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Cover story / Il futuro della ricerca La diagno di domani Di Letizia Coppetti [email protected] Formare meglio la classe medica, soprat- tutto gli specialisti direttamente coinvolti nelle patologie correlate alla celiachia. O meglio, allargare la platea di queste pa- tologie. Perché oggi i sintomi con cui si manifesta la celiachia non sono più sol- tanto la diarrea e il calo ponderale, ma c’è un ampio spettro che va dall’anemia ai disturbi riproduttivi, dall’osteoporosi alle afte orali fino alla stanchezza cronica, anche nel bambino. Più sintomi conside- rati oggi “atipici” vengono correlati alla celiachia, maggiori saranno le diagnosi, e minore sarà il divario tra l’insorgenza dei sintomi e il riconoscimento della ma- lattia. Per diminuire non solo “l’iceberg” nascosto dei casi di celiachia, ma anche la media degli anni occorrenti per la dia- gnosi, che oggi è di 6. Anche se c’è chi, come il professor Corazza, ritiene che, se si potesse mettere in questo computo anche i tanti casi che forse non verran- no mai diagnosticati, gli anni salirebbero inesorabilmente. E poi, come agire per scovare i casi na- scosti? Screening o case finding? I nostri specialisti sono d’accordo che la seconda sia la strategia migliore, proponendo però

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Cover story / Il futuro della ricerca

La diagnosidi domani

Di Letizia [email protected]

Formare meglio la classe medica, soprat-tutto gli specialisti direttamente coinvoltinelle patologie correlate alla celiachia. Omeglio, allargare la platea di queste pa-tologie. Perché oggi i sintomi con cui simanifesta la celiachia non sono più sol-tanto la diarrea e il calo ponderale, mac’è un ampio spettro che va dall’anemiaai disturbi riproduttivi, dall’osteoporosialle afte orali fino alla stanchezza cronica,

anche nel bambino. Più sintomi conside-rati oggi “atipici” vengono correlati allaceliachia, maggiori saranno le diagnosi,e minore sarà il divario tra l’insorgenzadei sintomi e il riconoscimento della ma-lattia. Per diminuire non solo “l’iceberg”nascosto dei casi di celiachia, ma anchela media degli anni occorrenti per la dia-gnosi, che oggi è di 6. Anche se c’è chi,come il professor Corazza, ritiene che,se si potesse mettere in questo computoanche i tanti casi che forse non verran-no mai diagnosticati, gli anni salirebberoinesorabilmente.E poi, come agire per scovare i casi na-scosti? Screening o case finding? I nostrispecialisti sono d’accordo che la secondasia la strategia migliore, proponendo però

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Come si effettueranno le diagnosi in futuro? I sintomi con cui si manifestala celiachia stanno cambiando? Avremo una terapia alternativa alla dietasenza glutine? Quali sono i “numeri” della celiachia?Abbiamo rivolto queste e altre domande a noti specialisti italiani, come inuna “tavola rotonda” a distanza. Ecco le loro risposte, tutte interessanti e inqualche caso davvero curiose...

soluzioni molto interessanti a cavallo trale due ipotesi: ad esempio con case findingallargati ai ricoverati in determinati re-parti ospedalieri (Silano) agli “screeningopportunistici” con una ricerca degli an-ticorpi antitransglutaminasi da effettua-re una volta nella vita su ogni paziente(Catassi). Tutti concordi nel dire che de-terminate categorie a rischio (donne condisturbi riproduttivi e familiari di primogrado, ad esempio) dovrebbero essereanalizzati in ogni caso.Cambierà il modo in cui verrà effettua-ta la diagnosi? I nostri specialisti dubi-tano che sia possibile, almeno nel breveperiodo, anche se tutto è migliorabile ein via di cambiamento, soprattutto perquanto riguarda i bambini. Quello che si-

