copia omaggio Al peggio non c’è fine? · il programma. Sbaglia Berlusconi. Non con-viene alla...

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commenti Nati sotto il campanile La lista fantasma Eleggibili Gli abiti degli umili Senza precedenti A tempo perso Utili scemi o viceversa 2 interventi Non basta una lista, ci vuole un partito 3 di Renato Covino politica L’Arcobaleno prima e dopo 4 Forum con Stefano Zuccherini ambiente Sostenibilità e partecipazione 6 di Alessandra Paciotto memoria Soviet più elettricità di Renato Covino La rimpatriata 7 di Maurizio Mori Quarant’anni di politica di Re.Co. Ubuntu 8 di A.B. Le ferrovie dimenticate 9 di Stefano De Cenzo società L’alterità del prete 10 di Salvatore Lo Leggio Il precario sociale 11 di Vanda Scarpelli culturaFermo immagine 12 di Paolo Lupattelli Uno spirito ribelle della satira 13 di Alberto Barelli Palestina impossibile? 14 di Roberto Monicchia Il manifesto lacerato 15 di Enrico Sciamanna Libri e idee 16 marzo 2008 - Anno XIII - numero 3 in edicola con “il manifesto” Euro 0,10 mensile umbro di politica, economia e cultura copia omaggio in edicola con “il manifesto” il 27 di ogni mese www.micropolis-segnocritico.it/mensile/ i sono svolte le elezioni amministrati- ve in Francia e le elezioni politiche in Spagna. In entrambi i Paesi ha vinto la sinistra. Non un generico centrosinistra, non generici riformisti ma una sinistra, in Francia composta da socialisti, comunisti e verdi, ed in Spagna da un partito socialista, il Psoe di Zapatero. Nel dopo elezioni i cittadi- ni gridano: “Spagna socialista” e Zapatero assicura che continuerà a governare partendo da coloro che meno posseggono. Zapatero si conferma come il vero leader di una sinistra europea che non rinuncia a trasformare la realtà. Ciò che i riformisti italiani considera- no pericoloso estremismo laicista, in Spagna sono leggi dello Stato nonostante la feroce contrarietà dei vescovi spagnoli. Nessuna guerra di religione ma la semplice riafferma- zione della laicità dello Stato. Per noi italiani sembra un sogno. L’ondata del centrodestra nel continente sembra bloccarsi? Non è certo, ma si può vincere anche senza spostar- si a destra e rivendicando le ragioni della sinistra. Ricordate l’entusiasmo anche di set- tori del Pd per il modello Sarkozy? Annichilendo il partito socialista, il “cesare” francese imbarca tutti, ex socialisti divengo- no consiglieri del presidente in un contenito- re che dovrebbe produrre le mille riforme necessarie alla Francia. Anche in Italia se vin- ciamo le elezioni dovremo procedere alla Sarkozy, affermavano nel Pd. Basta con la destra e con la sinistra. Il conflitto sociale è roba dell’Ottocento. La parola magica divie- ne il riformismo, senza aggettivi. Si può fare. Cosa? Slogan ben formulati ed è tutto. Veltroni dichiara il Partito Democratico un partito riformista e non un partito di sini- stra. Viva la chiarezza! Prodi ha annunciato il suo ritiro dalla politica attiva. Sconfitto, non ha fatto finta di niente come è consuetudine di quasi tutti i leader. Ha scelto di uscire di scena assumendosi la responsabilità del falli- mento dell’Unione. E’ stato apprezzato da molti il gesto di Prodi. La stessa oligarchia politica è al suo posto da oltre un ventennio nonostante i disastri prodotti. Bravo Prodi! Ma ha sbagliato solo il professore o bisogne- rebbe che ognuno si assumesse le responsabi- lità dell’insuccesso del governo? Nella coali- zione di centrosinistra, il Pd aveva 18 mini- stri su 25. Non è ingiurioso addebitare alla sinistra le responsabilità delle mancate rifor- me? La libera scelta di Veltroni di mollare la sinistra a vantaggio di Di Pietro e radicali è legittima, mistificare è cosa sgradevole. Alcune rivendicazioni della sinistra al gover- no contro la precarietà sono oggi nel pro- gramma del Pd e quindi si presume che non esageravano Fabio Mussi o Ferrero quando chiedevano che si affrontasse il problema. Ripetutamente la sinistra ha richiesto che il governo facesse fronte alla questione dei livelli salariali e delle pensioni. Oggi Veltroni assicura che nei primi atti del suo governo si dovrà affrontare questa problematica. La sinistra al governo suggeriva un’azione di risanamento dei conti pubblici graduale a vantaggio di politiche di sviluppo e di riequi- librio sociale. Oggi Veltroni dice basta con la politica dei due tempi, del prima risaniamo poi investiamo sullo sviluppo. Esattamente quello che hanno sostenuto per anni gli eco- nomisti della sinistra. Perché non è stato fatto dal governo killerato da Mastella? Il Pd dove era? Siamo in campagna elettorale e difficilmente un discorso di verità potrà essere ascoltato. Eravamo preoccupati. Berlusconi ci appariva un po’ moscio con quei suoi girocollo da playboy di provincia. Rimessa la cravatta, è tornato a brillare e a produrre le gaffe che lo hanno reso famoso e divertente nel mondo. Il bon ton dimenticato. Ci siamo tranquilliz- zati ascoltando le sue spiegazioni per la can- didatura di Ciarrapico con gli apprezzamenti della comunità ebraica e del Partito popolare europeo. Rientra nella norma berlusconiana il dileggio per chi è dall’altra parte. Il povero Veltroni è stato paragonato addirittura a Stalin e Casini accusato di aver impedito nei cinque anni di governo della destra di attuare il programma. Sbaglia Berlusconi. Non con- viene alla destra ricordare quando era al governo. In cinque anni la crescita del Paese è stata la più bassa d’Europa, e i conti pub- blici disastrati tanto disastrati da provocare nel 2005 una procedura d’infrazione alle regole comunitarie. Procedura che si è inter- rotta grazie all’azione di risanamento del governo dell’Unione. Generosamente il cava- liere ci assicura che vinte le elezioni berrà l’a- maro calice di governare il Paese. Promette le solite cose. L’ex ministro della Difesa, Martino, vuole addirittura rimandare soldati italiani in Iraq. Gli americani non sanno come andarsene da Bagdad e la destra italia- na vuole tornarci con consiglieri militari. Al peggio non c’è mai fine. Riduzione delle tasse, taglio della spesa pub- blica, liberalizzazione dei servizi pubblici, sono gli slogan che rendono i programmi di Pd e Pdl simili. Uniti contro le tasse e contro la spesa pubblica Pd e Pdl assicurano a tutti, ricchi e poveri, la salvezza dell’Italia. Che le tasse sui redditi da lavoro siano alte è possibi- le. Che le tasse sulle finanziarie siano irrisorie è certo. Sembra che le nostre classi dirigenti non apprendano nulla dall’esperienza altrui. L’ondata di crisi che travolge l’occidente e l’oriente appare come un castigo divino e non il risultato delle politiche liberiste dell’America di Bush e dell’Europa guidata dalla destra economica. L’amministrazione Bush ha improntato tutta la sua politica sui tagli alle tasse e sulla ridu- zione dei servizi al cittadino. La spesa pub- blica è esplosa per le guerre volute da Bush. Il risultato? La recessione americana, l’impo- verimento di milioni di americani e l’espor- tazione della crisi in ogni angolo del mondo. Un disastro. Molti sostengono che la crisi economica attuale è la peggiore del dopo- guerra. Dopo trenta anni di dominio del liberismo e del libero mercato, a vent’anni dal crollo del blocco sovietico, non è il caso di mettere in discussione l’ideologia liberista dominante? Non ha dimostrato a sufficienza la sua incapacità di risolvere i problemi del- l’umanità? Il partito di Veltroni non sembra interessato a porsi la questione. E’ anche per questa esi- genza di ripensare la prospettiva di un mondo diverso da quello che stiamo vivendo che serve una sinistra politica capace di ela- borare nuovi valori e nuove prospettive. In questo quadro, sulla polemica sui “voti utili”, il presidente Napolitano ha detto parole definitive dando vera prova di demo- crazia. Non abbiamo apprezzato affatto il modo con cui la Sinistra Arcobaleno ha scelto i propri candidati. La riproduzione di una nomencla- tura in campo da molto non è stata una scel- ta saggia ed elettoralmente è poco attraente. Malgrado questo, riteniamo essenziale che questo tentativo di ricostruzione di una sini- stra che dia voce al mondo dei lavori, della precarietà e della intelligenza diffusa tra tanta parte del popolo, debba andare avanti anche attraverso un buon risultato il 13 e 14 aprile. Comprendiamo il dubbio di tanti compagni rispetto al voto utile. Berlusconi è alle porte e il male minore sembrerebbe il voto al Pd. Ma questa sarebbe una scelta poco saggia. Il berlusconismo si batte soltanto se nelle isti- tuzioni permane una presenza politica radi- calmente alternativa al liberismo cialtrone di questi anni. Per noi di “micropolis” è questo il vero voto utile. Senza una sinistra capace di dar voce e di rappresentare le tante sensibilità che non rinunciano a sperare in un mondo diverso da quello che hanno costruito in questi decenni le classi dirigenti, lo stesso Partito Democratico sarebbe spinto tra le braccia del cavaliere, magari in una grande coalizione. Ipotesi tragica per la democrazia repubblica- na. S Al peggio non c’è fine?

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commenti

Nati sotto il campanile

La lista fantasma

Eleggibili

Gli abiti degli umili

Senza precedenti

A tempo perso

Utili scemi o viceversa 2

interventi

Non basta una lista,ci vuole un partito 3di Renato Covino

politicaL’Arcobalenoprima e dopo 4Forum con Stefano Zuccherini

ambiente

Sostenibilità e partecipazione 6di Alessandra Paciotto

memoriaSoviet più elettricitàdi Renato Covino

La rimpatriata 7di Maurizio Mori

Quarant’anni di politicadi Re.Co.

Ubuntu 8di A.B.

Le ferrovie dimenticate 9di Stefano De Cenzo

società

L’alterità del prete 10di Salvatore Lo Leggio

Il precario sociale 11di Vanda Scarpelli

cultura√

Fermo immagine 12di Paolo Lupattelli

Uno spirito ribelle della satira 13di Alberto Barelli

Palestina impossibile? 14di Roberto Monicchia

Il manifesto lacerato 15di Enrico Sciamanna

Libri e idee 16

marzo 2008 - Anno XIII - numero 3 in edicola con “il manifesto” Euro 0,10

mensile umbro di politica, economia e cultura

copia omaggio

in edicola con “il manifesto” il 27 di ogni mese www.micropolis-segnocritico.it/mensile/

i sono svolte le elezioni amministrati-ve in Francia e le elezioni politiche inSpagna. In entrambi i Paesi ha vinto

la sinistra. Non un generico centrosinistra,non generici riformisti ma una sinistra, inFrancia composta da socialisti, comunisti everdi, ed in Spagna da un partito socialista, ilPsoe di Zapatero. Nel dopo elezioni i cittadi-ni gridano: “Spagna socialista” e Zapateroassicura che continuerà a governare partendoda coloro che meno posseggono. Zapatero siconferma come il vero leader di una sinistraeuropea che non rinuncia a trasformare larealtà. Ciò che i riformisti italiani considera-no pericoloso estremismo laicista, in Spagnasono leggi dello Stato nonostante la ferocecontrarietà dei vescovi spagnoli. Nessunaguerra di religione ma la semplice riafferma-zione della laicità dello Stato. Per noi italianisembra un sogno. L’ondata del centrodestranel continente sembra bloccarsi? Non ècerto, ma si può vincere anche senza spostar-si a destra e rivendicando le ragioni dellasinistra. Ricordate l’entusiasmo anche di set-tori del Pd per il modello Sarkozy?Annichilendo il partito socialista, il “cesare”francese imbarca tutti, ex socialisti divengo-no consiglieri del presidente in un contenito-re che dovrebbe produrre le mille riformenecessarie alla Francia. Anche in Italia se vin-ciamo le elezioni dovremo procedere allaSarkozy, affermavano nel Pd. Basta con ladestra e con la sinistra. Il conflitto sociale èroba dell’Ottocento. La parola magica divie-ne il riformismo, senza aggettivi. Si può fare.Cosa? Slogan ben formulati ed è tutto.Veltroni dichiara il Partito Democratico unpartito riformista e non un partito di sini-stra. Viva la chiarezza! Prodi ha annunciato ilsuo ritiro dalla politica attiva. Sconfitto, nonha fatto finta di niente come è consuetudinedi quasi tutti i leader. Ha scelto di uscire discena assumendosi la responsabilità del falli-mento dell’Unione. E’ stato apprezzato damolti il gesto di Prodi. La stessa oligarchiapolitica è al suo posto da oltre un ventenniononostante i disastri prodotti. Bravo Prodi!Ma ha sbagliato solo il professore o bisogne-rebbe che ognuno si assumesse le responsabi-lità dell’insuccesso del governo? Nella coali-zione di centrosinistra, il Pd aveva 18 mini-stri su 25. Non è ingiurioso addebitare allasinistra le responsabilità delle mancate rifor-me? La libera scelta di Veltroni di mollare lasinistra a vantaggio di Di Pietro e radicali èlegittima, mistificare è cosa sgradevole.Alcune rivendicazioni della sinistra al gover-no contro la precarietà sono oggi nel pro-gramma del Pd e quindi si presume che non

esageravano Fabio Mussi o Ferrero quandochiedevano che si affrontasse il problema.Ripetutamente la sinistra ha richiesto che ilgoverno facesse fronte alla questione deilivelli salariali e delle pensioni. Oggi Veltroniassicura che nei primi atti del suo governo sidovrà affrontare questa problematica. Lasinistra al governo suggeriva un’azione dirisanamento dei conti pubblici graduale avantaggio di politiche di sviluppo e di riequi-librio sociale. Oggi Veltroni dice basta con lapolitica dei due tempi, del prima risaniamopoi investiamo sullo sviluppo. Esattamentequello che hanno sostenuto per anni gli eco-nomisti della sinistra. Perché non è statofatto dal governo killerato da Mastella? Il Pddove era?Siamo in campagna elettorale e difficilmenteun discorso di verità potrà essere ascoltato.Eravamo preoccupati. Berlusconi ci apparivaun po’ moscio con quei suoi girocollo daplayboy di provincia. Rimessa la cravatta, ètornato a brillare e a produrre le gaffe che lohanno reso famoso e divertente nel mondo.Il bon ton dimenticato. Ci siamo tranquilliz-zati ascoltando le sue spiegazioni per la can-didatura di Ciarrapico con gli apprezzamentidella comunità ebraica e del Partito popolareeuropeo. Rientra nella norma berlusconianail dileggio per chi è dall’altra parte. Il poveroVeltroni è stato paragonato addirittura a

Stalin e Casini accusato di aver impedito neicinque anni di governo della destra di attuareil programma. Sbaglia Berlusconi. Non con-viene alla destra ricordare quando era algoverno. In cinque anni la crescita del Paeseè stata la più bassa d’Europa, e i conti pub-blici disastrati tanto disastrati da provocarenel 2005 una procedura d’infrazione alleregole comunitarie. Procedura che si è inter-rotta grazie all’azione di risanamento delgoverno dell’Unione. Generosamente il cava-liere ci assicura che vinte le elezioni berrà l’a-maro calice di governare il Paese. Promette lesolite cose. L’ex ministro della Difesa,Martino, vuole addirittura rimandare soldatiitaliani in Iraq. Gli americani non sannocome andarsene da Bagdad e la destra italia-na vuole tornarci con consiglieri militari. Alpeggio non c’è mai fine.Riduzione delle tasse, taglio della spesa pub-blica, liberalizzazione dei servizi pubblici,sono gli slogan che rendono i programmi diPd e Pdl simili. Uniti contro le tasse e controla spesa pubblica Pd e Pdl assicurano a tutti,ricchi e poveri, la salvezza dell’Italia. Che letasse sui redditi da lavoro siano alte è possibi-le. Che le tasse sulle finanziarie siano irrisorieè certo.Sembra che le nostre classi dirigenti nonapprendano nulla dall’esperienza altrui.L’ondata di crisi che travolge l’occidente e

l’oriente appare come un castigo divino enon il risultato delle politiche liberistedell’America di Bush e dell’Europa guidatadalla destra economica. L’amministrazione Bush ha improntato tuttala sua politica sui tagli alle tasse e sulla ridu-zione dei servizi al cittadino. La spesa pub-blica è esplosa per le guerre volute da Bush.Il risultato? La recessione americana, l’impo-verimento di milioni di americani e l’espor-tazione della crisi in ogni angolo del mondo.Un disastro. Molti sostengono che la crisieconomica attuale è la peggiore del dopo-guerra. Dopo trenta anni di dominio delliberismo e del libero mercato, a vent’annidal crollo del blocco sovietico, non è il casodi mettere in discussione l’ideologia liberistadominante? Non ha dimostrato a sufficienzala sua incapacità di risolvere i problemi del-l’umanità? Il partito di Veltroni non sembra interessatoa porsi la questione. E’ anche per questa esi-genza di ripensare la prospettiva di unmondo diverso da quello che stiamo vivendoche serve una sinistra politica capace di ela-borare nuovi valori e nuove prospettive. In questo quadro, sulla polemica sui “votiutili”, il presidente Napolitano ha dettoparole definitive dando vera prova di demo-crazia.Non abbiamo apprezzato affatto il modo concui la Sinistra Arcobaleno ha scelto i propricandidati. La riproduzione di una nomencla-tura in campo da molto non è stata una scel-ta saggia ed elettoralmente è poco attraente.Malgrado questo, riteniamo essenziale chequesto tentativo di ricostruzione di una sini-stra che dia voce al mondo dei lavori, dellaprecarietà e della intelligenza diffusa tra tantaparte del popolo, debba andare avanti ancheattraverso un buon risultato il 13 e 14 aprile.Comprendiamo il dubbio di tanti compagnirispetto al voto utile. Berlusconi è alle portee il male minore sembrerebbe il voto al Pd.Ma questa sarebbe una scelta poco saggia. Ilberlusconismo si batte soltanto se nelle isti-tuzioni permane una presenza politica radi-calmente alternativa al liberismo cialtrone diquesti anni. Per noi di “micropolis” è questoil vero voto utile.Senza una sinistra capace di dar voce e dirappresentare le tante sensibilità che nonrinunciano a sperare in un mondo diverso daquello che hanno costruito in questi decennile classi dirigenti, lo stesso PartitoDemocratico sarebbe spinto tra le braccia delcavaliere, magari in una grande coalizione.Ipotesi tragica per la democrazia repubblica-na.

