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nel mosaico dalla fine del II secolo, e per i quali esso si fa arte a sè con motivi e valori assolutamente propri; il mosaico non ha ancora coscienza dei propri mezzi e cerca ancora di ripetere e di emulare l'arte maggiore, la pittura; siamo ancora nella tradizione pittorica e verista, non è avvenuto ancora il distacco dalla I) La tavola a colori e la riproduzione grafica sono dovute all'esperta e intelligente opera dell'Arch. Prof. Luigi Leporini; lo strappo e la ricomposizione del mosaico al Restauratore Sig. Armando Mancini. 2) HELBIG, Pompo Wandmal., n. 975 e seg.; spec. 979, 994, 1001 e seg.; REINACH, R ép. Peint., 131- 138. 3) Iahresberichte, 1908, tav. l; jahrbuch, 1917, pago 94; REINACH, op. cit., pago IlO, I; V. anche BLANCHET, Le Mosa i que, pago 93 e seg.; e AURI GEMMA, I mosaici di Zliten, pago 99 e sego 4) Per le rappresentazioni figurate del mito di Leda, visione immediata della realtà che si afferma alla del .II d. C:. Pertanto credo che il peno do m CUi 11 mosaiCO pesarese può es .. sere stato esegUito, la seconda metà del I secolo e la parte magglOre del II secolo d. C • periodo invero assai ampio, ma nel qU:i' non credo di poter maggiormente precisare: PIRRO MARCONI. v. ROBERT, Griech. Heldensage(in PRELLER, Griech. Myth., II, pagg. 330, 341 e seg.); OVERBEK, Kunstmythologie, pag. 491 e seg., II, tav. 8, spec. n. 24; ROSCHER, Myth. Lex., II, 2, pago 1929 e seg.; PAULY e WISSOWA, Realen- cykl, XXIII, pago II16 e seg., spec. II24i ROBERT, Sarkophagen, II, 2; REINACH , Rép. des Reliefs, II, pago 213; III, pagg. 222, 231 e seg.; per la figurazione musiva di Leda del Museo di Soussa, v. GAUCKLER, Le Musée de Soussa, n. 8, pago 34. 5) MORETTI, Not . Scavi, 1925. 6) BLANCHET, op. cit., pago 63 e sego MARTINO DE VOS E J ACOPO ZUCCHI IN ALCUNI INEDITI T RA TT ARE nello stesso articolo di Martino de Vos e di Jacopo Zucchi potrebbe parere a prima vista arbitrario, mentre l'accostamento dei due maestri, non è senza profonde ragioni di parentela stilisti ca ed artistica, ragioni che hanno indotto già qualche studioso all' impo- stazione di problemi comuni ai due pittori. Nordico l'uno, di Anversa (1531-1603), Fio- rentino l'altro (1541?-8g), essi sono due eminenti figure del tardo manierismo cinquecentesco euro- peo che dalla fucina di Firenze (Salviati-Vasari) e da Anversa romanista trassero i maggiori elementi di formazione. Personalità quasi parallele rientrano in quel campo ancora non dissodato di cui la storia dell'arte si sta occupando nell' impegno di dipa- nare l'aggrovigliata matassa dell'arte manieri- stica europea nella sua fase conclusiva. Per me l'avvicinamento dei due non è stato casuale. Conoscevo già le opere di Martino de Vos nelle chiese e nei musei del Belgio, quelle 454 di Anversa e di Gand, la vasta sua attività d'in- cis ore, mi era famigliare la produzione maggiore di Jacopo Zucchi e, quando qualche anno fa, mi capitò di vedere la bella tavola d'altare della chiesa delle monache della Concezione di Sutri, la parentela fra il nordico e il fiorentino mi fu ancora piu manifesta. Quei chiari colori che danno alle forme quasi un metallico splendore, la finitezza del partico- lare, i tipi muliebri e tutti gli elementi della tecnica pittorica concordemente mi suggerirono il nome di Jacopo Zucchi il più fiammingheg- giante dei fiorentini vasariani. Per quest'opera, senza firma e senza documen- tazione certa, era stato fatto il nome di Martin de Vos e, dai più timidi, d'ignoto fiammingo, forse per la cura descrittiva minuziosa di quell'interno dove la scena sacra si svolge con espressione di casalinga intimità. Il dipinto, in vero, è una fusione di elementi fiorentini, prevalentemente fiorentini, con infiltrazioni nordiche manifeste. ©Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo -Bollettino d'Arte

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nel mosaico ro~ano, dalla fine del II secolo, e per i quali esso si fa arte a sè con motivi e valori assolutamente propri; il mosaico non ha ancora coscienza dei propri mezzi e cerca ancora di ripetere e di emulare l'arte maggiore, la pittura; siamo ancora nella tradizione pittorica e verista, non è avvenuto ancora il distacco dalla

I) La tavola a colori e la riproduzione grafica sono dovute all'esperta e intelligente opera dell'Arch. Prof. Luigi Leporini; lo strappo e la ricomposizione del mosaico al Restauratore Sig. Armando Mancini.