curamente sta cambiando, invece, sono inumeri, l’epidemiologia della celiachia. Icasi sono in aumento, avvicinandosi or-mai al 2% della popolazione, e non soloper la migliore capacità dei medici di ef-fettuare diagnosi. Il numero di casi di tut-te le malattie autoimmuni aumenta. Cosale scatena? La risposta a questa domandaancora non c’è, anche se nel caso dellaceliachia si ipotizzano cause ambientali,come le infezioni virali. Il nostro team di“detective della celiachia”, insomma, èancora lontano dall’individuare il colpe-vole in mezzo a tanti indiziati. Scopertala causa, si potrebbe non dico trovare ilrimedio, ma per lo meno cercare di pre-venire l’insorgenza. E prevenire è sempremeglio che curare...

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Cover story / Il futuro della ricerca

MARCO SILANODIRETTORE DELL’UNITÀ OPERATIVA ALIMENTAZIONE,NUTRIZIONE E SALUTE DELL’ISTITUTO SUPERIORE DI SA-NITÀ E COORDINATORE DEL BOARD SCIENTIFICO DI AIC

A breve-medio termine non ci saranno cam-biamenti, perché gli esami seriologici sonoperformanti e hanno un alto valore predittivo,positivo o negativo. Non cambieranno quindigli strumenti che abbiamo a disposizione perfare la diagnosi, ma cambieranno i criteri e imodi con cui questi strumenti verranno uti-lizzati. Il punto debole è l’individuazione delpaziente e per questo è necessario implemen-tare la formazione sia del Medico di Medici-na Generale (MMG), che degli specialisti nondirettamente coinvolti nella patologia (comepediatri e gastroenterologi, che ad oggi sonogià informati correttamente), e questo potràportare, come già sta avvenendo, ad un abbas-samento della media di anni che occorronoper ottenere la diagnosi. Un’altra strategia po-trebbe essere effettuare case finding allargati, adesempio cercando gli anticorpi antitransgluta-minasi (tTG) in tutti i ricoverati in determinatireparti ospedalieri, come ostetricia, pediatria,medicina interna. Questo anche perché stan-no aumentando le forme paucisintomatiche oatipiche, casi in cui lo stesso paziente avvertei sintomi in modo sfumato, come ad esempiomal di pancia quasi quotidiani ma passeggeri,aftosi orali ricorrenti e così via.Sul piano della ricerca, occorre capire perchésolo il 3% delle persone che hanno la predi-sposizione genetica sviluppano poi la celia-chia, a fronte del restante 97%. E per quantoriguarda l’epidemiologia della malattia, cisono studi che ci dicono che la prevalenza stasì salendo, ma solo in determinate aree, quin-di bisognerebbe fare ricerche in aree più va-ste per avere certezza del dato. Quello che stacertamente cambiando è che sta salendo l’etàmedia in cui la celiachia viene diagnosticata ele modalità cliniche con cui appare.

TARCISIO NOTISTITUTO PER LA SALUTE MATERNA E INFANTILE, IRCCSBURLO GAROFOLO E UNIVERSITÀ DI TRIESTESpero che le linee guida ad oggi applicate incampo pediatrico, che prevedono (in casi