S Al peggionon c’è fine?

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ontinua a tener banco, siapure stancamente, nelletelevisioni e nei giornali

locali la vicenda della studentessainglese assassinata nella sua abita-zione. Mentre l’immagine sorri-dente della ragazza viene cinica-mente di continuo riprodotta, sta-volta si è assistito all’ennesimosopraluogo nella casa del delittoricoperta di fiori sempre nuovi: gliinvestigatori, la polizia scientificaaccompagnati dall’ormai onnipre-sente Mignini della Procura dellaRepubblica di Perugia sono andatiancora alla ricerca di prove nuove

e pare importanti. Ma il fatto inche cosa consiste, si dirà? Unabuona domanda: il fatto consistenell’essere, per ora, il tutto servitoquasi esclusivamente a riempire glispazi vuoti della cronaca, a ingi-gantire la morbosità dei lettori e asviluppare l’idea dei delitti irrisoltiche si accumulano, specialmentese non si trovano subito i colpevo-li, se il tempo passa e anzi se necontinua a perdere. Opinioni edatteggiamenti sostenuti anche davicende parallele e indipendenti,ma contemporanee: l’ormai certaed in parte annunciata chiusura

senza risultati rilevanti della plu-riennale indagine su Narducci evicende collegate (seguite sempreda Mignini), il buio sull’altravicenda della studentessa scom-parsa a Perugia, ricercata anche inambienti vicini alla curia arcive-scovile, gli stessi che hanno a suotempo invitato a “cercare altrove”(altrove, ma dove?) anche se fra gliinterrogati c’è l’ecclesiastico a suotempo collegato a questioni ditraffico di droga. Ce ne è abba-stanza per una serie di fiction tele-visive. E sicuramente c’è chi ci stalavorando.

Gli abitidegli umili

an Francesco ha indossato gli abiti degli umilie dei lavoratori. Ecco perché, come francesca-ni, sentiamo forte l’impegno per la prevenzio-

ne sul lavoro. Da Assisi nasce l’appello alla comunica-zione televisiva e giornalistica per salvaguardare la vitaumana, che non è un gioco”: è quanto ha affermato il6 marzo scorso Padre Enzo Fortunato, portavoce delSacro Convento, illustrando in una conferenza stampaa Perugia l’adesione “all’appello di Articolo 21 controle morti bianche” dei frati minori della Basilica e dellaloro rivista “San Francesco Patrono d’Italia”. Era pre-sente il portavoce di Articolo 21, Giuseppe Giulietti,deputato dal 1994, prima da indipendente in quotaPrc, poi da democratico di sinistra, oggi candidatonelle liste di Di Pietro (che cosa non si fa per un seg-gio!) e anche per questo il Tg regionale della Rai hadato la notizia tra le prime e con grande spazio, inter-vistando tra l’altro diversi frati, tutti uniti nell’afferma-re il proprio umile impegno per la sicurezza nel lavoro. Ce ne è scaturito il ricordo di una pubblicazionedell’Inail per l’anno giubilare 2000, una raccolta di exvoto raffiguranti salvataggi di muratori e di metallurgi-ci per opera di Santi o della Madonna. Magari i fratipotrebbero, con le loro preghiere, caldeggiare siffattimiracoli. Cacciato il “cattivo pensiero”, conveniamocon Giulietti che l’impegno dei francescani e la rubricafissa sul loro mensile dedicata al tema del lavoro e dellasicurezza sono fatti encomiabili ed utili, anche se nonsembrano strettamente rientrare nelle loro competenzee non sono una grande notizia; ma non possiamo nonrivolgerci alcune domande. Mentre si precarizzava illavoro e se ne accentuava lo sfruttamento, mentre siriducevano i salari (inducendo così a chiedere straordi-nari), mentre si smantellavano le capacità di controllooperaio nelle fabbriche, nei cantieri, nelle officine e nei

campi, insomma mentre si creava il brodo di colturaper la quotidiana tragedia dei morti e degli invalidi percause di lavoro, facevano abbastanza quelli che eranodeputati a preoccuparsene? I sindacati, i partiti di sini-stra, i governi e i parlamenti democratici, le ammini-strazioni regionali e locali, i giornalisti impegnati?

SenzaprecedentiDue guerre mondiali, le rivoluzioni in Russia e inCina, la decolonizzazione in Asia e in Africa, la finedell’Urss e del blocco sovietico, la bomba atomica, letelecomunicazioni e le tecnologie informatiche e l’in-gegneria genetica, sono tutte operazioni di poco rilie-vo rispetto alla nascita del Pd. Così sembrano pensar-la due dirigenti regionali in pensione, Gianni Barro eFrancesco Berrettini, l’uno già esponente dei liberalDs, l’altro già portavoce locale del Grande Oriente,che sul “Corriere dell’Umbria” del 9 marzo scrivono:“Stiamo cambiando l’Italia. È un’operazione che nonha precedenti in tutto questo secolo e in quello diprima, né in Italia, né in Europa e neanche nel restodel mondo. Scusateci se poco, ma questa è la storia”. Potremmo dire che si tratta della più grande idiozianon solo del secolo scorso e dell’attuale, ma anche diquelli a venire. Ma non abbiamo perso il senso dellamisura, della realtà e del ridicolo. Noi.

Nati sotto il campanileDopo annose polemiche e storie di campanili, apparentementerisolte, si è inaugurato finalmente il nuovo ospedale di Branca,destinato ad un ampio bacino di utenza, che ricomprende i terri-tori di Gubbio e Gualdo Tadino. A quanto pare le polemiche eranosolo sopite: i Gualdesi si rifiuterebbero infatti di iscrivere i lorofigli, nati nel nuovo ospedale sito nel territorio di Gubbio, all’ana-grafe del suddetto Comune. E’ noto che gli Eugubini si considerino orgogliosamente “matti”,al punto di offrirne la “patente” anche ad ospiti illustri o beneme-riti; ma i Gualdesi, almeno quelli (si spera pochi) che hanno solle-vato, comici involontari, lo specioso problema ... che siano intro-nati.

1, 2, 3, 4, 5,... 99, 100Si è svolto il primo marzo a Santa Maria degli Angeli di Assisi unincontro per il voto al PdL, organizzato da Forza Italia, pubblicizza-to con manifesti in tutto il perugino. Coordinati dal giornalistaLehner imprenditori, commercianti e professionisti hanno espo-sto le loro proposte di programma per la nuova legislatura. Titolodella manifestazione: Con il nuovo governo noi conteremo.

La lista fantasmaNei primi giorni di marzo sono apparsi nel capoluogo umbro, inposti strategici, manifesti con la foto di un tal Carlo Fatuzzo cheinvitavano a votare il simbolo di un Partito Pensionati. La listatuttavia non è tra quelle presentate per le elezioni del 13 aprile.La spiegazione c’è: l’accordo tra il Fatuzzo e Berlusconi non è riu-scito a fermare una affissione programmata da tempo. La cosapiù attraente è però il programma della lista fantasma. Prevede:reversibilità al 100%, meno tasse ai pensionati, libera scelta del-l’età di pensione, aumento di tutte le pensioni (comprese quelle“d’oro”), pensione d’invalidità anche agli ultra 65enni, abolizionedel cumulo, più posti di lavoro ai giovani e tante altre belle cose.Abbiamo appreso che, accordandosi con Fatuzzo e la figlia, ilCavaliere ci ha aggiunto del suo il treno gratis nelle ore non dipunta e analoghe iniziative per cinema e teatri. Manca la celebrepromessa di Cetto La Qualunque,’Cchiù pilu pi tutti.

EleggibiliSecondo i giornali locali il posto in lista per la Camera offerto dalPd all’onorevole Stramaccioni ne avrebbe garantito l’elezione incaso di vittoria di Veltroni. Se n’è andato sbattendo la porta.Un’analoga operazione a livello nazionale è stata fatta per 2 dei9 candidati radicali. La risposta è stata: digiuni e sfracelli.Evidentemente al successo di Veltroni non credono in molti.

il piccasorci

2commentimar zo 2008

Il piccasorci - pungitopo secondo lo Zingarelli - è un modesto arbusto che a causa delle sue foglie duree accuminate impedisce, appunto, ai sorci di risalire le corde per saltare sull’asse del formaggio. Larubrica “Il piccasorci”, con la sola forza della segnalazione, spera di impedire storiche stronzate e,ove necessario, di “rosicare il cacio”.

il fatto

la lettera anonimaUtili scemi o viceversa

A tempo persoC

S“

Penso da tempo che nel codice genetico di noi delle sinistre, sia inscritta una tendenza/tentazione alladissoluzione/dissolvenza. E’ già stato scritto e fatto ampiamente. Avvezza a trovare soluzioni, propongo direclutare qualche buon maestro/maestra, rigorosamente in pensione - così da essere di vecchia scuola -che ci faccia ripetizione sull’abc dell’aritmetica e un po’ di insiemistica. Non le divisioni, che quelle ci ven-gono già tanto bene; di sicuro le addizioni e, ancor di più le moltiplicazioni. Lasciamo volentieri ad altri lesottrazioni. Ma poi, se “nomina sunt omina” se i nomi sono presagi, quel Sinistra Arcobaleno... fenomenoraro, che avviene in natura solo in particolarissime condizioni climatiche, che per essere visto ha bisognodi grandi spazi e cieli tersi e limpidissimi, e che dura per un lasso di tempo più che effimero... Fossimoscemi!? Quand’anche, siamoci utili, addizionati votiamoci, e se possibile, moltiplichiamoci, in ogni casocontiamoci: certifichere(m)mo così la nostra esistenza in vita, per continuare a lavorare per tempi migliori.

Una lettera al mese - massimo 1200 battute - scelta dalla redazione fra quelle pervenute solo se anonime

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’è un’immagine di Giulio Tremontiche fotografa perfettamente la situa-zione italiana. Descrivendo il virtua-

le Popolo delle Libertà il commercialista diSondrio lo definisce come l’equipaggio diuna nave: un ottimo capitano, un affidabilecorpo di ufficiali, dei buoni marinai. Ilcommento finale è tranchant: “Peccato chela nave si chiami Titanic”. E’ proprio così. Si sottovaluta la situazionedi crisi economica, sociale, civile del paese,la frammentazione che lo attraversa, l’assen-za di tessuti comunitari che lo leghino, lapresenza di lobby e corporazioni che loingessano, la sempre minore credibilitàdella politica e dei partiti e la convinzionediffusa che non è attraverso essi che si pos-sano produrre significative modificazionidella vita quotidiana dei cittadini. E’ questoche stupisce di questa campagna elettoraledove Veltroni parla di politica malata in unpaese vitale e sano e Berlusconi fa risalirel’accasciamento del paese alle politiche esi-ziali di Prodi.Il problema non è solo che la nave si chia-ma Titanic, ma che il mare in cui naviga,ossia la situazione economica e politicamondiale, appare sempre più procelloso. Larecessione è, infatti, alle porte. Le causesono note: l’aumento del costo del petrolioe la crisi americana, di quel paese di cui sivantava la crescita virtuosa e che si è rivelatocome un’economia trainata dal debito pri-vato dei suoi cittadini. Ma c’è di più: ormaiprevale pudore e riserbo a proposito deivantaggi della globalizzazione. Sempre ilcommercialista di Sondrio, per molti aspettipiù lucido di qualche maitre à penser dellasinistra, parla di “cattiva globalizzazione” escopre come si tratti soprattutto di un feno-meno finanziario. Non solo, ma si cominciaa dire chiaramente quello che ormai si sape-va da molti anni: gli scambi avvengono trapaesi delle stesse aree e non tra aree diversedel mondo e che sono bloccati al livello rag-giunto nel 1914, come sosteneva sulla basedi dati di prima mano l’ottimo Elvio DalBosco in un suo volumetto di qualche annofa. Ancora Tremonti ha osservato come laGermania scambi con la Cina meno dellametà di quanto scambia con l’Austria.D’altro canto le spinte alla guerra e all’in-stabilità sembrano prevalere, con tutte leconseguenze del caso.Insomma i prossimi mesi ed anni sarannodrammatici e le risposte ai problemi che siporranno non potranno essere quelle che iprincipali protagonisti della vita politica ita-liana stanno oggi delineando. Quello difronte al quale ci troveremo sarà la necessitàdi un nuovo intervento pubblico in econo-mia che può avere due soluzioni: il sostegnoall’impresa o alla domanda. Finora le ipote-si che si fronteggiano lasciano pensare chetranne misure congiunturali (qualcheaumento dei salari) la preferenza verrà dataal sostegno all’impresa, come del resto èstato fatto sia pure in maniera diversa negli

ultimi quindici anni, provocando un colos-sale spostamento di ricchezza che ha pena-lizzato i salari e premiato le rendite e i pro-fitti. Si dirà che è quanto si è fatto e si fa intutta Europa. Ma è forse l’ora di domandar-si se anche nel resto del continente tali poli-tiche non comincino a mostrare la corda,non siano destinate a cedere di fronte afenomeni recessivi e non sia ora di pensarea forme di allargamento della domanda. Intal caso varrebbe la pena di specificarle conqualche dettaglio. D’altro canto resta lapeculiarità italiana di una lunghissima crisipolitico istituzionale che tende ad aggravar-si, rispetto alla quale l’unica soluzione che sisa proporre è un bipartitismo coatto e arti-ficiale, frutto di una contrattazione tra Pdl ePd relativa alla legge elettorale e alla formadi governo. Il dubbio è che ciò sia risoluti-vo, ammesso e non concesso che sia auspi-cabile. Infatti i nuovi “partiti” si portanodietro i vizi delle vecchie coalizioni esoprattutto verranno votati senza suscitareentusiasmo e senza sedimentare consenso. Ilgiorno dopo le elezioni le lobby ed i gruppid’interesse ricominceranno a muoversi inordine sparso e vinceranno i più forti, men-tre saranno ancor più penalizzate le quotesofferenti e meno rappresentate della popo-

lazione: lavoratori dipendenti e precari,operai di fabbrica, giovani, vecchi, donne.Insomma siamo non solo di fronte ad unaemergenza economica e sociale, ma di fron-te ad una vera e propria emergenza demo-cratica, ad un tentativo neppure tantonascosto, con la scusa della fine della lottadi classe e del patto dei produttori – cosanuova! se ne parla senza risultati da più ditrent’anni, nonostante i noti intrecci trarendite e profitti – di impedire la presenzadi un’autonoma rappresentanza del lavoronel parlamento italiano o di una sua ridu-

zione all’insignificanza. Può essere utilericordare che dal 1892, data di nascita delPsi, tale situazione si è verificata solo nelventennio fascista. E’ questa la posta ingioco in questa brutta campagna elettoraleed è bene dirselo con tutta la drammaticitàche ciò comporta. Se le cose stanno così, sipuò criticare quanto si vuole le forze checompongono la Sinistra Arcobaleno, affer-mare – come abbiamo sostenuto – che l’o-perazione doveva essere fatta prima delleelezioni del 2006, discutere fino all’estenua-mento su come sono state fatte le liste, sul-l’inadeguatezza dei gruppi dirigenti, persinosulla loro impresentabilità, ma non si puònon prendere atto che questo è l’unico argi-ne verso una chiusura autoritaria, voluta siadal Pdl che dal Pd, della crisi politico istitu-zionale. Certo è che si tratta solo di unpunto di partenza. Occorre che la lista sitrasformi in partito. Se il tutto si risolve conun drappello di deputati e senatori in parla-mento, ma il giorno dopo si riaprono con-flitti e scontri e si va verso nuove autonomiee divisioni, semmai motivate sulla presenzao meno di falci e martello, allora la partita ècomunque giocata ed ha molte possibilitàdi passare una idea americaneggiante deirapporti politici e sociali. Ma c’è di più: sela nuova forza – ammesso che riesca anascere – non dimostra di essere fuori dalle“regole” partitocratriche, non da un’idea dirigore, di sobrietà, di coerenza tra ciò chedice e ciò che fa, di fedeltà al suo corpoelettorale di riferimento, di essere insommaun partito del lavoro e per il lavoro, allora ilgioco durerà forse un po’ di più, ma è desti-nato a chiudersi con esiti ugualmente falli-mentari. Abbiamo in mente quanto avvienenella nostra regione e nelle nostre ammini-strazioni locali, l’afasia della sinistra, il suoaccodamento e a volte lo scodinzolamentosubalterno, l’incapacità di leggere ed affron-tare i problemi, riscattato solo da qualcheepisodica ondata estremista, destinata arientrare rapidamente. Insomma si tratta diriprendere un cammino con la consapevo-lezza che molte delle strade finora percorseerano sbagliate e che il futuro presupponeuna rottura più che una continuità con unpassato francamente tutt’altro che entusia-smante.

