CritiChe Ai SindACAti Che non fAnno iL Loro dovere vArATo...

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Settimanale Fondato il 15 dicembre 1969 Nuova serie - Anno XLI - N. 27 - 13 luglio 2017 PAG. 2 IN UN UFFICIO INPS DI TORINO Disoccupata si dà fuoco, salvata da un migrante Per rilanciare le sue tesi antileniniste “IL MANIFESTO” GUARDA ALLA RIVOLUZIONE D’OTTOBRE CON LE LENTI DI TROTZKI Lo sfidiamo a rivelare i fatti sul suo opportunismo e sul ruolo di Stalin Elemosina di Stato condizionata VARATO DAL GOVERNO IL DECRETO SUL “REDDITO DI INCLUSIONE” Ai poveri da 188 a 485 euro al mese. Ma solo a meno della metà delle famiglie povere Rivolgendosi ai sindacalisti della Cisl IL PAPA DENUNCIA L’ETA’ TROPPO ALTA DELLE PENSIONI “Pensiamo al 40% dei giovani che non hanno lavoro”. “Le pensioni d’oro sono un’offesa come le pensioni troppo povere” CritiChe Ai SindACAti Che non fAnno iL Loro dovere Grave inciucio PD-FI che votano a favore nella commissione del Senato, mentre MDP lo favorisce assentandosi STOP CETA: MOBILITAZIONE E PROTESTE IN PIAZZA AL PRIMO POSTO LO SFRUTTAMENTO COMMERCIALE DEI PARCHI, NON LA CONSERVAZIONE DELLA NATURA La Camera approva la controriforma dei parchi Gli ambientalisti protestano A “PORTA A PORTA” Di Maio: “Nel M5S i valori di Berlinguer, Almirante e DC” Ammissione e vanto del trasversalismo del movimento SUPERSFRUTTAMENTO DELLE BRACCIANTI NEI CAMPI PUGLIESI Oltre 10 ore di lavoro al giorno per 60 euro e insulti sessisti tre arresti e quattro indagati tra imprenditori e caporali NISCEMI Combattivo corteo contro il Muos, contro le basi di guerra imperialista e per la smilitarizzazione della Sicilia fiera partecipazione del PMLi Nuovo imbroglio politico-elettorale degli ex sedicenti comunisti Pisapia, Bersani e D’Alema “INSIEME” PER ATTIRARE L’ELETTORATO DI SINISTRA ANTIRENZIANO NELLA NUOVA TRAPPOLA ELETTORALE RIFORMISTA falcone e Montanari non partecipano all’iniziativa concorrente non dAre ALCunA fiduCiA A Chi non Mette in diSCuSSione iL CAPitALiSMo e non LottA Per iL SoCiALiSMo PAG. 5 PAG. 4 PAG. 2 PAG. 7 PAG. 6 PAG. 3 PAG. 3 PAG. 8 PAG. 11

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Settimanale Fondato il 15 dicembre 1969 Nuova serie - Anno XLI - N. 27 - 13 luglio 2017

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In un uffIcIo InPs dI TorIno

disoccupata si dà fuoco, salvata da un migrante

Per rilanciare le sue tesi antileniniste

“Il mAnIfesTo” GuArdA AllA rIvoluzIone

d’oTTobre con le lenTI dI TroTzkI

Lo sfidiamo a rivelare i fatti sul suo opportunismo e sul

ruolo di Stalin

elemosina di stato condizionata

vArATo dAl Governo Il decreTo sul “reddITo dI InclusIone”Ai poveri da 188 a 485 euro al mese. Ma solo a meno della metà delle famiglie povere

rivolgendosi ai sindacalisti della cisl

Il PAPA denuncIA l’eTA’ TroPPo AlTA delle PensIonI

“Pensiamo al 40% dei giovani che non hanno lavoro”. “Le pensioni d’oro sono un’offesa come le pensioni troppo povere”

CritiChe Ai SindACAti Che non fAnno iL Loro dovere

Grave inciucio Pd-fI che votano a favore nella commissione del senato, mentre mdP lo favorisce assentandosi

sToP ceTA: mobIlITAzIone e ProTesTe In PIAzzA

Al PrImo PosTo lo sfruTTAmenTo commercIAle deI PArchI, non lA conservAzIone dellA nATurA

la camera approva la controriforma dei parchi

Gli ambientalisti protestano

A “PorTA A PorTA”

di maio: “nel m5s i valori

di berlinguer, Almirante e dc”

Ammissione e vanto del trasversalismo del movimento

suPersfruTTAmenTo delle brAccIAnTI neI cAmPI PuGlIesI

oltre 10 ore di lavoro al giorno per 60 euro e insulti sessisti tre arresti e quattro indagati tra

imprenditori e caporali

nIscemIcombattivo

corteo contro il muos, contro le basi di guerra imperialista

e per la smilitarizzazione

della siciliafiera partecipazione del PMLi

nuovo imbroglio politico-elettorale degli ex sedicenti comunisti Pisapia, bersani e d’Alema

“InsIeme” per attIrare l’elettorato dI sInIstra antIrenzIano nella nuova

trappola elettorale rIformIstafalcone e Montanari non partecipano all’iniziativa concorrente

non dAre ALCunA fiduCiA A Chi non Mette in diSCuSSione iL CAPitALiSMo e non LottA Per iL SoCiALiSMo

PAG. 5 PAG. 4

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2 il bolscevico / interni N. 27 - 13 luglio 2017

Elemosina di Stato condizionata

Varato dal goVErno il dEcrEto Sul “rEddito di incluSionE”Ai poveri da 188 a 485 euro al mese. Ma solo a meno della metà delle famiglie povere

Il 9 giugno, in attuazione di una legge delega già approvata dal parlamento nei mesi scorsi, il go-verno Gentiloni ha approvato un decreto legislativo che istituisce il cosiddetto “reddito di inclusione” (Rei): quello che il ministro del La-voro Poletti aveva salutato come “un passaggio storico”, capace di rappresentare un efficace mez-zo di contrasto contro la povertà, e che invece è solo un’elemosina di Stato che riguarda neanche la metà delle famiglie in condizioni di povertà assoluta, e che per giunta è limitato nel tempo e sog-getto ad una tale quantità di con-dizioni da renderlo molto difficile da ottenere e mantenere.

Il Rei riguarderà infatti solo 660 mila famiglie povere assolu-te, di cui 560 mila con figli minori, su un totale ufficiale censito di 1.582 mila, quindi appena il 40% del totale delle famiglie in pover-tà assoluta. Ricordiamo che se-condo la definizione dell’Istat le famiglie in condizione di povertà assoluta sono quelle “prive delle risorse economiche necessarie per conseguire uno standard di vita minimamente accettabile”, che è un modo asettico per tra-durre “ridotte alla fame” o “nella miseria più nera”. Famiglie che comunque rappresentano il 6% del totale in Italia (il 9% al Sud), mentre in termini di componenti rappresentano 4,6 milioni di per-sone, il 7,6% dell’intera popola-zione (il 10% al Sud). Quindi non solo il Rei non è previsto per le famiglie in condizioni di povertà relativa, ma non riguarda nean-che la metà delle famiglie in con-dizioni di povertà assoluta. Come si fa a parlare allora di “misura nazionale di contrasto alla pover-tà”, come se ne vanta il governo Gentiloni?

Questo per quanto riguarda la platea di poveri a cui questa mi-

sura è rivolta. Poi c’è il discorso sul suo ammontare, che è a dir poco ridicolo: si va da un minimo di 188 euro il mese per un nucleo di un solo componente fino ad un massimo di 485 euro per le fami-glie di cinque e più componenti. Per il “reddito di inclusione” il go-verno aveva parlato di uno stan-ziamento di 2 miliardi l’anno, ma secondo l’Ufficio parlamentare di bilancio le risorse reali stanziate allo stato attuale sono solo 1,2 miliardi nel 2017 e 1,7 miliardi per il 2018. Il resto dovrebbe arriva-re dall’unificazione di altri sussidi esistenti. Cioè da un trucco con-tabile.

risorse del tutto insufficienti

In realtà siamo ben al di sot-to perfino delle risorse giudicate necessarie dal “Gruppo di lavoro sul reddito minimo” istituito dallo stesso ministero del Lavoro, per il quale occorrerebbero almeno tra i 5 e i 7 miliardi l’anno per avere un minimo di possibilità di incidere sulla povertà in Italia. La stessa stima è stata confermata nel “memorandum” firmato dal governo e dall’“Alleanza contro la povertà”, un cartello di asso-ciazioni cattoliche, sindacati e Ong che caldeggiano l’istituzio-ne del “reddito per l’inclusione sociale” (Reis). “Si tratta di un primo passo che ne dovrà vedere di ulteriori”, c’è scritto nel memo-randum: come dire che per il go-verno Gentiloni quanto stanziato ha da bastare, il resto se la dovrà vedere il governo o i governi che verranno dopo.

Ma, attenzione! Poiché la co-perta è corta, anzi striminzita, sono state messe un’infinità di condizioni per la concessione di questa misera elemosina di Sta-

to: innanzi tutto occorre avere un reddito familiare equivalente (Isee, che in futuro sarà inviato precompilato) non superiore a 6.000 euro l’anno e un reddito in-dividuale massimo di 3.000 euro. Il patrimonio immobiliare, esclusa la prima casa, non deve supera-re i 20 mila euro e i risparmi non possono superare i 10 mila euro. Possono fare domanda anche stranieri dotati di permesso di soggiorno, ma devono essere residenti da almeno due anni. Sono esclusi proprietari di bar-che (sic) e anche di auto e moto se acquistate negli ultimi due anni. E la priorità sarà comunque data a famiglie con almeno un figlio minorenne, o con disabilità se maggiorenne, con donne in gravidanza o ultracinquantenni disoccupati.

Altra cosa assurda è che men-tre l’assegno cresce con il nume-ro dei componenti della famiglia, fino a 485 euro per una famiglia di 5 persone, oltre questa soglia l’assegno non cresce più, tanto che per le famiglie di 6 compo-nenti si stima una perdita corri-spondente di 1.375 euro l’anno, e per 7 componenti la perdita am-monta a 2.163 euro. E poi si parla di assegno, ma in realtà il Rei è in denaro solo in parte, perché per metà è corrisposto in “servizi”, e non si può ritirare in contanti ma solo spendere. Come cioè la vec-chia social card di Berlusconi e Tremonti per gli ultrasessantacin-quenni, da cui deriva chiaramen-te. Inoltre il Rei è incompatibile con il Naspi (assegno di disoc-cupazione), con l’Asdi (sussidio disoccupati al termine del Naspi) o social card disoccupati. In ogni caso l’assegno ha solo una du-rata di 18 mesi, rinnovabile per altri 12 dopo però una pausa di 6 mesi.

un percorso ad ostacoli pretestuoso

Ma non basta ancora: la con-cessione del Rei è comunque su-bordinata all’accettazione di un “progetto personalizzato” di atti-vazione e di inclusione sociale e lavorativa finalizzato “all’affranca-mento dalla condizione di pover-tà” (sic). Il soggetto o la famiglia che ne usufruiscono sono seguiti da operatori sociali del Comu-ne che, tramite una “valutazione multidimensionale” fissano gli obiettivi da rispettare nella ricerca di un lavoro, di una casa, di una scuola, cure mediche ecc, fissan-do un calendario di impegni mo-nitorati. Una procedura tutt’altro che chiara al momento attuale, che richiederà oltretutto un no-tevole aumento della burocrazia e delle relative spese, e che a fronte della drammatica disoccu-pazione e mancanza di abitazioni ad affitto socialmente sostenibile, non si vede proprio a cosa possa

servire, se non come pretesto per diradare il più possibile i sussidi e accorciare il tempo di corre-sponsione dell’assegno.

Ma al di là di tutte queste con-siderazioni, la cosa più importan-te e che noi marxisti-leninisti non ci stanchiamo di ripetere, è che misure come questa del “red-dito di inclusione”, o altre dello stesso genere come il “reddito di cittadinanza” proposto dal M5S, rappresentano un palliativo che serve solo a coprire, e per di più in misura ridicola, le colpe del si-stema capitalistico e dello Stato borghese al suo servizio, la più grave delle quali è la mancanza di lavoro, se non precario, super-sfruttato e sottopagato.

Bisogna invece lottare per rivendicare il lavoro per tutti, a tempo pieno, a salario intero e sindacalmente tutelato, e per

aumentare l’indennità di disoc-cupazione al salario medio degli operai dell’industria per un pe-riodo non inferiore a 3 anni. E in questo quadro occorre lottare per abolire il Jobs Act e tutte le forme di precariato a partire dai nuovi voucher, imporre la stabilizzazio-ne di tutti i precari nella scuola e nella pubblica amministrazione, rivendicare piani straordinari per l’occupazione, in particolare per il Mezzogiorno e per i giovani. Ma anche difendere e rendere effet-tivamente universali, efficienti e adeguati ai bisogni dei lavoratori e delle masse popolari il servizio sanitario pubblico, il sistema pre-videnziale pubblico e l’assistenza sociale alle famiglie disagiate. Tutto ciò non esclude nuovi stru-menti di sostegno al reddito, ma tali strumenti devono integrare e non sostituire il diritto al lavoro.

in un ufficio inps di torino

disoccupata si dà fuoco, salvata da un migrante

Lo scorso 27 giugno una don-na disoccupata di 46 anni si è data fuoco dentro gli uffici dell’In-ps di corso Giulio Cesare che si trovano nel quartiere popolare di Barriera Milano, a Torino, procu-randosi ustioni sul 25% del corpo, tanto da dover essere ricoverata prima all’ospedale San Giovanni Bosco per essere poi trasferita al centro grandi ustionati del Cto. Gli immediati soccorsi prestati soprattutto da un cittadino ma-rocchino, che ha immediatamen-te preso e usato un estintore e da altri presenti hanno evitato danni peggiori rispetto alle gravi ustioni riportate al volto, alle braccia e al torace.

La donna, giunta allo sportello dell’ufficio, ha dapprima pronun-ciato alcune frasi che esprime-vano l’esasperazione per la sua situazione lavorativa, poi ha tirato fuori dalla borsa una boccetta di alcool con cui si è cosparsa e poi altrettanto repentinamente si è data fuoco con un accendino, e il tutto è accaduto tanto veloce-mente da consentire ai presenti di capire cosa stava accadendo solo quando le fiamme avevano iniziato ad ardere.

La donna, già dipendente di una birreria di Settimo Torinese dove da oltre dieci anni svolge-va il servizio di pulizie, era stata licenziata lo scorso 13 gennaio in quanto la società che gestisce l’esercizio commerciale aveva de-ciso di affidare il lavoro di pulizia a una cooperativa, esternalizzan-do il lavoro. Ne era seguita una vertenza sindacale per l’otteni-

mento della liquidazione e, dopo un primo periodo di malattia, la donna aveva chiesto l’indennità di disoccupazione che però l’In-ps aveva erogato soltanto dal 25 maggio in poi per un disguido burocratico, fatto quest’ultimo che ha esasperato la lavoratrice portandola a compiere il gesto estremo.

La tragedia avrebbe potuto

avere un risultato ben più dram-matico se Anas Sabi, il trentenne elettricista marocchino momen-taneamente disoccupato che si trovava in coda nello stesso uffi-cio, non avesse avuto la lucidità di staccare immediatamente un estintore e il coraggio di avvici-narsi alla donna per spegnere le fiamme, in modo tale che il fuo-co ha potuto ardere soltanto per qualche secondo sulla donna.

“Ringrazio il Signore per aver-mi dato la forza di reagire e per avermi fatto rimanere calmo e lucido” ha dichiarato il giovane operaio, che ha aggiunto “prego per lei perché tutto si risolva per il meglio”.

Questa tragedia è un chiaro indicatore delle condizioni rea-li nelle quali si trovano le masse popolari, della tragedia dell’as-senza di lavoro e della dispera-zione di strati sempre più larghi di popolo lavoratore, e a tutti questi fattori si aggiungono le lentezze burocratiche e la diminuzione del personale dell’Inps, criticità che possono lasciare senza sostenta-mento per lunghi periodi di tempo coloro che ne hanno diritto.

a 57 anni dai moti del 30 giugno 1960 che fecero cadere il governo tambroni

cortEo antifaSciSta

a gEnoVa

Venerdì 30 giugno in ben 2 mila hanno partecipato al corteo antifa-scista organizzato a Genova, città Medaglia d’oro della Resistenza, per ricordare i moti del 30 giugno 1960 che fecero cadere il governo Tambroni, ma anche “contro ogni organizzazione fascista e razzista, contro il decreto Minniti e il Daspo urbano, per la solidarietà ai mi-granti contro le frontiere”.

I manifestanti si sono dati ap-puntamento in Piazza Alimonda per muoversi verso Piazza De Ferrari, che nel 1960 fu teatro de-gli scontri di piazza che portarono all’annullamento del congresso del MSI e alle dimissioni del go-

verno targato DC e sostenuto dal MSI di Almirante.

Il corteo si è schierato dietro lo striscione “Genova Antifascista”. “Abbiamo deciso di scendere tut-ti dietro a uno striscione - hanno spiegato gli organizzatori - per sottolineare l’unità dei genove-si di cui in questo momento c’è grande bisogno”. Dal corteo forte si è levato lo slogan “Fuori i fa-scisti dalle città, Genova è solo antifascista”. Alla partenza è sta-ta ricordata la morte del giovane Carlo Giuliani, ucciso da un cara-biniere il 20 luglio 2001 durante le grandiose manifestazioni antim-perialiste contro il G8 di Genova.

Genova 30 giugno 2017. Il corteo antifascista organizzato per ricorda-re la lotta antifascista del 30 giugno 1960 contro il governoTambroni e il congresso del MSI in città

Torino. I soccorsi alla disoccupata che si è data fuoco

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N. 27 - 13 luglio 2017 interni / il bolscevico 3Nuovo imbroglio politico-elettorale degli ex sedicenti comunisti Pisapia, Bersani e D’Alema

“InsIeme” per attIrare l’elettorato dI sInIstra antIrenzIano nella nuova

trappola elettorale rIformIstaFalcone e Montanari non partecipano all’iniziativa concorrente

NoN dare alcuNa Fiducia a chi NoN Mette iN discussioNe il capitalisMo e NoN lotta per il socialisMo

Il 1° luglio in piazza San-ti Apostoli a Roma, sede sto-rica dell’Ulivo prodiano, si è svolta la manifestazione per il lancio di “Insieme”, una costi-tuenda lista elettorale di “cen-tro-sinistra” a cui hanno deciso di dare vita il Campo progres-sista dell’ex sindaco di Milano, Giuliano Pisapia e i fuoriusci-ti dal PD renziano di Artico-lo 1-MDP guidati da Bersani e D’Alema. Fondendosi “non a freddo ma a caldo, gradual-mente”, come ha voluto pun-tualizzare il suo leader di fatto, Pisapia.

Una piazza non grande ri-empita da alcune migliaia di persone, prevalentemente di aperti sentimenti antirenzia-ni, dominata dall’arancione di centinaia di palloncini (co-

lore simbolo dell’ex sindaco di Milano), e dal rosso stin-to con ampie zone di bianco e di verde delle bandiere di Art.1- MDP, più qualche ban-diera dei Verdi. Erano presenti a titolo personale la presiden-te della Camera Laura Boldri-ni e il senatore Luigi Manconi, ma anche diversi esponen-ti del PD cosiddetti “pontieri” (perché si assumono il ruo-lo di fare da ponte tra il PD e “Insieme”), come Andrea Or-lando, Gianni Cuperlo, Cesa-re Damiano, Nicola Zingaretti e Davide Sassoli (in veste di osservatore per conto di Fran-ceschini, che dopo la batosta elettorale alle amministrative sta cercando di smarcarsi da Renzi).

C’erano in piazza anche i

lavoratori de “l’Unità”, che mo-stravano la prima pagina del giornale con scritto “rottama-ti dal PD” e la prima pagina del nuovo organo persona-le online, “Democratica”, che Renzi si è fatto al suo posto. Presenti anche delegazioni di Possibile di Pippo Civati e di Sinistra italiana, con Ste-fano Fassina ma senza il co-ordinatore Nicola Fratoianni, come a marcare la distanza tra il progetto di “nuovo cen-tro-sinistra” di Bersani e Pisa-pia e il progetto di “nuova sini-stra” di SI, ma anche di Anna Falcone e Tomaso Montanari, che difatti non sono stati invi-tati e nemmeno hanno voluto partecipare sapendo che non li avrebbero fatti parlare dal palco.

Recuperare i voti degli astensionisti

antirenzianiQuanto a Renzi, col qua-

le Pisapia aveva cercato fino all’ultimo di mantenere aperto un dialogo per una possibile alleanza elettorale tra “Insie-me” e il PD, nel quadro di una futura riedizione di una coali-zione di “centro-sinistra” cal-deggiata anche da Prodi, ha fatto invece terra bruciata in-torno all’iniziativa dell’ex sin-daco di Milano e dei fuoriusci-ti del suo partito, arrivando a convocare nello stesso giorno della manifestazione di Roma un’adunata generale delle sue truppe cammellate in maglietta gialla a Milano, spacciata per “Forum nazionale dei circo-li del PD”. Intervenendo nella quale ha sparato a zero e non ha risparmiato pesanti sarca-smi contro la manifestazione di Santi Apostoli. Non per nulla lo slogan dell’adunata era “Ita-lia 2020”, come a sottolineare che il suo PD guarda al futu-ro, mentre il progetto di “nuo-vo centro-sinistra” di “Insieme” guarda al passato.

