministaMARIE-LUCILE KUBACKI A PA G I N A 18

    NEL ROMANZO «È C R O L L AT O IL BRITISH MUSEUM»

    Uno sguardo ironico sul “periodo sicuro”ELENA BUIA RUTT A PA G I N A 23

    DONNE DI VA L O R E

    Silvina OcampoSI LV I N A PÉREZ A PA G I N A 26

    CO N S A C R AT E

    Giovane e consacrata

    FRANCESCA PALAMÀ A PA G I N A 29

    PAOLO E LE D ONNE

    Trifena e TrifosaDO M I N I KA KUREK-CHOMYCZ A PA G I N A 32

    ME D I TA Z I O N E

    Mai rinunciare ad amareA CURA DELLE SORELLE DI BOSE A PA G I N A 39

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    IN T E R V I S TA A ELENA GIACCHI

    Imparare ad ascoltareil corpo femminile

    Giovanni Segantini«Le cattive madri»(particolare, 1894)

    L’enciclica Humanae vitae ha segnato una grande novità nella vitadella Chiesa: è la prima volta che un documento pontificio viene se-guito e commentato dalla stampa mondiale con tanta attenzione espirito critico — trapelano perfino anticipazioni e previsioni fin daimesi precedenti — ed è la prima volta che il papa è oggetto di vignet-te umoristiche e soprattutto che il mondo cattolico si divide pubbli-camente, clero compreso, nella ricezione del documento. Ma è anchela prima volta che si alza qualche voce femminile a commentare l’en-ciclica in modo diverso dagli uomini, anche se il femminismo vero eproprio non si è ancora affermato.

    Infatti è la prima volta che un documento della Chiesa vieneaccolto diversamente dalle donne che dagli uomini — almeno in qual-che misura — e a questa differenza si aggiunge quella fra occidente eterzo mondo. Mentre i paesi avanzati sono ossessionati dalla “b ombademografica” e le donne cominciano a intravvedere nella pillola la lo-ro liberazione, nel sud del mondo il controllo demografico si presen-ta nelle vesti non molto liberali delle sterilizzazioni forzate. Quil’Humanae vitae è accolta come un documento di liberazione antico-loniale, un aiuto per le donne a rivendicare la libertà sul propriocorp o.

    Un testo simile non poteva che essere controverso e per moltiaspetti incompreso. Oggi che la ricerca sui metodi naturali di regola-zione delle nascite ha fatto tanti passi in avanti, come spiega ElenaGiacchi, la vediamo con altri occhi, vicini a quelli delle giovani eco-logiste che rifiutano la pillola per motivi di salute, come nell’inchie-sta di Marie-Lucile Kubacki, mentre sembrano lontani i tempi delterrore di un altro figlio che pervade il libro dello scrittore ingleseDavid Lodge raccontato da Elena Buia Rutt.

    Monique Baujard riporta l’enciclica — nel bene e nel male — al bi-lancio fallimentare della sua ricezione che nessuno ha avuto il corag-gio di fare pubblicamente, e che l’ha condannata alla dimenticanzanel mondo cattolico stesso, mentre María Luisa Aspe Armella rendeconto della riflessione — oggi — in America latina.

    Cinquant’anni: un anniversario da ricordare con coraggio e celebrarecon attenzione, soprattutto da parte delle donne. (lucetta scaraffia)

    L’EDITORIALE

    D ONNE CHIESA MOND O

    Mensile dell’Osservatore Romanodiretto da

    LU C E T TA SCARAFFIA

    In redazioneGIULIA GALEOTTI

    SI LV I N A PÉREZ

    Comitato di redazioneCAT H E R I N E AUBIN

    MARIELLA BALDUZZIELENA BUIA RUTT

    ANNA FOAMARIE-LUCILE KUBACKI

    RI TA MBOSHU KONGOSAMUELA PAGANI

    MA R G H E R I TA PELAJANICLA SP E Z Z AT I

    Progetto graficoPIERO DI DOMENICANTONIO

    w w w. o s s e r v a t o re ro m a n o .v ad c m @ o s s ro m .v a

    per abbonamenti:d o n n e c h i e s a m o n d o @ o s s ro m .v a

    di MARIELLA BALDUZZI

    Nell’Humanae vitae Paolo VI, dopo avere accettato la possibilità di re-golare la fertilità attraverso il ricorso a metodi naturali, ben sapendoche la ricerca su quel filone si era presto arenata, chiede ai medici unaiuto per continuare in quella direzione. A questo appello del Papahanno risposto alcuni ricercatori, e in particolare due coppie. Ne ab-biamo parlato con Elena Giacchi, medico e ricercatrice.

    Per cominciare ci vuole spiegare quale è il senso dei metodi naturali, quale concezio-ne di procreazione e di rapporto umano essi presuppongono?

    I metodi naturali moderni, Billings e sintotermici (Retzer e Ca-men), permettono di riconoscere i ritmi della fertilità basandosisull’osservazione e la valutazione di specifici segnali fisiologici pre-senti nella donna nei periodi fertili.

    Generalmente, i metodi naturali vengono considerati solo dei con-traccettivi basati su elementi naturali, invece sono molto più di que-sto. Lo hanno vissuto e spiegato con chiarezza le due coppie di medi-ci che li hanno studiati ed elaborati: i dottori John e Evelyn Billings,

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    dialogo che scaturisce un comportamento sessuale responsabile e ba-sato sull’ascolto reciproco.

    Voi medici che diffondete il metodo Billings vi accorgete del suo effetto sulla vita dicoppia?

    Certo, si tratta di un percorso profondo di conoscenza, tale damettere alla prova rapporti di coppia inconsistenti, ma offre al tempostesso una grande opportunità di crescita nell’amore perché crea unaconsapevole comunione di vita.

    Si tratta però di un metodo che presuppone un rapporto di cop-pia, non si presta certo a essere utilizzato per vivere una vita di rap-porti liberi e sciolti da ogni legame come la rivoluzione sessuale haproposto e ha fatto diventare nei giovani esperienza normale.

    Il metodo richiede che le donne imparino a entrare in contatto col propriocorpo per poterlo conoscere. Questo aspetto è molto interessante perché sem-bra in controtendenza rispetto a ciò che in quegli anni si insegnava inambito cattolico, dove si preferiva ignorare ogni preparazione alla vitasessuale. E anche il recente sinodo sulla famiglia non ha affrontato l’ar-gomento dei metodi naturali...

    Certo, ci sono state e ci sono ancora difficoltà e imbarazzi afar accettare nella Chiesa questo discorso chiaro, concreto e coe-rente con l’Humanae vitae, e per di più dal mondo laico sono venu-te spesso critiche di persone che ne ignoravano la saldezza scientifi-ca, quasi fosse una pratica devota. Fra i nemici dobbiamo annoveraresoprattutto le case farmaceutiche che traggono un grande beneficioeconomico dalla vendita dei contraccettivi. I metodi naturali hanno il“difetto” di essere gratuiti… e per di più non si limitano a essere effi-caci rispetto a una necessità, ma consentono di integrare la consape-volezza della propria corporeità a tutte le dimensioni della persona(affettiva, razionale, spirituale) per un vero sviluppo della propriaidentità e personalità. Una dimensione quindi profondamente uma-na, della quale oggi molti non percepiscono il valore. In questo sen-so, non è stata ancora colta appieno la portata e il valore dell’Huma-nae vitae, che ha aperto veramente una strada nuova nel modo diconcepire il rapporto con il corpo, ma sono fiduciosa che il dialogotra noi operatori del metodo e il mondo ecclesiale, sempre attivo, ciaiuterà a crescere nella direzione indicata da Paolo VI.

    Per questo, la formazione degli operatori del metodo è molto im-portante e richiede insegnanti formati nelle discipline mediche di ba-se ed esperti della metodologia didattica dell’insegnamento alle cop-

    che hanno messo a punto il loro metodo negli anni cinquanta a Mel-bourne, e i coniugi Roetzer (ideatori del metodo sintotermico), chesono stati non solo studiosi e scienziati, ma anche testimoni dellacomplessità delle relazioni e delle modalità di conoscenza di se stessi,del proprio corpo e del rapporto che unisce la coppia, complessità de-rivante da questi metodi. Lavorando in coppia, infatti, hanno compre-so come non si trattasse solo di una più approfondita osservazione econoscenza del corpo da parte delle donne stesse — cosa già di per sédegna di encomio, come del resto hanno sempre sostenuto le femmi-niste — ma anche di un percorso di consapevolezza e maturazione re-ciproca nella coppia.

    John Billings chiese alle donne di registrare tutti i sintomi che ac-compagnavano il ciclo mestruale, perciò all’inizio c’è stato un appelload affinare la capacità d’ascolto dei segnali provenienti dal propriocorpo. La letteratura aveva già riportato studi sul muco cervicale co-me importante fattore di fertilità e i Billings si stupirono nel consta-tare come le donne coinvolte fossero in grado di riconoscere tutte levariazione legate all’andamento ormonale del ciclo e da questa casi-stica hanno formulato il loro metodo. È importante sottolineare chel’accuratezza del metodo venne confermata da studi clinici sull’anda-mento degli ormoni riproduttivi della donna condotti parallelamentedal professor Brown dell’università di Melbourne. L’approccio segui-to nella validazione del metodo rispondeva perciò ai criteri della piùassoluta scientificità.

    I metodi naturali hanno posto la scienza realmente a servizio dellapersona affinché, tramite la conoscenza della precisione e dell’armo-nia dei meccanismi che regolano la fertilità, potesse rispondereall’esigenza di una procreazione responsabile.

    Un aspetto molto importante del metodo è la didattica, e in que-sto ambito il coinvolgimento di Evelyn, avvenuto in un secondo tem-po, si dimostrò estremamente positivo perché, in quanto donna, erain grado di comprendere la natura dei sintomi e perciò di istruire ledonne al loro riconoscimento.

    Le donne infatti fin dall’inizio hanno svolto un ruolo centrale nellatrasmissione e nell’apprendimento del metodo, ma bisogna aggiunge-re che questo, oltre a rendere la donna protagonista responsabile del-la sua fertilità, agisce anche positivamente sul legame di coppia. Raf-forza infatti l’abitudine all’attenzione reciproca, al dialogo, alla co-municazione.

    Entrambi infatti sono coinvolti: anche se è la donna a dover rico-noscere i segnali della fertilità nel proprio corpo e decifrarne il signi-ficato, spetta all’uomo informarsi su questi segnali ed è da questo

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    pie. Non bisogna dimenticare che i metodi naturali non sono appros-simativi, ma applicano nozioni scientifiche all’interno di un percorsodi autoconsapevolezza e che sono diffusi in tutto il mondo, con pe-dagogie specifiche a seconda delle diverse realtà.