Non basta una listaci vuole un partito

Renato Covino

3 inter vent imar zo 2008

Totale al 22 febbraio 2008: 1315 Euro

Renato Covino 300 Euro; Francesco Mandarini 200 euro

Totale al 22 marzo 2008: 1815 Euro

15.000 Euro per micropolis

C

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icropolis ha offerto le sue paginecon un intervento redazionale(Dalle primarie alla ‘cosa rossa’ -

n. 10, novembre 2007) per una discussio-ne nella sinistra. Eravamo in presenza delgoverno Prodi, anche se in pre-crisi, con-sapevoli della situazione difficile in cuic’era il rischio di un attacco volto a farsparire una sinistra vera e propria. Fino ache punto questo rischio è reale?

Il rischio è reale anche se dagli indicatoriche abbiamo sembra che la SinistraArcobaleno stia recuperando pur con iritardi nell’avvio della campagna elettoralee l’impossibilità di coinvolgere nella sceltadelle candidature il popolo vasto della sini-stra. E’evidente che non è sufficiente unapolitica e quattro partiti, non funziona. E’utile per adesso, per partire, ma bisognacostruire una nuova soggettività politica eper fare questo è necessario che ci sia unrisultato elettorale buono perchè sullesconfitte è difficile costruire e in queste ele-zioni, o meglio a partire da esse, è in gioconon solo il destino della sinistra ma larimessa alla discussione di un’idea disocietà. Si tratta di rilanciare un’idea fortenel momento in cui c’è un’ideologia - altroche fine delle ideologie! -, quella della glo-balizzazione e della precarizzazione che èun’ideologia e pervasiva come mai neabbiamo conosciute.

I risultati elettorali sono importanti. Nonsappiamo se serviranno a contrastare poli-tiche di destra e/o di centro sinistra“moderno”. Quali sono le condizioni per-chè questo serva? Il raggruppamento chesi è creato in che misura risponde alleistanze politiche generali o è solo un fattoelettorale e, dopo le elezioni, si tornerà dacapo perchè troppo diversi i partecipanti?

Io penso che c’è un drammatico problemadei gruppi dirigenti in generale e della sini-stra in particolare. Parliamo di noi: la sele-zione dei gruppi dirigenti avviene in unmodo ristretto, dentro una oligarchia. C’èun problema che riguarda le forme-partito.Ho militato in un partito per tutta la vita epenso che non c’è una risposta più alta, piùimportante di quella delle modalità dicostruire, dell’organizzare collettivamentela presenza politica. Il punto è che questipartiti non rispondono più né ad un’idea disocietà né ad un’idea di democrazia.Riproducono semplicemente i loro gruppidirigenti. Li riproducono su una scala bassaperché non c’è o non vedo – faccio l’esem-pio della nostra regione – un’altra propostané un’altra idea dei rapporti fra politica epoteri che non sia quella dominante degliantichi o dei nuovi gruppi dirigenti del Pd.Parlo dell’Umbria perché ha sempre avuto

una sua vivacità, una dose di ereticità. Lacosa che vedo con più preoccupazione èche nella stessa società non nasce niente, eancora più drammatica è l’assenza delleorganizzazioni sindacali. Lasciamo perderediscorsi su aspetti che ci hanno visto in dis-senso, penso ad esempio al “Patto per losviluppo”. Parliamo di fatti più generali: ilgoverno Prodi ha fatto alcuni passi signifi-cativi. Pensiamo solo alla risposta che hadato a trecentocinquantamila precari dellascuola e della pubblica amministrazione,alla diminuzione dell’Ici, alla riduzionedell’Iva sulle tariffe del gas; tutte cose dellequali pochi si sono accorti (anche se comenel caso dei precari c’era spazio per lavoraresu una base di massa di decine di migliaiadi persone). Ma il punto vero è che nono-stante le cose positive in pochi se ne sonoaccorti perchè sui grumi di potere significa-tivi non si è intervenuti. Pensate alla vicen-da delle pensioni che si riferiva ad una con-dizione sociale importante; c’è stata unaconcertazione tra governo e forze sociali

che ha penalizzato fortemente un’aspettati-va in particolare del lavoro direttamente inproduzione, con una sinistra sindacale chesubito dopo si è schierata con Veltroni. Aparte la collocazione politica, in termini dirivendicazioni e di capacità di progettopolitico, a me pare di vedere poco e niente.Anzi, a livello locale, il sindacato mi sem-bra abbastanza subordinato agli assetti dipotere del governo della Regione. Siamo inpresenza di una mancanza di autonomia.Noi siamo stati abituati ad organizzazionisindacali che avevano rapporti profondicon i partiti politici, ma qui non siamoall’autonomia dal partito ma parliamo diautonomia dal governo e dal suo processodecisionale, e questo, dal punto di vistadelle condizioni materiali della nostragente non conduce a risultati importanti,di avanzamento. Questa mi pare la grandequestione proprio per l’Umbria. Per la suastoria, per la sua condizione e capacità laSinistra Arcobaleno non può essere un car-tello elettorale. Ovviamente la sopravviven-

za è una grande molla che fa mettere insie-me, è importante anche una battaglia ditestimonianza, ma non è questo il punto. Ilpunto, invece, è se si riparte a ricostruireun’idea della società, una modalità diversadi far politica e organizzazione politica.

Per fare un’operazione minima occorrepensare a tre cose: programma, profilopolitico, formule organizzative. Per quan-to riguarda, ad esempio, il programma,quello elettorale non è un programmapolitico di fase; è solo una parte, alcunipunti. Ci sono nodi da sciogliere: si fapresto a dire non vogliamo il Ponte sulloStretto ma vogliamo altre infrastrutture...Però questo è solo un programma didomani e del dopodomani. Il programmapolitico dovrebbe essere un programma difase che deve prima di tutto riflettere sullecaratteristiche di questa stessa fase: è diresistenza? o di ripresa e di attacco? Unafase in cui la sinistra si propone di andareo restare nell’area di governo? Anche leformule organizzative e il profilo politicovariano a seconda della fase. Questo Paeseper molti anni sarà in difficoltà. Per esem-pio, non si dice parola sulla questione deldebito pubblico. Su questo tema sia chevinca Berlusconi o che vinca Veltroni, laSinistra Arcobaleno non può non direnulla. La questione del debito pubblicorichiede, secondo alcuni, un patto sociale,quello classico che si potrebbe portare die-tro operazioni pesanti sulle pensioni, sulloStatuto dei diritti dei lavoratori ecc.. Cosarisponde la sinistra? Non è questione chesi può mettere da una parte; si può esserecontro ma non comportarsi come se ilproblema non ci riguarda: “... tanto nongoverneremo... non ce ne occupiamo”.No, ce ne dobbiamo occupare anche senon governeremo. Anche questo significaparlare di programma di fase.Ci sono poi le formule organizzative chenon significano solo come si riproduconoi gruppi dirigenti che, tutto sommato lofanno per cooptazione; però se si riprodu-cono così in una fase in cui una sinistra siricostruisce e consolida è un conto, sesiamo alla frantumazione è un’altra cosa,forse un disastro. Ancora, la questionedelle liste ha prodotto difficoltà?

E’ evidente che ci sono differenze tra i par-titi della Sinistra Arcobaleno. Credo, peròche o si trova dentro questa sinistra la capa-cità di ragionare in avanti o si riduce iltutto a gazebo elettorale e finite le elezioniognuno tornerà alle vicende sue di partito.Faremo un gruppo comune alla Camera, alSenato; questo di per se non è sufficiente senon si investe la società in questa ricerca ericostruzione della sinistra. Non è vero chei gruppi dirigenti si formano sempre alla

4p o l i t i c amar zo 2008

Forum della redazione di “micropolis” con Stefano Zuccherini

L’Arcobalenoprima e dopo

M

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stessa maniera. Si sono formati per coopta-zione da Lenin in poi ma si sono formatinel vivo di movimenti e conflitti di pezzireali della società. Quando tutto questonon c’è siamo nella pura riproduzione delceto politico, e questo è il punto grave.Ovviamente, i partiti non hanno una capa-cità di autoriforma ma si riformano insie-me alla società e nella società. Per questoritengo che la discussione nella SinistraArcobaleno, su un nuovo soggetto politicodeve essere fatta sui grandi temi, dentro laglobalizzazione partendo dal fatto che larisposta dei grandi partiti su questi temi èsimile, molto simile. So bene che la SinistraArcobaleno ha la necessità di un risultatoelettorale positivo e che, nello stessotempo, si candida all’opposizione e io miauguro di fare l’opposizione al PartitoDemocratico proprio perchè penso che laricostruzione della sinistra debba ancheinvestire le forze che sono dentro questopartito e che si richiamano alla sinistra, cheguardano con attenzione alla mancanza difuturo delle nuove generazioni, all’aliena-zione che produce questa società.Sulla questione delle liste Rifondazione hafatto un’intesa con le altre forze e comesempre o spesso chi è più grande paga unprezzo più forte. Se vuoi iniziare un proces-so non puoi dire: “io sono il più forte, l’e-gemonia è la mia”. Si trattava di garantireindipendentemente dal sistema elettorale lasopravvivenza dei gruppi dirigenti deiquattro raggruppamenti.. Il fatto che sitratti di liste bloccate ha impedito che siscatenassero problemi collegabili al votocon le preferenze. Devo dire, fra l’altro cheio sono radicalmente contrario al sistemadelle preferenze. In nessuna parte d’Europasi vota con le preferenze. Se tenti di spiega-re ai partiti europei che voti un simbolo emetti un nome ti guardano come unmatto, non riescono a capire come possafunzionare qualcosa di diverso dai collegiuninominali del tipo di quelli delle nostreprovince.

Tu prima parlavi del livello locale in gene-rale e dei problemi che si pongono inUmbria in maniera più rilevante dati irapporti di forza. Come si gestirà il rap-porto fra la Sinistra Arcobaleno e ilPartito Democratico soprattutto se questosarà, come anche voi auspicate, al gover-no. E’difficile pensare di continuare inuna situazione schizofrenica nella quale lepolitiche locali sono gestite in manierapiatta e poi sembrerebbe che quello checonta di più è l’opposizione alle grandipolitiche. Questo snatura il rapporto conla gente che, prima di tutto, vede vicino acasa propria, le grandi politiche le vededopo.

Penso che la Sinistra Arcobaleno debbariposizionarsi rispetto alla realtàdell’Umbria, dovrebbe forse indagarlameglio, credo che ci sia una scarsa cono-scenza della realtà della regione. Faccio unesempio che pregherei di pubblicare. Per

vicende personali ho frequentato per seimesi l’ospedale di Perugia e quello di Terni.Ho trovato personale meraviglioso, capace,al limite dell’abnegazione pur tenendoconto delle disarticolazioni organizzativeche ha l’ospedale di Perugia. Sono andato afare la radioterapia a Terni, mi era piùcomodo essendo a Roma. Poi mi sonoincuriosito del perché mi hanno mandato aTerni. Ho indagato, ho cercato di capirequello che succede. Se possono ti mandanoa Terni o a Città di Castello in quanto laradioterapia di Perugia è al disastro perchèla Regione dell’Umbria pur essendo quelloun primariato ospedaliero non fa il concor-so per il primario perchè c’è una universi-taria che fa le funzioni da primario... Ilpunto è che la politica in Umbria è spessosubalterna ai gruppi di potere reali,all’Università, alla Confindustria che è rap-presentata in massa dai costruttori comenemmeno lo era negli anni Cinquanta. Leforze della Sinistra Arcobaleno sono moltoimpegnate – ovviamente i partiti fannoanche questo – su riorganizzazione e plura-lità della rappresentanza nei luoghi e sullequestioni che la politica decide, manager,strutture ed istituzioni, ecc. ma sono asso-lutamente silenti - impegnate nella meragestione - rispetto ad una prospettiva dicambiamento. E’ questa la questione difondo che impedisce di costruire un pro-getto di società. E’una questione che ha deldrammatico parlando politicamente.

Il dibattito sulla questione della casta si èun po’ fermato, giustamente, perchè den-tro c’era anche qualunquismo. Però, nonc’è dubbio che uno degli ostacoli per ilreinsediamento sociale della sinistra è l’e-mergere anche nella Sinistra Arcobalenodi un ceto politico separato e in una qual-che misura autoreferenziale che non sipone come servizio alla società e ai movi-menti ma, semmai, offre i suoi prodotti almercato politico. Secondo te una nuovaforza della sinistra che contributo puòdare al superamento della crisi della poli-tica che non è solo questione dei costi?

Io penso che la crisi della politica vadaaffrontata nella realtà della società. Faccioun esempio: io sono entrato in Senato conuna certa soggezione sul punto più altodove fai le leggi e dove rappresenti lasocietà e dopo aver sentito parlare mi sonoreso conto della pochezza, della ignoranzadi quelle classi dirigenti. Il punto è se, nelleistituzioni, entra la realtà della società;quello che accade lì con la vita reale c’entrapoco o niente; anzi quelle azioni spessopeggiorano le condizioni della vita reale:ovviamente vale per tutti e, quindi, suonacome autocritica. Per due anni abbiamosostenuto il governo anche in periodimolto difficili, penso alla vicenda dellepensioni... La politica avrebbe dovuto esse-re più presente invece abbiamo delegatoalle forze sociali e all’accordo fra queste.Anche la vicenda della legislazione e degliinterventi sulla sicurezza sul lavoro con il

pesante ricatto di Confindustria è significa-tiva. Infine, lo stesso si può dire su tutta laquestione della revisione delle politiche dicontrattazione, cioè se avremo o no un’ideadi eguaglianza nel Paese legata alla contrat-tazione nazionale. Non è una questione dapoco e che può riguardare solo le forzesociali ma deve investire la politica. E ilmodo come intervieni è fondamentale. Equi stanno le questioni di programma.Dire no al Ponte sullo Stretto è emblemati-co non solo se si pensa a cosa significa intermini di rapporti di potere locali, alle“famiglie” proprietarie delle aree e così via.Al di là del fascino che anch’io subisco daun’opera come quella, il punto è che cosìcome è non serve a niente. Da Messina peraltre parti della Sicilia ci voglio sette ore, daReggio Calabria a Roma sette ore. E’ un’in-frastruttura assolutamente inutile come lo èl’investimento massiccio sull’alta velocità;Fiat e Della Valle propongono quarantacin-que loro treni privati penalizzando un siste-ma dei trasporti in un Paese attraversatodagli Appennini. Senza contare situazionicome quelle dei trasporti ferroviari in zonecome l’Umbria o le ferrovie Nord Milanoche servono a capire come e perchè profon-damente la Lega si inserisce.E’ questo il terreno per una risposta di con-tenuto, di programma, di prospettiva. Poi,è evidente che, rispetto alle questionigigantesche che voi sollevavate, come quel-la del debito pubblico, non si può stareimmobili, anche se il governo Prodi ha esa-gerato rispetto alle stesse richiestedell’Unione Europea. In ogni caso la que-stione del debito pubblico va posta tenen-do conto che in questo Paese c’è uno spazioimmenso: il dieci per cento delle famiglieha il quaranta per cento delle risorse.Inoltre bisogna pensare anche ad un’altraidea di modello di sviluppo. Si parla dirilancio della crescita ma si può continuarea pensare ad una semplice crescita quanti-tativa, che riproduce il modello esistente?Si parla ancora come ricetta di dismissioni.Vorrei dire che tutti i Paesi europei hannopunti strategici che sono in mano pubblica.Noi abbiamo venduto la siderurgia, la chi-mica, il settore aereospaziale, e così via.Abbiamo un esempio: la TyssenKrupp hacomprato la “Terni” per poterla chiudereed eliminare un concorrente, poi si è accor-ta che la qualità, la produttività erano cosìinteressanti e che in un anno ha preso piùsoldi di quanto l’ha pagata. Ma la cosagrave che accade a Terni, e che vorreidenunciare, è che le linee di lavorazioneesistenti vivono gli stessi rischi di quelle diTorino. Quello che è capitato a Torino puòaccadere a Terni perchè non ci sono sensoriper i fumi, sistemi validi di spegnimentiper gli incendi e così via. E mi rivolgo alleorganizzazioni sindacali perchè sostenganole questioni della sicurezza come hannofatto per tutta l’Umbria; che facciano que-sto anche alla Tyssen di Terni dove i rischisono veri e reali. Voi mi dite che si stacominciando ad andare in questa direzione(cfr. Stefano De Cenzo, Maurizio Mori,

Cultura operaia, sicurezza e salute nei luoghidi lavoro, “micropolis”, n. 2, febbraio 2008,Ndr). Me lo auguro ma mantenere atten-zione, vigilanza si sarebbe detto un tempo,non è inutile.Questi sono i problemi che ti consentonodi radicarti nella società. I programmi,come diceva qualcuno sono bandierinepiantate sulla testa della gente e cioè hannoun senso se parlano della tua condizione divita e del suo miglioramento ed anche diun’idea di progresso collettivo, di emanci-pazione. E’ evidente che, in questo senso ilnostro programma non risponde all’ideadelle bandierine, perché manca ancoraradicamento sociale e attenzione allealleanze. Penso, ad esempio ad un punto sucui siamo debolissimi. Non parliamo a pic-coli imprenditori, ad artigiani, che vivonodel loro lavoro esattamente come i lavora-tori dipendenti.