2) HELBIG, Pompo Wandmal., n. 975 e seg.; spec. 979, 994, 1001 e seg.; REINACH, Rép. Peint., 131- 138.

3) Iahresberichte, 1908, tav. l; jahrbuch, 1917, pago 94; REINACH, op. cit., pago IlO, I; V. anche BLANCHET, Le Mosaique, pago 93 e seg.; e AURI GEMMA, I mosaici di Zliten, pago 99 e sego

4) Per le rappresentazioni figurate del mito di Leda,

visione immediata della realtà che si afferma alla fin~ del .II se~o.lo d. C:. Pertanto credo che il peno do m CUi 11 mosaiCO pesarese può es .. sere stato esegUito, abbrac~i la seconda metà del I secolo e la parte magglOre del II secolo d. C • periodo invero assai ampio, ma nel qU:i' non credo di poter maggiormente precisare:

PIRRO MARCONI.

v. ROBERT, Griech. Heldensage(in PRELLER, Griech. Myth., II, pagg. 330, 341 e seg.); OVERBEK, Kunstmythologie, pag. 491 e seg., II, tav. 8, spec. n. 24; ROSCHER, Myth. Lex., II, 2, pago 1929 e seg.; PAULY e WISSOWA, Realen­cykl, XXIII, pago II16 e seg., spec. II24i ROBERT, Sarkophagen, II, 2; REINACH, Rép. des Reliefs, II, pago 213; III, pagg. 222, 231 e seg.; per la figurazione musiva di Leda del Museo di Soussa, v. GAUCKLER, Le Musée de Soussa, n. 8, pago 34.

5) MORETTI, Not. Scavi, 1925. 6) BLANCHET, op. cit., pago 63 e sego

MARTINO DE VOS E J ACOPO ZUCCHI IN ALCUNI INEDITI

T RA TT ARE nello stesso articolo di Martino de Vos e di Jacopo Zucchi potrebbe parere

a prima vista arbitrario, mentre l'accostamento dei due maestri, non è senza profonde ragioni di parentela stilisti ca ed artistica, ragioni che hanno indotto già qualche studioso all' impo­stazione di problemi comuni ai due pittori.

Nordico l'uno, di Anversa (1531-1603), Fio­rentino l'altro (1541?-8g), essi sono due eminenti figure del tardo manierismo cinquecentesco euro­peo che dalla fucina di Firenze (Salviati-Vasari) e da Anversa romanista trassero i maggiori elementi di formazione.

Personalità quasi parallele rientrano in quel campo ancora non dissodato di cui la storia dell'arte si sta occupando nell' impegno di dipa­nare l'aggrovigliata matassa dell'arte manieri­stica europea nella sua fase conclusiva.

Per me l'avvicinamento dei due non è stato casuale. Conoscevo già le opere di Martino de Vos nelle chiese e nei musei del Belgio, quelle

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di Anversa e di Gand, la vasta sua attività d'in­cis ore, mi era famigliare la produzione maggiore di Jacopo Zucchi e, quando qualche anno fa, mi capitò di vedere la bella tavola d'altare della chiesa delle monache della Concezione di Sutri, la parentela fra il nordico e il fiorentino mi fu ancora piu manifesta.

Quei chiari colori che danno alle forme quasi un metallico splendore, la finitezza del partico­lare, i tipi muliebri e tutti gli elementi della tecnica pittorica concordemente mi suggerirono il nome di Jacopo Zucchi il più fiammingheg­giante dei fiorentini vasariani.

Per quest'opera, senza firma e senza documen­tazione certa, era stato fatto il nome di Martin de Vos e, dai più timidi, d'ignoto fiammingo, forse per la cura descrittiva minuziosa di quell'interno dove la scena sacra si svolge con espressione di casalinga intimità. Il dipinto, in vero, è una fusione di elementi fiorentini, prevalentemente fiorentini, con infiltrazioni nordiche manifeste.

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FIG. I - ROMA, CHIESA DI S. FRANCESCO A RIPA - MARTINO DE VOS: IMMACOLATA

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Z ucchi coi fiamminghi e alla d

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tatore di energie nell'arte sette _ . 1 I . n

t~l~na e. ~slste ?oi nel rilevare il rIVlVere del modl gotici del prim . o cmquecento nel periodo manieri-stico tardo e giudica questo non il risultato passivo di sole Correnti italianeggianti, ma la fusione di queste con l'arte neerlandese. Troppo sinteticamente e poco chia­ramente conclude affermando: al principio i Paesi Bassi accettano il rinascimento e fanno di questo il manierismo, più tardi accettano il manierismo e fanno di questo il manierismo.

Anche nella pittura toscano­romana del tardo cinquecento egli segnala la ripresa di elementi gotici. Le pitture di S. Silvestro al Quiri­naIe dello Zucchi possono essere un esempio di arte internazionale manieristica assai significativo.