    A questo proposito è utile sottolineare che il metodo Billings nonè il “metodo della Chiesa cattolica”, ma è stato, per esempio, adotta-to dallo stato in Cina a partire dagli anni settanta, dove ha trovatodiffusione e conferme. Uno studio epidemiologico condotto in Cinariporta anche la diminuzione dei tassi di aborto procurato tra gliutenti del metodo Billings rispetto a quelli degli altri metodi. Questodato si spiega non solo con l’efficacia del metodo nel prevenire legravidanze indesiderate, ma anche nella forza di trasmissione di valo-ri che educano al significato e al rispetto della vita anche in societàprofondamente secolarizzate.

    La conoscenza del proprio corpo è stata sviluppata dal femminismo negli anni cin-quanta, ma le femministe non hanno mai puntato sui metodi naturali per una que-stione ideologica.

    Si è preferito delegare la propria responsabilità a strumenti tecnici,piuttosto che sviluppare una consapevolezza del proprio corpo legataalla responsabilità personale. La nostra proposta non significa rifiutodella tecnica e autoreferenzialità, anzi i metodi naturali hanno unagrande vocazione interdisciplinare per il loro valore prognostico.Grazie all’affinata capacità di riconoscere i sintomi, ci si può indiriz-zare verso la cura della causa piuttosto che la cura del sintomo, conciò contribuendo a una più corretta pratica medica.

    Il metodo Billings è poco conosciuto, come arrivano da voi le coppie?

    C’è molta eterogeneità, ma la prima fonte è l’utente che ne ha fattol’esperienza positiva e fa da passaparola nel proprio ambiente. Perparafrasare Paolo VI, quest’epoca non ha bisogno di maestri, ma ditestimoni…

    Abbiamo accennato prima alla difficoltà a far accettare questi metodi dai giovani...

    La realtà che noi conosciamo tramite i colloqui con gli studenti èspesso quella del consumismo applicato alla vita sessuale, o la ricercadi uno scarico di tensioni, del piacere momentaneo. Ed è in questimomenti di piacere istantaneo che si esaurisce la relazione tra le per-sone. Questo metodo, invece, trascende il momento e riempie di si-gnificato un’esperienza sessuale rendendola profondamente umana.Si potrebbe dire che i termini di confronto sono l’instabilità affettiva

    I coniugiJohn ed Evelyn Billings

    Medico ginecologo presso ilCentro studi e ricerche perla regolazione naturale dellafertilità dell’Universitàcattolica del Sacro Cuore aRoma, si occupa diprocreazione responsabile eregolazione naturale dellafertilità. È stata fra le primecollaboratrici dellaprofessoressa AnnaCappella, pioniere delladiffusione dei metodi

    naturali in Italia e in varipaesi del mondo. Autrice dicirca cento pubblicazioni,ha ricoperto importantiincarichi presso istituzioniscientifiche italiane einternazionali. Tra queste laConfederazione italiana deicentri di regolazionenaturale della fertilità(CIC-RNF) dove, dal 2008al 2014, è stata presidente,membro del consiglio

    direttivo e presidentecomitato tecnico scientifico;la World OrganizationOvulation Method Billings(WO OMB) di cui èattualmente consulentescientifica ed è stata, dal2003 al 2008, presidentedella sezione italiana.Dal 1987 al 1990 è stataanche membro dellaCommissione europea per ladidattica sui metodi naturalipresso la FederationInternationale d’ActionFamiliare (FIDAF).

    Elena Giacchi

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    e l’insignificanza, da un lato, la stabilità e la crescita personale,dall’a l t ro … ma spesso i giovani non sanno neppure che esiste un’al-ternativa alla sessualità vissuta in una libertà leggera e irresponsabile.

    Dobbiamo imparare a diffondere questa esperienza con il linguag-gio dei giovani, in modo che se ne possa conoscere la bellezza. Inquesto senso questa sollecitazione dell’Humanae vitae è ancora profe-tica.

    Abbiamo però anche riscontri molto positivi in numerosi paesi delmondo (Cina, paesi arabi, India, per citarne alcuni): laddove i meto-di naturali sono correttamente trasmessi e applicati, si diffonde il lorouso. Questo sia in ragione di un’efficacia elevatissima nel controllodelle nascite, sia della facilità di apprendimento del metodo (che nondipende dal livello di istruzione), dell’applicabilità universale e delcosto zero. Gli insegnanti del metodo Billings sono tutti volontari,questo restringe il numero delle persone a cui potrebbe arrivare ilmetodo, ma ne rafforza il valore educativo.

    C’è molta disinformazione rispetto all’efficacia dei metodi naturali, ci può fornire deinumeri a supporto?

    La letteratura scientifica dimostra che il metodo Billings, se usatocorrettamente, ha un’efficacia maggiore o uguale al 98-99 per centonell’evitare il concepimento, paragonabile a quella della pillola anti-concezionale. Per l’altro metodo, il sintotermico, i valori sono pres-sappoco gli stessi.

    Gli insuccessi (circa il 6-9 per cento) non derivano da una debo-lezza del fondamento scientifico, ma da una cattiva pratica.

    I metodi naturali si sono dimostrati uno strumento molto efficaceanche nella gestione e nella risoluzione delle patologie dell’infertilità,sia nell’evidenziare le cause dell’infertilità, sia nell’individuare i com-portamenti più idonei a favorire il concepimento. E si sa che oggiquello della sterilità è un problema grave, e in drammatico aumento.

    Per quanto riguarda l’efficacia del metodo Billings per ottenere ilconcepimento, un nostro studio eseguito su 155 coppie (di cui 117presentava fattori di rischio) ha dimostrato il 95 per cento di efficaciaper coppie senza fattori di rischio, e il 63 per coppie con fattori di ri-schio, anche in presenza di patologie.

    Mi piace dire in conclusione che questo è un metodo con le istru-zioni dell’uso, e le istruzioni per l’uso sono lo stile di vita, indispen-sabili per riconoscere la ricchezza dell’amore totale e fecondo di cuiparla l’Humanae vitae.

    PERCHÉ PAOLO VI NON È S TAT O CAPITO

    Un testoridotto al silenzio

    di MONIQUE BAU J A R D

    Se c’è un testo che non è stato compreso, è proprio l’enciclica Huma-nae vitae, pubblicata da Papa Paolo VI nel luglio del 1968. Proibendoil ricorso a metodi di contraccezione artificiale, questo testo ha se-gnato una frattura nella Chiesa cattolica e ha contribuito all’emorra-gia dei fedeli. Oggi è impossibile parlare della Humanae vitae nellasocietà in quanto in cinquant’anni la contraccezione è diventata unaconsuetudine. L’enciclica è sconosciuta al grande pubblico e, perquelli e quelle che ancora se ne ricordano, la posizione della Chiesacattolica è ampiamente superata dai fatti. Le statistiche sono inequi-vocabili: in Francia più del 97 per cento delle donne in età fertile faricorso alla contraccezione e i metodi naturali rappresentano una per-centuale minima. L’età media del primo rapporto sessuale è 17 anni,le donne hanno il primo figlio verso i 28 anni, mentre il matrimoniointerviene solo dopo i 30. Nel 2017, circa il 60 per cento dei bambiniè nato al di fuori del matrimonio. Si è dunque creato un fossato trala vita delle persone e il discorso della Chiesa. Ma è altrettanto im-possibile parlare della Humanae vitae nella Chiesa. Appena il temaviene menzionato, le correnti più conservatrici gridano allo scandalo

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    come «è proibito proibire». Paolo VI non è l’unico della sua genera-zione a non aver compreso quel cambiamento d’epoca. Anche il ge-nerale de Gaulle non è riuscito a capire quegli eventi. Se l’enciclicaavesse assunto la forma di un semplice monito, affidando la respon-sabilità ultima alla coscienza illuminata dei coniugi (cfr. Gaudium etspes, n. 50), avrebbe potuto continuare ad alimentare le conversazionie i dibattiti. La proibizione ha reso ogni discussione impossibile, su-perflua. Si trattava di prendere o lasciare, e allora molti hanno prefe-rito lasciare sia l’enciclica che la Chiesa. Oggi la Chiesa ammette didover formare le coscienze e non di doversi sostituire loro (cfr. Am o r i slaetitiae, n. 37). È un primo passo, necessario ma non sufficiente, perfarsi udire dall’altra parte del fossato!

    Humanae vitae ci descrive un matrimonio virtuale: non ci sono fi-gli malati, né difficoltà economiche e neppure stress legato al lavoroo alla mancanza di lavoro. C’è solo una coppia che si ama tenera-mente. È un testo non radicato nella realtà, dove la vita è assente e,soprattutto, dove le donne sono assenti. Dov’è il peso delle maternitàa ripetizione e della dipendenza dagli uomini che hanno dovuto sop-portare le nostre madri e le nostre nonne? Dov’è il prezzo pagato datante donne che un giorno hanno osato amare un uomo al di fuoridel matrimonio? Da sempre le donne hanno pagato a caro prezzo,molto più degli uomini, ogni minima devianza dalle convenzioni so-ciali. Il bellissimo film di Stephen Frears del 2013, Philomena, mostrafino a che punto la Chiesa ha condannato, punito e stigmatizzatoquelle donne. Nell’inconscio collettivo delle donne, la paura e la ver-gogna sono restate vive per lungo tempo. Non meraviglia quindi chenel 1968 abbiano visto nella pillola una liberazione e anche un mezzoper riequilibrare i rapporti uomo/donna. Paolo VI non ha percepitoquesta aspirazione delle donne a una maggiore uguaglianza. Non hacompreso neppure le loro paure e le loro angosce. Paolo VI menzionala donna solo per auspicare che l’uomo la rispetti come una compa-gna amata. La sua benevolenza è innegabile, ma non prende in con-siderazione l’esperienza femminile. Da qui la spiacevole impressionedi un testo scritto da uomini per uomini che intendono regolare lavita intima delle donne. Impressione rafforzata dal fatto che la virtùdella continenza è semplicemente trasposta dal celibato al matrimo-nio, ignorando la complessità di una relazione dove due persone, conla propria storia personale, non sempre si uniscono spontaneamente.Va reso omaggio allo sforzo di Amoris laetitia d’inserire la realtà dellefamiglie e della sessualità nel discorso della Chiesa. La questione del-la contraccezione non vi viene trattata; e la Chiesa non può parlarnesenza tener conto del punto di vista femminile.

    e all’abbandono della dottrina. I teologi non hanno quindi alcunavoglia d’intraprendere un lavoro di aggiornamento che li esporrà adure critiche all’interno della Chiesa e non interesserà la società.