Sembra evidente la carenza sul program-ma con la P maiuscola. Ad esempio tu haicitato due cose per l’Umbria, anche se ildiscorso vale in generale: le ferrovie sullequali c’è un silenzio assoluto da anni e lasanità su cui anche Rifondazione è statacomplice su terreni di bottega, parteci-pando alla lottizzazione delle direzionigenerali; questo vale anche per l’univer-sità. Si tratta di terreni in cui le forze disinistra sono subalterne, quasi conniventi.

Non direi conniventi o subalterne, ancorapeggio non leggono la realtà, i messaggidall’economia e dalla società sono molte-plici. Se non li sai leggere manchi ad untuo compito. Il punto non è quello di ragionare sugliassetti, cosa che un partito è anche obbliga-to a fare. Il punto è se vuoi costruire quegliassetti e hai un’idea del perché, in qualemodo.

Ultima cosa, come e fino a che puntosono rilevanti le appartenenze internazio-nali come elemento frenante?

Io penso che le differenti appartenenze agruppi (Sinistra Europea, Partito SocialistaEuropeo ecc.) siano state un punto didiscussione e anche di freno. Ovviamentein questa discussione si è cercato di nonfarle pesare, ma è evidente che nel 2009,con le elezioni europee saranno un puntodi discussione politica rilevante: l’Europa elo spazio politico europeo sono punti cen-trali . I problemi attraversano tuttal’Europa, la scomposizione e la ricomposi-zione delle forze di sinistra avviene in tuttaEuropa e quindi la discussione andrà por-tata a quel livello.

Per la redazione di “micropolis” hanno parte-cipato Salvatore Lo Leggio, Maurizio Mori,Enrico Mantovani.

5p o l i t i c amar zo 2008

LucianoCostantini

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6ambiente-mar zo 2008

delle scorse settimane l’avvio ufficia-le della Vas (valutazione ambientalestrategica) per il nuovo Piano

Regionale della Gestione dei Rifiuti. Unprocesso di valutazione che vede coinvoltinel percorso di pianificazione e program-mazione oltre alla Regione, titolare delPiano dei rifiuti, tutti i soggetti competentiin materia ambientale (Province, Arpa, EntiLocali, ecc) e i portatori di interesse genera-le come le associazioni ambientaliste e deiconsumatori. E’ la prima volta che laRegione Umbria si cimenta con un’espe-rienza del genere che negli obiettivi dovreb-be vedere coinvolta tutta la comunità localenel processo di costruzione di una nuova epiù efficace pianificazione del ciclo deirifiuti che valuti le conseguenze sulla qualitàambientale (la salute umana, la salubritàdell’ambiente, l’impatto sugli ecosistemi,ecc) delle azioni proposte. Con il D. Lgs152/06 (norme in materia ambientale) e lesuccessive modifiche, vengono definite det-tagliatamente tutte le fasi del percorso dellaVas dall’elaborazione del rapporto ambien-tale – il documento che definisce gli obiet-tivi del piano e la loro coerenza, che analiz-za le ricadute ambientali e permette dimonitorare i risultati – allo svolgimentodella partecipazione, con la messa a disposi-zione dei cittadini dei documenti, delleosservazioni da parte degli enti ambientalicompetenti, ma anche delle associazioni edei singoli cittadini. Sarà l’occasione perquesta regione di dimostrare se è in gradodi recuperare non solo i ritardi e l’ineffi-cienza della gestione dei rifiuti maturati inquesti anni, ma soprattutto se intendeimpegnarsi nella definizione di un modellodi sviluppo ecosostenibile, cominciando aguidare e coordinare i processi industriali,disincentivando nettamente la produzionedi rifiuti e a promuovere percorsi di parteci-pazione democratica di tutta la comunità.Fondamentale sarà anche sciogliere queinodi che rendono critica la situazione attua-le e che Legambiente porterà alla discussio-

ne del tavolo della Vas e che insieme aMente Glocale sta raccogliendo in un“Libro Bianco dei rifiuti in Umbria”. DalRapporto Rifiuti 2007 dell’Agenzia per laProtezione dell’Ambiente e per i ServiziTecnici e dai dati dell’OsservatorioNazionale sui Rifiuti emerge che l’Umbria èindietro nel processo di riconversione ditutti i sistemi di raccolta, differenziazione,trattamento, riciclaggio, recupero, riuso. Daquesti rapporti vengono evidenziate alcunecaratteristiche strutturali del Sistema RifiutiUmbro che chiedono verifiche e correzioni,soprattutto in vista della definizione di unanuova programmazione. Infatti, risultaoltremodo difficoltosa la raccolta dei dati edelle informazioni sull’andamento del servi-zio e sull’intero processo industriale: l’Apatstessa (ed appositamente per l’Umbria) hadichiarato la propria difficoltà a reperire idati del 2006 dagli enti preposti a fornirli esi è dovuto ricorrere al confronto e alla revi-sione con gli anni precedenti. I dati dichia-rati dalla Regione Umbria su produzione eraccolta differenziata dei rifiuti sono, infat-ti, diversi da quelli dell’Apat. Anzituttoindicano una produzione totale di rifiutiinferiore di quasi 30 mila tonnellate a quel-la indicata dal rapporto e una percentualedi raccolta differenziata regionale del 29%diversa da quella indicata dall’Apat che èdel 24,5%. A specifica richiesta di chiari-mento in merito a questa difformità tra idati ufficiali dell’Apat e quelli dellaRegione, questa ha obiettato che nei propridati vi è il dato di popolazione realmentepresente e non solo quella residente comeinvece per i dati elaborati dall’Apat. Rimaneperò il dubbio sul dato di produzione tota-le. Avvolto in questa opacità il sistema dimisurazione delle quantità di rifiuti solidiurbani differenziati dalle utenze domesticheè ulteriormente confuso dalla possibilità deiComuni di assimilare gli scarti delle lavora-zioni industriali. Comunque, secondo il piùrecente rapporto dell’Apat sulla produzionedi rifiuti urbani, nella nostra regione si sono

prodotti nel 2006 circa 577.000 tonnellatedi rifiuti, per un dato pro-capite di 661kg/abitante per anno. Rispetto ai dati del1996 siamo quasi al doppio e ciò avvieneoltre che per il trend mai arrestato di cresci-ta della produzione dei rifiuti, anche per undifferente e controverso sistema di calcolointrodotto nel 2004 che consente il conteg-gio negli RSU anche dei cosiddetti “RifiutiUrbani Assimilati”, ovvero rifiuti di originecommerciale edindustriale che igestori comunalidichiarano con-soni al tratta-mento dei rifiutiurbani.Occorre consi-derare che talirifiuti assimilatirisultano anchedifferenziati inquanto raccoltialla fonte cometali e pertantoincidono note-volmente sullepercentuali diraccolta differen-ziata.La produzionedei rifiuti risultaessere in crescitanegli ultimi annima il trend delCentro Italia è ilpiù elevato delPaese. Infatti, lamedia umbra diproduzione procapite è abba-stanza alta speciese rapportata alProdotto Inter-no Lordo della regione, ma è evidente comenell’ultimo anno a un miglioramento nellaprovincia di Terni in termini di minore pro-duzione, si sia associato un netto peggiora-mento di quella di Perugia. I dati sulla rac-colta differenziata sono in aumento marisultano ancora inferiori agli obiettivi dilegge e molto disomogenei tanto da farregistrare intere aree come la Valnerina,dove la raccolta differenziata non vieneeffettuata. Dato incoraggiante invece è checi sono anche in Umbria comuni “ricicloni”come Sigillo, Sangemini, Assisi, Attiglianoche riescono a raggiungere quote importan-ti di raccolta differenziata dal 41 al 53%. Idati attuali del ciclo dei rifiuti in Umbriasono lontani dagli obiettivi previsti dalDecreto Ronchi come pure dagli obiettividel Piano Regionale tuttora in vigore.Va evidenziato come la permanenza di unavisione tutta “impiantistica” del sistema hafavorito le strategie industriali ed economi-

che delle aziende concessionarie del servizioche risultano vantaggiose solo lungo la cate-na raccolta-trasporto-separazione/compo-staggio a valle della raccolta differenziata-trasporto-collocazione in discarica a disca-pito, quindi, di un ciclo più virtuoso chepuntasse soprattutto su riduzione dei rifiutie raccolta differenziata. Riduzione dei rifiu-ti e raccolta differenziata sono previsti nelpiano e con obiettivi ambiziosi ma nonsono mai stati veramente considerati priori-tari e gli obiettivi non sono stati raggiunti.Il ricorso alla discarica è ancora la soluzionepredominante nel ciclo dei rifiuti umbro,senza alternative credibili in termini diquantità di quasi tutta la frazione organica.Una vera e propria “catastrofe” ambientale eterritoriale derivante dallo scarso investi-mento nel recupero della frazione organicaa monte della raccolta differenziata che per-metterebbe la produzione del compost diqualità che potrebbe essere largamenteimpiegato in agricoltura. La nostra regionepaga anche il fatto che non esiste e non èstata nemmeno incentivata la filiera indu-striale del recupero delle materie seconde,che oltre a “chiudere il cerchio” favoriscesviluppo e opportunità di lavoro. Ma èsoprattutto riciclare e recuperare carta e car-tone, vetro, plastica, alluminio, ecc. checonsente un grande risparmio di materiaprima, energia e ambiente. In Umbria sol-tanto quattro comuni (Perugia, Foligno,

Terni e Narni)hanno compiutola trasformazionedella tassa per laraccolta in “tarif-fa” che non hanulla a che vede-re con quella“puntuale” chepermette ai citta-dini di pagare inbase alla realeproduzione dirifiuti che nonraccolgono inmaniera differen-ziata, introdu-cendo elementidi incentivazionee disincentivazio-ne che diventanofondamentali peruna raccolta dif-ferenziata davve-ro spinta chepossa ambire apercentuali soprail 50%. Le tariffeattivate fino adora sono invecesemplici trasposi-zioni che usanogli stessi parame-tri di calcolo

della Tarsu (la vecchia tassa per lo smalti-mento dei rifiuti solidi urbani). Una vera epropria beffa che si fa ancora più evidentese si analizzano le cifre annue pagate da cia-scuna utenza umbra confrontate con quelledei cittadini dei territori più riciclonid’Italia. Perugia ad esempio è tra le città incui la tassa sui rifiuti costa di più, con unacifra annua di 249,16 euro contro i 141,00euro pagato dai residenti della Provincia diTreviso dove è operativo il Consorzio Priulache raggiunge il 77,59% di raccolta diffe-renziata. La tariffa degli abitanti serviti dalConsorzio Priula è calcolata per una quotafissa uguale a tutte le famiglie e la restanteparte variabile, determinata in base alnumero di svuotamenti del contenitore delrifiuto secco non riciclabile.Alcune volte basterebbe copiare bene!

* Presidente Legambiente Umbria

Umbria, il nuovo piano regionale dei rifiuti

Sostenibilitàe partecipazione

Alessandra Paciotto*

È

Segno Critico

Per una scelta di parteUna politica che non cancelli il conflittodi classeinterviene

Loris Campetti de “il manifesto”

Luned� 7 aprile 2008 - ore 17,30

micropolis

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7 memoriamar zo 2008

egli ultimi anni, in forma diversa,hanno dettato le loro memoriealcuni dei dirigenti dell’ex Pci della

generazione che ha iniziato la propria atti-vità politica negli anni del fascismo decli-nante. Ha cominciato con un libro di ricor-di Raffaele Rossi, ha proseguito con un’in-tervista Francesco Innamorati ed ora è usci-to questo libro di Ilvano Rasimeli, Un rom-piscatole tra le novità di un’epoca edito daBenucci a fine 2007. E’ il caso di domandarsi perché una genera-zione che ormai ha superato gli ottant’annisenta la necessità di riflettere sulla propriastoria individuale e collettiva, offrendo aipiù giovani materiali e riflessioni sul passatoe il presente. Il motivo è complesso. Non sitratta solo - malgrado le propensioni politi-che che nel presente ciascuno di loro hamaturato - della consapevolezza di aver vis-suto una storia per molti aspetti ecceziona-le, in un grande movimento che compren-deva la stragrande maggioranza degli sfrut-tati del nostro Paese e che rappresentavaun’ansia secolare di riscatto, ma anche delfatto che questa storia oggi non parla più aipiù giovani, è per molti spetti conclusa eimproponibile. Questa consapevolezzasuscita per un verso nostalgia e ribellione,dall’altro la paura dell’insignificanza delproprio passato e della propria memoria.Ricordare rappresenta un modo di conti-nuare a battersi, una risposta allo stato dicose presente, spesso e volentieri non certomigliore del passato. Nasce da ciò la volontàdi usare la memoria come un’arma. E’ lostesso motivo per cui hanno scritto neglianni Settanta molti antifascisti e partigiani,in un momento in cui un’epopea eroica sitrasformava in occasione retorica e rituale. E, tuttavia, ogni protagonista ha la sua sen-sibilità e la sua storia. Quella di Rasimelli èdiversa da quella degli altri protagonisti. E’la vicenda di un uomo che, nonostante lafedeltà al partito cui aderiva, non ha man-cato di difendere ed esprimere le proprieidee, giuste o sbagliate che fossero, in unequilibrio di coerenze che tenevano conto sìdella fedeltà all’organizzazione, ma anchedel diritto e del dovere di essere fedele a séstesso. Quando questo equilibrio si è rottosi sono rotti anche i legami organizzativi.Come scrive in una lettera agli organismidirigenti del Pds dopo il congresso diRimini “con grande rammarico vi comuni-co la mia decisione di non aderire al Pds enemmeno di aderire a RifondazioneComunista per un complesso di motivazio-ni culturali e politiche che chi mi conoscepotrà facilmente immaginare. Sono ancoraconvinto che, come diceva Luigi Longo nel1968, non può esserci socialismo senzademocrazia, ma nemmeno democraziasenza socialismo”.Ciò ne fa una figura eccentrica nel comuni-smo umbro, una sorta di eterno outsider

sospeso tra politica, attività amministrativa,curiosità culturale e professione. Un uomoche entra ed esce in incarichi pubblici, tor-nando periodicamente al suo lavoro ed aisuoi interessi. Ne viene fuori una figura distraordinaria indipendenza, che non sipreoccupa di protestare pubblicamente inoccasione dell’invasione russa dellaCecoslovacchia, senza attendere le delibera-zioni ufficiali del partito, di prendere posi-zioni controcorrente e impopolari, comequelle in difesa del nucleare, ecc.Ma dal libro emergono anche altre cose.Viene fuori una Perugia che non c’è più:quella delle botteghe artigiane, dei magaz-zini commerciali, delle solidarietà diffuse,degli intellettuali nutriti di una cultura e diun contatto con i ceti popolari. La Perugiadi Rasimelli fa da pendant a quella descrittada Aldo Capitini e Walter Binni nelle loromemorie. Raffaele Rossi parla della sua attività diamministratore come di una sorta di rifor-mismo ante litteram, vero animus del Pci,che spiegherebbe improbabili continuità trapassato e presente. Non è proprio così. Citrova più d’accordo quello che scriveLanfranco Mencaroni quando parla di “unsocialismo non realizzato sulla indicazioneleninista di soviet più elettricità. La vitapolitica di Ilvano è stata dedicata a suscitarepartecipazione di tutti e dal basso allagestione fraterna e collettiva del potereinsieme allo stimolo disinteressato al pro-gresso scientifico, tecnologico e sociale ingrado di diminuire quanto più possibile lesofferenze di un’umanità condannata allafatica, al dolore alla morte”. A ben vedereuna cosa ben lontana dal riformismo del-l’attuale Pd e che trae ragione da una storiapersonale e politica e che costruisce un rap-porto speciale tra politica e professione. “Ilmio mestiere di ingegnere è nato nelle bot-teghe artigiane, nelle officine, tra i murato-ri, tra gli ortolani e i contadini. Messaggi,stimoli, culture, modo di vedere le cose sisono certamente formati osservando concuriosità il loro rapporto con la materia, ilpiacere di trasformarla. Da loro ho appresoil modo di vedere le cose, le case, le città, lacampagna”. E’ un’educazione professionale e sentimen-tale diversa da quella di coloro che oggi sioccupano di politica, dietro cui c’è una ten-sione morale e civile pressoché introvabile,che ha accompagnato l’Umbria dall’ arretra-tezza ad una modernità, che oggi si vorreb-be far regredire a modernizzazione senzaqualità, dove dovrebbe trionfare l’asetticofunzionamento degli apparati in nome diuna idea astratta e mostruosa di governabi-lità. Anche per questo il libro di Rasimellimerita di essere letto con rispetto ed atten-zione, come la storia non tanto di un rom-piscatole, ma di un uomo e un politico con-trocorrente.