Lo scopo dichiarato della nuova lista di Pisapia, Bersa-ni e D’Alema è quello di ripor-tare alle urne gli astensionisti di sinistra che hanno lascia-to progressivamente il PD di Renzi, facendo balenare da-vanti ai loro occhi lo specchiet-to per le allodole di un proget-to politico che riporti indietro le lancette dell’orologio a prima dell’era renziana, rispolveran-do a questo scopo la stagione dell’Ulivo e dei governi di “cen-tro-sinistra” prodiani: “Per una sinistra di governo che pren-da la forma di un centrosini-stra plurale”, in viaggio verso una “nuova soggettività politi-ca in radicale discontinuità con questi anni”, come lo ha defini-to Bersani. “Una casa comune per una nuova sinistra, per un nuovo centrosinistra, per un progressismo moderno e rivo-luzionario”, come l’ha chiama-ta Pisapia.

E non a caso l’astensioni-smo di sinistra, mai emerso in modo così clamoroso come in queste ultime amministrati-ve, è stato il tema centrale che ha dominato volente o nolente la manifestazione: a comincia-re dal discorso di presentazio-ne del prodiano e ex membro di Lotta continua Gad Lerner, che ha evocato lo “sciope-ro del voto” di tanti elettori del PD nel quale “si trovano ragio-ni molto serie”. Continuando con Bersani, che ha comincia-to il suo discorso dichiarando che “vogliamo rivolgerci a tut-to quel popolo di centrosinistra che se ne sta a casa sfiducia-to”, e che già prima di noi “ave-va fatto la stessa scelta come migliaia di militanti usciti silen-ziosamente dal PD”. E finendo con Pisapia, che nel suo inter-vento conclusivo ha detto che “la sconfitta elettorale del cen-

trosinistra ci chiede una casa comune e di s aper riconosce-re le ragioni dello sciopero del voto”.

Ritorno al “centro-sinistra” modello Prodi

E che cosa offrono questi vecchi imbroglioni politici – gli ex sedicenti comunisti Bersani e D’Alema e l’ex “sessantotti-no” legato ad “Autonomia ope-raia” e a “Prima linea” che pro-pagandavano la rivoluzione prima di riciclarsi in DP e nel PRC bertinottiano e poi pro-porsi come leader liberale e ri-formista “arancione”, Pisapia – agli antirenziani astensio-nisti in cambio del loro voto? Parlano di “radicale disconti-nuità” con la politica renzia-na, ma con questo intendono semplicemente un suo riag-giustamento riformista di vaga impronta socialdemocratica. E senza neanche escludere in maniera chiara e netta una possibile estensione della loro futura coalizione di “centro-si-nistra” ad un PD senza Ren-zi (Bersani e D’Alema), se non addirittura in coabitazione con lo stesso nuovo duce, se cam-biasse idea rispetto al suo veto attuale (Pisapia).

Bersani, infatti, ha premuto sì il tasto dell’antirenzismo per ingraziarsi la piazza, suscitan-do ovazioni ogni volta che at-taccava il PD e le “camarille” e i “gigli magici” che lo gover-nano, ma solo per portarla ac-cortamente verso l’idea che creare una “alternativa al ren-zismo” e rifare il “centro-sini-stra” significa né più né meno che tornare a quello degli anni ’90, quando – ha detto - “noi abbiamo vinto ovunque, in Eu-ropa come negli Usa, perché noi proponevamo una globa-lizzazione dal volto umano”. E che bisogna restare rigorosa-mente “dentro il progetto eu-ropeo”.

D’Alema è stato ancora più chiaro, rivelando che per lui si tratta solo di far fuori Renzi e riprendersi il PD così come lui e gli altri rinnegati lo avevano ridotto prima che il nuovo duce finisse di completare l’opera: “Andremo alle elezioni – ha di-chiarato ai giornalisti in piazza - ognuno con la sua piattafor-ma. Se noi avremo un grande successo, come io spero, sarà possibile riaprire un discor-so col Partito democratico per spingerlo a tornare ad essere una forza che vuole fare il cen-trosinistra”.

Le ambiguità di Pisapia verso Renzi e il PDQuanto a Pisapia – e que-

sto la dice lunga sul personag-gio e il suo disegno, che non coincide del tutto con quello di MDP e spera ancora in un accordo col PD, quantomeno con le correnti di Orlando, Cu-perlo e ora anche Franceschi-ni, che aprono ad un discorso di coalizione di “centro-sini-

stra” – lui Renzi e il renzismo non li ha nemmeno mai nomi-nati. Anzi, ha evitato perfino di nominare il PD, tanto da spa-zientire la piazza che si è ac-corta della sua ambiguità e in qualche passaggio glielo ha pure fatto rumorosamente no-tare. Come quando l’ex sinda-co ha evocato le “differenze tra noi e la destra, ma purtrop-po non solo tra noi e la destra”: “E dilla la parola PD!”, qualcu-no ha sbottato dalla piazza.

Non a caso i “pontieri” del PD venuti alla manifestazio-ne - Orlando, Cuperlo e Zinga-retti in particolare - hanno tutti cercato di sottolineare alla fine che il progetto di “Insieme” non è alternativo ma comple-mentare a quello del PD, e che l’unità tra i due soggetti politici è possibile.

E non a caso Falcone e Montanari, nel motivare le ra-gioni del loro rifiuto di parteci-pare senza diritto di parola alla manifestazione concorrente a quella da loro convocata al Brancaccio, in quanto chiama-ti solo ad “interpretare il ruolo del popolo che legittima, con la sua plaudente presenza, la consacrazione di un leader (Pisapia, ndr) e di un percorso (il ritorno alla politica di “cen-tro-sinistra”, ndr) già decisi, e decisi dall’alto”, così mettono in evidenza le contraddizioni e l’opportunismo del proget-to di “Insieme”: “Si ripete che non si vuol fare una sinistra, ma un centro-sinistra. Se si tratta di costruire politiche di compromesso, di fatto in con-tinuità con le scelte degli ultimi vent’anni, non siamo d’accor-do. Si ripete che si vuol costru-ire un centro-sinistra ‘di gover-no’, ma si dice anche di voler essere ‘alternativi’ al PD. Vor-remmo capire come si scioglie questo nodo. E crediamo che lo si debba capire prima, e non dopo, il voto”.

Dunque, come abbiamo già detto per il progetto di Falco-ne e Montanari, e a maggior ragione di questo, col proget-to “Insieme” degli ex sedicen-ti comunisti Pisapia, Bersani e D’Alema siamo di fronte solo a un nuovo imbroglio politico- elettorale per attirare l’eletto-rato di sinistra antirenziano in una nuova trappola elettorale riformista. In questo caso una trappola smaccatamente a de-stra di quella del Brancaccio, perché ripropone la stessa po-litica di “centro-sinistra” che ha aperto la strada al liberismo economico, al precariato, alla cancellazione dei diritti dei la-voratori e dello Stato sociale, alle privatizzazioni, alle con-troriforme neofasciste, all’in-terventismo in politica estera, al berlusconismo e al renzi-smo.

Non bisogna dare alcuna fiducia a chi ha già fatto tutto questo, e comunque a chi non mette in discussione il capita-lismo e non lotta per il socia-lismo.

A “PoRtA A PoRtA”

Di Maio: “Nel M5S i valori di Berlinguer, Almirante e DC”ammissione e vanto del trasversalismo del movimento

Nelle intenzioni voleva es-sere una grande trovata per mietere i consensi elettora-li, nei fatti è stato un tremen-do autogol. Luigi Di Maio, candidato premier in pecto-re del Movimento 5 Stelle, ha dichiarato a “Porta a por-ta” del 19 giugno scorso che nel Movimento “c’è chi porta avanti i valori di Berlinguer, chi della DC e chi di Almiran-te”. Ovvero che il M5S è un movimento trasversale in cui insomma chiunque potreb-be riconoscersi e che chiun-que potrebbe votare. Un po’ come farsi vanto del non ave-re un’univoca identità politica e presentare il M5S come l’erede del revisionismo che ha tradito il proletariato e la rivoluzione socialista fino a dar vita al famigerato “com-promesso storico”, erede del centrismo democristiano che ha garantito il trapasso indo-lore del sistema capitalistico dopo la caduta del fascismo in nome dell’anticomunismo e della fedeltà alla Nato ed erede di quell’ex fucilatore di partigiani che ha permes-so ai repubblichini ed epigoni mussoliniani di continuare a impestare indisturbati l’Italia uscita dalla Resistenza.

Questo era l’intento di Di Maio, anche se il suo occhio strizzava più a destra, visto che al primo turno delle am-ministrative tentava di impe-dire che una fetta del’eletto-rato di destra abbandonasse il M5S. Tanto da incassa-re l’appoggio della vedova di Almirante, donna Assunta (“ah quel Di Maio, un ragaz-zo molto gradevole”), la ma-drina nera di tutte le bande

fasciste post-missine. Que-sta operazione demagogi-ca e maldestra, finalizzata a raccattare voti a destra, al centro e a sinistra ha tuttavia messo in luce la vera natu-ra eclettica e opportunista di tale movimento che intende racchiudere in sé tutte le sfu-mature delle diverse corren-ti borghesi e capitalistiche. È facile e a buon mercato ri-chiamarsi a Berlinguer per raccogliere consensi trasver-sali per via dell’aura di santi-ficazione che il riformismo ha creato attorno alla sua figura come esempio di rettitudine morale rispetto ai politican-ti d’oggi. Ma si è guardato bene dal proclamarsi erede, per esempio, della Resisten-za e dei gloriosi partigiani.

Davanti alle obiezioni pio-vutegli addosso, Di Maio ha cercato di rimediare (piut-tosto malamente) rincaran-do la dose il giorno succes-sivo a un comizio ad Ardea (Roma): “Ieri mi sono per-messo di dire una cosa mol-to semplice: noi siamo post-ideologici. Significa che non siamo né la destra, né la si-nistra, perché la destra era quella che doveva stare con le imprese e coi privati e poi ha fatto Equitalia, mentre la sinistra era quella che dove-va stare con gli operai e ha abolito l’articolo 18”. Interes-sante, visto che per i Cinque-stelle i sindacati andrebbero aboliti, proprio come nei mi-gliori sogni di Renzi e dei vari Marchionne.

Che il M5S non abbia un’u-nivoca identità politica tran-ne le decisioni prese dall’al-to da Casaleggio e Grillo, è

chiaro da tempo. Che il tan-to decantato trasversalismo ideologico nasconda in real-tà un’operazione demagogi-ca atta a raccogliere i delu-si della politica parlamentare per incanalare questa rabbia nelle istituzioni, lo diciamo sin da quando il Movimento cominciava a imporsi come forza politica di rilievo. Al-lora lucrava sulle rovine del “centro-sinistra” parlamenta-re e pescava soprattutto nel mare dell’astensionismo di sinistra, oggi si sposta sem-pre più a destra facendo a gara con Salvini su chi la spara più grossa e razzista.

Sono sempre più lonta-ni i tempi in cui il M5S vole-va aprire il parlamento come una scatoletta di tonno! Oggi, che già governa in nome del capitalismo tante ammini-strazioni locali come Roma e Torino, cerca di mostrarsi presentabile ai grandi poten-tati economici e istituzionali in vista di un eventuale futu-ro governo Cinquestelle.

Vorremmo ricordare a quanti hanno residue fidu-cie nel M5S che da sempre è abitudine dei fascisti e dei peggiori demagoghi antico-munisti spergiurare di “es-sere non di destra né di si-nistra”, esattamente come si presentò agli esordi lo stes-so Mussolini. Ci rifletta chi ancora in buona fede con-fida nel M5S e lo abbando-ni al suo destino. Il cambia-mento, quello vero, passa dalla lotta di classe contro il capitalismo per il socialismo, non certo attraverso gli im-brogli e i trasformismi penta-stellati.

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4 il bolscevico / interni N. 27 - 13 luglio 2017

Supersfruttamento delle braccianti nei campi pugliesi

Oltre 10 Ore di lavOrO al giOrnO per 60 eurO e inSulti SeSSiSti

Tre arresti e quattro indagati tra imprenditori e caporaliL’inchiesta è partita dalla co-

raggiosa denuncia di Annunziata, bracciante nei campi di Poligna-no a Mare, nel Brindisino, pestata per aver avuto il coraggio di ribel-larsi (pochi giorni dopo la morte di Paola Clemente, la contadina ammazzata dalla fatica nei campi di Andria nel luglio 2015) ai capo-rali, tra cui tre donne, che da una busta paga apparentemente re-golare la costringevano a versare 10 euro per ogni giornata lavora-tiva a titolo di rimborso spese per carburante e trasporto.

Insieme ad Annunziata si sono ribellate anche Rosanna, Katiuscia, Angela, Carmela e almeno un’altra dozzina di braccianti, in stragran-de maggioranza italiane, tutte tra i venti e i sessant’anni ridotte pra-ticamente in schiavitù, che ai ca-rabinieri del comando provinciale di Brindisi hanno raccontato uno scenario di supersfruttamento, minacce, vessazioni, umiliazioni, botte e insulti sessisti.

Le braccianti erano costrette a lavorare per dieci e più ore al giorno a fronte delle otto stabili-te dal contratto nazionale e ben oltre le 6,5 ore dichiarate in busta paga con tanto di truffa all’Inps; la giornata di lavoro inziava spes-so alle 3 del mattino e durava fino a pomeriggio inoltrato per 7 giorni su 7. In cambio, invece della paga di 130 euro lorde gior-naliere, le braccianti percepivano meno di 60 euro. Somma che poi veniva taglieggiata dai caporali di ulteriori 10 euro per le cosiddette “spese di trasporto” che consi-stevano nel caricare le braccianti su un furgoncino le cui portiere venivano chiuse dall’esterno per meglio controllarle durante il tra-

sporto verso i campi di lavoro.I racconti delle angherie e

del brutale sfruttamento subito dalle braccianti nel corso degli anni sono ora parte integrante dell’ordinanza con cui il Giudice per indagini preliminari (Gip) di Brindisi Paola Liaci il 21 giugno ha disposto l’arresto con l’accu-sa di intermediazione illecita (ov-vero caporalato) nei confronti di Anna Maria Iaia (50 anni, di San Vito dei Normanni), dipendente dell’azienda 2 Erre srl di Ostuni, che secondo l’accusa gestiva un giro di associazione per delin-quere dedita allo sfruttamento. Ai domiciliari è finito Giuseppe Bello (49 anni, di San Michele Salen-tino) e Anna Errico (73), rispetti-vamente autista del pulmino che conduceva le braccianti nei cam-pi dove erano richieste e la madre della caporale.

Secondo il Gip, Bello eserci-tava anche l’attività di vigilanza sulle prestazioni lavorative della squadra di braccianti che lui con-trollava, impegnata nel magazzi-no o nelle campagne, per conto dell’azienda brindisina. Nelle car-te dell’inchiesta si legge che l’uo-mo concordava con la stessa Iaia le assunzioni. Fra il gennaio 2015 e nel novembre 2016 avrebbero reclutato 22 braccianti agricoli trasportandoli quotidianamente da San Vito dei Normanni a Ca-rovigno a bordo di un veicolo Fiat Ducato intestato proprio alla 2 Erre srl, e di un veicolo Fiat Scudo di proprietà della donna. L’attività di caporalato sarebbe proseguita anche tra il 4 novembre 2016 e l’1 marzo 2017, quando avrebbero reclutato almeno altri 28 operai, dai quali si sono fatti consegnare

copia dei documenti di identità e dei tesserini di Codice fiscale da utilizzare per i contratti di lavo-ro e le buste paga. Gli inquiren-ti hanno visionato i registri delle presenze e delle paghe dove, a fronte di un totale complessivo di salario lordo pari a 131,97 euro, veniva invece corrisposta la paga giornaliera di appena 59,53 euro.

Le braccianti ricevevano ogni mese dalla Iaia l’assegno dello stipendio e relativa busta paga, insieme con un bigliettino scritto a mano sul quale era annotata la somma da dover restituire in nero per onorare il debito dei 10 euro giornalieri. Quindi, dopo aver in-cassato l’assegno in banca tor-navano a casa della donna per consegnare l’importo da restitui-re. Addirittura, è stato documen-tato, secondo quanto riferito dal procuratore facente funzioni di

Brindisi, Raffaele Casto, un ten-tativo di inquinamento delle pro-ve, provando a costringere alcuni braccianti a negare di aver cor-risposto i 10 euro per il trasporto.

Indagate a piede libero altre quattro persone: tra questi il tito-lare dell’azienda 2 Erre srl, Fran-cesco Semerano, di Ostuni.

I carabinieri hanno effettuato anche una serie di intercettazio-ni telefoniche e ambientali da cui emerge il lato più odioso di questa vicenda, ossia gli insul-ti sessiti che Bello rivolgeva alle braccianti tra cui: “Zoccola, put-tana, fai veloce che stasera è tar-di sennò facciamo notte” e tanti altri epiteti in gra parte censura-ti dal Gip. Mentre la Iaia in una conversazione telefonica intima a una bracciante: “Tu non capisci un cazzo di quante giornate hai fatto... Quando ti arriva la disoc-

cupazione un bacio in fronte mi devi dare, hai capito? Un bacio in fronte”.

Appena due giorni prima sem-pre la procura di Brindisi aveva tratto in arresto altri quattro ca-porali aguzzini, tutti italiani; con l’accusa di aver sfruttato nei campi di ciliegie e nelle vigne di Turi, in provincia di Bari, almeno 15 donne (italiane e due stranie-re) originarie del brindisino e del tarantino. Anche in questo caso, orari ben oltre le 6 ore e mezza del contratto e paghe decurtate condito dai medesimi e orrendi insulti sessisti: “Alle femmine piz-za (l’organo genitale maschile in dialetto pugliese, ndr) e mazzate altrimenti non imparano” e anco-ra “femmine, mule e capre tutte con la stessa testa”.

Ciò conferma che il tanto sbandierato “Ddl organico per il contrasto al fenomeno del capo-ralato e contro lo sfruttamento del lavoro nero in agricoltura” sban-dierato ai quattro venti dal nuovo duce Renzi il 13 novembre 2015, in realtà non torce un capello agli schiavisti delle campagne.

Il fenomeno del caporalato in Italia è una piaga sempre più estesa e radicata. E la novità è che negli ultimi due anni c’è stato un aumento costante della manodopera femminile: donne ghettizzate, violentate e sfruttate che vanno lentamente a sostitui-re i braccianti di sesso maschile, Secondo i dati raccolti dalla Flai Cgil le straniere schiavizzate in agricoltura sono 15mila (contro i 5mila uomini). Sono quasi sem-pre giovani mamme, ricattabili proprio perché hanno figli piccoli da mantenere. Un dato impres-

sionante, che si somma ad un altro elemento preoccupante: il numero sempre crescente delle lavoratrici italiane, che, se non schiavizzate, sono comunque gravemente sfruttate: sempre secondo le stime del sindacato, in Campania, Puglia e Sicilia, le tre regioni a maggiore vocazione agricola, sono almeno 60mila, in proporzione crescente rispetto alle straniere. Vengono pagate 3-4 euro l’ora, ma anche meno in alcuni territori, e costrette a turni massacranti.

In Puglia sono tra le 30 e le 40mila le donne gravemente sot-topagate, a cui si aggiungono diverse altre migliaia in Campa-nia e in Sicilia. A volte partono alle tre di notte e tornano a casa a pomeriggio inoltrato. I caporali intascano 12 euro per ogni donna che hanno “procurato”. Anche se hanno un regolare contratto, ven-gono pagate 20-25 euro al gior-no. Mentre sulla busta paga ne risultano 45. Succede soprattutto nel Casertano e nel Salernitano. “Mentre lavorano - denuncia an-cora il sindacato - le donne ven-gono controllate da un guardiano, che grida continuamente di non distrarsi e di essere più veloci. Per andare in bagno hanno 10 minu-ti a turno. E se qualcuna si rifiuta di andare sui campi in un giorno di festa, come il 15 agosto, viene ‘punita’: per qualche giorno non la fanno lavorare”. E se una ragazza è considerata troppo ribelle non viene scelta. Le donne seleziona-te vengono caricate sui furgoni o ammassate - anche in 30 - in ca-mion telonati. Per questo traspor-to bestiame ogni lavoratrice paga fino a 10-12 euro a viaggio.

COntrO le beStiali COndiziOni di lavOrO

Sciopero di 8 ore negli stabilimenti Fiat/FcaIl 30 giugno gli operai di tutti

gli stabilimenti Fca (Fiat): da Cas-sino a Melfi, da Termoli a Pomi-gliano e Mirafiori hanno attuato uno sciopero di otto ore indetto dai “sindacati di base” per prote-stare contro le bestiali condizioni di lavoro imposte dal nuovo Val-letta della Fca Marchionne.