    L’Humanae vitae è così ridotta al silenzio. Ma questa enciclica dav-vero non ha più nulla da dirci? Al di là del divieto formulato, PaoloVI esprime la sua preoccupazione per il rischio di disumanizzare irapporti uomo/donna, di vedere la donna ridotta a un oggetto, a unmero strumento di piacere. Tale rischio è sempre attuale, come testi-monia il recente movimento #MeToo. Perché quel messaggio di Pao-lo VI non è stato capito? E come lo si può rendere attuale oggi? LaChiesa può ancora riannodare il dialogo con la società? Amoris laeti-

    tia ha avviato questo processo. Un’analisi dei limitidell’Humanae vitae può consentire di proseguirlo.

    L’Humanae vitae ci mostra un Papa preoccu-pato. Paolo VI anticipa il rischio che amore,

    sessualità e procreazione vengano dissocia-ti, e ha ragione. Allora vieta il ricorso ai

    metodi di contraccezione artificiale, co-me un padre proibirebbe a un figlio di

    giocare con una scatola di fiammiferi.Una proibizione che viene fatta con

    le migliori intenzioni, per evitareche il bambino si faccia male.

    Papa Paolo VI non sembra averprevisto che i fedeli possano di-

    venire adulti nella fede. È in-nanzitutto questo atteggia-

    mento paternalistico aessere rifiutato in una

    fase di cambiamentosociale in cui so-no fioriti slogan

    Dina Bellotti«Paolo VI»

    A pagina 13Franco Gentilini

    «I fidanzati nel giardino»(1975)

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    La Pro ecclesiaa suor NiclaSp ezzatiSuor Nicla Spezzatiha ricevuto la crocePro ecclesia etp ontifice,onorificenza dellaSanta Sede conferitaa laici (uomini edonne) edecclesiastici che sidistinguono per illoro servizio allaChiesa e alla personadel Pontefice. Nata aSan Severo (Foggia),suor Nicla fa partedelle Adoratrici delsangue di Cristo.Laureata in scienzedella comunicazionee in lettere, con undottorato in analisidei fenomenireligiosi nelle culturedella comunicazionemediatica, Spezzati èstata chiamata ainsegnare in diverseuniversità. Nominatanel dicembre 2011sottosegretario dellaCongregazione pergli istituti di vitaconsacrata e lesocietà di vitaap ostolica,quest’anno è stata

    DAL MOND O

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    Oggi i timori di Paolo VI si sono concretizzati. Amore, sessualità eprocreazione sono completamente dissociati al punto che a molti gio-vani sfugge il significato del matrimonio. Prima di qualsiasi questio-ne riguardante la contraccezione, la Chiesa ha davanti a sé la sfida dipresentare il matrimonio cristiano come un’autentica via di umaniz-zazione e una fonte di gioia profonda. Le aspirazioni delle donne sisono in parte realizzate. Il controllo della fecondità, unito al lavororetribuito, ha definitivamente cambiato l’equilibrio tra uomini e don-ne. Eppure l’uguaglianza uomo/donna non è un fatto acquisitoovunque e si pongono altre questioni. Le giovani di oggi non pensa-no di vivere le angosce delle generazioni passate, ma si rifiutano diportare da sole il peso della contraccezione e, per motivi ecologici,sono sempre più reticenti di fronte ai trattamenti ormonali. In Fran-cia, la contraccezione è un tema affrontato non nella coppia ma tra ladonna e il suo medico. Gli uomini si sono lasciati deresponsabilizza-re. Affidando esplicitamente la scelta dei metodi di contraccezione al-la coppia, la Chiesa potrebbe aiutare i coniugi a riannodare il dialo-go su questo tema e coinvolgere così anche gli uomini. A tal fine oc-corre però che essa ammetta che, anche se i prodotti della tecnicanon sono neutri (cfr. Laudato si’, n. 107), offrono sempre l’o ccasionedi un discernimento in coscienza per determinare il loro uso corretto.

    Le giovani oggi aspirano anche a un’uguaglianza più concreta trauomini e donne. Rifiutano gli atteggiamenti maschilisti e i soffitti dicristallo che ostacolano ancora troppo spesso il loro futuro professio-nale. Il movimento #MeToo mostra che il sesso, il potere e il denarosono sempre correlati. Una realtà che la Chiesa passa troppo spessosotto silenzio, il che rende il suo discorso inoperante. Tanto più cheall’interno le resta un margine di progresso importante. La Chiesa sidice madre, ma riserva a uomini il compito d’incarnare la sua mater-nità! La parola delle donne non ha lo stesso peso nella Chiesa diquella degli uomini, poiché solo la parola del clero, e dunque degliuomini, impegna l’istituzione. Una situazione che potrebbe riequili-brarsi nella Chiesa sinodale che Papa Francesco auspica vivamente,ma per la quale i vescovi mostrano poco entusiasmo…

    Il rischio della disumanizzazione dei rapporti uomo/donna esisteràsempre. Sta ai cristiani mostrare che l’alleanza è possibile e che laguerra dei sessi non è ineludibile. La Chiesa può attualizzare lapreoccupazione di Papa Paolo VI dando spazio alla coscienza e allaresponsabilità delle persone ed elaborando una parola realistica, an-corata nella vita. Al prezzo di un atteggiamento autocritico, potrà al-lora scavalcare il fossato e riannodare il dialogo con la società.

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    po i fatti del maggio 1968, che, tra le altre cose, scatenarono la rivo-luzione sessuale. A quel tempo esisteva una forte pressione da partedi alcuni mass media e gli esperti divulgavano predizioni demografi-che pessimistiche e allarmistiche che la realtà ha poi smentito. Perciòfenomeni come la rivoluzione sessuale, il femminismo radicale, ilpensiero materialista e la mentalità del controllo della natalità, diffusiin vari paesi, rappresentavano una seria sfida per i credenti che siunivano al dibattito sull’invenzione della pillola anticoncezionale esui diversi metodi anticoncezionali artificiali.

    È evidente che la delicatezza del problema e la complessitàdel contesto portarono Paolo VI, mentre il concilio era ancora in cor-so, a occuparsi personalmente dello studio e della risoluzione dellaquestione. In quel contesto Papa Montini, dopo una lunga riflessio-ne, riaffermò la visione cristiana della sessualità, in cui il Creatore haunito due dimensioni di significato e di valore, che l’enciclica chiama«significato unitivo» e «significato procreativo». Questa connessionenon si può disarticolare senza che ne risentano entrambe le dimen-sioni, e non solo quella che si desidera escludere. Mentre nei paesiricchi transatlantici, e soprattutto negli Stati Uniti, si discuteva e sicriticava la Chiesa, l’America latina non partecipava attivamente aldibattito, sebbene la ricezione dell’enciclica fosse stata comunquebuona. L’anno di pubblicazione dell’enciclica è lo stesso della confe-renza di Medellín, con la prima sessione a luglio e la seconda adagosto-settembre. Perciò i vescovi dell’America latina prestarono par-ticolare attenzione alla questione demografica del continente. Poserochiaramente l’enfasi sull’interpretazione socio-demografica, ma inclu-sero anche una dimensione pastorale che teneva conto delle reazioniecclesiali più attente alle coppie concrete, con accenti in completasintonia con le future tre parole chiavi di Francesco in Amoris laetitia,«accogliere, accompagnare, discernere».

    L’America latina offre in una prima visione d’insieme, un panora-ma apparentemente uniforme, con un denominatore comune: è unaregione che s’identifica come società cristiana, con una cultura di ba-se latina e una prevalenza di popolazione ispanofona. Esiste una sto-ria comune, apparentemente simile: la colonizzazione avvenuta in

    di MARÍA LUISA ASPE ARMELLA

    Alla fine di luglio del 1968 la Chiesa cattolica intervenne in modo de-cisivo nel dibattito internazionale con la pubblicazione dell’enciclicaHumanae vitae. Il documento papale ammetteva il metodo di pro-creazione responsabile e denunciava gli interventi che si realizzavanoin nome dell’«esplosione demografica», mettendo ben in chiaro cheil problema del sottosviluppo mondiale, e soprattutto di quello lati-noamericano, non era il tasso di natalità ma la distribuzione della ric-chezza. L’enciclica Humanae vitae fu preceduta da cinque anni di at-tenta analisi da parte del Papa, con ogni sorta di domanda posta econnessa alla regolazione della natalità. Parte di questa analisi fu affi-data a un gruppo di studio formato da ecclesiastici ed esperti, comu-nemente noto come Commissione papale sul controllo della natalità.

    Quel gruppo di studio, formalmente chiamato Commissione pon-tificia per lo studio della popolazione, della famiglia e della natalità,fu costituito da Papa Giovanni XXIII il 27 aprile 1963, sei mesi dopol’inizio del concilio Vaticano II. Contrariamente a un’opinione moltodiffusa, il suo proposito non era di riformulare la dottrina della Chie-sa rispetto alla contraccezione, bensì di aiutare la Santa Sede nella

    eletta provincialedella suacongregazione. Faparte del comitato diredazione di «donnechiesa mondo».

    Suor Burnse l’Humanae vitaeSi intitola «Comel’Humanae vitae haaiutato una suora atrovare la sua vocefemminista»l’articolo che suorHelena Burns hascritto su «America»,la rivistastatunitense. «Dagiovane donna,rigettavocompletamente lamaggior parte degliinsegnamenti dellaChiesa e pensavo diabbandonarla.Ritenevo che fosseun’istituzionedraconiana cheopprimeva le donne,che le volesse scalzee incinte, sedute ezitte. E credevo chefosse invece lacultura secolarizzataa dare alle donnedignità e diritti. Malentamente, ho datoalla Chiesa cattolicauna secondapossibilità. Hoiniziato a leggere,studiare e ascoltareintelligenti donnecattoliche che hannotrovato la liberazionenegli insegnamentidella Chiesa. E ho

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    L’ENCICLICA IN AMERICA L AT I N A

    Riflettere da un altropunto di vista

    preparazione della pros-sima conferenza patroci-nata dalle Nazioni Unitee dall’O rganizzazionemondiale della sanità.Paolo VI pubblicò la Hu-manae vitae due mesi do-

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    gran parte per opera dei popoli iberici, dalla fine del XV secolo finoagli inizi del XIX . Ma, dietro questa uniformità storica, si nascondeuna diversità stridente, difficile da compattare, generatrice di dinami-che differenti.

    In pieno post-concilio, e con una Chiesa latinoamericana in cam-mino, la promulgazione dell’enciclica, il 25 luglio 1968, fu uno deglieventi decisivi del pontificato di Paolo VI, anche nel nostro continen-te. E ciò perché in quegli anni in America latina si viveva l’efferve-scenza sociale della religiosità: l’enciclica Populorum progressio (1967) el’incontro episcopale di Medellín, in Colombia, nell’agosto del 1968,di fatto eclissarono un confronto profondo sulla Humanae vitae.