N

Sovietpiù elettricità

Renato Covino

La rimpatriataMaurizio Mori

stata la sua gran giornata, sabato 23 febbraio alla Sala della Vaccara diPalazzo Comunale a Perugia, una sala zeppa di gente – e anche di compagni– venuta a salutare Ilvano Rasimelli in occasione della presentazione del suo

libro. Anziani, di mezza età, non mancavano giovani, vecchie figure di militanti antifa-scisti e dell’ormai antico Pci, quadri di partito e politico-amministrativi, parlamentari;e naturalmente quanto ancora rimane di quella – invasiva – “tribù Rasimelli” a suotempo fucina preziosa di antifascismo e poi di (sano?) settarismo, che ha attraversa-to decenni di storia perugina fino a far dire, simpaticamente, che fosse parte del“panorama” della città. Una rimpatriata, insomma.Erano stati chiamati a presentare il volume Tullio Seppilli e i tre, FrancescoInnamorati, Lanfranco Mencaroni, Raffaele Rossi, che già in epoca clandestina com-ponevano con Rasimelli il direttivo locale del Mgc, Movimento giovanile comunista,che poi prenderà il nome di Fgci, Federazione giovanile comunista italiana (attentoproto! non Figc, Federazione italiana gioco calcio, Ghirelli è ancora da venire). Chi hasottolineato, sia pure con diversi accenti, l’essere ancora oggi comunista, chi hamenato il can per l’aia facendo pensare col senno del poi a un Veltroni ante-litteram(e qui non vuole essere un complimento), chi ha tentato l’escamotage di trovare unacontinuità tra il vecchio partito togliattiano e l’attuale deriva moderata del Pd. Lacosa ci ha lasciato lì per lì sbigottiti, poi ripensandoci ci ha intrigato: che avesseragione? La sala, più o meno tutta, ha applaudito tutti gli interventi. Qualcosa non funzionava.A occhio e croce parecchi dei presenti avevano già trasmigrato armi e bagagli nellefila del Pd, o ne erano comunque aficionados. Una rimpatriata, ma di reduci dalla cat-tiva coscienza, di quelli che Rossana Rossanda ha descritto come “gli italiani demo-cratici e già benevolmente progressisti”. Ilvano, l’Ilvano fiero e orgoglioso che cono-sciamo, quegli applausi ambigui e culturalmente opportunisti non se li meritava, eneanche il suo bel volume.

È

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ier Luigi Neri ha voluto celebrare ilsuo rapporto quarantennale con lapolitica con un libretto “rosso” dal

titolo significativo Rosso un fior…, l’attaccodel primo verso italiano dell’Internazionale.Molti della generazione di Neri sono ormaisull’orlo dei quarant’anni di presenza nelmovimento operaio, le storie dei singoli sonointrecciate, ma spesso diverse. Per alcunil’incontro con la politica è stato ilSessantotto, un momento topico nell’educa-zione politico-sentimentale di chi oggi veleg-gia verso i sessant’anni. Per altri, ed è il casodi Neri, la politica ha coinciso con l’attivitàpolitico amministrativa svolta nelle sedi dipartito e nelle aule delle assemblee elettive.Spesso si è trattato di un caso: nel 1966 l’au-tore aveva concluso i suoi studi ed era torna-to a Gubbio dove aveva cominciato ad inse-gnare all’Istituto tecnico commerciale. Ed èda lì, in una fase in cui iniziava anche inUmbria l’eclisse del centro sinistra, che partela storia che l’autore racconta. E’ una vicendain cui la crisi del vecchio Pci appare evidente.E’ una crisi di gruppi dirigenti e di prospetti-va, ma anche degli apparati culturali che ave-vano guidato il partito negli anni successivial dopoguerra. Crisi significativa in una cittàdove il peso elettorale dei comunisti era ed èparticolarmente forte e ad essa si cercò dirispondere nel 1967, dopo lo scioglimentodel Consiglio Comunale a causa della cadutadella giunta Psi-Pci avvenuta sul nuovoPiano regolatore, con un rinnovamentogenerazionale e con una forte attenzione e

un particolare impegno del gruppo dirigenteprovinciale.Viene mandato a guidare la campagna elet-torale per le comunali Ilvano Rasimeli,Presidente della Provincia, all’epoca l’uomodi maggior spicco del Pci perugino. L’esito fuche il centro sinistra non ebbe la maggioran-za in Consiglio, che si arrivò alla gestioneprefettizia e a nuove elezioni che videro vin-cere di misura la sinistra e diventare capodell’amministrazione Neri, uno dei più gio-vani sindaci d’Italia. Ciò per molti versi nedeterminò il destino politico.Con diverse responsabilità e nelle diverseassemblee, con vacanze ed esclusioni, l’autoredi Rosso un fior… è stato presente nella vitaamministrativa umbra per un quarantennio.E tuttavia c’è stato in modo diverso dallamaggioranza degli amministratori comunisti,mantenendo un sua autonomia culturale,essendo spesso capace di dire no, graduandobuon senso amministrativo e dissenso, siapure all’interno di una cultura che è rimastatenacemente attaccata all’impianto di origi-ne. Ciò ne fa un personaggio atipico e permolti aspetti fuori del coro, anche se nontutte le sue scelte sono condivisibili. Primatra tutte quella del titolo. Alla traduzione ita-liana di Bergeret, continuiamo a preferire iversi originali di Pottier: “Debout! Les damnésde la terre!/ Debout! Le forçats de la faim!”,ancor oggi ci sembrano meno irenici di“Rosso un fior…” e più attagliati ad uncanto di lotta come è l’antico inno proleta-rio.

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Il “libretto rosso” di Pier Luigi Neri

Quarant’annidi politicaRe. Co.

P

Chips in Umbria

UbuntuA.B.

“L’Umanità verso gli altri”, oppure “Io sono ciò che sono per merito di ciò che siamo tutti”:sono due traduzioni che meglio esprimono il significato della parolina Ubuntu, che a suavolta deriva da un antico termine Zulu. E sarà perché di questi tempi vanno così tanto dimoda gli slogan made in Usa, che... ci piace un bel po’. Battute a parte, ci piace perché satanto di solidarietà e perché il suo messaggio sarà indirizzato ai ragazzi delle scuole umbre.Il canale? Ma naturalmente l’Open Source, che in questi mesi sta facendo il proprio ingressonegli istituti primari della regione. Ubuntu è il nome del sistema operativo libero, scelto per i corsi di formazione promossidalla Regione destinati agli insegnati,. Lo scopo è l’introduzione dei software non proprie-tari nella didattica. Dopo l’approvazione della legge regionale sull’utilizzazione dei sistemioperativi liberi, l’Umbria è ancora una volta protagonista di un’iniziativa all’avanguardia. Sì,perché mentre nel resto d’Europa la diffusione dell’Open Source procede a passi spediti, inItalia la cosa va un po’ a rilento...Il corso, oltre che essere finalizzato all’apprendimento dell’uso del sistema operativo, hacome obiettivo quello di rendere consapevoli gli insegnanti della vasta gamma di softwareofferti dall’Open Source che, al contrario di quanto voglia un luogo comune duro a morire,è in grado di rispondere ad ogni esigenza. Soprattutto, lo scopo sarà quello di permettereagli insegnanti di educare i ragazzi alla legalità informatica, facendo capire loro che esiste lapossibilità di usufruire in pieno di programmi validi, senza dover tirar fuori le cifre da capo-giro richieste per i sistemi proprietari e che si possono scambiare conoscenze e informazionisenza trovarsi ad infrangere leggi (che sono spesso solo leggi di mercato). “Se la diffusione della filosofia Open Source e l’acquisizione della legalità sono gli obiettiviprincipali del progetto - spiegano Luca Balducci e Silvio Baldacci, docenti del corso - non èdi secondaria importanza il risparmio di risorse finanziarie ottenibile attraverso l’uso disoftware gratuito, grazie anche alla possibilità di riutilizzare hardware obsoleto”.“Permettere di allargare l’offerta di piattaforme software disponibili – sottolineano – signifi-ca inoltre favorire la formazione di competenze diversificate. La condivisione della filosofiaOpen Source tra docenti di varie realtà scolastiche di ogni ordine e grado, permetterà inoltredi scambiare e condividere esperienze di lavoro”.I corsi, a numero chiuso, vedono protagonisti tre istituti: l’ITC “Scalpellini” di Foligno,l’ITC “Capitini” di Perugia e l’ITIS “Franchetti” di Città di Castello.. Ma spendiamo allora due parole per illustrare le caratteristiche del sistema operativo, che,oltre agli studenti, naturalmente può... conquistare tutti. A differenza di molte altre distri-buzioni commerciali del mondo dell’Open Source, il team di Ubuntu crede fermamente nelfatto che il software libero dovrebbe essere anche libero da pagamenti di licenze. Ubuntu è una distribuzione GNU/LINUX basata sull’ambiente desktop GNOME, che èspecificatamente progettato per fornire un’interfaccia libera, semplice e intuitiva. Costruitosulle fondamenta dell’architettura e dell’infrastruttura di Debian, dispone di più di 20.000applicazioni, tra le quali OpenOffice.org, il browser web Mozilla, Firefox e l’editor graficoGIMP ma anche client di posta elettronica, editor per la programmazione, giochi e moltoaltro. Il punto di forza di Ubuntu, oltre alla sua estrema semplicità di utilizzo, è rappresen-tato quindi da un elevato supporto hardware. Una volta installato il sistema, questo è certa-mente un aspetto importante, si può contare su aggiornamenti periodici. Per saperne dipiù, basta cliccare sul sito www.ubuntu-it.org. Tutto bene allora? Non proprio: incredibile ma vero, è notizia dell’ultima ora che il proget-to ha visto tagliati i fondi ad esso destinati. E non di poco: lo stanziamento è passato da300.000 a 50.000 euro! Ne riparleremo il prossimo mese.

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e la vicenda della ferroviaSpoleto-Norcia è entrata,da tempo, nella memoria

degli umbri, grazie anche ad unlavoro storiografico non indiffe-rente (si veda in proposito “micro-polis”, novembre 2006), probabil-mente ben pochi sono coloro iquali ricordano la passata esistenzadella Ellera-Tavernelle. Aperto altraffico viaggiatori nel 1953 echiuso dopo soli sette anni, nel1960, questo breve tratto di stradaferrata di circa 22 chilometri, ilcui destino è stato indissolubil-mente legato a quello della minie-ra di lignite di Pietrafitta, ha rap-presentato la concreta speranzadella realizzazione di un raccordotra Perugia a Chiusi, vanamentedesiderato ed atteso, quantomeno,sin dal lontano 1875, anno in cui,con l’inaugurazione della bretellaTerontola-Chiusi, il capoluogovenne definitivamente tagliatofuori dal collegamento ferroviariotra Firenze e Roma. Ora, forse,qualcosa potrebbe cambiare. Domenica 2 marzo, infatti, si èsvolta la prima “Giornata naziona-le delle ferrovie dimenticate”,caratterizzata da un considerevolenumero di eventi che hanno inte-ressato 15 regioni. Motore di que-sta ampia gamma di iniziative èstata la Confederazione dellaMobilità Dolce (Co.Mo.Do.) chesi occupa di mobilità alternativa,tempo libero ed attività outdoor.Costituitasi nel luglio dello scorsoanno, Co.Mo.Do. si configuracome un tavolo permanente tra lediverse associazioni aderenti, chespaziano da Italia Nostra al ClubAlpino Italiano, dall’AssociazioneGuide Ambientali ed Escursio-nistiche alla Federazione ItalianaAmici della Bicicletta, da Feder-parchi al WWF, solo per citarnealcune, con l’obiettivo primario didefinire una rete nazionale dimobilità dolce (a piedi, in bici, acavallo), in particolare attraverso ilrecupero delle infrastrutture terri-toriali dismesse. Di qui l’impor-tanza data, in primo luogo, alleferrovie abbandonate che, inItalia, ammontano a 5.770 chilo-metri (si visiti, in merito, il sitowww.ferroviedimenticate.it).A leggere con attenzione l’attocostitutivo della confederazione, sievidenzia, con chiarezza, lavolontà di esercitare una pressionenei confronti delle istituzioni pub-bliche, nazionali, regionali e loca-li, delle aziende di trasporto pub-blico e degli operatori economici,al fine di promuovere un uso eco-compatibile del territorio, sia perciò che concerne le comunitàlocali, sia per quello che riguarda

il turismo, come dimostrano, adesempio, i punti in cui si manife-sta la volontà di stimolare l’inte-grazione fra trasporto pubblicolocale e mobilità dolce mediantetariffe preferenziali, frequenzemirate, forme di trasporto combi-nato e, parimenti, di stimolare laricettività rurale. Insomma unavisione d’insieme ampia e condivi-sibile. Lo sforzo di Co.Mo.Do. trova ali-mento anche nel fatto che, all’in-terno dell’ultima Legge Finanzia-ria, relativa all’anno in corso, èstato stanziato un fondo di duemilioni di euro, finalizzato pro-prio all’avvio di un programma divalorizzazione e recupero delle fer-rovie dismesse.Per ciò che riguarda l’Umbria,come ricordavamo in apertura, lagiornata del 2 marzo ha visto veri-ficarsi due eventi: uno relativo allaSpoleto-Norcia, l’altro, appunto,alla Ellera-Tavernelle. A Spoleto,dove l’attività di messa in sicurez-za e recupero del vecchio tracciatoè già stata avviata in virtù deglistanziamenti previsti dal Prusst(Programma di recupero urbano esviluppo sostenibile del territorio),dal “Piano integrato territorialeValnerina c4 turismo ambiente ecultura” e dal Piat (Progetto inte-grato di sviluppo per le aree mag-giormente colpite dal terremoto),l’iniziativa, promossa ed organiz-zata dalla Società Spoletina diImprese Trasporti, ha assunto,nella mattinata, il carattere di una

visita ai cantieri in corso (permotivi di sicurezza l’accesso èstato consentito solo su invito),mentre nel pomeriggio si è tenutauna conferenza per illustrare lostato di avanzamento dei lavori.Sempre relativamente alla vecchiaSpoleto-Norcia c’è da ricordareche, oltre ai tre progetti ricordati,la stessa è stata inserita tra le tratteinteressate dallo stanziamentodella legge Finanziaria.Aperta a tutti, invece, è stata lapasseggiata lungo il percorso dellaEllera-Tavernelle, per l’esattezzada Pian dell’Abate, dietroCapanne, alla ex stazione diTavernelle, oggi sede del distrettosocio sanitario. In questo casoampio è stato il ventaglio dei pro-motori: Anci, Unione delleProvince Italiane, Provincia diPerugia, comuni di Perugia,Magione, Marsciano, Piegaro,Panicale, Cai sezione di Perugia,Fiab. Buona parte dei partecipantiha avuto, così, l’occasione di veni-

re a conoscenza della storia di unaferrovia di cui ignorava l’esistenza.Il giudizio che i promotori hannodato dell’esito delle diverse inizia-tive è estremamente positivo, quiin Umbria come nel resto d’Italia:si parla, nel complesso, di circa 15mila partecipanti distribuiti in 56eventi. E adesso quali prospettivesi aprono?A livello nazionale, intanto, alme-no a quanto ha affermato il presi-dente di Co.Mo.Do. Albano Mencarini, nel tracciare ilbilancio dell’intera giornata, sem-brerebbe essere passata in secondopiano la contrapposizione traquella parte del mondo associativoche preme per un effettivo ripristi-no del servizio ferroviario dismes-so, laddove questo è ancora possi-bile, e quella che, come appuntoCo.Mo.Do., si pone innanzituttol’obiettivo di trasformare i sedimiin piste ciclo-pedonali, senza perquesto voler negare l’altra possibi-lità, anzi sostenendo - e a nostro

avviso a ragione - che proprio latrasformazione è in grado di pre-venire l’abbandono, il degrado el’utilizzo abusivo dell’infrastruttu-re stesse.A tale proposito, per quanto ladismissione sia ormai datata, vistoche come è noto risale addiritturaal 1968, la vicenda della Spoleto-Norcia è, a nostro avviso, illumi-nante. L’insistere, da parte di molti, nelcorso degli anni, nel prospettare ilmiraggio di una riattivazione, perquanto parziale, del servizio ferro-viario non ha certo giovato allaconservazione del bene, per trop-po tempo in abbandono ed i risul-tati che di qui a breve si spera diottenere avrebbero potuto conmaggiore lungimiranza essere statiraggiunti già da tempo e, sicura-mente, con minor spesa. Ad ogni modo, stante la situazio-ne, non è questo ormai un proble-ma che possa riguardare le ferrovie“dimenticate” che attraversano, adiverso livello, la nostra regione.Alla Spoleto-Norcia ed alla Ellera-Tavernelle si devono infattiaggiungere l’Arezzo-Fossato diVico, la cosiddetta “Ferroviadell’Appennino”, uscita distruttadalla seconda guerra mondiale emai più ricostruita, e la brevevariante di tracciato dell’Ancona eRoma da Narni a Nera Montoro,di circa 7 chilometri, chiusa diecianni orsono.L’auspicio è che, come nelle inten-zioni di coloro che animano iltavolo per la mobilità dolce inUmbria, il recupero e il riuso diquesti tracciati possa effettivamen-te essere realizzato, possibilmente- aggiungiamo noi - all’interno diun disegno organico che non lascispazio all’insorgere del vecchio,questo sì mai dismesso, vizio dellocalismo. Sarebbe farsesco che, a distanza dipiù di cento anni, dopo essersicombattuti per avere le strade fer-rate, i diversi territori umbri sitrovassero di nuovo in lite, a con-tendersi le poche risorse disponi-bili per realizzare piste ciclabili epedonali.