FIG. 2 - ROMA, CHIESA DI S. FRANCESCO A RIPA

MARTINO DE VOS : PARTICOLARE DELL'IMMACOLATA

Molto importante è l'azione di un gruppo di opere di piccolo formato con rappresentazioni mitologiche o di altro soggetto profano dello Zucchi. Esse avrebbero avuto una vera e larga imitazione in tutto il campo della pittura del nord Europa; a

Non strana, nè eccezionale questa incertezza di attribuzioni fra nordici e fiorentini nel tardo cinquecento, nel momento di maggiore satura­zione di cultura classicistica nei nordici e del maggiore confluire di correnti neerlandesi in Italia attraverso artisti disciplinati e studiosi, ma privi di ardimenti e di novità creative. Spranger, Van der Straten, Martino de Vos da una parte e il Bronzino, lo Zucchi, gli Zuccari dall'altra formano due gruppi rappresentativi di cui le affinità sono evidenti nel debole risalto della personalità dei singoli maestri.

L'Antal nel suo studio sul Problema del manierismo neerlandese, I) denso di osservazioni e prospettante nuovi punti di vista, accenna, però molto genericamente, ai rapporti di J acopo

questo si italiano.

limiterebbe l'influsso del maestro

L 'Antal sostiene che tutta l'arte sacra fiam­minga dipenda nello scorcio del sec. XVI dalla divulgazione dello Stradano (J an Van Straten); mentre, come è noto, questo pittore che lavora a Firenze col Vasari in Palazzo Vecchio, dà la sua maggiore attività alla produzione di arazzi più che a tele d 'argomento sacro.

Molto più profonda è l'orma che nel campo della pittura religiosa ha lasciato Martino de Vos, il quale fu il vero divulgatore di forme toscano-romane nelle chiese di Fian­dra. Egli nel periodo della sua dimora fra noi (I548- 58?) dovè influire d'altra parte a Firenze nel gruppo dei più giovani seguaci

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del Vasari fra i quali era Jacopo Zucchi. Il de Vos fu artista molto superiore allo Stradano. Anche molto tempo dopo la sua partenza dal­l'Italia il celebrato maest r;:, esercitò un'azione continua tra noi per mezzo delle sue incisioni illustranti scene bibliche ed evangeliche. Del suo periodo di perfezionamento artistico in Italia non rimangono molte opere ; singolar­mente interessante perciò è una sua tela d'al­tare dipinta dopo la sua dimora a Firenze e prima della sua andata a Venezia: L'Immacolata Concezione in San Francesco a Ripa, (prima cappella a sinistra), non ancora edita (fig. I).

In quest'opera, che è una sorprendente prova del talento di Martino de Vos i caratteri domi­nanti sono evidentemente nordici derivanti da Franz Floris e dall'educazione paterna di Pietro de Vos, ma lo schema della composizione generale è schiettamente legato al quadro vasariano. Nella concettosa invenzione il racconto sacro si svolge a registri soprapposti con figure emergenti da un fondo comune. La ricerca della prospettiva in profondità è ridotta; il centro della composizione è il punto d ' incontro di diagonali solo lieve­mente inclinate. In questa trama di grande tela sacra fiorentina si innestano con minuto lavoro, pic­cole scene bibliche a colori vivi, quasi smalti traslucidi d'indescri­vibile ricchezza e vaghezza.

originale, la roccia si apre con la rappre­sentazione degli inferi : Lucifero collo scettro infocato appare tra sinistri bagliori e dietro, in scorcio, una figura d 'uomo folgorato ; dinanzi ai demoni la scena dei tormentati (fig. 2). Vi tra­passa quell'accento grottesco che si ritrova spesso nei pittori nordici, anche nello Stradano (fig. 3) cosicchè la retorica del quadro sacro vasariano è come squassata in questa tela dell'allievo di Franz Floris: immaginazione dell 'inferno, incubo di tetre fantasie, come una fantasmagoria alla Ieronimo Bosch. Questa tela e quattro quadretti di piccolo formato con le stagioni, che erano in casa Colonna, rappresentavano il de Vos a Roma, ma queste ultime non sono state ritrovate ancora. 3)

Intorno alle relazioni di M artino de Vos col Tintoretto, l 'AntaI 4) segue la più vecchia tra­dizione risalente al XVII secolo di cui l'eco è in Baldinucci, 5) che lo indica diretto allievo del grandissimo luminista veneziano col quale avreb­be collaborato come paesista. Facendo giuste riserve sull'apporto tinto retti ano nell 'arte di lui, questo si ridurrebbe all' imitazione di quei soli