    Mentre dall’altro lato dell’Atlantico l’indifferenza e l’ateismo furo-no le preoccupazioni centrali della riflessione, in America latina lapresenza di un popolo credente e povero richiedeva una risposta im-mediata da parte della Chiesa e della teologia ai suoi problemi.

    La teologia europea nacque segnata in modo profondo dal dialogocon gli intellettuali; quella latinoamericana invece ebbe un caratteremolto più sociale, con una evidente preoccupazione per le questionisociali. La conferenza di Medellín fu la prima occasione in cui i ve-scovi dell’America latina fecero loro il messaggio del concilio Vatica-no II con la decisa responsabilità di metterlo in pratica nelle loroChiese e nelle loro comunità. La fedele ricezione del concilio Vatica-no II da parte dei pastori, dei vescovi e del gruppo dirigente del Ce-la, il Consiglio episcopale latinoamericano in quegli anni post-conci-liari segnò la maturità della Chiesa latinoamericana e la forza spiri-tuale, pastorale e sociale che l’avrebbe caratterizzata nell’immediatof u t u ro .

    Il contributo del Celam fu cruciale, grazie a un lavoro collegiale,con uno sguardo posto al di là della Chiesa locale e particolare. Laseconda fase della conferenza generale dei vescovi dell’America latinamise chiaramente in luce la sua finalità già nel titolo, «La Chiesanell’attuale trasformazione dell’America latina alla luce del concilio»,con cui quella Chiesa, tanto dipendente dall’Europa, trovò gradual-mente un’identità propria e un apporto da offrire alla Chiesa univer-sale. La costante preoccupazione per la presenza della Chiesa nelmondo mise in evidenza le gravi disuguaglianze sociali: la realtà e loscandalo dei poveri in America latina. L’opzione preferenziale per ipoveri fu allora eretta a necessità sociale, a priorità evangelica e con-ciliare, e divenne il segno più convincente di una Chiesa, di un po-polo e di una cultura aperti a Dio.

    Frida Kahlo«L’amoroso abbracciodell’universo» (1949)

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    paradossale, perché avevo scelto questa forma di contraccezione pro-prio per avere un migliore controllo della mia vita... E invece prova-vo l’opposto: mi sentivo tagliata fuori da me stessa, dalle mie sensa-zioni, e, in un certo modo, tagliata fuori dal mondo». Laure precisache quella decisione non era dovuta a un qualche motivo religioso,ma piuttosto a una sensazione di non coerenza con il suo stile di vitae con una certa concezione del rispetto del suo organismo.

    «Mangio bio, privilegio gli alimenti delle filiere corte, l’agricolturadi prossimità, uso solo detergenti naturali, evito tutto ciò che è chi-mico nei miei prodotti di bellezza, assumo medicine solo quando stodavvero male. Così sono passata ai metodi naturali di osservazionedel ciclo e da allora ho la sensazione di aver ritrovato un’armoniacon l’ambiente che mi circonda».

    A lungo etichettati come “cattolici”, i metodi naturali di osserva-zione del ciclo seducono sempre più negli ambienti ecologisti, comela madre di famiglia americana (che ha poi scelto di sottoporsi allasterilizzazione) o, più semplicemente, le persone che, come Laure,hanno una coscienza ambientalista più acuta. «Nel mio studio — af-ferma Pauline de Germay, consulente di metodi naturali residente aParigi — ricevo sempre più donne e coppie che vorrebbero passare aimetodi naturali perché rifiutano tutto ciò che è chimico. Di recenteuna signora mi ha parlato di sua figlia vegana che si è messa con unragazzo e si è ritrovata di fronte a un caso di coscienza ecologica!Nella società un numero crescente di persone pensa che la contracce-zione chimica blocchi i processi, che le donne provino meno deside-rio quando assumono la pillola. In generale, il risveglio della coscien-za ambientalista fa sì che le persone facciano più attenzione a ciò cheingeriscono e che i metodi naturali appaiano loro come una straordi-naria porta d’accesso per ritrovare la loro natura profonda».

    In Francia la crisi della pillola del 2012-2013 è stata dovuta proprioa questo. Alla fine di dicembre 2012 una giovane che utilizzava unapillola di terza generazione ha sporto denuncia contro un laboratoriofarmaceutico dopo aver subito un ictus che l’ha resa disabile, susci-tando un forte dibattito sui rischi di trombosi venosa legati all’usodelle pillole di terza e quarta generazione. Rischi stimati dall’Agenzianazionale per la sicurezza dei prodotti sanitari in 2 su 10.000 per ledonne che non assumono contraccettivi orali, da 5 a 7 su 10.000 perquelle che assumono una pillola di seconda generazione, e da 9 a 12su 10.000 per quelle che assumono pillole di terza generazione. Ilministero della salute aveva allora deciso di non rimborsare più lapillola di terza e quarta generazione. La vastissima mediatizzazionedel caso del 2012 aveva portato in Francia ad altre 130 denunce per

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    cominciato così arendermi conto chein realtà lacontraccezionefemminilesopprimeva lafemminilità, come sele donne fossero natemale e dovessero“a g g i u s t a re ” i lorocorpi per renderlicome quelli degliuomini. Decisi alloradi riconsiderareseriamentel’Humanae vitae.Forse le sueprescrizioni nonerano poi cosìinverosimili. Qualialternative offrivaalla pillolaper distanziarele nascite? Larisposta – quelladella naturalepianificazionefamiliare – re n d el’uomo attento alciclo della donna.Durante i giornifertili femminili siosserva un periododi astinenza. Madrenatura ha cicli: non èsempre primavera edestate, ci sono ancheautunno e inverno.La Chiesa madre hacicli: non è sempreNatale e Pasqua – cisono l’Avvento e laQuaresima. Ledonne hanno cicli,non siamo sempredisponibili. Dire ilcontrario è lamenzogna del porno,della prostituzione,

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    La crisi della pillolaè femminista

    di MARIE-LUCILE KUBACKI

    Quando una donna americana, oggi madre di famiglia e militante eco-logista, ha discusso per la prima volta con suo marito su come imma-ginavano la loro futura famiglia, ha constatato che erano sulla stessalunghezza d’onda riguardo al numero di figli che speravano di avere.Ma non sui metodi di regolazione delle nascite. «Il metodo più co-mune tra le giovani era la contraccezione orale, e lo è ancora oggi. Oaltri contraccettivi ormonali chimici come la spirale, le iniezioni, ipatch e gli anelli vaginali», racconta nel suo blog. «Mio marito pen-sava che quei metodi non sarebbero stati un problema per me, ma sisbagliava di grosso. Ancora non cercavo di condurre una vita natura-

    le o ecologista, ma sapevo al cento per cento che non avrei assun-to ormoni né contraccettivi chimici. Non avrei introdotto

    quelle cose nel mio sistema e trattato il mio corpo inquel modo».

    La sua non è una testimonianza isolata. «Un po’ di tempo faho deciso d’interrompere la pillola perché la regolazione chimica

    dei miei cicli mi dava la sensazione di perdere il controllo del miocorpo» afferma Laure, una giovane francese attivista di 35 anni. «È

    UN CASO DI COSCIENZA ECOLO GICA

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    XXI secolo concludere i nostri studi medici senza conoscere gli aspettifunzionali della fisiologia del ciclo? Senza conoscere esattamente ibenefici per la salute della donna apportati dagli ormoni prodotti inmodo naturale durante il ciclo fisiologico?» si sono chiesti. A loroparere, la questione della formazione è cruciale per poter risponderealla recrudescenza di domande: «Queste domande nascono da unavolontà di conoscenza e di apprezzamento della femminilità (e nonda un antifemminismo o dall’oscurantismo, e neppure da una sempli-ce “paura degli ormoni di sintesi”), sono molto più di tutto ciò».

    In effetti ciò a cui si sta assistendo è a un movimento di “r i a p p ro -priazione” del corpo. «Le donne vogliono riprendere possesso del lo-ro corpo ed essere autonome in questa gestione» osservano gli autoridell’articolo. «È ciò che chiamano empowerment. Ce lo dicono duran-te le visite, quando c’è uno spazio di dialogo». In questo movimentodi riappropriazione del corpo si manifesta anche il desiderio di unaresponsabilità realmente condivisa in materia di sessualità e di fertili-tà, ambiti la cui gestione troppo stesso ricade sulle sole spalle delledonne. «Dopo una fase di applicazione sempre un po’ complessa,soprattutto nel post-pillola, le coppie costatano che ciò crea o rinno-va il dialogo perché questi metodi comportano un ascolto e un’atten-zione particolari. Le donne percepiscono delle variazioni nel loro de-siderio, che muta a seconda del momento del ciclo. Gli uominiall’ascolto vedono queste variazioni, il che li coinvolge maggiormen-te» afferma Pauline de Germay.

    Quante sono giunte ai metodi naturali per motivi ecologici vivonospesso un momento di riscoperta di sé stesse in quanto l’osservazionedel ciclo è un processo impegnativo, a cui occorre dedicare più tem-po per formarsi e osservarsi. È un cambiamento di paradigma permolte di quelle donne che si sono viste prescrivere la pillola de factofin dall’inizio della loro vita intima, verso la fine dell’adolescenza,senza una vera proposta alternativa o un dialogo con il ginecologo, espesso senza conoscere il loro stesso ciclo. Un cammino di conoscen-za di sé, con difficoltà, fasi di scoraggiamento, ma anche con scoper-te su sé stesse. Criticati spesso in quanto retrogradi, anche da tuttaun’altra parte degli ambiti ecologisti dove non hanno soltanto adepti,i metodi naturali si accompagnano oggi a una presa di coscienza ditipo femminista, che la giovane autrice del blog Ciclo naturale espri-me così: avendo la conoscenza del corpo femminile e dei meccanisminaturali di riproduzione compiuto progressi straordinari negli ultimicinquant’anni, «è impossibile chiamare ancora “d i n o s a u ro ” ciò che èdiventato una gazzella».

    «lesione colposa all’integrità della persona», che riguardavano unatrentina di marche di pillole di terza e quarta generazione, otto labo-

    ratori e l’Agenzia nazionale per la sicurezza dei prodotti sani-tari (Ansm). L’inchiesta è stata chiusa nel giugno 2017 ma

    l’impatto è stato profondo.