9 memoriamar zo 2008

Mobilità dolce, recupero e valorizzazione delle ferrovie dismesse

Le ferrovie dimenticateStefano De Cenzo

S

Primo TencaArtigiano Orafo

Via C.?Caporali, 24 - 06123 PerugiaTel. 075.5732015 - [email protected]

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Fuochi di Paglia

Nell’allegato di “Micro-mega” dedicato alSessan-totto la parte più corposa, dal titoloA più voci, è costituita da contributi di per-sonaggi tra i più vari, da Vattimo a Petrini,da Fo a Bisio, da Cordero a Staino.In questi casi, un po’ perché s’intrufola unpo’ perché lo cercano, il vescovo di Terni,Vincenzo Paglia, non manca mai. Raccontadel suo Sessantotto (gli studi al PontificioSeminario e alla Università Lateranense, ilrinnovamento della teologia, maestri, com-pagni, libri), ne individua i temi “caldi” nelmondo ecclesiastico (amore e sessualità,emarginazione e Terzo Mondo, liturgia eutopia), rievoca l’atmosfera infuocata in cuipreti e prelati costituiscono collettivi, stu-diano il marxismo, cercano “i poveri” nelleborgate, in carcere o in fabbrica. Parla diuna “galassia ampia e complessa”, che con-fluirà nel 1974 nell’assemblea dei cristianidi Roma, cui parteciperanno personalità diogni ispirazione, “da Franzoni a Marchesi-ni, da Scoppola a Monticone, da Riccardi aDe Rita (…) con il Cardinale Poletti traloro”: “un popolo raccolto a dibattere sullapropria identità e sulla propria missione”.Non sapremmo dire quanto la specialeattenzione di Paglia alla Diocesi di Romasia legata alla sua candidatura alla successio-ne di Ruini, di certo ci tiene a far sapere dinon mai essere stato tra le “teste calde”. Ilsuo bersaglio sono infatti le comunità dibase (“un coacervo complesso e moltovariegato i cui protagonisti (…) giunserosino alla ‘dissoluzione’ del messaggio reli-gioso nella scelta politica”), mentre valorizzala Comunità di Sant’Egidio di cui fu diret-tore spirituale, cha nel rapporto con lasocietà si affidava al Vangelo senza “la tenta-zione dell’ideologia” Paglia maliziosamentericorda un rimprovero di dom Franzoni(“voi avete fatto una scelta di campo, nondi classe”) e aggiunge: “La giusta preoccu-pazione di non essere estranei al mondosignificò per alcuni l’abbandono dell’iden-tità di preti; in verità la sfida si giocava nel-l’essere con tutti senza abbandonare la pro-pria dimensione di alterità”. Nel pezzo del vescovo di Terni non mancauna punta di piaggeria, specie quando parladi Ratzinger, di cui elogia il libro La frater-

nità cristiana “non poco innovativo nellacritica al marxismo”. Accenna poi al doloredel futuro papa quando, proprio nel 1968,fu contestato a Tubinga dai teologi del dis-senso. “Sarei stato felice – commentauntuoso - se allora avesse incontrato l’espe-rienza di un altro ’68 come quello diSant’Egidio svincolato dalle ideologie eradicato nel Vangelo”. A conclusione Paglia

proclama l’irreversibilità del rinnovamentoconciliare, ma vuole eliminare le “esagera-zioni”, prima fra tutte “la confusione tracomunione e democrazia”. “La Chiesa –spiega - “è chiamata ad essere Magistra perindicare la via della verità”. Così la testimo-nianza sul ’68 diventa l’occasione di un pro-nunciamento a favore di Benedetto XVI e

della sua crociata contro il relativismo, uncontributo alla sua “restaurazione”. Il godibile volumetto di “Micromega” con-tiene tuttavia un’altra sezione che indiretta-mente ci parla di Paglia. Nella carrellata diEmilio Carnevali sui “Sessantottini inso-spettabili” ha infatti un posto speciale PaoloMieli, l’attuale direttore del Corsera nel ’68vicino a PotOp. Pare che fosse preso da un

fuoco sacro, conferenze, assemblee, incon-tri, scontri a non finire. Intanto però usavala discussione politica come “occasione peraccumulare decine, centinaia di conoscen-ze”. Una impressione del genere si ricavaanche dalla testimonianza di Paglia: laChiesa era in fermento, ma lui ne approfit-tava per conoscere questo, quello e quell’al-

tro. Relativista mai, “relazionista” sempre.

Pierino la peste

Il primo marzo si diffonde la notizia della“riduzione allo stato laicale” di PierinoGelmini. Il suo portavoce AlessandroMeluzzi, parlando con l’Ansa, dichiara chelo spretato “ha accolto con gran gioia ladecisione” e che la “considera un segnod’attenzione e disponibilità da parte delVaticano, in uno spirito di grande unità tradon Pierino e la Chiesa”. Il vescovo Paglia,latore della deliberazione della Curia, nonrilascia dichiarazioni. In serata Gelminitorna in Italia dal Costarica e commenta :“Era ciò che volevo, ora potrò tutelarmi almeglio nell’inchiesta giudiziaria”. In veritàla prassi vaticana non prevede (anche senon esclude) un procedimento pro gratia(dietro supplica dell’interessato) e l’impres-sione generale era stata che la richiesta diGelmini si inseriva in un dossier già apertodopo il suo rifiuto di lasciare la gestionedelle Comunità Incontro ai sacerdoti a suotempo designati per la successione e si colle-gava alle denunce, da parte del suo avvoca-to, di “mire sia laiche che ecclesiastiche”verso “una realtà economica molto salda”.Il due marzo più di un quotidiano (“Lastampa”, ad esempio) ricorda che la riduzio-ne allo stato laicale è la pena più grave pre-vista dal diritto canonico, che è definitiva esenza appello e che, a sentire la Curia, sidecreta solo per “ragioni molto serie”).Meluzzi tenta di gettare acqua sul fuoco,parla dell’intenzione dell’ex monsignore difondare “una fraternità laicale dedicata alladiffusione nel mondo della Cristo terapia” esi augura che essa “continui a rimanere nel-l’alveo di un’assoluta fedeltà alla Chiesa”.Ma l’indomani “La Repubblica” riportaalcune dichiarazioni di Gelmini, acerrime:“Rigetto il concetto del Vaticano come cen-tro religioso: è un centro politico, qualchevolta ambiguo e fuorviante. Altra cosa è lachiesa di Cristo”. Aggiunge: “Gli intrallazzinon sono fede. Bisogna tornare a Cristonon al cesaro-papismo. Siamo arrivati alpunto in cui parliamo più del papa che delCristo”. Né manca un riferimento al vesco-vo di Terni: “Monsignor Paglia non ha alcu-na giurisdizione su di me, per me è zero. Ioappartengo alla chiesa cattolica melchita. Ilmio superiore è il patriarca Gregorio III.Per me Paglia è solo il portalettere delVaticano. Qui non deve provare a metterepiede. Non lo voglio più vedere”. Sonoparole di sfida, che lasciano immaginare unlungo e duro contenzioso con l’intera gerar-chia ecclesiastica, né si può escludere che ilconflitto si trasferisca dal campo disciplina-re a quello dottrinario.Il Cristo dei Vangeli è di certo un grandetaumaturgo, ma da qui alla pratica di una“Cristoterapia”, magari con protocolli vali-cati, sembra destare molti dubbi inVaticano, specie adesso che tutti i protettoriche Gelmini aveva in Curia sembrano esser-si rincantucciati.

10s o c i e t àmar zo 2008

Il Sessantotto del vescovo di Terni e la Cristoterapia di don Gelmini

L’alterità del preteSalvatore Lo Leggio

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11s o c i e t àmar zo 2008

lavoratori delle cooperative sociali inUmbria, così come in gran parte delterritorio nazionale, rappresentano

una parte significativa del cosiddetto welfa-re locale, operando attraverso una presenzacostante nei servizi della domiciliarietà,accanto agli anziani, ai disabili, ai bambinie alle persone in difficoltà psichica. Neglianni hanno dato vita alla sperimentazionedi modelli di servizio alternativi e allagestione delle strutture intermedie di acco-glienza e di residenzialità. A questi lavora-tori viene riconosciuta la qualità del lavorosvolto e una professionalità costruita nonsolo tramite curriculum scolastici, ma ancheattraverso il lavoro “sulla relazione” e la for-mazione costante di cui i lavoratori stessisono spesso promotori e attori. Una profes-sionalità acquisita ed esercitata, ma, difatto, non riconosciuta con alcuna valoriz-zazione di tipo economico. Sono soci lavo-ratori il cui contratto di lavoro è scaduto adicembre del 2005, un contratto debole dalpunto di vista economico e normativo, chestenta ancora ad essere pienamente ricono-sciuto e rispettato anche nel nostro territo-rio, dove in virtù delle politiche assunte alivello regionale, si sono realizzate azioniconcrete a favore delle imprese sociali; nonultimo l’accordo definito il 9 luglio 2007che contemplava la rivisitazione del tariffa-rio regionale e la successiva delibera regio-nale che prevedeva l’esenzione dell’Irap pertutte le imprese che, rispettando tale accor-do, hanno definito il superamento del sala-rio convenzionale (ovvero la piena contri-buzione) a partire dal gennaio 2008. Il 27febbraio scorso la trattativa definita a livel-lo nazionale per il rinnovo del contratto diquesti lavoratori si è interrotta a causa del-l’indisponibilità delle centrali delle coopera-tive sociali a dare una risposta economicaagli oltre 250.000 soci e lavoratori. I sinda-

cati Fp Cgil, Fp Cisl, Uil Fpl e Fisascat Cislhanno così dichiarato l’immediato stato diagitazione di tutta la categoria e l’avviodelle iniziative necessarie, fino allo scioperonazionale.I soci/lavoratori delle cooperative socialisono i lavoratori meno retribuiti di tutto ilsettore assistenziale ed educativo, eppure,di fronte alla richiesta di aumento prospet-tata nella piattaforma per il bienno2006/2007 di poco più di 100 euro (inlinea con gli aumenti relativi all’inflazioneprogrammata), le parti datoriali hanno pro-posto meno di 80 euro ripartiti nel qua-driennio 2006/2009.A questa chiusura gli operatori socialisapranno dare una adeguata risposta orga-nizzando azioni e manifestazioni in tutto ilterritorio nazionale e coinvolgendo in que-sta lotta che è per il riconoscimento dei lorodiritti, ma anche per il mantenimento diservizi qualitativi, anche i cittadini stessiche usufruiscono dei servizi e gli utenti allecui associazioni chiediamo sostegno e soli-darietà. Una prima risposta partirà dall’as-semblea regionale degli operatori delle coo-perative sociali indetta dalle organizzazionisindacali il 26 marzo a Todi.I servizi sociali, il welfare locale, le struttu-re di accoglienza non possono essere gestiteda operatori precari e mal pagati, ma dalavoratori ai quali è necessario garantirerisorse certe, il rispetto dei diritti e salaridignitosi.E’ per questi motivi che come FunzionePubblica della Cgil, chiediamo anche aglioperatori pubblici dei servizi sociali e sani-tari e alle Rsu azioni concrete di solidarietàe di sostegno, perchè senza il rispetto deidiritti non è possibile costruire e mantenereservizi di qualità.

*Segretaria regionale Funzione Pubblica Cgil

Le condizioni dei soci lavoratoridelle cooperative sociali

Il precariosociale

Vanda Scarpelli*

Appello alle assembleedemocratiche elettive

dell’UmbriaOgni consiglio comunale, provinciale e regionale istituisca una commissione di inchie-sta per verificare nel proprio ente lo stato dei presìdi contro l’illegalità e l’affarismo

Una proposta concreta per rendere effettivo il necessario impegno di tutti e risponderealla domanda di legalità dei cittadini

L’inchiesta della magistratura e l’azione delle forze dell’ordine che hanno portato inquesti giorni a numerosi arresti per reati connessi alle attività di camorra e ‘ndranghe-ta nel territorio umbro, dimostrano l’ampiezza e la pervasività delle organizzazioni cri-minali e gli intrecci perversi tra attività illegali e iniziative economiche apparentemente

legali.

Libera Umbria, ormai da cinque anni, sottolinea la presenza nella nostra regione dellamalavita organizzata. Alla criminale attività delle filiali di mafia, ‘ndrangheta e camorrasi può far risalire la maggior parte del narcotraffico in Umbria, del controllo dei subap-palti nell’edilizia, ma anche di reati come il pizzo fino a pochi anni fa sconosciuti nelnostro territorio. Umbria come terreno da controllare ma anche su cui investire come

hanno dimostrato i sequestri e le confische di beni operate dalla Antimafia.

Legambiente Umbria da anni continuava a dare l’allarme su tali fenomeni, mentremolti, troppi amministratori si ostinavano a chiudere gli occhi. Nel rapporto sulle eco-mafie, da anni, si evidenzia che la nostra regione, a dispetto della convinzione di molti,

non è più immune da infiltrazioni di ecocriminalità organizzata, con i settori piùpermeabili e già permeati: il traffico dei rifiuti e il ciclo del cemento.

Cittadinanzattiva conduce, da anni, una battaglia contro la corruzione nella PubblicaAmministrazione: nel corso del 2006 ha elaborato una proposta di legge, fatta propria

da oltre 30 parlamentari e divenuta poi legge dello Stato con la Legge finanziaria2007, che estende, agli imputati di tali delitti, il sequestro preventivo dei beni, già pre-

visto per i reati di mafia.

La ’ndrangheta è la più pericolosa delle organizzazioni criminali perché si insinua neigangli vitali delle realtà territoriali in maniera soft, con la sponda di colletti bianchi, diimprenditori dell’edilizia e, via via, con pedine collocate negli snodi del sistema pubbli-co. Pertanto, se è importante colpire il gruppo mafioso e i suoi affari, diventa però

essenziale colpire le sue relazioni, individuando non solo i responsabili ma i meccani-smi patologici che hanno reso possibile l’instaurarsi del rapporto con la ’ndrangheta.

Poiché gli appelli alla mobilitazione delle forze economiche e imprenditoriali a fiancodelle istituzioni, per respingere ogni tentativo di infiltrazione criminale nel tessuto pro-duttivo umbro, rischiano di rimanere un mero fatto rituale, in assenza di proposte e di

azioni concrete, mentre è sempre più grande la preoccupazione tra i cittadini di questaregione, i quali, mentre apprezzano l’azione della magistratura, non riescono a sentirsisollevati come alcuni amministratori e dirigenti politici, che ritengono già chiusa la par-

tita con tali organizzazioni criminali.

Dove c’è la ’ndrangheta, si deve entrare nell’ottica che c’è, da subito, un’emergenzademocratica.

Pertanto, le sottoscritte associazionichiedono

ai Presidenti delle Assemblee elettive della regione

di promuovere, secondo le rispettive previsioni statutarie e regolamentari, l’istituzionedi una commissione di inchiesta che verifichi, in particolare:

Lo stato effettivo del sistema dei controlli interni, se lo stesso risponda a reali criteri dieffettività e non sia diventato, invece, un fatto rituale, gestito con logiche consociative

ed autoreferenziali;L’efficacia dei controlli effettuati dal Consiglio sull’attività dell’ Esecutivo;

La effettiva distinzione tra politica e dirigenza, con la realizzazione del principio diresponsabilità della seconda e non l’instaurarsi di logiche consociative che sono l’anti-

camera dell’affarismo e dell’illegalità;Lo stato degli istituti di democrazia partecipativa attivati dall’amministrazione.

L’estensione di tali istituti rappresenta, contrariamente a quanto ritenuto e praticatoda molti amministratori, un presidio di democrazia a tutela della legalità, contro gli

ormai troppo diffusi furbetti che interpretano il ruolo di amministratore pubblico noncome servizio reso alla propria comunità per il bene comune, ciascuno secondo il pro-prio orientamento politico ed ideale, ma solo come occasione di carrierismo personale;

di riferire i risultati di tale inchiesta tra sei mesi in pubbliche assemblee ai propri citta-dini;

di indicare gli impegni concreti e verificabili da apportare alla organizzazione della“macchina amministrativa”, per mettere al sicuro la propria Istituzione elettiva dalla

permeabilità delle mafie.

Un modo finalmente non rituale per festeggiare il 25 Aprile ed i 60 anni dellaCostituzione repubblicana, onorandone concretamente i valori.