L'Immacolata, manto bleu, veste rosa chiara, sta nel centro come una piccola statua votiva sorreggente il putto. Sulla terra germogliano fiori, erbe, strisciano rettili ; ai lati, bilanciandosi sullo stesso piano, il peccato originale a sinistra e, a destra, il macabro spettro accovacciato che protende la mano verso la Vergine. In alto due angeli che reggono il nastro col motto "aeternitas". Nell'alone iridescente di toni lilla-chiaro e di luci rosa la figura dell' Eterno; nel semicerchio luminoso, cherubini ed il resto della corte celeste con luci grigie- argento. Sotto Adamo ed Eva, nella scena del peccato

FIG. 3 - ROMA, R. GALLERIA NAZIONALE D'ARTE ANTICA - STRADANO

UN TRIONFO (Fot. Luce)

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modi manieristici d'origine romano-fiorentina comuni a tutto il tardo manierismo internazio­nale. Non si può certo convenire sul predominio di questo elemento veneto nell'arte sua. Del resto breve deve essere stata la dimora del nostro a Venezia e troppo superficiale il contatto con Jacopo Tintoretto, modello per altro intra­ducibile nella sua essenza, nella forma rimpol­pata di plasticismo fiorentino e di cangiantismo policromico del de Vos.

Anche nei dipinti del fiammingo dopo il suo ritorno in patria l'elemento veneto d'origine tintorettiana non appare, nè appare nei disegni e nelle molte stampe dove l'influsso è sempre prevalentemente toscano. Come esempio può essere osservato il disegno (fig· 4) della Galleria delle Stampe Corsini che rappresenta una scena d'argomento romano (forse Cincinnato che ritorna all'aratro), dove il ritmo classicheg­giante, espresso come in un bassorilievo, è completamente in contrasto col tintorettianismo.

Fra le opere nume­rosissime del prolifico pittore, di cui enormi tele in molte chiese del Belgio nel Museo di Anversa e di Gand, mostrano una architet­tura compositiva fati­cosa e non chiara, la quale diventa sempre più stracca ripetizione, è la Sacra Famiglia con Sant'Anna, opera evi­dentemente tarda (fig. 5) nella quale può la lucentezza dei colori e la ricerca di mezze tinte sembrarci un'an­ticipazione di croma­tismo rubensiano.

rettangolare col lato maggiore orizzontale è nella forma prevalente in Toscana nel primo cinquecento; i colori sono tutti molto più schiariti e di conseguenza il chiaroscuro molto alleggerito rispetto a quello di San Francesco a Ripa. Ancora di fronte a questo dipinto l'ele­mento veneziano appare quasi assente, invece predominano elementi fiamminghi, che s'intrec­ciano coi fiorentino-romani, nelle forme più espanse del primo periodo.

Non si può documentare un vero e proprio incontro del giovanissimo Jacopo Zucchi col pit­tore d'Anversa, che nel I558 era già ritornato in patria ma non è assolutamente da escludere che oltre ad averne conosciuto le opere e rivissuto il ricordo in Palazzo Vecchio nella cerchia vasa­riana, abbia anche studiato le incisioni sue.

Intorno alla formazione di Jacopo Zucchi non si hanno molte notizie. Si sa che egli iniziò il suo lavoro di pittore collaborando col Vasari nello

La scena si inquadra su sfondo architetto­nico aperto con una veduta centrale paesi­stica dove è descritto l'incontro di Anna con Elisabetta. Il taglio

FIG. 4 - ROMA, GALL. NAZ. D'A. A" GABINETTO DELLE STAMPE

MARTINO DE VOS: CINCINNATO RINUNZIA AL POTERE

studiolo di Francesco I e nella restante deco­razione di Palazzo Vecchio. Il grande im­presario, deve essersi servito del giovane di talento anche in altre opere a lui commesse e che portano il solo suo nome, come in Santa Maria Novella nella tela rappresentante la Madonna del Rosario ascritta al Vasari stesso (fig. 6). Il Voss 7) l'as­segna al Vasari, ma vi nota qualche elemento da parte dell'allievo j appunto certe partico­larità nel disegno delle mani e del panneggio, e del colorito, lo por­tano ad ammettere una collaborazione notevole dello Zucchi; e così A. Venturi. 8) A me pare che l'opera per intero

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FIG. 5 - GAND, MUSEO - MARTINO DE VOS: SACRA FAMIGLIA CON SANT' ANNA

sia dipinta da lui, poichè oltre la tecnica pittorica propria di Iacopino, già vi appaiono i suoi tipi in maniera chiarissima. La Vergine col putto, nelle forme allungate, nell' ovale del volto ha carattere zucchesco; la figura del­l'Eterno preannuncia quella più tarda nella cappella Aldobrandini in Santa Maria in Via dove è rappresentato " un Dio padre con diverse storie in mezzo, angeli e putti". (Baglione). 9)