ben selezionati) la possibilità di non ese-guire la gastroscopia per la diagnosi defi-nitiva della celiachia, possano un domaniessere utilizzate anche per l’adulto, magaricon criteri più selettivi che nel bambino. Cisono certamente maggiori difficoltà, per-ché nell’adulto ci possono essere patolo-gie con sintomi simili alla celiachia e chevanno poste in diagnosi differenziale conquesta. Per le nuove linee guida pediatri-che abbiamo dati convincenti a loro favo-re, mentre aspettiamo i risultati relativi alfollow up: ci sono studi in corso (a lungotermine, parliamo di 5-10 anni) per vederela diversa compliance alla dieta in bambi-ni diagnosticati senza biopsia a confrontocon gli altri. In pediatria fortunatamenteil ritardo nella diagnosi è più modesto chenell’adulto, la media è di 12-24 mesi, dallapresentazione del primo sintomo. Proba-bilmente questo accade perchè i pediatrisono particolarmente attenti all’ampioventaglio della sintomatologia, sia ga-strointestinale che extra-intestinale, comearresto della crescita, anemia, stanchezza,e per l’utilizzo sistematico dello screeningin soggetti con malattie autoimmuni (dia-bete tipo 1, tireopatie autoimmuni, artri-te reumatoide). Nei MMG non c’è ancoratutta questa attenzione e per questo oc-corre una maggiore attività di formazio-ne e informazione. Sarebbe necessario unaggiornamento periodico anche dei varispecialisti che possono essere coinvoltinella diagnosi, come ematologi, dermato-logi, endocrinologi e così via. Come pure,dovrebbe essere un campanello di allarmesapere che il paziente con sintomatologiasfumata ha un parente con celiachia.I dati epidemiologici evidenziano che nelbambino la prevalenza è sempre poco piùalta dell’1% mentre screening su popola-zioni sane adulte (in Finlandia, ad esem-pio) ci dicono che è in aumento, fino al2-2,5%. Altresì, nei gruppi a rischio, comei familiari, l’incidenza cresce nel tempopassando dall’1 al 3%.Purtroppo per quanto riguarda la ricer-ca medica sulle cause e possibili terapiedella celiachia (alternative alla dieta) adoggi siamo in alto mare. C’è qualcosa che

Le domandeCosa abbiamochiesto ai nostriespertiDiagnosiRitiene che in futurocambierà il modo di farediagnosi? Ad esempio, neltempo siamo passati da 3a 1 biopsia, sarà possibileporre la diagnosi senzaquesto esame invasivoanche negli adulti? Saràpossibile abbassare lamedia dei 6 anni per esserediagnosticati?

SintomiLe manifestazioni clinichedella celiachia si stannomodificando? Negli ultimianni è sempre più difficilericonoscere i pazienti nonancora diagnosticati, chespesso soffrono per sintominon immediatamentericonducibili alla celiachia.Come si può agire perriconoscere prima e meglio ipazienti “camaleonte”?

RicercaQuali le frontiere della ricercasui meccanismi o fattoriscatenanti della malattia chepotrebbero rivelare qualcosadi importante e portareeventualmente a una terapiaalternativa alla dieta senzaglutine?

EpidemiologiaCome sta cambiandol’epidemiologia dellamalattia? La prevalenzaattesa è ancora l’1% o si staalzando?

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questa malattia ancora ci nasconde, nonsappiamo cosa la scateni e perché alcu-ni soggetti con predisposizione genetica(HLA DQ2/8) la sviluppino e tanti altrino. Se non si conosce l’agente o gli agentiscatenante/i è impossibile colmare defini-tivamente le conoscenze su questa con-dizione e tantomeno trovare una terapiaalternativa alla dieta senza glutine. Al mo-mento ci sono studi interessanti, che po-trebbero aprire nuove prospettive in ambi-to genetico, sul ruolo del RNA delle celluleintestinali, a cui stanno lavorando gruppidi studiosi anche italiani. Personalmentesono convinto che l’aumento delle malat-tie autoimmuni, tra le quali la celiachia,possa essere determinato dall’ambiente(come esposizione precoce a virus, elevataigiene) e dalla sua interazione con caratte-ristiche genetiche oltre l’HLA DQ2/8.