I

CittadinanzattivaUmbria LiberaUmbria LegambienteUmbria

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alla sua nascita per alcunidecenni la fotografia hasvolto un ruolo ancillare

rispetto alla pittura. Oggi, pur inritardo rispetto ad altri paesi euro-pei come la Francia o la Ger-mania, anche in Italia ha trovatoun suo spazio autonomo. Operedi grandi fotografi trovano ospita-lità nei musei, vengono pubblicatilibri e sono sempre più le gallerieprivate riservate alla fotografia.Nell’ultima edizione di ParisPhoto, la maggiore fiera interna-zionale di fotografia contempora-nea, l’Italia è stata scelta comeospite d’onore. Ha scritto WalterBenjamin “Non chi ignora l’alfa-beto ma chi ignora la fotografiasarà l’analfabeta del futuro”. Ed èforse la paura di divenire analfabe-ti in un mondo sempre più som-merso dalle immagini che spingeuna moltitudine crescente adimpugnare macchine di ogni tipoper fermare un attimo. Per qual-cuno significherà seguire dellemode, per altri il desiderio didocumentare eventi privati, peraltri il desiderio di fissare emozio-ni, di catturare la bellezza. Dopole maschere delle società primiti-ve, gli specchi della società bor-ghese, la fotografia rappresenta l’e-sorcismo contemporaneo più pra-ticato. E tra tanti praticanti emer-gono figure interessanti anche inprovincia. Una di queste è Ric-cardo Lorenzi, giovane avvocatonato e cresciuto a Sansepolcro,giudice di pace a Città di Castello.Lorenzi è un entusiasta che vivecon passione l’esercizio del dirittoanche perché gli permette di colti-vare liberamente la fotografia, digirare il mondo fermando conl’obbiettivo le realtà che lo colpi-scono e lo emozionano. E dopoanni di ricerca i risultati arrivano,le soddisfazioni non mancano. Lefoto di un suo reportage in Viet-nam sono esposte permanente-mente all’ospedale di ReggioEmilia, la sua mostra Verticalità 1e 2 ha avuto consenso di pubblicoe di critica. Verticalità 1 e 2 è ilracconto di un viaggio a San-sepolcro e Città di Castello fattocon due amici del fotografo.Passeggiano insieme e ogni strada,ogni monumento, ogni angoloporta alla luce emozioni, ricordi,le radici del proprio vissuto, letappe della costruzione della pro-pria identità. Lorenzi fotografa dalbasso in alto quei luoghi dellamemoria e la verticalità sottolineacon forza il percorso. Luoghi fisicidel passato, monumenti, i luoghidella memoria fissi e immutabili,saldamente ancorati al terrenospingono l’obbiettivo e lo sguardo

verso l’alto, verso il cielo luogo diraccolta di tutte le diverse espe-rienze individuali che vanno a for-mare l’identità collettiva di unacittà.Per chi ha consuetudine con i pro-pri luoghi della memoria, fre-quentarli significaripercorrere il pro-prio passato, rivi-vere i fotogrammilegati a quei luo-ghi. Una fotografiapuò regalare allospettatore tantimessaggi, può co-municare tantesensazioni. Unodei due amici diLorenzi, FrancoAlessandrini, èpartito come tantidalla sua cittàcirca quarantaanni fa in cerca difortuna. Oggi, vi-ve a New Orleansdove è un pittoreaffermato ma tor-na spesso in Italia.Come tutti gliemigrati coltivacon forza la me-moria delle pro-prie radici. Dicedella sua passeg-giata: “Mi sentii immerso neiricordi, le cose più strane tornava-no alla mente. Alcune di queste leho buttate giù, così come sonovenute, in piccoli pezzetti di cartache, come pezzetti di tempo, svo-lazzano lontano, sempre più lon-

tano. Le foto, istanti rubati allarealtà…” E questo felice incontrotra fotografia e scrittura fatta inpiccoli pezzi di carta ci regalaalchimie suggestive, nostalgie,emozioni e ricordi di un singoloche spaziano dai luoghi di Piero

della Francesca, ai giochi infantili,alle esperienze e alle amicizie gio-vanili. Ricordi, emozioni di unoche possono però essere di tutti.Come i mattoni e le pietre cheuna sull’altra compongono gliantichi palazzi e i monumenti

protendendosi verso l’alto, i ricor-di il vissuto di ognuno si assom-mano a quelli degli altri formandol’identità di una comunità, la suastoria ma anche il suo futuro. Ilfotografo perlustra la città per noi,con i suoi scatti ci racconta le

visioni dell’amico. Le sue fotogra-fie sono silenziose ma costringonolo spettatore alla conoscenza, all’e-sercizio della memoria, a ripescarei ricordi di un tempo, a ripensarele proprie radici, le proprie appar-tenenze. La fotografia come spec-

chio dello spettatore, come soste-gno della memoria, anzi comememoria pura. In questi giorniLorenzi sta preparando Verticalità3. Dopo i paesi rinascimentali delcentro Italia il teatro delle suenuove esplorazioni è Milano. Isuoi compagni di viaggio sono gliscrittori umoristici Gino e Mi-chele, protagonisti negli ultimidecenni della vita sociale, politicae culturale milanese. Un’avventurache si prospetta interessante e creaaspettative. Ma Lorenzi non è sol-tanto fotografo di emozioni comedimostrano i suoi numerosi repor-tage in giro per il mondo. Bellefoto che ci fanno auspicare prossi-mi reportage anche tra la sua gen-te, nella sua terra.Orizzontalità dopo Verticalità. Labellezza che certe foto esercitano èquando fanno scattare qualcosa inchi le guarda, quando suscitanoemozioni quando evocano, comediceva Jean Paul Sartre, avventurae fantasia. Le fotografie fissano unattimo ma provocano la memoria,come ogni avventura vissuta osognata. Tutti sentimenti provatidavanti ai reportage fatti daLorenzi sul Vietnam per l’Asso-ciazione della Pace o su Cuba.Foto di volti fieri della propriastoria, puliti, sereni, che vivono in

pace, che hanno re-sistito e hanno vin-to.Vietnam e Cuba,Paesi che, almeno inquesto giornale, su-scitano in molti no-stalgia e affetto perantiche battaglie.Paesi che evocano leparole scritte daAbbie Hoffman nel-la presentazione del-l’Enciclopedia tasca-bile del ’68 del Ma-nifesto Libri: “E-ravamo giovani, era-vamo testardi, era-vamo imprudenti,eravamo sciocchi,eravamo arroganti.E avevamo ragione.Non ci pentiamo diniente”. E in tempicome questi chestiamo vivendo dovedilaga l’interesse, ilcompromesso, l’in-ciucio e il buonismodi facciata, la nostal-gia per antiche bat-

taglie è forte. Ma senza pentimen-ti, senza rinnegare il passato, senzala tristezza per non aver vinto masenza la vergogna di non aver lotta-to. Di questi sentimenti evocatidalle sue foto ringraziamoRiccardo Lorenzi.

12 c u l t u r amar zo 2008

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Le avventure fotografiche di Riccardo Lorenzi

Fermo immaginePaolo Lupattelli

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pirito ribelle della satira”: sonoqueste parole, tra le tante e bel-lissime di ricordo e di omaggio

che hanno riempito giornali e blog, aoffrirci il ritratto più vero di Angese.Già, perché come ha scritto FerruccioGiromini (giornalista e critico), ricor-dando il disegnatore all’indomani dellasua scomparsa, avvenuta a Perugia in untriste giorno del febbraio scorso che permolti aspetti ha visto chiudersi un’epo-ca, “un autore di satira difficilmente sitiene il suo nome anagrafico, troppolungo e burocratico”. Figuriamoci sepoteva essere diversamente per Angese.“[...] il fatto è che un satiro comunicaper simboli, non ha tempo di riraccon-tare ogni volta la rava e la fava – e chivuole intendere intenda. - continua -Anche l’autodeterminato Angese, dun-que, non tradiva la sua razza: andavadritto al sodo, senza fronzoli, propriocome le sue vignette”. Il rifiuto deiritmi frenetici imposti dalla grandecittà, avevano portato Sergio Angeletti,per l’anagrafe romano di nascita, classe1952, a scegliere il verde e la dimensio-ne più a misura d’uomo dell’Umbria,per vivere e per continuare la sua avven-tura artistica. Con lo stesso spirito ribel-le, aveva deciso di pensare e affrontareanche la morte. Decidendo di farsi cre-mare e disponendoche le sue cenerifossero seppellitenel la terra del laLibera Universitàdi Alcatraz. E so-pra le sue ceneriora c’è quel dise-gno: il ritratto delsuo cavallo Astan-te , lo s ta l lonebastardo, come ri-corda l’amico Jaco-po Fo, che Angeseaveva comprato aprezzo di carne da macello e trasformatoin un magnifico alleato. Potrebbe fer-marsi qui il ricordo di un uomo unico –del quale ci sembra giusto tracciare lafigura attraverso le testimonianze di chilo ha conosciuto e ne è stato compagnodi strada – di un artista straordinario,che, sono ancora le parole di Giromini,“già manca nell’Italia di oggi, incapacedi essere dura come si dovrebbe, di esse-re dolce come si vorrebbe”. Ma c’è una storia da raccontare. La sto-ria di quel momento straordinario emagico di idee, iniziative editoriali, pro-getti, che negli anni Settanta ha vistoportare la satira disegnata nelle case ditutti gli italiani, avendo in Angese unodei protagonisti più brillanti. Grazie alla

sua capacità - della sua bravura parle-ranno per sempre le sue vignette - diessere sempre un passo avanti, di esseresempre all’avanguardia nello sperimen-tare nuove formule di espress ione,inventare nuovi spazi. Dopo l’esordio in“Paese Sera”, Angese lega il suo nome aquello de “Il male”, il settimanale fon-dato da Angelo Pasquini e Pino Zac, delquale è uno dei disegnatori di puntaassieme a Saviane, Scòzzari, Tamburini,Pazienza, Altan, Vincino. Dopo la chiu-sura de “Il Male” la satira continua avivere i l suo momento di gloria in

“Zut”, “Frigidai-re”, “Linus” e poi“Tango” e “Cuo-re”, nati come in-serti de “L’Unità”.La sua firma com-pare quindi ne“L’Espresso”, in“Satyricon” (sup-plemento de “LaRepubbl ica”) in“Smemoranda” e,in ult imo, sul lepagine de “La Na-zione-Il Resto del

Carlino”. Nel sito di “Smemoranda”,sono Nico Colon-na e Gino e Michele aricordare “un artista arguto, profondo,

sicuramente mai banale, un uomo cheha fatto della coerenza e della dignità,in tutti questi anni ‘difficili’, la suaragione di vita”. Come Altan e Vauro, lasua satira ha avuto fra i suoi bersaglipreferiti i protagonisti della cronacapolitica italiana. È proprio in Angeseche le vicende legate allo scandalo ditangentopoli e alla crisi dei principalipartiti politici hanno avuto la matitapiù sferzante. Dagli anni Ottanta lasatira vive la sua parabola discendente,g l i spazi sono sempre minori . MaAngese sperimenta altri mezzi. È autore

di cortometraggi a cartoni animati. Nel1994 pubblica il libro illustrato CiaoVacca! e nel 1997 il volume satirico afumetti Sono un azionista Telecom.L’insegnamento del giornalismo dise-gnato, al quale si dedica con passione,gli vede ottenere importanti riconosci-menti. Tra i tanti amici, a ricordarlodalla sua Alcatraz è Jacopo Fo: “Sergio èstato un grandecombattente per lalibertà. Uno che hasempre messo lasua dignità di fron-te alle convenien-ze. Uno dei piùgrandi disegnatoriitaliani, giornalistae vignettista acuto,originale e geniale,a l quale questosistema di merdaha negato la possi-bilità di lavorare”.A proposito sem-brano interessanti le parole di Giro-mini, che punta il dito su quello che èla realtà con la quale deve fare i contioggi la satira: “Se di censura vogliamoparlare, è di censura sociale che si tratta.Non è questo o quell’editore che ha tra-dito il vecchio collaboratore, è proprioil marketing ‘culturale’ (si capisce ilsenso di queste virgolette?) che ormairitiene la satira disegnata un prodotto

‘invendibile’; ed è proprio il pubblicoche è indifferente alle piccole stoccateferoci, alle critiche amare, agli scampolid’intelligenza spicciola nascosti a sor-presa dietro l’angolo, pronti ad accoltel-larti sghignazzando. Si ride con menointelligenza, oggi, sia di persone menointelligenti di ieri, sia di situazioni chel’intelligenza non sanno proprio cosasia”. Di questa realtà Angese è sempre statoconsapevole, raccogliendone la sfida.Una sfida che ha saputo combattere e asuo modo, credo che si possa dire, vin-cere. L’ha vinta grazie a quel suo saperessere fino alla fine all’avanguardia, chelo ha portato ad essere pioniere dell’ul-tima frontiera, internet, che ha saputoconquistare alla satira. Sì, il sito creatoda Angese rappresenta un’esperienzaunica nel suo genere ed è stato e conti-nua ad essere l’unico sito dedicato allasatira disegnata in internet. Non è uncaso, se oggi la Rete è invasa dai mes-saggi di saluto di un popolo, che oggisappiamo essere più numeroso di quan-to forse lo stesso Angese non immagi-nasse. Basta dare un’occhiata al blogdedicato a lui nel sito di Beppe Grillo odella stessa Alcatraz. Del resto chi semi-na è destinato a lasciare il segno.Angese ha continuato a seminare finoal l ’ul t imo e lo ha fatto dal la suaUmbria.Oggi in Umbria c’è una realtà consoli-data come la Libera Univers i tà diAlcatraz, la Repubblica di Frigolandiache a Giano dell’Umbria vede riuniti inuovi ta lent i at torno a l vulcanico

Vincenzo Sparagnae nascono e cresco-no nuove iniziativenel campo delfumetto.Una foto con An-gese che fa il segnodella vittoria conle dita nel propriosito, è il modo dir icordarlo sceltodal la Biblio-tecadel le Nuvole diPerugia, un’altrarealtà umbra conla quale il grande

artista collaborava mettendo a disposi-zione di tanti giovani il proprio talentoe la propria esperienza.Sì, dobbiamo essere grati ad Angese peraver scelto di seminare e resistere daquella che ormai poteva considerarsi lasua Umbria. E dall’Umbria, ne siamocerti, nasceranno presto idee e progettiper ricordare la sua sfida, il suo talento,la sua passione.

13 c u l t u r amar zo 2008

S“

Un ricordo di Angese: la sfida, il talento e la passione

Uno spirito ribelledella satira

Alberto Barelli

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a sanguinosa incursionedell’esercito israeliano aGaza, l’attentato suicida

nella scuola rabbinica a Gerusa-lemme, l’evidente fallimentodell’“iniziativa di pace” sponsoriz-zata dagli USA con l’incontro diAnnapolis: le notizie dalla Palesti-na ricalcano il consueto tragicocopione, non smentendo né invec-chiando le analisi che alla questio-ne ha dedicato “Limes” (La Pa-lestina impossibile. Limes, Rivistaitaliana di geopolitica, gruppo edi-toriale l’Espresso, 5, settembre2007).Il titolo, La Palestina impossibile,riassume spassionatamente unasituazione che appare allo statopriva di sbocchi: la violenta con-quista del potere a Gaza da partedi Hamas, con la conseguente tra-sformazione del conflitto politicointerpalestinese in una guerra civi-le aperta, rende palese il fallimen-to del processo di pace, amplificagli effetti della politica americananel Medio oriente e l’instabilitàdell’area.L’assunto di base è che i palestinesiattualmente non sono in grado di

unirsi sotto un’unica bandiera.Ciò rappresenta – indipendente-mente dalle cause e dalle conse-guenze a breve e medio periodo –una loro tremenda sconfitta, non-ché una vittoria di Israele, anchese è difficile dire quanto tattica ostrategica. Il disastro ha dunqueuna radice endogena, che fa rie-mergere l’antica debolezza dellanazione palestinese, la cui difesa,fino all’emergere della leadershipdi Arafat, fu eterodiretta a proprifini da altre nazioni arabe, princi-palmente l’Egitto, cui è dovuta lastessa fondazione dell’OLP nel1964.Il tramonto della prospettivaimminente di uno stato indipen-dente e la rottura tra Hamas eFatah rendono più visibili le lineedi frattura vecchie e nuove cheattraversano la nazione palestinese.Il radicamento sociale e culturaledi Hamas, a ben vedere molto piùdeterminante degli aiuti esterninella vittoria a Gaza, mostra incontroluce lo sbriciolamento dellestrutture dell’ANP e di Fatah,rovinate dalla corruzione, dai con-trasti interni, alimentati dalle rela-

zioni con i vari stati arabi “di rife-rimento” (Egitto, Siria,Giordania), come del resto è sem-pre avvenuto. E’ uno scenario cherende possibile lo scatenarsi di unaguerra civile globale, e che vede lasocietà civile riorientarsi, soprat-tutto in Cisgiordania ma anche aGaza, attorno alle strutture tradi-zionali dei clan familiari, le unicheistituzioni solide nello sfaldarsi eframmentarsi delle istituzionidell’Autorità nazionale. Da sempreimportanti nel mondo arabo, oggile principali “tribù” esercitano tra iPalestinesi un potere enorme,patrimonializzando pezzi dell’au-torità pubblica. E’ il principaleelemento della trasformazionedella società palestinese in unmosaico di spinte politiche, reli-giose, culturali, molto difficile daricomporre. Ma non è il solo: vi siaggiungono altri elementi, dallatormentata vicenda dei profughi,alla presenza dei beduini, all’inte-grazione dei palestinesi cristiani,non più così scontata come in pre-cedenza: se Arafat era riuscito aporsi come garante della presenzacristiana nei “luoghi santi”, attual-

mente la relazione non è più scon-tata, non solo e non tanto per lamaggior forza dell’islamismo radi-cale (Hamas non ha mai delegitti-mato la comunità cristiano-pale-stinese), quanto per la logica diappartenenza/esclusione che laforza dei clan rafforza.Ma se di suicidio palestinese sitratta, certo non è improprio par-lare di “suicidio assistito” da partedi Israele ed Usa. Senza alcunasoluzione di continuità tra Sharone Olmert, Israele procede conestrema coerenza su una linea cheinquadra ogni episodio e segnalecome dimostrazione dell’incompa-tibilità tra sé e i palestinesi, e l’ine-luttabile necessità della difesa diIsraele come stato “ebraico edemocratico”. In questo quadroper i Palestinesi è contemplatasolo l’alternativa tra essere unaminoranza in Israele o accettaredei bantustan, frammentati esubordinati alle esigenze di “sicu-rezza” del vicino, ma mai la pro-spettiva di uno stato sovrano eindipendente. In questa prospetti-va il mezzo privilegiato è quellodella politica di potenza in sensoclassico, che impiega la funzionediplomatica come strumento digestione della crisi, per la quale èopportuno non si trovi mai unasoluzione stabile, che renderebbemeno evidente lo stato di emer-genza e l’eccezionalità di Israele.La debolezza e divisione dei pale-stinesi rende questa linea, condivi-sa e supportata dagli USA, accet-tabile per gran parte della stessasocietà israeliana, nella cui perce-zione la minaccia palestinese haaspetti sempre più religioso-cultu-

rali e etnico-demografici. La cre-scita più rapida della popolazionearaba, compresa quella di cittadi-nanza israeliana, e la contempora-nea diminuzione dell’afflusso diebrei dal resto del mondo alimen-tano il senso di un “accerchiamen-to arabo-islamico” che fa accettarele politiche che insistono sul carat-tere “ebraico” di Israele.Se si aggiunge la reiterata subordi-nazione nei fatti dell’Europa allapolitica statunitense nel MedioOriente, è chiaro che risulta arischio la stessa esistenza di unaquestione palestinese (come delresto era negli anni Cinquanta eSessanta), e quindi è tanto piùeffettivo il problema di un’unitàeffettiva e operativa dei palestinesi.Altrettanto chiaro, però, è che laresponsabilità della disunionepalestinese e quindi dell’allonta-narsi della sua autonomia naziona-le, ricade solo in minima parte suipalestinesi stessi: come si può pre-tendere da un popolo disperso,soggiogato economicamente emilitarmente dal potente vicino,usato dalle leadership degli statiarabi per le proprie trame, possaesprimere leadership “responsabi-li” e “pazientare” secondo i deside-ri della comunità internazionale?Tanto più dopo le umiliazioni cheArafat e l’Anp hanno dovuto subi-re in seguito agli accordi di CampDavid.Il fallimento palestinese è il falli-mento di un’intera strategia inter-nazionale: i palestinesi ne paganogià un prezzo altissimo, ma nessu-no può sentirsi esente da responsa-bilità, né al riparo da ulteriori etragiche conseguenze.