La tela perciò deve essere considerata fra le primissime sue prove pittoriche, non trascura­bile per conoscere come, già all' inizio, la sua predilezione si volga ad un colore crudetto, con mezze tinte molto chiare, e muova verso viva­cità di ricerche ornamentali. Questo gusto, si nota in tutte le opere dello Zucchi così nelle piccole scene idilliche e mitologiche come nei

vasti campi dell'affresco e nel quadro sacro. Anche in questa opera giovanile astragali perlacei fanno cornice a piccoli tondi racchiudenti scene sacre i quali sono messi in corona come preziosi ex voto intorno alla Vergine. Sembrano sottili cammei e sono il preannuncio dei quadretti che lo resero famoso, di cui ne ricorderemo uno della Pinacoteca d'Arezzo coll'Adorazione dei Magi, trattato colla stessa miniaturistica ricerca della Pesca dei Coralli della Galleria Borghese e delle tele degli Uffizi. lO)

Ho rammentato il quadretto d'Arezzo vicino a quelli degli Uffizi, per mettere in rilievo ancor una volta l'indifferenza dell'artista al soggetto.

Che lo Zucchi abbia tratta ispirazione dalle opere di piccolo formato di Federico Zuccari non è probabile. Le dieci tele (di un palmo e mezzo)

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gi~d~cata fra le pri­mISSIme. Il pittore è ancora vasariano nei panneggi, ancora ab­bacinato dalle iride­scenze madreperlacee della tavolozza di Martino de Vos.

Anche nell' Età del­l'argento (fig. 9) seb­bene la frantumazione dei gruppi sia minore e la composizione segua in piccolo uno schema tanto usato nell'arte sacra fiorentina, non è reso lo spazio nel senso dei piani in pro­fondità, ma le masse del paesaggio verdeg­giante e olivigno si dispongono come sipario decorativo die­tro le figure di primo plano.

Pare che nella ben nota tela: Tesori del mare (fig. IO) della gal­leria Borghese, così di­versa nella colorazione generale per le ombre più pesanti e crude dalle su nominate, sia una più evidente ispi­razione dal paesaggio

FIG. 8 - FIRENZE, R. GALLERIA UFFIZI - JACOPO ZUCCHI! L'ETÀ DELL'ORO (Fot. Alinari) classico. Nell'ambiente

diagonale che parte da destra e divide il quadretto in modo che i gruppi danzanti seguono come m una scala la linea ascendente.

Anche qui all'effetto della luce laterale si aggiunge quello più lieve dall'alone delle divinità nell'alto, appunto alla maniera accennata nelle opere giovanili di Martino de Vos.

Questa tela, come l'Adorazione dei Magi di Arezzo, e anche altri quadri grandi del maestro, nella minuta fattura, nella colorazione verdina, nel linguaggio delle vitree forme può essere

romano del primo cinquecento, già in Polidoro da Caravaggio, era stata una penetrazione quasi completa dei modelli ellenistico-romani. La catena dei nudi muliebri, riccamente ornati di gioielli e di veli, si snoda sulla ricchezza del piano fra iridate conchiglie, frutti marini, con grazia speciosa e raffinatezza. Il Baglione 14) rac­conta" che le figure dello H studioto" dipinto per il cardinale Ferdinando dei Medici rappre­sentano una pesca di il coralli con donne ignude, ma piccole, tra le quali sono molti ritratti di

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FIG. 9 - FIREN2;E, R. GALLERIA UFFI2;I - JACOPO 2;UCCHI: L'ETÀ DELL'ARGENTO (Fat. Bragl)

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FIG. IO - ROMA, R. GALLERIA BORGHESE - JACOPO ZUCCHI: I TESORI DEL MARE (Fot. Anderson)

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varie dame romane di quei tempi assai belle II' Ma queste non hanno nessun tratto individuale che le differenzi dal tipo feminile consueto nelle opere del pittore, cosicchè sembrano figure ima­ginate e il racconto del biografo sa di malizia. Un dubbio sorge intorno al quadretto della Galleria Borghese, che possa essere replic<:l su rame di un originale dipinto prima dal giovane pittore a Roma, tanto i colori si appesantiscono e le ombre diven­tano scure.

di Leida. Lo Zucchi ebbe infatti comune con pittori fiamminghi del suo tempo, specie Mar­tino de Vos, la definizione delle forme ad angoli taglienti, e la tendenza arcaistica. L'ele­mento nordico si mostra palesemente anche in opere tarde, come negli affreschi di San Silvestro al Quirinale eseguiti nel 1575: l'Adorazione dei Magi e la Circoncisione. Il parallelo Zucchi-Mar­tino de Vos secondo l'Antal si fonderebbe sullo

s tud io della radice comune:

Nelle opere del primo pe­riodo romano è ancora notevole l'a ccen tua zio ne dell'allunga­mento dei nudi, che talvolta raggiunge l'in­verosimile, forse per una npresa d'influenze par­migianinesche nel campo della pittura fioren­tina-romana. Secondo l'Antal questa estrema ten si one dei corpI e la ricerca di li­nearità che si riflette anche nelle acute mo­dulaz ioni del panneggio di­pendono 15) dalla ripresa d'in­fluenze nordico gotiche pene­trate a Firenze attraverso i pit­tori neerlandesi, appunto per un risorgere d'in­fluenze del Dii­rer e di Luca