Nonostante la multinazionale cerchi di darsi una verniciata di “modernità”, “etica” e “collabo-razione aziendale” le condizioni di lavoro che impone ricordano molto da vicino quelle del capita-lismo ottocentesco.

Il “Modello Marchionne” che tanto piace al nuovo duce Renzi e ai pescecani capitalisti italiani che lo hanno imposto ormai in quasi tutte le grandi aziende, prevede ritmi e turni di lavoro massacranti ivi compresi i sabati e le domeni-che che ormai sono diventati uffi-cialmente giorni lavorativi; salari da fame legati esclusivamente alla produttività e regolati da una contrattazione aziendale di stam-po corporativo e filopadronale che di fatto ha abolito il contratto collettivo nazionale; deportazio-ne dei lavoratori più combattivi e sindacalizzati nei reparti confino a suon di minacce e ricatti; infortuni che vengono occultati dall’azien-da; mensa spostata a fine turno e pause azzerate e/o centellinate anche per andare in bagno insie-me a qualsiasi altra fase “impro-duttiva” che non genera profitto per l’azienda; forte limitazione del

diritto di sciopero e di tutti gli altri diritti acquisiti e messa al bando dei sindacati che non firmano ac-cordi aziendali.

Un modello che si sposa per-fettamente con la legge sulla rappresentanza firmata a giugno 2014 che limita fortemente la de-mocrazia nelle fabbriche e con il Jobs Act dà la possibilità ai pa-droni di licenziare come e quan-do vogliono. In questo modo si cancellano le vecchie relazio-ni industriali e sindacali fin qui consolidate sostituite con quelle “nuove” di stampo mussoliniano perché come nel fascismo i diritti dei lavoratori sono calpestati in nome degli interessi supremi del capitalismo nazionale. Un model-lo fatto proprio dai maggiori sin-dacati italiani, a cui si è accodata anche la Fiom, rinnegando le lot-te contro l’articolo 18 e contro lo stesso Marchionne, a cominciare da quella dello stabilimento di Pomigliano.

La ricerca del massimo pro-fitto porta Melfi a “causa di una temporanea situazione di merca-to, legata a motivi congiunturali” a mandare in cassa integrazione tutti gli addetti alla linea di produ-zione produttiva della Jeep Rene-gade a partire dal 29 giugno fino a tutto il 2 luglio e poi ancora dal 26 al 29 luglio.

Mentre a Cassino i “sindacati di base” manifestano davanti ai cancelli per denunciare che “la Fiat vive alla giornata, fa lavorare

metà di noi a ritmi impossibili e con pause ridotte e l’altra metà la tiene a casa con gli ammortizza-tori sociali”.

A Cassino si deportano 300 lavoratori perché dei tre modelli prodotti (Giulietta, Giulia e il Suv Stelvio) tira solo il Suv. Per gli ad-detti alla Giulietta ci sarà un fermo lavorativo estivo più lungo mentre la Giulia, per ora, non ha centrato gli obiettivi di vendita. Fca aveva annunciato assunzioni ma, nei fatti, il numero dei nuovi addetti è stato di un terzo inferiore rispetto alle intenzioni: 330 arrivano ogni giorno in pullman da Pomiglia-no (almeno tre ore di viaggio al giorno per circa 500 euro in più

in busta paga), 730 sono a tempo determinato in somministrazione. Fca ne voleva trasferire 500 da Pomigliano ma hanno accettato 170 di meno e già non ne pos-sono più, tanto che sono partiti i primi scioperi.

In una nota congiunta Si Co-bas Fca Pomigliano, Usb Fca Melfi, Cub Fca Melfi/Basilicata, Operai autorganizzati Fca Termo-li, “Un gruppo di operai iscritti a Fiom Cassino”, “Usb Fca Termo-li”, Cobas Fca Mirafiori e Cobas lavoro privato mettono in rela-zione le diverse sorti degli sta-bilimenti: “A Melfi dal 29 giugno tutta la fabbrica sarà in cassa integrazione, e altri operai depor-

tati a Termoli”. L’accusa all’azien-da è di “spremere il limone il più possibile e fino a quando può. A Termoli si sciopera contro i turni massacranti: stanno spremendo e massacrando gli operai a 20 turni con sabato e domenica la-vorativi”.

Non va bene neppure a Mira-fiori, dove a fine giugno sono stati annunciati altri 800 esuberi e a settembre termineranno gli am-mortizzatori sociali per altri 867 lavoratori delle Carrozzerie. Nello stabilimento torinese si realizza il Suv Maserati Levante e la Mito, che non hanno avuto come as-sicurava Marchionne, un grande successo di pubblico, tanto che una parte degli operai è già stata trasferita in pianta stabile a Gru-gliasco.

Ancora peggio se la passano gli operai di Pomigliano d’Arco dove ci sono mille e 81 lavora-tori con il famigerato contratto di solidarietà recentemente rin-novato per un altro anno. Nello stabilimento partenopeo si pro-duce un modello solo, la Panda: nonostante i volumi continuino a crescere (più 16,9% nel 2016; più 5,6% nei primi tre mesi del 2017) e le linee siano passate da 360 vetture a turno a circa 440, a cau-sa dei ritmi di lavoro forsennati e della ricerca del massimo profit-to, molti operai sono ancora in Cig o deportati in altri stabilimen-ti. Inoltre va detto che dal 2020 la Panda tornerà a essere prodotta

in Polonia, da dove Marchionne l’aveva importata, ma nessuno sa da cosa sarà sostituita e soprat-tutto che fine faranno i lavoratori. E pensare che fu proprio Mar-chionne a promettere che entro il 2018 avrebbe varato un nuovo piano industriale con l’obiettivo di raggiungere un milione e 400mila veicoli prodotti in Italia e la piena occupazione di tutto il personale. Un obiettivo che non sarà realiz-zato dal memento che a Pomi-gliano occorrono circa nove mesi per industrializzare un nuovo mo-dello.

A settembre si discuterà del loro rientro, ma c’è chi si mette in viaggio da Bari e da Foggia pur di lavorare. “A Pomigliano hanno rischiato la chiusura, poi sono stati in cassa integrazione a zero ore, quindi in solidarietà, alla fine hanno accettato di anda-re a Cassino pur di lavorare ma è una situazione che non si può sostenere a lungo – sostengono i sindacati - tutti i siti chiedono nuovi modelli. Fca ha presentato nei saloni di settore il Renegade con motore elettrico ma lo pro-durrà in Cina. Tutti i concorrenti europei investono nell’elettrico e nell’ibrido, soprattutto in vista delle nuove prescrizioni dell’Ue sulle emissioni di CO2. Gover-no e azienda devono investire in questa direzione, invece di conti-nuare ad aumentare la flessibilità dei lavoratori”.

Presidio di protesta di lavoratori della FCA di Cassino. Accanto lom striscione con una sintesi delle rivendicazioni

Braccianti al lavoro nei campi della Puglia

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N. 27 - 13 luglio 2017 le critiche di bergoglio / il bolscevico 5Rivolgendosi ai sindacalisti della Cisl

Il papa denunCIa l’età tRoppo alta delle pensIonI“Pensiamo al 40% dei giovani che non hanno lavoro”. “Le pensioni d’oro sono un’offesa come le

pensioni troppo povere”CritiChe ai sindaCati Che non fanno iL Loro dovere

Lo scorso 28 giugno, rice-vendo i delegati della CISL nell’Aula Paolo VI in Vaticano, papa Francesco ha rivolto dure critiche contro il complessivo assetto delle condizioni lavora-tive e delle sperequazioni pen-sionistiche all’interno delle so-cietà capitalistiche avanzate, e contemporaneamente ha mos-so un vero e proprio atto di ac-cusa nei confronti dei sindacati che, venendo meno allo scopo per il quale essi sono nati, non fanno il loro dovere a tutela dei lavoratori.

Mettendo in evidenza la fun-zione sociale del lavoro all’in-terno delle società umane, Francesco ha affermato che “la persona si realizza in pienez-za quando diventa lavoratore, lavoratrice” aggiungendo d’al-tra parte che il lavoro non può essere uno strumento di schia-vitù per i salariati, bensì uno strumento di emancipazione umana all’interno della società, in quanto, continua il pontefice con espresso riferimento ai gio-vani e ai pensionati, “la persona non è solo lavoro, perché non sempre lavoriamo, e non sem-pre dobbiamo lavorare”.

Dopo avere poi riconosciuto il diritto allo studio per bambini e ragazzi, da lui considerato un fondamentale periodo di forma-zione della vita in vista, anche ma non solo, del traguardo lavo-rativo che dovrà avvenire in età adulta, Francesco si sofferma sul periodo della vita dell’uomo nel quale egli avrà cessato l’at-tività lavorativa, condannando questo sistema economico e sociale che prevede, in campo pensionistico, sperequazioni e diseguaglianze tanto elevate da diventare strutturali: “le ‘pensio-ni d’oro’ - continua infatti il pon-tefice - sono un’offesa al lavoro non meno grave delle pensioni troppo povere, perché fanno sì che le diseguaglianze del tempo del lavoro diventino perenni”.

L’intervento di Francesco prosegue poi mettendo in luce due fondamentali contraddizio-ni sociali - tra loro strettamente correlate - delle società capita-listiche avanzate, ossia da una parte l’eccessivo e innaturale allungamento, diventato ormai strutturale, della vita lavorativa e dall’altra la disoccupazione giovanile, diventata anche essa ormai strutturale: “È una socie-tà stolta e miope - afferma Ber-

goglio - quella che costringe gli anziani a lavorare troppo a lun-go e obbliga una intera genera-zione di giovani a non lavorare quando dovrebbero farlo per loro e per tutti. Quando i giovani sono fuori dal mondo del lavoro, alle imprese mancano energia, entusiasmo, innovazione, gioia di vivere, che sono preziosi beni comuni che rendono migliore la vita economica e la pubblica fe-licità. È allora urgente un nuovo patto sociale umano, un nuovo patto sociale per il lavoro, che riduca le ore di lavoro di chi è nell’ultima stagione lavorativa, per creare lavoro per i giovani che hanno il diritto-dovere di lavorare”. Sul tema della disoc-cupazione giovanile peraltro fornisce numeri ben precisi, di-mostrando di avere ben chiara la drammatica situazione socia-le di questa fase del capitalismo in Italia: “Pensiamo - prosegue Francesco - al 40% dei giovani da 25 anni in giù, che non han-no lavoro. Qui. In Italia”.

Critica al capitalismoUn’altra parte significativa

dell’analisi la riserva alla critica a quei sindacati che si disco-stano dallo scopo per il quale essi sono nati, ossia la tutela dei lavoratori, soprattutto quelli più deboli. Francesco, ricor-dando che nell’antico Israele una delle funzioni istituzionali dei profeti - egli cita Amos - era quella di scagliarsi contro tutte

le ingiustizie, comprese quelle sociali, considera il sindaca-to un’espressione del profilo profetico della società: “nelle nostre società capitalistiche avanzate il sindacato rischia di smarrire questa sua natura profetica, e diventare troppo simile alle istituzioni e ai poteri che invece dovrebbe critica-re. Il sindacato col passare del tempo ha finito per somigliare troppo alla politica, o meglio, ai partiti politici, al loro linguaggio, al loro stile. E invece, se manca questa tipica e diversa dimen-sione, anche l’azione dentro le imprese perde forza ed effica-cia”. Più avanti afferma senza giri di parole all’uditorio com-posto dai dirigenti della Cisl che “la corruzione è entrata nel cuo-re di alcuni sindacalisti”. Degno di nota è il fatto che Bergoglio nomina espressamente il siste-ma capitalistico avanzato, per cui la sua non è una vaga critica riservata genericamente a ogni sistema sociale, bensì essa è espressamente dedicata al si-stema capitalista nella sua fase più avanzata, e ancora più de-gna di nota è la critica ad ogni forma di istituzionalizzazione del sindacato all’interno della società capitalista, in quanto se un sindacato, all’interno di un sistema economico dominato dalla borghesia, abbandona il principio della lotta a favore dei lavoratori per integrarsi siste-ma dominante borghese, esso smarrisce quello che Bergoglio definisce “natura profetica”.

E poi aggiunge che lo sco-po dei sindacati non è soltanto quello di proteggere i lavoratori o i pensionati, ma anche i di-soccupati e le fasce più deboli della società (come le donne e i migranti, che in un altro passo del suo discorso egli menziona), e indica nella condizione del di-soccupato quella di un essere umano escluso, oltre che dal poter vivere dignitosamente in termini economici, anche dai diritti e dalla stessa vita demo-cratica della società: “Anche il sindacato - afferma Francesco

- deve vigilare sulle mura della città del lavoro, come sentinel-la che guarda e protegge chi è dentro la città del lavoro, ma che guarda e protegge anche chi è fuori delle mura. Il sinda-cato non svolge la sua funzione essenziale di innovazione so-ciale se vigila soltanto su coloro che sono dentro, se protegge solo i diritti di chi lavora già o è in pensione. Questo va fatto, ma è metà del vostro lavoro. La vostra vocazione è anche pro-teggere chi i diritti non li ha an-cora, gli esclusi dal lavoro che sono esclusi anche dai diritti e dalla democrazia”.

perché i sindacati sono lontani dai

lavoratoriLa parte finale del suo di-

scorso è dedicata al rapporto tra capitalismo contemporaneo e depotenziamento della funzio-ne del sindacato in tale ambito, e la spiegazione del pontefice, abbastanza semplicistica, parte dal fatto che è il sistema capita-lista ad essersi dimenticato del valore del sindacato in quanto, a suo dire, avrebbe dimenticato la natura sociale dell’economia: “Il capitalismo del nostro tem-po - afferma il pontefice - non comprende il valore del sinda-cato, perché ha dimenticato la natura sociale dell’economia, dell’impresa. Questo è uno dei peccati più grossi. Economia di mercato: no. Diciamo econo-mia sociale di mercato, come ci ha insegnato San Giovanni Paolo II: economia sociale di mercato. L’economia ha dimen-ticato la natura sociale che ha come vocazione, la natura so-ciale dell’impresa, della vita, dei legami e dei patti. Ma forse la nostra società non capisce il sindacato anche perché non lo vede abbastanza lottare nei luo-ghi dei ‘diritti del non ancora’: nelle periferie esistenziali, tra gli scartati del lavoro”. Ovviamente è una grande illusione pensare che la borghesia possa aver

‘dimenticato’ il valore sociale dell’economia e dell’impresa, perché sarebbe meglio dire non solo che non ha mai conosciuto tale valore, ma che addirittura è nato in antitesi assoluta con tale valore. La perdita di credi-bilità del sindacato nelle società capitalistiche avanzate sta nel fatto che esso si è istituzionaliz-zato: difende più le compatibili-tà capitalistiche che gli interessi dei lavoratori.

In nome del solidarismo interclassista ciò che manca completamente nell’analisi di Bergoglio è ogni riferimento alla lotta di classe quale forza mo-trice fondamentale della storia e manca qualsiasi riferimen-to all’esistenza di un sistema economico alternativo al ca-pitalismo qual è il socialismo, unica via d’uscita alle suddette contraddizioni insanabili. Lo sviluppo tecnologico non por-ta necessariamente a quelle contraddizioni sociali dei quali parla Bergoglio nel suo discor-so, ossia che i lavoratori sono costretti a posticipare l’età della pensione fino a limiti inaccetta-bili e che gran parte dei giova-ni restano disoccupati, con la conseguenza che probabilmen-te mai matureranno il diritto a percepire una pensione. Infatti, scrive Stalin in Problemi econo-mici del socialismo nell’URSS: “A tutti sono noti i fatti della storia e della pratica del capi-talismo, che dimostrano l’im-petuoso sviluppo della tec-nica nel capitalismo, quando i capitalisti agiscono come alfieri della tecnica d’avan-guardia, come rivoluziona-ri nel campo dello sviluppo della tecnica produttiva. Ma sono noti anche fatti d’altro genere, che dimostrano l’ar-resto dello sviluppo tecnico nel capitalismo, quando i ca-pitalisti agiscono come rea-zionari nel campo dello svi-luppo della nuova tecnica e passano non di rado al lavoro a mano. Come spiegare que-sta contraddizione stridente? La si può spiegare soltan-to con la legge economica fondamenta del capitalismo contemporaneo, cioè con la necessità di ottenere profit-ti massimi. Il capitalismo è per la nuova tecnica quando essa gli promette i maggiori profitti. Il capitalismo è con-tro la nuova tecnica e per il passaggio al lavoro a mano, quando la nuova tecnica non gli promette più i maggiori profitti. Così stanno le cose per quanto riguarda la legge economica fondamentale del capitalismo contemporaneo. Esiste una legge economi-ca fondamentale del sociali-smo? Sì, esiste. In che cosa consistono i tratti essenziali e le esigenze di questa legge? I tratti essenziali e le esigenze della legge economica fon-damentale del socialismo po-trebbero formularsi all’incirca in questo modo: assicurazio-ne del massimo soddisfaci-

mento delle sempre crescenti esigenze materiali e culturali di tutta la società, mediante l’aumento ininterrotto e il per-fezionamento della produzio-ne socialista sulla base di una tecnica superiore. Quindi: non assicurazione dei profit-ti massimi, ma assicurazione del massimo soddisfacimen-to delle esigenze materiali e culturali della società; non sviluppo della produzione con fratture tra l’avanzata e la crisi e tra la crisi e l’avanzata, ma sviluppo ininterrotto della produzione; non interruzio-ni periodiche nello sviluppo della tecnica, accompagnate dalla distruzione delle forze produttive della società, ma perfezionamento continuo della produzione sulla base di una tecnica più elevata”.

“Occorre prima di tutto - continua Stalin - diminuire la giornata lavorativa per lo meno sino a sei e poi a cin-que ore. Ciò è necessario affinché i membri della so-cietà abbiano abbastanza tempo libero per ricevere un’istruzione completa. Per questo occorre, poi, rendere obbligatoria l’istruzione po-litecnica necessaria perché i membri della società abbia-no la possibilità di scegliere liberamente una professione e di non essere inchiodati per tutta la vita a una professione qualsiasi. Per questo occor-re, inoltre, migliorare in modo radicale le abitazioni ed au-mentare il salario reale degli operai e degli impiegati di almeno due volte, se non più, sia mediante l’aumento di-retto del salario, sia, in modo particolare, mediante l’ulte-riore sistematica diminuzio-ne dei prezzi degli articoli di largo consumo. Tali sono le condizioni fondamentali della preparazione del passaggio al comunismo. Soltanto dopo l’attuazione di tutte queste condizioni preliminari prese assieme si potrà sperare che il lavoro, agli occhi dei mem-bri della società, non sarà più un peso ma la ‘prima necessi-tà dell’esistenza’ (Marx), che ‘il lavoro da pesante fardello si trasformerà in una gioia’ (Engels), che la proprietà so-ciale sarà considerata da tutti i membri della società come base incrollabile e inviolabile dell’esistenza della società stessa. Soltanto dopo l’at-tuazione di tutte queste con-dizioni preliminari prese as-sieme si potrà passare dalla formula socialista: ‘Da ognu-no secondo le sue capacità, ad ognuno secondo il suo la-voro’ alla formula comunista: ‘Da ognuno secondo le sue capacità, ad ognuno secondo i suoi bisogni’. Questo sarà il passaggio radicale da una economia, dall’economia del socialismo, a un’altra econo-mia, più alta, all’economia del comunismo”.