14c u l t u r amar zo 2008

Palestinaimpossibile?Roberto Monicchia

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06087 Ponte San Giovanni - Perugia

Tel. (075) 5990950 - 5990970

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a mostra di Rotella a Palazzo dellaPenna a Perugia “Opere dal 1955al 2005” rappresenta un avveni-

mento di notevole portata. Promossa dalComune di Perugia, Assessorato allePolitiche Culturali e Giovanili insieme allaRegione Umbria, Assessorato alla Cultura,in collaborazione con la FondazioneMimmo Rotella e la galleria JZ Art Tradingdi Milano, l’esposizione è allestita a cura diLuca Beatrice. È una delle più importanti tra quelle che sisono tenute in Umbria incentrate sulla con-temporaneità – Mimmo Rotella, nato aCatanzaro nel 1918 è morto nel 2006 aMilano – per di più molto ampia, conun’antologia largamente rappresentativadell’artista.L’autore è ben noto al pubblico italiano,magari non tutti conoscono i dettagli o imotivi del suo fare artistico, le incursioni incampi espressivi originali come la poesiafonetica o “epistaltica”, o la “Mec Art” ol’“Artypo”, però i suoi “manifesti lacerati”appartengono ad un immaginario diffuso.Anche perché Rotella si è dimostrato uningegno capace di avere una personale inogni città del mondo, dove si incontrano“permanentemente” strade tappezzate dimanifesti lacerati: un genio del XX secolo.“Strappare manifesti dai muri è la sola com-pensazione, l’unico modo di protestare con-tro una società che ha perduto il gusto delcambiamento e delle trasformazioni favolo-se”. Strappare quindi per protestare e fin qui ilgesto risulta condiviso dai più, ma ancheper sognare, lacerare per scoprire, al di là,con l’immaginazione, “interminati spazi eprofondissima quiete”; un atto che lo assi-mila anche a Lucio Fontana, fautore di unapenetrazione spaziale sulla tela come indagi-ne di una dimensione aliena, più o menonegli stessi anni.Di solito la produzione di Rotella si associaa quella di Alberto Burri con cui in veritàpresenta maggiori congenialità, soprattuttol’adozione di una materia già pronta perallestire un discorso artistico, specialmentein lavori come Ricostruito, e Senza titolo,1955. Ed effettivamente lo “strappa manife-sti” o “pittore della carta incollata”, comemisoneisticamente viene definito dalla criti-ca gretta dell’epoca, ha molto da spartirecon il più illustre tifernate, anche se ilRotella, diversamente dal Burri materico,cede al fascino del colore e delle forme –addirittura dei personaggi – che, talvolta inmaniera invadente, i manifesti strappati tra-scinano con sé.Ciò che ci consegna, e la mostra riassumeegregiamente, nel lavoro di 50 anni, com-porta però l’estrema difficoltà di selezionaree rintracciare nel gesto ripetuto un signifi-cato diverso ogni volta, l’impressione, ad

uno sguardo non sufficientementeapprofondito e indagatore, di ricevere sem-pre un messaggio analogo, vigoroso e lirico,ma indifferenziato, che tuttavia può essereanche letto come coerenza stilistica.L’accurata osservazione ci dice però che levarie fasi in cui la sua storia si sviluppa assu-

mono connotati ben distinti e concettual-mente indipendenti, poggiando su un fatto-re che li assimila, ma non li uniforma, chegli permette di spaziare tra mille non ines-senziali sfumature. Differenze trapelanoanche attraverso le figure: attori, prodottipubblicitari, parole rivelatrici, personaggipubblici, film (il cinema ha rappresentatoper lui una forma espressiva a cui è sembra-

to sempre devoto), sintesi di un mondo incui i manifesti erano a dimensione umana enon si chiamavano ancora poster.Il merito principale di Rotella, a mio mododi vedere, se di merito oggi è necessario par-lare, è che la sua ispirazione, insieme a quel-la di Alberto Burri e pochi altri in Italia,

forse Mario Schifano, Piero Manzoni, si èdisfatta degli archetipi. Quella sorta diguida spirituale inconscia che ha informatol’arte fino alla seconda guerra mondiale e dicui la modernità, con un atto che ancoramolti discutono, si è sbarazzata.Non di tutti gli archetipi, per la verità: unoè rimasto fino diventare un componenteessenziale del suo lavoro: la sensualità. Non

soltanto quella delle figure femminili carno-se ed ammiccanti, a volte gradevolmenteoscene, offerte in un gioco seduttivo dimostra e nascondi: da Sophia Loren, attra-verso Moana Pozzi e varie pornodive, finoalla più recente Michelle Hunziker; unasensualità di altra natura, quella dello strap-po, del rumore della carta, dello svelamentodello strato, dell’odore della colla di farinacristallizzata, della materia scartata, dellospessore.Una sensualità più legata ad un gusto pri-mordiale, diversa da quella condivisa nellaproposta di Marilyn, quasi ossessivamentereiterata, smascherando più o meno consa-pevolmente le serigrafie di Warhol – che èbene coinvolgere insieme alla pop-art ragio-nando su Rotella – con Marilyn multiple,2004. Una Monroe invadente, prorompen-te, portatrice sana di carne, icona – e maitermine è stato usato più propriamente rife-rito ad un essere umano – che ci rimbalzaaddosso con una attualità riaccesa da unlibro appena uscito: Compagna Marilyn.Comunista, spia, cospiratrice. I retroscenadella vita e della morte di Marilyn Monroe inun rapporto segreto dell’Fbi, collana ERETI-CA L’autore è Mario La Ferla, umbro, giàinviato dell’Espresso, di cui ci siamo occu-pati tempo fa su questo giornale e che parladell’attrice, imperituro sex–symbol, svelan-done l’attività nota e comprovata di spia afavore dell’Urss, fatta uccidere (anche) perquesto dalla Cia, tramite la mafia. Marilyncomunista! Eravamo in così buona compa-gnia senza saperlo. Tornando alla mostra sorge una domanda:perché proprio Rotella? C’è una congruenzanella scelta? Chiunque di buon senso gradi-sce come contributo culturale una propostache non sia provinciale, che non rispondanecessariamente ad istanze localistiche e inquesto caso l’offerta è decisamente apprez-zabilissima. Inoltre l’assessore Cernicchi,responsabile dell’assessorato che si interessadi questo tipo di iniziative, parla di un pro-getto che avrà un seguito nei mesi futuri eche per il momento è riservato, quasi segre-to, che incentra l’attenzione sull’arte nellecittà, di cui Mimmo Rotella è ragguardevo-le e non certo strumentale e pretestuosoesponente.Questa mostra a Palazzo Pennaintanto, iniziata il 15 Marzo, durerà fino al4 Maggio 2008. È corredata da un catalogodi Prearo editore, veramente di gran pregioeditoriale, con un testo trilingue, di PieroMascitti, direttore della FondazioneMimmo Rotella, di un Jonathan Zebinamediano di spinta piuttosto sorprendente e,ovviamente di Luca Beatrice; essenziale, macon un corredo di immagini veramentesuperbo.Viene da aggiungere, non saprei se conrammarico o compiacimento, che Palazzodella Penna sta diventando piccolo.

15c u l t u r amar zo 2008

Le opere di Mimmo Rotella a Palazzo della Penna a Perugia

Il manifestolacerato

Enrico Sciamanna

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AUR-MET, Stato e imprese – Lepolitiche in Italia e in Umbria –Rapporto MET 2007 a cura diRaffaele Brancati, AURVolumi,Perugia, Febbraio 2008.

Il lavoro presentato dall’AgenziaUmbria Ricerche deriva da unincarico da questa dato a Met -Monitoraggio Economia e Ter-ritorio e svolto da questa societànell’ambito del rapporto cheannualmente va sviluppando. Illegame con il Rapporto MET2007, è particolarmente impor-tante in quanto – come fannonotare le autorità di Aur – con-sente di “derivare un ‘focus’sull’Umbria dalla più ampiaindagine che da anni Met condu-ce su un largo campione di realtàimprenditoriali”. Questo collega-mento ci sembra importante inquanto permette di evitare ilrischio ricorrente di localismonelle indagini e ricerche sul siste-ma industriale di piccole regioniriferendo, invece, sempre inmaniera comparativa, le analisi ele valutazioni all’insieme dellarealtà nazionale e a quella delle

altre regioni. Con questo taglio ilvolume sviluppa un’analisi sudue blocchi: da un lato le politi-che pubbliche, dall’altro la do-manda delle imprese.Quanto alle politiche per leimprese viene rilevato che essestanno “attraversando una lungafase di incertezza e di instabilità”legata a dubbi sulla utilità stessadella politica industriale, ai pro-blemi amministrativi, a difficoltàdi bilancio e ai cambiamenti fre-quenti nell’equilibrio fra politi-che di erogazione della spesa epolitiche fiscali. Isolando gliaspetti relativi alla regione si evi-denziano alcuni elementi: laspesa rivolta alle imprese si man-tiene in Umbria sostenuta esuperiore a quella derivante dalloscenario nazionale; l’aumentodelle risorse erogate ha interessa-to tutti gli strumenti anche se lacrescita di quelle governate dallaRegione risulta essere più altaanche in collegamento con i pro-grammi dell’Unione Europea.Quanto agli obiettivi, si rileva

uno sforzo e un indirizzo precisodella Regione per il sostegnodelle attività di R&S delle impre-se, per la diffusione di serviziqualificati e per la riduzione del-l’impatto ambientale delle atti-vità produttive.Le caratteristiche della domandadelle imprese sono ricavate daun’indagine che riguarda a livellonazionale un campione di 5351imprese e che, a livello umbro,ne ha coinvolte 151. Pur con le cautele raccomandatedalla numerosità alcuni elementiemergono con sufficiente chia-rezza: una propensione delleimprese umbre agli investimentianche innovativi maggiore che alivello nazionale; una tendenzacrescente all’internazionalizzazio-ne, anche sotto la forma di delo-calizzazione sia con motivazioniconnesse a riduzione dei costiche alla ricerca di quote di mer-cato; una buona propensione alleinnovazioni di prodotto; unapermanente criticità della dimen-sione finanziaria e creditizia

soprattutto in fase di espansione.

Cesvol, Associazionismo eVolontariato. Primo censimentonella provincia di Perugia ,Perugia, 2007.

Il lavoro raccoglie i risultati diuna ricerca commissionata dalCentro Servizi Volontariato(Cesvol) al l’Agenzia UmbriaRicerche con lo scopo di rilevaredimensioni, organizzazione ecaratteristiche dell’associazioni-smo a livello provinciale. La rile-vazione, pur non essendo un veroe proprio censimento, ha coin-volto un numero molto alto disoggetti: 527 associazioni delvolontariato. Pertanto, unadimensione che permette inmisura significativa di distingue-re l’organizzazione del volonta-riato in senso proprio - la stra-grande maggioranza dell’univer-so indagato - da altre attività chepur importanti dal punto di vistasociale, ricreativo ecc. sono più

lontane da un “carattere profes-sionale”. Dei tre capitoli della ricerca, ilprimo, curato da Paolo Mon-tesperelli, ha il ruolo precipuo diinquadramento e collocazionedel fenomeno dell’associazioni-smo e del volontariato nell’ambi-to delle regole del sistema demo-cratico nella sua evoluzione. Alsecondo capitolo sono riservatigli aspetti metodologici e di indi-viduazione dell’universo di riferi-mento. Il corpo centrale dellaricerca è il terzo capitolo (curatoda Chiara Vivoli) che entra nel-l’analisi dei dati relativi alleforme giuridiche, agli ambiti diintervento, alla copertura territo-riale delle attività svolte. Unospazio particolare concerne i rap-porti con le istituzioni private epubbliche e gli aspetti organizza-tivi e strutturali (personale, dota-zioni strumentali, risorse finan-ziarie, formazione e progettazio-ne degli interventi ecc.). Infine,l’ultima parte del capitolo, èdedicata – attraverso la costruzio-ne di appositi indici – alla indivi-duazione dei punti di criticitàsegnalati dalle stesse struttureintervistate soprattutto in rela-zione all’organizzazione, allerisorse umane e al finanziamentodelle attività.

16 libri- idee mar zo 2008

Sottoscrivete per micropolisC/C 13112 intestato a Centro Documentazione e Ricerca c/o BNL Perugia Agenzia 1

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on ne va bene una a Veltroni. Aveva appena tirato fuori la teoria dell’operaio edel suo padrone tutti e due lavoratori, che è inter-

venuta la tragica catena degli omicidi bianchi a ricordargli“la differenza di lavorar e di comandar”. S’era messo ad imitare Sarkozy: ne aveva ripreso il concettodi “rottura”, lo slogan di “voltar pagina”, le rampogne alSessantotto come produttore di scansafatiche; era arrivato adefinirsi “né di destra né di sinistra, ma riformista”. Poi perSarkò è arrivata la punizione elettorale, insieme al successospagnolo di Zapatero. Come una “folle banderuola” ha provato a lasciarsi traspor-tare dal “vento nuovo”, che ora in Europa sembra spingerea sinistra. Ma è operazione assai difficile, come ha saggia-mente spiegato su “La stampa” il “socialdemocratico”Emanuele Macaluso. Nel suo partito non è presente soltan-to una componente “democristiana”, ma persino un grup-po di cattolici integralisti che di continuo parlano di una“deriva zapaterista” da cui occorrerebbe vaccinare il PartitoDemocratico. Walter stesso del resto, quando il cardinaleBagnasco per conto della Cei ha rivolto una serie di pres-santi richieste alla politica italiana, ha dichiarato il suoaccordo su quasi tutto e l’intenzione di trasformare subitol’accordo in disegni di legge.

Veltroni ha raccontato una volta di aver tenuto a lungo inbella evidenza una foto di John Fitzgerald Kennedy e lo hasempre considerato un modello della “buona politica”. Ma

quel Kennedy, cattolico, nel settembre del 1960, in uncelebre discorso elettorale tenuto ad Houston ad unaassemblea di ministri di culto cattolici e protestanti, cosìdichiarava: “Io credo in un’America in cui la separazione diChiesa e Stato sia assoluta e in cui nessun prelato cattolicopossa insegnare al Presidente (qualora questi sia cattolico)quel che deve fare, e in cui nessun pastore protestante possaimporre ai suoi parrocchiani per chi votare; un’America incui a nessuna Chiesa o scuola di carattere confessionalesiano concesse sovvenzioni tratte dal pubblico denarooppure preferenze politiche”. E aggiungeva:“Credo inun’America in cui nessun pubblico ufficiale richieda oaccetti istruzioni sulla politica da seguire vuoi dal Papa,vuoi dal Concilio nazionale delle Chiese, vuoi da altre fontiecclesiastiche; un’America in cui nessun organismo confes-sionale cerchi di imporre, direttamente o indirettamente, lapropria volontà alle iniziative dei pubblici funzionari…”.Questo giornale è stato talora accusato di antiamericani-smo. A torto crediamo. Ma sicuramente non amiamo ilsistema politico degli Usa né ci hanno mai incantati il mitodi Kennedy e la mitologia kennediana. Ciò nonostante trail modello e la copia preferiamo il modello. E, se dobbiamoproprio essere sinceri, la copia ci pare davvero brutta. Unapatacca.

la battaglia delle idee

libri

Editore: Centro di Documentazione e RicercaVia Raffaello, 9/A - PerugiaTel. [email protected] web: www.micropolis-segnocritico.it/mensile/

Tipografia: Litosud SrlVia Carlo Pesenti 130 Roma

Autorizzazione del Tribunale di Perugiadel 13/11/96 N.38/96

Direttore responsabile: Fabio MariottiniImpaginazione: Giuseppe RossiRedazione: Salvatore Lo Leggio (coordinatore),Alfreda Billi, Franco Calistri, Renato Covino,Stefano De Cenzo, Maurizio Fratta, Osvaldo Fressoia,

Paolo Lupattelli, Francesco Mandarini, Enrico Mantovani,Roberto Moniccchia, Maurizio Mori, Francesco Morrone,Enrico Sciamanna.

Chiuso in redazione il 22/04/2008

L’originale e la copiaS.L.L.

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