    Secondo un’inchiesta pubblicata nel 2014 dall’Istitutonazionale degli studi demografici (Ined), intitolata Lacrisi della pillola in Francia: verso un nuovo modello con-t ra c c e t t i v o ? , circa una donna su cinque ha dichiarato diaver cambiato metodo dopo quanto accaduto nel 2012-2013. Così il ricorso alla pillola è passato dal 50 al 41 percento tra il 2010 e il 2013. Poi ha continuato a diminuire.«Il calo del ricorso alla pillola osservato nelle donne dai15 ai 49 anni nel 2013, in seguito alla “crisi della pillola” èproseguito nel 2016, con una diminuzione significativa di3,1 punti tra il 2013 e il 2016», si legge in un altro rappor-to. Una diminuzione che si è andata ad aggiungere a

    quella di 5 punti osservata a metà degli anni 2000 e nel2010. Il fenomeno riguarda le donne di ogni età ma è parti-

    colarmente marcato tra le più giovani, soprattutto tra quelleal di sotto dei trent’anni. Così i metodi naturali, sebbene an-

    cora marginali nell’insieme della popolazione (vi fa ricorso unp o’ meno di una persona su 10 in Francia), beneficiano di que-

    sta crisi di fiducia verso la pillola, al pari del preservativo e della spi-rale, il cui uso sta aumentando.

    Quanti pensano ancora al metodo Ogino-Knaus e al suo 25 percento di gravidanze non pianificate annuali, rischiano di rimaneresorpresi. Nel XX secolo la contraccezione ha posto fine alla fertilitàincontrollabile (perché ancora sconosciuta) delle donne; largo ora alXXI secolo, in cui i metodi di osservazione del ciclo hanno posto fineall’iper-medicalizzazione (perché diventata inutile) del loro corpo!«Che cosa? Femminista? Io?» scrive una trentenne francese sul suoblog Ciclo naturale. Segno di questo rinnovamento, a inizio anno, ungruppo (non confessionale) di un centinaio di operatori sanitari, in-clusi ginecologi-ostetrici e levatrici, ha pubblicato una tribuna apertaesortando a una migliore formazione degli operatori sanitari sul te-ma. Ha invitato, in particolare, a non confondere i metodi di osser-vazione del ciclo con altre pratiche cosiddette naturali, la cui affida-bilità è insufficiente: coito interrotto, previsione della data dell’ovula-zione con il “calcolo”, applicazioni per smartphone o metodo dellatemperatura basale. Ha inoltre chiesto che durante gli studi universi-tari sia dedicato più tempo alla fisiologia del ciclo affinché gli opera-tori sanitari siano meglio formati sul tema: «È ancora normale nel

    del dominiomaschile, e significacomprendere male leScritture». E suorBurns conclude:«Avevo una visioneridotta di me stessa,del mio corpo e dellamia anima, quandocredevo nellacontraccezione».

    Una donnapresidente FiucLa portoghese IsabelMaria de OliveiraCapeloa Gil è lanuova presidentedella Federazioneinternazionale delleuniversità cattoliche(Fiuc), prima donnaa ricoprire l’incarico.Rettore dell’ateneocattolico delPortogallo, CapeloaGil è specialista dil e t t e r a t u recomparate. Nel suodiscorso dopol'elezione avvenuta inIrlanda presso ilSaint Patrick’sCollege diMaynooth, lapresidente haassicurato che«lavorerà per rendereil potere dei pochi laforza dei molti».

    Il premio Bressona Liliana CavaniÈ la regista italianaLiliana Cavani lavincitrice del PremioRobert Bresson 2018,

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    Giovanni Segantini«Madre che lava

    il bambino» (1886-1887per gentile concessione

    del MuseoAlto Garda, Galleria

    Giovanni Segantini, Arco)

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    NEL ROMANZO «È C R O L L AT O IL BRITISH MUSEUM»

    Uno sguardo ironicosul “periodo sicuro”

    di ELENA BUIA RUTT

    Èil 1965. Adam Appleby, giovane studioso venticinquenne alle prese

    con la tesi di dottorato, nonché padre di tre figli (Clare, Dominic eEdward) è terrorizzato dalla probabilità che sua moglie, Barbara, siadi nuovo incinta: la famiglia abita in povertà in uno squallido appar-tamento, in cima a un vecchio edificio traballante di Londra. Fedeliai dettami della Chiesa in materia di morale sessuale e controllo dellenascite, i due sposi cattolici vivono la loro vita intima di coppia inun’ossessione furtiva, ingombra di calendari, termometri e sensi dicolpa: «Si erano imbarcati nel matrimonio con nozioni molto vaghesul “periodo sicuro” e con una speranza fiduciosa nella provvidenza,che ora Adam trovava difficile accettare». Se Barbara annota quoti-dianamente le temperature dei suoi due termometri su una piccola«agendina cattolica», Adam segue con interesse la relazione intercor-rente tra l’anno liturgico e il grafico delle variazioni di temperaturadella moglie, ritrovandosi a essere «particolarmente devoto a queisanti le cui festività cadono nel così detto “periodo sicuro”, provandoinvece un certo turbamento quando tra i nomi trova qualche verginem a r t i re » .Wilfredo Lam, «Maternità verde» (1942)

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    gi in cui vengono imitati sia i motivi che gli stili di scrittura usati davari autori inglesi (William Golding, Virgina Woolf, D. H. Lawrence,Ernest Hemingway): se nel quinto capitolo, ad esempio, Adam fanta-stica di essere il papa, prendendo spunto dal romanzo Adriano VII diFrederick Rolfe, nello stile di Graham Greene, invece, sono narrati iltema del tradimento, la coscienza della colpa, la teologia.

    La parodia più toccante si ritrova nell’epilogo, dove i problemi co-niugali di Adam Appleby sono contemplati da un’altra prospettiva,quella femminile di Barbara che, da semplice oggetto dei pensieri edelle percezioni del marito, diviene coscienza soggettiva della narra-zione, esponendo finalmente il proprio punto di vista. Il suo mono-logo interiore è una chiara allusione all’Ulisse di James Joyce e richia-ma il flusso di coscienza di Molly Bloom, anch’ella moglie dapprimamessa in ombra, ma destinata a recuperare la propria voce nel finaledel romanzo. E con la meditazione di Barbara sui paradossi dellasessualità, sulla storia del corteggiamento di Adam e del loro matri-monio, sembra ricomporsi l’ansia che ha improntato la narrazione fi-no a quel punto, in nome di una saggezza che con semplicità si affi-da allo scorrere dei giorni.

    Il romanzo descrive un’ansiosa giornata del giovane ricercatoreche, in balia di tormenti morali e contrattempi pratici, è incapace diricavarsi un momento di pace per le sue ricerche nella sala di letturadel British Museum; piuttosto che lavorare alla sua tesi, intitolata so-lennemente La struttura delle lunghe frasi in tre moderni romanzi inglesi,continua infatti a essere distratto da problemi ben più prosaici, comeil capire se, attraverso innumerevoli chiamate con i vecchi telefoni agettone, sua moglie sia incinta per la quarta volta. Lodge restituiscein stile tragicomico l’immagine di una coppia che si tortura con me-todi naturali complessi e farraginosi: «Clare era nata nove mesi dopole nozze. Barbara aveva allora consultato un dottore cattolico che leaveva insegnato una semplice formula matematica per calcolare il pe-riodo non fertile. Così semplice che Dominic era nato un anno do-po». Adam e Barbara, pur sforzandosi di vivere secondo i principicattolici sull’argomento, guardano con ammirazione — e con una sor-ta di invidia — i nuovi progressi scientifici nel campo della contracce-zione. La loro vita sessuale è logorante e anche quando Adam siedealla scrivania del British Museum, la sua mente è angosciosamenteassorbita anziché dalla tesi di dottorato, dai complicati grafici e cal-coli che ripercorrono le variazioni della temperatura basale di Barba-ra, come pure dall’ansia di dover mantenere una famiglia in procintodi allargarsi.

    Nella prefazione, David Lodge, scrittore cattolico e professore uni-versitario di letteratura inglese, rivela apertamente la motivazione e leidee che hanno ispirato il romanzo, dove le questioni morali, che lamaggior parte dei cattolici sposati si ritrova a ponderare all’inizio de-gli anni sessanta, vengono affrontate in toni comici, ma mai beffardie derisori. Il tema dominante è quello della dottrina della Chiesa sulcontrollo delle nascite (che nel caso di Adam e Barbara è un “nonc o n t ro l l o ”), un problema reso pressante dall’arrivo della pillola neglianni precedenti il concilio Vaticano II. Andando al British Museum,in un articolo di giornale, Adam è lieto di constatare come, durante ilavori del concilio, «il cardinale Suenens abbia richiesto una revisio-ne radicale dei dettami della Chiesa riguardante il controllo delle na-scite. Il cardinale Ottaviani ha ribattuto asserendo che le coppie cat-toliche devono confidare nella divina provvidenza. Su nessuna altraquestione, riferisce il corrispondente del giornale, le posizioni, alconcilio, dei liberali e dei conservatori sono definite con altrettantac h i a re z z a » .

    È crollato il British Museum è una sorta di romanzo sperimentale,che mescola diversi registri stilistici, passando dalla forma epistolare,a quella diaristica, da quella colloquiale a quella della riflessione me-tafisica. David Lodge fa ampio uso del pastiche, incorporando passag-

    Marc Chagall«La maternitàe il centauro» (1957)

    consegnato inoccasione dellaMostrainternazionaled’artecinematograficadi Venezia. Istituitonel 1999, il premioviene assegnato ognianno al regista cheabbia datotestimonianza con ilsuo lavoro deldifficile percorso diricerca del significatospiritualedell’esistenza.Patrocinato dalDicastero per lacomunicazione dellaSanta Sede e dalPontificio consigliodella cultura, per laprima volta vieneassegnato a unadonna. Della ricca evaria produzionedella Cavani,ricordiamo dueopere, poco note. Losplendido Gesù miofratello, vita espiritualità di Charlesde Foucauld e deipiccoli fratelli di Gesù(1964) e il piùrecente Clarisse(2012), che ha perprotagoniste le suoredel monastero diSanta Chiara diUrbino. Pacate,ironiche, agguerrite,colte e disubbedienti,un po’ come laChiara che Cavaniha scritto per«donne chiesamondo» (settembre2013).

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    DONNE DI VA L O R E

    di SI LV I N A PÉREZ

    La scrittrice argentina SilvinaOcampo è una delle figuretalentuose e originali dellaletteratura in lingua spa-gnola. Di famiglia aristo-cratica, autrice e precorritri-ce di diversi generi lettera-ri, attorno a lei sono stati

    creati miti che riguardano non solo la sua ope-ra, rivalutata con entusiasmo negli ultimi anni,ma anche la sua vita privata: il rapporto parti-colare che aveva con suo marito, Adolfo BioyCasares, la sua amicizia con Jorge Luis Borges,che cenava ogni sera a casa sua, e le sue scon-volgenti premonizioni.