Direttrice responsabile: MONICA MARTENGHIe-mail [email protected] Internet http://www.pmli.itRedazione centrale: via A. del Pollaiolo, 172/a - 50142 Firenze - Tel. e fax 055.5123164Iscritto al n. 2142 del Registro della stampa del Tribunale di Firenze. Iscritto come giornale murale al n. 2820 del Registro della stampa del Tribunale di FirenzeEditore: PMLI

ISSN: 0392-3886chiuso il 5/7/2017

ore 16,00

Roma. Manifestazione nazionale CGIL dei pensionati

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6 il bolscevico / Stop Ceta N. 27 - 13 luglio 2017

Grave inciucio PD-FI che votano a favore nella commissione del Senato, mentre MDP lo favorisce assentandosi

StoP Ceta: MobIlItazIone e ProteSte In PIazza

La Commissione esteri del Senato ha approvato il tratta-to CETA sul libero scambio tra Unione Europea e Canada, con quindici voti a favore contro sei. Adesso il provvedimento dovrà passare all’esame dell’Aula per essere definitivamente ratificato. In Commissione hanno votato a favore il Pd e Forza Italia, contro Movimento 5 Stelle, Sinistra Ita-liana, Misto e Lega. Mdp-Articolo 1, inaugurando le proprie dinami-che opportuniste, non ha parte-cipato al voto, favorendo nei fatti l’approvazione, e generando po-lemiche con i promotori del sit-in di protesta che si è svolto in con-temporanea in piazza del Pan-theon a Roma. Esulta assieme a Gentiloni, anche il presidente del-la Commissione, la vecchia volpe democristiana Pier Ferdinando Casini: “L’approvazione del Ceta è il primo passo di un cammino parlamentare che mi auguro porti alla sua ratifica definitiva. Il Parla-mento europeo ha lavorato molto a lungo su questo Trattato, e non è un caso che oggi in Commissio-ne le forze che fanno capo al Par-tito socialista europeo e al Partito popolare europeo abbiano votato insieme“. Per il presidente del-la Repubblica Sergio Mattarella, proprio in questi giorni in visita in Canada dove ha dichiarato che la globalizzazione dei commerci vei-cola “pace e collaborazione poli-tica” , il CETA è “un grande passo avanti di collaborazione concreta ed è importante per l’economia del Canada e della Ue”.

le reazioni dell’associazionismo

progressistaNei fatti, attraverso l’asse del

Nazareno, l’Italia è al momento l’unico paese europeo a proce-dere a spron battuto sulla strada della ratifica parlamentare del CETA. Federica Ferrario, respon-sabile della campagna Agricoltu-ra e Progetti Speciali di Greenpe-ace Italia, definisce il voto di PD e Forza Italia come “un vergognoso autogol a scapito di diritti, salute, ambiente e dell’agroalimentare

italiano”. L’ampio fronte comune di opposizione al Trattato com-posto da Coldiretti, Arci, Adu-sbef, Movimento Consumatori, Legambiente, Greenpeace, Slow Food, Federconsumatori e Fair Watch, dopo aver ottenuto lo slittamento della votazione della Commissione inizialmente pre-visto per il 23 giugno scorso, ha rivolto un appello alla presidente della Camera Laura Boldrini e a quello del Senato Piero Grasso affinchè si procedesse ad una discussione approfondita prima di assumere una decisione sulle liberalizzazioni e sulla deregola-mentazione degli scambi com-merciali, come il CETA. Contra-rietà è stata espressa anche da parte della segretaria generale della Cgil Susanna Camusso, che ha dichiarato come il CETA “danneggerebbe fortemente la nostra economia e i nostri lavo-ratori. Sarebbe invece opportuno che si desse occasione ai cittadi-ni, ai lavoratori, alla società civile e alle parti sociali di esprimere le loro opinioni e perplessità su questo trattato, che interferisce non solo sull’import e sull’export del nostro paese ma sulla vita e sul lavoro delle persone”. Anche la Cgil parteciperà alla prossima

manifestazione a Montecitorio convocata il 5 luglio prossimo dalle associazioni.

le conseguenze del Ceta su lavoro e

salariCon la scusa del mercato li-

bero, il CETA finirà per concede-re strapotere alle multinazionali, svendendo loro beni comuni come l’acqua pubblica e incenti-vando l’uso degli Ogm nel nostro Paese e in tutti quelli che lo firme-ranno, rendendolo effettivo se ciò accadrà in tutti gli Stati europei. L’accordo di “libero scambio” col Canada avrà un impatto molto duro sugli agricoltori europei e canadesi, continuando a favorire le multinazionali del cibo e dei fi-tofarmaci agricoli che, con i loro prezzi competitivi che ben poco tengono conto del benessere dei lavoratori, dell’ambiente e del-la salute pubblica, finiranno per seppellire biodiversità produttive e qualità del lavoro, peggiorando nei fatti quanto già oggi è messo a dura prova dello stesso capita-lismo europeo. La Tuft Universi-ty statunitense, ad esempio, ha

stimato che oltre 30mila posti di lavoro siano a rischio con la sola entrata in vigore del CETA, e di come ci sarà una evidente erosione dei salari in molti set-tori manifatturieri e industriali di tutti i Paesi coinvolti. Una delle motivazioni di primo piano che, unita alle altre, è al centro della opposizione al trattato, è la ri-forma del sistema degli arbitra-ti: con il CETA infatti verrebbero creati nuovi tribunali per gestire le controversie tra aziende e Stati. Tribunali che saranno un mezzo a uso praticamente esclusivo delle multinazionali per fare causa ad un Paese tutelando i loro profitti. Il CETA quindi, in estrema sintesi, sarà capace di portare benefici non tanto all’economia come di-chiarato da Mattarella, Gentiloni e Casini, bensì alle grandi multina-zionali in barba allo stesso princi-pio universale ma ormai regolar-mente calpestato, della sovranità nazionale. Entrando brevemente nel dettaglio, l’accordo potrebbe portare ad una invasione di pro-dotti agricoli canadesi quali vini, alcolici, farine, cereali ed altro, in Europa a seguito dell’abolizione dei dazi doganali, e viceversa. Nel nostro caso, la prima a farne le spese sarebbe la produzione

italiana del grano, sul quale non c’è nessun obbligo di introdurre l’etichetta di provenienza. Inoltre delle 291 denominazioni di origi-ne italiane, il CETA riconoscerà solo 41 di esse; questo farà si che in Italia siano introdotti pro-dotti canadesi con nomi simili alle nostre indicazioni geografiche, impedendo che le medesime arrivino in Canada con le pro-prie particolarità. Ma c’è di più: il CETA riguarda formalmente solo il Canada ma in realtà apre le por-te anche alle quaranta mila filiali canadesi delle multinazionali sta-tunitensi. Questo trattato infatti non è altro che un TTIP masche-rato, dal momento in cui le più grandi multinazionali statunitensi hanno una sede in Canada e gli Usa hanno già un accordo di libe-ro scambio con il Canada.

Il Canada e le politiche ambientali

Secondo gli ambientalisti, il “bitume”, una forma di petrolio mescolata con argilla, acqua e sabbia, rappresenterebbe uno dei principali prodotti ad alto im-patto ambientale che potrebbero essere importati da oltre oceano. Il Canada è il maggiore produtto-re mondiale di questa sostanza, la cui produzione provoca uno sprigionamento di CO2 superiore a quella dell’estrazione del pe-trolio. La UE, con una decisione inaccettabile, ha deciso di non etichettare più questo tipo di pe-trolio come “altamente inquinan-te”, e ciò la dice lunga sul perché; probabilmente i bassi prezzi del bitume, faranno gola agli addetti ai lavori di qualunque altro Pae-se europeo che certamente non ostacolerà l’immissione sul mer-cato di questo prodotto, anche se devasta l’ambiente globale. Fra l’altro in Canada sono perfetta-mente legali 99 principi attivi, tra i quali glifosato e paraquat, banditi in Italia da oltre vent’anni ma che in questo modo saranno reintro-dotti dalla finestra, direttamente nel prodotto finito. Nonostante tutto, appare paradossale che il premier canadese sia stato defini-

to un paladino dell’Accordo di Pa-rigi sul clima in chiave anti-Trump: come abbiamo più volte scritto però, anche stavolta la poca at-tendibilità di quell’accordo emer-ge prepotentemente, visto che il Canada mancherà sia il proprio impegno di riduzione delle emis-sioni per il 2020, sia l’obiettivo al 2030, continuando però a spen-dere 3,3 miliardi di dollari l’anno in sussidi pubblici ai combustibili fossili, tra cui l’inquinante petrolio da sabbie bituminose.

Mobilitiamoci contro il CETA

Il 5 luglio un ancor più ampio cartello di realtà associative, pro-duttive e sindacali manifesterà di nuovo e con più forza a Monteci-torio; intanto il giorno della ratifica italiana della Commissione, una nutrita manifestazione ha pre-so luogo a partire dalle ore 10 in piazza al Pantheon di Roma e, in aggiunta, è stata indetta anche una manifestazione di protesta ‘virtuale’. Gli attivisti hanno invita-to la popolazione a mobilitarsi in una “tweetstorm”, in pratica una tempesta di tweet con cui inon-dare il social con le proprie ma-nifestazioni di dissenso sul CETA. L’idea era quella di taggare i se-natori impegnati nella votazione per sensibilizzarli con messaggi e grafiche. L’iniziativa virtuale è sta-ta completamente ignorata , nel-la stessa misura in cui lo sono le migliaia di “petizioni on line” che continuamente tempestano le no-stre caselle email. Per respingere il CETA oggi, così come le tante altre misure antipopolari dei nostri governi, siano essi locali, nazio-nali o sovranazionali, non c’è altra strada all’infuori della mobilitazio-ne di piazza e della lotta di classe. Lavoro, salario, e rispetto dell’am-biente sono strettamente legati, ed è per questo che per vincere fino in fondo tutte le battaglie per i diritti e per conquistare una so-cietà che metta al centro i biso-gni dell’uomo e non i profitti del-le multinazionali, occorre legare queste battaglie a quella, centrale e strategica per il socialismo.

MInaCCIato anChe Il GolFo DI VenezIa

no a nuove trivellazioniAutorizzate dal ministro Calenda

Il governo regAlA 300 mIlIonI Alle multInAzIonAlI del petrolIoSecondo il “Disciplinare tipo

per il rilascio e l’esercizio dei titoli minerari per prospezione, ricerca e coltivazione di idrocarburi liqui-di e gassosi”, varato dal ministe-ro dello Sviluppo Economico lo scorso 7 dicembre e pubblicato dalla in Gazzetta il 3 aprile, è pos-sibile costruire nuove piattaforme e pozzi entro le 12 miglia marine.

In pratica col provvedimento, oltre a eludere il sostanziale di-vieto di trivellazioni in prossimità della costa, il testo sdogana po-tenziali attività estrattive addirit-tura nell’area del Golfo di Vene-zia, depotenziando enormemente

i poteri delle Regioni nell’iter di rilascio delle concessioni. Si trat-ta di un provvedimento in piena contunuità con altri adottati ne-gli ultimi mesi dal governo Renzi e Gentiloni, su tutti la riscrittura del procedimento Via, la cancel-lazione del Piano delle aree per le concessioni petrolifere, alle quali si aggiunge la recentissima e scandalosa decisione di defi-scalizzare le piattaforme petroli-fere situate lungo i litorali. Ecco dunque l’ultimo regalo da 300 milioni di euro alle multinazionali del greggio che da oggi non do-vranno versare Imu, Ici e Tasi, al

contrario di quanto stabilito dalla Corte di Cassazione. Questa en-nesima parcella è stata inserita nell’articolo 35 della “manovrina” e la detassazione di tali immobi-li comporterà un enorme danno finanziario per i Comuni coinvol-ti, con gravi conseguenze per la copertura di servizi essenziali già in essere. In pratica quindi, da un lato si promuovono tagli per altri 3,4 miliardi di euro, e dall’altro si concedono ulteriori benefici alle compagnie petrolifere. Secondo il costituzionalista Di Salvatore, emerge “Un quadro generale che fa presagire la sostanziale

continuità tra la Strategia ener-getica nazionale (Sen) varata dal governo Monti nel 2013 e le linee guida della nuova Sen, in fase di approvazione in Parlamento. In questo modo vengono disattesi gli impegni presi con l’accordo di Parigi e ignorate le istanze delle comunità impattate dalle attività estrattive da nord a sud dello Sti-vale”. I No Triv non hanno esitato a definire vergognosa la misura e, in collaborazione con l’Associa-zione A Sud e con Green Italia, hanno promosso una mozione parlamentare volta a evitare che nelle acque territoriali vi siano

nuove trivellazioni petrolifere. La mozione è stata sottoscritta da parlamentari di Sinistra Italiana, Alternativa Libera, Articolo 1 – Mdp, Possibile, Movimento 5 Stelle e da una frangia del Pd. Ma in un parlamento nero e blindato come quello italiano, sarebbe op-portuno che i No Triv, così come tutti i comitati e le associazioni ambientaliste sparse fortunata-mente un po’ in tutto lo stivale, prendano esempio dalla decen-nale lotta della Val di Susa, o dai recenti episodi del movimento No Tap salentino, e scendano in prima linea per difendere il mare

e l’ambiente. A cosa servirà pro-porre una mozione parlamentare se essa verrà seppellita o ignorata dalla “maggioranza” istituzionale che sostiene e rappresenta pro-prio, fra le altre, le multinazionali del greggio? Per i partiti riformi-sti sarà probabilmente sufficiente svolgere una battaglia di carte per mostrare ai loro potenziali elettori da quale parte stanno e imbonirseli; ma per le popolazioni e per l’ambiente quella battaglia va combattuta al di fuori del vi-colo cieco istituzionale e potrà essere vinta soltanto con la lotta di classe.

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N. 27 - 13 luglio 2017 interni / il bolscevico 7Al primo posto lo sfruttAmento commerciAle dei pArchi, non lA conservAzione dellA nAturA

La Camera approva La Controriforma dei parChi

Gli ambientalisti protestano Poche settimane fa la Ca-

mera ha approvato la pro-posta di riforma della legge quadro del 1991 sulle aree naturali protette. Un patrimo-nio ecologico ed ambienta-le che in Italia conta 27 par-chi nazionali e 120 regionali che proprio la medesima leg-ge contribuì ad ampliare, por-tando la superficie protetta del nostro Paese dal 2-3 % ad oltre l’11% dell’intero ter-ritorio nazionale. Dodici fra le maggiori associazioni am-bientaliste, fra le quali Wwf, Lipu e Greenpeace, si sono opposte al disegno legisla-tivo chiedendo da tempo ai parlamentari di non votarlo; appello inutile poiché esso è stato approvato, seppur da una maggioranza relativa di 249 voti a favore contro 115 contrari (M5s, Sinistra Italia-na, Mdp) ed i 32 astenuti di Forza Italia. Nel disegno di legge modificato da governo e parlamento, a testimoniare ancora una volta la vicinan-za del governo Renzi-Genti-loni alle compagnie petrolife-re, sono state servite ai conti pubblici le nuove regole sul-le royalties dovute dalle atti-vità economiche impattanti sull’ambiente, siano esse tri-vellazioni o ricerca di fonti di acqua, che diventano ancora una volta centrali nel nuovo assetto legislativo. Una vera e propria quanto intollerabile introduzione della logica per-versa “se paghi puoi impatta-re sull’ambiente”, anche nei Parchi, da rigettare in pieno. E poi, pagare quanto? La ri-forma infatti, enfatizza il ruolo delle royalties stesse volen-do, a parole, rafforzare l’auto-nomia gestionale del singolo parco attraverso, ad esem-pio, la valorizzazione del pro-prio marchio col relativo “mer-chandising”, ma nello stesso tempo si prevede che que-

sti diritti pubblici sul fatturato vengano pagati “una tantum”, istituendo di fatto tutt’al più un semplice indennizzo, ben lungi dall’essere una com-pensazione proporzionale e certa vera e propria. Un al-tro degli aspetti principali per il quale gli ambientalisti sono sul piede di guerra, è il nuovo modello di gestione generale che vede i parchi esclusiva-mente come una potenziale risorsa economica, anziché come un bene pubblico da tu-telare. Quanto alla dirigenza dei parchi, finora le nomine di presidenti e direttori generali degli enti parco erano compi-to del ministero dell’Ambiente e gli ambientalisti, nell’inten-to di rafforzarne le compe-tenze, ed alla luce della mes-sa a terra del testo definitivo, avevano proposto che la fi-gura gestionale fondamenta-le del direttore generale ve-nisse selezionata attraverso un normale concorso dirigen-ziale pubblico. Con la nuova legge invece l’albo non c’è più, il singolo presidente vie-ne scelto sempre dal ministe-ro ma d’intesa con la Regio-ne competente, ed il direttore generale viene individuato da una commissione composta da un membro di scelta mi-nisteriale e due nominati dal consiglio direttivo, che a sua volta è composto da 4 rap-presentanti nazionali e 4 lo-cali, introducendo all’inter-no del consiglio direttivo una quota di rappresentanza con-siderevole per il cosiddetto “mondo agricolo e dei pesca-tori”. Quindi nessun requisito richiesto ai candidati, e mani del tutto libere alla politica per i soliti giochetti clientelari. Dando per assodato questo aspetto fondamentale, inedi-to per i Parchi, non troviamo miglior definizione per defini-re il nuovo impianto che non

“Controriforma dei Parchi Corporativi”. L’ultima beffa alla posizioni dell’associazio-nismo ambientale, è l’introdu-zione del folle meccanismo di controllo della fauna sel-vatica, che apre i parchi alla caccia dando agli stessi cac-ciatori il paradossale compito

di far diminuire la cosiddetta fauna “nociva” per le coltu-re. “Tutte le nostre proposte, tutti i tentativi di dialogo delle associazioni con il ministro, il governo, i relatori, la maggio-ranza parlamentare sono sta-ti respinti” è l’amara denun-cia del mondo ambientalista che, anziché essere ascol-tato e consultato, viene co-stantemente ignorato, e con esso i milioni di persone che rappresenta. Stavolta quin-di il diavolo non sta nei det-tagli poiché siamo evidente-mente di fronte ad un quadro generale assolutamente mu-tato, con l’introduzione di una visione strumentale del-le aree protette: la conser-

vazione della natura, perno centrale anche della stessa vita umana, viene considera-to un semplice strumento per realizzare “obiettivi economi-ci”, leggasi potere e profitto. Testimonia questa deriva il nuovo Piano di sistema, l’uni-co ad aver ottenuto un finan-

ziamento di una qualche con-sistenza (10 milioni di euro annui per tre anni), e che ha come obiettivo l’adattamento ai cambiamenti climatici, per lo sviluppo della cosiddetta impropriamente “green eco-nomy”.

Un progetto dunque gene-rico, che come tutti i progetti generici non riesce a coglie-re l’essenziale specificità del-le aree protette, per le quali rimane basilare la conserva-zione della biodiversità che però non pare più essere de-gna di contributi, né del ruolo centrale che rivestiva. Ultima ciliegina sulla torta, oltre al to-tale disinteresse nei confron-ti delle aree marine protette

che rappresentano una vera ricchezza per il nostro Paese e per le quali le associazioni avevano richiesto l’equipara-zione ai parchi nazionali, è senz’altro la mancata trasfor-mazione in Parco Naziona-le del Delta del Po, una delle aree più importanti d’Europa

per la biodiversità e per le mi-grazioni di volatili.

Riassumendo dunque, die-tro alla Riforma dei Parchi vi è un deciso sgretolamen-to dell’interesse nazionale e dell’ambiente a beneficio dei poteri localistici e delle multi-nazionali che potranno trivel-lare praticamente gratis, far gestire i Parchi ai loro uomini di fiducia senza alcun requisi-to tecnico, compiacendo i loro favoriti. Secondo Lipu e WWF c’è un tema, solo in apparen-za secondario, che descrive il senso di questa riforma, ed è il mancato riconoscimento dei siti Natura 2000, i siti europei più importanti per la conser-vazione della natura, come

aree protette ai sensi della legge italiana. Un fatto inspie-gabile anche all’interno delle dinamiche borghesi ed euro-peiste, che dimostra la distan-za dei legislatori e di tutti quel-li che hanno sostenuto la riforma, dalla “missione natu-ralistica” della legge 394. Per la Lipu, il risultato emerso dal-la controriforma è “la mortifi-cazione di una legge storica, fondamentale per la conser-vazione della natura in Italia, e una delle pagine più grigie della legislazione ambientale italiana.”. Assente dalle pro-teste Legambiente, e non è un caso, visto che il suo com-ponente emerito di primo pia-no, Ermete Realacci, Piddino renziano, è anche presidente della commissione Ambien-te e dunque ispiratore primo di questo disegno di legge. Basterà l’opposizione di car-tone, del tutto istituzionale e circoscritta nel perimetro del-la “rappresentanza” dei partiti che si sono “opposti” alla con-troriforma dei parchi a tutela-re l’ambiente togliendolo dal-le grinfie dei capitalisti e di un governo a loro asservito? Noi pensiamo che per realizzare le aspettative del mondo am-bientalista progressista, per una gestione del territorio che vada nell’interesse dell’am-biente stesso e conseguen-temente anche dell’uomo che ne dipende direttamente in maniera imprescindibile fa-cendone parte integrante, sia indispensabile unire tali legit-time rivendicazioni alla lotta per il socialismo poiché solo il socialismo potrà dare un net-to taglio al clientelismo, alla logica del profitto immediato su tutto e ad ogni costo, e ri-dare quella prospettiva a lun-go termine che su temi am-bientali è indispensabile per gestirli nell’interesse colletti-vo.

in lunigiAnA

carabinieri arrestati per “violenze sistematiche e metodiche”Abusi ai danni delle donne

DicevAno: “noi come lA mAfiA”Sono nove i carabinieri rag-

giunti lo scorso 14 giugno da misure cautelari per ordine del giudice per le indagini pre-liminari del tribunale di Mas-sa a seguito di un’indagine, durata circa due anni, che ha smascherato una vera e pro-pria associazione a delinque-re composta da ventidue ap-partenenti all’arma (tra i quali un maresciallo, un brigadiere e alcuni appuntati) accusati complessivamente di ben 104 capi di imputazione per reati gravissimi.