GINO ROBERTO CORAZZAUNITÀ DI MEDICINA INTERNA E GASTROENTEROLOGIA,POLICLINICO SAN MATTEO DI PAVIA

I grandi cambiamenti che ci sono statinel percorso di diagnosi nel bambino sa-ranno difficilmente replicabili nell’adul-to, e questo per vari motivi. Innanzituttole condizioni sono del tutto diverse: i dueprerequisiti per fare diagnosi nel bambi-no senza biopsia si basano su una riccasintomatologia e su valori di tTG 10 voltesuperiori alla norma. Nella mia esperien-za clinica, invece, gli adulti sono moltopiù spesso asintomatici e non vedo valo-ri di tTG così alti. Inoltre, se ci acconten-tiamo della positività agli anticorpi senzala biopsia, non ci possiamo accorgere sesi tratti di celiachia potenziale o franca, enon tutti i celiaci potenziali arrivano adavere una celiachia conclamata. Oltretut-to non possiamo monitorarli nel temposenza una biopsia iniziale. Ancora, parlia-mo delle complicanze e della refrattarietàalla dieta aglutinata: se non abbiamo fattola prima biopsia non possiamo vedere losviluppo nel tempo di tali complicanze. Ame certamente arrivano i casi più diffici-li, ma vi assicuro che non sono purtroppo

pochi. Infine, nell’adulto ci sono diversemalattie che simulano i sintomi della ce-liachia, e solo la biopsia ci può conferma-re la diagnosi. Insomma, per adesso sonocontrario all’abolizione della gastroscopiacon biopsia duodenale. Per quanto riguar-da i tempi della diagnosi, io sono convintoche ad oggi siano ben oltre i 6 anni, perchénoi abbiamo una fotografia parziale delfenomeno: se dovessimo considerare il ri-tardo con cui i 400 mila celiaci ancora nonscoperti verranno diagnosticati (se mai losaranno, in molti casi!) questo numero sa-rebbe molto superiore.Questo ha molto a che vedere con i sin-

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Cover story / Il futuro della ricerca

tomi: se aspettiamo di diagnosticare inbase a quelli classici (come la diarrea) netroveremo ben pochi! Bisogna cambia-re approccio, e cercare i celiaci in tuttequelle categorie di pazienti che presenta-no sintomi di osteoporosi, anemia, turbedella fertilità, manifestazioni, soprattuttoquelle criptiche, che i MMG e gli speciali-sti dovrebbero immediatamente correlarealla celiachia. Occorrerebbe prescriveregli anticorpi in tutti i pazienti con questisintomi, fare quindi case finding, che è lamigliore strategia per scovare i celiaci, ab-binandola a screening su gruppi a rischio,come i familiari di primo grado.E occorre altresì fare una maggiore forma-zione degli specialisti nelle varie branche,a partire dalla gastroenterologia. Mi chiedoquante volte un paziente sia trattato peranni per colon irritabile, girando tra unmedico e l’altro, senza scoprire che si trattidi celiachia! Dovremmo quindi smettere

di parlare di sintomi classici e non classici,una definizione ormai fuorviante, e infor-mare più medici possibile su quali sianole reali condizioni di rischio correlate allaceliachia. Sulla ricerca si dovrebbe a mioparere andare avanti soprattutto nello sco-prire i meccanismi che attivano il sistemaimmunitario contro il glutine e affinareancora meglio i test, soprattutto genetici,per arrivare a diagnosi più precoci. Un al-tro fronte importante è la prevenzione e iltrattamento delle complicanze: nella miaesperienza io vedo ancora oggi pazientimorire di celiachia non trattabile con ladieta.Sull’epidemiologia, prima ritenevo che laprevalenza fosse in aumento solo per lanostra migliore capacità diagnostica, orainvece ritengo che ci siano segnali che sivada proprio in questa direzione; e la ra-pidità di questo aumento fa pensare che acausarla siano fattori ambientali e non ge-netici. Il perché di questo ancora ci sfug-ge: le ipotesi in campo vanno dalle infe-zioni virali (non solo intestinali) all’uso diadditivi come l’enzima transglutaminasinell’industria alimentare, e qui occorre-rebbe uno studio fatto in collaborazionecon i biotecnologi.