    Silvina Ocampo era la più piccola di sei so-relle, tra le quali spiccava soprattutto Victoria,la fondatrice della mitica rivista «Sur». Comeera tradizione in ogni buona famiglia dell’ep o-ca, Silvina fu educata da istitutrici che prima leinsegnarono a parlare in francese e poi in ingle-se. Per lei lo spagnolo non era la lingua degliaffetti, dell’infanzia, della cultura. I racconti diSilvina presentano in generale due schieramenti,separando i forti dai deboli e i dominanti daidominati. In essi, nello scenario privilegiato diuna casa patriarcale, dove è ambientata granparte delle storie, i bambini si schierano con idomestici e i poveri. Come ripeteva spesso, sisentiva attratta dalla libertà di «quanti stanno in

    Silvina Ocampo

    Silvina Ocampo con Jorge Luis Borges e Manuel Peyrou

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    basso», dallo stile di vita meno condizionatodalle convenzioni e, a suo parere, più spontaneoe autentico del personale subalterno rispetto aquello dei suoi familiari adulti. Fin da bambinaSilvina studiò pittura e praticò disegno a Parigicon Giorgio de Chirico. Grazie a Borges, nel1933 conobbe un giovane incontenibile, noveanni più giovane di lei, che poco tempo dopoavrebbe pubblicato quello che è considerato ilmigliore romanzo argentino di tutti i tempi,L’invenzione di Morel. Era Adolfo Bioy Casares,con cui Silvina si sarebbe sposata nel freddo in-verno del 1940.

    La rivista «Sur» riunì per anni un gruppo diamici intimi e scrittori di grande talento, se-gnando un’intera epoca in Argentina e nella let-teratura in lingua spagnola. In essa si distingue-vano soprattutto suo marito, Adolfo Bioy Casa-res, il suo grande amico Jorge Luis Borges, esua sorella Victoria, direttrice della rivista. An-che per questo Silvina passò inosservata nel pa-norama letterario argentino, vivendo sempreall’ombra di queste tre grandi figure, relegata alruolo di scrittrice consorte, di sorella fedele e diamica incondizionata. Quando nel 1937 pubbli-cò il suo primo libro di racconti, Viaje olvidado,l’onnipotente Victoria non poté non cedere allatentazione di recensirlo sulla rivista «Sur». Vo-leva essere compiacente e invece fu lamentosa,voleva dimostrare che affrontava il rischio dellaparentela evitando gli elogi, e invece fu ingiustae prepotente, esigendo dalla sorella una prosache si adattasse all’ideale estetico del gruppo.Criticò il suo lavoro innovativo sul linguaggio,il suo stile impacciato, sostenendo che per «infi-schiarsene della grammatica» bisognava domi-nare prima le forme convenzionali. Silvina accu-sò il colpo — e non lo dimenticò mai — e cercòaddirittura di adeguare la sua scrittura al “dovere s s e re ” indicato dalla recensione di Victoria. Ri-sultato di tutto ciò fu, nel 1948, Autobiografía deI re n e , che alcuni considerano la sua opera piùartificiosa e meno audace.

    CO N S A C R AT E «PER E VA N G E L I C A CONSILIA»

    Giovanee consacrata

    Due anni fa ho avuto ildono di vivere la miasettimana di esercizispirituali presso il mo-nastero della Visitazio-ne di Santa Maria adOrtì, luogo specialenon solo geografica-

    mente ma anche spiritualmente. La bellezza el’incanto che si può ammirare da quella collina,che domina la città di Reggio Calabria, hannocaratterizzato di stupore e profondità quelle miegiornate di contemplazione, di distensione e dirip oso.

    È necessario fermarsi nella vita per mettereordine nelle proprie cose e curare lo sguardo.Un occhio miope o presbite non è un organo insalute. È opportuno perciò indossare lenti capa-ci di correggere e compensare la vista per poter

    vedere con meraviglia e attitudine contemplativanoi stessi, gli altri, il mondo e il mistero di Dio:«La salvezza sta nello sguardo» e «Lo sforzograzie al quale l’anima si salva è simile a quellodi colui che guarda, di colui che ascolta, a quel-lo di una sposa che dice sì. È un atto di atten-zione, di consenso» (Simone Weil).

    Ho imparato in quei giorni a cercare un pun-to di vista nuovo nella realtà e seduta sulle “gi-nocchia di Dio” tutto assume un significato di-verso: le gioie, le delusioni, l’amarezza, l’indiffe-renza, l’inadeguatezza, la fatica. Essere consa-crata oggi, come lo sono, è vivere sulla propriapelle l’anelito del mondo e quello di Dio, ed es-sere ponte tra le due libertà. È una bella sfida euna grande missione nella Chiesa oggi.

    Tale ricordo e consapevolezza mi ritornachiaro in questo tempo, vigilia del sinodo sui

    di FRANCESCA PALAMÀ

    Da quelmomento inpoi nellasua attivi-tà narrati-va, paral-lela allapoesia checoltivò co-me attivitàquasi separata, puntò sempre a trovare l’e s p re s -sione originale e irriverente, sviluppando qualitàche aveva dentro fin dall’inizio e infischiandose-ne di ogni classificazione. Al pari di Victoria,Silvina disarticolò i discorsi del potere maschilee sfidò i pregiudizi sul genere femminile, ma lofece in modo diverso, cercando scorciatoie, sce-gliendo le “astuzie del debole”, facendo finta dinon sapere, avvalendosi della tutela di Bioy, mi-metizzandosi nel gruppo per dissimulare la suavoce, nascondendosi dietro la sua immagine in-fantile per dire cose indecenti, per affermare isuoi desideri e i suoi odi più profondi. La timi-dezza le impediva di mostrarsi troppo spesso inpubblico, evitava la riunioni, non concedevaquasi interviste e non permetteva che la fotogra-fassero. La critica letteraria la ignorò sino allafine degli anni ottanta, senza percepire la com-plessità, l’umorismo e l’originalità della sua ope-ra. Questo modo di vivere le permise però dicostruire un universo in cui le parole e le imma-gini godevano di vita propria.

    Silvina Ocampo scrisse alcuni dei miglioriracconti della letteratura argentina. Puntò so-prattutto a innalzare alla categoria di generi diprim’ordine la letteratura fantastica e quella po-liziesca. Copiosa fu anche la sua produzionepoetica, dove aderì alla corrente che intendevarecuperare i modelli classici dell’antica poesiacastigliana. Con i suoi due “punti deboli”, Bor-ges e Bioy, scrisse le famosissime Antologia dellaletteratura fantastica e Antologia della poesia argen-tina.

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    giovani (XV assemblea generale ordinaria del Si-nodo dei vescovi 3-28 ottobre 2018) dal tema «Igiovani, la fede e il discernimento vocazionale»,dove nell’Instrumentum laboris un intero numero,il 103, è dedicato alla vita consacrata: «Anche latestimonianza profetica della vita consacrata habisogno di essere riscoperta e meglio presentataai giovani nel suo incanto originario, come anti-doto alla “paralisi della normalità” e come aper-tura alla grazia che scompiglia il mondo e lesue logiche. Risvegliare il fascino della radicalitàevangelica nelle giovani generazioni, così da po-ter riscoprire la profezia della castità, povertà eobbedienza come anticipazione del Regno erealizzazione piena della propria vita è unaspetto che non può essere messo in secondopiano in un tempo dominato da logiche consu-mistiche e mercificanti».

    Come giovane consacrata vivo la necessità dinon fermarmi all’istante, al momento attuale,ma considero vitale spingere il mio sguardo ver-so quell’orizzonte che unisce inevitabilmente laterra al cielo e dove la mia carne sporca di fan-go si innalza verso la purezza di Dio. È impor-tante avere occhi carichi di risurrezione là dovetutto parla di morte e là dove l’“ormai” sembraintrodurre ogni tipo di argomentazione sui gio-vani. C’è desiderio di riscatto dinanzi a un po-tenziale che ha diritto di cittadinanza comeogni altro essere umano. È vero, qualcosa ècambiato, o meglio tutti siamo cambiati, perchécreature in cammino, perché ricchi di diverseesperienze, perché chiamati a ridefinire la nostrafinitezza, perché interpellati nel tracciare nuoviconfini alla nostra esistenza.

    È nella quotidianità la novità foriera di vita edi creazione e il volto femminile della vita con-

    sacrata ne dà testimonianza ed è l’emblemaprincipale. I suoi tratti di innata delicatezza,l’accoglienza smisurata all’altro, l’attesa silente,la custodia dell’intimità, il canto della gratitudi-ne non hanno tempo e non hanno spazio per-ché esistono nel presente e saranno nel futuro.

    Una nuova carica di speranza alberga nelmio cuore, in cui sento che un inedito desideravenire alla luce, un nuovo soffio dello Spiritoaleggia sulla mia Chiesa.

    «Non cedete alla tentazione dei numeri edell’efficienza, meno ancora a quella di confida-

    Duilio Barnabé, «Due suore» (1954)

    re nelle proprie forze. Scrutate gli orizzonti del-la vostra vita e del momento attuale in vigile ve-glia» (Papa Francesco, A tutti i consacrati).

    A completare queste parole di Papa France-sco mi vengono in aiuto quelle di don ToninoBello: «Oltre a vegliare, dovete anche svegliare!Svegliate la gente dall’appiattimento spirituale.Destatela dal sonno religioso, dalle abitudinisonnolente, dalla ripetitività rituale. Aiutatela adentrare nella storia, operando le scelte di ognigiorno secondo la logica delle “b eatitudini” enon secondo i criteri del tornaconto». L’atteg-giamento che più mi caratterizza è quello dellaresilienza e nel riconoscere che le radici sonoben affondate nel terreno della Parola, nella ten-sione alla carità e nel coraggio della verità.

    Il terreno della Parola è uno spazio da van-gare e coltivare ininterrottamente affinché, inuna danza continua, la narrazione lasci il passoal silenzio oppure si esprima in altro modo: consimboli, gesti, immagini, colori, parabole. Comeci ricorda il Catechismo della Chiesa cattolica alnumero 166, «il nostro amore per Gesù e per gliuomini ci spinge a parlare ad altri della nostrafede». Interpellata nella mia libertà a rispondereall’iniziativa di Dio che si rivela alla mia vita, èimportante saper narrare e testimoniare comel’amore si fa carne.

    Pensavo come nel nostro oggi nessuno èescluso dal www, ovvero World Wide Web(ragnatela grande quanto il mondo), cheha rivoluzionato le caratteristiche dell’in-formazione e della narrazione. Non bastacliccare, selezionare ed essere in rete perpoter trasmettere e testimoniare «ciò chei nostri occhi hanno visto, le nostre ma-ni hanno toccato e le nostre orecchie

    hanno udito» (1 Giovanni 1, 1). Un sms, unachat o una e-mail non è sufficiente per raccon-tare il nostro incontro personale con colui che icieli dei cieli non possono contenere, e che vie-ne ad abitare in mezzo a noi. I nuovi mezzi dicomunicazione possono accorciare le distanze,essere usati per condividere opinioni, incontraree contrarre nuove conoscenze ma non ci assicu-rano che in tutto questo l’uomo abbia “connes-so” il proprio cuore.