La procura della Repubbli-ca di Massa considera a capo dell’organizzazione criminale il brigadiere Alessandro Fio-rentino in forza ad Aulla, finito in carcere con oltre 20 capi di imputazione, mentre i suoi so-dali, nonché commilitoni, Luca

Varone, Gianluca Granata e Ian Nobile si trovano ai domi-ciliari e altri quattro carabinie-ri membri dell’organizzazione, Emiliano Crielesi, AndreaTel-lini, Daniele Bacchieri e Si-mone Angelo Del Polito sono stati colpiti dal provvedimento di divieto di dimora in comuni che si trovano nella provincia di Massa Carrara, per timore che possano inquinare le pro-ve a loro carico.

Oltre ai carabinieri colpiti da misure cautelari, vi sarebbero altri 11 appartenenti all’arma indagati a piede libero.

Sei dei carabinieri sottopo-sti a misure restrittive presta-no servizio alla caserma di Aulla e tre in quella di Albiano Magra, in provincia di Massa Carrara.

L’ordinanza, di oltre 200

pagine e che comprende ben 104 capi di imputazione, pren-de in esame una sessantina di episodi delittuosi perpetrati dai carabinieri nell’arco di cir-ca due anni, e i principali re-ati contestati agli appartenen-ti all’associazione sono lesioni personali, percosse, falso in atto pubblico, abuso d’ufficio, omissione di atti d’ufficio, ri-fiuto di denuncia, sequestro di persona, violenza sessuale e possesso illegale di armi, nel-la fattispecie coltelli.

Nell’ordinanza del giudi-ce per le indagini preliminari che commina le misure cau-telari si legge che i carabinieri coinvolti nell’inchiesta si sono resi responsabili di “violenze sistematiche e metodiche”, tanto che per essi era “quasi una normalità l’illegalità e l’a-

buso” finalizzata, come ritiene il pubblico ministero nella sua richiesta di irrogazione delle misure, a “strumentalizzazioni a fini privati”.

L’inchiesta, condotta dal pubblico ministero Alessia Ia-copini, è partita circa sette mesi fa, dopo la denuncia di un italiano, e dopo tale denun-cia sono emersi altri episodi, con indagini effettuate anche con intercettazioni ambientali e telefoniche.

Tra i casi documentati dalla magistratura c’è quello di un cittadino marocchino che, por-tato in caserma per controlli, è stato colpito senza motivo con calci, pugni e un bastone, tan-to da provocargli la prognosi di una settimana, e non sen-za prima averlo avvertito di di-chiarare al pronto soccorso di

essere scivolato, ma per for-tuna i magistrati già intercetta-vano gli aguzzini in divisa.

Un altro episodio atroce do-cumentato dalle intercettazio-ni dei magistrati è quello rela-tivo a pesanti abusi sessuali subiti da alcune donne extra-comunitarie portate in caser-ma per accertamenti.

Un’altra donna, un’avvoca-tessa del foro di Massa Car-rara che difendeva un extra-comunitario, fu minacciata dal brigadiere Fiorentino, al fine di indurla a omettere i suoi dove-ri di ufficio verso il suo assisti-to, di arbitrario ritiro della pa-tente automobilistica: il fatto, prontamente comunicato dal legale al suo ordine profes-sionale, è stato anche esso puntualmente registrato dalle cimici della procura della Re-

pubblica.Altre intercettazioni docu-

mentano che i carabinieri in-fierivano contro gli stranieri con violenze accompagnate da pesanti e squallidi insulti razzisti e coloro che tentava-no di ribellarsi venivano anche intimoriti con minacce di mor-te accompagnate dalle parole “noi come la mafia”.

I magistrati voglio anche capire che fine abbia fatto una notevole quantità di droga se-questrata e, a quanto pare, sparita nel nulla.

Il giudice per le indagini preliminari di Massa ha con-validato e confermato nei gior-ni successivi tutte le misure cautelari irrogate contro i nove carabinieri, giustificando i suoi provvedimenti con il timore di inquinamento delle prove.

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8 il bolscevico / centenario della Rivoluzione d’Ottobre N. 27 - 13 luglio 2017

Per rilanciare le sue tesi antileniniste

“Il manIfesto” guarda alla rIvoluzIone d’ottobre con le lentI dI trotzkI

Lo sfidiamo a rivelare i fatti sul suo opportunismo e sul ruolo di StalinIn attesa di arruolarsi

nell’armata Brancaleone di Pi-sapia, Articolo 1 e Sinistra ita-liana, “il manifesto” ha dedi-cato un’intera pagina del suo inserto sulla Rivoluzione d’Ot-tobre del 21 maggio scorso alla figura di Trotzki, per beati-ficare colui che è stato il princi-pale opportunista e traditore di Lenin e dell’Ottobre.

Nell’articolo di Enrico Gal-mozzi se ne leggono di tut-ti i colori, infarcito com’è di un linguaggio e posizioni appa-rentemente rivoluzionarie e radicali, in realtà patina “ultra-sinistra” a copertura del con-cetto chiave, ossia dare una lettura della Rivoluzione d’Ot-tobre di fatto antileninista, con-centrando l’attacco su ciò che ai trotzkisti – ma anche ai re-visionisti e agli opportunisti di ogni epoca e ogni risma – è sempre stato più inviso: il par-tito rivoluzionario come lo con-cepiva Lenin.

Infatti, secondo l’articolo, Trotzki, addirittura osanna-to come la “rappresentazione compiuta” del rapporto fra te-oria e prassi, sarebbe l’auto-re di un “capolavoro teorico” che consiste nell’identificare il ruolo di “una soggettività ri-voluzionaria”, rappresentata dai Soviet, che crea “le con-dizioni per le quali si determi-na la ‘continuità rivoluziona-ria’ che permette di superare la ‘classica distinzione fra pro-gramma minimo e program-ma massimo’”. I Soviet sono “lo strumento della rivoluzione stessa. Dopo la vittoria, i so-viet sono diventati gli organi del potere. Il ruolo del partito e dei sindacati, senza venir smi-nuito, è però essenzialmente mutato”.

Lenin non sminuì mai il ruo-lo dei Soviet come organi del potere proletario, ma li inqua-drò correttamente nel rapporto dialettico che era necessario avere con il Partito comuni-sta al potere. Sulla questione dei sindacati proprio in pole-mica con Trotzki, che mal di-geriva la dittatura del prole-tariato e il ruolo dirigente del partito, Lenin negli ultimi anni della sua vita spiegò che: “Ma non si può attuare la dittatu-ra del proletariato per mez-zo dell’organizzazione che riunisce tutta questa clas-se. Perché non soltanto da noi, in uno dei paesi capita-listici più arretrati, ma anche in tuti gli altri paesi capita-listici, il proletariato è anco-ra così frazionato, umiliato, qua e là corrotto (proprio dall’imperialismo in certi pa-esi), che l’organizzazione di tutto il proletariato non può esercitare direttamente la sua dittatura. Soltanto l’a-vanguardia che ha assorbi-to l’energia rivoluzionaria della classe può esercitare la dittatura”.

Ora come allora quindi l’at-tacco alla centralità e alla “dit-tatura” del partito nasconde l’attacco all’intera concezione leninista del partito rivoluzio-nario, fondato sul marxismo-leninismo (“senza teoria rivo-luzionaria non vi può essere movimento rivoluzionario”, sosteneva il padre dell’Otto-bre) e sul centralismo demo-

cratico, insofferente verso il frazionismo ed edificato at-traverso la lotta teorica attiva contro le tendenze ideologi-che non proletarie e riformiste. In secondo luogo, nasconde l’attacco alla dittatura del pro-letariato come indispensabile strumento tramite cui la clas-se operaia giunta al potere può costruire il socialismo e respingere i tentativi di restau-razione da parte della classe borghese rovesciata.

Come Trotzki e attraver-so Trotzki, quindi, “il manife-sto” guarda alla Rivoluzione d’Ottobre minimizzando il ruo-lo centrale e dirigente avuto dal partito leninista. Questo, oltre ad essere una gigante-sca stortura storica, equivale dire a chi oggi aspira al vero cambiamento che non serve organizzarsi nel partito rivolu-zionario, non serve riscoprire il marxismo-leninismo, basta affidarsi al movimento spon-taneo ed alle forme che vorrà darsi: una strategia che pro-prio la Rivoluzione d’Ottobre – oltre a innumerevoli episodi nella storia successiva – ha di-mostrato universalmente falli-mentare e controproducente.

Trotzki prima, durante e dopo la

Rivoluzione d’OttobreÈ poi indicativo che “il ma-

nifesto” trotzkista ometta com-pletamente il ruolo e le posi-zioni di Trotzki prima, durante e dopo la Rivoluzione d’Ot-tobre. Lo sfidiamo a farlo nei suoi successivi “reportage” mensili sulla storia dell’Otto-bre, ma dubitiamo molto che raccoglierà la sfida, perché significherebbe rivelare la sua natura di opportunista di prim’ordine.

Nato politicamente come populista, una corrente rus-sa di fine Ottocento in odor di anarchismo, Trotzki entra nel

Partito operaio socialdemo-cratico russo, che allora riuni-va i marxisti russi, dove infu-ria la battaglia sulla natura del partito. Nonostante Lenin nel suo Che fare? (1903) avesse tracciato con chiarezza la na-tura e gli scopi del partito ri-voluzionario d’avanguardia, al II Congresso del Posdr Trot-zki si schiera con Martov e i menscevichi, con i quali rimar-rà per oltre 10 anni. Oltre alla concezione del partito, di Le-nin critica le lungimiranti idee sull’alleanza fra operai e con-

tadini, che saranno invece fon-damentali per il successo della rivoluzione in un Paese popo-lato perlopiù da contadini po-veri e sfruttati.

Dopo il fallimento della rivo-luzione del 1905 e la feroce re-azione che segue, Trotzki re-sta con i menscevichi quando questi propongono la liquida-zione del partito e la rinuncia ad ogni attività clandestina e illegale; fa lo stesso nel 1910 quando si oppone alle decisio-ni della maggioranza bolscevi-ca e all’eliminazione delle fra-

zioni nel momento in cui era necessario un rilancio unitario del Posdr contro l’autocrazia zarista. Da Lenin si guadagna l’appellattivo di “Iuduska Trot-zki”, dal nome di un personag-gio della letteratura russa che incarna l’ipocrisia. Nel 1912 si consuma la scissione, ormai inevitabile. Trotzki a questo punto comincia una campa-gna di attacchi contro il Posdr bolscevico, che Lenin stesso definirà “un cumulo di men-zogne”.

Dopo lo scoppio della pri-ma guerra mondiale la situa-zione si evolve rapidamente in senso rivoluzionario. Lenin già all’indomani della rivoluzione borghese di febbraio sostiene che è necessario passare alla rivoluzione socialista, Trotzki, che dal 1913 è a capo di un gruppo centrista, menscevico di fatto e favorevole alla conci-liazione con i riformisti, chiede e ottiene di entrare nel Posdr solo in agosto, al VI Congres-so, che tra l’altro ne cambia il nome in Partito comunista rus-so. Lenin e i bolscevichi ac-cettano nella speranza di po-ter unire le forze rivoluzionarie nel momento decisivo: Trotzki entra così nel Comitato cen-trale del PCR. Propone di ri-mandare l’insurrezione a dopo il II Congresso panrusso dei Soviet e rivelarne in anticipo la data, il ché significherebbe avvertire il governo e far falli-re tutto, ma la proposta viene respinta.

Nel governo sovietico elet-to dopo la presa del potere da parte dei Soviet, Trotzki diven-ta commissario del popolo agli Affari esteri. Il suo primo com-pito è quello di siglare la pace con la Germania, ma durante le trattative di pace contrav-viene alle direttive del parti-to e comunica che la Russia sovietica continuerà la guer-ra. Addirittura Trotzki mobilita i suoi seguaci “comunisti di si-nistra” per causare una scis-

sione della sezione del PCR di Mosca. Ciò consente ai te-deschi di riprendere l’offensi-va e sottrarre alla Russia so-vietica ampi territori prima di obbligarla ad una pace anco-ra più sfavorevole. È il primo grave tradimento di Trotzki all’indomani dell’Ottobre, che lo smaschera come frazioni-sta e scissionista inguaribile, dettato dalla sua teoria della “rivoluzione permanente” se-condo cui la Rivoluzione so-vietica per sopravvivere deve non consolidare il socialismo in Russia, com’è la posizione di Lenin, ma lanciarsi in av-venture suicide per esportare la rivoluzione.

Successivamente fra Le-nin e Trotzki esplodono ulte-riori divergenze, la più acuta è sulla questione dei sindaca-ti, che Trotzki vorrebbe mette-re a tacere imponendo nelle fabbriche un regime da caser-ma. Dopo la morte di Lenin la contraddizione fra leninismo e trotzkismo esplode definitiva-mente: Trotzki tenterà di pre-sentarsi come il suo legittimo successore e di provocare una scissione nel partito, dopo es-sere stato sconfitto politica-mente da Stalin passa alla lot-ta armata, al sabotaggio e al terrorismo. Il punto più infimo e spregevole della carriera po-litica di Trotzki, che dimostra quanto il suo opportunismo fosse in realtà controrivolu-zionario, è quando, alla vigilia della seconda guerra mondia-le e dell’aggressione nazista, di-chiara quello che suona come un inquietante invito a Hitler: “La spinta del movimento rivoluzio-nario degli operai sovietici [con-tro la “burocrazia stalinista”, ndr] sarà data, verosimilmente, da avvenimenti esterni”. Ecco per-ché il potere sovietico dovette intervenire anche con la repres-sione contro gli agenti trotzkisti infiltrati nel Partito e nello Sta-to, che persino inneggiavano alla rivolta militare contro Stalin mentre la Germania hitleriana cominciava le sue guerre d’ag-gressione.

In generale il trotzkismo non aveva alcuna fiducia nel-la possibilità di costruire il so-cialismo, riteneva immaturo il proletariato rivoluzionario, era contrario all’alleanza operai-contadini, non capiva la tattica e, proprio come la borghesia rovesciata, non sopportava la direzione del Partito comunista e la dittatura del proletariato.

“Il manifesto” farebbe un servizio migliore ai suoi letto-ri se raccontasse questi fatti e, magari, ammettesse il ruolo di primo piano svolto da Stalin al fianco di Lenin e in difesa del-le sue tesi e posizioni, spesso proprio durante questi accesi scontri con lo stesso Trotzki.

Comunque la dice lunga se questo è l’eroe che ispira “il manifesto” mentre accredi-ta l’ennesima operazione rifor-mista e opportunista di Bersa-ni, D’Alema e Pisapia, che si scontra con quella della lista civica di Tommaso Montanari e Anna Falcone, per recupera-re i voti di sinistra e riprendere il terreno parlamentare e go-vernativo strappato da Renzi, senza nessun piano di rottura con il capitalismo.“Sradicare le spie e i sabotatori trotzkisti e buchariniani”. Manifesto so-

vietico della fine degli anni 30

Allo Smolny nella notte tra il 24 e il 25 ottobre (secondo il calendario giuliano) Lenin annuncia, tra il giubilo generale che il potere è passato ai Soviet. Subito dietro si nota Stalin

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N. 27 - 13 luglio- 2017 marx su marx / il bolscevico 9

1854Sono stato seriamente malato le

ultime due o tre settimane; come se non bastasse, i tre bambini hanno avuto il morbillo, da cui si sono ap-pena ripresi, sicché la casa era tra-sformata in un ospedale. Sono solo due giorni che esco di nuovo, e poi-ché avevo mal di testa e ogni conver-sazione mi affaticava, durante questo periodo non ho lasciato che mi fosse-ro fatte visite.

(Marx, Lettera a Ferdinand Lassal-le, 1° giugno 1854, Opere Marx En-gels, Editori Riuniti, vol. XXXIX, pag. 645)

Ora che io sono di nuovo in gamba e i bambini di nuovo tutti alzati, pure se non escono ancora, mia moglie, probabilmente in seguito alle veglie e all’assistenza ai malati, è molto giù, e il peggio è che non vuole sentire il dottore, ma si ordina le medicine da se stessa, col pretesto che i rimedi di Freund - due anni fa, con un malesse-re simile - la avrebbero fatta star peg-gio. Se non migliora, alla fine interver-rò d’autorità. Per questo io non sono in grado di mandare la corrisponden-za del martedì, perché per quel gior-no Pieper, a causa delle sue lezioni, non può servirmi da segretario, e mia moglie, nelle sue attuali condizioni, non la posso tormentare con lo scri-vere. Vedi che sono diventato pro-prio Peter Schlemihl [protagonista di un racconto di Adalbert von Chamis-so, che vende la propria ombra al dia-volo]. Tuttavia l’intera famiglia è stata per anni benissimo, e spero che tor-nerà ad esserlo quando questa cri-si sarà passata. Au fond [in fondo] è bene che tutta la famiglia passi a tur-no questa prova. (...)

L’“Archivio delle cose d’Italia” ho finito di leggerlo. Le “Considerazio-ni” dell’autore, messe in appendice, cercano, in contrasto con i documen-ti da lui stesso raccolti, di dimostrare che la Giovane Italia e consequently [conseguentemente] Giuseppe Maz-zini sono stati l’anima del movimen-to nel 1848.

(Marx, Lettera a Engels, 3 giugno 1854, Opere Marx Engels, Editori Riu-niti, vol. XXXIX, pagg. 380-381)

Mia moglie è a letto. Ieri finalmen-te ho ottenuto di far venire il dott. Freund. Lui vuole che vada in Germa-nia non appena sarà in condizione di farlo, cosa che coincide col desiderio di mia suocera e che finora s’è urta-ta soltanto in difficoltà finanziarie, ma che deve esser fatta assolutamente. I bambini oggi sono di nuovo a scuola.

(Marx, Lettera a Engels, 13 giugno 1854, Opere Marx Engels, Editori Riuniti, vol. XXXIX, pag. 385)

Dall’acclusa lettera vedrai che sono nei guai fin sopra ai capelli. Mentre la malattia di mia moglie è nel pieno di una crisi, il bravo dott. Freund si

assenta e mi manda un conto di 26 sterline, e augura di giungere a un “chiaro accordo” sui suoi “rapporti professionali” con me. Siccome le condizioni di mia moglie erano gravi - e sono ancora serie - sono stato naturalmente costretto a capitolare col caro Freund e a promettergli per iscritto di pagargli 8 sterline per la fine di questo mese e il resto di sei in sei settimane. Se non m’avesse attaccato così à l’imprévu [inaspettatamente] non mi avrebbe sorpreso in questa maniera. Ma che dovevo fare? Ad ogni altro medico serio dovrei pagare immediatamente le visite, e oltre a ciò,

anche se questo fosse possibile, non si possono cambiare i medici come camicie nel bel mezzo di una malattia, senza essersi informati in precedenza sulle loro capacità ecc.

Così, sono dunque in un fix [pasticcio]. So che anche tu sei in bolletta. Credi che per la rata che scade alla fine di questo mese io possa magari avere in anticipo da Dronke qualche sterlina? Quando è stato qui l’ultima volta, mi accennò che ci si poteva rivolgere a lui quando ci si trovasse in difficoltà. Tuttavia voglio prima sapere la tua opinione. Questa prima rata debbo in ogni caso pagarla a quel tale nel termine convenuto, e la mia cambiale per gli ultimi mesi è già tratta: naturalmente subito spesa, dato che avevo da pagare 12 sterline in casa, e l’importo totale era notevolmente ridotto a causa degli articoli saltati, e inoltre questa volta la farmacia da sola ha inghiottito una notevole somma.

Alla fine di questa settimana, se

mia moglie si sentirà forte abbastanza, porterò lei coi bambini a Lenchen per due settimane nella villa del signor Seiler, Edmonton. Poi, grazie all’aria della campagna, si rimetterà forse abbastanza per poter andare a Treviri.

Ti assicuro che con queste ultime petites misères [meschine miserie] sono diventato a very dull dog [proprio un cane battuto].

(Marx, Lettera a Engels, 21 giugno 1854, Opere Marx Engels, Editori Riuniti, vol. XXXIX, pagg. 387-388)

L’alternativa con cui tu spieghi il mio lungo silenzio è esatta [cfr. Engels

a Marx, 20 luglio 1854]. In ogni caso sarebbe stato più piacevole essere impedito dallo studio. 3 sterline le ho aggiunte alle 5 per pagare al “Freund” la prima rata, e di circa 8 sterline ho avuto bisogno per il viaggio di mia moglie, che non si poteva più rinviare e che ha reso necessario tutto un nuovo equipaggiamento, perché naturalmente non poteva andare a Treviri come una stracciona. Queste spese straordinarie mi hanno quindi messo di nuovo in conflitto coi miei creditori perpetui e “normali”, and so forth [e così via]. “È una vecchia storia”.

(Marx, Lettera a Engels, 22 luglio 1854, Opere Marx Engels, Editori Riuniti, vol. XXXIX, pag. 394)

Ti chiedo d’urgenza di vedere se è in qualche modo possibile scovare del denaro per me. Le 11 sterline di spese extra che ho avuto da sei settimane in qua, mi hanno fatto piombare nella più estrema destitution [miseria]. Inoltre,

durante tutto questo tempo, e di sicuro ancora per due o tre settimane, Pieper, sans sou [senza un soldo], abita e vive da me. C’est dur [È duro].