FIG. II - ROMA, CHIESA DELLA li TRINITÀ DEI FIORENTINI"

JACOPO ZUCCHI: MESSA DI SAN GREGORIO

Diirer. Un ca­rattere li avvi­cina, che è co­mune a quasi tutti i pittori del tempo, ma nei due maestri eccezionalmente frequente, ed è quella mesco­lanza nel quadro sacro di figure ideali con figure reali veri ritrat­ti. Un esempio è offerto dal gran­de quadro d'al­tare (fig. II) che rappresenta la Messa di San Gregorio dipinto appunto dopo la colla­borazione col Vas ari nelle tre cappelle della Torre Pia in Vaticano e gli affreschi in Pa­lazzo Firenze, con la figura­zione degli Elementi. È l'opera che rese noto merita­mente il pittore a Roma. La

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rappresentazione dell'ambiente ha qui, insolita­mente, un effetto di profondità nella descrizione della fuga delle arcate del tempio, spazialità resa in tutta la bellezza e la grandiosità cinque­

Delle due tele di San Giovanni Decollato, la Natività del Battista (fig. 12) e la Madonna in gloria con Santi, particolarmente interessa la prima che ha col quadro delle monache di

Sutri i più stretti rapporti.

La composi­zione di caratte­re chiaramente fiorentino si ri trova anche nell'Allori ed in altri pittori del tardo manieri­smo. Divisa in tre registri, grad ualmente ascendenti, essa aumenta l'effetto dello sviluppo prospettico con quell' interno di piccola cucina toscana (fig. 13) che si vede nel fondo. Qui lo Zucchi è un eclettico ge­niale in cui le varie ispirazioni si riflettono in chiara unità di stile.

centesca, ed insieme con la più sottile ri­cerca d'elementi ornamentali. Una fonte di luce proviene dal fondo e fa brillare le va­rietà dei marmi, dà valore alla giustezza di linee delle clas­siche modana­ture; altra fonte luminosa si dif­fonde dalla cupola centrale e rischiara e dà risalto ai basso­rilievi del tam­buro. Intorno al Santo colla preziosa dalma­tica di damasco, il fastoso con -sesso di prelati, "tutta la corte romana con di­versi cardinali di quei tempi, e con quella occasione vi si vedono ritratti di sua mano diversi principi cardinali ed

FIG. 12 - ROMA, SAN GIOVANNI DECOLLATO

JACOPO ZUCCHI: NATIVITÀ DEL BATTISTA

In primo pia­no a destra l'alta figura di dama ricca­mente vestita si avanza seguita da due donne

altri con diligenza espressi, ed in particolare il ritratto del cardinale Ferdinando Medici". 16)

Nel gruppo dei prelati manca però la fervida descrizione dei volti. Ciò che Zucchi ha curato, come un orafo-ricamatore sono le vesti, gli arredi sacri che sembrano miniati dalla mano di Franz Franken il Vecchio. Il de Vos è ritratti sta forte.

anziane che pro­vengono dal Salviati; a sinistra il gruppo delle ancelle bilancia la scena con atteggiamenti graziosi e vivacità di moti. Nella parte dove è rappresentato il letto della puerpera e la gar­bata assistenza delle donne che si affaccendano intorno, la composizione ha un ritmo pausato, come nelle scene della Natività di Federico

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Zuccari a Capranica dove l'ambiente ha una vastità maggiore. Ma il pittore pone una fresca notazione descrittiva nella cucina: una donna pesta nel mortaio mentre il cane e il gatto

lato, della Trinità dei Pellegrini, dell'Amore e Psiche (Galleria Borghese); lo stesso linguaggio delle forme, la stessa plasticità, e l'identico ritorno di tipi prediletti. - Appaiono le pie­

ghe uguali nel panneggio delle vesti, nell'ac­conciatura del capo di Marta, e quelle grandi schiuse mani, un' anomalia propria al mae­stro che le fa maggiori del vero e le muove a ventaglio con un speciale giuoco delle.dita e le appiattisce.

giuocano di­nanzi al tavolo, e sul focolare acceso, il paiuolo fumiga. Rami nel fondo sotto la piccola fine­stra coll'impan­nata; nell'alto focolare con alari e molle. È un interno che fa­rebbe invidia ad un olandese del seicento. Il colore vi è stem­perato in toni rari di rosa, di malva e lilla con dei gialli. In­fluenzato anche qui da elementi fiamminghi for­se ancora dal debole Jean Van Straten egli non segue la meti­colosa resa d'ogni partico­l ar e veristico come nell'Alchi­mista di Palazzo Vecchio, dot­tore occhialuto

FIG. 13 - ROMA, SAN GIOVANNI DECOLLATO - NATIVITÀ

DEL BATTISTA (PARTICOLARE)

Singolarmente bella la compo­sizione si svolge senza enfasi, in una pacata estaticità di sentimento. La finezza dell' ese­cuzione dei par­ticolari segna un ulteriore affinamento in confronto delle piccole cele­brate opere del maestro agli Uffizi. Quella tavola bianca

tra lambicchi e stigli, o nel tondo con le "filatrici e tessitrici tt o nella storia di Penelope.