    Come il nostro Dio si fa uomo per rag-giungere la nostra umanità così anche noi siamochiamati a farci prossimo, anche nella nostracorporalità. La strada da percorrere non è unaautostrada a più corsie né è un’agevole via indiscesa ma, da Betlemme, procede inarre-stabilmente verso il Golgota cioè «va dalla man-giatoia alla croce» (Edith Stein, Mistero delNatale).

    L’esperienza di fede è qualcosa che non sipuò dire ma solo vivere, perché è qualcosa chesi sente, che si percepisce, che vibra dentro, chefa brillare gli occhi, che produce un brivido eche fa intuire una presenza e un’assenza.

    La mia vita ha ragione di essere vissuta per-ché in tensione continua verso la carità, cioèaperta, nuda, con un cuore gonfio e operoso, indialogo e in sintonia verso ciò che pulsa, cheama e che lotta per nascere.

    La vita consacrata ha «molto cuore», come ciricorda Teresa d’Ávila, indiviso, integro, cheplasma e che tocca Dio e i fratelli. Con corag-gio perciò invito anche altre donne consacrate,come me, a riempire la terra di “b eatitudini” p eralimentare la bellezza della speranza.

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    Tr i f e n ae Trifosa

    di DO M I N I KA KUREK-CHOMYCZ

    Pur essendo un tratto tipico dell’apostolo Paolo l’invio di saluti nellaparte finale delle sue lettere, l’elenco presente in Romani 16 è comun-que insolitamente lungo. Dato che Paolo stava scrivendo a una co-munità che non aveva fondato e che intendeva visitare (cfr. Romani15, 33), ci si è talvolta chiesti come potesse di fatto conoscere cosìtante persone a Roma. Alcuni studiosi pensano che il capitolo 16 fa-cesse originariamente parte di una lettera persa indirizzata agliEfesini; noi sappiamo che Paolo trascorse diversi anni a Efeso e chequindi doveva conoscere molto bene i membri della comunitàefesina. Altri studiosi ritengono che l’elenco in Romani 16 includa an-che persone che Paolo non conosceva direttamente. Ma tutto ciò nontiene conto della mobilità dei primi missionari cristiani. La maggiorparte dei cristiani contemporanei è a conoscenza dei viaggi di sanPaolo, e anche nel XXI secolo, quando spostarsi è diventato moltopiù facile grazie ai moderni mezzi di trasporto, la rete dei suoi viaggiappare impressionante. Non è stato però l’unico seguace di Cristodel primo secolo a viaggiare così tanto. Secondo gli Atti degli apostoli(18, 2), Paolo incontrò Prisca e Aquila a Corinto, dove si erano tra-

    sferiti da Roma. Si trovavano a Corinto a seguito dell’editto di Clau-dio che ordinava agli ebrei di lasciare Roma. Più avanti però, nellostesso capitolo, Luca ci dice che la coppia era giunta a Efeso insiemea Paolo (cfr. Atti degli apostoli 18, 18-19). Molto probabilmente in se-guito tornarono a Roma, ed è per questo che i saluti di Paolo in Ro-mani 16 iniziano con quelli a Prisca e Aquila, ai quali era particolar-mente grato (cfr. Romani 16, 3-4). È comunque plausibile che anchealtre persone elencate in questo capitolo fossero a loro volta ebrei cheavevano lasciato Roma a seguito dell’editto di Claudio e che Paoloaveva incontrato nel corso dei suoi viaggi. Altri potevano all’inizioaver proclamato il Vangelo in oriente, come Paolo, ma si erano poitrasferiti nella capitale prima di lui, o di propria volontà o portati lìdai loro padroni o da commercianti di schiavi, se erano schiavi. Seb-bene in un’era precedente a quella mediatica la comunicazione nonfosse immediata come lo è oggigiorno, Paolo era parte di una vastarete formata dai primi cristiani missionari che mantenevano unostretto rapporto tra loro, sapendo quanto il successo della loro operadipendesse più dal lavoro di squadra che non dall’impegno indivi-duale.

    L’elenco dei saluti in Romani 16 non è assolutamente una mera ap-pendice alla lettera. È parte integrante dello scopo della lettera indi-rizzata alla città che Paolo intendeva visitare; inviare saluti a persone

    PAOLO E LE D ONNE

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    faticano (kopiàntas) tra di voi, che vi sono preposti nel Signore e viammoniscono». In questo caso quanti «faticano» nella comunità evi-dentemente hanno un ruolo guida e possono pertanto ammonire glialtri membri. Sarebbe forzato dire che kopiào divenne un termine tec-nico per la prima attività missionaria cristiana ma, ciò premesso, è in-teressante notare come questo verbo appaia tre volte in Romani 16 inriferimento a donne che «lavorano», «faticano». Nessuno degli uo-mini citati nel capitolo viene caratterizzato in questo modo.

    I nomi Tr i p h a e n a e Tr y p h o s a sono di origine greca. Entrambi sonoben attestati in fonti epigrafiche (iscrizioni) del I secolo e il primo siritrova anche in diversi papiri. Tr y p h è in greco significa «morbidezza,delicatezza, finezza, sontuosità» e il verbo affine tryphào corrisp ondea «vivere dolcemente, voluttuosamente, sontuosamente». C’è quindiun contrasto tra il significato del nome e l’idea di faticare «nel Si-gnore» di chi li possiede. Il nome Tr y p h a e n a , o per essere più precisiTr y p h a i n a (Tr y p h a e n a è una grafia latinizzata) era in origine associatoalle regine e alle principesse della dinastia tolemaica, il che può aver

    Docente di Studineotestamentari allaLiverpool HopeUniversity, in GranBretagna, haconseguito il dottoratoin filosofia e ildottorato in teologiasacra pressol’università Cattolicadi Lovanio, in Belgio.Ha pubblicato libri enumerosi articoli suautorevoli riviste

    che conosceva era infatti un modo per stabilire un contatto con lacomunità. Inoltre almeno alcune delle persone che Paolo saluta do-vevano avere una influenza tale sulla comunità locale da garantirel’effetto sperato. Ma i saluti in Romani 16 meritano attenzione nonsolo per il gran numero di persone a cui sono rivolti. Se includiamoFebe, raccomandata dall’autore nei versetti 1-2, in Romani 16, 1-16 so-no menzionati diciannove uomini e dieci donne. Ma incredibilmentesolo di t re uomini Paolo ci dice che hanno un ruolo nel servizio alVangelo, e di questi tre due, Aquila e Andronico, sono citati insiemealle mogli, rispettivamente Prisca e Giunia. Solo Urbano è descrittocome collaboratore (s y n e rg ò s ) di Paolo «in Cristo», al pari di Prisca eAquila, ma senza un partner missionario.

    Delle dieci donne, sette sembrano aver partecipato attivamente alservizio del Vangelo: Febe, Prisca, Giunia, Maria, Trifena, Trifosa ePerside. Di Trifena, Trifosa e Perside si dice esplicitamente che «han-no lavorato per il Signore»; a loro si aggiunge Maria, citata nel ver-setto 6, che «ha faticato molto» nel Signore.

    Il verbo greco kopiào appare cinquantuno volte nella Settanta (latraduzione greca delle Scritture ebraiche) e ventitré nel Nuovo Testa-mento, ed è in generale utilizzato in modo analogo nel greco non-bi-blico. È usato nel senso sia di «essere stanco, essere esausto» sia «dilavorare duramente, affaticarsi». In Giovanni 4, 6 viene riferito a Ge-sù, sfinito, stanco del viaggio, seduto accanto al pozzo di Giacobbe,dove lo incontra la samaritana. Nel Nuovo Testamento figura spessonelle lettere di san Paolo, che più volte parla della propria operaapostolica come «fatica» ed esprime il suo timore che sia stata vana(cfr. Galati 4, 11; Filippesi 2, 16). Il contesto suggerisce che questa fati-ca apostolica riguarda il lavoro missionario dell’apostolo e quindi laproclamazione del Vangelo. Interessante notare che in 1 Tessalonicesi5, 12 Paolo prega i suoi destinatari «di aver riguardo per quelli che

    L’autrice

    accademicheinternazionali. Èmembro del comitatore d a z i o n a l edel «Journalfor the Study of theNew Testament»e dirige comeExecutive Officerla EuropeanAssociation of BiblicalStudies.

    contribuito alla sua popolarità in oriente. A volte neicommenti si legge che Tr i p h a e n a e Tr y p h o s a erano no-mi tipici di schiave o liberte, e quindi anche le donnesalutate da Paolo in Romani 16, 12 forse apparteneva-no a questa categoria sociale. Il che è piuttosto fuor-viante: di fatto, mentre i nomi di altre persone men-zionati in Romani 16 potevano essere tipici di schiavi(Ampliato, Erme, Perside o Nereo), Tr i p h a e n a eTr y p h o s a erano nomi di donne di varie condizioni so-ciali e, soprattutto in oriente, anche di donne di cetosociale elevato. Al tempo stesso, in un gran numerod’iscrizioni provenienti da Roma, questi due nomi siriferiscono a persone originariamente schiave. Alla lu-ce di ciò, e basandoci su quel che sappiamo sulla composizione so-ciale del primo movimento cristiano, è quindi possibile che Trifena eTrifosa fossero schiave o liberte.

    Non siamo comunque in grado di affermare con certezza qual eral’identità etnica di Trifena e di Trifosa. I nomi sono di origine grecama nel I secolo non era raro per gli ebrei avere nomi greci, e anche iromani spesso davano nomi greci agli schiavi. Nel caso degli schiavi,i nomi, piuttosto che l’origine, potevano riflettere il gusto personaledel padrone (o forse del commerciante di schiavi). In Romani 16 Pao-lo fa riferimento a tre persone — Andronico e Giunia nel versetto 7ed Erodione nel versetto 11 — come suoi parenti (syngeneis), il che po-trebbe far pensare che anche altri siano di origine gentile. E tuttavia,

    In questa e a pagina 36particolari del sarcofagodi Marcus Claudianus

    (330-335)con scene del Vecchio

    e del Nuovo Testamento

  • D ONNE CHIESA MOND O 36 D ONNE CHIESA MOND O37

    rano nel Signore», la spiegazione più plausibile del perché Paolo lemenzioni insieme è il loro «faticare» comune «nel Signore».