CARLO CATASSIDIRETTORE DIPARTIMENTO MATERNO-INFANTILEUNIVERSITÀ POLITECNICA DELLE MARCHE

Le modalità con cui si esegue la diagnosisono soggette a periodici cambiamenti: adesempio nelle settimane scorse, durante ilmeeting annuale dell’ESPGHAN (Europe-an Society for Paediatric Gastroenterology He-patology and Nutrition), è stata comunicatauna revisione dei criteri per effettuarlanei bambini. Le nuove linee guida pre-vedono che sia necessario solo effettuarela ricerca degli anticorpi antiendomisioe antitransglutaminasi mentre ritengonosuperfluo procedere alla ricerca degli HLA.Nell’adulto servirà invece più tempo perarrivare a modifiche in tal senso.Credo invece che il lasso di tempo in cuiarriveremo a formulare diagnosi, nell’a-

I NOSTRI SPECIALISTI RITENGONO FONDAMENTALELA FORMAZIONE APPROFONDITA DELLA CLASSEMEDICA SULLA CELIACHIA PER POTER “SCOVARE”I CASI DIFFICILI DA DIAGNOSTICARE

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dulto, andrà ad abbassarsi, per la maggioresensibilità della classe medica, mentre nelbambino siamo già avanti con i risulta-ti positivi. Questo perché l’atteggiamen-to diagnostico del medico, del pediatrain questo caso, si è modificato. Anche nelbambino notiamo una sintomatologia piùsfumata rispetto al passato, e molti casi diceliachia silente. Oggi però arriviamo afare diagnosi di celiachia anche partendoda sintomi non “classici”, come inappe-tenza e stanchezza cronica. Come aumen-tare le diagnosi? Sullo screening ci sonoaspetti, di tipo etico e legati ai costi, chesono controversi. Occorrerebbero “scre-ening opportunistici”, come ad esempioprevedere di effettuare, almeno una voltanella vita, una ricerca degli anti tTG a tuttala popolazione. Oppure di inserire questoesame nel pacchetto previsto come obbli-gatorio per le donne in gravidanza. Anchesottoporre agli esami i familiari di celiaci,o i malati di diabete di tipo 1, aiuterebbe afar emergere i casi nascosti. Occorre quin-di sollecitare tutti i medici di MMG in que-sto senso.Sulle terapie alternative alla dieta nonvedo prospettive immediate, magari ci po-trebbero essere sviluppi in cure comple-mentari alla dieta stessa. Invece penso chepotrebbe venir fuori qualcosa di impor-tante, e che in futuro potrebbe aiutarci sulfronte prevenzione, nello studio dei fattoriscatenanti della malattia, quali ad esem-pio le infezioni virali o il carico di glutinenei primi anni di vita. Ci sono studi pro-spettici su bambini a rischio, ad esempio,dei quali siamo in attesa dei risultati. Que-sto non porterà a prevenire l’insorgenzadella celiachia nel 100% dei casi, ma po-trebbe aiutare a diminuirne la frequenza.Quest’ultima in Italia è in aumento, tanto

che adesso siamo sopra l’1,5% e quindi piùvicini al 2 che all’1% di cui si parlava fino anon molto tempo fa. Il motivo non è chia-ro, le ipotesi al vaglio sono tante, ma farericerca in questo senso è difficoltoso per-ché sono indagini costose e che andrebbe-ro fatte su grandi numeri.

RICCARDO TRONCONEDIRETTORE SCUOLA DI SPECIALIZZAZIONE IN PEDIATRIA,UNIVERSITÀ FEDERICO II DI NAPOLI

Penso che il modo di effettuare diagnosipotrà cambiare in futuro (già oggi abbia-mo assistito a importanti modifiche delprotocollo ESPGHAN per la diagnosi nelbambino) anche negli adulti, almeno inuna quota di essi. Il problema nell’adulto èquello di non confondere la celiachia conaltre patologie molto più gravi, e questopossiamo evitarlo al momento solo ese-guendo la biopsia duodenale che confermila celiachia. In un futuro più lontano pensoche la diagnosi potrebbe basarsi anche sutecniche di tipo genomico o immunologi-co, con esami quindi effettuati sul sangue:esistono già ricerche in tal senso.Per abbassare il numero di anni per ar-rivare alla diagnosi occorre più forma-zione della classe medica in generale, emaggiore conoscenza della variabilità deisintomi con cui si presenta. A questo ser-vono i Congressi paralleli organizzati daAIC in tutta Italia, che ritengo utili, mache presentano il rischio di raggiungeresolo coloro in qualche maniera già sen-sibilizzati. Servirebbe di più raggiungerecapillarmente i medici più “lontani” cul-turalmente, magari attraverso associazionidi categoria o uffici regionali dell’Ordinedei Medici.