(Marx, Lettera a Engels, 8 agosto 1854, Opere Marx Engels, Editori Riuniti, vol. XXXIX, pag. 403)

Ormai bisognerà ben dire qualche cosa nella “Tribune” sugli avvenimenti della guerra asiatica. In certo modo ho sbagliato strada quando ho dichiarato in una delle ultime letters [lettere] che le news [notizie] della totale sconfitta dei turchi a Kars erano una invention [invenzione] di Vienna. Comunque, il

dispaccio telegrafico era falso, tuttavia aveva fondamenti veraci.

Ora il mio principal study è la Spain [studio principale è la Spagna]. Finora ho sgobbato, in gran parte su fonti spagnole, sul periodo dal 1808 al 1814 e dal 1820 al 1823. Ora sto rrivando al periodo dal 1834 al 1843. La storia è piuttosto complicata. Più difficile è arrivare a coglierne lo sviluppo. In ogni caso avevo cominciato a tempo col “Don Chisciotte”. Tutta la faccenda occuperà circa sei articoli per la “Tribune”, se molto concentrata. In ogni caso è un progresso che at this moment [in questo momento] si riceva del denaro per one’s studies [i suoi studi].

Purtroppo dal 1° al 7 settembre la biblioteca resterà chiusa. Oltre agli altri vantaggi che ha, è il solo luogo fresco di Londra.

(Marx, Lettera a Engels, 2 settembre 1854, Opere Marx Engels, Editori Riuniti, vol. XXXIX, pagg. 406-407)

Devo ancora una volta bussare a quattrini da te, per quanto la cosa mi sia davvero penosa, ma la pressure from without [la pressione delle circostanze esterne] mi ci costringe. Le mie cambiali non le posso trarre prima di qualche settimana, perché Freiligrath, in consequence of [in seguito a] seccature che ebbe a causa di ciò da Bischoffsheim, non trae più cambiali al di sotto di 25 sterline. Tutto sommato, così è anche meglio, perché col trarne sempre di piccole la dette flottante [debito fluttuante] resta sì coperta, ma cresce il debito fisso. Ci si aggiunge che devo sottrarre dalla prossima cambiale 8 sterline per Freund, perché nelle attuali circumstances [circostanze] mia moglie ha tanto più bisogno di cure. Gli extraordinary means [mezzi straordinari] ai quali il bilancio familiare soleva far ricorso durante le crisi, sono again [di nuovo] esauriti, e tutto da noi è impegnato come nel bilancio dello Stato spagnuolo.

Del resto, per quanto riguarda “il bilancio” en général, ho ridotto i debiti complessivi a meno di 50 sterline, sicché circa 30 sterline meno che al principio di quest’anno. Da qui puoi vedere che abbiamo fatto grandi giuochi di prestigio finanziari. Se riesce una negotiation [trattativa] che ho iniziato con Lassalle, e se lui mi presta 30 sterline, e tu il resto, sarei di nuovo a cavallo, e cambierei tutto l’andamento di casa, mentre ora ho da pagare al solo Monte di Pietà il 25%, e in generale non arrivo mai a sistemarmi a causa degli arretrati. Con la mia vecchia, come si è dimostrato ancora una volta a Treviri, non c’è niente da fare finché non le starò proprio alle costole.

Dans ce moment [In questo momento] la completa mancanza di denaro è tanto più schifosa – a prescinder dal fatto che i family wants [bisogni della famiglia] non cessano un istante – perché Soho è il quartiere prediletto del colera, il mob [plebaglia] crepa a destra e a sinistra (p. es. nella Broadstreet in media tre persone per casa), e la migliore difesa contro questa merda sono i “viveri”.

(Marx, Lettera a Engels, 13 settembre 1854, Opere Marx Engels, Editori Riuniti, vol. XXXIX, pagg. 408-409)

La settimana prossima comincio la corrispondenza per la “Neue Oder Zeitung”. Per il momento 30 talleri al mese. Ma suppongo che quella gente si contenti di tre corrispondenze alla settimana. Dato che non ho un soldo per comprarmi dei libri non posso assolutamente dar l’addio ai miei studi nel Museum per 30 talleri al mese. Per quanto la cosa sia per me spiacevole, l’ho accettata per tranquillizzare mia moglie. I suoi prospects [prospettive] sono comunque gloomy [scure].

(Marx, Lettera a Engels, 15 dicembre 1854, Opere Marx Engels, Editori Riuniti, vol. XXXIX, pag. 437)

Per quanto ne so, e io conosco praticamente tutti i gabinetti di lettura più importanti di Londra, qui la “N.O.-Z” [“Neue Oder-Zeitung”] non si trova in nessun posto. Bisogna dunque che per il momento me la mandi direttamente. Forse mi riuscirà introdurLa in un gabinetto di lettura o in un caffé.

(Marx, Lettera a Moritz Elsner, 20 dicembre 1854, Opere Marx Engels, Editori Riuniti, vol. XXXIX, pag. 648)

MARX SU MARXProseguiamo la pubblicazione di importan-ti citazioni autobiografiche di Marx inizia-ta sul numero 10/2017 de “Il Bolscevico” in occasione del 14 marzo, 134° Anniver-sario della scomparsa del cofondatore del socialismo scientifico e grande Maestro del proletariato internazionale, e prosegui-ta sui n. 12, 14, 15, 17, 19, 20, 21, 23, 24 e 26/2017. Tra parentesi quadre […] compaiono le note dei curatori.

[12- - continua]

Marx ed Engels a Manchester si incontrano con delle operaie di una filanda. Agosto 1845

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10 il bolscevico / interni N. 27 - 13 luglio 2017

Stop alle udienze e Sciopero della fame dei magiStrati onorari

Contro la precarietà e le paghe da fameLe associazioni Amno, Fe-

dermot, Cogita e Unimo che rappresentano i magistrati ono-rari - ossia quei professionisti altamente qualificati (per lo più avvocati) che pur non apparte-nendo alla pianta organica della magistratura ordinaria svolgono, per decisione del Consiglio su-periore della magistratura e sulla previsione effettuata dal secondo comma dell’articolo 106 della Costituzione, le stesse funzioni dei magistrati di carriera - hanno annunciato l’astensione di tut-ta la magistratura onoraria dalle udienze civili e penali dal 6 al 10 giugno 2017, e sono ormai molti mesi che la magistratura onoraria italiana è entrata in uno stato di mobilitazione, avendo inviato da ultimo rappresentanti anche nella manifestazione dei professionisti che si è svolta lo scorso 13 aprile a Roma (si veda Il Bolscevico n. 21 del 1° giugno 2017).

Questa agitazione è stata in-detta a causa della riforma della magistratura onoraria approvata dal Consiglio dei ministri lo scor-so 5 maggio, in attuazione della delega prevista dalla Legge n. 57/2016, in quanto con tale nor-mativa viene aggravata ulterior-mente la già pesante situazione di precarietà nella quale versa questa categoria professionale, con limitazione della massima presenza in servizio dei magi-strati onorari a due sole giornate settimanali, la previsione di una retribuzione del tutto inadeguata e la mancanza di qualsiasi tutela previdenziale.

Tutto questo in effetti va ad aggravare ulteriormente il già pe-sante divario che negli anni si è venuto a creare tra i magistrati di carriera e quelli onorari, un diva-rio economico e normativo che non trova alcuna giustificazione,

in quanto i magistrati onorari svolgono le medesime funzioni di quelli di carriera, un fatto che ri-sulta impercettibile a chiunque si trovi a dover frequentare aule di giustizia civili o penali, nelle quali i giudici di pace esercitano una giurisdizione esclusive su mate-rie loro riservate in ambito civile e penale, i vice procuratori onorari sostengono la pubblica accusa in udienza esattamente come i sostituti procuratori della Repub-blica (che sono invece magistrati di carriera), e nelle quali un giu-dice onorario di tribunale civile o

penale svolge le medesime fun-zioni giudicanti di un giudice di carriera.

Sul piano della retribuzione, attualmente i giudici onorari di tribunale percepiscono solo una indennità di udienza anche quan-do viene loro attribuito dal capo dell’ufficio giudiziario (presidente del tribunale o della corte d’ap-pello o presidente di sezione di tali uffici) il gravoso compito di scrivere le sentenze: tale inden-nità, sia per i giudici onorari di tribunale sia per i vice procuratori onorari è di 98,00 euro lorde se

l’impegno lavorativo di udienza ha una durata di 5 ore, e di 196 euro se tale incombenza supera le cinque ore, mentre i giudici di pace percepiscono un’indennità mensile di 258,23 euro, una in-dennità di udienza di 36,15 euro e una indennità per sentenza o altro provvedimento di definizio-ne del giudizio di 56,81 euro e, nonostante si tratti come è evi-dente di una vera e propria attivi-tà lavorativa, non è prevista alcu-na tutela previdenziale, né di tipo pensionistico, né per infortunio, malattia o maternità.

Con l’utilizzo di tale persona-le - qualificato esattamente allo stesso modo rispetto ai magistrati di carriera, essendo tutti avvoca-ti - lo Stato ottiene, come si suol dire, due piccioni con una fava: da una parte copre l’ordinaria ed endemica carenza di organi-co della magistratura di carriera, che da sola non potrebbe mini-mamente svolgere le sue funzioni a causa del ristretto numero dei suoi componenti, e dall’altra ri-sparmia notevolmente nella spe-sa pubblica con l’ottenimento di servizi di altissima qualificazione a costi irrisori e a condizioni lavo-rative che sono di vero e proprio sfruttamento di manodopera in-tellettuale, tanto che si è creato negli anni una situazione di di-sparità insostenibile rispetto alla magistratura ordinaria.

E il fatto più assurdo è che tale condizione di sfruttamento e di precarietà grava su migliaia di professionisti che sono assoluta-mente indispensabili al funziona-mento della macchina giudiziaria: dai dati pubblicati dal consiglio superiore della magistratura rela-tivi al 2016 emerge che i giudici di pace erano 1.432, i giudici onorari di tribunale 2.152 e i vice procu-ratori onorari 1.784, e a questi bisogna aggiungere anche i 719 giudici onorari del tribunale per i minorenni, i 357 giudici onorari della corte d’appello per i mino-renni, i 443 del tribunale di sor-veglianza, i 30 del tribunale per le acque pubbliche, che sono nomi-nati tra professionisti esperti nelle specifiche materie di competen-za, e nel corso del 2015 sono stati immessi in servizio i giudici ausi-liari di corte d’appello, con la spe-cifica funzione di concorrere allo smaltimento dell’arretrato attra-verso la redazione delle sentenze, tanto che nel 2016 erano già 376.

Complessivamente, quindi, nel 2016 c’erano in Italia 7.184 magistrati onorari in servizio di cui 1.784 con funzioni di promo-zione di giustizia e 5.400 con fun-zioni giudicanti, che costituisco-no numericamente oltre un terzo dei componenti di tutta la magi-stratura ordinaria italiana, quella che, per intenderci, fa riferimento al consiglio superiore della magi-stratura.

È evidente che la magistratura onoraria italiana offre al comples-sivo servizio statale di giustizia un apporto quantitativo e qualitativo di tale imponente portata che senza di essi gli uffici giudiziari andrebbero al collasso in poche settimane.

Nel distretto di corte d’appello di Firenze (che comprende tutta la Toscana) i magistrati onorari, per gli stessi motivi, hanno poi scelto la forma estrema dello sciopero della fame: a partire dal 15 mag-gio hanno iniziato uno sciopero della fame per 24 ore ciascuno a cominciare dagli uffici di Firenze per poi proseguire in tutti gli altri uffici della Toscana, e tale forma di protesta viene attuata proprio nel giorno in cui tengono udien-za, con comunicato da affiggere fuori dall’aula e allegato al verba-le, al fine di sensibilizzare anche la cittadinanza e l’intero mondo del lavoro.

Già è gravissimo che lo Stato borghese non faccia nulla o qua-si contro la piaga del caporalato perpetrati da delinquenti senza scrupoli, ma è inaccettabile che lo Stato in prima persona si renda artefice di una sorta di caporalato istituzionale che prende di mira suoi funzionari, creando non sol-tanto sfruttamento e negazione di diritti elementari ma anche una si-tuazione di disparità inaccettabile rispetto ai magistrati di carriera.

15 arreSti tra imprenditori, funzionari pubblici e finanzieri

cosa nostra a milano infiltrata persino nell’ufficio del capo dell’antimafia

I tentacoli del clan catane-se dei Laudani si sono allungati fino a Milano, sulla società di vi-gilantes che lavora in tribunale a Milano, ma anche su alcuni uffici di Palazzo Marino, sugli appalti nelle scuole e sulla catena dei su-permercati Lidl.

È l’inquietante scenario che emerge dall’ultima indagine del procuratore aggiunto Ilda Boc-cassini e del Pubblico ministe-ro (Pm) Paolo Storari, che il 14 maggio hanno ordinato l’arresto di 15 persone fra cui Luigi Alecci, Giacomo Politi e Emanuele Mi-celotta, titolari del consorzio Sigi Facilities da 14 milioni di fattura-to nel 2014 (poi Sicilog srl), che aveva vinto una serie di gare con il colosso della grande distribu-zione tedesco. In manette sono finiti anche i fratelli Nicola e Ales-sandro Fazio, titolari del gruppo Securepolice, che oltre a lavorare con Lidl, si era anche aggiudi-cato il contratto con il Comune di Milano per la sorveglianza del tribunale. Ai domiciliari è finita an-che una dirigente del Comune di Milano, Giovanna Rosaria Maria Afrone, responsabile del Servizio

gestione contratti trasversali.Le accuse, a vario titolo, sono

di associazione a delinquere, fa-voreggiamento e corruzione.

“Sono stati seguiti i passaggi di denaro – ha precisato Boc-cassini nel corso della conferen-za stampa - il denaro raccolto a Milano veniva consegnato alla famiglia Laudani, ritenuta il brac-cio armato di Nitto Santapaola”. L’associazione per delinquere serviva “da serbatoio finanziario del clan”: i soldi delle attività il-lecite raccolti al Nord servivano per aiutare economicamente le famiglie dei detenuti, cui veniva chiesto di sottoscrivere “una ri-cevuta”.

Praticamente cinque impren-ditori di origine siciliana, da anni residenti al Nord, avevano creato consorzi di cooperative nel setto-re della logistica e della vigilanza privata, alle quali la Lidl Italia ha appaltato commesse per gli al-lestimenti e la logistica dei punti vendita sia al Nord sia in Sicilia, e che avevano vinto gare per gesti-re la sicurezza anche del tribunale di Milano.

Nell’ordinanza di arresto il Gip

Giulio Fanales parla di “stabile asservimento di dirigenti Lidl Ita-lia srl, preposti all’assegnazione degli appalti, onde ottenere l’as-segnazione delle commesse, a favore delle imprese controllate dagli associati, in spregio alle re-gole della concorrenza con grave nocumento per il patrimonio delle società appaltante”. Precisa Boc-cassini: “Sapevano quali fossero le persone giuste da corrompere, pescavano in un laghetto sicu-ro”.

Nel mirino degli investigato-ri della Dda ci sarebbero anche alcune società del consorzio che ha in appalto la vigilanza privata del tribunale di Milano, si tratte-rebbe di società che forniscono i vigilantes del Palazzo di giu-stizia. La società è indagata per la legge 231. Sarebbero emersi stretti rapporti tra alcuni dirigenti delle società coivolte (e messe, anche in questo caso come per le 4 sedi Lidl, in amministrazione giudiziaria) e alcuni personaggi ritenuti appartenenti alla famiglia dei Laudani.

Tra gli arrestati figura anche un ex dipendente della Provincia

di Milano, Domenico Palmieri, con una lunga esperienza nella pubblica amministrazione. Per i Pm, sarebbe stato lui a mettere a disposizione dei referenti del clan Laudani una serie di rapporti con esponenti di amministrazioni pubbliche fra cui la funzionaria del Comune di Milano Giovanna Afrone. Il compenso si aggirava intorno ai mille euro al mese.

La Afrone, si legge in un pas-saggio del provvedimento del giudice, in qualità di responsabile della gestione amministrativa e contratti, si sarebbe impegnata fra l’altro ad aggiudicare agli im-prenditori in odore di mafia, tra-mite la procedura di affidamento diretto, la gara da 40mila euro per

le pulizie degli edifici scolastici comunali, per avere in cambio un posto di lavoro presso il settore bilancio della Provincia di Milano nonché il trasferimento della cu-gina al settore informatico sem-pre di Palazzo Marino.

Ma l’elenco delle persone coinvolte e citate nell’ordinan-za di arresto per aver facilitato l’aggiudicazione degli appalti alla Sigi logistica, controllata at-traverso prestanome dal boss Orazio Salvatore Di Mauro, sono tantissimi; a cominciare da Ora-zio Elia e Domenico Palmieri, “associati” all’organizzazione e “soggetti già facenti capo della pubblica amministrazione sani-taria e provinciale”. I due, secon-

do l’accusa della Dda e del Pm Storari, “sfruttano a pagamento, le proprie relazioni con esponenti del Comune di Milano, di sinda-ci e assessori, al fine di ottenere commesse e appalti da proporre ai propri clienti”. Tra i nomi elen-cati nell’ordinanza dal gip vengo-no elencati i presunti contatti dei due. I nomi sono - oltre a quello di Afrone - quelli di Alba Piccolo, settore Servizi generali del Co-mune di Milano, Graziano Musel-la, sindaco di Assago, rieletto con Forza Italia nel 2014, Angelo Di Lauro, consigliere comunale a Ci-nisello Balsamo e, infine, Franco D’Alfonso, “consigliere comunale in Comune a Milano”, ex asses-sore della giunta Pisapia.

Numero di telefono e fax della Sede centrale del PMLI e de “Il Bolscevico”

Il numero di telefono e del fax della Sede centrale del PMLI e de “Il Bol-scevico” è il seguente 055 5123164. Usatelo liberamente, saremo ben lieti di comunicare con chiunque è interessato al PMLI e al suo Organo.

Manifestazione dei giudici di pace davanti a Montecitorio

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N. 27 - 13 luglio 2017 cronache locali / il bolscevico 11

Leggete il n. 25/2017

Si trova sul sito al link:http: //www.pmli.it/ ilbolscevicopdf/ 2017n252906.pdf

1917-2017100

Grande Rivoluzione Socialista d’Ottobre

ANNIVERSARIO DELLA

O

Stalin. Kalinin. Molotov. Voroscilov.Kaganovic. Mikoyan. Zdanov. Beria

STORIADEL

PARTITO COMUNISTA(BOLSCEVICO)

DELL’U.R.S.S.

SettimanaleFondato il 15 dicembre 1969

Nuova serie - Anno XLI - N. 25 - 29 giugno 2017

1

Niscemi

Combattivo Corteo CoNtro il muos, CoNtro le basi di guerra imperialista e per la smilitarizzazioNe della siCilia

Fiera partecipazione del PMLI �Dal corrispondente della Cellula “Stalin” della provincia di CataniaSabato 1° luglio il movimen-

to No Muos si è dato appunta-mento a Largo Marinnuzza in Niscemi (Caltanissetta) per un corteo nel cui documento di convocazione si leggeva fra l’altro: “la nostra è stata ed è una battaglia contro la milita-rizzazione della Sicilia e del Mediterraneo e contro gli ef-fetti collaterali della presenza

di una delle quattro stazioni di terra del sistema di comunica-zioni militari Usa: inquinamen-to e impatto elettromagnetico sugli abitanti e sull’ambiente”.

Diverse le associazioni e i partiti, tra cui il PMLI, pro-venienti dalla Sicilia, ma an-che delegazioni dal nord Italia e dall’Europa. In oltre un mi-gliaio si sono ritrovati in piaz-za per dire no al Muos volu-to dagli Usa e passando sulla testa del popolo niscemese e

siciliano, con la complicità del-la Nato, del governo italiano e di quello siciliano con a capo Crocetta che aveva preso de-gli impegni per smantellare il Muos poi vergognosamen-te rimangiati. Anche i sinda-ci della zona hanno fatto solo una opposizione formale, in-vece avrebbero dovuto buttar-si nella lotta a oltranza contro il Muos per liberare Niscemi da questo strumento di guer-ra, di inquinamento ambienta-le e in difesa della salute delle popolazioni.

Nel corteo risuonavano tante parole d’ordine contro il Muos, come “Americani a casa”, contro la mafia (visto anche che l’ex sindaco di Ni-scemi è stato arrestato recen-temente per voto di scambio). Durante il percorso sono sta-te effettuate diverse soste nei quartieri popolari per svolgere brevi comizi, in cui si è denun-ciata la natura guerrafonda-ia del Muos, la crisi idrica, la non potabilità dell’acqua di cui Niscemi soffre storicamente. Si è denunciata l’emigrazione causata dalla mancanza di la-voro. Insomma, tante proteste da un corteo combattivo e uni-tario.

Tra le organizzazioni e i partiti che si sono uniti al mo-vimento No Muos, c’erano il PRC, il PCI, il PCL, il PC di Rizzo, il Coordinamento re-gionale dei Comitati No Muos, la Rete antirazzista, l’USB, ecc.