    Che fossero sorelle, amiche schiave, forse affrancate insieme, o chesi fossero incontrate in altro modo, rimarrà oggetto di speculazione.L’importante è che, ai tempi in cui Paolo stava scrivendo la lettera aiRomani, ossia tra il 55 e il 57, Trifena e Trifosa si trovavano entrambea Roma come collaboratrici nel servizio del Vangelo.

    In 1 Corinzi 9, 5 Paolo dà per scontato che i missionari hanno ildiritto di essere accompagnati dalla propria moglie credente («che siauna sorella in fede»). Paolo non era sposato ma aveva collaboratorimolto stretti, alcuni dei quali, come Timoteo, sono citati anche comecoautori di alcune sue lettere. Siamo abituati a coppie di sposi mis-sionari come Prisca e Aquila, ma in realtà la collaborazione nel pro-clamare il Vangelo includeva anche coppie di soli uomini o sole don-ne. Secondo gli evangelisti già Gesù inviava i suoi discepoli a due adue (cfr. Ma rc o 6, 6-7; Luca 10, 1). È anche possibile che, dietro i rac-conti attorno a Marta e Maria (cfr. Luca 10, 38-42; Giovanni 11, 1 e12,19), ci sia una tradizione su una prima coppia missionaria cristia-na. Nella comunità fondata da Paolo, Evodia e Sintiche sono unesempio di una simile collaborazione al servizio del Vangelo (cfr. Fi-

    secondo gli Atti degli apostoli, Aquila era un «ebreo del Ponto»; diconseguenza, non possiamo essere certi che, a parte Andronico, Giu-nia ed Erodione, le altre persone menzionate in questo testo sianogentili. La lettera ai Romani, come tutte le altre lettere di Paolo, fuscritta in greco, e noi sappiamo che la lingua della cristianità romananei primi due secoli rimase fondamentalmente il greco. Ciò fu in par-te dovuto al fatto che molti seguaci di Cristo a Roma in quel perio-do erano residenti di origine non romana. La maggior parte dellepersone citate in Romani 16 era probabilmente originaria dell’oriente,il che vale anche per Trifena e Trifosa.

    Che relazione c’era tra queste due donne? Alcuni commentatori leconsiderano sorelle, visto che i loro nomi hanno la stessa radice. Altripensano che non ci sia alcun legame tra loro e Paolo le menziona in-sieme solo perché i loro nomi si somigliano. Quest’ultima ipotesi èpiuttosto inverosimile, visto che in tutti gli altri casi, quando duepersone vengono citate insieme in Romani 16, o sono una coppia mis-sionaria (marito e moglie, secondo Atti degli apostoli 18, 2), come Pri-sca e Aquila, o sono parenti, come Rufo e sua madre o Nereo e suasorella (che forse hanno anche lavorato insieme in una delle primecomunità cristiane, ma possiamo fare solo congetture al riguardo).Visto che Trifena e Trifosa sono presentate come persone che «lavo-

  • D ONNE CHIESA MOND O 38 D ONNE CHIESA MOND O39

    LUCA 6, 27-38

    Subito dopo l’annuncio dellebeatitudini, Gesù insegna echiede a quegli stessi poveriproclamati beati di amare ipropri nemici, dicendo: «Avoi che ascoltate, io dico:amate i vostri nemici». E noiascoltiamo nella sua voce an-

    che quella di Dio al Sinai: «Ascolta Israele, iosono il tuo Dio; tu amerai». È dall’ascolto delSignore che nasce, e sempre rinasce, la chiamataa seguirlo, tentando sempre di nuovo di amareamici e nemici.

    Poiché Dio è sempre di nuovo benevolo ver-so gli ingrati e i malvagi — questa l’i n t e r p re t a -zione di Gesù della rivelazione di Dio nelleScritture sante e nella vita — la benevolenza ver-so i propri nemici realizza negli esseri umani laloro somiglianza con Dio.

    Benevolenza è non lasciarsi accecare dall’ini-micizia ricevuta, continuando a discernere anchenel nemico l’altro della cui vita siamo responsa-bili. Amare i propri nemici, perseverare nel far

    ME D I TA Z I O N E

    Mai rinunciaread amare

    a cura delle sorelle di Bose

    Un fotogramma del film «Il Vangelo secondo Matteo»di Pier Paolo Pasolini (1964)

    Nella pagina successivaPhilippe Lejeune, «Il discorso della montagna»

    lippesi 4, 2-3). Non sappiamo molto sullo status civile della maggiorparte di queste donne, così come per la maggior parte degli uomini edelle donne menzionate da Paolo in Romani 16 o in altre lettere. Al-cuni, seguendo l’esempio di Paolo, rimasero celibi, perciò l’avere uncompagno affidabile nell’opera missionaria avrebbe offerto loro ilsupporto emotivo e pratico necessario e avrebbe contribuito a co-struire un rapporto basato sulla fiducia.

    Trifena e Trifosa non sono menzionate in nessun altro brano delNuovo Testamento canonico. Nell’apocrifo del secondo secolo Atti diPaolo e Tecla, una certa regina Trifena, che presumibilmente risiedevaad Antiochia di Pisidia, figura come protettrice e patrona di Tecla. Sidice anche che era parente dell’imperatore (cfr. Atti di Paolo e Tecla,36). L’esistenza della regina Antonia Trifena nel primo secolo (circa55), i cui figli, secondo antiche fonti, crebbero insieme a Caligola, èin effetti attestata in scritti di antichi storici e in iscrizioni. Risiedevaperò a Cizico, e non ad Antiochia di Pisidia, ed era conosciuta comeregina di Tracia e principessa del Bosforo, Ponto, Cilicia e Cappado-cia. Non ci sono prove che sia diventata una seguace di Cristo e nonc’è una vera base storica per gli episodi degli Atti di Paolo e Tecla incui appare Trifena, anche se il personaggio può essere stato ispiratodalla consapevolezza dell’esistenza di una figura storica reale.

    La suddetta tradizione è chiaramente posteriore e, come abbiamovisto, possiamo dire poco sull’origine e sull’identità di Trifena e Tri-fosa. Eppure il saluto di Paolo ci dice l’essenziale: facevano partedella prima generazione di seguaci di Cristo, mai troppo deboli perlavorare instancabilmente al servizio del Vangelo. È grazie a personecome loro che la comunità nella capitale dell’impero romano potésvilupparsi dinamicamente molto prima dell’arrivo di Paolo. Trifena eTrifosa, come le altre persone che Paolo saluta in Romani 16, ci mo-strano quante donne e uomini contribuirono alla crescita di quellacomunità. Dalla prima parte della lettera sappiamo anche che il suosviluppo non fu privo di vicende dolorose e controverse. Inoltre laserie di saluti ci fa intuire quanto fossero sfocati, a metà del primosecolo, i confini tra missionari itineranti e quanti si occupavano diorganizzare comunità locali.

    In definitiva, il breve riferimento a Trifena e Trifosa in Romani (16,12) ci ricorda i vincoli di affetto e di amicizia che dovevano legare lepersone nella prima fase di diffusione del movimento cristiano. Pote-vano così aiutarsi e incoraggiarsi reciprocamente nell’impegno comu-ne di portare la Buona Novella in tutti gli angoli dell’impero roma-no, e, una volta stabilitisi sul posto, partecipare attivamente alla co-struzione di comunità ecclesiali locali. Non era certo un lavoro perpavidi.

  • D ONNE CHIESA MOND O 40

    loro del bene nonostante il loro farci del male, èquell’obbedienza a Dio che adempie fino infondo sia la nostra responsabilità verso la vitadell’altro, sia quella verso la nostra vita: di nonconsegnarci al risentimento, di non rinunciare avivere nell’a m o re .

    Gesù dirà anche: «Non temete coloro che uc-cidono il corpo — e dunque chi vi calunnia, chivi percuote, chi pretende da voi il vostro — p er-ché non possono uccidervi l’anima». La nostraanima umana a immagine di Dio, l’umanità incui consistiamo, non è uccisa, snaturatadall’odio che riceve e patisce dagli altri, ma solodall’odio che prova lei stessa e mette in atto ri-spondendo al male con il male.

    Non temere i nemici, dunque, ma il propriocuore, così incline a lasciarsi alienare e corrom-pere dall’odio ricevuto, perché non si vendichiodiando: ecco la via stretta per salvare l’umanitàdella nostra anima, l’unico bene che Dio sappiaaiutarci a conservare.

    L’amore verso i nemici è frutto eloquentedell’accogliere la beatitudine che Gesù ci rivolgequando siamo poveri, afflitti, e a torto odiati emessi al bando; ed è egli stesso causa di beati-tudine. Obbedendo al comando di Gesù, com-prendiamo che del male ricevuto non ci ripagaaffatto il male che facciamo per vendicarcene.

    Perché fare il male fa male anche a chi lo fa,sempre. Vendicarsi moltiplica il proprio doloreper sé e per gli altri. Solo l’amore dato e ricevu-to ci può consolare del male ricevuto, perchésolo l’amore scaccia la paura, mai l’inane tenta-tivo di renderlo indietro. Gesù non giustifica innulla, mai, l’ingiustizia subita, ma sa che è pos-sibile restare in comunione con gli altri e conDio subendo ingiustamente il male, mentre nonè possibile facendo il male.

    Infatti, il comando del perdono è, come ogniparola di Gesù, la possibilità di libertà per chi ilmale l’ha subito. Il perdono interrompe l’os-sessione umiliante nel cuore della vittima,innanzitutto aiutandola a riconoscere che la suavita continua ad appartenere al Signore, e non achi le ha fatto del male. È per amore anchedella nostra vita e della nostra libertà che Gesùci insegna ad amare i nemici, per salvare anchela nostra vita e non solo la loro! Infatti, perdo-nare i propri nemici è meno doloroso che vendi-carsene.

    E per darci l’intelligenza dell’amore Gesù ciconsegna la regola d’oro. Per sapere come esserebenevoli verso il prossimo, amico o nemico chesia, Gesù ci insegna a guardare il nostro deside-rio profondo. E il nostro desiderio è di non es-sere esclusi e rigettati neppure quando siamodel tutto nel torto. Poiché si rivolge ai poveriche subiscono sempre l’ingiustizia dei ricchi,Gesù vuole insegnare loro a vivere le povertà ele ingiustizie subite nel modo evangelico, che èil suo modo di vivere e di morire, e che diventabenedizione per se stessi e per il mondo.

    Come Gesù, che «oltraggiato non replicavacon oltraggi, e soffrendo ingiustamente non mi-nacciava vendetta» (cfr. 1 Pietro 2, 23), chiedia-mo anche noi al Signore di perdonare i nostrinemici, aiutandolo con questa parola straordina-ria che rivela tutta l’intelligenza e la compassio-ne di Gesù: «Perché non sanno quel che fanno»(Luca 23, 34).