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Attualità / Il futuro della ricerca

La celiachia, come tante altre malattieautoimmuni, è sicuramente in aumento,e probabilmente questo è legato a fatto-ri ambientali. Perciò noi ed altri stiamolavorando attivamente per scoprire adesempio il ruolo delle infezioni virali, delmicrobioma e di altri fattori nello scate-namento della malattia. Interessante peresempio il ruolo protettore della dieta me-diterranea.

MARIA ELENA LIONETTIDIPARTIMENTO MATERNO INFANTILEUNIVERSITÀ POLITECNICA DELLE MARCHE

Negli ultimi anni abbiamo assistito a cam-biamenti radicali nel modo di porre dia-gnosi in età pediatrica, grazie a marcatorisierologici molto affidabili. La biopsia in-testinale nei bambini potrà forse in futuroessere evitata anche in casi atipici o addi-

rittura asintomatici. Diversamente, nell’a-dulto, questo esame (che oltretutto è moltopiù agevole da effettuare a differenza chenel bambino) serve anche per escluderepatologie serie quali il linfoma intestina-le. Ma ci sono studi interessanti su quellache viene definita “biopsia liquida”, unesame del sangue che predice la presenzadel danno mucosale. Si tratta di un esameutilizzato nelle malattie oncologiche, mache in futuro potrebbe essere applicatoanche alla celiachia. La biopsia intestinalenon è un esame infallibile, perché va fattabene e letta nel modo adeguato, per evita-re sia “over diagnosi” che un numero sot-tostimato di esse. Per abbassare il numerodegli anni occorrenti per la diagnosi e perdiminuire l’iceberg della celiachia ci sonoa mio avviso due modi di procedere: il pri-mo è la formazione e sensibilizzazione deimedici, da quelli di base ai vari speciali-sti, su questa patologia e su come saperlariconoscere; il secondo è effettuare casefinding nei pazienti a rischio, ad esempioin donne con problemi della fertilità o conaborti ricorrenti. Dovremo altresì realizza-re una sorta di elenco di sintomi, da quellipiù classici e tipici a quelli che adesso ve-diamo correlati con la celiachia, come latiroidite autoimmune: tutti i pazienti chemanifestassero questi sintomi andrebbesottoposti dai loro medici agli esami siero-logici. Inoltre, come pediatra sto assisten-do a un aumento dei casi asintomatici, eper questo sarei favorevole a uno screeningdi massa in età scolare, verso gli 8-9 anni.I casi di celiachia sono sicuramente inaumento: anche studi italiani conferma-no che la prevalenza è raddoppiata, dall’1al 2%. Perché questo? Purtroppo ancoranon lo sappiamo, anche se la causa è si-curamente di tipo ambientale. Non esi-ste infatti probabilmente un unico fattorescatenante, ma una serie di fattori, chepossono andare dall’uso di antibiotici nel-la prima infanzia, alle infezioni virali (lavaccinazione dal rotavirus, ad esempio,ha evidenziato un lieve fattore protettivo),ai pesticidi. Da indagare anche il ruolo delmicrobioma e la quantità di glutine allosvezzamento. La ricerca continua... u

SCREENING O CASE FINDING? CI SONO VARIESOLUZIONI, ANCHE A CAVALLO TRA LE DUEMETODOLOGIE, COME I CASE FINDING ALLARGATIO GLI SCREENING OPPORTUNISTICI

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DA NAPOLI ARRIVANONOVITÀ IMPORTANTIDi Basilio MalamisuraGASTROENTEROLOGO PEDIATRICOREFERENTE SCIENTIFICO AIC CAMPANIA