Si è registrata una provo-cazione della Digos al servizio del ministro Minniti, i cui agen-ti in borghese mescolati tra i manifestanti facevano foto e filmati. La cosa ha infastidito molti giovani manifestanti che hanno invitato la Digos a sta-re a debita distanza come fan-no gli agenti in divisa. Dal cor-teo si è levato pure lo slogan “Fuori la Digos dal corteo”.

La manifestazione si è con-clusa nella centrale piazza Vit-torio Emanuele.

Il PMLI ha partecipato dan-do il suo contributo contro il Muos, anzitutto denuncian-dolo come strumento al ser-vizio delle guerre imperialiste. I nostri compagni portavano la bandiera del PMLI e il car-tello-manifesto “Cancellare Muos-No Muos-Smantellare Antenne-Smilitarizzare la Si-cilia-Opponiamoci al capita-lismo e al suo governo-Per il socialismo”.

sostegNo ai diritti della ComuNità lgbt

migliaia in piazza per il bologna

pride 2017Attiva partecipazione del PMLI

Sabato 1° luglio in mi-gliaia hanno partecipato al “Bologna Pride 2017” per manifestare l’orgoglio gay e rivendicare i diritti che sono ancora loro negati. Parten-za dal Parco del Cavatic-cio per arrivare, dopo aver percorso le strade del cen-tro città, al Parco di Vil-la Cassarini, a pochi metri da Porta Saragozza, prima sede concessa da un’am-ministrazione comunale a un’associazione per i diritti omosessuali nel 1982 e da sempre luogo simbolo per la comunità LGBT non solo bolognese.

Erano presenti alla mani-festazione anche il sindaco di Bologna Virginio Merola e Franco Grillini, presiden-

te onorario dell’Arcigay, che ha partecipato nonostante la sua malattia lo costringa sulla sedia a rotelle. C’era-no anche gli studenti medi di Bologna, alcuni membri di Rifondazione Comunista e molti dei centri sociali.

Il PMLI ha partecipato, accolto con calore. Sono state distribuiti centinaia di volantini “I DIRITTI E LE BATTAGLIE LGBT, IL MA-TRIMONIO E LA MATERNI-TÀ SURROGATA”, riscuo-tendo un buon successo. In molti conoscevano già il PMLI e hanno apprezzato la presenza militante a so-stegno. Un volantino è stato dato ad un giornalista di una tv locale.

Un membro del PMLI

1 luglio 2017. Un momento del corteo del Gay pride a Bologna. Sulla sinistra si nota parte della rossa maglia del PMLI indossata da un compagno che ha partecipato alla manifestazione

vorrei fare di più per il pmli

Carissimi compagni, faccio quello che posso per

aiutare economicamente il PMLI. Vorrei fare di più ma di-stanza e altri fattori non me lo permettono.

Vi seguo sempre con inte-resse rosso. Sono impegna-to nella lettura e nello studio del “Capitale” di Marx e paral-lelamente di “Materialismo ed empiriocriticismo” del Maestro

Lenin.Ho letto il discorso alla Fe-

sta del sempre rosso combat-tente compagno Scuderi.

Vorrei non solo darvi la mia opinione articolata ma anche, dopo aver dialettizzato, quella dei compagni tutti di ispirazio-ne m-l e grandi maestri, che fanno parte di un blog marxi-sta-leninista del quale sono amministratore, e dove ho vi-sto circolare anche articoli del PMLI.

Ho apprezzato il vostro arti-colo sulla riunione della cricca trotzkista o giù di lì, per forma-re la “sinistra” PD. Mi ricorda il Pdup o DP o peggio ancora i figliocci di Bertinotti.

Qui in Francia l’astensioni-smo ha trionfato ma il partito comunista maoista non rie-sce ad essere il gigante rosso di cui si avrebbe bisogno per smascherare la cricca del trot-zkista Mélechon & co.

Con Marx, Engels, Lenin, Stalin e Mao per sempre!

Con i Maestri vinceremo!Marcello – Francia

Ho affisso i manifesti elettorali astensionisti

del pmliSalve compagni, di seguito vi rimetto i link

del comunicato del PMLI pub-blicato su alcuni giornali onli-ne di Giovinazzo e Bitonto (Bari).

Queste le affluenze nei co-muni in cui ho praticato l’a-stensionismo e fatto affiggere i manifesti elettorali astensio-nisti del PMLI:

Bitonto: 67,62%Giovinazzo: 67,33%Molfetta: 60,62%Terlizzi: 70,76%Nicola – provincia di Bari

perfetta l’analisi del voto proposta da “il

bolscevico”Un’analisi perfetta, que-

sta de “Il Bolscevico” relativa al ballottaggio/secondo turno delle elezioni amministrative parziali di domenica 25 giu-gno. La tendenza all’astensio-nismo è inarrestabile, in ogni

tipo di elezione, con la déba-cle di ogni proposta, comun-que interna alla riproposizione del potere capitalistico.

A parte il PD, ormai un ru-dere post-democristiano, che ingloba sempre più elementi provenienti dalla “Balena Bian-ca”, anche il revisionismo mal mascherato di “Sinistra Italia-na”, “Articolo 1”, ecc. mostra sempre più di essere un rima-suglio superstite di altri tempi, sempre più in crisi di identità.

Il parlamentarismo borghe-se è un vero disastro: servis-se almeno a delegittimare la società e lo Stato borghese, a farlo “implodere”, sarebbe qualcosa. Invece, al contrario, riesce sempre a creare in mol-ti l’illusione riformista.

I nostri Maestri, giusta-mente, ci hanno sempre messo in guardia, mostran-do come i vari Blanc, Lassal-le, Proudhon, Witling, Owen non uscissero mai dal recinto dei giochetti borghesi, maga-ri con una vena utopico-esca-pista (di fuga) in più. Lo han-no fatto genialmente Marx ed Engels, come Lenin l’ha fatto con Martov, con i menscevichi tutti, con Turati, Labriola, Van-dervelde, ecc.; l’ha fatto Sta-lin con Trotzki, ma anche con tutti gli altri ingannatori che si sono succeduti nel tempo. L’ha fatto Mao, con il Kuomin-tang, come con Deng-Hsiao Ping e tutti gli altri. Sulle orme dei Maestri (cui aggiungo il compagno Segretario genera-le Giovanni Scuderi con la sua demistificazione di Guevara e di tutti gli imbroglioni pseudo-rivoluzionari), dobbiamo farlo sempre anche noi.

Eugen Galasso – Firenze

Conto corrente postale 85842383 intestato a: PMLI - Via Antonio del Pollaiolo, 172a - 50142 Firenze

Niscemi (Caltanissetta) 1 luglio 2017. Manifestazione contro il MUOS. In primo piano il manifesto e la bandiera del PMLI (foto il Bolscevico)

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12 il bolscevico / lotte per la sanità pubblica N. 27 - 13 luglio 2017

Firenze

Cgil in piazza Contro la riforma regionale rossi-saCCardi e

la privatizzazione dei servizi sanitari pubbliCi

Partecipa una delegazione del Comitato di resistenza Asl di Santa Rosa �Redazione di FirenzeMartedì 27 giugno erano

circa quattrocento i manife-stanti in piazza Duomo a Fi-renze per protestare contro la “privatizzazione striscian-te” della sanità toscana. Sotto la sede della presidenza della Regione Toscana, si è tenu-to un presidio della Cgil che contestava la mancata appli-cazione della riforma sanitaria Rossi-Saccardi: al taglio dei posti letto negli ospedali, ac-cusa il sindacato, non è coinci-so un aumento dei servizi sa-nitari territoriali. Col risultato di peggiorare le cure, allungare le liste d’attesa e consegnare pezzi della sanità al privato e al privato-sociale.

Arrivati in pullman da tutte

le principali città della regio-ne, Livorno, Grosseto, Siena, Prato, Firenze, ecc... , delegati sindacali e lavoratori di tutte le categorie coinvolte nel mondo della sanità pubblica, dai me-dici agli operatori addetti alle pulizie dei reparti, sono inter-venuti al microfono della piaz-za per esprimere tutta la loro rabbia verso i vertici della Re-gione la cui riforma ha ridotto il numero delle Asl da 12 a 3 senza portare alcun beneficio a chi tutti i giorni fa uso del ser-vizio sanitario pubblico.

In particolare la CGIL ha evidenziato questi “punti criti-ci” nella regione. San Marcel-lo Pistoiese: soppressione del pronto soccorso dell’ospeda-

le; Figline Valdarno: progetto di riconversione specialistica dell’ospedale; Prato: carenza di posti letto nel nuovo ospe-dale; Firenze: parziale chiu-sura del Poliambulatorio nel lungarno S. Rosa; Pontassie-ve: mancata realizzazione del-la Casa della salute della Val di Sieve (per Pelago, Pontas-sieve e Rufina); Mugello, Bor-go San Lorenzo: chiusura re-parto senologia dell’ospedale del Mugello; Livorno: è in di-scussione da lungo tempo il destino dell’ospedale cittadi-no; Isola d’Elba: mancanza di presidio adeguato, necessità di Casa della salute; Volterra: rischio di chiusura dell’ospe-dale; Ospedale della Versilia: inaugurato solo 15 anni fa, vie-

ne oggi svuotato gradualmen-te di reparti; Valtiberina: no all’accorpamento con il distret-to del Casentino con il rischio di declassamento degli ospe-dali di Bibbiena e Sansepol-cro; Grosseto: accentramento della Centrale 118 a Siena con il conseguente rischio di com-promettere la tempestività dei soccorsi; Siena: rischio chiu-sura per le RSA storiche.

Ha partecipato una delega-zione del Comitato di resisten-za ASL di Santa Rosa che si oppone con determinazione al piano regionale dell’assessore Saccardi di progressivo sman-tellamento della sanità pubbli-ca avallato dal colpevole si-lenzio del governatore della

Toscana Enrico Rossi (ex PD ora Art.1- MDP).

Il Comitato si è presenta-to con un proprio striscione: “No alla chiusura dell’ASL di Santa Rosa” e alcuni cartelli che i giornalisti presenti han-no fotografato più volte. Due di essi recitavano: “NO alla sop-pressione ed allo smantella-mento dei servizi socio sani-tari dell’Asl di lungarno Santa Rosa. NO a convenzioni ed esternalizzazioni”, “Il presi-dio socio sanitario di lungarno Santa Rosa deve essere man-tenuto e potenziato”.

La denuncia della CGIL di Firenze era proprio focalizzata sul rischio chiusura della stes-sa Asl per cui è stata invitata

nell’area interventi con un car-tello in bella vista, la compa-gna Patrizia Pierattini, mem-bro attivo del Comitato di lotta.

Durante tutta l’iniziativa altri attivisti hanno diffuso il volan-tino: “NO allo smantellamento del presidio Asl di Santa Rosa. Non vi si fa fare”. Nel frattem-po una delegazione guidata da Mauro Fuso, membro del-la segreteria CGIL Toscana, è stata ricevuta dal capo di ga-binetto del presidente della Regione Toscana, in quel mo-mento assente.

Il Comitato di resistenza Asl di Santa Rosa durante il presi-dio ha ricevuto dai molti fioren-tini i complimenti e la solidarie-tà per la lotta portata avanti.

Firenze, 27 giugno 2017. Il presidio di protesta della CGIL contro la pri-vatizzazione strisciante della Sanità in Toscana sotto il palazzo della Regione in piazza Duomo. Sulla destra, con i cartelli del Comitato di re-sistenza ASL di Santa Rosa si notano Luca e Patrizia Pierattini (foto il Bolscevico)

Locandina realizzata dalla Cellula “Nerina ‘Lucia’ Paoletti di Firenze del PMLI

Protesta organizzata da “non una di meno-mugello”

la popolazione scende in piazza contro la chiusura del reparto di senologia dell’ospedale di Borgo s. lorenzo

Contestato l’operato dell’amministrazione comunale �Dal corrispondente dell’Organizzazione di Vicchio del Mugello del PMLIIl 23 giugno scorso, a Bor-

go San Lorenzo, la popolazio-ne mugellana ha dato vita ad una vivace e combattiva mani-festazione contro la decisione dell’AUSL Toscana centro di chiudere il reparto di Senolo-gia dell’ospedale del Mugello.

In circa 300 i manifestan-ti che si sono ritrovati davanti alla sede dell’ospedale a Bor-go San Lorenzo per formare un vivace corteo che si è di-retto fin proprio sotto le fine-stre del Comune, considerato di fatto come una delle contro-parti, insieme agli altri comu-ni mugellani e alla regione To-scana, benché sull’onda della protesta che stava montando le amministrazioni comuna-li della zona abbiamo preso posizione contro la chiusura del reparto attraverso il sinda-co del Comune di Borgo San Lorenzo e Presidente dell’U-nione dei Comuni del Mugello Paolo Omoboni del PD.

Ha aperto il corteo lo stri-scione del movimento “Non una di meno-Mugello” che ha organizzato la protesta. A se-guire numerosi gli striscioni come “Il diritto alla salute non è in vendita”, “La senologia non si tocca”, “Giù le mani dai ser-vizi del Mugello” e quello del Coordinamento toscano per il diritto alla salute con scritto “La salute non è una merce”. Sono stati lanciati anche alcuni slogan come “Sanità pubblica, sanità pubblica!”, “Chiudono gli ospedali, chiudono i distretti, ci vogliono cittadini senza difet-ti!”, “La sanità non si tocca, la sanità non si tocca!” e “L’ospe-dale non si tocca, l’ospedale non si tocca!”

Presenti le bandiere di CGIL, CISL, RDB, quest’ulti-

ma che aveva anche uno stri-scione, e del PRC.

L’ Organizzazione di Vic-chio del Mugello del PMLI è stata ben rappresentata dal valoroso compagno Andrea che ha portato la rossa ban-diera del Partito e si è mosso tra la popolazione mugellana in lotta come un pesce nell’ac-qua. L’Organizzazione di Vic-chio, nelle scorse settimane ha emesso un comunicato stampa a sostegno di questa battaglia che è stato pubblica-to integralmente dal giornale online OK!MUGELLO nell’edi-zione di mercoledì 14 giugno, come ci ha gentilmente avvi-sati via email la stessa reda-zione.

Davanti al municipio ha pre-so la parola Tatiana Bertini, rappresentante di “Non una di meno-Mugello”, che ha basato il suo intervento sulla neces-sità della salvaguardia dell’o-spedale che, come ha de-nunciato, da alcuni anni viene smembrato sistematicamente, dai servizi erogati, a “scaden-

ze programmate”. Ha inoltre ri-badito che è necessario difen-dere la centralità dell’ospedale suddetto a salvaguardia della popolazione mugellana e dato appuntamento per le prossime iniziative. Sono intervenuti al-tri partecipanti, per raccontare l’odissea cui sono costretti per curarsi, sballottati tra gli ospe-dali fiorentini.

L’assessore alla cultura e all’istruzione della giunta di “centro-sinistra” del comune di Borgo San Lorenzo, Cristi-na Becchi (PD), è intervenuta benché, come ha affermato, volesse mantenere una posi-zione defilata, sostenendo che il sindaco e il Comune di Bor-go San Lorenzo sono “con voi in questa battaglia”. L’asses-sore è stata però contestata da due interventi. Il primo ha fatto giustamente notare che doveva presenziare all’iniziati-va non l’assessore alla cultu-ra ma quello alla sanità, ossia Ilaria Bonanni, che per inciso è anche una dipendente dell’o-spedale stesso; intervento che

è stato anche applaudito. Il se-condo intervento ha tra l’al-tro giustamente denunciato le responsabilità dei sindaci del Mugello e della Regione nel-lo smantellamento dell’ospe-dale, che non si sono opposti alla chiusura del reparto di se-nologia. A dimostrazione che il sostegno “d’ufficio” portato dalla Becchi non ha convinto la piazza, i manifestanti hanno deposto sul palazzo comuna-le gli striscioni che esprimeva-no la contrarietà della popola-zione alla privatizzazione della sanità.

La protesta della popola-zione mugellana lanciata dal movimento “Non una di meno Mugello” ha ottenuto un impor-tante primo successo con la decisione presa dalla Regio-ne di sospendere temporane-amente il trasferimento, cioè la chiusura di senologia, dall’o-spedale del Mugello a quello di Ponte a Niccheri alle porte di Firenze in attesa di “ridefi-nire l’intero percorso senologi-co”.

Borgo San Lorenzo (Firenze), 23 giugno 2017. La manifestazione organizzata da “Non una di meno - Mugello” contro la chiusura del reparto di senologia dell’Ospedale. Si nota Andrea Bartoli con la bandiera del PMLI (foto il Bolscevico)

video

Video Prodotto dalla Commissione per il lavoro di Stampa e propaganda del CC del PMLI

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N. 27 - 13 luglio 2017 cronache locali / il bolscevico 13Milano

Vile attacco squadrista contro gli antirazzisti I nazifascisti di Casapound attaccano a Palazzo Marino gli attivisti del movimento “Nessuna Persona è Illegale”. Pronta solidarietà del Comitato lombardo del PMLI

Mettere fuorILegge tutte Le orgaNIzzazIoNI NeofasCIste

�Redazione di MilanoUna vile, inaudita e gravis-

sima aggressione squadrista con calci e pugni è stata com-piuta lo scorso 29 giugno con-tro gli attivisti del movimento “Nessuna Persona è Illega-le” (NPI) da parte del gruppo nazifascista Casapound pro-prio dentro la sede del Comu-ne di Milano (Palazzo Marino) in Piazza della Scala. Alle 18 era stato indetto nella stessa piazza un presidio a sostegno delle richieste che, da tempo, vengono avanzate alla giun-ta guidata dal sindaco inqui-sito Giuseppe Sala in materia di concessione della residen-za anagrafica per le miglia-ia di migranti ma anche italia-ni che ne sono privi in quanto non possono indicare una fis-sa dimora.

Nel momento in cui una de-

legazione, vista la forte com-battività del presidio, era lì lì per essere ricevuta dal capo gabinetto del sindaco, la poli-zia municipale stava accom-pagnando all’uscita principale alcune decine di squadristi na-zifascisti che poco prima ave-vano inscenato, nello spazio ri-servato al pubblico dell’aula del Consiglio comunale, una stru-mentale “protesta” contro il sin-daco inquisito.

In quel momento gli squadri-sti hanno aggredito proprio da-vanti al banco dell’accoglienza la delegazione antirazzista che si stava apprestando ad en-trare. Due membri della dele-gazione sono stati seriamente colpiti e uno è dovuto ricorrere alle cure del Pronto Soccorso.

Venuto a conoscenza di quanto era accaduto all’in-terno il presidio ha alzato il li-

vello di combattività con for-ti proteste contro il razzismo di Casapound, mentre per le “forze dell’ordine” l’unica pre-occupazione è stata quella di proteggere la squadraccia fa-scista consentendole di rag-giungere l’esterno attraverso un’uscita laterale dove i vigliac-chi picchiatori hanno comun-que continuato indisturbati ad alzare le mani, aggredendo e strappando macchine fotogra-fiche fino all’arrivo dei parteci-panti al presidio.

Mentre agli aggressori fasci-sti non è stato torto un capello, partiva invece un’immediata e intollerabile repressione unica-mente contro i manifestanti an-tirazzisti e antifascisti. L’unica preoccupazione della Questu-ra è stata quindi quella di pro-teggere i fascisti affinché, indi-sturbati, potessero scappare

come conigli.Il Comitato lombardo del

PMLI ha espresso la sua so-lidarietà antifascista agli ag-grediti e condannato la vile aggressione e l’operato del-le “forze dell’ordine” e chiesto che tutta la Milano antifascista si mobiliti con urgenza scen-dendo in piazza rivendican-do la messa fuori legge di tutti i gruppi nazifascisti (tra i qua-li Casapound) in base alla XII disposizione transitoria fina-le (comma primo) della Costi-tuzione che vieta sotto qualsi-asi forma la riorganizzazione del disciolto partito fascista, ed in base alle leggi n. 645 del 20 giugno 1952 e n. 205 del 25 giugno 1993 che puniscono l’a-pologia del fascismo e la pro-paganda e la violenza xenofo-ba e razzista che tale ideologia si porta dietro.

comunicato del comitato lombardo del PMli

solidarietà militante agli aggrediti dagli squadristi nazifascisti di casapound

MILaNo aNtIfasCIsta deve MobILItarsI Per La Messa fuorILegge dI tuttI I gruPPI NazIfasCIstI

Il Comitato lombardo del Partito marxista-leninista ita-liano (PMLI) esprime la sua solidarietà antifascista agli attivisti di “Nessuna Perso-na è Illegale”, e agli antiraz-zisti al loro fianco, vilmente aggrediti dagli squadristi na-zifascisti di Casapound den-tro e fuori la sede centrale del Comune di Milano (Pa-lazzo Marino) lo scorso gio-vedì 29 giugno.

Condanniamo oltremodo l’operato delle forze di po-lizia, che si sono frapposte tra gli aggressori squadristi e gli antifascisti, che hanno difeso i primi lasciandoli li-beri di compiere altre provo-cazioni e poi svignarsela, e che hanno picchiato i secon-di che protestavano perché, come di consueto, appunto lasciavano liberi e impuniti gli squadristi di Casapound.