Il quadro di Sutri 14) che rappresenta" Cristo in Casa di Marta" (fig. 14) è una delle migliori opere del tardo manierismo toscano-romano, lasciato senza attribuzione, è generalmente con­siderato opera di pennello fiammingo. Che sia di Jacopo Zucchi può essere facilmente ed inconfu­tabilmente dimostrato per le note di colore così eguali a quelle delle tele di San Giovanni Decol-

imbandita coi tre coperti, piatti col tova­gliuolo spiegato di fresco, le due ampolline di cristallo dove rosseggia il vino e i piccoli bicchieri che brillano all' interferire della luce, quella tovaglia cosparsa di fiorellini radi, mam­mole e garofani, supera in raffinatezza forse tutte le ricchezze floreali un po' tumultuarie del­l'Età dell' oro agli Uffizi e delle altre composi­zioni decorative del maestro. L'unità raggiunta nella concezione di così austere forme e la

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semplicità tranquilla dell'accosta­mento delle figure producono un'espressione di intimità, di raccoglimento insueta nel tardo cinquecento. Marta s'avanza col piccolo secchio di rame guardando Maria Maddalena che adora Gesù. Ha sul capo il velo giallo-avorio, un largo grembiule giallo-oro risalta sulla bruna veste; è molto simile alla figura a destra della Circoncisiane di San Silvestro al Quirinale. La Maddalena colle bionde chiome, lo squisito colore di rosa che svanisce nelle luci giallette del corsetto, la veste bianco-verde, è seduta presso Cri­sto tutto chiuso nella rossa tunica. Anche qui, come nella Natività del Battista, la prospettiva in pro­fondo si sviluppa con la veduta della piccola cucina, illuminata dai riverberi del fuoco; il gattino è salito sul focolare presso gli alari e una luce si riverbera in quel­l'interno. È questa sua opera tarda vicina all' "Amore e Psiche".

Lo scudo ovale, col drago rosso a strie d 'oro, cinto di doppia cornice ha intorno cinque M, un S e F

FIG. 14 - SUTRI, CHIESA DELLE MONACHE DELLA CONCEZIONE

ai lati e in basso R (è lo stemma del com­mittente ?). Purtroppo non mi è riuscito di trovare notizie attendibili intorno alla prove­nienza di quest'opera, neppure nel convento delle monache. Pare che sia stata donata da un car­dinale ad una sua nipote monaca nel convento di Sutri.

Il quadro viene ad arricchire il breve catalogo delle opere dello Zucchi, il quale morì relativa­mente giovane nel 1589, ma già il suo talento d'artista aveva dato la misura maggiore della sua forza nella decorazione della Galleria 15) di Palazzo Rucellai (ora Ruspoli), che rappresenta l'estremo sforzo decorativo del cinquecento ma­nieristico. Il grande ciclo decorativo ha in sè germi importanti che si svolgeranno nel sec. XVII. È un'opera di transizione, la quale ha grande significato anche dal punto di vista degli schemi

JACOPO ZUCCHI: CRISTO IN CASA DI MARTA

compositivi che si vedono riflessi nella produzione del tardo manierismo internazionale. Festosità, ricchezza e varietà, con tendenza alla esagera­zione dei motivi ornamentali, giocosa espressione di quella mitologia narrativa. Il pittore sentì il bisogno di rifare nel Discorso sopra li Dei Gentili e loro imprese,18) un racconto delle imprese mito­logiche, che però manca di riferimenti esplicativi alla parte puramente figurativa, non ha nessun accenno al colore, alla concezione generale deco­rativa, al problema psicologico. Il Saxl dice che non sembra scritto da un artista, ma da un filosofo o meglio da un piccolo letterato.

Lo Zucchi nel campo della pittura alla conclu­sione del tardo manierismo europeo è certo una delle figure più significative, ma non può essere compreso se non si considera la sua duplice azione. Egli riuscì a fondere in misura che non

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deve essere troppo esagerata riguardo l'apporto nordico in Italia, elementi fiorentino-romani con l'arte nordica per cui esercitò rinnovati influssi nell'arte italiana e sulla pittura dei Paesi Bassi. Non solo fu imitato, come è stato rico­nosciuto dalla recente critica, nelle composi­zioni allegorico-mitologiche di contenuto erotico

I) FRIEDRICH ANTAL, Zum Problem des Niederldndischen Manierismus (in Kritische Berichte, 1928-29, Lepzig, pagg. 20 7- 56).

2) Il de Vos era venuto in Italia verso il 1548 ed era già ritornato in Anversa avanti il 1558, la sua più lunga dimora deve essere stata a Firenze.