Delle novità in campo medico-scientificosi è parlato anche durante un importanteconvegno che si è svolto a Napoli, in occa-sione della ricorrenza del quarantennale diAIC.Il prof. Ketil Stordal (Oslo) ha trattato iltema del perché alcuni individui perdonogli anticorpi acquisendo una tolleranza ealtri invece progrediscono verso la malat-tia, in tempi non ancora noti. Tra i fattoriambientali di rischio emergenti dobbiamocertamente considerare le infezioni ga-strointestinali o del tratto respiratorio, ri-scontrate più frequentemente nei bambiniche svilupperanno malattia; queste infe-zioni possono perturbare l’integrità dellamucosa intestinale, ma non è noto se il di-scorso è applicabile ad ogni tipo di infezio-ne o a taluni microrganismi in particolare,per esempio il reperto di enterovirus nellefeci di bambini nei primi 3 anni di vita è piùfrequente nei bambini che svilupperannoceliachia rispetto ai controlli, e questo rilie-vo non è stato confermato per l’adenovirus.Anche il ruolo dei batteri intestinali è og-getto di attenta valutazione, insieme all’usodi antibiotici noti per alterare la microfloraintestinale, e possono rappresentare un fat-tore di rischio per lo sviluppo di celiachia.

Il prof. Ramon Bilbao, simpaticissimo scien-ziato spagnolo, ha “esplorato” le modifichedella regolazione e dell’espressione dei geniassociati alla celiachia valutando gli effettiepigenetici coinvolti nel modulare l’azionedi questi geni. “Le relazioni tra il genotipoe il fenotipo - ha detto Bilbao - appaionoessere in realtà più complesse di quantoinizialmente ipotizzato e il meccanismoepigenetico principalmente coinvolto ap-pare la metilazione del DNA; studi con mi-croarray potrebbero identificare gruppi digeni rilevanti per lo sviluppo di malattia”;in ultimo, l’inclusione del microbioma in-testinale come fattore ulteriore di diversitàgenomica potrebbe contribuire all’identifi-cazione di nuovi attori coinvolti nei com-plessi meccanismi di sviluppo della malat-tia celiaca.La prof.ssa Alexandra Zernakhova (Gronin-gen), si è invece soffermata sugli studi dicoorte successivi a quelli sulla genomicasottolineando come questi abbiano iden-tificato più di 40 loci coinvolti nella predi-sposizione alla malattia celiaca, tra i qualiil ruolo maggiore è quello giocato dall’HLA.Resta da chiarire perché alcuni individuicon un elevato rischio genetico sviluppa-no la malattia in epoca precoce della vitamentre altri più tardi o rimangono in buonasalute per tutta la vita. Gli studi prospetticilongitudinali di coorte contribuiranno neiprossimi anni a identificare i fattori am-

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Cover story / Il futuro della ricerca

bientali correlati alla malattia e le intera-zioni tra geni e ambiente.Successivamente la prof.ssa Maria VittoriaBarone, del gruppo napoletano guidato dalprof. Auricchio, ha spiegato come la ce-liachia rappresenti un peculiare modellodi patologia infiammatoria indotta da ali-menti e di come abbia identificato, attra-verso lo studio di biopsie intestinali di pa-zienti celiaci, un incremento dei marcatoridella risposta immune innata e della rispo-sta infiammatoria. I fibroblasti (particolaricellule identificate e isolate dall’intestinodi celiaci) presentano un ritardo del “traf-fico” di vescicole all’interno della cellula erisultano molto sensibili al contatto con unpeptide derivato dalla gliadina rispetto aicontrolli e mediano la risposta di stress cel-lulare della reazione immune innata.Non poteva mancare, in un convegno sullaceliachia, l’apporto di colui che viene con-siderato, non a torto, uno dei più simpatici erigorosi studiosi del genoma della celiachia:il prof. Luigi Greco che, con la sua “verve” ti-