Occorre urgentemen-te che tutta la Milano antifa-scista si mobiliti e scenda in piazza rivendicando, come da sempre fa il PMLI, la mes-sa fuori legge di tutti i gruppi nazifascisti (tra i quali Casa-pound) in base alla XII di-sposizione transitoria finale (comma primo) della Costitu-zione che vieta sotto qualsiasi forma la riorganizzazione del disciolto partito fascista, ed

in base alle leggi n. 645 del 20 giugno 1952 e n. 205 del 25 giugno 1993 che punisco-no l’apologia del fascismo e la propaganda xenofoba e razzista che tale ideologia si porta dietro.

Il Comitato lombardo del Partito marxista-leninista

italiano

Milano, 1 luglio 2017

il sindaco di Milano indagato anche per

turbativa d’astaavrebbe strapagato gli alberi al costruttore Mantovani per exposaLa deve dIMettersI

subIto �Redazione di MilanoSi aggrava la posizione

del sindaco milanese Giu-seppe Sala nell’ambito delle indagini sulle ruberie dell’af-fare Expo 2015 di cui fu am-ministratore delegato tra il 2010 e il 2016, prima della sua elezione a Palazzo Mari-no. Alla contestazione avve-nuta già nel dicembre dello scorso anno del “falso mate-riale e ideologico” per la re-trodatazione di un documen-to che consentì di cambiare in corsa due dei membri del-la commissione di valutazio-ne delle offerte riguardo alla realizzazione della cosid-detta “Piastra”, l’“ossatura” dell’Esposizione universale costituita da opere idriche, percorsi e impianti tecno-logici, si è aggiunta in que-sti giorni l’ipotesi di turbativa d’asta, sempre nell’ambito dello stesso mega affare, ri-guardo la fornitura di seimi-la alberi.

Tale fornitura fu affidata senza alcun appalto e per un costo di 4,3 milioni di euro, pari a 716 euro a pianta al costruttore Mantovani il qua-le, pochi mesi dopo, la affi-dò in subfornitura a un vivai-sta per 1,6 milioni, 266 euro a pianta. Secondo l’accusa l’appalto per gli alberi avreb-be dovuto essere scorpora-to dal bando principale e la gara avrebbe dovuto essere riformulata in modo da con-

sentire la partecipazione an-che ad aziende estranee al bando sulla “Piastra” e non affidato direttamente alla Mantovani.

Sala, come fosse stato colto in flagrante, ha inizial-mente cercato di giustificarsi replicando che la questione degli alberi avrebbe riguar-dato “un millesimo” di quan-to speso per l’Expo e ora ha il coraggio di mettersi sulla difensiva dichiarando sen-za alcuna vergogna di non voler commentare in alcun modo ogni possibile inizia-tiva della Procura generale “Né oggi né in futuro” e cade oltretutto nel ridicolo affer-mando di essersi “sacrifica-to” per poter fare di Expo un grande successo per l’Italia e per Milano.

Il PMLI ha denunciato fin da subito come l’immenso affare dell’Esposizione uni-versale, oltre a non portare alcuna utilità alle masse la-voratrici e popolari, sarebbe stato fonte di continue cor-ruzioni e ruberie ai loro dan-ni e difatti proprio questo sta emergendo dalle indagini giudiziarie in corso. Il sinda-co Sala non può continuare a restare al comando della città, anche in considerazio-ne del fatto che risulterebbe imminente un suo rinvio a giudizio, pertanto i marxisti-leninisti rivendicano le sue immediate dimissioni.

affidandosi alle agenzie immobiliari privateLa giunta De Magistris svenDe

iL patriMonio iMMobiLiareCoLPItI aNCora uNa voLta I quartIerI PoPoLarI

�Redazione di NapoliLa “rivoluzione” arancione

del sindaco De Magistris e del-la sua giunta dimostra di esse-re sempre più fumo negli occhi delle masse popolari napoleta-ne.

Per far fronte ai debiti pub-blici accumulati dal Comune di Napoli – per la verità anche a causa delle giunte di “centro-sinistra” guidate da Bassolino e Iervolino – da qualche mese è stata annunciata la svendita del patrimonio immobiliare co-munale. Un annuncio che de-stò malumori nel popolo par-tenopeo all’indomani della decisione della giunta di met-tere in vendita nientemeno che l’Albergo dei Poveri, uno dei monumenti simbolo della città all’ombra del Vesuvio.

Il patrimonio immobiliare che si vorrebbe svendere con-sta di ben 22 mila alloggi di edilizia residenziale pubblica e che tocca in particolar modo

quartieri periferici come Scam-pia, Ponticelli e Barra (cosid-detto patrimonio Erp) con alta intensità di proletariato e di fa-miglie povere e dal valore com-plessivo di 1 miliardo di euro. A ciò si aggiungono 60 locali commerciali dal valore di 60-70 milioni di euro e ben mille case ex Iacp che porterebbero alle casse comunali 30 milioni di euro.

C’è poi una quantità di al-loggi presenti nell’hinterland napoletano, 3.300 unità pari ad un valore di 100 milioni di euro; il tutto su di un valore to-tale di 2,5 miliardi di euro, os-sia la cifra di tutto il complesso patrimoniale dell’ente di piaz-za Municipio. La svendita del patrimonio è già cominciata con gli annunci del 2016: ben 81 sarebbero stati gli immobi-li venduti ai privati per un tota-le di 3,5 milioni di euro incas-sati. Troppo poco e in troppo poco tempo per la giunta aran-

cione che vuole consegnare ai predatori delle agenzie immo-biliari la gestione della vendi-ta senza che questi prendano una cospicua percentuale sul venduto: “Il nuovo regolamen-to – afferma senza pudore l’as-sessore al Bilancio ed ex as-sessore al lavoro Enrico Panini - prefigura un ruolo delle agen-zie immobiliari solo nel caso di immobili del patrimonio inven-duti, per evitare la ‘svendita’ a valore inventariale, dopo il falli-mento dell’asta pubblica previ-sta per la loro vendita”.

Nonostante non parli di svendita, si capisce bene che le agenzie entreranno in scena quando le case non verranno vendute all’asta al primo col-po e ciò accade per il 95% de-gli immobili che verranno gesti-te dai privati. Inoltre sono ben quindici anni che si cerca di vendere il patrimonio Erp con risultati assolutamente delu-denti tenuto conto che le fa-

miglie napoletane di Scampia, Ponticelli e Barra hanno rispe-dito al mittente ogni possibilità di comprarsi il proprio appar-tamento non avendo un reddi-to tale da impegnarsi in mutui onerosi. Ragioni che non sem-brano interessare la giunta De Magistris e l’assessore al patri-monio Ciro Borriello che parla solamente di “snellimento del-le procedure” per vendere più facilmente e prima; e c’è chi ri-sponde che circa il 75% della ri-scossione delle multe ammini-strative non è ancora avvenuto e che da solo rimpinguerebbe le casse comunali. A dimostra-zione che a breve arriverà un nuovo salasso per le masse popolari prese a tenaglia dalla giunta antipopolare pronta alla svendita, né più né meno come quelle fallimentari di Bassolino e Iervolino, e dai pescecani pri-vati pronti a fiutare l’affare e a riempirsi il portafoglio ai danni delle famiglie povere.

La locandina realizzata dal PCI sezione Alto Verbano in occasione di una serie di iniziative per il Centenario della Rivoluzione d’Ottobre dal titolo “Il Treno di Lenin”. La “fermata” a San Martino sopra Duno è dedicata al ruolo del comunismo nella Resistenza. Qui sono state invitate la Cellula “Mao” di Milano e l’Organizzazione di Viggiù del PMLI che hanno accet-tato ed interverranno al dibattito

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N. 27 - 13 luglio 2017 esteri / il bolscevico 15Strozzati dal crollo dei prezzi e dagli elevati mutui agricoli

Rivolta dei contadini in indiaMigliaia di contadini hanno

bloccato la produzione di frutta e verdura e la distribuzione nei mercati e sono scesi in piazza negli stati di Maharashtra e Ma-dhya Pradesh agli inizi di giugno per denunciare le loro drammati-che condizioni di vita, una con-dizione che riguarda un numero consistente di casi dato che qua-si la metà dei lavoratori dell’India sono impiegati nell’agricoltura. Tanto che la rivolta contadina si è estesa a altri Stati e ottenuto alcuni risultati in Maharashtra e Madhya. La protesta nasceva a causa degli elevati mutui agricoli che i contadini non riescono a restituire per un crollo dei prezzi dei prodotti agricoli, spingendo-ne alcuni al suicidio. Crollo deter-minato dalle leggi capitalistiche di mercato, dalla combinazione

tra una sovrapproduzione dei campi, che negli ultimi anni sono stati disseminati di impianti d’ir-rigazione per prevenire i periodi di siccità, e bassissimi prezzi al consumo; il minor reddito pro-dotto spartito tra reti di distribu-zione, commercianti e contadini ha segnato la sorte soprattutto dei contadini costretti a chiedere altri prestiti e finire strozzati dal debito.

Il colpo determinante che ha accelerato lo sviluppo della cri-si dei contadini è stato infine la decisione del governo Narendra Modi di mettere fuori corso buo-na parte della cartamoneta in circolazione nel paese allo sco-po di colpire il sistema della cor-ruzione e il giro delle banconote contraffatte in favore di un’India più “pulita” e moderna, in linea

col modello avanzato del paga-mento digitalizzato. Dopo la de-cisione del governo di Mombai dell’8 novembre 2016 si sono registrate code chilometriche fuori dagli sportelli bancari per cambiare la cartamoneta e il de-collo dei pagamenti digitali nella classe borghese, in quella ricca, lasciando a terra milioni di mas-se popolari nella parte dell’India rurale dove vive ancora quasi il 70% della popolazione totale.

La riduzione dei contanti ha contribuito a paralizzare le ven-dita dei prodotti agricoli, prodotti deperibili che i contadini hanno dovuto svendere per non perde-re del tutto il loro reddito, veden-do andare in fumo i loro risparmi e lasciandoli scoperti verso le banche per i prestiti ottenuti per comperare sementi e pesticidi.

I manifestanti che per primi sono scesi in piazza e hanno iniziato uno sciopero generale nello stato del Maharashtra, quello della capitale economi-ca indiana di Mombai, chiede-vano un aumento sostanziale del prezzo minimo fissato dal governo per la vendita all’in-grosso di alcuni prodotti agri-coli, a partire da riso e legumi, le pensioni per i braccianti a 60 anni e l’elettricità gratuita per 8 ore al giorno e soprattutto la cancellazione totale del debito bancario del 2016 per l’intero settore. Richieste rilanciate dal-la rivolta in Madhya Pradesh, dove i contadini si scontravano con la polizia che sparava sui cortei e uccideva 6 manifestan-ti nelle proteste nel distretto di Mandsaur.

Il 12 giugno il governo regio-nale di Maharashtra, guidato dal Bharatiya Janata Party di Narendra Modi, metteva una pezza alla disastrosa politica del governo nazionale e annun-ciava la cancellazione dei debi-ti agricoli, l’aumento del prezzo di vendita del latte e il rialzo dei prezzi minimi di vendita di altri prodotti agricoli. Cessava lo sciopero dei contadini nello Stato ma continuava con forti proteste nel Madhya Prades fino a quando il governo regio-nale, anche esso del Bharatiya Janata Party, annunciava la de-cisione di fissare un prezzo mi-nimo per il grano, una serie di incentivi fiscali per stabilizzare i prezzi dei prodotti ma non an-nullava i debiti dei mutui.

Da notare che molte di que-

ste misure adottate dai governi locali facevano parte della lun-ga lista delle promesse eletto-rali a favore dei contadini del premier Narendra Modi duran-te la vittoriosa campagna del 2014; aveva promesso tra le altre di cambiare il prezzo mi-nimo del grano e la definizione di un prezzo minimo finale dei prodotti agricoli che tenesse conto di tutte le spese degli agricoltori in modo da non ren-derli schiavi dei prestiti da par-te delle banche. La sua politica è andata nel senso opposto e solo la rivolta nelle campagne lo ha fatto tornare parzialmente indietro, pensando anche alle prossime elezioni regionali e allo spazio che le opposizioni si stavano conquistando schie-randosi coi manifestanti.

elicottero lancia quattro granate contro il tribunale Supremo

Maduro denuncia un attacco terroristicoIl presidente venezuelano

Nicolas Maduro annunciava il 3 luglio la firma di un decreto per aumentare salari e pensioni del 50% e per dare un buono alimentare ai più poveri. Una misura già attuata tre volte nel 2017 per fronteggiare lo spa-ventoso aumento dei prezzi a causa dell’inflazione galop-pante e della speculazione che basa illegalmente i prezzi delle

merci su un valore legato al dol-laro. “La speculazione è l’arma principale della guerra econo-mica - affermava Maduro - per questo la mia risposta è quella di proteggere l’occupazione, proteggere il potere d’acquisto fino all’arrivo della Costituen-te”, quella “Assemblea Costi-tuente del popolo” annunciata lo scorso 1 Maggio e finalizzata a “riformare lo Stato” e “portare

la pace nel nostro Paese” la cui elezione è stata indetta per il 30 luglio e dovrebbe tra le altre varare una legge “per regolare i prezzi, punire severamente gli speculatori e dare una svolta all’economia”. Il presidente Ma-duro tenta così di tamponare gli effetti negativi sulla popolazio-ne della spaventosa crisi eco-nomica nella quale è ancora immerso in pieno il paese e di

prendere tempo fino alla “riso-lutiva” assemblea costituente del 30 luglio; l’ultima mossa di Caracas per tenere testa allo scontro frontale aperto contro il governo della “sinistra” bor-ghese lanciato dall’opposizione di destra, sostenuta dall’impe-rialismo americano, che punta a far saltare l’appuntamento elettorale.

L’ultimo grave episodio è

quello del 27 giugno, denuncia-to dal presidente Maduro come “un atto terroristico”, quando a Caracas un elicottero ha col-pito con quattro granate il pa-lazzo del Tribunale Supremo. L’autore, un capitano dei corpi speciali dell’esercito, ha riven-dicato il gesto a nome dei Guer-reros de Dio, e durante il volo ha esposto uno striscione con scritto “350 libertà”, richiaman-do l’articolo 350 della Costitu-zione venezuelana, varata sotto la presidenza di Hugo Chávez, che dà facolta agli elettori di ri-pudiare un governo se contrad-dice i princìpi democratici.

Il vicepresidente Tareck El Aissami denunciava che “il ter-rorista fanatico fa parte di una cospirazione ordita insieme alle agenzie internazionali di intel-ligence per sovvertire lo Stato democratico venezuelano” e puntava il dito contro un espo-nente dell’opposizione, l’ex mi-nistro degli Interni Miguel Rodri-guez Torres, ritenendolo uomo al servizio della Cia e organiz-zatore della protesta violenta fino all’attacco di Caracas.

Il vicepresidente del Psuv, il Partito socialista unito del Ve-nezuela fondato da Chávez, Diosdado Cabello accusava di complicità anche le gerarchie ecclesiastiche capitanate dal cardinale Urosa Savino: “non c’è da stupirsi che i guarimberos usino simboli dell’estremismo religioso cattolico: scudi, croci e che vadano in giro a brucia-re asili con i bambini dentro o giovani afrovenezuelani senten-dosi i nuovi Templari se hanno la benedizione dei vescovi”. Un intervento, quello dei vescovi venezuelani, a sostegno della destra che al momento sem-bra più efficace degli appelli del Papa “affinché si ponga fine alla violenza e si trovi una so-luzione pacifica e democratica alla crisi” in Venezuela.

L’attacco contro il tribunale di Caracas è stato condannato dal ministero degli Esteri cuba-no in un comunicato che de-nunciava quei governi e quelle figure politiche che “presentano questi atti terroristi come una presunta ribellione militare per provocare fratture nell’unione civico-militare” e l’Organiz-

zazione degli Stati americani (Osa), asservita all’imperialismo americano di essere “complice silente degli attacchi che subi-sce il Venezuela”.

La Casa Bianca emetteva un comunicato dove a un generico rifiuto della violenza seguiva la condanna “della repressione criminale e le violazioni flagran-ti dei diritti umani” attribuite al governo. Tanto per far capire da che parte stava.

Un significativo segnale di debolezza registrato dal gover-no chavista era certamente il parere negativo verso l’assem-blea costituente e la richiesta di annullare il decreto che la con-vocava espresso l’8 giugno da parte del procuratore generale dello Stato, Luisa Ortega Diaz. La magistrato, fedele all’ex pre-sidente Hugo Chávez, era stata nominata procuratore generale proprio da Maduro che deve registrare un gesto aperto di sfida anche dall’interno del mo-vimento chavista.

Quale che sia l’esito del braccio di ferro tra il governo della “sinistra” borghese gui-dato dal presidente Maduro e l’opposizione di destra possia-mo notare comunque il falli-mento del “Socialismo del XXI secolo” teorizzato da Hugo Chavez che ha finito per allar-gare profondamente la frattura con i lavoratori e le masse po-polari venezuelane, e le illusioni legate alla costruzione di una società che nulla ha a che fare col socialismo.

Il socialismo non è redistri-buzione della ricchezza, creata e poi redistribuita in forma di salari, pensioni e servizi sociali, come predica la socialdemo-crazia mentre l’economia del paese resta privata capitalista. Nel caso del Venezuela legata sostanzialmente ai proventi del petrolio, di una risorsa sfruttata tra l’altro con l’aiuto di privati e compagnie internazionali. Il crollo del prezzo del greggio ha evidenziato la dipendenza del Venezuela di Chavez e Ma-duro dal mercato capitalistico, ha svuotato le casse dello sta-to e avviato la crisi del governo chavista a partire dalla sonora sconfitta nelle elezioni del di-cembre 2015.

incontro a Washington tra i due leader imperialisti degli Usa e dell’india

accoRdi MilitaRi tRa tRUMp e Modi contRo la cina

“Le relazioni tra India e Stati Uniti non sono mai state così forti, mai così buone” ha sotto-lineato il presidente americano Donald Trump durante la con-ferenza stampa del 26 giugno al termine del vertice col pre-mier indiano Narendra Modi, che ha rilanciato una alleanza tra Washington e Delhi già resa solida da quella di Obama per la sua politica di contenimen-to dell’espansione della Cina in Asia. La stessa ragione per la quale Trump ha definito con Modi accordi economici ma anche militari allineando i due leader imperialisti contro il concorrente socialimperiali-smo cinese.

L’economia indiana cresce ancora a ritmi sostenuti tanto che ha superato quella cine-se per velocità di crescita, il 7% contro il 6%, e agli occhi dell’amministrazione Trump ha un pregio non indifferente, ossia un attivo commerciale di soli 30 miliardi di dollari, un decimo di quello con la Cina. Le multinazionali americane lamentano la concorrenza nel settore dell’acciaio dei colossi indiani Mittal e Tata e una po-litica di Delhi protezionistica che non facilita gli investimenti

stranieri. Nulla in confronto alla sfida economica delle multi-nazionali cinesi. Trump poteva quindi sorvolare sugli aspet-ti minori delle contraddizioni economiche e puntare al ber-saglio grosso, l’alleanza contro la Cina.

Nella conferenza stam-pa finale Trump si è detto un “sincero amico” dell’India e ha riaffermato l’impegno dei due paesi “colpiti dal male del terrorismo” nel “distruggere

le organizzazioni terroristiche e l’ideologia radicale che le guida”. Modi ricambiava ag-giungendo che “combattere il terrorismo e rimuovere i rifugi, i santuari e le case sicure dei terroristi sarà una parte impor-tante della nostra cooperazio-ne” e incassava il sostegno di Washington nella guerra di Delhi contro il terrorismo islamico, identificato nelle ve-sti del rivale Pakistan, e degli autonomisti del Kashmir il cui

capo era stato appena inseri-to dagli Usa nella lista dei ter-roristi a livello mondiale. Nel comunicato congiunto i due leader imperialisti invitavano “il Pakistan a garantire che il suo territorio non venga utilizzato per sferrare attacchi terroristici contro altri Paesi” come quelli del 2011 a Mumbai.

Il Pakistan è stato uno degli alleati di ferro di Washington nella regione ma al momento è considerato più lontano, con-quistato dalla nuova Via della Seta cinese; ci sarà tempo per recuperarlo ma in ogni caso la precedenza va a Delhi.

L’amministrazione Usa de-cideva di “fornire all’India la migliore tecnologia di difesa” e il Dipartimento di Stato già ha approvato la vendita di un un aeroplano per il trasporto mi-litare e di 22 droni non armati per la sorveglianza dell’Oceano indiano. La flotta indiana par-teciperà alle esercitazioni na-vali trilaterali con Usa e Giap-pone in vista di una maggiore collaborazione per le attività militari marittime coi due alleati imperialisti per dare il suo con-tributo a bilanciare l’espansio-ne di Pechino nel Mar cinese meridionale.

Washington 28 giugno 2017. Lo stretto abbraccio fra i rappresentan-ti dell’imperialismo indiano e USA: il primo ministro Modi e Trump

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