3) Catalogo di quadri e pitture esistenti nel Palazzo Colonna, Roma 1783, pago 34, parte III, 213. Quattro quadretti in rame di un palmo per traverso. Le quattro Stagioni con i dodici segni del Zodiaco, Martino de Vos.

4) ANTAL, op. cit., pago 254; da Venezia e da Tinto­retto prendono ciò che è manieristico, tutti gli elementi di marca toscana, l'A. afferma però che la Regina del Mare in Palazzo Ducale del Tintoretto rievoca Jacopo Zucchi.

5) BALDINuccr, voI. VIII, pago 628. " Stette a Roma, fermossi a Venezia, dove si accomodò col celebre pittore Jacopo Robusti detto il Tintoretto, onde per la buona inclinazione sua e per lo valore del Maestro, fece in poco tempo in quella scuola grande profitto, massima­mente sui componimenti delle storie e ne'ritratti. Dicesi ancora, ch' ei facesse tanto bene i paesi (che fu sempre un genio particularissimo de' Fiamminghi) che il me­desimo Tintoretto si servisse di lui per dipingere essi paesi ne' suoi propri quadri, e pitture. Divenuto poi valoroso nell'arte del dipingere, se ne tornò in Anversa l'anno 1559 nel quale anno entrò nella nominata Com­pania dei pittori; e per notizia avuta di Sustermans ... ".

"Di Martino veggonsi poche pitture in Italia, ma arrivato ch'e' fu in Anversa, vi fece moltissime opere delle quali Carlo Van Mander pittore Fiammingo che in suo idioma scrisse alcune poche cose di lui, non ce ne diede notizie particolari, disse bene ch'egli ebbe un buon colorito ed in vero non poteva della scuola del Tintoretto uscire pittore, che non colorisse bene. Fece Martino bellissimi ritratti, ne' quali pure aveva trovato nell'opere del maestro molto da imitare per farsi per­fetto. Del suo modo d'inventare vario e copioso è venuta a noi chiara cognizione per le molte stampe ch'ei diede fuori intagliate da Gio. Sadaler ... , morto nel 1604".

in piccolo formato, ma anche seguito nelle opere d'arte sacra e nel campo della decora­zione di palazzi e di chiese. A Roma, più che il precursore dei Caracci, nella Galleria Far­nese, appare forse il vero anticipatore delle più festose decorazioni del toscano Pietro da Cortona. COSTANZA LORENZETTI

6) G. Vasari ed. Milanesi, VII, pago 618. Il È nella medesima maniera creato del Vasari ed accademico Jacopo di maestro Pietro Zucca, Fiorentino, giovane di venticinque o ventisei anni, il quale avendo aiutato il Vasari a fare la maggior parte delle cose di Palazzo e in particolare il palco della sala maggiore ha tanto acqui­stato nel disegno e nella pratica de' colori con molta sua fatica, studio ed assiduità, che si può oggi annove­rare fra i primi giovani pittori della nostra Accademia; e l'opera che ha fatto da se solo nell'essequie di Miche­langelo, nelle nozze dell' illustrissimo signor Principe, ed altre a diversi amici suoi, nelle quali ha mostro intelligenza, fierezza, diligenza, grazia e buon giudi­zio, l' hanno fatto conoscere per giovane virtuoso e valente dipintore; ma più lo faranno quelle che da lui si possono sperare nell'avvenire, con tanto onore della sua patria, quanto gli abbia fatto in alcun tempo altropittore".

7) Voss, Malerei der Spiitrenaissance in Rom und Florenz, 1924, voI. II, pagg. 316- 18.

8) A. VENTURI, Storia dell' Arte - Hoepli, 1932 - IX (pagg. 376---94).

9) G. BAGLIONE, Vite dei pittori scultori che fiorirono in Roma dal 1574 al 1642, 1733, pago 43.

IO) SALMI, Guida del Museo d'Arezzo, Città di Ca-stello, 1921.

II) ANTAL, op. cit., pago 219. 12) Voss, op. cit., pago 270. 13) ANTAL, op. cit., pago 218, trova nel Baglione una

definizione storico artistica nella serie dei pittori su ricordati in cui scorge l'origine e lo sviluppo di tutte le opere spirituali del manierismo in Firenze.

14) BAGLIONE, op. cit., pago 42-44. Questo dipinto è nell'oratorio della Santissima Trinità dei Pellegrini.

15) ANTAL, op. cit., pago 222. 16) BAGLIONE, op. cit., pago 42. 17) CIRO NIspr-LANDI. Storia dell'antichissima città

di Sutri. Roma, Ferretti, 1887, pagg. 5-74-75. 18) SAXL, Antike Gotter in der Spiitrenaissance, Teub­

ner, Leipzig, 1927. 19) JACOPO ZUCCHI, Discorso sopra li Dei Gentili e

loro imprese. Roma, Domenico Gigliotti, 161 I.

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