picamente partenopea, ha coinvolto i pre-senti nell’esplorazione della metabolomicanella celiachia, in particolare del complessolipidomico nei primi mesi di vita. In breve iricercatori hanno identificato uno specificopattern fosfolipidico nel siero che predicel’esordio di celiachia in bambini con rischioHLA di sviluppare la malattia, anche alcunianni prima della comparsa degli specificianticorpi antitransglutaminasi, dei sintomie addirittura prima dell’introduzione delglutine a 4 mesi di vita, e questa è la pri-ma volta che un simile biomarcatore è statoidentificato nella storia naturale della ma-lattia celiaca.A seguire la dott.ssa Carmen Gianfrani, ricer-catore presso l’istituto di Biochimica delleProteine del CNR di Napoli, ha avuto il com-pito di presentare uno dei protagonisti prin-cipali della patogenesi della malattia celia-ca, sul quale ha focalizzato oramai da moltianni la sua attenzione: il linfocita T. Nellospecifico i linfociti T CD4+ presenti nell’in-testino di individui celiaci partecipano albraccio adattivo della risposta immune at-tivandosi dopo il contatto con la gliadina eproducendo citochine pro-infiammatorie. Ilinfociti T intestinali possono rappresentareun valido strumento di analisi per esplorarele diverse strategie di detossificazione dellefarine oltre che per valutare la sperimenta-zione clinica sulle glutenasi (le “pillole” chedigeriscono il glutine a livello gastrico) e ilvaccino desensibilizzante anti-glutine.L’ultima relazione della mattinata, infine,non poteva prescindere dalla valutazio-ne dello stato dell’arte sulla ricerca delleeventuali terapie alternative alla dieta perla malattia celiaca, e il prof. Markku Maki,finlandese dall’Università di Tampere, cer-tamente uno dei più attivi ricercatori inter-nazionali nello studio della celiachia e pro-fondo conoscitore degli intimi meccanismipatogenetici della patologia, ha effettuatouna revisione critica delle terapie alterna-tive al momento in fase di valutazione: lesue conclusioni sono state che tali soluzio-ni sembrano più difficili rispetto all’atteso;inoltre auspica che presto queste innovativesoluzioni alternative possano essere testatein un numero maggiore di pazienti, perfino

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372.2019

nei bambini.Nel pomeriggio il prof. Carlo Catassi (Anco-na), al quale era stata posto il quesito relati-vo alla continua evoluzione del quadro epi-demiologico della celiachia, alla luce degliultimi studi di screening effettuati in Italiae nel mondo, ha risposto che la prevalen-za della celiachia continua ad aumentare,sfiorando in Italia l’1,5%, specie se vengonoapplicate politiche di screening della popola-zione pediatrica rese possibili dalla dispo-nibilità di test affidabili, anche genetici, checonsentono di coinvolgere un numero sem-pre maggiore di individui.Nella penultima relazione la dott.ssa RenataAuricchio ha affrontato il problema della ge-stione dei bambini con celiachia potenzialee di quelli con predisposizione genetica allamalattia, soprattutto riguardo al ruolo svol-to dalle infezioni virali precoci nella pato-genesi della celiachia; lo studio di queste

due categorie di pazienti potrebbe dare uncontributo alla definizione dei meccanismipatogenetici coinvolti nella progressionedel danno intestinale e di quali debbanoessere considerati i marcatori precoci deldanno.La chiusura è stata affidata alla prof.ssaCarolina Ciacci (Università di Salerno), chesi è occupata dei risvolti quotidiani delladiagnosi di malattia celiaca e dell’impat-to sulla qualità di vita dei pazienti, per iquali la diagnosi rappresenta una difficol-tà aggiuntiva nella gestione delle proprienecessità. Importante risulta essere la reteculturale di sostegno sociale attorno al pa-ziente, che ha un risvolto pratico fonda-mentale nel facilitare l’approccio al quoti-diano, in special modo il ruolo svolto dallarete dei rapporti familiari e la condivisionedelle difficoltà emergenti e del timore diesclusione sociale. u